La crescente polarizzazione della politica federale di Washington

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L’America nell’era dell’austerità
La crescente polarizzazione della politica federale di Washington, dove repubblicani e democratici sono diventati più intransigenti, rischia di esacerbare i problemi economici del paese, giacché le parti in causa sono, per
ora, poco disposte a raggiungere i compromessi necessari a far ripartire
l’economia.
Sono tre gli indicatori economici che servono a fotografare la realtà degli Stati Uniti
nell’epoca dell’austerità: quelli sulla crescita economica, sul tasso di disoccupazione
e sull’indebitamento del governo federale. Questi dati stanno dettando le regole del
dibattito politico americano e, in tutta probabilità, determineranno le sorti del presidente Barack Obama, in corsa per la rielezione l’anno prossimo, dei suoi avversari
repubblicani e dei membri del Congresso di entrambi i partiti.
IL POTERE DEL PIL. Nonostante il prodotto interno lordo americano sia tornato
a crescere dopo la contrazione occorsa al picco della crisi, tra fine 2008 e inizio 2009
– la peggiore degli ultimi cinquant’anni – il bilancio positivo degli ultimi mesi è inferiore alle attese. Il dato sul terzo trimestre dell’anno, durante il quale il pil è cresciuto del 2,5%, ha rappresentato una boccata d’aria per gli osservatori dell’economia
statunitense, ma si tratta di un balzo comunque insufficiente alla vera ripresa economica. In agosto, il Congressional Budget Office (cbo) stimava che, se tra il 2013 e il
2016 il pil dovesse crescere a un ritmo del 3,6%, gli Stati Uniti ritroverebbero la
piena occupazione nel 2017. Al tasso di crescita attuale, assai più lento, questo non
avverrebbe per chissà ancora quanto tempo. In novembre, la Federal Reserve ha rivisto le proprie previsioni di crescita per il 2012, passate dal 3,3-3,7% prospettato a
giugno, a un più tiepido 2,5-2,9%.
Fra l’altro, il pil americano rappresenta oggi una percentuale minore del pil mondiale
che nel 1969. In realtà, si tratta di un dato che è rimasto sorprendentemente stabile
in passato. Anzi, dopo un breve declino negli anni Ottanta, la proporzione tra pil
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mondiale e pil americano è tornata a girare a favore degli Stati Uniti durante il boom
degli anni Novanta. La crisi economica degli ultimi anni ha, però, causato un nuovo
cambiamento di tendenza, con la percentuale di pil mondiale prodotta negli Stati
Figura 1 • PIL per trimestri
percentuale
6
4
2
0
-2
-4
-6
-8
13
-10
IV
2007
I
II
III
IV
I
2008
II
III
2009
IV
I
II
III
IV
2010
I
II
III
2011
Nota: dati dal primo trimestre 2007 al terzo trimestre 2011 compreso, corretto per tenere conto dell’inflazione.
Fonte: US Department of Commerce, Bureau of Economic Analysis.
percentuale
Figura 2 • PIL dal 1930 al 2010
25
20
15
10
5
0
-5
-15
1930
1932
1934
1936
1938
1940
1942
1944
1946
1948
1950
1952
1954
1956
1958
1960
1962
1964
1966
1968
1970
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
-10
Nota: su base annuale e corretto per tenere conto dell’inflazione.
Fonte: US Department of Commerce, Bureau of Economic Analysis.
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Uniti che è tornata a calare. Proiezioni fatte sui prossimi vent’anni prevedono che,
data l’ascesa economica di paesi come la Cina e l’India, questa tendenza è destinata
a continuare.
DISOCCUPAZIONE. Il tasso di disoccupazione e il livello di indebitamento
pubblico hanno risposto, in maniera per altro prevedibile, all’andamento deludente
del pil americano. La disoccupazione ha superato il tetto del 10% nell’ottobre 2009
(sfondato l’ultima volta durante il primo mandato del presidente Reagan tra il 1982
e il 1983), e si è assestata ormai sul 9%, livello da cui non accenna a diminuire.
Figura 3 • Proporzione del PIL mondiale (a)
14
Mondo
Sviluppato
Sviluppato meno USA
In via di sviluppo
Ex economia pianificata
Mercati emergenti
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
100,00
79,64
52,31
16,08
4,28
11,05
100,00
78,23
51,89
17,56
4,21
12,14
100,00
77,00
50,77
18,90
4,09
13,11
100,00
76,67
49,59
19,13
4,20
13,90
100,00
76,48
49,69
19,68
3,85
14,45
100,00
75,88
48,49
22,06
2,07
15,45
100,00
75,00
46,43
23,11
1,89
16,41
100,00
72,07
43,98
25,65
2,28
18,70
100,00
67,24
41,05
30,29
2,47
22,56
2015
2020
2025
2030
Fonte: ERS International Macroeconomic Data Set.
percentuale
Figura 4 • Proporzione del PIL mondiale (b)
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1970
1975
1980
ASIA/OCEANIA
1985
USA
1990
1995
2000
UE 15
2005
2010
AMERICA LATINA
MEDIO ORIENTE
SUD AFRICA
Fonte: United States Department of Agriculture, Economic Research Service.
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percentuale
Figura 5 • Tasso di disoccupazione, su base annuale
11
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1940
1950
1960
1970
1980
1990
2000
2010
2020
Nota: le aree ombreggiate indicano periodi di recessione.
Fonte: US Department of Labor, Bureau of Labor Statistics.
15
Secondo le ultime stime della Federal Reserve, la disoccupazione rimarrà sopra l’8,58,7% per tutto il 2012 e, a fine 2014, si troverà ancora tra il 6,8% e il 7,7% (la piena
occupazione è calcolata oggi tra il 5,2% e il 6%).
INDEBITAMENTO PUBBLICO. Per rispondere alla crisi, il governo americano
ha aumentato la spesa pubblica, per esempio con l’intervento, deciso dal presidente
George W. Bush a fine 2008, volto a evitare il collasso del sistema finanziario (tarp)
e con il pacchetto di stimolo economico voluto da Obama a inizio 2009. Il debito pubblico è aumentato di circa 4.000 miliardi di dollari dal 2007 e, oggi, sta per superare
la cifra storica di 15.000 miliardi. Questi dati hanno provocato uno scontro frontale
tra i due partiti durante l’estate, quando l’amministrazione Obama ha dovuto chiedere
l’autorizzazione del Congresso per incrementare il tetto legale di indebitamento. La
maggioranza repubblicana alla Camera ha opposto duramente quella che riteneva una
crescita incontrollata della spesa pubblica.
Va notato, però, che il debito pubblico ha cominciato a aumentare vertiginosamente
già dalla presidenza del repubblicano Ronald Reagan, per poi calare sul finire dell’era di Bill Clinton e tornare a crescere sotto George W. Bush.
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percentuale
Figura 6 • Debito pubblico americano come percentuale del PIL
150
140
130
120
110
100
Eisenhower
90
GW Bush
80
70
60
50
Wilson
40
30
20
Harding
Coolidge
Nixon
Ford
FD Roosevelt
Truman
T Roosevelt
Taft
Kennedy
Johnson
Reagan
Bush
Clinton
Obama
Carter
10
0
1900
1910
Presidenza
democratica
16
1920
1930
Presidenza
repubblicana
1940
1950
Congresso
controllato dai
democratici
1960
1970
Congresso
controllato dai
repubblicani
1980
Congresso
diviso
1990
2000
Debito/PIL
2010 2020
Debito/PIL
stimato
Fonte: dshort.com
INDEBITAMENTO PRIVATO. Lo stato critico in cui versano le finanze federali
degli Stati Uniti rispecchia quello in cui si trovano le famiglie americane che, negli
anni del boom e del credito facile, si sono indebitate pesantemente e si trovano ora,
d’improvviso, a dover rivedere il rapporto tra risparmio e debito. Dall’inizio della
crisi, le famiglie hanno cominciato a ripagare i passivi incorsi negli ultimi dieci
anni (secondo calcoli di usa Today, versando circa 549 miliardi di dollari dal 2007),
in particolare quelli contratti con le società emittenti carte di credito e attraverso
i mutui casa e auto. Continuano a pesare sui bilanci familiari il crollo del mercato
immobiliare e le difficoltà attraversate da Wall Street negli ultimi anni.
MERCATO IMMOBILIARE. Il crollo del mercato immobiliare è stato senz’altro
tra le cause scatenanti la crisi finanziaria delle famiglie americane. In seguito alla
bolla cominciata nel 2000, i prezzi hanno cominciato ad andare in discesa libera già
da fine 2006. Il loro precipitare si è in qualche modo arrestato verso metà 2009, ma
il mercato è ben lungi da una ripresa.
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Secondo cbs News, tra il 2008 e il 2009 il mercato immobiliare ha perso quasi 5.000
miliardi di dollari di valore. Il risultato è stato che milioni di americani si sono trovati
a pagare mutui dal costo superiore al valore delle case per cui erano stati contratti,
provocando una valanga di insolvenze e pignoramenti. Ancora oggi – ha calcolato
Laurie Goodman di Amherst Securities, tra i maggiori esperti del settore – dei 55
milioni di mutui casa in America, 10 milioni finiranno per non essere mai ripagati.
140
14
130
12
percentuale
percentuale
Figura 7 • Risparmi e debiti privati
120
10
110
8
100
6
90
17
80
4
70
2
60
50
0
1960
1965
1970
1975
RISPARMI
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
DEBITI
Fonte: Federal Reserve Bank of San Francisco.
DEBITO PER CATEGORIA. Mentre continuano le difficoltà delle famiglie con i
mutui casa, e mentre diminuiscono i debiti con le società emittenti carte di credito,
sono, invece, in crescita rapida quelli contratti dai giovani americani per pagarsi gli
studi universitari. Questa categoria di debito ha superato a fine ottobre la cifra storica
dei 1.000 miliardi di dollari, una media di 4.963 per studente universitario a tempo
pieno e un balzo del 63% dal decennio scorso. Per molti esperti, si tratta del dato più
preoccupante sul medio e lungo termine.
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DISUGUAGLIANZA ECONOMICA. Ad accompagnare la crisi economica e a
rendere l’era dell’austerità ancora più indigesta a una parte della popolazione (di
cui sono rappresentative le manifestazioni “Occupy Wall Street”) è stato un processo
ormai trentennale di progressiva concentrazione della ricchezza nazionale nelle mani
di una minoranza della popolazione, con conseguente aumento delle disuguaglianze
economiche e sociali. L’1% di americani più ricchi controlla oggi oltre il 21% del
reddito nazionale netto. Nel 1979, subito prima dell’insediamento di Ronald Reagan
alla Casa Bianca, questa percentuale si aggirava sul 10%. Gli Stati Uniti hanno sviluppato, così, un livello di disuguaglianza economica superiore a quello che si ritrova
in molti altri paesi occidentali.
Figura 8 • Ricchezza, debito, reddito famiglie
12
11
10
18
9
8
7
6
5
4
3
2
1
1960
1965
1970
Debito familiare
1975
1980
1985
Ricchezza immobiliare
1990
1995
Reddito disponibile
2000
2005
2010
Patrimonio azionario
Nota: le serie sono normalizzate perché 1 corrisponda all’inizio 1960.
Fonte: Federal Reserve Bank of San Francisco.
MOBILITÀ. La crescita della disuguaglianza sta mettendo a repentaglio anche la
mobilità economica degli americani, in altre parole l’idea che, negli Stati Uniti, ci si
sposti con relativa facilità tra diverse classi di reddito. Oggi si calcola che ci sia meno
mobilità in America che in paesi europei come la Francia e Germania.
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Figura 9 • Studenti indebitati
miliardi di dollari
1.000
750
500
Debito carte di credito
Prestiti auto
Altri prestiti
Mutui ipotecari
2011-Q1
2010-Q3
2010-Q1
2009-Q3
2009-Q1
2008-Q3
2008-Q1
2007-Q3
2007-Q1
2006-Q3
2006-Q1
2005-Q3
2005-Q1
2004-Q3
2004-Q1
2003-Q3
2003-Q1
2002-Q3
2002-Q1
2001-Q3
2001-Q1
2000-Q3
2000-Q1
1999-Q3
0
1999-Q1
250
Prestiti per studenti
Nota: non sono compresi i mutui immobiliari.
Fonte: Federal Reserve Bank of New York.
19
Si tratta di una tendenza cui tutti guardano con preoccupazione. Anche per i conservatori, infatti, il paese può tollerare maggiore disuguaglianza, ma a patto che sia
accompagnata da una certa mobilità di reddito, perché al concetto di ridistribuzione
della ricchezza e giustizia economica preferiscono quello di opportunità.
percentuale
Figura 10 • Crescita del reddito netto, 1979-2007
275
275%
250
200
150
100
50
18,3%
35,2%
Fonte: CBO/Pro Publica.
0
Primo 1%
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Quinto
più povero
Quinto
medio
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Figura 11 • Reddito per gruppo
1979
2007
39,1%
38,6%
1% più ricco
Quinto più povero
Tre quinti centrali
10,5%
7,8%
2,9%
Quinto più ricco meno primo 1%
21,3%
38,5%
25,3%
Fonte: CBO/Pro Publica.
Figura 12 • Disuguaglianza economica in cinque paesi
FRANCIA 0,239
POLONIA 0,305
GRECIA 0,307
STATI UNITI 0,378
MESSICO 0,476
Nota: scala da 0 a 1, in cui 1 rappresenta il massimo della disuguaglianza.
Fonte: Pro Publica.
20
In rapporto alla popolazione USA
Figura 13 • Mobilità di reddito, USA vs. altri paesi
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0
GRAN
BRETAGNA
STATI
UNITI
FRANCIA
GERMANIA
SVEZIA
CANADA
FINLANDIA
NORVEGIA DANIMARCA
Fonte: The Economic Mobility Project (Pew Charitable Trust).
In calo, inoltre, la mobilità geografica degli americani, una delle forze dell’economia
statunitense, in cui la lingua e la moneta comuni hanno sempre permesso ai lavoratori
di spostarsi da uno stato all’altro in cerca di un posto di lavoro migliore. Uno studio
dei dati dell’ultimo censimento effettuato dal Carsey Institute dell’Università di New
Hampshire ha rilevato una diminuzione del tasso di migrazione verso gli stati del sud
che sono stati al centro del boom (Arizona, Florida, Nevada).
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Figura 14 • Mobilità geografica
Cambiamento netto
in migliaia
ARIZONA
200
150
100
50
0
FLORIDA
+4.989
2005
2009
NEVADA
2009
2005
Fonte: The Carsey Institute of the University of New Hampshire.
-30.158
2009
2005
-4.105
OPINIONE PUBBLICA. Non c’è da sorprendersi che gli elettori americani vivano
questa nuova era dell’austerità in maniera conflittuale. Il 74% è convinto che il paese
stia andando nella direzione sbagliata (e solo il 22% crede stia andando in quella
giusta), un picco superato solo, in passato, alla fine delle presidenze di Bush senior
e di Bush junior. Negli ultimi dieci anni, inoltre, è sceso del 20% il numero di americani che si dice soddisfatto della propria situazione economica, mentre è cresciuto
dell’oltre il 20% quello di chi la definisce in termini negativi. Cala anche il numero
di genitori convinti che i figli avranno un tenore di vita superiore al proprio (dal 62%
nel 2009 al 42%).
21
CRISI ED ELEZIONI. Complessivamente, questi sono dati che devono preoccupare il presidente in carica Barack Obama, che potrebbe pagare con la propria mancata rielezione la frustrazione dell’elettorato rispetto alla situazione economica. Per
Obama la minaccia più insidiosa è l’andamento del tasso di disoccupazione.
Nessun presidente dai tempi di Franklin Delano Roosevelt è mai stato rieletto quando
questo era superiore al 7,5%. Le previsioni degli esperti lo danno, a fine 2012, oltre
l’8,5%. Ancor più che il dato sulla disoccupazione al momento del voto, quello che
conta è la tendenza mostrata da questo indicatore nei mesi precedenti alle elezioni.
Se un presidente dimostra di essere in grado di far calare il tasso di disoccupazione,
le sue chance di rielezione aumentano. Nel caso contrario, invece, la strada per un
ritorno alla Casa Bianca si fa proibitiva, come accadde a Jimmy Carter nel 1980 e a
George H. W. Bush nel 1992.
L’altro indicatore spesso citato con riferimento alle speranze di rielezione di un presidente in carica è il tasso di approvazione. Un gruppo nutrito di esperti sostiene,
però, che la relazione tra questi fattori sia tenue, almeno fino a che non si arriva in
immediata prossimità del voto.
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Molto interessanti sono, invece, i dati sul tasso di approvazione dei membri del
Congresso. Per la durata di una legislatura, questo tende prevedibilmente a seguire
l’andamento dell’economia, in particolare la crescita del pil. Nel momento in cui
gli elettori si recano alle urne, però, pare che quasi tutti i suoi effetti scompaiano.
Figura 15 • Tasso di approvazione Congresso e correlazione con la percentuale di deputati e senatori in carica rieletti
percentuale
100%
80
60
40
20
22
1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010
TASSO DI RIELEZIONE
DEI DEPUTATI
TASSO DI RIELEZIONE
DEI SENATORI
TASSO DI APPROVAZIONE
CONGRESSO
Fonte: Open Secrets (Center for Responsive Politics).
Figura 16 • Percezione della direzione complessiva in cui sta andando il paese
75%
Nota: i dati riflettono
le risposte alla domanda
“Lei crede che le cose
stiano andando nella direzione giusta
o hanno preso una brutta piega
negli Stati Uniti?”
18%
8%
Direzione giusta
Incerti
Direzione sbagliata
Fonte: Lake Research Partners e The Tarrance Group.
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percentuale
Figura 17 • Percezione della propria situazione finanziaria
70
60
50
40
30
20
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
ECCELLENTE/BUONO
2008
2009
2010
2011
MEDIO/NEGATIVO
Fonte: The Economic Mobility Project.
Tant’è che, storicamente, deputati e senatori sono stati rieletti in percentuali superiori
all’80% anche quando il loro tasso di approvazione al momento del voto era inferiore
al 20%, ad esempio nel 2008. Indipendentemente da quanto gli elettori approvino il
lavoro del Congresso oggi, è probabile che i suoi membri pagheranno meno del presidente le conseguenze del perdurare della crisi economica.
23
Figura 18 • I genitori sono meno ottimisti sul futuro dei figli
67%
Nota: dati colti
dalle risposte alla domanda
“Nel pensare al futuro economico,
prevede una situazione
migliore o peggiore
per la prossima generazione?”
21%
12%
Ottimisti
Incerti
Pessimisti
Fonte: Lake Research Partners e The Tarrance Group.
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Figura 19 • Disoccupazione e rielezione dei presidenti, 1912-2008
PARTITO IN CARICA
24
TASSO DISOCCUPAZIONE
ELEZIONE
Anno
Presidente
Candidato
Inizio campagna
Elezione
Cambiamento
Margine
1912
Taft
Taft
5,1%
5,3%
+0,2%
-18,6%
1916
Wilson
Wilson
4,9%
5,6%
+0,7%
+3,1%
1920
Wilson
Cox
5,2%
5,2%
+0,0%
-26,2%
1924
Harding/Coolidge
Coolidge
8,7%
5,8%
-2,9%
+25,2%
1928
Coolidge
Hoover
4,9%
5,0%
+0,1%
+17,4%
1932
Hoover
Hoover
4,6%
18,8%
+14,2%
-17,7%
1936
Roosevelt
Roosevelt
19,8%
16,6%
-3,2%
+24,3%
1940
Roosevelt
Roosevelt
14,1%
14,6%
+0,5%
+10,0%
1944
Roosevelt
Roosevelt
14,6%
1,2%
-13,4%
+7,5%
1948
Roosevelt/Truman
Truman
1,9%
3,8%
+1,9%
+4,5%
1952
Truman
Stevenson
4,3%
2,8%
-1,5%
-10,9%
1956
Eisenhower
Eisenhower
2,9%
4,3%
+1,4%
+15,4%
1960
Eisenhower*
Nixon
4,2%
6,1%
+1,9%
-0,1%
1964
Kennedy/Johnson
Johnson
6,6%
4,8%
-1,3%
+22,6%
1968
Johnson
Humphrey
4,9%
3,4%
-1,5%
-0,7%
1972
Nixon
Nixon
3,4%
5,3%
+1,9%
+23,2%
1976
Nixon/Ford
Ford
4,9%
7,8%
+2,9%
-2,1%
1980
Carter
Carter
7,5%
7,5%
+0,0%
-9,7%
1984
Reagan
Reagan
7,5%
7,2%
-0,3%
+18,2%
1988
Reagan*
Bush
7,3%
5,3%
-2,0%
+7,7%
1992
Bush
Bush
5,4%
7,4%
+2,0%
-5,5%
1996
Clinton
Clinton
7,3%
5,6%
-1,7%
+8,5%
2000
Clinton*
Gore**
5,3%
3,9%
-1,4%
+0,5%**
2004
Bush
Bush
4,2%
5,4%
+1,2%
+2,4%
2008
Bush*
McCain
5,3%
6,8%
+1,5%
-7,2%
* Il presidente in carica non era eleggibile (finiti i mandati).
** Il candidato ha vinto il voto popolare ma perso l’elezione.
REPUBBLICANI
Fonte: FiveThirtyEight, The New York Times.
DEMOCRATICI
IN CONCLUSIONE: POLARIZZAZIONE POLITICA. Quello che preoccupa
maggiormente rispetto al futuro dell’economia americana è l’accresciuta polarizzazione del dibattito politico a Washington, dove deputati e senatori – sia democratici
sia repubblicani – sembrano arroccati su posizioni sempre più intransigenti e poco
disponibili al dialogo (basti pensare allo scontro di quest’estate sul tetto di indebi-
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tamento o al fallimento del “super committee” di trovare un accordo sul deficit di
bilancio). Secondo lo scienziato politico Keiko Ono dell’Università di Oklahoma, si
tratta di un fenomeno che deriva naturalmente dai cambiamenti che si sono verificati
(in parte grazie anche al processo di redistricting, con cui sono ridisegnati regolarmente i distretti congressuali) a livello della composizione dell’elettorato locale. Il
numero di distretti considerati sicuri per l’uno o l’altro partito è aumentato a dismisura negli ultimi decenni (incoraggiando quindi candidature di politici apertamente
ideologici), mentre stanno scomparendo quelli swing, ovvero i distretti moderati e
contesi dai due partiti, che, tradizionalmente, li costringono a lavorare assieme.
In un momento storico in cui l’economia nazionale ha bisogno di un’azione decisa da
parte della leadership politica del paese, si teme che la polarizzazione ideologica di
Washington abbia ibernato il processo legislativo.
Questa edizione del “Watch” è stata curata da Valentina Pasquali. Collaboratrice di
Aspenia online, vive e lavora a Washington, DC.
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