Le prospettive del modello tedesco

Le prospettive del modello tedesco
Le prospettive del modello tedesco
Vincenzo Comito
La disoccupazione è diminuita di circa la metà tra il 2006 e il 2013, passando in valori assoluti da
5,0 a 2,7 milioni di unità, mentre le esportazioni sono raddoppiate in valore nello stesso periodo.
Perchè allora un settimanale come Der Spiegel scrive che quella tedesca è una nazione che si
sta lentamente sgretolando?
Mentre l’economia del paese perde colpi, il disagio sulle sue sorti cresce nella stessa Germania,
oltre che all’estero; un settimanale come Der Spiegel ha persino scritto che quella tedesca è una
nazione che si sta lentamente sgretolando (Ricci, 2014). Un senso di incertezza esce fuori da un
numero crescente di pubblicazioni recenti, uscite soprattutto in Germania ed in Francia, che
tendono a analizzare gli attuali punti deboli dell’ economia.
In un precedente articolo apparso su questo stesso sito ricordavamo già un testo molto critico di
Marcel Fratzscher, presidente dell’istituto per la ricerca economica di Berlino (DIW), sulle
strategie portate avanti dal paese, ma il quadro appare ora molto ricco. Segnaliamo, ora, anche
degli scritti recenti di Gersemann, Legrain, Duval, Todd (i riferimenti sono riportati nella
bibliografia).
Fu vera gloria?
All’attivo del modello tedesco ci sono alcuni fatti indubitabili
. La disoccupazione è diminuita di circa la metà tra il 2006 e il 2013, passando in valori assoluti
da 5,0 a 2,7 milioni di unità, mentre le esportazioni sono raddoppiate in valore nello stesso
periodo. Il saldo positivo della bilancia dei pagamenti correnti presenta nel 2014 un rapporto di
ben il 7,0% sul pil.
Convenzionalmente si attribuiscono i risultati recenti dell’economia soprattutto alla riforma del
lavoro Schroeder-Hartz. Ma ora tale correlazione viene messa in dubbio in particolare nel lavoro
di Duval ed in quelli di Gersemann.
Bisogna considerare, secondo tali autori, che la crescita è stata intanto molto favorita dalla
sottovalutazione del cambio dell’euro in relazione alla forza dell’economia tedesca: si stima che
i prodotti del paese sarebbero competitivi sino ad un rapporto con il dollaro di 1,8, contro meno
dell’ 1,20 circa attuale e dell’1,35-1,40 di qualche tempo fa.
Inoltre, la crescita delle esportazioni si è concentrata negli anni di forte sviluppo dell’economia
mondiale ed in particolare di quella cinese; quest’ultimo paese per molti anni ha presentato dei
bisogni di importazione che corrispondevano quasi esattamente ai punti forti dell’economia
tedesca.
Per altro verso, la pressione verso il basso dei salari non è attribuibile che in parte alla riforma
Schroeder; essa era in realtà già cominciata con l’accordo tripartito del 1999 tra stato, imprese,
sindacati.
Un altro fattore esplicativo del miglioramento dell’economia tedesca è da ricercare nel fatto che il
paese, dopo la caduta del comunismo, ha sostanzialmente inglobato i paesi dell’Europa centrale
ed orientale nel suo sistema produttivo, ciò che ha notevolmente contribuito al miglioramento
della competitività di costo dei suoi prodotti; la grande riuscita della Germania consiste per una
gran parte in un’annessione di fatto dell’area.
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Duval arriva paradossalmente a sostenere che il salto in avanti tedesco sia avvenuto non a
causa, ma malgrado la riforma Schroeder.
L’autore sottolinea come tale riforma potrebbe rivelarsi nociva, fragilizzando a termine
l’economia e la società tedesche, permettendo che vi si diffondano la povertà e le
disuguaglianze e frenando la modernizzazione delle sue infrastrutture collettive. In effetti la legge
Schroeder-Hartz ha portato ad una forte diffusione del lavoro precario e ad una stagnazione dei
salari. Anzi, tenendo conto dell’inflazione, il dipendente tedesco medio ha guadagnato meno nel
2013 che nel 1999.
Per altro verso, lo sviluppo tedesco, visto in un arco temporale di lungo termine, non appare certo
clamoroso: tra il 2000 e il 2013 l’economia del paese è cresciuta in tutto del 15%; si tratta di
circa l’1,1% all’anno, più o meno quanto la Francia. Nello stesso periodo registriamo un
aumento del pil del 21% per la Gran Bretagna e del 25% per gli Stati Uniti, mentre persino un
paese latino come la Spagna ha fatto di meglio (19%).
Demografia, investimenti, produttività, istruzione: brutte notizie
Quattro tra i fattori più importanti che possono normalmente spingere in alto la crescita
economica di un paese, lo sviluppo demografico, gli investimenti, la produttività, le esportazioni,
fattori peraltro tra i quali si registrano dei collegamenti anche importanti, si trovano ora in realtà in
Germania in una situazione di almeno relativa debolezza.
Per quanto riguarda
il fattore demografico, come sottolinea in particolare Legrain, il paese registra un tasso di natalità
tra i più bassi al mondo e quella tedesca è oggi la popolazione più vecchia dell’UE, con un’età
media dei suoi abitanti pari a 46 anni, contro ad esempio 40 in Gran Bretagna e 36 in Irlanda.
Così il paese, secondo alcune proiezioni, nel 2040 potrebbe contare meno abitanti sia di Francia
che Gran Bretagna.
Questo a meno di un forte afflusso di immigrati, fenomeno che si è verificato in effetti negli ultimi
decenni. Ma ora esso potrebbe essere frenato, tra l’altro, da una maggiore ostilità di una parte
almeno dell’opinione pubblica e dal rilevante sviluppo di movimenti e partiti più o meno xenofobi;
le dimostrazioni contro gli immigrati prendono da qualche tempo ormai una certa dimensione.
Hans-Werner Sinn, economista conservatore tra i più noti, si è preoccupato di calcolare quanto
costa un immigrato ed ha scoperto, con calcoli peraltro contestati da altri, che ognuno di essi
pesa sul fisco tedesco per 1800 euro all’anno (Madelin, 2014). Intanto la CSU, il partito
bavarese alleato della CDU, propone di varare regole più severe nei confronti degli stranieri che
chiedono asilo.
La Germania in questi anni ha poi
investito meno dei suoi vicini europei; su questo ha in particolare insistito Fratzscher, che pensa
che sia questo il problema più importante del paese.
La debolezza si manifesta sia per quanto riguarda gli investimenti pubblici che quelli privati. La
stesso Fratzscher stima che il paese dovrebbe stanziare 80 miliardi di euro in più ogni anno per
recuperare il suo ritardo; ad esempio, per quanto riguarda il settore pubblico, 10.000 ponti
avrebbero bisogno di essere sostituiti urgentemente. La depressione poi degli investimenti
nell’industria riguarda tutti i settori ed essa va avanti sin dall’inizio degli anni 2000.
Le imprese, in carenza di domanda interna, impiegano le loro risorse finanziarie sempre di più
all’estero, come sottolinea Gersemann. Tra gennaio e settembre del 2014 le società tedesche
hanno così impegnato 65 miliardi di dollari negli Stati Uniti, molto più che negli anni precedenti,
per comprarvi in particolare delle aziende con una forte presenza nei paesi emergenti.
Incidentalmente, l’economia è troppo dipendente dall’automobile, come sottolinea ancora
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Gersemann. Nel 2013 più del 50% del surplus commerciale del paese è dovuto a questo settore.
La dipendenza da pochi comparti industriali, e dall’industria più in generale, rende vulnerabili le
sue prospettive, tanto più che la Cina sta risalendo la catena del valore e comincia a fare una
concorrenza significativa ai prodotti tedeschi. Intanto essi trovano crescenti difficoltà di sbocco
anche in altri paesi emergenti, toccati dal rallentamento delle loro economie, nonché in
un’eurozona messa in difficoltà dalla crisi e, per le note ragioni, in Russia. Più in generale a
livello mondiale la dinamica delle esportazioni tende a rallentare fortemente rispetto a prima della
crisi.
Il declino negli investimenti, unito alla diminuzione nel rendimento del nuovo capitale investito,
registrabile in Germania come peraltro in tutti i principali paesi occidentali, comporta anche un
declino nei livelli di crescita della
produttività. Essa negli ultimi dieci anni è aumentata solamente dello 0,9% in media all’anno nel
paese. Il fenomeno della bassa crescita riguarda, più o meno, ancora tutti i principali paesi
sviluppati (Smithers, 2014), ma esso appare particolarmente grave in Germania, data anche la
struttura della sua economia e le cifre in gioco.
Altro punto debole appare il settore dell’
istruzione, come sottolineano Legrain e Todd.
Il paese consacra solo il 5,7% del suo pil al settore, meno di paesi come la Francia o la Gran
Bretagna. Va segnalato, in particolare, un certo sottosviluppo dell’insegnamento superiore.
Nell’insieme dei paesi industrializzati il 40% dei giovani fanno degli studi superiori; in Germania
un po’ meno del 30%, mentre meno di un quarto della popolazione possiede una laurea.
Conclusioni
Le conclusioni che si possono trarre appaiono abbastanza negative e comunque esse sembrano,
sullo stato e sulle prospettive dell’economia, marcatamente differenti da quelle degli attuali
gruppi dirigenti del paese, la cui visione delle cose sembra peraltro accettata da una larga parte
dell’opinione pubblica interna.
Ma se tali conclusioni si rivelassero corrette le prospettive della Germania e dell’Europa intera,
che dipende oggi in larga parte dalle decisioni del paese, si rivelerebbero come piuttosto oscure.
Speriamo quindi o che i critici sopra citati si sbaglino, o che i politici tedeschi decidano di
cambiare rotta, aprendo in particolare fortemente in direzione di politiche volte allo sviluppo della
domanda interna, nonché alla crescita degli investimenti pubblici e privati.
Testi citati nell’articolo
-Comito V., L’illusione tedesca,
, 10 ottobre
www.sbilanciamoci.info
2014
- Duval G.,
Made in Germany. Le modèle allemand au-delà des mythes, Le Seuil, 2013
- Fratzscher M.,
Die Deutschland Illusion, Hanser, 2014
- Gersemann O.,
Die Deutschland-Blase, DVA, 2014
- Legrain P., Le colosse aux semelles de plomb,
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Books, n. 60, 2014
- Madelin T., L’Allemagne
, 30 dicembre
débat
2014
du cout d’un immigrant,
www.lesechos.fr
- Ricci M., Il mito dell’austerity
, 20 settembre
affossa
2014 la crescita tedesca, www.repubblica.it
- Smithers A.,
, 17Poor productivity in developed economies appears to be structural, www.ft.com
dicembre 2014
- Touverey B., intervista a Olaf Gersemann,
Books, n. 60, 2014
- Touverey B., intervista a Emmanuel Todd,
Books, n. 60, 2014
Sì
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