Nuovo farmaco anti-HIV si mostra promettente

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Mercoledì 6 marzo 2013
Contenuti
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Nuovo farmaco anti-HIV si mostra promettente
HIV ed epatite C
Trattamento pediatrico dell’HIV in contesti poveri di risorse
Sicurezza del trattamento antiretrovirale in gravidanza
Il risultato di un lavoro straordinario
Sostieni NAM
Nuovo farmaco anti-HIV si mostra promettente
Matt Anderson al CROI 2013. © Liz Highleyman / hivandhepatitis.com.
MK-1439, un NNRTI (inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa) di nuova generazione,
dà risultati incoraggianti in un primo studio clinico.
Il farmaco si è dimostrato sia altamente efficace contro l’HIV che ben tollerato dai pazienti.
Lo studio, a doppio cieco e controllato con placebo, comprendeva 18 partecipanti HIV-positivi
che non avevano mai assunto antiretrovirali (i cosiddetti naive al trattamento).
I pazienti sono stati randomizzati per essere trattati con una o due dosi di MK-1439 (25mg o
200mg) in regime monoterapico, con una somministrazione al giorno per sette giorni, oppure
con un placebo.
Entrambi i dosaggi hanno mostrato notevole efficacia contro il virus dell’HIV: nei pazienti trattati
con MK-1439 si è infatti osservato un abbattimento della carica virale, che è invece rimasta
inalterata nel braccio del placebo.
Inoltre il farmaco, sempre in entrambi i dosaggi, si è mostrato in grado di mantenere
concentrazioni sufficienti per inibire la replicazione dell’HIV.
Circa i tre quarti dei partecipanti hanno avuto effetti collaterali: tuttavia, questi sono stati di lieve
entità e sono scomparsi una volta terminata la sperimentazione. Non si sono verificati casi di
rash cutanei, né anomalie nelle analisi ematiche, né effetti collaterali a carico del sistema
nervoso centrale.
È ora in progetto uno studio di fase IIb.
Joseph Gathe della Therapeutic Concepts, Houston, Texas (USA) © Liz Highleyman / hivandhepatitis.com.
Uno studio separato ha evidenziato che un inibitore sperimentale dei corecettori CCR5/CCR2,
denominato cenicriviroc, produce effetti antinfiammatori e inibisce la replicazione dell’HIV.
I ricercatori hanno presentato i dati raccolti dopo le prime 24 settimane di uno studio di fase IIb
della durata complessiva di 48 settimane, in cui come regime di comparazione è stato
impiegato l’efavirenz.
I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere una o due dosi di cenicriviroc oppure efavirenz
combinato con Truvada.
Alla 24° settimana, circa i tre quarti dei pazienti di ciascun braccio presentavano valori di carica
virale al di sotto della soglia di rilevabilità.
Nel braccio trattato con cenicriviroc si è però osservata una tendenza a maggiori aumenti dei
CD4.
Il cenicriviroc si è dimostrato sicuro e ben tollerato: solo il 2% dei partecipanti ha interrotto il
trattamento a seguito della comparsa di eventi avversi, contro il 18% nel braccio trattato con
efavirenz.
Gli autori dello studio hanno inoltre rilevato che il cenicriviroc ha un effetto positivo sui
biomarcatori dell’infiammazione, ed è inoltre associato a una riduzione del colesterolo LDL.
Link collegati
Resoconto completo dello studio su MK-1439 su aidsmap.com (con link all’abstract)
Resoconto completo dello studio sul cenicriviroc su aidsmap.com (con link all’abstract)
Webcast della sessione di presentazione
HIV ed epatite C
Isabelle Poizot-Martin e Laurent Cotte al CROI 2013. © Liz Highleyman / hivandhepatitis.com
I risultati di due studi francesi sembrerebbero indicare che, aggiungendo gli inibitori della
proteasi boceprevir o telaprevir al regime terapeutico standard per l’epatite C, si possano
ottenere migliori esiti terapeutici in pazienti coinfetti con HIV e HCV e con caratteristiche
associate a una scarsa risposta al trattamento anti-epatite C.
I due farmaci hanno mostrato anche un accettabile profilo di sicurezza.
Sono moltissime le persone sieropositive che hanno contratto anche il virus dell’epatite C, e le
malattie epatiche sono una tra le più frequenti cause di morte nei pazienti coinfetti.
Chi è affetto dalla sola epatite C può decidere di rimandare l’inizio del trattamento in attesa che
divengano disponibili nuovi farmaci, in particolare dei regimi terapeutici senza interferone, dati i
pesanti effetti collaterali che questa sostanza può provocare.
I pazienti con coinfezione HIV/HCV che ormai hanno sviluppato una grave patologia epatica,
però, hanno urgente bisogno di nuove opzioni terapeutiche come il boceprevir o il telaprevir.
I ricercatori francesi hanno pertanto condotto due studi separati per indagare sicurezza ed
efficacia del trattamento con interferone associato a boceprevir o telaprevir.
I partecipanti erano pazienti affetti da coinfezione con HCV di genotipo 1 che non avevano
risposto al trattamento a base di interferone.
Una percentuale compresa tra il 70 e il 75% aveva un’infezione da HCV di genotipo 1a, che è
molto difficile da trattare, e fino a un quarto aveva già sviluppato una cirrosi epatica.
Dai dati intermedi dello studio sul boceprevir emerge che i pazienti che hanno raggiunto livelli
irrilevabili di HCV dopo 16 settimane di terapia sono il 63%. Ma il dato forse più sorprendente è
che il 73% dei pazienti cirrotici risponde ora bene al trattamento.
Quasi la totalità dei partecipanti ha sviluppato effetti collaterali, che nel 30% dei casi sono stati
catalogati come ‘gravi’; un esiguo numero di pazienti ha invece avuto effetti avversi così gravi da
interrompere la terapia.
Frequenti sono stati anche i risultati anomali nei test ematici: il 42% dei partecipanti ha
sviluppato un’anemia e il 70% una neutropenia.
Sono stati presentati anche i dati intermedi a 16 settimane per lo studio sul telaprevir. Circa
l’88% dei pazienti ha mostrato una buona risposta al trattamento. Tuttavia molti hanno
sperimentato effetti collaterali: un 70% ha avuto eruzioni cutanee; circa un terzo ha sviluppato
un’anemia e l’84% una neutropenia.
È in corso di sviluppo una serie di farmaci antiepatici molto promettenti, che potrebbero portare
ad elevati tassi di risposta al trattamento senza bisogno di interferone.
I risultati di questi studi, però, danno una speranza ai pazienti coinfetti con HIV/HCV che hanno
già sviluppato una malattia epatica e per i quali è dunque imperativo iniziare tempestivamente il
trattamento.
Link collegati
Resoconto completo su aidsmap.com (con link agli abstract degli studi citati)
Webcast della sessione di presentazione
Trattamento pediatrico dell’HIV in contesti poveri
di risorse
Adeodata Kekitiinwa della Baylor-Uganda Paediatric Infectious Diseases Clinic, Uganda, durante la sua
presentazione al CROI 2013.
Le terapie antiretrovirali danno buoni risultati nel trattamento dei bambini e giovani sieropositivi
anche senza bisogno del continuo monitoraggio della conta linfocitaria e dei marker degli effetti
collaterali: è quanto sembra dimostrare uno studio condotto in Uganda e Zimbabwe.
Per gli autori, quindi, sarebbe bene che i fondi attualmente investiti in questi costosi esami
fossero piuttosto utilizzati per allargare l’accesso al trattamento. Secondo le stime di UNAIDS,
nel 2011 solo il 28% dei minori bisognosi di terapie antiretrovirali era effettivamente in cura.
Per lo studio sono stati arruolati 1200 bambini e giovani sieropositivi che assumevano
antiretrovirali di prima linea di età compresa tra i quattro mesi e i 17 anni, che presentavano
un’immunosoppressione moderatamente avanzata.
I partecipanti sono stati randomizzati in due bracci: quelli del primo venivano sottoposti a test di
controllo ogni dodici settimane, compreso l’emocromo completo e la conta dei linfociti CD4. Chi
presentava una diminuzione del 30% nei livelli linfocitari o una progressione dell’HIV è stato
passato a un trattamento di seconda linea.
Anche quelli del secondo braccio venivano monitorati ogni dodici settimane, ma i test di
laboratorio venivano eseguiti solo se espressamente richiesto da un medico.
Sono stati osservati la progressione dell’HIV e lo sviluppo di effetti collaterali gravi.
I due bracci hanno mostrato tassi di sopravvivenza sugli stessi livelli, una percentuale molto
simile di partecipanti rimasti in trattamento di prima linea e nessuna differenza nell’insorgenza
di effetti collaterali gravi da un gruppo all’altro.
Lo studio ha inoltre mostrato che il monitoraggio non era neppure efficace sotto il profilo
costi/benefici. Gli autori raccomandano dunque che le risorse impiegate per questi test vengano
ottimizzate, concentrandosi su esami mirati anziché portare avanti un monitoraggio a tappeto.
In conclusione, i ricercatori affermano che la terapia antiretrovirale pediatrica nei contesti poveri
di risorse è sufficientemente efficace e sicura anche senza bisogno di un monitoraggio di
routine.
Link collegati
Resoconto completo su aidsmap.com
Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Webcast della sessione di presentazione
Sicurezza del trattamento antiretrovirale in
gravidanza
Jeanne Sibiude dell’Ospedale Louis Mourier, Francia, durante la sua presentazione al CROI 2013.
Un ampio studio francese ha fornito nuove informazioni in materia di sicurezza del trattamento
antiretrovirale durante il primo semestre di gravidanza e sull’associazione tra determinati
farmaci e il rischio di malformazioni congenite.
Dai risultati di questo studio emerge che il trattamento con efavirenz (Sustiva, contenuto anche
nell’Atripla) comporta un rischio più elevato di problemi neurologici.
I neonati che erano stati esposti all’AZT (zidovudina, Retrovir) sono risultati più colpiti da difetti
cardiaci.
Ai trattamenti con ddI (didanosina, Videx) or 3TC (lamivudina, Epivir) sono stati invece associati
maggiori tassi di malformazioni nella regione testa/collo.
Lo studio ha coinvolto oltre 13.000 nati da madri sieropositive esposti agli antiretrovirali durante
la gestazione.
Complessivamente, la prevalenza di difetti congeniti si è attestata tra il 4 e l’8%.
Tuttavia, in cifre assolute, i casi totali di ogni malformazione associata a uno specifico farmaco –
AZT a parte – erano poco numerosi, e inoltre l’aumento del rischio relativo è stato modesto.
Questo studio rappresenta sostanzialmente una conferma di quanto già si sapeva.
Malgrado questi dati, infatti, i benefici apportati dal trattamento antiretrovirale in gravidanza
superano ancora i rischi, in quanto i farmaci riducono il rischio di trasmissione materno fetale
del virus e mantengono in salute la madre.
Tuttavia, questi risultati hanno riacceso il dibattito sull’associazione tra efavirenz e il rischio di
malformazioni congenite.
Il farmaco era infatti già stato associato a malformazioni negli studi su modelli animali, e
pertanto il suo impiego era sconsigliato durante la gravidanza. Sull’argomento però era stato
fatto un passo indietro quando, nel 2011, un’ampia meta-analisi aveva dimostrato che il rischio
di sviluppare anomalie non era eccessivo.
Sulla base di questi nuovi risultati, Jeanne Sibiude per l’Enquête Périnatale Française ha
concluso che occorre ritornare alla raccomandazione di evitare l’efavirenz durante il primo
semestre di gravidanza, almeno nei paesi dove sono disponibili altre opzioni terapeutiche. Altri
esperti hanno però puntualizzato che è sempre necessario soppesare il rischio a fronte dei
benefici in termini di riduzione della trasmissione materno-fetale che i regimi con efavirenz
consentono.
Link collegati
Resoconto completo su aidsmap.com
Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Webcast della sessione di presentazione
Il risultato di un lavoro straordinario
Si ringrazia MSF per l’immagine - 'Khayelitsha' © Samantha Reinders, in alto a destra. Altre immagini © Greta
Hughson/aidsmap.com.
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