UNITA’ DI RICERCA DI BOLOGNA Direttore: Prof. Alberto Ripamonti Descrizione dell’attività svolta L’attività di ricerca svolta si inquadra completamente nelle tematiche del Consorzio e può essere suddivisa in: biomineralizzazione , biomateriali e biocristallografia: Biomineralizzazione Il progetto di ricerca è indirizzato allo studio degli aspetti chimici e strutturali dei processi di biomineralizzazione come sistemi modello per la progettazione di materiali con particolari proprietà tecnologiche, ed in particolare di biomateriali con potenzialità di impiego nel settore ortopedico. In questo ambito è stato realizzato l’assemblaggio diretto di sfere complesse inorganicopolimeriche, di diametro di circa 1 µm, utilizzando la presenza di polielettroliti ricchi in gruppi carbossilato, quali il poliacrilato di sodio ed il poliaspartato di sodio, durante la sintesi di ottacalcio fosfato (OCP), un fosfato di calcio ritenuto il precursore delle apatiti biologiche. I risultati delle indagini strutturali e morfologiche eseguiti sui prodotti ottenuti per sintesi in soluzione acquosa, hanno permesso di verificare che la presenza dei polielettroliti provoca una diminuzione del grado di cristallinità del materiale. Il processo non richiede l’intervento di substrati, ed avviene attraverso la crescita radiale di densi sferoidi stratificati, su cui cresce un sottile guscio poroso che porta alla dissoluzione dello sferoide centrale. Tra i fosfati di calcio implicati nei processi di biomineralizzazione, l’α-tricalcio fosfato (αTCP) è notevolmente più solubile sia dell’idrossiapatite (HA) sia dell’ottacalcio fosfato, e in soluzione acquosa dà una reazione di idrolisi, che a seconda delle condizioni utilizzate può passare attraverso fasi intermedie, ma il cui prodotto fina le è comunque un’apatite poco cristallina. L’α-TCP è stato preparato attraverso una sintesi allo stato solido alla temperatura di 1300°C con cui si ottiene un prodotto puro e di elevata cristallinità. La caratterizzazione SEM effettuata sull’α-TCP indica inoltre che le dimensioni degli aggregati cristallini sono dell’ordine di 10-20 µm. La reazione di idrolisi dell’α-TCP in OCP è stata studiata in presenza di sodio poliacrilato. La presenza in soluzione di una concentrazione di polielettrolita pari a 5x10-7 M è sufficiente ad inibire l’idrolisi. I dati ottenuti hanno permesso di stabilire che il processo di idrolisi avviene attraverso dissoluzione e successiva ricristallizzazione. Nell’ambito della ricerca delle matrici polimeriche più opportune da utilizzare per la realizzazione di micro/ e nanostrutture per applicazioni nei settori cardiovascolare, ortopedico, e di chirurgia plastica ricostruttiva, è stata messa a punto la preparazione di films di gelatina reticolata con soluzioni di genipina a diversa concentrazione. Infatti la gelatina, che si ottiene per denaturazione termica o degradazione chimica del collagene, riveste un notevole interesse come biomateriale, grazie anche alle sue proprietà di biocompatibilità e biodegradabilità. Dal momento che la gelatina è solubile in soluzioni acquose, i materiali a base di gelatina per applicazioni biomediche a lungo termine vengono generalmente stabilizzati con l’introduzione di reticolazioni. Tra gli agenti reticolanti più utilizzati per i materiali a base di ge latina e di collagene, la glutaraldeide è quella che probabilmente ha avuto i più vasti impieghi. La reticolazione di campioni a base di collagene con GTA coinvolge la reazione dei gruppi amminici liberi della lisina e dell’idrossilisina delle catene polipeptidiche con i gruppi aldeidici del reticolante. Nonostante il successo di migliaia 1 di bioprotesi reticolate con GTA documentato negli ultimi vent’anni, sono stati riportati alcuni casi di citotossità. In questo ambito sono stati preparati e caratterizzati films di gelatina a diverso grado di reticolazione ottenuto per trattamento con genipina, un reticolante naturale, che ha dimostrato buone capacità stabilizzanto nei confronti dei materiali a base di collageno. I films sono stati sottoposti a prove meccaniche (trazione), ad analisi termica (dsc), a prove di rigonfiamento in soluzione fisiologica, e ne è stato determinato il grado di reticolazione. I compositi costituiti da fosfati di calcio e polimeri rivestono notevole interesse come sostituti dell’osso. In particolare, i compositi a base di collageno ed idrossiapatite rappresentano materiali molto promettenti grazie alle loro analogie con il tessuto osseo. La maggior parte degli studi su questi materiali segue una strategia di tipo biomimetico e si ispira ai processi di biomineralizzazione per sviluppare compositi che imitino il tessuto osseo. In questo ambito, sono state preparate spugne di gelatina contenenti nanocristalli di HA e studiato la loro capacità di indurre la deposizione di cristalli apatitici da soluzione di simulated body fluid (SBF). I risultati ottenuti indicano che la presenza di HA all’interno delle spugne è un fattore determinante per indurre la nucleazione e la crescita di depositi apatitici. La fase apatitica è depositata sotto forma di aggregati sferici, che crescono in numero ed in diametro all’aumentare del tempo di permanenza in soluzione SBF. La fase inorganica, che raggiunge un contenuto massimo del 56% in peso, è un’apatite poco cristallina con dimensioni dei cristalliti e contenuto di carbonato simili a quelli caratteristici della fase inorganica dell’osso trabecolare. Biomateriali: composti inorganico-proteici con funzione di dispensatori di farmaci Il campo di applicazione dei biomateriali è molto vasto, ed è generalmente suddiviso in due gruppi principali: uno costituito dai materiali utilizzati per la sostituzione dei tessuti duri, (applicato specialmente in ortopedia, odontoiatria e chirurgia maxillo- facciale) e l’altro riguardante la sostituzione dei tessuti molli (chirurgia plastica e cardiovascolare). Per quanto riguarda il settore ortopedico lo sviluppo di nuovi materiali che possano essere impiegati per riparare difetti del sistema scheletrico rappresenta un importante obiettivo nella scienza dei biomateriali. La ricerca del gruppo si colloca in questo ambito ed in particolare è stata indirizzata verso la realizzazione di materiali che agiscano da sostituti ossei e che contemporaneamente siano in grado di rilasciare sostanze farmacologicamente attive. La necessità di realizzare dispensatori di farmaci ad azione locale nasce dall’esigenza di superare alcuni problemi legati ai metodi di somministrazione tradizionali quali, l’instabilità del principio attivo e gli effetti tossici dovuti al sovradosaggio. Inoltre con i dispensatori ad azione locale è possibile programmare le cinetiche di rilascio a seconda delle esigenze terapeutiche. Sono stati realizzati dispensatori di diversa natura, in particolare ceramici (a base di idrossiapatite), proteici (a base di gelatina) e ceramico-proteici (a base di idrossiapatite e gelatina) e sono state monitorate le cinetiche di rilascio di tre farmaci modello: due antinfiammatori di natura steroidea (Clobetasol 17-propionato e Idrocortisone sodiosuccinato) e uno di natura non steroidea (Ibuprofene-lisina). I processi chimico-fisici coinvolti nel rilascio del principio attivo differiscono a seconda della natura del dispensatore impiegato: • Diffusione: nel caso di dispensatori che non si modifichino né chimicamente né morfologicamente (dispensatori di natura ceramica). • Rigonfiamento: nel caso di dispensatori che si modifichino morfologicamente rigonfiandosi (dispensatori di natura proteica ad alto grado di reticolazione). • Dissoluzione: nel caso di dispensatori che si modifichino chimicamente solubilizzandosi (dispensatori di natura proteica a basso grado di reticolazione). 2 I principali parametri che influenzano le cinetiche di rilascio sono: • Natura e morfologia del dispensatore. • Solubilità del principio attivo. • Concentrazione del principio attivo. • Dimensioni molecolari del principio attivo. • Grado di reticolazione della matrice proteica (per dispensatori proteici e ceramicoproteici). Modificando questi parametri è possibile modulare le cinetiche di rilascio di farmaci a seconda delle necessità terapeutiche: in questo modo è possibile raggiungere tempi di rilascio dell’ordine dei mesi. Per quanto riguarda i biomateriali impiegati per la sostituzione dei tessuti molli sono stati preparati film a matrice collagenosa a partire da soluzioni di collagene (1% wt in acido acetico 0,3%) private delle regioni telopeptidiche. Aumentando il pH della sospensione fino ad un valore di 5,5 si ottiene la precipitazione delle fibrille di collagene che si autoassemblano portando alla formazione di un film. I film sottoposti a diverse percentuali di deformazione uniassiale, sono stati caratterizzati morfologicamente mediante microscopia elettronica a scansione (SEM) e strutturalmente mediante diffrazione di raggi X (XRD) e analisi termica (DSC e TGA). L’analisi morfologica e diffrattometrica dei campioni stirati evidenziano un allineamento delle fibrille di collagene lungo la direzione di stiro: questo porta ad una riorganizzazione strutturale che comporta una maggiore stabilità del film. Questo dato è supportato dall’analisi termica che evidenzia temperature e variazioni di entalpia associate al processo di denaturazione del collagene, più elevate per i campioni sottoposti a deformazione. Usando metodi di sintesi biomimetiche di tipo sol- gel è stato possibile ricostituire fibre di collageno da sospensioni di molecole di collageno di tipo 1 ottenendo fibre collagene con proprietà meccaniche simili a quelle del tendine. Facendo venire la sintesi dell’idrossiapatite per neutralizzazione dell’idrossido di calcio con acido fosforico durante il processo di ricostituzione della proteina, è stato possibile ottenere fibre di collageno calcificate. All’interno delle fibre si sono nucleati ed accresciuti nanocristalli di idrossiapatite a basso grado di cristallinità e con un grado di carbonatazione simile a quella ossea. I nanocristalli crescono con l’asse cristallografico c preferenzialmente orientato lungo l’asse di fibra della proteina riproducendo molto da vicino la morfologia della idrossiapatite ossea Biocristallografia: cristallizzazione e determinazione strutturale mediante diffrazione di raggi X di macromolecole biologiche Il progetto di ricerca è indirizzato allo studio strutturale delle macromolecole biologiche sulla base di un approccio ad ampio raggio. La determinazione strutturale mediante diffrazione di raggi X richiede cristalli singoli di ottima qualità. Negli ultimi anni lo sviluppo di tecnologico ha permesso di avere delle sorgenti di raggi X con elevata intensità, computer con elevata capacità di calcolo e software estremamente sofisticate tali da rendere la determinazione strutturale di macromolecole un processo, sempre complesso, ma meno tedioso che in passato. Il punto critico rimane l'ottenimento di cristalli di ottima qualità. In questo ambito sono state sviluppate delle nuove strategie di cristallizzazione di macromolecole biologiche. L'approccio seguito trae ispirazione dallo studio dei processi di biomineralizzazione. L'uso di una superficie che agisca come templato può favorire la crescita di un cristallo attraverso un meccanismo di nucleazione eterogenea. L'azione della superficie non 3 necessariamente implica un processo di crescita epitassiale, anzi per la nucleazione delle macromolecole biologiche è favoribile una interazione minima tra la superficie nucleante ed i nuclei cristallini in crescita. Sulla base di queste osservazioni, il metodo di cristallizzazione messo a punto, è basato sull’impiego di films polimerici e superfici, che espongono sulla superficie gruppi carichi positivamente o negativamente. Questi substrati sono molto pratici e versatili, perché è possibile variarne facilmente la densità di carica superficiale e la distribuzione e struttura dei gruppi esposti. Gli esperimenti di cristallizzazione sono stati eseguiti con la tecnica di diffusione di vapore con "goccia pendente". Sono usati stati substrati a base di polistirene collagene e mica.Le proteine testate sono proteine note quali Lisozima, Concanavalina A e Taumatina ed anche proteine mai cristallizzate e di cui non si sono ottenuti dei cristalli con metodi convenzionali appartenenti alla famiglia delle RIP (ribosome inactivating proteins). I risultati evidenziano una notevole influenza delle cariche superficiali della matrice polimerica sui tempi di induzione e sulla concentrazione della proteina minima alla quale si formano cristalli. Per tempo di induzione si intende il periodo che intercorre tra la preparazione dell’esperimento di cristallizzazione e la formazione del primo cristallino visibile tramite microscopio ottico. L’influenza delle cariche superficiali determina un aumento del numero dei siti di nucleazione, con conseguente aumento del numero di cristalli a discapito delle dimensioni. L’interazione di porzioni o singoli residui carichi della proteina con i gruppi carichi superficiali potrebbe aumentare un aumento locale della concentrazione di macromolecole biologiche con formazione di aggregati e successivamente di nuclei cristallini Il metodo proposto può risultare particolarmente utile per proteine poco solubili, visto che si utilizzano basse concentrazioni proteiche, e per proteine con tempi di cristallizzazione molto lunghi. La capacità di superfici nucleanti di indurre la crescita di fasi minerali è stata studiata usando come substrato la chitina purificata dalla penna del Loligo vulgaris. Gli studi hanno dimostrato come questa superficie agisca da agente nucleante per il carbonato di calcio e ne controlli la deposizione, la morfologia e il polimorfismo. La determinazione strutturale è stata effettuata mediante diffrazione di raggi X su delle gliceraldeidi-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH). La GAPDH è un enzima importante sia nella glicolisi che nella gliconeogenesi; l’enzima citosolico catalizza la fosforilazione ossidativi della D-gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (G-3P) a 1,3-difosfoglicerato (DPGA) in presenza di NAD e fosfato inorganico. La GAPDH è un enzima chiave nella conversione del glucosio ad acido piruvico, che è un importante stadio nel metabolismo dei carboidrati in molti organismi. La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenase è un enzima estremamente diffuso in natura. Comprende circa il 20% delle proteine solubili nel lievito e fino al 10% delle proteine solubili nel muscolo e la relativa facilità di preparazione da numerose specie, ha contribuito alla sua popolarità tra biologi e cristallografi. L’enzima dei cloroplasti è costituito da una forma regolativa di 600 kDa (A2B2)4, con elevata attività NAD(H)-dipendente e una bassa attività NADP(H)-dipendente. Nei cloroplasti di spinacio l’attivazione dell’enzima da parte della luce è correlata a variazioni nello stato di aggregazione dell’enzima stesso. Al buio la forma meno attiva di 600 kDa è prevalente, mentre alla luce questa viene parzialmente convertita in una forma quattro volte più attiva 22,23 . Questa forma è un tetramero A2B2 di 150 kDa con elevata attività NADP(H)-dipendente. La struttura dell’isoforma A4 della GAPDH dai cloroplasti di spinacio, complessata con il NADP, costituisce la prima struttura di una GAPDH fotosintetica ed anche la prima struttura di una GAPDH complessata con il NADP tra gli eubatteri e gli eucarioti. La struttura complessiva della A4 è simile a quella della GAPDH non fotosintetiche. In particolare ciascuna subunità del tetramero comprende due domini: un dominio di legame per il NADP 4 con un tipico Rossmann folding e un dominio catalitico che è responsabile del legame di un fosfato libero e di una molecola di gliceraldeide-3-fosfato o 1,3-bifosfoglicerato. Pubblicazioni 1. Bigi A., Boanini E., Botter R., Panzavolta S., Rubini K. α-tricalcium phosphate hydrolysis to octacalcium phosphate: effect of sodium polyacrylate. Biomaterials, 23/8 pp. 18491854, 2002. 2. Badraoui B., Bigi A., Debbabi M., Gazzano M., Roveri N. Thouvenot R. Physicochemical Properties and Structural Refinement of Strontium- Lead Hydroxyapatites. European Journal of Inorganic Chemistry,Volume 2002, Issue 7, 1864-1870, 2002 3. Bigi A., Boanini E., Walsh D., Mann S. Morphosynthesis of Octacalcium Phosphate Hollow Microspheres by Polyelectrolyte-Mediated Crystallization. Angew. Chemie Int.Ed., 41, Issue 12, Pages: 2163-2166, 2002. 4. Bigi A., Cojazzi G., Panzavolta S., Roveri N.and Rubini K. 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