Nord africa e imprese: rapporti passati, evoluzioni presenti

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Nord africa e imprese: rapporti passati, evoluzioni presenti,
incertezze future
di Alessandra Repetto
La Camera di Commercio di Genova già nel passato si è
posta
come
osservatore
del
“fenomeno
dell’internazionalizzazione”- attraverso diversi uffici (estero, studi e
statistica, Istituto di Economia Internazionale) – e grazie al
rapporto diretto con le imprese gode di una posizione privilegiata
per analizzare gli orientamenti sui mercati esteri.
I Paesi del Mediterraneo erano e restano (probabilmente) tra
le priorità geografiche delle imprese liguri e genovesi, in
particolare, dato che tale zona geografica consente anche la
possibilità di sfruttare le opportunità offerte da Paesi a questi
confinanti, come ad esempio l’area dei Paesi del Golfo.
Di seguito una tabella di sintesi (elaborata dall’Ufficio Statistica
della Camera di Commercio su dati ISTAT), che fornisce
indicazioni su importazioni ed esportazioni negli ultimi mesi del
2010 e dove si evidenzia il “peso” che i Paesi del Nord Africa
avevano nei flussi commerciali con l’Italia.
INTERSCAMBIO 2010 (Gennaio – Novembre)
ITALIA E PAESI NORD AFRICA (dati in migliaia di Euro)
IMPORTAZIONI
ESPORTAZIONI
ALGERIA
7.159.889
2.585.967
EGITTO
1.729.861
2.658.585
10.563.190
2.378.011
485.151
1.309.620
2.132.473
3.111.938
22.070.564
12.044.121
332.137.456
307.546.391
6,60%
3,90%
LIBIA
MAROCCO
TUNISIA
totale
mondo
QUOTA
NORD
AFRICA SU
MONDO
Fonte: Istat
L’area del Nord Africa era di tale interesse per le imprese
locali che, nel 2008, la Camera di Commercio ha deciso di creare,
presso l’Istituto di Economia Internazionale – struttura scientifica
e centro di studio, coordinamento e propulsione per la ricerca in
tema di economia internazionale – un Osservatorio permanente
sull’economia dei paesi della costa sud del Mediterraneo, ed in
particolare Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia.
Sotto la direzione scientifica del Prof. Amedeo Amato,
l’obiettivo era quello di costituire un punto di riferimento – un po’
più operativo rispetto ai “classici” studi pubblicati dall’Istituto – e
di interscambio informativo per gli imprenditori per fornire
valutazioni sulle prospettive delle economie di queste aree e analisi
di rischio paese sulla base sia di indicatori macroeconomici, sia di
osservazioni più qualitative sul business environment.
Gli ultimi risultati pubblicati dall’Osservatorio (con dati
aggiornati a settembre 2010) sono stati presentati nel novembre
scorso in un convegno a Genova.
L’area Nord Africa registrava da molti anni tassi di crescita della
produzione e delle importazioni assai più elevati di quelli prevalenti
nelle economie più sviluppate (i tassi si assestavano da un 4%
previsto per l’Algeria ad un 6% e oltre stimato per la Libia).
Certamente altri Paesi (per esempio l’area BRIC) avevano crescite
ancora maggiori, ma i Paesi del sud del Mediterraneo presentavano
vantaggi oggettivi in termini di vicinanza, nonché di maggiore
decifrabilità dei mercati (o almeno così si credeva…), fattori che
dovevano rendere più controllabili varie tipologie di rischio. Ad
aumentare l’interesse proprio negli ultimi anni, c’è da sottolineare
come questi Paesi siano stati toccati soltanto marginalmente dalla
recente crisi economica, che invece ha colpito tutti i Paesi più
industrializzati.
Tutti i Paesi presi in considerazione dall’Osservatorio erano
classificati come rischio economico e politico di livello medio,
secondo gli indicatori di SACE, ma alla luce di quanto avvenuto è
chiara la necessità di una valutazione più attenta anche di altri
fattori, tra cui senza dubbio l’indice di sviluppo umano.
Il concetto di sviluppo umano viene elaborato, alla fine degli anni
ottanta, dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo
UNDP, al fine di superare ed ampliare l'accezione tradizionale di
sviluppo incentrata solo sulla crescita economica.
Lo sviluppo umano si riferisce ad alcuni ambiti fondamentali dello
sviluppo economico e sociale: la promozione dei diritti umani e
l'appoggio alle istituzioni locali con particolare riguardo al diritto
alla convivenza pacifica, la difesa dell'ambiente e lo sviluppo
sostenibile delle risorse territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e
sociali con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi ed ai
gruppi più vulnerabili, il miglioramento dell'educazione della
popolazione, in particolare l'educazione di base, lo sviluppo
economico locale, l'alfabetizzazione e l'educazione allo sviluppo, la
partecipazione democratica, l'equità delle opportunità di sviluppo e
d'inserimento nella vita sociale.
Tale indice è utilizzato, accanto al PIL, dalle Nazioni Unite a
partire dal 1993 per valutare la qualità della vita nei paesi membri.
Analizzando alcuni dei parametri che vengono presi in
considerazione nella costruzione dell’indice non si può non
evidenziare da un lato il PIL pro capite e dall’altro il tasso di
alfabetizzazione.
Per quanto riguarda il PIL pro capite, la situazione a settembre
2010 così risultava:
Algeria
7.740 US$
Egitto
5.349 US$
Libia
14.364 US$
Marocco
4.108 US$
Tunisia 7.520 US$
Se si considera invece il tasso di alfabetizzazione (in Italia è il
98,9%), seppur con la necessaria cautela dato che le definizioni e i
metodi di raccolta dei dati variano tra i paesi, secondo il rapporto
delle Nazioni Unite del 2009 si evidenzia:
Algeria
75,4%
Egitto
66,4%
Libia
86,8%
Marocco
55,6%
Tunisia 78,0%
A fronte di un reddito molto basso e di una alfabetizzazione
comunque piuttosto alta nella popolazione adulta (peraltro molto
giovane, con un’età media al di sotto dei 30 anni), si aggiunge una
disponibilità di informazioni anche grazie a internet, che ha creato
un mix esplosivo.
La maggior parte delle persone - in condizioni di vita sicuramente
non buone, seppur di fronte ad una crescita economica
considerevole – ha attualmente la possibilità di confrontarsi con la
realtà di altri Paesi (anche se solo virtualmente) e ciò ha
sicuramente contribuito ad una accelerazione nella ricerca di
democrazia: la popolazione non si sente più rappresentata da una
classe di governanti molto vecchia, che spesso cela la sua vera
natura dittatoriale o comunque autoritaria – considerazione sulla
“gerontocrazia” pubblicata recentemente dall’Economist.
Le imprese ora si trovano a fronteggiare una crisi
politico/sociale (non economica, i presupposti di crescita e di
opportunità restano) di questi Paesi per la quale è difficile fare
previsioni e politici e economisti non si possono più concentrare
soltanto sui risultati e sugli indicatori più strettamente legati alle
performance economiche, sottovalutando aspetti sociali che ci
fanno “gridare” ora all’emergenza umanitaria!
La valutazione del rischio paese nella scelta delle strategie dei
governi, del mondo economico e quindi anche delle imprese sta
assumendo
una
notevole
rilevanza
per
quanto
riguarda
investimenti all’estero, commerci internazionali, volatilità e
prevedibilità dei rendimenti azionari. Una chiara definizione del
concetto, la misurazione e la gestione del livello e dell’importanza
del rischio paese sono dati imperativi per un investitore globale
poiché tale rischio può influenzare negativamente i profitti
derivanti da operazioni all’estero ed il capitale.
Secondo il Prof. P.K. Chopra (coautore con il Prof. G. K. Kanji
dello studio “Measuring Country Risk: A New System Modelling
Approach” - premiato a Genova nel 2010 quale miglior lavoro di
ricerca
pubblicato
Internazionale/International
sulla
rivista
Economics)
finora
Economia
tutte
le
concettualizzazioni, le tecniche ed i metodi di misurazione del
rischio paese sono stati ad hoc, cioè molto limitati nell’approccio e
presentano numerosi inconvenienti. Inoltre, le valutazioni del
rischio paese si sono notoriamente rivelate inaffidabili nel predire
modifiche sfavorevoli alle condizioni operative.
Chissà che l’approccio proposto dai professori Chopra e Kanji
possa fornire veramente un nuovo modello di rischio paese e se,
come ha concluso il Prof. Chopra nella sua lecture, “la bella notizia
è che è diventato più facile calcolare il rischio paese; la brutta
notizia è che è diventato più facile calcolare il rischio paese”.
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