RASSEGNA STAMPA Sommario: 14 novembre 2014 Rassegna Associativa 2 Rassegna Sangue e Emoderivati 4 Rassegna Medico-scientifica, politica sanitaria e terzo settore 7 Prime Pagine 13 Rassegna associativa FIDAS LA SENTINELLA DEL CANAVESE La Fidas chiede spazi idonei per promuovere l'attività FAVRIA Non si smorzano, a Favria, le polemiche per la rimozione decisa dall’amministrazione Ferrino (in seguito alla segnalazione di un cittadino) dei manifesti privi del timbro della ditta di affissioni e ritenuti, pertanto, abusivi, che pubblicizzavano la donazione di sangue del 14 novembre organizzata dal locale Gruppo comunale della Fidas presieduto da Giorgio Cortese. «Sono almeno una quindicina d’anni che noi, come donatori di sangue, invitiamo la gente alla donazione anche attraverso questo semplice ma immediato sistema di promozione - si era difeso Cortese -. Siamo in difetto, in errore? Avremmo preferito essere convocati per chiarire la nostra posizione. Non è propaganda politica quella che facciamo, né una partita tra scapoli e ammogliati: noi raccogliamo sangue». «La legge che disciplina la materia è precisa e, nostro malgrado, pur trattandosi della Fidas, abbiamo dovuto applicarla- aveva replicato il sindaco -. Niente di personale con Cortese e l’associazione che rappresenta. Cercheremo di trovare una soluzione adeguata per tutte le onlus». Ora, il presidente della Fidas ha deciso di prendere carta e penna e scrivere a Ferrino, e per conoscenza a tutti i consiglieri comunali, per chiedere che venga messa a disposizione di tutte le associazioni del Comune di Favria, regolarmente iscritte all’albo dei beneficiari, degli spazi per la propaganda. «Ci aspettiamo una risposta urgente - afferma Cortese -, che ci auspichiamo non sia solo di auguri ma di scelte che siano in linea con lo spirito dello statuto comunale, che non è solo un semplice foglio di carta, ma le leggi fondamentali della nostra comunità. Come associazioni favriesi abbiamo tutti pari diritti e dignità». (c.c.) Rassegna sangue e emoderivati LA STAMPA.IT Emofilia: la cura si chiama terapia genica 13/11/2014 Daniele Banfi Grandi passi avanti nella lotta all’emofilia. Un gruppo di ricercatori della Stanfor University School of Medicine è riuscito nell’impresa di curare con successo e senza effetti indesiderati alcuni topi affetti dalla malattia. Ciò è stato possibile grazie ad una innovativa tecnica di “genome editing” che consente di sostituire il gene difettoso che causa la malattia. I risultati sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista Nature. La malattia L'emofilia è una patologia genetica ereditaria caratterizzata dall'incapacità di produrre il giusto livello di alcuni fattori di coagulazione. Il risultato che ne consegue è che la persona affetta non riesce a coagulare il sangue. Un problema non indifferente poiché qualunque emorragia, dal semplice “sangue dal naso” ad u ntaglio più profondo, può provocare una considerevole perdita di sangue. Allo stato attuale si conoscono 3 differenti tipologie di emofilia, ciascuna collegata ad uno specifico difetto genetico che rende la cellula incapace di produrre il fattore corretto. Le più comuni sono le forme A e B dove mancano i fattori VIII e IX rispettivamente. Le strategie di cura Attualmente la terapia per trattare i malati emofilici si basa sull'assunzione, per via endovenosa almeno due o tre volte la settimana, della proteina mancante. Una possibile soluzione definitiva è rappresentata dalla terapia genica. La tecnica, a parole, è molto semplice:sostituire il gene difettoso con una copia perfettamente funzionante. Un paio di anni fa, in uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine, un gruppo di ricercatori della University College of London e del Jude Children's Research Hospital di Memphis è riuscito, con questa tecnica, a curare con successo 6 pazienti affetti da emofilia. Purtroppo però l’approccio che limita il diffondersi di questa tecnica è la sicurezza. Non sempre infatti l’inserzione nel Dna del gene funzionante avviene correttamente. Per fare ciò occorre utilizzare particolari enzimi che tagliano il Dna al fine di posizionare il gene. Non solo, per fare in modo che il gene funzioni si è costretti a ricorrere ad un promotore. Un processo che alle volte può causare l’interruzione di alcuni geni fondamentali per la replicazione cellulare e quindi generare il cancro. La tecnica innovativa Proprio per ovviare a questo problema i ricercatori statunitensi hanno messo a punto una tecnica che non prevede l’utilizzo di “tagli” a livello del Dna. Per fare ciò hanno sfruttato un virus, privato di quei geni che causano virulenza, in grado di trasportare il gene funzionante a livello delle cellule del fegato. Sfruttando un processo che avviene in maniera naturale, la ricombinazione omologa, gli scienziati sono riusciti nell’intento di sostituire il gene difettoso facendolo esprimere in maniera forte poiché è stato posizionato in prossimità del gene dell’albumina, una proteina prodotta in grandi quantità dal fegato. I risultati dello studio Secondo i primi dati presentati la tecnica è stata un successo. Sperimentata nei topi appena nati affetti da emofilia, la sostituzione del gene è stata in grado di aumentare i livelli di fattore di coagulazione del sangue sino al 20%. Una quantità, che nei topi, è considerata terapeutica. Il prossimo passo sarà ora la sperimentazione animale in modelli ibridi, ovvero aventi un fegato costituito da cellule di derivazione umana. Se i risultati verranno confermati sarà l’ora della sperimentazione vera e propria nell’uomo. Le prospettive sono buone: curare la malattia, in maniera definitiva, senza più il rischio di seri effetti collaterali dovuti alla terapia genica attuale. ADNKRONOS Sanita': 8.500 infezioni sangue in ospedale l'anno, costano 13.000 euro l'una Roma, 13 nov. - Sono circa 8.500 i casi di infezioni del sangue registrati ogni anno negli ospedali italiani per motivi legati a contaminazioni di varia natura. Come conseguenza, la degenza ospedaliera viene prolungata di circa 13 giorni con costi sanitari pari a circa 13.000 euro per singolo caso. A questi dati si associa anche un aumento dei costi sociali indiretti. Almeno il 27% delle gravi infezioni del sangue e' associato all'utilizzo del catetere venoso centrale tramite una somministrazione a 'sistema aperto', modalita' che, necessitando l'immissione di aria nel flacone per consentire il deflusso della soluzione, comporta potenziali rischi in termini di sterilita'. Una metanalisi condotta su dati provenienti da 15 Unita' di Terapia Intensiva in quattro Paesi (Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia), ha permesso di osservare come il passaggio da un 'sistema aperto' di infusione a un 'sistema chiuso' abbia ridotto in maniera significativa (-67%) le infezioni associate all'utilizzo del catetere venoso centrale. Nel nostro corpo l'albumina, prodotta dal fegato, e' la proteina del sangue piu' abbondante nell'organismo, costituendo il 55% del contenuto proteico plasmatico totale. L'utilizzo in terapia della albumina estratta dal plasma umano e' molto diffuso in Italia e si verifica in tutte quelle condizioni che richiedono il ripristino e il mantenimento del volume del sangue e dei fluidi corporei, tra cui, ad esempio, perdita di liquidi e/o sangue nel caso di interventi chirurgici, necessita' di terapia intensiva, ustioni, e situazioni di carenza di albumina plasmatica conseguenti a gravi malattie del fegato, inclusa la cirrosi. L'azienda Baxter ha di recente introdotto un'importante innovazione per il confezionamento dell'albumina: una sacca di plastica flessibile dotata di 'sistema chiuso'. L'introduzione del 'sistema chiuso' rappresenta un valido aiuto sia rispetto al mantenimento della sterilita', che alla sostenibilita' delle strutture ospedaliere. Da un lato, infatti, si semplificano le fasi di preparazione dell'infusione e si riducono eventuali rischi di contaminazione, dall'altro, il confezionamento in sacca di plastica flessibile riduce il volume dei rifiuti e l'impatto ambientale. La nuova albumina umana in sacca flessibile singola, disponibile sia per l'uso ospedaliero che domiciliare, associa vantaggi sia di tipo pratico che legati alla salute del paziente. Rassegna medico-scientifica, politica sanitaria e Terzo Settore ADNKRONOS Ebola: Msf, al via a dicembre test clinici per cura virus in Africa Al via a dicembre in Africa i test clinici per identificare una cura specifica per l'Ebola. Nel 'mirino' due antivirali e il siero dei pazienti guariti. Medici senza frontiere (Msf) ha annunciato oggi che in tre dei suoi centri di trattamento per l'Ebola in Africa occidentale avranno luogo dei test clinici, condotti da tre diversi partner di ricerca, mirati a "trovare velocemente una terapia efficace che possa essere utilizzata per combattere la malattia che finora ha ucciso circa 5.000 persone nell'area interessata dall'epidemia". L'Istituto nazionale francese della sanità e della ricerca medica (Inserm) condurrà un primo trial utilizzando il farmaco antivirale favipiravir nel centro di Guéckédou, in Guinea. Sarà poi la volta dell'Istituto di medicina tropicale di Anversa (Itm), Beglio, che effettuerà un secondo trial utilizzando il sangue e il plasma di pazienti guariti presso il centro Ebola Donka a Conakry, in Guinea. Mentre l'Università di Oxford in Gb condurrà per conto dell'Isaric (International Severe Acute Respiratory and Emerging Infection Consortium) un ulteriore trial finanziato dalla Wellcome Trust per il farmaco antivirale brincidofovir, in un centro da stabilire. Anche l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e le autorità sanitarie dei Paesi colpiti stanno prendendo parte a questo impegno congiunto. "Si tratta di una collaborazione internazionale senza precedenti, che per i pazienti rappresenta la speranza di ottenere finalmente un vero e proprio trattamento contro una malattia che oggi uccide tra il 50 e l'80% delle persone infettate", dichiara Annick Antierens, medico, coordinatore della partnership di ricerca per Msf. I protocolli dei trial sono nelle fasi finali di sviluppo e sono progettati con un obiettivo di sopravvivenza di 14 giorni e ampi criteri di inclusione. "Garantiranno che l'impatto sulle cure dei pazienti sia minimo, che siano rispettati gli standard internazionali dell'etica medica e della ricerca e che vengano prodotti e condivisi solidi dati scientifici per il bene della comunità internazionale", assicura l'organizzazione. Criteri e progetti principali sono stati condivisi con le autorità etiche dei rispettivi Paesi con l'obiettivo di iniziare i primi test a dicembre di quest'anno. Mentre i primi risultati potrebbero essere disponibili a febbraio 2015. I due farmaci, brincidofovir e favipiravir, sono stati individuati nell'ambito di una lista selezionata di potenziali trattamenti per l'Ebola dell'Oms dopo un attento esame dei profili di sicurezza e di efficacia, della disponibilità dei prodotti e della facilità di somministrazione ai pazienti. "Effettuare trial clinici di farmaci sperimentali nel mezzo di una crisi umanitaria è un'esperienza nuova per tutti noi, ma siamo determinati a non deludere la popolazione dell'Africa occidentale. E' stato un privilegio vedere la straordinaria disponibilità di tutti i partner coinvolti nell'uscire dal proprio lavoro ordinario per far avanzare velocemente questi trial di straordinaria importanza", afferma Peter Horby, ricercatore capo del trial portato avanti dall'Isaric. "Questi trial rientrano nella prima fase di una ricerca volta a trovare il miglior trattamento per la cura di pazienti affetti dal virus Ebola", dichiara Denis Malvy, che guiderà il trial dell'Inserm in Guinea. "Rafforzare il legame tra le nostre équipe è di fondamentale importanza perché c'è la possibilità che, qualora i trial diano risultati positivi, la fase successiva potrebbe essere costituita da interventi combinati". Il test dei prodotti ematici consisterà nella somministrazione ai pazienti infetti di sangue o plasma contenenti anticorpi dei sopravvissuti. "Il plasma dai pazienti guariti, che contiene anticorpi contro gli agenti patogeni, è stato utilizzato in modo sicuro per altre malattie infettive", spiega Johan van Griensven di Itm, coordinatore dello studio. "Vogliamo scoprire se funziona per l'Ebola, se è sicuro e se può essere utilizzato su ampia scala. Una stretta comunicazione con i sopravvissuti e con la comunità in generale sarà di vitale importanza per il successo dello studio. Ci auguriamo che i pazienti guariti che donano plasma e sangue per aiutare le persone malate possano contribuire a ridurre la paura della malattia e la stigmatizzazione". Quando saranno disponibili altri prodotti sperimentali o non registrati con risultati promettenti in termini di efficacia e sicurezza, verranno valutati in modo da proporre successivi studi nella regione. Tutti e tre gli studi avranno come priorità il coinvolgimento della comunità e il consenso informato da parte dei pazienti. Chi acconsentirà a contribuire sarà chiaramente informato dei potenziali rischi. "Dobbiamo tenere presente che non vi è alcuna garanzia che queste terapie siano una cura miracolosa", aggiunge Annick Antierens. "Ma dobbiamo fare il possibile per provare i prodotti disponibili oggi e aumentare le possibilità di trovare un trattamento efficace contro l'Ebola". VITA.IT L'identikit del donatore on line Over 35, uomo, un figlio, di cultura medio alta. I dati della ricerca di Contact Lab: sono il 21% del totale degli utenti internet del Paese, pari a 5,6 milioni di utenti internet che hanno dichiarato di aver fatto una donazione online nell'ultimo anno Il donatore online è per lo più un uomo, ha un’età superiore ai 35 anni, una famiglia con un figlio e possiede un diploma di scuola superiore: sono i risultati di un approfondimento condotto da ContactLab ed estratto dal suo European Digital Behaviour Study 2014, l’indagine rappresentativa dei comportamenti digitali degli utenti internet in Italia e nei principali Paesi europei (UK, Francia, Germania e Spagna) divenuta ormai un appuntamento annuale ricorrente. Il progetto di ricerca ha coinvolto quest’anno quasi 25.000 utenti Internet tra quelli intervistati nella fase campionaria e quelli raggiunti grazie all’adesione all’indagine di oltre 25 merchant, che hanno veicolato il questionario dell’indagine alla propria customer base. L’approfondimento si focalizza sull’Italia e prende in esame il profilo e i comportamenti degli utenti internet italiani tra i 16 e i 65 anni che hanno dichiarato di aver fatto una donazione online negli ultimi 12 mesi: sono il 21% del totale degli utenti internet del Paese, pari a 5,6 milioni di utenti internet che hanno dichiarato di aver fatto una donazione online. Il profilo del donatore online è lievemente più anziano rispetto alla media degli utenti Internet italiani, ha un livello di istruzione più elevato (il 39% ha una laurea o un titolo più alto); sono soprattutto gli uomini a dichiarare di aver fatto una donazione online nell’ultimo anno, solo il 28% dei donatori infatti è donna. “Questi numeri dimostrano che qualcosa si sta muovendo e l’esposizione ai canali online e il consolidamento delle abitudini digitali presso gli utenti che regolarmente si collegano ad internet inizia ad avere un impatto anche sul settore non profit. Naturalmente c’è ancora tanto da fare e, senza dubbio, la situazione può e deve ancora migliorare – spiega Massimo Fubini, AD di ContactLab . La sfida per tutte le non profit è come sempre legata tanto al mantenimento di una relazione con chi ha già scelto di sostenere una causa con una donazione regolare, quanto alla ricerca di nuovi donatori pronti a dare il proprio contributo nel tempo. Dal nostro punto di vista non posso che ribadire con convinzione che oggi il mondo digitale offre opportunità straordinarie per promuovere la solidarietà. Il nostro impegno nei confronti del terzo settore è quello di accompagnare sempre di più le associazioni nella definizione di una strategia di contatto efficace e crosscanale che venga costantemente ottimizzata sulla base dei risultati ottenuti”. I donatori online sono utenti evoluti e lo dimostrano anche nei loro comportamenti digitali quotidiani: ad esempio il 64% di loro fa shopping online spendendo circa il 30% in più rispetto alla media degli online shopper italiani. Sono anche utilizzatori più massivi di internet in mobilità e in generale uno su sei si connette indifferentemente da pc, smartphone o tablet a seconda della convenienza. I donatori online sono utenti molto “social”: tre su quattro interagiscono coi brand sui social network. Tra tutte le modalità di contatto a disposizione dei brand (email, pagine social, chat e push notification), questi utenti ritengono però l’email la più efficace (73%) di tutte. Un dato confermato anche dal rapporto con le newsletter: amano infatti ricevere nella propria casella di posta elettronica comunicazioni relative agli argomenti di loro interesse. Se interrogati sul numero medio di newsletter a cui sono regolarmente iscritti, questi utenti ne ricordano sette. Uno su quattro (23%), , in particolare dichiara di essere iscritto a newsletter di organizzazioni non profit, tramite le quali si informa sulle cause che più gli stanno a cuore “Sono i dati a confermare ancora una volta che l’email resta un mezzo di contatto privilegiato e il canale ideale per la costruzione del customer engagement. – prosegue Fubini - Anche nel non profit, così come in ogni settore, la costruzione di un piano di contatto e di ingaggio efficace deve oggi necessariamente passare attraverso l’integrazione dei diversi canali, per offrire all’utente un’esperienza coerente e massimizzare i risultati lungo tutti i touch point”. Proprio per approfondire il ruolo strategico del digitale per il customer engagement nel non profit e per osservare da vicino i risultati dell’utilizzo dell’email all’interno di una strategia integrata e cross-canale, ContactLab ha coinvolto all’interno di SEND, un’intera giornata di formazione gratuita che si terrà il 19 novembre due voci di assoluto rilievo nel settore: interverranno infatti nel corso dell’evento Niccolò Contucci, Direttore Generale di AIRC e Andrea Pinchera, Communication & Fundraising Director di Greenpeace Italia. Prima pagina