Colture di cellule e tessuti Colture microbiche Il termine microrganismo, in genere, viene utilizzato per batteri, funghi, lieviti, alghe unicellulari, alghe filamentose e protozoi. Durante la crescita in coltura tali organismi sono più semplici da utilizzare rispetto alle cellule animali, vegetali o alle colture di tessuto. Per tale ragione molte ricerche biochimiche e fisiologiche, dirette alla delucidazione di processi fondamentali che coinvolgono tutto l’organismo, sono state condotte utilizzando batteri (Escherichia coli) o lieviti (Saccharomyces cerevisiae). Le colture microbiche, inoltre, vengono ampiamente utilizzate nell’industria come fonte di alcool, aminoacidi, coenzimi,… e tramite tecniche di biologia molecolare numerose sostanze estranee di origine animale (es. ormoni peptidici) vengono fatte produrre dai batteri. 1 La crescita può avvenire in sistemi aperti o chiusi. Nei sistemi chiusi è presente una quantità definita di terreno e la crescita termina quando uno dei nutrienti presenti diventa limitante o quando un sottoprodotto tossico della crescita si accumula nel terreno. Nei sistemi aperti, invece, la sottrazione di cellule e terreno dal sistema è bilanciata dalla continua aggiunta di un equivalente volume di terreno fresco. Colture cellulari Le colture cellulari interessano campi di ricerca differenti: la biologia cellulare e molecolare, la virologia, l’immunologia,… Le colture cellulari possono essere utilizzate per diversi scopi: 1) le cellule coltivate in vitro possono fungere da materiale di partenza per l’estrazione di acidi nucleici o proteine; 2) le cellule possono essere utilizzate per studi funzionali o di regolazione; 3) per rigenerare in vitro tessuti o organi Isolamento delle cellule dal tessuto, loro separazione per tipi e allestimento di colture cellulari Separazione di cellule: La possibilità di isolare fisicamente particolari popolazioni di cellule o cellule singole di una popolazione mista riveste spesso una grande importanza in biologia cellulare. Le cellule possono essere separate sulla base della loro capacità di sopravvivenza in condizioni ambientali avverse. 2 La selezione può essere influenzata da vari fattori, quali, ad esempio, la resistenza a infezioni o a sostanze citotossiche (tale resistenza può essere legata alla mancanza di recettori). La separazione di cellule, inoltre, può essere ottenuta sfruttando le loro differenti caratteristiche di sedimentazione mediante centrifugazione, oppure tramite cromatografia di affinità (solo alcune cellule presentano determinati antigeni di superficie…). Le cellule di interesse vengono legate all’anticorpo e recuperate. Per fare ciò è necessario un anticorpo che si leghi solo ed esclusivamente alle cellule che devono essere purificate. 3 Le colture preparate direttamente da un tessuto si dicono colture primarie; le cellule isolate da un qualsiasi tessuto animale sono in grado di compiere un numero finito di divisioni cellulari in vitro, dopodiché vanno incontro a degenerazione e morte. Tale fenomeno avviene indipendentemente dalla presenza di metaboliti appropriati per la crescita e si indica come senescenza. In genere il numero di “cicli” che una cellula è in grado di effettuare in vitro dipende dall’età dell’animale. Le linee cellulari continue derivano da singole cellule in cui mutazioni spontanee o indotte hanno annullato il programma genetico della senescenza. Si dicono perciò immortali: proliferano in modo continuo in presenza degli opportuni metaboliti. Molte linee cellulari continue sono state ottenute a partire da tessuti tumorali (es HeLa). Le cellule trasformate , invece, presentano caratteristiche simili alle cellule cancerose: sono immortali, proliferano in vitro fino a raggiungere una densità maggiore delle cellule normali e, spesso, crescono senza legarsi ad alcuna superficie. Per ottenere linee cellulari trasformate si ricorre a mezzi chimici o a virus che inducono il tumore. 4 Le colture si distinguono a seconda che le cellule siano in sospensione o aderenti. Le cellule di origine emopoietica, che normalmente crescono in mezzo fluido, crescono in sospensione e si moltiplicano in vitro senza aderire. Le cellule che, invece, fanno parte di tessuti solidi crescono in vitro aderendo alla superficie delle piastre da coltura. Cellule confluenti in monosrato (100 x magnification) L929 mouse fibroblast cells. Tale adesione è necessaria perché avvenga la crescita in vitro. Per avvenire richiede l’interazione di recettori di membrana (le integrine) con le proteine adesive, adsorbite sulla superficie delle piastre da coltura. In molti casi i fattori di adesione devono essere aggiunti al mezzo in cui si mettono in coltura le cellule. 5 La crescita in vitro, quindi, viene assicurata da tre fattori: a) elementi nutritivi di base (glucosio, aminoacidi, Sali minerali) contenuti nel mezzo b) fattori di crescita (presenti nel siero) c) fattori di adesione (presenti nel siero) Terreni per colture I terreni usati per le colture cellulari (BME; MEM; DMEM; …)differiscono tra loro per il contenuto in amminoacidi e sali, e per la concentrazione di glucosio. La composizione esatta dei singoli terreni ed il tipo di terreno adatto per una data linea cellulare viene di solito specificato dalla ditta produttrice. Per la crescita, le cellule richiedono un valore di pH del mezzo compreso tra 7.2 e 7.4. Per mantenere costante tale valore di pH, si ricorre per lo più ad incubatori con una fase gassosa contenente il 5% di CO2 e terreni contenenti NaHCO3. In soluzione acquosa il bicarbonato dissocia va incontro ad idrolisi basica (tende a riformare l’acido debole di partenza) e poi si ha rilascio di CO2. La CO2 presente nell’incubatore tende a controbilanciare questo aumento, mantenendo così il giusto pH del terreno. 6 Per avere un indicazione visiva del pH, i terreni vengono addizionati di rosso fenolo, un indicatore che ha un colore rosso-arancio a pH 7.3, vira al gialloarancio a pH acido e al rosso viola a pH alcalino. Se in contatto con la CO2 dell’atmosfera, il terreno tenderà perciò ad alcalinizzare (diventa violaceo): in questo caso non si può usare perché tossico per le cellule. Con il proliferare della crescita cellulare, in incubatore al 5% di CO2, il terreno tenderà al giallo a causa dell’acidificazione prodotta dal metabolismo cellulare. Se le piastre tenute in incubatore, invece, virano al violaceo, significa che la regolazione della CO2 del macchinario è errata oppure che le cellule stanno morendo (non sono metabolicamente attive). 7 I terreni liquidi non contengono antibiotici, siero e Lglutamina, perché molto instabili; questi vanno perciò aggiunti prima dell’uso. Il siero è una miscela complessa di proteine plasmatiche, fattori di crescita, minerali,… Il siero di uso più comune nelle colture cellulari è il siero fetale di bovino o vitello (FBS o FCS). Se si vogliono mantenere le cellule embrionali staminali nel loro stato indifferenziato, invece, occorre usare un siero adatto (FBS selezionato per cellule embrionali indifferenziate). Le cellule aderenti che crescono in assenza di siero, inoltre, necessitano dell’aggiunta di proteine di adesione purificate Controllo contaminazione Pur operando in condizioni di sterilità, lavorando con le colture cellulari c’è sempre rischio di contaminazione da parte di batteri, funghi, micoplasmi e virus. Mentre la contaminazione da batteri e miceti è facilmente identificabile (provoca un intorbidimento del terreno), quella da virus e da micoplasmi è più difficile da identificare (tranne che si riscontri un effetto citopatico). 8 Per ridurre il rischi di contaminazioni, perciò, vengono aggiunti ai terreni da coltura degli agenti antibiotici (penicillina, streptomicina, kanamicina,…) e antimicotici (anfotericina B,…). La contaminazione da Micoplasmi viene rilevata tramite rilevazione di adenosina fosforilasi, con colorazione con fluorocromi del DNA,… L’eliminazione del micoplasma si ottiene di solito tramite trattamento con l’antibiotico BM-ciclina. Precauzioni per la prevenzione delle contaminazioni Per prevenire le contaminazioni occorre seguire alcune regole. 1)I terreni e le soluzioni che si usano devono essere tutti sterili 2)Aggiungere penicillina-streptomicina per scongiurare il pericolo di contaminazioni da batteri; anfotericina B (se non tossica per le cellule) contro i miceti. 3)Destinare il laboratorio solo alle colture cellulari 4)Operare sempre sotto cappa a flusso laminare 5)Utilizzare solo materiale sterile (di vetro o di plastica) 6)Utilizzare sempre pipettatori elettrici 7)Pulire bene la cappa a inizio e fine lavoro 8)Controllare periodicamente i filtri della cappa 9)Mantenere con attenzione ben pulito l’incubatore a 37°C (pericolo miceti) 9 Le cappe a flusso laminare creano un’area sterile per operazioni che richiedono un ambiente esente da particelle e batteri. L’aria passa dapprima attraverso un pre-filtro e poi un filtro. L’aria filtrata è diretta verso il banco di lavoro dove la pressione positiva ed il flusso d’aria unidirezionale impediscono ai contaminanti dell’ambiente di entrare. La direzione del flusso dell’aria, parallela all’operatore, e lo schermo frontale garantiscono la salvaguardia dell’operatore e dei prodotti che si lavorano sotto cappa. Al termine del lavoro la cappa va sempre pulita e, chiuso lo sportello, si lasciano accese le lampade UV. 10 Piastre da coltura In commercio sono disponibili piastre per colture cellulari e piastre per batteriologia (queste utilizzabili anche per la coltura di cellule in sospensione). Sono tutte in polistirene, ma la superficie delle piastre da coltura è trattata chimicamente in modo da renderla idrofila e carica negativamente: il polistirene è, in tal modo, capace di legare i fattori di adesione presenti nel siero. Le piastre per coltura aderenti si distinguono in: fiasche: contenitori con imboccatura stretta, chiusa con un tappo a vite, utili in caso che le cellule debbano essere trasportate fuori del laboratorio capsule petri: semplici piastre di più facile manipolazione e più economiche delle fiasche. 11 Conta delle cellule Prima del conteggio si devono eliminare gli aggregati cellulari mediante trattamento enzimatico o chimico (es. tripsina, EDTA). La conta del numero di cellule in genere si effettua con la camera di Burker. Questa è costituita da un vetro spesso, in cui è ricavata una camera capillare, la parete superiore della camera è costituita da un vetrino bloccato da due graffe laterali. Al microscopio diventano evidenti una serie di linee ortogonali tra loro, che definiscono una serie di aree e, quindi, di volumi. 12 Counting Chamber Counting cells in a chamber 13 Per effettuare il conteggio: dopo aver pulito la camera, montata correttamente, depositato un dato volume di cellule, al microscopio si contano le cellule presenti nei quadrati delimitati da una doppia barra e quelle presenti su due lati dello stesso quadrato (non si contano, invece, quelle su gli altri due lati). Si ripete la conta per almeno tre quadrati, si fa una media del numero di cellule contate e si ricava il numero totale di cellule moltiplicando il numero ottenuto per 104; si corregge poi per il volume totale della sospensione (il numero che si ottiene è riferito, altrimenti, ad 1ml). Il conteggio al microscopio, però, richiede tempo ed è poco accurato specialmente quando si ha a che fare con un basso numero di cellule. Tali problemi vengono risolti con l’impiego dei contatori automatici di particelle. Il contatore di particelle Coulter sfrutta il principio qui descritto. Tra due elettrodi, immersi in una soluzione salina, viene fatta passare della corrente elettrica. Un elettrodo è all’interno di un tubo di vetro, l’altro è immerso in un contenitore dove è presente il campione nella stessa soluzione salina. Un volume noto di campione viene fatto fluire attraverso il tubo di vetro attraverso un foro; ogni singola particella che passa nell’apertura provoca un aumento della resistenza tra i due elettrodi. Questo si traduce in un segnale. 14 Test di vitalità delle cellule Per discriminare tra le cellule vive e quelle morte si ricorre all’uso di Blu Tripano (colorante che viene assunto solo dalle cellule morte). Le cellule vengono risospese in PBS, mescolate, secondo opportuni rapporti, con Blu Tripano; lasciate per 5-15 minuti a t.a. e poi esaminate in camera di Burker. In tal modo si ricava la percentuale di cellule morte presenti nel campione esaminato. Colture di cellule aderenti Le cellule aderenti crescono fino ad occupare l’intera superficie disponibile: a questo stadio si dicono confluenti. A confluenza la crescita si arresta e le cellule DEVONO essere staccate e trasferite in nuove piastre. Come si procede? a)Per il trasferimento si ricorre all’uso di EDTA (chela Ca2+ e Mg2+, indispensabili per l’adesione) e di tripsina (degrada le proteine della matrice). b)Avvenuto il distacco l’azione dell’EDTA e della tripsina viene neutralizzata dall’aggiunta di nuovo mezzo di coltura che contiene cationi divalenti in eccesso ed inibitori della tripsina. c) le cellule vengono quindi contate e seminate in nuove piastre. Il tempo necessario alle cellule per duplicarsi è di circa 20-24 ore per le cellule animali e 24-30 ore per quelle umane. 15 Cultured Cells fibroblasti mioblasti TABLE 8–2 Some Commonly Used Cell Lines CELL LINE 3T3 BHK21 MDCK HeLa PtK1 L6 PC12 COS CHO CELL TYPE AND ORIGIN fibroblast (mouse) fibroblast (Syrian hamster) epithelial cell (dog) epithelial cell (human) epithelial cell (rat kangaroo) myoblast (rat) chromaffin cell (rat) kidney (monkey) ovary (chinese hamster) Precauzioni utili: a) La conta delle cellule è di fondamentale importanza: le cellule, infatti, non crescono in modo efficiente, o vanno incontro a morte, se seminate al di sotto di una certa densità. b) Staccare bene tutte le cellule e non fermarsi solo a quelle che si staccano subito per evitare di selezionare una sottopopolazione di cellule meno aderenti. 16 c) Distribuire le cellule nella nuova piastra in modo uniforme per evitare che alcune cellule arrivino a confluenza prima delle altre e possano crescere in multistrato d) Trasferire le cellule staccate in una provetta di polipropilene per il tempo necessario alla conta (altrimenti le cellule tornano ad aderire al supporto della piastra) e) Staccare le cellule arrivate a confluenza evitando di lasciarle confluenti: si può correre il pericolo, altrimenti, che le cellule comincino a crescere sovrapposte in multistrato. f) Cercare, se possibile, di evitare di staccare contemporaneamente diverse linee cellulari (le più “aggressive”, es HeLa, potrebbero contaminare le altre linee cellulari) Colture di cellule in sospensione Le linee cellulari di origine emopoietica crescono in sospensione senza aderire alla piastra di coltura. La sospensione può avvenire in condizioni statiche o in agitazione. Normalmente le cellule vengono cresciute in condizioni statiche in capsule petri per batteriologia o in fiasche. 17 Il sistema in agitazione, invece, si usa per crescere volumi maggiori di cellule: avviene in bottiglie con un ancoretta magnetica. Anche in sospensione le cellule crescono fino ad una densità massima oltre la quale si arrestano. Per capire quando si è raggiunta la densità massima è necessario contare le cellule. L’amplificazione si ottiene diluendo le cellule in terreno fresco. Conservazione delle cellule in azoto liquido Subculture ripetute di linee cellulari possono portare ad aberrazioni genetiche. Per evitare tali inconvenienti si ricorre alla conservazione in azoto liquido (-196°C). Il congelamento in azoto liquido mantiene le cellule vive in completa quiescenza per anni. Tramite congelamento, quindi, si può costituire uno stock di cellule che mantengono le caratteristiche fisiologiche e biochimiche delle cellule di partenza. Le reazioni enzimatiche cessano a –130°C circa, affinché il congelamento abbia esito positivo è necessario che la vitalità cellulare sia mantenuta per il periodo in cui il campione è conservato in azoto liquido. Le cellule che vengono congelate devono essere in fase logaritmica di crescita o devono aver appena raggiunto la confluenza. Il congelamento viene fatto in presenza di terreno di crescita, siero e agenti crioprotettivi (DMSO) 18 La velocità con cui il campione viene congelato è molto importante perché congelamenti troppo rapidi portano alla formazione di cristalli di ghiaccio all’interno delle cellule, questi, al momento dello scongelamento, provocano lisi della membrana plasmatica. L’aggiunta nel medium di un agente crioprotettivo (glicerolo, DMSO) favorisce la deposizione di ghiaccio nell’ambiente extracellulare. E’ importante, inoltre, che congelamento sia lento per favorire la formazione di cristalli di ghiaccio al di fuori della cellula. Il raffreddamento graduale comporta il mantenimento del campione dapprima in ghiaccio, poi si arriva lentamente a temperature di –50°C/-70°C e , dopo un periodo prestabilito, il campione viene trasferito in azoto liquido. Lo scongelamento, al contrario, deve essere rapido: il campione viene trasferito in un bagnetto termostatato a 37°C per pochi minuti e si allontana l’agente crioprotettivo. 19 Transfezione delle cellule L’introduzione di DNA esogeno nelle cellule in coltura consente di studiare la funzione e i meccanismi di controllo dei geni. Per facilitare l’ingresso del DNA esogeno nelle cellule sono stati sviluppati diversi metodi, ciascuno più efficace a seconda delle linee cellulari utilizzate. 20 Essenzialmente il trasferimento genico nelle cellule animali si può realizzare in tre modi: 1) trasferimento diretto del DNA: mediante mezzi fisici si introducono acidi nucleici nelle cellule; nelle colture in vitro questo può essere realizzato con la microiniezione, mentre in vivo si ricorre al bombardamento con microscopiche particelle metalliche rivestite di DNA 2) Trasfezione: metodi fisici e chimici che fanno sì che le cellule internalizzino il DNA presente nel terreno di coltura. 3) Trasduzione: tramite impaccamento del DNA all’interno di virus. Il risultato finale è la Trasformazione della cellula ricevente, ovvero la modificazione del genotipo dovuta all’acquisizione del DNA esogeno. La trasformazione può essere transiente o stabile, a seconda di quanto a lungo il DNA esogeno rimane all’interno della cellula bersaglio. Metodi chimici: Transfezione tramite Calcio fosfato: è uno dei metodi più largamente utilizzati (almeno in passato); il meccanismo di azione non è ben chiaro, comunque il DNA, che, a contatto con la soluzione di calcio fosfato precipita, entra nella cellula per endocitosi e viene trasferito nel nucleo. Il protocollo è molto versatile e può essere modificato per trasformare anche cellule in sospensione. 21 Alcune linee cellulari, ad esempio vengono efficacemente transfettate solo dopo trattamento con glicerolo o DMSO. Anche in questo caso l’esatto meccanismo di azione non è noto, ma sembra che tali sostanze vadano a alterare la struttura della membrana cellulare in modo da favorire l’ingresso del DNA. Transfezione tramite liposomi: il DNA viene veicolato in micelle (i liposomi) che si fondono alla membrana cellulare. Il vantaggio è che tale metodo risulta efficace con le linee cellulari resistenti alla transfezione con il calcio fosfato e consente l’ingresso di DNA di qualsiasi dimensione. Le ditte che producono i kit di trasfezione tramite liposomi forniscono un gran numero di miscele diverse di lipidi, la cui efficienza varia a seconda del particolare tipo cellulare. 22 Metodi fisici: Transfezione tramite microiniezione: viene usata per trasferire DNA in cellule di grandi dimensioni (oociti e cellule embrionali precoci) da usare per la produzione di organismi transgenici. Transfezione tramite bombardamento di particelle: si impiegano microscopiche particelle di metallo che vengono prima ricoperte di DNA e in seguito sparate all’interno dei tessuti bersaglio. Transfezione tramite elettroporazione: L’applicazione di brevi impulsi ad alto voltaggio provoca la formazione di micropori nelle membrane cellulari. Il DNA, pertanto, entra direttamente nel citoplasma e raggiunge poi il nucleo. I parametri dell’elettroporazione (intensità e durata dell’impulso) devono essere determinati empiricamente per ciascuna linea cellulare. Vantaggi: riproducibilità del metodo e semplicità; svantaggi: alto costo dell’apparecchio, mortalità cellulare elevata (50%) 23 La quantità di cellule da piastrare, la quantità di DNA da impiegare nella transfezione, il tempo richiesto per la transfezione e quello da attendere dopo che il DNA è stato messo in contatto con le cellule, variano a seconda del metodo scelto, della linea cellulare utilizzata e del tipo di effetto che si vuole valutare. Transfezioni transienti e stabili: La trasformazione di cellule animali mediata dal DNA avviene in due fasi distinte temporalmente: 1)introduzione del DNA nella cellula (trasfezione) 2)incorporazione (integrazione) eventuale nel genoma La prima avviene più facilmente, in quanto la maggior parte delle cellule trasfettate non integra il DNA esogeno nel genoma ma lo mantiene nel nucleo come elemento extracromosomico il quale, in mancanza di un’origine della replicazione attiva, viene via via diluito e degradato. Si parla di trasfezione transiente quando le proprietà della cellula sono state modificate grazie all’introduzione del DNA, ma tale cambiamento è di breve durata. 24 Nel caso di transfezioni transienti le cellule vengono, in genere, raccolte 48-72 ore dopo la transfezione per valutare l’effetto prodotto dal gene transfettato. La valutazione si effettua isolando l’RNA oppure valutando l’attività enzimatica di una proteina. Il metodo scelto per lisare le cellule va in relazione al parametro che si voglia poi esaminare (es se devo valutare attività enzimatica non posso usare metodi che denaturano le proteine…) Qualora il DNA esogeno, invece, si integri nel genoma e possa essere trasmesso ai discendenti, si parla di trasfezione stabile. Nel caso di transfezioni stabili si mira ad isolare e propagare cloni che contengano il DNA transfettato. In genere le cellule vengono mantenute, in questo caso, nel mezzo per 1-2 giorni, poi vengono splittate e poste in un mezzo selettivo (in cui solo le cellule che hanno accettato il DNA esogeno riescono a vivere). Il mezzo selettivo viene poi usato per 2-3 settimane fino alla selezione delle singole colonie. Le trasfezioni stabili sono necessarie per la conduzione di esperimenti analitici di lunga durata o qualora si volesse ottenere una linea cellulare in grado di produrre proteine ricombinanti da utilizzare per lunghi periodi. Le trasfezioni transienti, invece, sono adeguate per condurre un gran numero d esperimenti di breve durata, come ad esempio per determinare l’efficienza di un dato promotore. 25 Geni reporter e analisi di promotori I geni reporter (o geni marcatori saggiabili) codificano per un prodotto genico che può essere identificato con facilità, usando saggi semplici e poco costosi. Posti sotto il controllo di un promotore forte, i geni reporter rappresentano uno strumento utile per valutare l’avvenuta trasfezione (stabile o transiente): solo le cellule che hanno accettato il DNA esogeno sono in grado di esprimere la proteina reporter. 26 I saggi utilizzati per l’individuazione del gene reporter, inoltre, sono quantitativi, così da permettere anche di valutare l’efficienza di trasfezione o la forza di promotori clonati posti a monte del gene reporter. In tal maniera è possibile, inoltre, valutare l’attività del promotore clonato in linee cellulari diverse o in condizioni sperimentali diverse (risposta a stress,…). 27 Il primo reporter usato è stato quello della cloramfenicolo acetil transferasi (cat): se si usa come substrato il cloramfenicolo marcato in C14, questo viene acetilato dall’enzima producendo una miscela di molecole marcate che possono essere rivelate su TLC o tramite autoradiografia. Successivamente si è ricorsi all’uso del gene lacZ di E.coli che codifica per la β-galattosidasi. L’attività di questa può essere saggiata allo spettrofotometro: converte l’ONPG in un composto solubile di colore giallo. CAT e β-galattosidasi sono enzimi stabili la cui attività permane a lungo nelle cellule che li esprimono, qualora si volessero osservare rapidi cambiamenti nell’espressione genica tali reporter non potrebbero essere utilizzati. Si è ricorsi, perciò, all’uso della luciferasi: un enzima che catalizza l’ossidazione della luciferina in una reazione che, in presenza di un eccesso di ATP, ossigeno e ioni magnesio, produce luce e può essere rivelata con un luminometro. Tale reazione ha un’altissima sensibilità e un rapido decadimento. 28 Per analizzare elementi di regolazione della trascrizione, i geni reporter sono stati posti a valle di promotori clonati. Un promotore minimale (di solito formato dalla sola TATA-box) è capace di muovere solo un livello di trascrizione molto basso. L’attività di enhancer e repressori può essere valutata perché inducono livelli di trascrizione più elevati o li reprimono. L’espressione dei geni umani Il controllo dell’espressione dei geni umani è simile a quello che si attua negli altri organismi eucarioti ed avviene principalmente a livello della trascrizione. Nei mammiferi, però, a differenza di quanto avviene in altri organismi più semplici, si esercita un controllo spazialetemporale dell’espressione genica che, per comodità, può raggrupparsi in tre livelli di regolazione. 29 1)Regolazione a livello della trascrizione: l’espressione di un gene inizia con il legame dei fattori di trascrizione al promotore (ved avanti definizioni), la modulazione dei livelli basali della trascrizione viene effettuata tramite il legame di fattori proteici ad altre regioni di regolazione. 2)Regolazione a livello post-trascrizionale: include i meccanismi che operano a livello di maturazione dell’RNA (es splicing…), trasporto, traduzione e stabilità dell’RNA, maturazione-stabilità-destinazione delle proteine. 3)Meccanismi epigenetici (non sono direttamente attribuibili alla sequenza del DNA): metilazione del DNA (reprime la trascrizione del DNA), livello di organizzazione della cromatina, ecc ecc… Controllo trascrizionale Perché un gene venga espresso è necessario innanzi tutto che dei fattori proteici si leghino alle sequenze nucleotidiche di regolazione. I fattori proteici sono indicati come elementi trans (poiché vengono codificati da geni localizzati a distanza e migrano fino al proprio sito di azione); le sequenze nucleotidiche di regolazione, invece, come elementi cis (poiché si trovano sulla stessa molecola di DNA, o mRNA trascritto primario, che deve essere regolato). 30 La trascrizione di tutti i geni che codificano polipeptidi procede tramite l’azione della RNA pol II. Per agire la pol II necessita della collaborazione di fattori di trascrizione (TF). Apparato fondamentale della trascrizione: corrisponde al complesso della pol lI e dei TFs. I geni vengono espressi costitutivamente a un livello minimo determinato dal promotore basale (ved definizioni successive), la velocità della trascrizione, però, può essere aumentata o abolita da altri elementi regolatori. L’identità di ogni cellula è definita dalle proteine che essa produce: oltre ai TFs ubiquitari, quindi, esistono dei fattori di trascrizione tessuto specifici che regolano l’espressione di molti geni codificanti proteine riconoscendo e legando specifici elementi in cis. Definizioni fondamentali: PROMOTORI: combinazioni di corti elementi di sequenza, in genere posti nella regione immediatamente a monte del gene (spesso entro 200pb dal sito di inizio della trascrizione), servono per dare inizio alla trascrizione. 31 PROMOTORE BASALE: elementi che dirigono il complesso fondamentale per iniziare la trascrizione. In assenza di altri elementi di regolazione, consentono l’espressione costitutiva del gene, ma a livelli molto bassi (BASALI). In genere sono posti tra –45 e +40pb rispetto al sito di inizio trascrizione (TSS). Includono: a) TATA box: (TATA(A/T)A(A/T)) –25bp, circondata da sequenze ricche in GC b) BRE: immediatamente a monte della TATA, riconosciuta da TFIIB c) Inr (iniziatore) localizzato al sito di inizio d) DPE (elemento prom. a valle): +30bp (si trova nei promotori privi di TATA) 32 ELEMENTI NON BASALI: in genere nella sequenza a monte del promotore basale, da –50 a –200pb rispetto al sito di inizio. In genere ci sono siti di riconoscimento multipli per TFs ubiquitari: 1) GC box (o SP1 box): GGGCGG, 100bp dal sito di inizio, lega SP1 2) CCAAT box: ggCCAATct, -75pb, riconosciute da CTF (o NF-1) e CBF (o NF-Y). Le 1) e le 2) servono per MODULARE la trascrizione basale e agiscono anche come Enhancer ENHANCER: elementi di regolazione POSITIVA, la loro funzione è indipendente dal loro orientamento (a differenza del promotore basale) e dalla loro posizione (possono trovarsi a monte, a valle del promotore o in un introne). SILENZIATORI: elementi di regolazione NEGATIVA. Silenziatori classici: dipendenti dalla posizione, dirigono un meccanismo di repressione attiva della trascrizione. Elem. di regol. negativa: dipendenti dalla posizione, repressione passiva. 33 ELEMENTI DI CONFINE (isolatori): regioni di DNA (0.5-3kb) che bloccano il diffondersi dell’influenza degli enhancer o dei silenziatori. ELEMENTI DI RISPOSTA: modulano la trascrizione in risposta a stimoli esterni, in genere posti a breve distanza dal promotore (entro 1kb). 34