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Una recente mostra fornisce alcuni spunti per una ricerca di immagini
che testimoniano l’evoluzione della comunicazione pubblicitaria nel tessile
Dal 5 novembre 2003 al 29 febbraio 2004 si è svolta , presso il Castello di Rivoli (TO), una
mostra di grande interesse, intitolata “Nel paese della pubblicità”.
L’evento ha inaugurato l’attività espositiva del Museo della Pubblicità (Dipartimento
Pubblicità e Comunicazione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), il primo
vero e proprio museo della pubblicità in Italia, dotato di una collezione permanente in via di
formazione a cui si affiancheranno rassegne temporanee tematiche.
Il particolare oggetto della mostra era quello che, in Italia, familiarmente viene chiamato “il
carosello”, presentato nella sua evoluzione storica e formale attraverso una selezione di
oltre 300 spot televisivi di tutto il mondo, realizzati dagli anni Cinquanta a oggi, molti dei
quali premiati alle rassegne internazionali di Cannes e di Venezia. Il percorso della mostra
si snodava attraverso sedici ambienti, emblematici della prassi quotidiana e
dell’immaginario collettivo, realizzati con straordinaria efficacia scenografica. All’interno di
essi, su schermi televisivi variamente collocati, gli spot erano proiettati a ciclo continuo e
potevano essere visionati in un contesto dal forte impatto emotivo. La varietà dei luoghi
scelti per scandire le tappe del percorso spaziava da quelli divenuti emblematici
dell’intimità domestica, come la cucina, il bagno e la camera da letto, a quelli della
socializzazione, come il giardino, il bar, la tavola, il distributore di benzina, la scuola e lo
sport. Fino a comprendere gli “spazi aperti” più significativi della nostra vita, come la
campagna, il mare, la montagna, la strada, per finire con la città, rappresentata da New
York, mito urbano per eccellenza e con il luogo simbolo della grande epopea, il Lontano
Ovest degli Stati Uniti. “Il soggetto della mostra – dice il curatore Ugo Volli – sono gli spazi
immaginari della pubblicità, quelli che circondano i marchi negli annunci e nei filmati: un
intero mondo che copre lo spazio naturale e quello urbano, l’interno della casa e i luoghi
pubblici, gli ambienti reali che incontriamo ogni giorno e quelli immaginari della
fantascienza o del Far West. Questo mondo peraltro non illustra semplicemente la nostra
realtà: piuttosto è una proiezione, un’immagine costruita, lo sfondo onirico dei sogni
collettivi proposti dalla pubblicità”.
L’occhio - professionalmente deformato - di chi scrive si è dedicato alla ricerca dei rari spot
nei quali il protagonista fosse un prodotto tessile. Rari in quanto decisamente in minoranza
rispetto a quelli dedicati ad altri beni o servizi di largo consumo, che trovano probabilmente
nel “carosello” la forma di comunicazione più efficace, mentre i settori dell’abbigliamento e
del tessile per la casa sembrano privilegiare la carta stampata. Nell’ambito dei prodotti
tessili, decisamente in testa per numero di presenze all’interno della mostra si collocano i
jeans Levi’s 501, di cui viene messo in evidenza ora l’irresistibile appeal (seducenti sirene
sembrano soccorrere un giovane in procinto di annegare, ma poi si scopre che il loro
interesse è rivolto ai jeans che indossa…) ora la straordinaria robustezza (un paio di jeans
viene usato come fune per il traino di un auto in panne). E’ importante sottolineare che
proprio un fotogramma di questo spot è stato scelto , in forza della sua grande efficacia
comunicativa, per la copertina del catalogo illustrativo della mostra.
Altro settore ben rappresentato è quello dell’abbigliamento sportivo e degli accessori ad
esso correlati, quali le calzature, a ulteriore testimonianza della vitalità e del crescente
successo di un modo di vestire comodo e destrutturato come lo sportswear, che
conferisce a chi lo indossa un’immagine positiva, dinamica e socialmente riconosciuta.
Marche come Adidas, Reebok, Nike, Champion, Colmar, Superga, Disel Jeans e Speedo
sono ben rappresentate tra gli spot selezionati, all’interno di varie ambientazioni che vanno
dal mare (nello spot Speedo, ad esempio, atleti di varie specialità annaspano
faticosamente nell’acqua, mentre una bella nuotatrice, che indossa appunto un costume
Speedo, si muove con grazia nel suo elemento naturale) alla città (nello spot di Colmar si
può leggere la testimonianza del fatto che l’abbigliamento nato per la pratica dello sport si
è progressivamente sempre più radicato nella vita urbana di ogni giorno).
Il sex appeal femminile è protagonista di spot dedicati alle calze di nylon Golden Lady ed
al reggiseno DIM, mentre il letto, “luogo tessile” per eccellenza, è addirittura al centro di
una sezione ad esso interamente dedicata, all’interno della quale spicca il materasso
“Dunlopillo”, le cui straordinarie qualità di comfort ed elasticità inducono il protagonista a
riservare, all’attraente campagna, non tanto le attenzioni che sarebbe lecito attendersi,
quanto acrobatiche ma caste evoluzioni, compiute con scimmiesche movenze
Il messaggio che è possibile cogliere lungo il percorso scandito dai vari ambienti in cui la
mostra si articola è ben sintetizzato nelle parole di Ugo Volli “Si produce in questa maniera
un provvisorio riordinamento della produzione pubblicitaria, diverso dalla sua “naturale”
organizzazione per prodotti e marche…, un modo per distanziare l’aspetto puramente
funzionale del discorso pubblicitario e mettere in rilievo il suo contenuto implicito,
l’immagine del mondo che passa nel nostro immaginario (o da esso viene estratto)”.
In sintonia con questa affermazione, riteniamo si possono percorrere, con straordinaria
efficacia, le tappe dell’evoluzione di ogni prodotto di consumo, compreso il tessile,
attraverso le varie forme espressive che, nei diversi periodi, ne hanno caratterizzato la
pubblicità. La quale , se non una vera e propria forma d’arte, è certamente una delle
modalità di comunicazione che meglio sanno rappresentare e interpretare lo spirito dei
tempi. A questo proposito, ancora una volta , si rivelano illuminanti le parole di Volli “Che la
pubblicità sia proprio l’arte del nostro tempo…è luogo comune tra gli addetti ai lavori e i
commentatori della “comunicazione”, un’altra ambiziosa autodefinizione questa…che i
pubblicitari usano come un’antonomasia: questa denominazione afferma che fare
pubblicità è comunicare per eccellenza. Senza ritornare a vecchie dispute di stampo
crociano su ciò che sia arte e ciò che non lo sia…vale però la pena di prendere nota di
questa affermazione…nel momento in cui un importante museo di arte contemporanea
decide di dedicare una sua sezione alla pubblicità”.
E’ quindi possibile, per l’appassionato ricercatore, leggere, come in ogni altra “forma
d’arte” - non solo nei testi, ma anche nelle immagini, nelle atmosfere e nelle emozioni che
il messaggio pubblicitario riesce a suscitare - le mutazioni del gusto, del linguaggio e,
perché no, della società stessa. Questa indagine si può poi focalizzare su singoli beni di
consumo, valutandone non solo gli aspetti relativi al costume, ma anche quelli più
strettamente legati al marketing dei prodotti stessi. Nel caso specifico del tessile,
attraverso la pubblicità, è possibile ritrovare, all’interno del contesto storico rappresentativo
dell’epoca, le tappe dell’innovazione tecnologica e quelle della moda, l’evolversi dei
processi produttivi e lo svilupparsi delle fibre fatte dall’uomo, viste anche nei loro rapporti
con le materie prime naturali.
A dimostrazione di questo assunto, e senza voler con questo emulare la complessa
filosofia della mostra di Rivoli - né tanto meno esaurire l’affascinante argomento - abbiamo
provato a scegliere, dall’archivio personale , una quindicina di pagine pubblicitarie di
argomento tessile, che abbozzano, in un arco circa sessant’anni, la storia di alcuni prodotti
di largo consumo, e si intrecciano con l’evoluzione delle fibre usate per realizzarli. Le
didascalie si propongono di favorire la lettura di alcuni dei molteplici significati attribuibili ai
messaggi pubblicitari riprodotti in queste pagine , messaggi selezionati tra quelli più
significativi della recente storia del tessile e delle fibre.
GIORGIO BELLETTI
febbraio 2004
1. La copertina del catalogo illustrativo della
Mostra riproduce un paio di jeans:
l'immagine è tratta da un famoso spot dei
Levi's 501, che evidenzia la loro robustezza
proverbiale, al punto da poter essere usati
per il traino di un'auto in panne.
2. Il personaggio di Caio Gregorio "Guardiano
del Pretorio" è il protagonista del noto spot
dedicato, negli anni '50, al marchio di garanzia
delle fibre prodotte dalla Rhodiatoce, che
venivano pubblicizzate con mezzi degni di un
bene di largo consumo
3. Le fibre artificiali, che la Snia fu tra le prime
aziende in Italia a produrre su scala
industriale, venivano chiamate genericamente
"fiocco" e si connotavano come un prodotto
autarchico. L'immagine dei manufatti è ancora
legata ai tessuti in pezza, non essendo ancora
diffusa all'epoca la confezione industriale.
4. Da "tessile dell'indipendenza" a
"cotone nazionale", la sostanza non
cambia: il regime vuole che le fibre
artificiali rendano l'Italia autosufficiente
per quanto riguarda le materie prime
tessili.
5. Il "Lanital", fibra ricavata dalla caseina del
latte, è visto come un italico dardo, forse puntato
verso la "perfida Albione", che ai tempi
dominava i commerci della lana sul mercato
mondiale. Di recente è stata riproposta una fibra
derivata dal latte: presentata come molto
innovativa, pochi ricordano che già si produceva
settant'anni fa.
6. Le prime calze non in fibre naturali
probabilmente furono in cupro, una fibra
artificiale definita in questo annuncio come
"seta Bemberg". Un disinvolto abuso, che
oggi sarebbe legalmente perseguito...
7. Pronta fu la reazione di una marca ancora
oggi famosa, che difende le calze di seta naturale
pura, il cui costo tuttavia, in un'epoca da "mille lire
al mese", pare non essere certo alla portata di
tutte le borse.
8. Nel primo dopoguerra arrivò il nylon, che
fece piazza pulita di tutti i concorrenti e
consentì ad ogni donna il piacere di
indossare le calze più fini del mondo.
9. Il nylon rivoluzionò anche il mercato dei
costumi da bagno, fino ad allora dominato
dalla lana.
10. E la reazione della lana non tardò ad
arrivare: nulla la può sostituire..., ma, in questo
caso, era una battaglia persa in partenza contro
l'irresistibile avanzata delle fibre man made.
11. Per rendere elastici i costumi da bagno
si usava un particolare filato a base di
gomma naturale, il "Lastex". Un altro
prodotto che non sopravvisse all'avvento
delle fibre elastomeriche. Da notare lo
slogan di questo annuncio, che certamente
viene prima del famoso "Chi mi ama mi
segua" usato da Jesus Jeans.
12. Il poliestere entrò nell'abbigliamento
maschile attraverso un capo classico come
l'impermeabile, tradizionalmente prodotto in
puro cotone, introducendo il concetto di
"protezione", che ancora oggi si rivela
vincente.
13. La mista di poliestere Terital e lana fu
proposta al guardaroba maschile come
"l'abito del futuro" ma non ebbe il successo
sperato, per la preferenza che il consumatore
dimostrò ben presto per i più pregiati tessuti
in fibre naturali.
14. Una certa concorrenza si ebbe non solo
tra le fibre chimiche e le naturali ma anche tra
le stesse fibre man made, che si contesero
nicchie di mercato. In questo caso l'acrilico
Leacril dimostra di voler competere con il
poliestere nella drapperia maschile, senza
tener conto dei limiti tecnologici che ne
impediranno il successo.
15. Il cosiddetto Husky fu probabilmente il primo capo
d'abbigliamento mutuato dallo sport a entrare nel
guardaroba di tutti. Ciò avvenne malgrado fosse
dichiarata apertamente la composizione in 100%
sintetico: il tessuto in poliammide e il poliestere usato
per l'imbottitura consentivano una straordinaria sintesi
di comfort, leggerezza e costo, che, alla prova dei fatti,
conquistò il consumatore.
16.Il poliestere microfibra si posizionò ai
massimi livelli dello sportswear maschile grazie
a Zegna, che, con il Microtene 10.000,
introdusse un nuovo concetto di giubbotteria
maschile hi-performance, garantita da una
firma prestigiosa nel mondo, fino ad allora
legata esclusivamente alle più pregiate fibre
naturali..
"Come ricavare un maglione da 10
bottiglie di plastica": con questa head
line, Montefibre lanciò, una decina di
anni fa, il poliestere ecologico, prodotto
con materie prime derivate dal riciclo
delle bottiglie in PET, sottratte ai rifiuti
solidi urbani grazie alla raccolta
differenziata. Un messaggio che
contribuì a dare, delle fibre sintetiche,
un'immagine "environment friendly",
vicina alla sensibilità delle nuove
generazioni di consumatori.