infoeuropa numero 52 del 19 gennaio 2009

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NUMERO 52 DEL 19 GENNAIO 2009
INFOEUROPA
NEWS E COMMENTI SU EUROPA, POLITICHE SOCIALI E SINDACATO
A cura di APICE – Associazione per l’Incontro delle Culture in Europa
In collaborazione con CISL LOMBARDIA – Dipartimento Internazionale
SOMMARIO
TRIBUNA EUROPA
NEWS
Russia-UE: ricatto sul gas e geopolitica
INFORMAZIONE POLITICA
di Adriana Longoni
Anche quest’inverno, particolarmente
freddo, si è riaccesa la polemica fra Russia
e Ucraina per il trasporto del gas russo
verso l’Europa. Polemiche che hanno
portato all’interruzione delle forniture
creando non pochi disagi all’UE e in
particolare ad alcuni suoi Stati membri.
A pag. » 13
7 › Dall'Europa e dal Mondo
Comunicati e attività di CES e CSI
_ CES: Chiesta riduzione tassi d’interesse
_ CES: New Deal sociale
_ CES: Necessaria azione europea per Gaza
_ CSI: Misure per la disoccupazione globale
_ CSI: Gaza, rifiutato il cessate il fuoco
_ CSI: CSI ha accolto risoluzione ONU
_ CSI: Gaza cessate il fuoco immediato
_ CSI: Chiesta la fine delle ostilità a Gaza
12 › DOCUMENTI
_ Disoccupazione in aumento nell’UE
_ Al 5% del PIL la spesa UE per l’istruzione
12 › APPUNTAMENTI EUROPEI
2 › Gaza: l’Europa ha esortato il cessate il
fuoco
2 › Gas: accordo russo-ucraino, ma le
forniture ritardano
3 › Un inizio difficile per la presidenza ceca
dell’UE
3 › Il Parlamento europeo ha chiesto il rilascio
delle suore italiane
ECONOMIA
4 › Proposte dell’europarlamento contro la
recessione
4 › Ancora in calo l’economia europea
5 › Forte discesa dell’inflazione nella zona euro
ALLARGAMENTO E MOBILITÀ DEI LAVORATORI
5 › Lavoro: altri quattro Paesi aprono a bulgari
e rumeni
INFORMAZIONE SOCIALE
6 › L’Europarlamento contro le discriminazioni
6 › Chiesta più trasparenza alle istituzioni
europee
Infoeuropa nasce dalla collaborazione tra APICE,
Associazione per l'incontro delle culture in Europa
presieduta da Franco Chittolina, e il D i p a r t i m e n t o
internazionale USR CISL Lombardia diretto da Rita Pavan.
Dall'inizio del 2008 la newsletter è realizzata da apiceuropa,
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INFORMAZIONE POLITICA
Gaza: l’Europa ha esortato il cessate il fuoco
Cessate il fuoco immediato, ritiro delle truppe israeliane, fine dei lanci di razzi su Israele e del
traffico di armi, queste le richieste del Parlamento europeo che ipotizza anche l’invio di una forza
multinazionale per ristabilire la sicurezza. Condannando gli attacchi sui civili, l’Europarlamento
ha chiesto a Israele di garantire il flusso di aiuti umanitari e di riaprire i valichi di frontiera, mentre
ha sollecitato Hamas a promuovere il dialogo tra palestinesi, contribuire ai negoziati di pace e
riconoscere a Israele il diritto di esistere. Nell’esprimere «sgomento» dinanzi alle sofferenze
della popolazione civile a Gaza, il Parlamento «condanna con forza in particolare il fatto che
durante gli attacchi siano stati colpiti obiettivi civili e delle Nazioni Unite» ed «esprime la propria
solidarietà alla popolazione civile vittima della violenza a Gaza e nel sud d’Israele».
Una tregua negoziale potrebbe essere garantita da un meccanismo, istituito dalla comunità
internazionale coordinata dal Quartetto (ONU-UE-USA-Russia) e dalla Lega araba, che
«potrebbe includere una presenza multinazionale nel quadro di un mandato chiaro, al fine di
ristabilire la sicurezza e garantire il rispetto del cessate il fuoco per le popolazioni di Israele e di
Gaza» hanno sostenuto gli eurodeputati, che hanno incoraggiato gli sforzi diplomatici intrapresi
finora dalla comunità internazionale, in particolare dall’Egitto e dall’UE. Quest’ultima è però
esortata dal Parlamento europeo a prendere una posizione politica «più determinata e coesa», il
Consiglio deve esercitare maggiori pressioni per far cessare le violenze e dovrebbe cogliere
l’opportunità di collaborare con la nuova Amministrazione statunitense per porre fine al conflitto
con un accordo fondato sulla soluzione dei “due Stati”. Al riguardo, l’Europarlamento ha
sottolineato «l’esigenza di un collegamento geografico permanente e di una riunificazione
politica pacifica e duratura tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania».
Anche il Consiglio d’Europa è intervenuto sul conflitto in corso, dichiarando attraverso il suo
segretario generale Terry Davis che «Israele ha il diritto di proteggersi, ma quel che si sta
verificando a Gaza è ingiustificabile. L’uso spropositato della forza da parte di Israele a Gaza
infligge sofferenze alla popolazione civile, viola ampiamente i diritti umani e genera un’ondata di
distruzione, senza tuttavia migliorare in alcun modo la situazione di sicurezza in Israele. Tutto
ciò aumenta il rischio di favorire il reclutamento di terroristi». Secondo il Consiglio d’Europa è
quindi «giunto il momento per Israele di porre fine alla violenza e di pensare seriamente a come
rimediare alle conseguenze».
Un ulteriore appello alla tregua è giunto anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban
Ki-moon, secondo cui «è giunto il momento di pensare anche a un cessate il fuoco unilaterale
da parte di Israele»; Ban Ki-moon ritiene possibile che Israele e Hamas raggiungano un’intesa
per il cessate il fuoco nel giro di qualche giorno. Intanto però la guerra continua «finché non
saranno raggiunti tutti gli obiettivi» hanno dichiarato le autorità israeliane, e, secondo le cifre
fornite dal ministero della Sanità palestinese, il numero delle vittime palestinesi è salito a 1133
morti e 5150 feriti. (16 gennaio 2009)
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Gas: accordo russo-ucraino, ma le forniture ritardano
Dopo la Russia anche l’Ucraina ha sottoscritto il protocollo d’intesa che prevede il monitoraggio
internazionale del flusso di gas, quindi dovrebbe essere risolta la crisi che anche in questo inizio
anno ha bloccato per alcuni giorni le forniture di gas russo all’UE. L’accordo, frutto di una lunga
e difficile mediazione svolta dal premier ceco Topolánek, presidente di turno dell’UE, e dal suo
ministro dell’Industria Marin Riman, definisce le modalità del monitoraggio e la composizione
della commissione incaricata, di cui faranno parte non solo esperti ucraini, russi e dell’UE ma
anche di compagnie europee importatrici. Tale accordo, che è stato accettato prima dal primo
ministro russo Vladimir Putin e poi dalla primo ministro ceca Yulia Tymoshenko, ha così aperto
la strada all’invio di un certo numero di osservatori europei nei punti chiave del transito del gas,
sia in Ucraina sia in Russia, per assicurare che il metano destinato ai clienti europei giunga
interamente a destinazione. Questione delicata e rilevante, dal momento che l’UE importa il 25%
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del gas dalla Russia e l’80% di questo passa attraverso l’Ucraina.
Nonostante la sottoscrizione del protocollo d’intesa, però, in base alle informazioni fornite dagli
osservatori europei che si trovano in territorio russo e ucraino il flusso di gas russo è rimasto
bloccato per giorni. Russia e Ucraina sono state quindi invitate a «ripristinare immediatamente le
forniture» e il negoziato è passato a una forma di incontri diretti tra le due parti, sempre mediati
da rappresentanti dell’UE. La questione di fondo attiene al prezzo del gas: l’Ucraina ha proposto
alla compagnia energetica russa Gazprom il prezzo di 196,6 dollari per 1000 m3 di gas, a patto
di rialzare i costi di transito a 2,2 dollari per m3 ogni 100 km di tubi. La richiesta russa è invece
decisamente superiore e così le autorità ucraine si sono dette disposte a salire fino a 218 dollari
per m3, ma con un costo di transito di 2,47 dollari. (16 gennaio 2009)
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Un inizio difficile per la presidenza ceca dell’UE
Appena assunta la presidenza dell’UE per il primo semestre 2009, le autorità delle Repubblica
Ceca hanno subito dovuto affrontare due questioni molto complesse: la guerra israelopalestinese nella Striscia di Gaza e la crisi russo-ucraina sulle forniture di gas. Una materia,
quella dell’approvvigionamento, che attiene alla politica energetica dell’UE, indicata tra le priorità
della presidenza ceca per la quale è necessaria la «ricerca di un equilibrio tra le esigenze
dell’ambiente e la tutela della competitività e della sicurezza degli approvvigionamenti energetici
in Europa», ha dichiarato il primo ministro Mirek Topolánek, che intende portare avanti il dibattito
sulla diversificazione delle fonti di energia e sulla creazione di nuove reti energetiche.
Altra priorità della presidenza ceca è l’attuazione del pacchetto anti-crisi da 200 miliardi di euro,
approvato dai leader dell’UE sotto la presidenza francese nel secondo semestre 2008. Nel suo
programma, il governo ceco ha dichiarato di voler far fronte ai problemi economici dell’UE
rafforzando la competitività e ripristinando la fiducia dei consumatori e dei piccoli imprenditori. In
ambito politico-istituzionale si tratta di un semestre piuttosto intenso, che prevede l’elezione di
un nuovo Parlamento europeo e l’avvio del processo di nomina di una nuova Commissione, e la
gestione del processo di ratifica del Trattato di Lisbona.
In materia sociale, invece, la presidenza ceca cercherà di raggiungere un compromesso sulla
procedura di conciliazione tra Parlamento e Consiglio per quanto riguarda la direttiva sull’orario
di lavoro, oltre a tentare di guidare l’attuazione della Strategia di Lisbona, accordando priorità al
rafforzamento della flessibilità nel mercato del lavoro, nelle relazioni industriali e nei servizi
sociali, al potenziamento di un approccio attivo per il reinserimento sul mercato del lavoro e alla
formazione permanente. La presidenza ceca intende poi fare dei servizi sociali «uno strumento
di prevenzione contro la marginalizzazione sociale, uno strumento d’inserimento attivo delle
persone più vulnerabili e, allo stesso tempo, un settore di opportunità crescenti in materia
d’occupazione». Desta invece curiosità l’intenzione di rivedere gli obiettivi di Barcellona nel
settore dell’assistenza ai bambini in età prescolastica, nonché l’esame dei progetti legislativi
della Commissione relativi alla conciliazione tra vita professionale, privata e familiare: la
presidenza ceca pone infatti l’accento sul «rispetto dell’autonomia e della libertà di scelta delle
famiglie», sulla qualità dei servizi di cura e sull’importanza del contesto socioculturale e
dell’esperienza storica degli Stati membri, richiamando l’attenzione sull’importanza per i genitori
di «restare a casa per occuparsi dei bambini» come alternativa alla vita professionale.
Per quanto concerne le relazioni esterne, il programma di lavoro della presidenza punta ad un
maggiore avvicinamento dei Balcani occidentali in una prospettiva di allargamento dell’UE e
prevede l’organizzazione di un Vertice UE-Balcani entro l’estate. Sarà poi la presidenza di turno
ceca a instaurare le prime relazioni dell’UE con la nuova Amministrazione statunitense di Barack
Obama, in base al fatto che per il governo ceco le relazioni UE-USA costituiscono «un elemento
fondamentale per la cooperazione economica e la sicurezza dell’Europa». (12 gennaio 2009)
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Il PE ha chiesto il rilascio delle suore italiane
Adottando una risoluzione sulla situazione nel Corno d’Africa, il Parlamento europeo ha chiesto
al governo somalo di intervenire per accelerare il rilascio delle due suore italiane, Maria Teresa
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Olivero e Caterina Giraudo, rapite al confine tra Kenya e Somalia il 9 novembre scorso.
L’Europarlamento, condannando i frequenti attacchi contro operatori umanitari, ha ribadito la
necessità di procedere al potenziamento della missione dell’Unione africana in Somalia
(AMISOM) e al dispiegamento di una forza di stabilizzazione delle Nazioni Unite e ha chiesto
anche al Consiglio e alla Commissione di continuare nel loro impegno rivolto al potenziamento
delle istituzioni somale. Anche l’Etiopia e l’Eritrea, i cui rapporti sono causa di tensioni nel Corno
d’Africa, sono state invitate a cooperare con le organizzazioni umanitarie e a garantire i diritti
dell’uomo e la libertà di stampa e di espressione. Al governo etiope è stato chiesto di approvare
come definitiva e vincolante la demarcazione tra l’Eritrea e l’Etiopia elaborata dalla
Commissione sui confini, mentre il governo eritreo è invitato ad «accettare un dialogo con
l’Etiopia che affronti il processo di disimpegno delle truppe dal confine e la demarcazione fisica
in base alla decisione della Commissione sui confini, come pure la normalizzazione delle
relazioni tra i due Paesi». In tale ambito, i deputati europei hanno chiesto alla comunità
internazionale e all’UE di esercitare pressioni su entrambe le parti affinché superino l’attuale
situazione di stallo. (16 gennaio 2009)
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ECONOMIA
Proposte dell’europarlamento contro la recessione
Per far fronte ai rischi di recessione e di instabilità finanziaria, il Parlamento europeo ha chiesto
un maggior coordinamento economico a livello europeo, aumenti salariali e un’applicazione
«intelligente» della flessibilità del Patto di stabilità e crescita, mantenendo però bilanci pubblici
sani. Gli eurodeputati ritengono utile istituire un meccanismo obbligatorio di consultazione e
coordinamento tra la Commissione e gli Stati membri prima di adottare misure economiche
rilevanti, soprattutto per quanto riguarda le disposizioni in risposta alla volatilità dei prezzi
dell’energia, delle materie prime e delle derrate alimentari. Inoltre, devono essere valutate le
ricadute degli interventi pubblici a favore del settore finanziario e industriale e definite con
esattezza le condizioni da porre ai salvataggi di banche: la Commissione dovrebbe farsi
promotrice di indicatori/linee guida al fine di garantire un’attuazione compatibile e coordinata dei
diversi piani nazionali. Dal momento che i massicci interventi pubblici di salvataggio e sostegno
dell’industria bancaria e finanziaria «avranno conseguenze evidenti sulle finanze pubbliche e sul
reddito dei cittadini», l’Europarlamento ritiene necessario che il carico fiscale «sia
adeguatamente ed equamente ripartito tra tutti i contribuenti». A tal fine è richiesta una
«adeguata» imposizione fiscale per tutti gli attori finanziari e una «progressiva ed incisiva»
diminuzione della pressione fiscale sui salari medio-bassi e le pensioni, con detrazioni fiscali,
revisioni delle aliquote, restituzione del drenaggio fiscale, «così da ridurre la povertà e favorire i
consumi e la crescita della domanda». Secondo i deputati europei, la sostenibilità delle finanze
pubbliche è «una condizione necessaria e prioritaria» per la stabilità e la crescita e la definizione
delle politiche macroeconomiche, occupazionali, sociali ed ambientali di ogni Stato membro.
Deficit e debito pubblico hanno infatti effetti negativi sulla crescita, perché limitano i margini di
manovra degli Stati membri nei periodi di crisi, per questo gli Stati membri sono chiamati a
maggiori sforzi per il consolidamento finanziario e la riduzione del debito pubblico appena
riprenderà la crescita. (13 gennaio 2009)
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Ancora in calo l’economia europea
Le ultime rilevazioni Eurostat relative al terzo trimestre 2008 hanno evidenziato una diminuzione
dello 0,2% del PIL europeo sia nella zona euro sia nell’UE27, dopo i dati già negativi del
secondo trimestre quando il PIL era sceso dello 0,2% nella zona euro ed era rimasto fermo
nell’UE. Per quanto riguarda la zona euro è confermata dunque la situazione di recessione
tecnica, data la decrescita del PIL per due trimestri consecutivi, mentre per l’intera UE la
definizione tecnica è solo sfiorata (data la crescita zero del secondo trimestre) ma la tendenza
negativa è piuttosto evidente. Non va comunque meglio per le economie degli altri tradizionali
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competitori globali: negli USA il PIL è diminuito dello 0,1% nel terzo trimestre, dopo il +0,7% del
trimestre precedente, mentre in Giappone il calo del PIL è stato dello 0,5% e dell’1%. Tra le
varie componenti del PIL, nel terzo trimestre 2008 si è registrata una diminuzione significativa
degli investimenti sia nella zona euro (-0,6%) sia nell’UE27 (-0,8%), a conferma di una tendenza
già evidente nel trimestre precedente (rispettivamente -0,9% e -0,7%).
D’altro canto, l’indicatore europeo della fiducia economica (Economic Sentiment Indicator - ESI)
ha fatto segnare nel dicembre 2008 il suo record negativo, scendendo ulteriormente dopo il forte
calo già registrato nei due mesi precedenti e raggiungendo i valori di 67,1 per la zona euro e di
63,5 per l’UE27, il che equivale all’indice più basso mai registrato da quando l’ESI è stato
istituito nel 1985. Stessa cosa è avvenuta per l’analogo indicatore che misura in specifico la
situazione industriale (Business Climate Indicator - BCI), ai minimi termini nel dicembre 2008. (9
gennaio 2009)
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Forte discesa dell’inflazione nella zona euro
L’area dell’euro ha chiuso il 2008 con un tasso d’inflazione all’1,6%, tornando al livello
dell’ottobre 2006 cioè il più basso da quando è entrata in circolazione la moneta unica. Era
dall’agosto 2007 che non si scendeva sotto il 2%, soglia presa a riferimento dalla Banca
Centrale Europea. Le stime di Eurostat hanno evidenziato dunque come in circa cinque mesi il
tasso d’inflazione si sia più che dimezzato, passando dai livelli record del 4% registrati in giugno
e luglio all’1,6% di dicembre. Il forte calo del prezzo del petrolio ha avuto un’influenza
determinante, provocando la riduzione dei prezzi di molti beni e servizi, ma il fenomeno è
naturalmente legato anche alla crisi economica in atto, con la zona euro già in recessione, una
diminuzione dei consumi e dunque anche dei prezzi. Gli addetti ai lavori della Commissione
europea temono che l’attuale positivo calo dei prezzi si trasformi tuttavia in deflazione, causata
da una prolungata debolezza della domanda di beni e servizi da parte di consumatori e imprese,
innescando così una spirale negativa e pericolosa per l’economia europea. (7 gennaio 2009)
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ALLARGAMENTO E MOBILITÀ DEI LAVORATORI
Lavoro: altri quattro Paesi aprono a bulgari e rumeni
Grecia, Portogallo, Spagna e Ungheria hanno deciso di abolire le restrizioni all’accesso dei loro
mercati del lavoro per i lavoratori bulgari e rumeni, accogliendo così l’invito fatto dalla
Commissione europea ai governi dell’UE nel novembre scorso. I quattro Stati membri dell’UE si
vanno quindi ad aggiungere agli altri dieci che avevano già aperto i rispettivi mercati del lavoro a
lavoratori provenienti da Bulgaria e Romania, cioè gli ultimi due Paesi a essere entrati nell’UE.
Al momento restano dunque undici Stati membri dell’UE a mantenere le restrizioni alla libera
circolazione dei lavoratori bulgari e rumeni: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania,
Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Regno Unito. La Danimarca ha però già
annunciato che annullerà le restrizioni a partire dal prossimo 1° maggio. La crisi economica non
può essere una ragione per mantenere le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori, ha
dichiarato il commissario europeo responsabile per Occupazione, Affari sociali e Pari
opportunità, Vladimír Spidla, osservando che la mobilità della manodopera tende ad
autoregolarsi: «I lavoratori vanno dove c’è domanda di lavoro e non restano in un altro Paese in
condizioni di disoccupazione». Va ricordato che il 31 dicembre scorso è terminata la prima fase
di disposizioni transitorie, che consentono agli Stati membri di limitare temporaneamente il libero
accesso dei lavoratori bulgari e rumeni, restrizioni introdotte da 15 Stati membri su 25 nel
gennaio 2007, data d’ingresso nell’UE di Bulgaria e Romania. La seconda fase, ora in corso per
gli undici Paesi mantenitori scadrà il 31 dicembre 2011, dopodiché le restrizioni potranno essere
mantenute solo in caso di grave turbativa del mercato del lavoro e solo per altri due anni. (8
gennaio 2009)
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INFORMAZIONE SOCIALE
L’Europarlamento contro le discriminazioni
L’attuazione dei diritti fondamentali deve «essere un obiettivo di tutte le politiche europee» e le
istituzioni dell’UE «dovrebbero promuoverli attivamente, tutelarli e tenerne pienamente conto in
fase di elaborazione e adozione della legislazione», ha osservato una risoluzione adottata dal
Parlamento europeo. Esprimendo preoccupazione per il fatto che la cooperazione internazionale
nella lotta contro il terrorismo «è spesso sfociata in un abbassamento del livello di protezione dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», l’Europarlamento deplora che gli Stati membri
«continuino a sottrarsi a un controllo comunitario delle proprie politiche e pratiche in materia di
diritti dell’uomo e cerchino di limitare la protezione di tali diritti ad un quadro puramente interno».
Per questo è stato chiesto al Consiglio di integrare nelle sue future Relazioni annuali sui diritti
dell’uomo nel mondo un’analisi della situazione in ogni Stato membro. Gli Stati membri sono
chiamati a perseguire con determinazione qualsiasi incitazione all’odio «espressa in programmi
mediatici razzisti e articoli che diffondano idee intolleranti, attraverso reati di odio nei confronti di
rom, immigrati, stranieri, minoranze nazionali tradizionali e altre minoranze, nonché da gruppi
musicali e in occasione di concerti neonazisti». I partiti e i movimenti politici che esercitano una
forte influenza sui mass-media dovrebbero inoltre astenersi dalle incitazioni all’odio e dalla
diffamazione nei confronti delle minoranze. Due le forme di discriminazione che
l’Europarlamento ritiene debbano essere contrastate urgentemente: quella verso la comunità
rom, «storicamente emarginata», cui «è stato impedito di svilupparsi in determinati settori
chiave, a causa di problemi di discriminazione, di stigmatizzazione e di esclusione che si sono
sempre più intensificati», e l’omofobia. Secondo l’Europarlamento, infatti, le affermazioni
discriminatorie «di esponenti politici, sociali e religiosi estremisti» contro gli omosessuali vanno
punite perché «alimentano l’odio e la violenza». I deputati europei hanno invitato poi gli Stati
membri a dare asilo alle vittime di persecuzioni basate sull’orientamento sessuale, e sostengono
l’iniziativa francese per la depenalizzazione universale dell’omosessualità. (14 gennaio 2009)
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Chiesta più trasparenza alle istituzioni europee
Le istituzioni democratiche «hanno il dovere di assicurare pubblicità alle proprie attività,
documenti e decisioni, in quanto condizione della loro legalità, legittimità e responsabilità», per
questo il Parlamento europeo ha chiesto maggior trasparenza da parte delle istituzioni dell’UE.
Secondo l’Europarlamento deve essere migliorato l’accesso del pubblico ai documenti
(semplificando e unificando i registri) e data maggior pubblicità ai lavori del Consiglio, così come
deve essere elaborata una legge europea «ambiziosa» sulla libertà d’informazione e devono
essere pubblicate sul web informazioni complete relative ad attività, frequenza e indennità degli
eurodeputati, nonché sui lavori di tutti gli organi parlamentari. I cittadini dell’UE dovrebbero poter
seguire una data procedura legislativa o amministrativa e accedere a tutti i documenti ad essa
relativi, hanno ribadito i deputati europei, per questo hanno proposto di migliorare e semplificare
le pagine web delle istituzioni europee e di creare un unico portale dell’UE per le informazioni e i
documenti, garantendo un «effettivo multilinguismo» e ricorrendo a tecnologie che permettano
alle persone con disabilità di avere accesso alle informazioni e ai documenti. Il Parlamento
europeo ha affermato anche che le istituzioni UE dovrebbero informare i cittadini «in modo
corretto e trasparente» in merito alla propria struttura organizzativa, precisando le competenze
dei propri servizi interni, illustrandone il lavoro interno, fornendo scadenze indicative per i
dossier che rientrano fra le loro competenze, e indicando a quali uffici i cittadini debbano
rivolgersi per ottenere assistenza, informazioni o presentare ricorsi amministrativi. Tutte le
proposte legislative, infine, dovrebbero essere accompagnate da una valutazione d’impatto
accessibile al pubblico. (14 gennaio 2009)
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Infoeuropa | Numero 52 del 19 gennaio 2009 | 6
DALL'EUROPA E DAL MONDO - FINESTRA SULL'ATTIVITÀ DI CES E CSI
14 gennaio 2009 La CES ha chiesto alla Banca Centrale Europea di ridurre i tassi
d'interesse al minimo necessario
Mentre la crisi economica persiste, la Banca Centrale Europea (BCE) sta
ritardando pericolosamente il proprio processo decisionale. L'attività economica
sta crollando: l'inflazione ha superato la soglia di stabilità dei prezzi del 2%
mentre la disoccupazione aumenta sensibilmente in tutti i Paesi europei. A ciò si
aggiunge anche il rischio di un nuovo apprezzamento del tasso di cambio
dell'euro, che avrà ulteriori ripercussioni sulle attività economiche e
sull'occupazione in Europa. La sola decisione giudiziosa che può prendere la
BCE sarà di continuare la politica di riduzione dei tassi d'interesse, riducendoli al
minimo necessario.
Reiner Hoffmann, vicesegretario generale della CES, ha sottolineato che «dal
momento che l'economia sta affrontando la sua peggior recessione, è
estremamente pericoloso invocare l'argomentazione secondo cui i tassi
d'interesse non possono essere tagliati perché sarebbe difficile aumentarli in
futuro. L'economia europea non deve essere sacrificata a causa del mancato
funzionamento del processo decisionale interno alla BCE dovuto all’assenza di
consenso e unanimità».
Leggi il comunicato
8 gennaio 2009 Trasformazione del capitalismo: il New Deal sociale deve sorgere dalle
rovine della crisi
John Monks, segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati
(CES) ha partecipato al Congresso internazionale sulla rifondazione del
capitalismo, presieduto da Tony Blair e Nicolas Sarkozy, il 7 e 8 gennaio scorsi
a Parigi. Questo evento è stata l'occasione per la CES di esprimersi su giustizia
sociale e mondializzazione nell’ambito del deterioramento del contesto sociale
ed economico.
In occasione del suo intervento sulla mondializzazione e la giustizia sociale,
John Monks ha dichiarato: «Siamo stati testimoni dell'implosione del
capitalismo finanziario. Le ragioni che ci hanno condotti alla crisi attuale sono
più ovvie da identificare che non le strategie da attuare per il rilancio. È chiaro
che siamo lontani dall’aver creato istituzioni capaci di contenere i rischi della
mondializzazione. Noi - e la maggioranza parte dei Paesi del mondo - abbiamo
beneficiato dell'apertura dell'economia globale. Ma questi vantaggi verranno
rapidamente dimenticati quando milioni di persone in Europa e in altre parti del
mondo, dovranno affrontare la disoccupazione. La libera circolazione del
capitale, dei beni e dei servizi non sopravvivrà se non si daranno risposte a
livello europeo ed internazionale per trattare questi rischi globali. Dobbiamo
condurre un'azione efficace per il rilancio. Altrimenti il protezionismo e i
disordini sociali saranno inevitabili. Ricordiamoci ciò che è avvenuto
recentemente in Grecia (...). Abbiamo bisogno di un New Deal sociale il cui
obiettivo sia lo sviluppo di un nuovo sistema che crei meno divisioni e che sia
più corretto. Dobbiamo immediatamente agire sull'occupazione, aiutare le
persone che hanno lavori precari e impedire che coloro che hanno lavori sicuri
diventino nuovi precari. Abbiamo bisogno di un partenariato tra gli Stati Uniti e
l'Europa incentrato sullo sviluppo sostenibile, poiché abbiamo anche bisogno di
un New Deal verde (....), in cui lavoratori e sindacati siano coinvolti attraverso il
rafforzamento dei contratti collettivi nazionali di lavoro».
Leggi il comunicato
5 gennaio 2009 La CES ha richiesto un'azione europea decisiva per porre fine alla
violenza a Gaza
La Confederazione Europea dei Sindacati (CES) ha lamentato l’uccisione di
decine di civili innocenti e ha rivolto un appello ad Hamas e ad Israele, affinché
sospendano immediatamente le ostilità. La CES ha chiesto anche il ritiro delle
truppe israeliane, a seguito dei loro bombardamenti e della loro incursione a
Gaza come conseguenza del lancio di razzi di Hamas. Ha inoltre invitato
l'Unione europea ad intervenire
con |determinazione,
in gennaio
qualità di2009
mediatore
per
Infoeuropa
Numero 52 del 19
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ottenere un cessate il fuoco e l’instaurazione del dialogo.
DALL'EUROPA E DAL MONDO - FINESTRA SULL'ATTIVITÀ DI CES E CSI
Gaza come conseguenza del lancio di razzi di Hamas. Ha inoltre invitato
l'Unione europea ad intervenire con determinazione, in qualità di mediatore per
ottenere un cessate il fuoco e l’instaurazione del dialogo.
John Monks, segretario generale della CES, ha dichiarato: «La reazione
israeliana alle provocazioni ripetute di Hamas è completamente sproporzionata,
e non farà che incoraggiare gli estremisti in Palestina. Un Paese che ha appena
rivalorizzato la propria relazione privilegiata con l'Unione europea alcune
settimane fa deve agire in modo responsabile, altrimenti bisogna trarre atre
conclusioni. La reazione che l'Europa ha mostrato fino ad oggi è stata deludente.
L'assenza del ruolo istituzionale che avrebbe svolto Javier Solana se il Trattato di
Lisbona fosse già entrato in vigore ha avuto di nuovo come conseguenza una
reazione insufficiente, insieme all'indecisione della presidenza».
Leggi il comunicato
14 gennaio 2009 I sindacati hanno invitato Banca mondiale e Fondo Monetario
Internazionale a intervenire contro l’aumento della disoccupazione
Una delegazione internazionale composta da 80 rappresentanti sindacali di alto
livello si è riunita a Washington con il direttore generale del Fondo Monetario
Internazionale (FMI), Dominique Strauss-Kahn, e il presidente della Banca
mondiale, Robert Zoellick, così come alcuni membri dei consigli di
amministrazione e dirigenti di queste due istituzioni. Tale delegazione ha il
compito di fare pressione a favore dell'adozione sia di nuove misure urgenti
contro la recessione, sia di una regolamentazione mondiale efficace e in grado di
garantire la stabilità economica mondiale futura. La delegazione condotta da
Sharan Burrow e Guy Ryder, rispettivamente presidente e segretario generale
della CSI, ha incluso dirigenti ed esperti in economia, provenienti da
confederazioni sindacali nazionali, da federazioni sindacali internazionali e dalla
Commissione sindacale consultiva presso l'OCSE (CSC-OCDE).
Al centro delle preoccupazioni del movimento sindacale c’è il consistente
aumento della disoccupazione a livello mondiale, dal momento che sempre più
datori di lavoro riducono le proprie forze lavoro di fronte alla restrizione del
credito.
«L'intervento dei governi e delle istituzioni finanziarie internazionali per la
promozione del lavoro dignitoso è essenziale di fronte alla minaccia di una
imminente crisi occupazionale a livello mondiale e getterà le basi per il rilancio
economico. Mentre, da un lato, il FMI ha incoraggiato i Paesi industrializzati a
adottare politiche vigorose di agevolazione fiscale, misura che consideriamo
adeguata, dall’altro, ha avuto la tendenza a raccomandare alla maggior parte dei
Paesi in via di sviluppo un approccio molto più tradizionale “di disciplina
fiscale”. Le economie di transizione e di sviluppo ora stanno cominciando a
soffrire dalla crisi economica globale e il FMI e la Banca mondiale sono
destinati ad abbandonare le proprie politiche errate del passato e a concentrare i
propri sforzi sul mantenimento e sulla creazione di posti di lavoro, sia per
fronteggiare la crisi in corso, sia per gettare le basi del rilancio economico», ha
dichiarato Guy Ryder, segretario generale di CSI.
Le stime pubblicate dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), prima
che la crisi fosse evidente nel suo insieme, predicevano già la perdita di 20
milioni di posti di lavoro entro la fine del 2009 e un aumento del numero di
persone che vivono con meno di un dollaro al giorno pari a 40 milioni. I
sindacati temono che, con l'aggravarsi della recessione, gli impatti di lungo
periodo saranno decisamente peggiori. Il FMI ha accordato prestiti di emergenza
a molti Paesi fortemente interessati dalla crisi economica. Nonostante la
condizionalità di questi prestiti non sia complessa e onerosa come quella imposta
durante la crisi finanziaria asiatica del 1997-98, le affiliate della CSI si sono
dette preoccupate per alcune condizioni o “azioni precedenti” collegate ad un
buon numero di questi prestiti, come l’aumento dei tassi d'interesse e dei prezzi
dei servizi, le riduzioni salariali, in particolare nel settore pubblico, le revisioni al
ribasso dei pagamenti delle pensioni ed altri tagli alle spese pubbliche. Tutte
queste misure avranno l’effetto di rallentare le attività di economie già in
recessione e comporteranno, inoltre, un deterioramento del tenore di vita dei
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lavoratori. Perciò, risultano
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politiche
agevolazione
fiscale, di cui il FMI ne incoraggia l’adozione nei Paesi ricchi.
DALL'EUROPA E DAL MONDO - FINESTRA SULL'ATTIVITÀ DI CES E CSI
recessione e comporteranno, inoltre, un deterioramento del tenore di vita dei
lavoratori. Perciò, risultano incompatibili con le politiche di agevolazione
fiscale, di cui il FMI ne incoraggia l’adozione nei Paesi ricchi.
La CSI si è dichiarata particolarmente preoccupata da alcune condizioni
contenute in un accordo di prestito che è stato appena concluso tra il FMI ed il
governo della Bielorussia. In cambio di un prestito di emergenza di un valore di
2,46 miliardi di dollari, il governo bielorusso, che l'Organizzazione
Internazionale del Lavoro ha condannato per violazione dei diritti fondamentali
dei lavoratori, si è impegnato ad applicare riduzioni salariali in tutto il suo vasto
settore pubblico nazionale, ad aumentare i prezzi dei servizi pubblici e a
proseguire le privatizzazioni. Alla Bielorussia è stato anche richiesto di
procedere ad una riforma della propria rete di sicurezza sociale puntando a
concentrare l'aiuto “sui gruppi più vulnerabili”: ciò rischia di tradursi in un
indebolimento della protezione sociale per un gran numero di lavoratori, che
incontrano maggiori difficoltà ad esprimersi liberamente e a difendersi contro la
repressione antisindacale condotta dal regime di Lukashenko. «Prima di
concedere il prestito, il FMI deve pretendere che il governo bielorusso rispetti i
diritti umani riconosciuti a livello internazionale, comprese le norme
fondamentali del lavoro» ha affermato Guy Ryder, segretario generale della CSI.
La delegazione sindacale sta presentando un programma di rilancio e un
pacchetto di riforma, basati sulla “Dichiarazione di Washington”, presentata alla
Conferenza dei capi di Stato e di governo del G20 a Washington nel novembre
2008. Il programma insiste sul fatto che i governi devono essere pronti a
procedere a nuove riduzioni coordinate dei tassi d'interesse e a indirizzare gli
investimenti soprattutto nelle infrastrutture, nell'istruzione e nella sanità, per
stimolare la crescita della domanda e per rafforzare i servizi pubblici. A ciò
dovranno accompagnarsi misure fiscali e di bilancio mirate a sostenere il potere
d'acquisto dei lavoratori dipendenti di medio e basso reddito e a favorire gli
investimenti in prodotti e servizi verdi, per rispondere alle sfide del
cambiamento climatico,
Poiché il G20 ha invitato il FMI ad assumere un ruolo centrale nella
predisposizione di un nuovo quadro regolamentare del sistema finanziario
mondiale, la delegazione sindacale internazionale insisterà per avere un ruolo
nella tavola dei negoziati nell’ambito di un processo di ri-regolamentazione che
pone come priorità assoluta l'economia reale e non gli interessi degli speculatori
finanziari mondiali.
«I lavoratori stanno pagando le spese dell'attuale crisi e i loro sindacati, già da
tempo, hanno messo in guardia dai pericoli di un sistema finanziario globale
privo di qualunque controllo regolatore», ha dichiarato Ryder, che ha aggiunto:
«Le efficaci regole della trasparenza e della regolamentazione sono
estremamente importanti per porre fine alle incertezze e per ripristinare la fiducia
degli investitori».
Inoltre, la delegazione sindacale sta invitando la Banca mondiale ad intervenire
per evitare una ripetizione dell'impatto catastrofico della recente crisi dei prezzi
alimentari sulle popolazioni dei Paesi poveri. Per questo motivo è stato chiesto
alla Banca mondiale di andare oltre la concessione di prestiti di emergenza e di
aiutare i Paesi del sud a rafforzare la propria sicurezza alimentare. In questo
modo, entrambe le istituzioni finanziarie internazionali dovranno modificare
alcune delle politiche verso cui avevano incoraggiato i Paesi poveri: come la
riduzione dell'aiuto pubblico agli agricoltori attraverso semi e fertilizzanti a
basso costo, lo smantellamento degli stock pubblici di cereali e la transizione
della produzione agroalimentare verso la produzione di biocarburanti. Queste
raccomandazioni per le politiche di riforma sono contenute nella Dichiarazione
dei sindacati globali alle riunioni annuali del FMI e della Banca mondiale dello
scorso ottobre. La delegazione chiederà anche al presidente della Banca
mondiale, Robert Zoellick, di fissare un termine alla promozione della
deregolamentazione dei mercati del lavoro all’interno della pubblicazione della
Banca mondiale “Doing Business”, che elogia le prestazioni di Paesi come la
Bielorussia, che hanno eliminato le protezioni basilari per i lavoratori. «Sembra
insensato che la Banca mondiale continui a promuovere la deregolamentazione
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globale come la panacea aiInfoeuropa
mali dei Paesi
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sviluppo
mentre
è ovvio
precisamente l'assenza di una regolamentazione internazionale adeguata che ha
gettato l'economia mondiale nella crisi più grave dagli anni Trenta» ha dichiarato
Guy Ryder, segretario generale della CSI.
DALL'EUROPA E DAL MONDO - FINESTRA SULL'ATTIVITÀ DI CES E CSI
insensato che la Banca mondiale continui a promuovere la deregolamentazione
globale come la panacea ai mali dei Paesi in via di sviluppo mentre è ovvio che è
precisamente l'assenza di una regolamentazione internazionale adeguata che ha
gettato l'economia mondiale nella crisi più grave dagli anni Trenta» ha dichiarato
Guy Ryder, segretario generale della CSI.
Le organizzazioni sindacali nazionali fanno pressione sui propri governi in vista
dell'attuazione del programma di rilancio e di riforma. Una nuova
mobilizzazione globale è prevista in occasione del secondo Vertice del G20 sulla
crisi, che si terrà nel mese d'aprile a Londra.
Leggi il comunicato
12 gennaio 2009
Gaza: rifiuto del cessate il fuoco imprudente e del tutto inaccettabile
Il rifiuto di Israele e di Hamas ad accettare la risoluzione del Consiglio di
Sicurezza dell'ONU per il cessate il fuoco è del tutto inaccettabile e causerà
ancora la morte di molti altri civili innocenti, dal momento che Israele sta
intensificando l’azione militare e Hamas continua a lanciare razzi in territorio
israeliano. Israele ha subito le critiche internazionali per il lancio della campagna
militare, in particolare quelle del segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon,
che ha espresso la sua «costernazione profonda» a seguito degli attacchi di
mortaio su una scuola dove un grande numero di persone aveva trovato rifugio
per fuggire dai combattimenti. Molte agenzie delle Nazioni Unite, come anche la
Croce Rossa, hanno poi accusato Israele non di rispettare il diritto umanitario
internazionale, ostacolando l'accesso del personale medico ai civili feriti, ai
soccorritori e ai giornalisti che sono stati uccisi o feriti. Israele è anche stato
oggetto di accuse, che ha smentito, secondo cui avrebbe utilizzato contro i civili
armi al fosforo bianco. «Tali violazioni del diritto umanitario internazionale
devono essere condannate senza riserva. Ad ogni modo, la morte e le ferite di
centinaia di persone innocenti sono del tutto inaccettabili» ha affermato Guy
Ryder, segretario generale della CSI.
Centinaia di civili, tra cui moltissimi bambini, sono stati uccisi dall'inizio
dell'incursione militare di Israele nella Striscia di Gaza, mentre gli ospedali nel
territorio assediato stanno lottando per fare fronte alle migliaia di feriti. In totale
oltre 1000 persone sarebbero state già uccise. «La risoluzione dell'ONU offriva
un quadro chiaro ed equilibrato per un immediato cessate il fuoco. Tuttavia, sia
Israele sia Hamas hanno rifiutato di attuarla. Tale rifiuto è imprudente e
profondamente deprecabile, nella misura in cui sono civili innocenti che
continueranno a pagare il prezzo più alto per l'inadempienza dei dirigenti politici
nell’avviare i negoziati» ha affermato Guy Ryder. La comunità internazionale e
in particolare i Paesi che hanno un'incidenza su Israele ed Hamas devono ora
impegnarsi in modo efficace nel richiedere un cessate il fuoco immediato e
richiamare i governi israeliano e palestinese al tavolo dei negoziati.
Leggi il comunicato
9 gennaio 2009 La CSI ha accolto favorevolmente la risoluzione dell’ONU e arrivano i
primi aiuti del sindacato
La CSI ha accolto favorevolmente la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite per un cessate il fuoco duraturo a Gaza, mentre un primo
convoglio aereo sindacale di aiuto umanitario è stato scaricato in Egitto per
essere distribuito a Gaza. «La risoluzione dell'ONU riconosce la gravità della
crisi umanitaria e la necessità di un cessate il fuoco immediato tra Israele ed
Hamas. Si tratta di un passo avanti importante, che le due parti in conflitto
dovranno tradurre nei fatti al più presto. La Comunità internazionale deve fare
tutto ciò che è in suo potere per portare la pace» ha dichiarato Guy Ryder,
segretario generale della CSI.
La risoluzione insiste anche sull’importanza di «una pace duratura basata sulla
visione di una regione dove due Stati democratici, Israele e la Palestina,
coesistono nella pace, all'interno di frontiere sicure e riconosciute».
«Siamo così felici di apprendere che il primo convoglio sindacale di aiuto
umanitario è sulla via di Gaza e che molte organizzazioni affiliate ed altre
federazioni sindacali internazionali
fondi
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appello. Anche se il cessate il fuoco disperatamente atteso è in atto, le esigenze
umanitarie sono enormi e il movimento sindacale internazionale sta facendo la
sua parte per contribuire ad alleviare la sofferenza della popolazione di Gaza» ha
aggiunto Ryder.
DALL'EUROPA E DAL MONDO - FINESTRA SULL'ATTIVITÀ DI CES E CSI
umanitario è sulla via di Gaza e che molte organizzazioni affiliate ed altre
federazioni sindacali internazionali hanno inviato fondi in seguito al nostro
appello. Anche se il cessate il fuoco disperatamente atteso è in atto, le esigenze
umanitarie sono enormi e il movimento sindacale internazionale sta facendo la
sua parte per contribuire ad alleviare la sofferenza della popolazione di Gaza» ha
aggiunto Ryder.
Il primo convoglio aereo di aiuto umanitario effettuato a bordo di un aereo
messo a disposizione dalla Royal Jordanian Airways è atterrato l’8 gennaio
all'aeroporto Al-Areesh, in Egitto, vicino a Gaza. Il carico, che sarà distribuito
all'interno di Gaza dalla Croce Rossa, comprende tre ambulanze, forniture
mediche diverse, latte per bambini, riso, grano e prodotti alimentari per bambini.
Si tratta del primo convoglio di aiuto umanitario effettuato nel quadro
dell’appello lanciato congiuntamente da CSI, ITF, dalla centrale giordana
GFJTU e dalla federazione sindacale palestinese PGFTU.
Leggi il comunicato
5 gennaio 2009 La CSI ha chiesto il cessate il fuoco immediato a Gaza e ha lanciato
l'appello umanitario
La Confederazione Sindacale Internazionale (CSI), di fronte al numero crescente
di morti e di feriti del conflitto tra Israele e Hamas, ha ribadito la sua richiesta di
un cessate il fuoco immediato e ha lanciato un appello per portare assistenza alla
popolazione di Gaza. In una lettera indirizzata al segretario generale delle
Nazioni Unite, Ban Ki-moon, la CSI ha esortato l'ONU «ad esercitare la propria
autorità per ottenere un cessate il fuoco immediato e per aprire una via per dare
un nuovo impulso al processo di pace».
Anche se si è appreso che sono stati trasportati verso Gaza un convoglio di aiuti
e del combustibile per la produzione di corrente elettrica, la situazione
umanitaria resta allarmante e potrà migliorare solo quando sarà in vigore il
cessate il fuoco.
«La Comunità internazionale deve immediatamente fare pressione sia per porre
fine ai combattimenti sia per concentrare l'attenzione sulla crisi umanitaria.
Infine, il dialogo e il negoziato sono i soli modi per regolare questo conflitto, ma
non potranno realizzarsi finché i Paesi che sono in grado di influenzare la
situazione non si decidono a farlo» ha dichiarato Guy Ryder, segretario generale
della CSI. E ha aggiunto: «Eccetto le posizioni più estreme, tutti desiderano
raggiungere una soluzione equa, basata sul diritto internazionale, che implica la
creazione di due Stati sovrani che coesistano in pace. L'attuale ciclo di violenze
allontana ogni giorno di più tale possibilità. Indipendentemente dalle
provocazioni, occorre che le due parti cessino il fuoco fin d'ora».
La CSI, in collaborazione con i suoi soci in Palestina (PGFTU) e in Giordania
(GFJTU), con la Federazione internazionale degli operai del trasporto (ITF) e
con altre federazioni sindacali internazionali (FSI), ha lanciato un appello per gli
aiuti umanitari a favore della popolazione di Gaza, soprattutto per l’invio di
derrate alimentari e di medicinali.
Leggi il comunicato
Infoeuropa | Numero 52 del 19 gennaio 2009 | 11
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DOCUMENTI
Disoccupazione in aumento nell’UE
Il tasso di disoccupazione è salito leggermente anche in novembre sia nella zona euro (7,8%)
sia nell’UE27 (7,2%), con un numero complessivo di disoccupati che Eurostat ha stimato in
17,46 milioni nell’UE di cui 12,18 si trovano nella zona euro. Rispetto al 2007, l’incremento del
numero di donne e uomini disoccupati è stato di circa un milione nella zona euro e di 1,13 milioni
nell’UE27. I livelli più bassi di disoccupazione sono stati rilevati nei Paesi Bassi (2,7%), in
Austria (3,8%) e a Cipro (3,9%), mentre i più elevati riguardano Spagna (13,4%), Slovacchia
(9,1%) e Lettonia (9%). Sempre rispetto al 2007, 14 Stati membri hanno registrato un
incremento della disoccupazione e 13 una diminuzione. Nel primo gruppo si osservano gli
aumenti più rilevanti in Spagna (dall’8,6% al 13,4%) e in Estonia (dal 4,1% all’8,3%), mentre nel
secondo gruppo di Paesi spiccano le diminuzioni rilevate in Polonia (dall’8,5% al 6,5%) e
Slovacchia (dal 10,5% al 9,1%). Tra il novembre 2007 e il novembre 2008 il tasso di
disoccupazione maschile è cresciuto dal 6,5% al 7,4% nella zona euro e dal 6,3% al 7%
nell’intera UE; minore l’aumento della disoccupazione femminile, passata dall’8,2% all’8,3%
nella zona euro e rimasta stabile a livello di UE, mentre si è ulteriormente incrementato il già
elevato tasso di disoccupazione giovanile, che a novembre 2008 era del 16,4% nell’UE e nella
zona euro a fronte di tassi rispettivamente del 14,7% e del 14,5% dell’anno precedente, con
differenze però notevoli tra il 5,4% dei Paesi Bassi e il 29,4% della Spagna. Vai al documento
Spesa media UE per l’istruzione pari al 5% del PIL
Secondo uno studio pubblicato da Eurostat all’inizio del 2009, ma riferito a dati relativi al 2005, la
spesa pubblica degli Stati membri dell’UE per l’istruzione si è attestata mediamente al 5% del
PIL, pur con differenze rilevanti tra i più virtuosi Paesi nordeuropei e gli altri. In alcuni Paesi
scandinavi, infatti, la spesa pubblica per l’istruzione è mediamente molto più elevata che nel
resto d’Europa: 8,3% del PIL in Danimarca, 7% in Svezia, 6,3% in Finlandia. Gli Stati membri
dell’UE che spendono meno sono invece Grecia (4%), Slovacchia (3,8%) e Romania (3,5%).
l’Italia, con una spesa per l’istruzione pari al 4,4% del PIL, si situa al 21° posto tra i Paesi
dell’UE, subito dopo la Bulgaria (4,5%). Nonostante i recenti tagli dei finanziamenti alla scuola
decisi dal governo italiano siano stati giustificati anche dal fatto che l’Italia sarebbe uno dei Paesi
che spende di più in Europa, i dati Eurostat hanno evidenziato una realtà diversa, dove a
spendere meno dell’Italia ci sono solo Repubblica Ceca (4,2%), Spagna (4,2%), Grecia (4%),
Slovacchia (3,8%) e Romania (3,5%). Considerando invece la spesa educativa per
allievo/studente, sulla base dello “standard del potere d’acquisto” (PPS) che tiene conto dei
diversi livelli di costo della vita, la media dell’UE è pari a 5650 PPS. A titolo comparativo, gli USA
spendono oltre 10.600 PPS per studente e il Giappone oltre 7100. Il dato rilevato da Eurostat
considera tutti i livelli di spesa pubblica, locali, regionali e nazionali, e comprende non soltanto le
istituzioni scolastiche e universitarie, ma anche le altre istituzioni che garantiscono il
funzionamento del sistema educativo nazionale. Vai al documento
APPUNTAMENTI EUROPEI
Istituzioni
PRES
22 - 23 gennaio 2009
INCOM - Conferenza su Innovazione, Ricerca e Sviluppo – Praga
PE
2 – 5 febbraio 2009
Parlamento europeo: sessione plenaria – Strasburgo
PRES: Presidenza dell’UE
PE: Parlamento Europeo
Parti sociali e società civile
SEE
21 gennaio 2009
Riunione dell’Intergruppo Economia Sociale - Parlamento europeo –
Bruxelles
EIPA
05–06 febbraio 2009
Seminario: “L'agenda culturale europea: il programma Cultura 2007 2013” – Maastricht
SSE: Social Economy Group
EIPA: European Institute of Public Administration
Infoeuropa | Numero 52 del 19 gennaio 2009 | 12
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TRIBUNA EUROPA
Russia-UE: ricatto sul gas e geopolitica
Anche quest’inverno, particolarmente freddo, si è riaccesa la polemica fra Russia e Ucraina per
il trasporto del gas russo verso l’Europa. Polemiche che hanno portato all’interruzione delle
forniture creando non pochi disagi in Slovacchia, Bulgaria e Romania, Paesi con poche scorte a
disposizione e particolarmente dipendenti dal gas russo che transita dall’Ucraina. Malgrado gli
accordi che la Commissione europea ha cercato di negoziare con Mosca e Kiev e l’invio di
osservatori europei per capire le ragioni di questa nuova interruzione, la prospettiva di una
ripresa delle forniture non sembra ancora delinearsi all’orizzonte, in modo duraturo.
Dietro questa situazione, che rivela in tutta la sua chiarezza la dipendenza europea dalle
importazioni energetiche russe, si snodano vari scenari che, a dir poco, fanno del tema
energetico un punto cardine delle relazioni internazionali e della politica estera della Russia.
Benché le responsabilità oggettive della presente chiusura dei rubinetti del gas verso l’Europa
siano difficili da individuare, resta il fatto che Mosca, ormai da alcuni anni, persegue alcuni
obiettivi che potrebbero riassumersi così: consolidare il monopolio di Gazprom sulle forniture e il
trasporto di gas, ricuperare una certa influenza su Paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare
Ucraina e Georgia, per il controllo del Mar Nero e infine, per raggiungere questi due primi
obiettivi, sviluppare una politica di “divide et impera” in Europa.
Il primo obiettivo è dimostrato dalla crescente attività di Gazprom per il controllo, lo sfruttamento
e il trasporto di gas dall’Asia Centrale attraverso il Mar Caspio, nonché dai negoziati, più o meno
velati, con altri Paesi produttori, in particolare del Nord Africa e anch’essi fornitori di energia
all’Europa. Gli itinerari e il controllo dei gasdotti da parte di Mosca rivestono quindi un aspetto
strategico, dentro il quale è possibile interpretare il conflitto odierno con l’Ucraina.
Kiev, che aveva cercato, con la rivoluzione arancione del 2004 una maggiore indipendenza da
Mosca e un rapporto più privilegiato con l’Occidente, viene oggi accusata da Mosca di non
essere un interlocutore affidabile per il trasporto del gas verso l’Europa. Dietro queste
affermazioni si nasconde il secondo obiettivo, cioè quello di riportare il Paese sotto l’influenza
russa e controllare, di nuovo, forniture e trasporto di energia, soprattutto in quello che sta
diventando il crocevia di importanti e futuri progetti di trasporti, e cioè il Mar Nero. L’esempio di
quello che è successo con l’intervento russo in Georgia nell’estate scorsa è illuminante al
riguardo. Da Tbilisi passa non solo il pipeline di petrolio BTC (Baku, Tbilisi, Ceyan) che porta
petrolio dal Caspio direttamente alla Turchia, ma anche, quasi in parallelo, il gasdotto verso
Erzerum, due vie di trasporto interamente sottratte al controllo russo.
Il risultato dell’intervento russo dell’estate 2008, oltre al tentativo di screditare la Georgia agli
occhi degli occidentali e al riconoscimento dell’ indipendenza delle due province autonome
georgiane di Abkazia e Ossezia del Sud da parte russa, ha soprattutto avuto come conseguenza
di fermare i negoziati di adesione alla NATO sia della Georgia sia dell’Ucraina, rimandando la
decisione a tempi più maturi. Detto in altre parole, le esigenze energetiche e la politiche estere e
di sicurezza si sono fuse una nell’altra.
E veniamo al terzo obiettivo. Di fronte all’intensificarsi del monopolio di Gazprom e alla
dipendenza che questo crea, l’Europa ha cercato di individuare altri percorsi per il trasporto e
fonti energetiche alternative. Un progetto chiamato Nabucco, lanciato nel 2007, fortemente
sostenuto dall’Unione europea, dovrebbe infatti portare direttamente gas dal Medio Oriente,
attraverso il Mar Caspio e verso la Turchia e l’Austria, evitando il controllo russo. Ma la Russia,
in immediata risposta al progetto europeo Nabucco, ha concluso un accordo di joint venture fra
Gazprom e la multinazionale italiana ENI, per il progetto South Stream, sotto suo controllo e dal
tracciato sul territorio europeo, assai simile a quello di Nabucco. Questi due progetti sono quindi
in concorrenza fra loro, creando incertezze nei Paesi europei di transito e soprattutto
indebolendo il progetto europeo. Evidentemente, il precedente accordo sul gasdotto North
Stream, che trasporta gas russo direttamente in Germania, aveva messo in evidenza i vantaggi
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di negoziati diretti con i vari Stati membri, ostacolando qualsiasi tentativo di una politica comune
europea dell’energia ispirata ad una pur tenue forma di solidarietà. E a questo punto il ricatto
può esprimersi in tutta la sua forza.
E anche nella situazione che stiamo vivendo oggi, i due Paesi europei più toccati dalla chiusura
dei rubinetti del gas, la Bulgaria e la Slovacchia, si sono rassegnati a negoziare direttamente
con i russi e gli ucraini.
16 gennaio 2009
Adriana Longoni
Redazione
Torino
Enrico Panero – Marina Marchisio – Giovanni Mangione – Nicola
Strona – Cristina Rowinski – Camilla Borgna
Milano
Miriam Ferrari
Bruxelles
Adriana Longoni
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