Colture di cellule e tessuti Colture microbiche Il termine

Colture di cellule e tessuti
Colture microbiche
Il termine microrganismo, in genere, viene
utilizzato per batteri, funghi, lieviti, alghe
unicellulari, alghe filamentose e protozoi.
Durante la crescita in coltura tali organismi
sono più semplici da utilizzare rispetto alle
cellule animali, vegetali o alle colture di
tessuto.
Per tale ragione molte ricerche biochimiche e fisiologiche,
dirette alla delucidazione di processi fondamentali che
coinvolgono tutto l’organismo, sono state condotte
utilizzando
batteri
(Escherichia
coli)
o
lieviti
(Saccharomyces cerevisiae).
Le colture microbiche, inoltre, vengono
ampiamente utilizzate nell’industria come
fonte di alcool, aminoacidi, coenzimi,… e
tramite tecniche di biologia molecolare
numerose sostanze estranee di origine
animale (es. ormoni peptidici) vengono fatte
produrre dai batteri.
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La crescita può avvenire in sistemi aperti o chiusi.
Nei sistemi chiusi è presente una quantità definita di
terreno e la crescita termina quando uno dei nutrienti
presenti diventa limitante o quando un sottoprodotto
tossico della crescita si accumula nel terreno.
Nei sistemi aperti, invece, la sottrazione di cellule e
terreno dal sistema è bilanciata dalla continua aggiunta
di un equivalente volume di terreno fresco.
Colture cellulari
Le colture cellulari interessano campi di ricerca differenti:
la biologia cellulare e molecolare, la virologia,
l’immunologia,…
Le colture cellulari possono essere utilizzate per diversi
scopi:
1) le cellule coltivate in vitro possono fungere da materiale
di partenza per l’estrazione di acidi nucleici o proteine;
2) le cellule possono essere utilizzate per studi funzionali
o di regolazione;
3) per rigenerare in vitro tessuti o organi
Isolamento delle cellule dal tessuto, loro separazione per
tipi e allestimento di colture cellulari
Separazione di cellule: La possibilità di isolare fisicamente
particolari popolazioni di cellule o cellule singole di una
popolazione mista riveste spesso una grande importanza in
biologia cellulare.
Le cellule possono essere separate sulla base della loro
capacità di sopravvivenza in condizioni ambientali avverse.
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La selezione può essere influenzata da vari fattori, quali,
ad esempio, la resistenza a infezioni o a sostanze
citotossiche (tale resistenza può essere legata alla
mancanza di recettori).
La separazione di cellule, inoltre, può essere ottenuta
sfruttando
le
loro
differenti
caratteristiche
di
sedimentazione mediante centrifugazione, oppure tramite
cromatografia di affinità (solo alcune cellule presentano
determinati antigeni di superficie…).
Le cellule di interesse vengono legate all’anticorpo e recuperate.
Per fare ciò è necessario un anticorpo che si leghi solo ed
esclusivamente alle cellule che devono essere purificate.
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Le colture preparate direttamente da un tessuto si dicono
colture primarie; le cellule isolate da un qualsiasi
tessuto animale sono in grado di compiere un numero
finito di divisioni cellulari in vitro, dopodiché vanno
incontro a degenerazione e morte.
Tale fenomeno avviene indipendentemente dalla
presenza di metaboliti appropriati per la crescita e si
indica come senescenza.
In genere il numero di “cicli” che una cellula è in grado di
effettuare in vitro dipende dall’età dell’animale.
Le linee cellulari continue derivano da singole cellule in
cui mutazioni spontanee o indotte hanno annullato il
programma genetico della senescenza.
Si dicono perciò immortali: proliferano in modo continuo
in presenza degli opportuni metaboliti. Molte linee
cellulari continue sono state ottenute a partire da tessuti
tumorali (es HeLa).
Le cellule
trasformate , invece, presentano
caratteristiche simili alle cellule cancerose: sono
immortali, proliferano in vitro fino a raggiungere una
densità maggiore delle cellule normali e, spesso,
crescono senza legarsi ad alcuna superficie.
Per ottenere linee cellulari trasformate si ricorre a
mezzi chimici o a virus che inducono il tumore.
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Le colture si distinguono a seconda che le cellule siano
in sospensione o aderenti.
Le cellule di origine emopoietica, che normalmente
crescono in mezzo fluido, crescono in sospensione e si
moltiplicano in vitro senza aderire.
Le cellule che, invece, fanno parte di tessuti solidi
crescono in vitro aderendo alla superficie delle piastre
da coltura.
Cellule confluenti in monosrato (100 x magnification) L929 mouse
fibroblast cells.
Tale adesione è necessaria perché avvenga la crescita
in vitro.
Per avvenire richiede l’interazione di recettori di
membrana (le integrine) con le proteine adesive,
adsorbite sulla superficie delle piastre da coltura.
In molti casi i fattori di adesione devono essere aggiunti
al mezzo in cui si mettono in coltura le cellule.
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La crescita in vitro, quindi, viene assicurata da tre
fattori:
a) elementi nutritivi di base (glucosio, aminoacidi,
Sali minerali) contenuti nel mezzo
b) fattori di crescita (presenti nel siero)
c) fattori di adesione (presenti nel siero)
Terreni per colture
I terreni usati per le colture cellulari (BME; MEM;
DMEM; …)differiscono tra loro per il contenuto in
amminoacidi e sali, e per la concentrazione di glucosio.
La composizione esatta dei singoli terreni ed il tipo di
terreno adatto per una data linea cellulare viene di solito
specificato dalla ditta produttrice.
Per la crescita, le cellule richiedono un valore di pH del
mezzo compreso tra 7.2 e 7.4.
Per mantenere costante tale valore di pH, si ricorre per lo
più ad incubatori con una fase gassosa contenente il 5% di
CO2 e terreni contenenti NaHCO3.
In soluzione acquosa il bicarbonato dissocia va incontro ad
idrolisi basica (tende a riformare l’acido debole di
partenza) e poi si ha rilascio di CO2.
La CO2 presente nell’incubatore tende a controbilanciare
questo aumento, mantenendo così il giusto pH del terreno.
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Per avere un indicazione visiva del pH, i terreni
vengono addizionati di rosso fenolo, un indicatore che
ha un colore rosso-arancio a pH 7.3, vira al gialloarancio a pH acido e al rosso viola a pH alcalino.
Se in contatto con la CO2 dell’atmosfera, il terreno
tenderà perciò ad alcalinizzare (diventa violaceo): in
questo caso non si può usare perché tossico per le
cellule.
Con il proliferare della crescita cellulare, in incubatore
al 5% di CO2, il terreno tenderà al giallo a causa
dell’acidificazione prodotta dal metabolismo cellulare.
Se le piastre tenute in incubatore, invece, virano al
violaceo, significa che la regolazione della CO2 del
macchinario è errata oppure che le cellule stanno
morendo (non sono metabolicamente attive).
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I terreni liquidi non contengono antibiotici, siero e Lglutamina, perché molto instabili; questi vanno perciò
aggiunti prima dell’uso.
Il siero è una miscela complessa di proteine plasmatiche,
fattori di crescita, minerali,… Il siero di uso più comune nelle
colture cellulari è il siero fetale di bovino o vitello (FBS o
FCS).
Se si vogliono mantenere le cellule embrionali
staminali nel loro stato indifferenziato, invece, occorre
usare un siero adatto (FBS selezionato per cellule
embrionali indifferenziate).
Le cellule aderenti che crescono in assenza di siero,
inoltre, necessitano dell’aggiunta di proteine di
adesione purificate
Controllo contaminazione
Pur operando in condizioni di sterilità, lavorando con le colture
cellulari c’è sempre rischio di contaminazione da parte di
batteri, funghi, micoplasmi e virus.
Mentre la contaminazione da batteri e miceti è facilmente
identificabile (provoca un intorbidimento del terreno), quella da
virus e da micoplasmi è più difficile da identificare (tranne che
si riscontri un effetto citopatico).
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Per ridurre il rischi di contaminazioni, perciò, vengono
aggiunti ai terreni da coltura degli agenti antibiotici
(penicillina, streptomicina, kanamicina,…) e antimicotici
(anfotericina B,…).
La contaminazione da Micoplasmi
viene rilevata
tramite rilevazione di adenosina fosforilasi, con
colorazione con fluorocromi del DNA,…
L’eliminazione del micoplasma si ottiene di solito
tramite trattamento con l’antibiotico BM-ciclina.
Precauzioni per la prevenzione delle contaminazioni
Per prevenire le contaminazioni occorre seguire alcune
regole.
1)I terreni e le soluzioni che si usano devono essere tutti
sterili
2)Aggiungere penicillina-streptomicina per scongiurare il
pericolo di contaminazioni da batteri; anfotericina B (se
non tossica per le cellule) contro i miceti.
3)Destinare il laboratorio solo alle colture cellulari
4)Operare sempre sotto cappa a flusso laminare
5)Utilizzare solo materiale sterile (di vetro o di plastica)
6)Utilizzare sempre pipettatori elettrici
7)Pulire bene la cappa a inizio e fine lavoro
8)Controllare periodicamente i filtri della cappa
9)Mantenere con attenzione ben pulito l’incubatore a
37°C (pericolo miceti)
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Le cappe a flusso laminare creano un’area sterile per
operazioni che richiedono un ambiente esente da particelle e
batteri.
L’aria passa dapprima attraverso un pre-filtro e poi un filtro.
L’aria filtrata è diretta verso il banco di lavoro dove la
pressione positiva ed il flusso d’aria unidirezionale
impediscono ai contaminanti dell’ambiente di entrare.
La direzione del flusso dell’aria, parallela all’operatore, e lo
schermo frontale garantiscono la salvaguardia dell’operatore
e dei prodotti che si lavorano sotto cappa.
Al termine del lavoro la cappa va sempre pulita e, chiuso lo
sportello, si lasciano accese le lampade UV.
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Piastre da coltura
In commercio sono disponibili piastre per colture cellulari e
piastre per batteriologia (queste utilizzabili anche per la coltura
di cellule in sospensione).
Sono tutte in polistirene, ma la superficie delle piastre da
coltura è trattata chimicamente in modo da renderla idrofila e
carica negativamente: il polistirene è, in tal modo, capace di
legare i fattori di adesione presenti nel siero.
Le piastre per coltura aderenti si distinguono in:
fiasche: contenitori con imboccatura stretta, chiusa con
un tappo a vite, utili in caso che le cellule debbano essere
trasportate fuori del laboratorio
capsule petri: semplici piastre di più facile manipolazione
e più economiche delle fiasche.
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Conta delle cellule
Prima del conteggio si devono eliminare gli aggregati
cellulari mediante trattamento enzimatico o chimico (es.
tripsina, EDTA).
La conta del numero di cellule in genere si effettua con la
camera di Burker.
Questa è costituita da un vetro spesso, in cui è ricavata
una camera capillare, la parete superiore della camera
è costituita da un vetrino bloccato da due graffe laterali.
Al microscopio diventano evidenti una serie di linee
ortogonali tra loro, che definiscono una serie di aree e,
quindi, di volumi.
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Counting Chamber
Counting cells in a chamber
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Per effettuare il conteggio:
dopo aver pulito la camera, montata correttamente,
depositato un dato volume di cellule, al microscopio si
contano le cellule presenti nei quadrati delimitati da una
doppia barra e quelle presenti su due lati dello stesso
quadrato (non si contano, invece, quelle su gli altri due
lati).
Si ripete la conta per almeno tre quadrati, si fa una media
del numero di cellule contate e si ricava il numero totale di
cellule moltiplicando il numero ottenuto per 104; si
corregge poi per il volume totale della sospensione (il
numero che si ottiene è riferito, altrimenti, ad 1ml).
Il conteggio al microscopio, però, richiede tempo ed è poco
accurato specialmente quando si ha a che fare con un
basso numero di cellule.
Tali problemi vengono risolti con l’impiego dei contatori
automatici di particelle.
Il contatore di particelle Coulter sfrutta il principio qui
descritto.
Tra due elettrodi, immersi in una soluzione salina, viene
fatta passare della corrente elettrica.
Un elettrodo è all’interno di un tubo di vetro, l’altro è
immerso in un contenitore dove è presente il campione
nella stessa soluzione salina.
Un volume noto di campione viene fatto fluire attraverso
il tubo di vetro attraverso un foro; ogni singola particella
che passa nell’apertura provoca un aumento della
resistenza tra i due elettrodi.
Questo si traduce in un segnale.
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Test di vitalità delle cellule
Per discriminare tra le cellule vive e quelle morte si ricorre
all’uso di Blu Tripano (colorante che viene assunto solo
dalle cellule morte).
Le cellule vengono risospese in PBS, mescolate, secondo
opportuni rapporti, con Blu Tripano; lasciate per 5-15 minuti
a t.a. e poi esaminate in camera di Burker.
In tal modo si ricava la percentuale di cellule morte presenti
nel campione esaminato.
Colture di cellule aderenti
Le cellule aderenti crescono fino ad occupare l’intera
superficie disponibile: a questo stadio si dicono confluenti.
A confluenza la crescita si arresta e le cellule DEVONO
essere staccate e trasferite in nuove piastre. Come si
procede?
a)Per il trasferimento si ricorre all’uso di EDTA (chela Ca2+ e
Mg2+, indispensabili per l’adesione) e di tripsina (degrada le
proteine della matrice).
b)Avvenuto il distacco l’azione dell’EDTA e della
tripsina viene neutralizzata dall’aggiunta di nuovo
mezzo di coltura che contiene cationi divalenti in
eccesso ed inibitori della tripsina.
c) le cellule vengono quindi contate e seminate in
nuove piastre.
Il tempo necessario alle cellule per duplicarsi è di
circa 20-24 ore per le cellule animali e 24-30 ore per
quelle umane.
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Cultured Cells
fibroblasti
mioblasti
TABLE 8–2 Some Commonly Used Cell Lines
CELL LINE
3T3
BHK21
MDCK
HeLa
PtK1
L6
PC12
COS
CHO
CELL TYPE AND ORIGIN
fibroblast (mouse)
fibroblast (Syrian hamster)
epithelial cell (dog)
epithelial cell (human)
epithelial cell (rat kangaroo)
myoblast (rat)
chromaffin cell (rat)
kidney (monkey)
ovary (chinese hamster)
Precauzioni utili:
a) La conta delle cellule è di fondamentale importanza:
le cellule, infatti, non crescono in modo efficiente, o
vanno incontro a morte, se seminate al di sotto di una
certa densità.
b) Staccare bene tutte le cellule e non fermarsi solo a
quelle che si staccano subito per evitare di
selezionare una sottopopolazione di cellule meno
aderenti.
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c) Distribuire le cellule nella nuova piastra in modo uniforme
per evitare che alcune cellule arrivino a confluenza prima
delle altre e possano crescere in multistrato
d) Trasferire le cellule staccate in una provetta di
polipropilene per il tempo necessario alla conta (altrimenti le
cellule tornano ad aderire al supporto della piastra)
e) Staccare le cellule arrivate a confluenza evitando di
lasciarle confluenti: si può correre il pericolo, altrimenti,
che le cellule comincino a crescere sovrapposte in
multistrato.
f) Cercare, se possibile, di evitare di staccare
contemporaneamente diverse linee cellulari (le più
“aggressive”, es HeLa, potrebbero contaminare le altre
linee cellulari)
Colture di cellule in sospensione
Le linee cellulari di origine emopoietica crescono in
sospensione senza aderire alla piastra di coltura.
La sospensione può avvenire in condizioni statiche o in
agitazione.
Normalmente le cellule vengono cresciute in condizioni
statiche in capsule petri per batteriologia o in fiasche.
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Il sistema in agitazione, invece, si usa per crescere
volumi maggiori di cellule: avviene in bottiglie con un
ancoretta magnetica.
Anche in sospensione le cellule crescono fino ad una
densità massima oltre la quale si arrestano.
Per capire quando si è raggiunta la densità massima
è necessario contare le cellule.
L’amplificazione si ottiene diluendo le cellule in
terreno fresco.
Conservazione delle cellule in azoto liquido
Subculture ripetute di linee cellulari possono portare ad
aberrazioni genetiche.
Per evitare tali inconvenienti si ricorre alla conservazione in
azoto liquido (-196°C).
Il congelamento in azoto liquido mantiene le cellule vive in
completa quiescenza per anni.
Tramite congelamento, quindi, si può costituire uno stock di
cellule che mantengono le caratteristiche fisiologiche e
biochimiche delle cellule di partenza.
Le reazioni enzimatiche cessano a –130°C circa, affinché
il congelamento abbia esito positivo è necessario che la
vitalità cellulare sia mantenuta per il periodo in cui il
campione è conservato in azoto liquido.
Le cellule che vengono congelate devono essere in fase
logaritmica di crescita o devono aver appena raggiunto la
confluenza. Il congelamento viene fatto in presenza di
terreno di crescita, siero e agenti crioprotettivi (DMSO)
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La velocità con cui il campione viene congelato è molto
importante perché congelamenti troppo rapidi portano alla
formazione di cristalli di ghiaccio all’interno delle cellule,
questi, al momento dello scongelamento, provocano lisi
della membrana plasmatica.
L’aggiunta nel medium di un agente crioprotettivo (glicerolo,
DMSO) favorisce la deposizione di ghiaccio nell’ambiente
extracellulare.
E’ importante, inoltre, che congelamento sia lento per
favorire la formazione di cristalli di ghiaccio al di fuori della
cellula.
Il raffreddamento graduale comporta il mantenimento del
campione dapprima in ghiaccio, poi si arriva lentamente a
temperature di –50°C/-70°C e , dopo un periodo
prestabilito, il campione viene trasferito in azoto liquido.
Lo scongelamento, al contrario, deve essere rapido: il
campione viene trasferito in un bagnetto termostatato a
37°C per pochi minuti e si allontana l’agente crioprotettivo.
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Transfezione delle cellule
L’introduzione di DNA esogeno nelle cellule in coltura
consente di studiare la funzione e i meccanismi di
controllo dei geni.
Per facilitare l’ingresso del DNA esogeno nelle cellule
sono stati sviluppati diversi metodi, ciascuno più
efficace a seconda delle linee cellulari utilizzate.
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Essenzialmente il trasferimento genico nelle cellule animali si
può realizzare in tre modi:
1) trasferimento diretto del DNA: mediante mezzi fisici si
introducono acidi nucleici nelle cellule; nelle colture in vitro
questo può essere realizzato con la microiniezione, mentre
in vivo si ricorre al bombardamento con microscopiche
particelle metalliche rivestite di DNA
2) Trasfezione: metodi fisici e chimici che fanno sì che le
cellule internalizzino il DNA presente nel terreno di coltura.
3) Trasduzione: tramite impaccamento del DNA all’interno di
virus.
Il risultato finale è la Trasformazione della cellula
ricevente, ovvero la modificazione del genotipo dovuta
all’acquisizione del DNA esogeno.
La trasformazione può essere transiente o stabile, a
seconda di quanto a lungo il DNA esogeno rimane
all’interno della cellula bersaglio.
Metodi chimici:
Transfezione tramite Calcio fosfato: è uno dei metodi
più largamente utilizzati (almeno in passato); il
meccanismo di azione non è ben chiaro, comunque il
DNA, che, a contatto con la soluzione di calcio fosfato
precipita, entra nella cellula per endocitosi e viene
trasferito nel nucleo.
Il protocollo è molto versatile e può essere modificato per
trasformare anche cellule in sospensione.
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Alcune linee cellulari, ad esempio vengono
efficacemente transfettate solo dopo trattamento
con glicerolo o DMSO.
Anche in questo caso l’esatto meccanismo di
azione non è noto, ma sembra che tali sostanze
vadano a alterare la struttura della membrana
cellulare in modo da favorire l’ingresso del DNA.
Transfezione tramite liposomi: il DNA viene veicolato in
micelle (i liposomi) che si fondono alla membrana
cellulare.
Il vantaggio è che tale metodo risulta efficace con le linee
cellulari resistenti alla transfezione con il calcio fosfato e
consente l’ingresso di DNA di qualsiasi dimensione.
Le ditte che producono i kit di trasfezione tramite liposomi
forniscono un gran numero di miscele diverse di lipidi, la
cui efficienza varia a seconda del particolare tipo
cellulare.
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Metodi fisici:
Transfezione tramite microiniezione: viene usata per
trasferire DNA in cellule di grandi dimensioni (oociti e
cellule embrionali precoci) da usare per la produzione di
organismi transgenici.
Transfezione tramite bombardamento di particelle: si
impiegano microscopiche particelle di metallo che
vengono prima ricoperte di DNA e in seguito sparate
all’interno dei tessuti bersaglio.
Transfezione tramite elettroporazione: L’applicazione
di brevi impulsi ad alto voltaggio provoca la formazione
di micropori nelle membrane cellulari.
Il DNA, pertanto, entra direttamente nel citoplasma e
raggiunge poi il nucleo. I parametri dell’elettroporazione
(intensità e durata dell’impulso) devono essere
determinati empiricamente per ciascuna linea cellulare.
Vantaggi: riproducibilità del metodo e semplicità;
svantaggi: alto costo dell’apparecchio, mortalità cellulare
elevata (50%)
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La quantità di cellule da piastrare, la quantità di DNA da
impiegare nella transfezione, il tempo richiesto per la
transfezione e quello da attendere dopo che il DNA è
stato messo in contatto con le cellule, variano a seconda
del metodo scelto, della linea cellulare utilizzata e del tipo
di effetto che si vuole valutare.
Transfezioni transienti e stabili:
La trasformazione di cellule animali mediata dal DNA
avviene in due fasi distinte temporalmente:
1)introduzione del DNA nella cellula (trasfezione)
2)incorporazione
(integrazione)
eventuale
nel
genoma
La prima avviene più facilmente, in quanto la maggior
parte delle cellule trasfettate non integra il DNA esogeno
nel genoma ma lo mantiene nel nucleo come elemento
extracromosomico il quale, in mancanza di un’origine
della replicazione attiva, viene via via diluito e
degradato.
Si parla di trasfezione transiente quando le proprietà
della cellula sono state modificate grazie all’introduzione
del DNA, ma tale cambiamento è di breve durata.
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Nel caso di transfezioni transienti le cellule vengono, in
genere, raccolte 48-72 ore dopo la transfezione per
valutare l’effetto prodotto dal gene transfettato.
La valutazione si effettua isolando l’RNA oppure valutando
l’attività enzimatica di una proteina.
Il metodo scelto per lisare le cellule va in relazione al
parametro che si voglia poi esaminare (es se devo
valutare attività enzimatica non posso usare metodi che
denaturano le proteine…)
Qualora il DNA esogeno, invece, si integri nel genoma e
possa essere trasmesso ai discendenti, si parla di
trasfezione stabile.
Nel caso di transfezioni stabili si mira ad isolare e
propagare cloni che contengano il DNA transfettato.
In genere le cellule vengono mantenute, in questo caso,
nel mezzo per 1-2 giorni, poi vengono splittate e poste in
un mezzo selettivo (in cui solo le cellule che hanno
accettato il DNA esogeno riescono a vivere).
Il mezzo selettivo viene poi usato per 2-3 settimane fino
alla selezione delle singole colonie.
Le trasfezioni stabili sono necessarie per la conduzione
di esperimenti analitici di lunga durata o qualora si
volesse ottenere una linea cellulare in grado di produrre
proteine ricombinanti da utilizzare per lunghi periodi.
Le trasfezioni transienti, invece, sono adeguate per
condurre un gran numero d esperimenti di breve durata,
come ad esempio per determinare l’efficienza di un dato
promotore.
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Geni reporter e analisi di promotori
I geni reporter (o geni marcatori saggiabili) codificano
per un prodotto genico che può essere identificato con
facilità, usando saggi semplici e poco costosi.
Posti sotto il controllo di un promotore forte, i geni
reporter rappresentano uno strumento utile per valutare
l’avvenuta trasfezione (stabile o transiente): solo le
cellule che hanno accettato il DNA esogeno sono in
grado di esprimere la proteina reporter.
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I saggi utilizzati per l’individuazione del gene reporter,
inoltre, sono quantitativi, così da permettere anche di
valutare l’efficienza di trasfezione o la forza di
promotori clonati posti a monte del gene reporter.
In tal maniera è possibile, inoltre, valutare l’attività del
promotore clonato in linee cellulari diverse o in
condizioni sperimentali diverse (risposta a stress,…).
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Il primo reporter usato è stato quello della cloramfenicolo
acetil transferasi (cat): se si usa come substrato il
cloramfenicolo marcato in C14, questo viene acetilato
dall’enzima producendo una miscela di molecole marcate
che possono essere rivelate su TLC o tramite
autoradiografia.
Successivamente si è ricorsi all’uso del gene lacZ di
E.coli che codifica per la β-galattosidasi. L’attività di
questa può essere saggiata allo spettrofotometro:
converte l’ONPG in un composto solubile di colore giallo.
CAT e β-galattosidasi sono enzimi stabili la cui
attività permane a lungo nelle cellule che li
esprimono, qualora si volessero osservare rapidi
cambiamenti nell’espressione genica tali reporter
non potrebbero essere utilizzati.
Si è ricorsi, perciò, all’uso della luciferasi: un
enzima che catalizza l’ossidazione della luciferina in
una reazione che, in presenza di un eccesso di
ATP, ossigeno e ioni magnesio, produce luce e può
essere rivelata con un luminometro. Tale reazione
ha un’altissima sensibilità e un rapido decadimento.
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Per analizzare elementi di regolazione della trascrizione, i
geni reporter sono stati posti a valle di promotori clonati.
Un promotore minimale (di solito formato dalla sola
TATA-box) è capace di muovere solo un livello di
trascrizione molto basso.
L’attività di enhancer e repressori può essere valutata
perché inducono livelli di trascrizione più elevati o li
reprimono.
L’espressione dei geni umani
Il controllo dell’espressione dei geni umani è simile a quello
che si attua negli altri organismi eucarioti ed avviene
principalmente a livello della trascrizione.
Nei mammiferi, però, a differenza di quanto avviene in altri
organismi più semplici, si esercita un controllo spazialetemporale dell’espressione genica che, per comodità, può
raggrupparsi in tre livelli di regolazione.
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1)Regolazione a livello della trascrizione: l’espressione di
un gene inizia con il legame dei fattori di trascrizione al
promotore (ved avanti definizioni), la modulazione dei
livelli basali della trascrizione viene effettuata tramite il
legame di fattori proteici ad altre regioni di regolazione.
2)Regolazione a livello post-trascrizionale: include i
meccanismi che operano a livello di maturazione
dell’RNA (es splicing…), trasporto, traduzione e
stabilità dell’RNA, maturazione-stabilità-destinazione
delle proteine.
3)Meccanismi epigenetici (non sono direttamente
attribuibili alla sequenza del DNA): metilazione del DNA
(reprime la trascrizione del DNA), livello di
organizzazione della cromatina, ecc ecc…
Controllo trascrizionale
Perché un gene venga espresso è necessario innanzi tutto
che dei fattori proteici si leghino alle sequenze
nucleotidiche di regolazione.
I fattori proteici sono indicati come elementi trans (poiché
vengono codificati da geni localizzati a distanza e migrano
fino al proprio sito di azione); le sequenze nucleotidiche di
regolazione, invece, come elementi cis (poiché si trovano
sulla stessa molecola di DNA, o mRNA trascritto primario,
che deve essere regolato).
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La trascrizione di tutti i geni che codificano polipeptidi
procede tramite l’azione della RNA pol II.
Per agire la pol II necessita della collaborazione di fattori di
trascrizione (TF).
Apparato fondamentale della trascrizione: corrisponde al
complesso della pol lI e dei TFs.
I geni vengono espressi costitutivamente a un livello minimo
determinato dal promotore basale (ved definizioni
successive), la velocità della trascrizione, però, può essere
aumentata o abolita da altri elementi regolatori.
L’identità di ogni cellula è definita dalle proteine che essa
produce: oltre ai TFs ubiquitari, quindi, esistono dei fattori di
trascrizione tessuto specifici che regolano l’espressione di
molti geni codificanti proteine riconoscendo e legando
specifici elementi in cis.
Definizioni fondamentali:
PROMOTORI: combinazioni di corti elementi di
sequenza,
in
genere
posti
nella
regione
immediatamente a monte del gene (spesso entro
200pb dal sito di inizio della trascrizione), servono per
dare inizio alla trascrizione.
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PROMOTORE BASALE: elementi che dirigono il
complesso fondamentale per iniziare la trascrizione.
In assenza di altri elementi di regolazione,
consentono l’espressione costitutiva del gene, ma a
livelli molto bassi (BASALI). In genere sono posti tra
–45 e +40pb rispetto al sito di inizio trascrizione
(TSS).
Includono: a) TATA box: (TATA(A/T)A(A/T)) –25bp,
circondata da sequenze ricche in GC
b) BRE: immediatamente a monte della
TATA, riconosciuta da TFIIB
c) Inr (iniziatore) localizzato al sito di inizio
d) DPE (elemento prom. a valle): +30bp
(si trova nei promotori privi di TATA)
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ELEMENTI NON BASALI: in genere nella sequenza a
monte del promotore basale, da –50 a –200pb
rispetto al sito di inizio. In genere ci sono siti di
riconoscimento multipli per TFs ubiquitari:
1) GC box (o SP1 box): GGGCGG, 100bp dal sito di
inizio, lega SP1
2) CCAAT box: ggCCAATct, -75pb, riconosciute da
CTF (o NF-1) e CBF (o NF-Y).
Le 1) e le 2) servono per MODULARE la trascrizione
basale e agiscono anche come Enhancer
ENHANCER: elementi di regolazione POSITIVA, la loro
funzione è indipendente dal loro orientamento (a differenza
del promotore basale) e dalla loro posizione (possono
trovarsi a monte, a valle del promotore o in un introne).
SILENZIATORI: elementi di regolazione NEGATIVA.
Silenziatori classici: dipendenti dalla posizione, dirigono un
meccanismo di repressione attiva della trascrizione.
Elem. di regol. negativa: dipendenti dalla posizione,
repressione passiva.
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ELEMENTI DI CONFINE (isolatori): regioni di DNA
(0.5-3kb) che bloccano il diffondersi dell’influenza
degli enhancer o dei silenziatori.
ELEMENTI DI RISPOSTA: modulano la trascrizione
in risposta a stimoli esterni, in genere posti a breve
distanza dal promotore (entro 1kb).
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