dispercezioni e delirio nella malattia di parkinson

DISPERCEZIONI E DELIRIO NELLA MALATTIA DI PARKINSON
Letterio Morgante
Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Psichiatriche, Scienze Anestesiologiche, Università di Messina
Le dispercezioni rappresentano i più importanti e disabilitanti disordini neuropsichiatrici
associati con la malattia di Parkinson.
Durante gli ultimi 5 anni parecchi studi hanno valutato la distribuzione di sintomi psicotici in pazienti parkinsoniani e la frequenza riportata è variabile tra il 16 ed il 40% (1-2); essi
sono più frequenti nei pazienti con concomitanti disturbi cognitivi (1-3-4-5-6-7), con età
d'esordio più avanzato (3-5-8), con concomitante depressione (1-3), con alterazioni del
pattern del sonno (9), con la forma clinica acinetica (10), con disordini della motilità
oculare e prevalente compromissione assiale (11).
Recenti studi hanno dimostrato un'associazione tra sintomi psicotici, dose e durata di
trattamento con L-Dopa (1-3-6-7), dopaminoagonisti (3-4) e con selegilina (6).
Nell'ambito dei disturbi psicotici in corso di malattia di Parkinson si possono distinguere: i
disturbi della percezione, i disturbi confusionali (12%), i disturbi ideativi (19%).
I disturbi della percezione si manifestano soprattutto sotto forma di allucinazioni visive
con immagini di persone vive o morte, animali, oggetti, bambini e figure lillipuziane, che
possono comparire in occasione di un aumento del dosaggio dei farmaci dopaminergici, in occasione di un concomitante episodio infettivo o nel decorso postoperatorio di
un intervento chirurgico.
All'inizio possono essere benigne ma con il tempo interferiscono con le normali funzioni
e possono provocare grave disabilità (12).
Soltanto la metà dei pazienti trattati con farmaci dopaminergici sviluppa allucinazioni e
per questo alcuni studi hanno valutato se particolari assetti genetici o polimorfismi genici possano rappresentare un fattore di rischio per indurre allucinazioni.
Recentemente studi di farmacogenetica hanno dimostrato un'associazione tra alcuni
polimorfismi dei geni che codificano per i recettori D2 e D3 (13, 14) e l'insorgenza di allucinazioni in pazienti con Malattia di Parkinson.
I disturbi ideativi rappresentano un'altra manifestazione associata con la malattia di
Parkinson; spesso si tratta di semplici idee di riferimento che talvolta possono sfociare in
veri e propri deliri di persecuzione o deliri erotomanici.
I disturbi confusionali possono costituire l'evoluzione di precedenti sintomi psicotici.
Nell'ambito dei trattamenti collaterali della malattia di Parkinson, la terapia dei disturbi
psicotici rappresenta uno dei problemi di più complessa risoluzione e questo è facilmente comprensibile se si considera che tutti i neurolettici classici peggiorano il parkinsonismo per la loro nota attività di blocco sui recettori dopaminergici.
Un corretto approccio terapeutico dovrà presupporre una prima valutazione dell'entità
della compromissione che, se è lieve, non interferisce significativamente con le attività
quotidiane e non si accompagna a disturbi comportamentali, non dovrebbe essere
trattata con farmaci antipsicotici lasciando immodificato il trattamento con i farmaci
antiparkinsoniani.
Se invece i sintomi sono abbastanza severi è necessario intervenire seguendo un algoritmo precodificato.
In prima istanza è consigliabile sospendere gradualmente i farmaci antiparkinsoniani ad
eccezione della L-Dopa, secondo un criterio che prevede, come primo provvedimento,
la sospensione degli anticolinergici e degli antidepressivi triciclici e SSRI ed in ordine suc-
cessivo degli IMAO-B, dell'amantadina e dei dopaminoagonisti.
Se questo primo intervento non fosse seguito da una risoluzione o miglioramento sostanziale dei sintomi, si consiglia di ridurre il dosaggio della L-Dopa e sospendere gli inibitori
COMT e la L-Dopa della tarda serata e della notte, essendo i disturbi psicotici più pronunziati in queste ore della giornata; il dosaggio di L-Dopa potrà essere ridotto al minimo necessario per mantenere un buon livello di autonomia del paziente.
Se malgrado tali interventi la condizione psicotica rimanesse immodificata, si renderà
necessario un intervento farmacologico specifico utilizzando i cosiddetti neurolettici
atipici che, a differenza dei neurolettici di vecchia generazione come le fenotiazine, i
butirrofenoni e i derivati delle benzamidi, causano effetti extrapiramidali di lieve entità o
addirittura nessun effetto collaterale extrapiramidale.
Tra questi, la clozapina è sicuramente il farmaco che è stato più studiato.
Essa, a dosi clinicamente efficaci, blocca soltanto il 20% dei recettori D2 e possiede
un'affinità relativamente alta per i recettori D4 e proprietà più marcate di antagonismo
5-HT2 rispetto ai neurolettici classici.
In un precedente studio controllato è stato dimostrato che la clozapina, a piccole dosi
(da 6,25 a 50 mg/die), migliora significativamente i sintomi psicotici indotti dai farmaci
senza provocare peggioramento dei sintomi parkinsoniani (15).
Purtroppo la clozapina causa alcuni effetti collaterali piuttosto rischiosi: granulocitopenia (16) durante i primi mesi di trattamento, ipotensione ortostatica, crisi epilettiche, scialorrea ed incremento ponderale, miocardiopatia.
Durante i primi 6 mesi di trattamento con clozapina, la conta dei globuli bianchi dovrà
essere controllata settimanalmente e successivamente almeno ogni mese.
Nel caso di effetti collaterali tali da richiedere la sospensione del farmaco, altri neurolettici atipici possono rappresentare una valida alternativa.
La quetiapina è un neurolettico atipico che ha una più alta affinità nei confronti dei
recettori 5-HT2 rispetto ai recettori D1 e D2; allo stato attuale non sono stati pubblicati
studi clinici controllati sull'efficacia della quetiapina nei disturbi psicotici in corso di malattia di Parkinson; nei sette trials aperti pubblicati, la quetiapina a dosaggi variabili tra i 50
e i 200 mg ha dimostrato un miglioramento significativo dei disturbi psicotici senza significativi peggioramenti della sintomatologia parkinsoniana.
In un recente studio clozapina contro quetiapina, randomizzato, aperto per i pazienti
con una condizione di cecita' per gli sperimentatori, è stata dimostrata una pari efficacia dei 2 farmaci senza significativi peggioramenti dei sintomi extrapiramidali con
dosaggi di quetiapina variabili tra i 50 e i 200 mg (17).
L'olanzapina è un neurolettico atipico con alta affinità per un grande numero di recettori dopaminergici, serotoninergici, adrenergici, istaminici e muscarinici e un basso profilo di effetti collaterali rispetto ai neurolettici classici (18).
Nei 9 trials aperti condotti, l'olanzapina si è dimostrata efficace con dosaggi variabili tra
1,25 e 5 mg.
Tuttavia l'olanzapina è stata segnalata in uno studio doppio cieco, controllato, contro
clozapina come farmaco che potrebbe aggravare i sintomi parkinsoniani (19) anche se
bisogna considerare che in questo studio il dosaggio medio di olanzapina utilizzato (11,4
mg) corrispondeva al 60% del dosaggio massimo giornaliero previsto (20 mg) per i
pazienti affetti da schizofrenia; mentre il dosaggio medio di clozapina utilizzato (25,4 mg)
corrispondeva al 4% del dosaggio massimo giornaliero previsto (600 mg) per i pazienti
affetti da schizofrenia (20).
Il risperidone, efficace negli studi in aperto, ha dimostrato in uno studio controllato, doppio cieco, una pari efficacia rispetto alla clozapina; in questo studio i pazienti trattati con
risperidone mostravano un peggioramento della UPDRS che tuttavia non raggiungeva
livelli di significatività statistica (21).
Un'ultima possibilità è costituita dall'ondansetron (Zofran), un antagonista dei recettori
5-HT3.
Il razionale dell'uso di questo farmaco, che è molto costoso, dipende dalla possibilità
che i sintomi psicotici possano essere correlati ad una iperattività dei recettori serotoni-
nergici.
L'ondansetron è un farmaco antiemetico che è utilizzato in oncologia in corso di chemioterapia e che è capace di migliorare i sintomi psicotici, soprattutto le allucinazioni
visive, senza provocare peggioramento del parkinsonismo (22).
In conclusione sulla base degli studi precedenti si potrebbe proporre un algoritmo terapeutico illustrato in figura.
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