Giovedì 27 Agosto 2015 MEDIA 21 2 Nei siti stranieri appelli agli utenti che fermano le inserzioni. In Italia ancora nessun allarme Gli editori: no banner no party Ma i software blocca-pubblicità possono essere un’occasione DI ANDREA SECCHI «S enza pubblicità noi non sopravviveremo». «Non ti piace la pubblicità, ma noi siamo un’azienda fondata sulla pubblicità. Questi soldi ci servono per mandare avanti il sito». «Per favore, aiuta degli amici e disabilità il tuo ad blocker». «Sostienici in altro modo» e così via. Sono alcuni degli appelli che da un po’ di tempo editori americani, inglesi, tedeschi stanno inserendo nei propri siti quando i loro sistemi si accorgono che l’utente sta usando un programmino per bloccarne le inserzioni, un ad blocker appunto. Appelli per affrontare amichevolmente un problema che presto potrebbe avere un impatto molto im- la crescita nel nostro paese è del +134% rispetto all’anno scorso. In verità, gli editori italiani non sono ancora preoccupati della cosa, o meglio stanno rizzando le antenne ma non si può dire che attualmente l’argomento sia una priorità. In Fcp Assointernet, la sezione online della Federazione delle concessionarie di pubblicità, ancora non c’è un dossier sul tema, mentre all’Iab Italia, l’Interactive advertising bureau, il campanello è suonato ma ancora si è Dall’alto, in senso orario, alcuni degli appelli degli editori agli utenti che bloccano la pubblicità: Guardian, Mixcloud, Wired, Gamebanana, Fast Company, Michele Marzan portante sui conti dei siti di informazione e non, perché grazie agli ad blocker (spesso estensioni, aggiunte del browser gratuite) l’utente vede una pagina priva di pubblicità che quindi non viene pagata. Qualche settimana fa ha avuto grande eco una ricerca proprio sul fenomeno dell’ad blocking: 144 milioni di utenti nel mondo usano questi programmini, ossia il 4,9% degli utenti, ma la crescita è del 69% anno su anno. In alcuni paesi si raggiungono percentuali ben più alte: 27,6% negli Usa, 24% in Polonia, Svezia, Danimarca, Grecia. Secondo la società che ha realizzato lo studio, la perdita in termini di mancato introito pubblicitario nel 2015 è di 22 miliardi di dollari. C’è però un avvertimento: i dati, che sono gli unici finora circolanti, sono stati raccolti ed elaborati da PageFair (insieme con Adobe), ovvero da una società che offre agli editori un sistema per aggirare gli ad block e che quindi ha tutto l’interesse ad allarmare. Con questo non si vuol dire che i dati sono necessariamente gonfiati, semplicemente la situazione è questa. Per l’Italia, PageFair parla di 4,7 milioni di utenti che utilizzano gli ad block su 36,6 milioni che hanno un accesso a internet (non gli utenti realmente attivi, che sono molti meno), ovvero il 12,9%. Una percentuale che, se verificata, sarebbe importante, anche perché sempre PageFair dice che Lo dice Tony Hall, d.g. del gruppo pubblico inglese Bbc, a rischio 30 mila posti nell’industria tv DI U ALESSIO ODINI lteriori tagli alla Bbc rischiano di tradursi in almeno 30 mila nuovi licenziamenti all’interno dell’industria televisiva inglese. È questo l’allarme che Tony Hall, direttore generale del gruppo radiotelevisivo pubblico di Londra, ha lanciato durante il Guardian Edinburgh International Tv festival, di fronte alla possibilità La sede che il governo deci- londinese da ulteriori tagli al della Bbc canone, per venire incontro agli utenti più anziani e meno abbienti, o depenalizzi il mancato pagamento della tassa. «Una nuova ricerca dimostra che, in base alla spinta che la Bbc fornisce al settore, tagliando il canone del 25%, si perderebbero circa 32 mila posti di lavoro nell’intera economia», ha dichiarato Hall al Guardian. «Questi non sono solo posti di lavoro alla Bbc, ma all’interno dell’industria televisiva, fra produttori indipendenti, fornitori e studios sparsi nel paese». In questo modo, il d.g. della Bbc ha cercato di rispondere alle intenzioni del governo conservatore, che vorrebbe ridurre i costi della tv di stato, già messa a dieta, ma che potrebbe essere ulteriormente ridimensionata dopo che John Whittingdale, segretario alla cultura inglese, avrà terminato la revisione dei conti e delle attività della tv pubblica, focalizzata su quattro aspetti: offerta complessiva, servizi e i contenuti, linee guida, governance e regolamenti. Fin dall’annuncio, alla metà di luglio, il d.g. ha preso le parti dell’azienda, sostenendo che una Bbc ridimensionata avrebbe meno forza nella promozione dei programmi e delle serie britanniche nel panorama mondiale, in particolare nei confronti dei concorrenti a stelle e strisce. «Dal momento in cui compagnie americane di dimensioni enormi, come Amazon, Google e Apple hanno cominciato a realizzare programmi e servizi per loro conto, dobbiamo pensare attentamente che cosa rende speciale la tv inglese», ha dichiarato il manager durante il festival della tv in Scozia. «È troppo facile dare per scontata la Bbc, e con il governo che decide sul suo futuro, c’è molto in gioco. Una Bbc forte contribuisce anche a una forte economia britannica». Hall ha rintuzzato anche le critiche di chi sostiene che la Bbc sia divenuta troppo grande, nonostante sia innegabile che dal 1994 a oggi i canali sono passati da due a nove. In realtà, a espandersi è stato l’intero panorama televisivo inglese, passato da 61 a 536 canali. «La Bbc rappresenta una percentuale di tv ben più bassa ora, che vent’anni fa», ha aggiunto Hall. «Globalmente, abbiamo meno della metà del fatturato di Sky e un sesto del fatturato di Disney». © Riproduzione riservata nella fase preparatoria. Ci si sta chiedendo, insomma, in che modo l’associazione dovrà occuparsene. Quindi il problema non c’è? Il problema arriverà. Se si è scettici sui dati, forse gli appelli degli editori stranieri possono convincere che l’ad blocking non è da sottovalutare. Per giunta ci sono due aspetti che porteranno il fenomeno a crescere. Il primo è che con il passare del tempo i nativi digitali saranno sempre più numerosi nell’universo internet e sono proprio loro i maggiori utilizzatori degli ad blocker. Non dimentichiamo che questi software blocca-banner esistono da tanto, solo ora però stanno avendo una diffusione importante. Dall’autunno, poi, con l’avvento della versione 9 del sistema operativo iOs di Apple, gli ad blocker avranno campo libero anche sui dispositivi della mela perché, secondo anticipazioni, ci sarà un’opzione che ne permetterà l’utilizzo nel browser Safari. Finora gli ad blocker sono stati usati sui pc, la penetrazione su mobile sarà perciò da monitorare. Gli appelli sono solo un modo di affrontare la cosa e non il più efficace, secondo PageFair. Ci sono editori che impediscono l’intero accesso al sito, ci sono altri che cercano alternative ai banner tradizionali, che potrebbero essere il native advertising o le sponsorizzazioni. «È un fenomeno teoricamente deleterio per lo sviluppo dell’online advertising». commenta Michele Marzan, vicepresidente di Iab Italia oltre che ceo di Teads Italia (pubblicità video) che si sta occupando del tema. «Però voglio sottolineare questa cosa: l’ad blocking non fa altro che ribadire ancora una volta che in ambito internet advertising l’utente decide, interagisce sulla pubblicità. E l’utente più smart, più evoluto, prova anche questo tipo di soluzioni se si trova disturbato da qualche aspetto delle inserzioni. La pubblicità, perciò, dovrà evolvere verso quello che l’utente crede sia giusto e corretto. Uno stimolo agli editori, insomma: non spruzzo semplicemente di banner la pagina e prego che ci sia qualche interazione e conversione». Marzan parla ancora di una diversa valorizzazione degli utenti di un sito: da valutare non tanto la singola visita su una pagina ma la vita dell’utente sul sito e il suo coinvolgimento: «questo pone i publisher di fronte all’opportunità di fare un lavoro migliorativo, se non lo faranno c’è da attendersi che la percentuale di ad block aumenti». © Riproduzione riservata