LA CONTRAFFAZIONE E IL RISARCIMENTO DEL DANNO

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LA CONTRAFFAZIONE
E
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
SILVIA VITRO’
3/12/2015
LA CONTRAFFAZIONE
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1) MARCHIO
Il marchio è un segno distintivo, cioè deve essere idoneo a distinguere i prodotti o servizi di un
imprenditore da quelli di un altro; esso ha funzione distintiva.
A tale funzione corrisponde il diritto di esclusiva del titolare del marchio, cioè il diritto di impedire ai terzi
di usare lo stesso segno per contraddistinguere prodotti o servizi affini, provocando confusione per il
pubblico.
Nella legge del 1942 il marchio non poteva essere trasferito senza l’azienda o un ramo di essa. Ora
questo vincolo non c’è più, con possibilità di coesistenza sul mercato di marchi uguali usati da imprenditori
diversi (per es. il caso di licenza concessa a una pluralità di soggetti).
Il marchio, per poter espletare la propria funzione di segno distintivo, deve consistere in una entità
idonea a caratterizzare un prodotto e distinguerlo dagli altri.
L’art. 7 CPI prescrive che possono costituire marchio registrato “tutti i segni suscettibili di essere
rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le
cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche,
purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese”.
Poiché l’elenco di cui all’art. 7 non è tassativo, può ammettersi la registrazione di marchi olfattivi,
di marchi gustativi o di sapore. Si può depositare una formula chimica, un campione.
Inoltre i marchi di posizione, cioè i segni (bidimensionali o tridimensionali) collocati in determinati
punti del prodotto (per esempio una particolare colorazione della punta di una scarpa).
LA CONTRAFFAZIONE
• Per costituire oggetto di tutela come marchio, il segno deve possedere i
requisiti di validità del marchio, la cui assenza è di impedimento alla
registrazione e ne provoca la nullità, se registrato.
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In primo luogo il segno deve possedere capacità distintiva.
• Manca la capacità distintiva in caso di segni percepiti dal pubblico come
elementi strutturali del prodotto (colori, forme) o come slogan
pubblicitari; o nel caso di segni divenuti di uso comune nel linguaggio
corrente o negli usi costanti del commercio, o di denominazioni generiche
di prodotto o di indicazioni descrittive dei prodotti.
• L’altro requisito di validità del marchio è la novità.
• Deve cioè essere diverso dai segni distintivi oggetto di diritti anteriori di
altri.
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Il terzo requisito di validità dei marchi è quello della liceità.
• Ne sono privi: i segni contrari alla legge, ordine pubblico e buon costume,
gli stemmi e altri segni simbolici, i segni decettivi o ingannevoli, per es.
sulla provenienza geografica o sulla natura o qualità dei prodotti
LA CONTRAFFAZIONE
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Il marchio comunitario è stato istituito con il Regolamento CE n. 40/94, poi sostituito dal
Regolamento CE n. 207/2009; ha carattere unitario e produce i medesimi effetti in tutto il
territorio dell’UE.
Ad Alicante vi è l’Uami, Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno, che tiene il registro
e svolge vari compiti inerenti ai marchi comunitari.
L’Uami concede la registrazione; decide sull’opposizione ad essa; una prima impugnazione si
può fare davanti alla Commissione di ricorso istituita presso l’Uami stesso; poi le decisioni
possono essere impugnate davanti al Tribunale UE e poi davanti alla Corte di Giustizia UE.
La disciplina sostanziale del Regolamento del marchio comunitario è simile a quella
vigente per il marchio italiano.
L’anteriorità di un marchio va valutata anche con riferimento ai marchi registrati in un altro
Stato membro.
Marchio non registrato o marchio di fatto.
Può rientrare nell’ambito del CPI, perché l’art. 1 fa riferimento anche ai segni diversi
dal marchio registrato, l’art. 12 indica questa categoria e l’art. 22 sottolinea il principio
dell’unitarietà dei segni distintivi.
Non gli si applica, però, automaticamente la disciplina del marchio registrato, ma più
che altro i principi da essa desumibili.
Il marchio di fatto è tutelato solo nei limiti della possibile confondibilità.
LA CONTRAFFAZIONE
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Violazione del diritto.
L’uso del marchio viene in esame sia ai fini dell’onere di uso dello stesso, sia dell’individuazione
della violazione del marchio per uso illecito altrui.
L’art. 21 co. 2 CPI vieta allo stesso titolare determinate modalità di uso del marchio:
- “2. Non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, nè, in specie, in modo da ingenerare
un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi
altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza
dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di
autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi”.
L’art. 20 CPI prevede:
- “1. I diritti del titolare del marchio d'impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del
marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa
dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un
rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio
registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli
stessi.
2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il
segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali
fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti
contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può
sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci”.
LA CONTRAFFAZIONE
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La legge dunque specifica che i diritti conferiti al titolare del marchio dalla
registrazione consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio e poi
descrive tale facoltà in termini negativi, come possibilità di vietare ai terzi
determinati comportamenti.
In primo luogo il titolare del marchio può vietare l’uso di un segno identico al suo
marchio per prodotti o servizi identici.
Questo uso è vietato a prescindere dal rischio di confusione, che si presume
sussistere comunque.
Nelle altre ipotesi l’uso è vietato quando può determinarsi un rischio di
confusione, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni.
Dunque nelle ipotesi normali il marchio è tutelato solo nei limiti della possibilità di
confusione.
E’ necessario il concorso di due elementi: identità o somiglianza tra segni e identità
o affinità tra prodotti.
Non deve trattarsi di una mera confondibilità, ma di confondibilità circa l’origine
del prodotto. E’ vietato l’uso idoneo a indurre il pubblico a pensare che i prodotti
provengano in realtà dal titolare del marchio contraffatto.
LA CONTRAFFAZIONE
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La violazione dell’altrui marchio integra usurpazione (per marchio identico) o
contraffazione.
Art. 20 co 2: è uso l’apposizione sul prodotto e sulla confezione (a
prescindere dalla messa in commercio nel territorio italiano), l’uso pubblicitario,
l’importazione (a prescindere dalla messa in commercio nel territorio italiano),
esportazione, ecc.
L’art. 21 co. 1 CPI consente a certe condizioni l’uso del segno altrui in funzione
descrittiva.
E’ pertanto lecito usare nell’attività economica:
- il proprio nome e indirizzo, anche se confondibile con marchi altrui,
- o indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al
valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di
prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio, anche
se coincidano in qualche modo con il marchio altrui;
- o il marchio d'impresa altrui, se riferirsi ad esso e' necessario per indicare la
destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di
ricambio.
LA CONTRAFFAZIONE
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II) BREVETTO PER INVENZIONE
Il brevetto per invenzione è l’istituto giuridico attraverso il quale l’ordinamento
assicura all’inventore il diritto di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un certo periodo
di tempo.
Esso garantisce l’inventore contro il rischio di distruzione del segreto, perché l’esclusiva
durerà per il tempo fissato dalla norma, indipendentemente dal fatto che altri siano in grado
di realizzare la stessa invenzione.
In Italia la disciplina dei brevetti per invenzione è affidata oggi al Codice di Proprietà
Industriale (d.lgs.n.30/2005), che contiene la disciplina sostanziale del brevetto e la disciplina
della tutela giurisdizionale.
La Convenzione di monaco disciplina il c.d. brevetto europeo. L’inventore può
depositare una domanda di brevetto all’Ufficio Europeo dei Brevetti (Epo) di Monaco di
Baviera.
Si tratta di un fascio di brevetti nazionali ed è soggetto alle norme brevettuali nazionali (per la
parte non regolata dalla Convenzione) e alla giurisdizione di ciascun Stato.
E’ stato inoltre istituito il brevetto unitario europeo, che vale come titolo unitario per
tutti gli stati membri dell’UE ed è soggetto solo alla normativa e alla giurisdizione
convenzionale.
LA CONTRAFFAZIONE
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Contraffazione
Ogni uso dell’invenzione brevettata non autorizzato dal titolare del brevetto (per esempio
con licenza) costituisce contraffazione.
Si ha contraffazione anzitutto nelle ipotesi i cui l’invenzione altrui viene integralmente imitata
o quando l’imitazione non è integrale ma tocca comunque l’ambito coperto dalla privativa
altrui.
La contraffazione non è esclusa dal fatto che la soluzione adottata dal terzo apporti alla
precedente invenzioni delle modifiche migliorative (contraffazione evolutiva), né dalla
possibilità di ravvisare nel perfezionamento o nella modifica un’invenzione brevettabile (cioè
la soluzione originale di un ulteriore problema tecnico). Infatti, se l’attuazione della seconda
invenzione implica l’attuazione di quella precedente, la seconda deve essere considerata
invenzione dipendente e la sua attuazione costituisce contraffazione del primo brevetto
(salva la possibilità di ottenere una licenza obbligatoria sul medesimo).
L’estensione della privativa viene individuata tramite l’interpretazione del brevetto
cioè tramite l’esame della documentazione presente nel fascicolo brevettuale.
LA CONTRAFFAZIONE
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I limiti della protezione brevettuale sono determinati dalle rivendicazioni, le quali vanno interpretate alla
luce della descrizione e dei disegni contenuti nella documentazione brevettuale.
In ipotesi di imitazione non integrale dell’altrui invenzione, se gli elementi essenziali
dell’invenzione brevettata sono presenti nella realizzazione altrui, eventuali differenze concernenti
elementi non essenziali non valgono a evitare la contraffazione.
Inoltre, anche quando gli elementi essenziali non sono identici, si ha contraffazione (si parla di
contraffazione per equivalenti) se l’idea inventiva, l’insegnamento fondamentale che sta alla base
dell’invenzione brevettata è presente anche nella realizzazione altrui.
Un elemento può essere considerato equivalente se svolge sostanzialmente la stessa funzione
dell’elemento brevettato, la svolge sostanzialmente nello stesso modo e produce sostanzialmente lo stesso
risultato.
Si può avere anche contraffazione indiretta.
Nell’ipotesi di produzione o messa in vendita di parti staccate o di pezzi di ricambio in sé non coperti da
brevetto, ma destinati ad operare all’interno di una struttura o di un procedimento brevettato, aventi uso
industriale.
Oppure nell’ipotesi delle invenzioni di nuovo uso di un composto noto o di un materiale biologico noto. Se
un composto è capace di due usi, il secondo solo dei quali è brevettato, la fabbricazione e la vendita del
composto sono lecite e si ha contraffazione del brevetto sul secondo uso solo da parte dell’acquirente che
lo utilizzi per il secondo uso, e a fini strumentali e industriali non per uso personale
LA CONTRAFFAZIONE
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III) IL GIUDIZIO DI CONTRAFFAZIONE
Il titolare di un diritto di proprietà industriale è legittimato ad agire contro il
terzo che sta violando il suo diritto (si dice contraffazione di un titolo registrato e
violazione di un diritto non registrato).
La legittimazione attiva a difesa del diritto spetta non solo al titolare dello stesso
ma anche al licenziatario con esclusiva (e secondo certe interpretazioni anche a
quello senza esclusiva) e al distributore del prodotto.
Il titolare del diritto ha accesso a particolari misure cautelari (descrizione,
sequestro e inibitoria) e tali misure sono fruibili anche dal titolare della domanda
di brevetto e registrazione (perché si ottenga una sentenza di contraffazione è
però necessario che il rilascio del titolo sopravvenga in corso di causa).
La legittimazione passiva spetta non solo a chi abbia realizzato i prodotti o
apposti segni in violazione del diritto altrui, ma anche a chiunque intervenga nella
distribuzione dei prodotti stessi.
Il giudizio di contraffazione è affidato al Tribunale delle Imprese.
LA CONTRAFFAZIONE
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Le misure cautelari, rese necessarie dall’intento di evitare la possibile lunghezza del giudizio
di contraffazione e dalla difficoltà di provare nel giudizio di merito, l’esatta consistenza del
danno subito dal titolare della privativa, sono, come detto, la consulenza tecnica preventiva,
la descrizione, l’inibitoria, il sequestro.
Possono essere chieste prima dell’avvio del giudizio di merito o nel corso di questo.
Il provvedimento cautelare mantiene la sua efficacia anche se non è seguito
dall’instaurazione del giudizio di merito, qualora sia idoneo ad anticipare gli effetti della
sentenza di merito.
Contro il provvedimento cautelare del giudice monocratico può essere proposto reclamo al
Collegio.
Con la sentenza che accerta la contraffazione può essere applicata l’inibitoria, può
essere disposta la rimozione, distruzione o assegnazione in proprietà al titolare del diritto o il
sequestro dei prodotti realizzato in contraffazione e degli strumenti a tal fine utilizzati.
La sentenza può anche disporre la pubblicazione su giornali della sentenza stessa o del
suo dispositivo, a spese del contraffattore.
Può anche essere imposta una penale, in caso di violazione dell’inibitoria.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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IV) IL RISARCIMENTO DEL DANNO
A)In generale
In un sistema di concorrenza sempre più spinta, appare sempre più
necessario risarcire integralmente il danno provocato nel tempo, anche breve,
anteriore al provvedimento inibitorio.
Inoltre, il diffondersi delle pratiche contraffattore induce a valorizzare la funzione
deterrente del risarcimento.
La liquidazione del danno da contraffazione si presenta sempre come
un’operazione difficile.
Ciò ha condotto nell'esperienza italiana più che in altri sistemi nazionali (alcuni dei
quali dispongono di regole volte a evitare gli effetti negativi di queste difficoltà, per
esempio negli USA è consentito al giudice di liquidare fino al triplo dei danni
effettivamente accertati) a una sistematica sottovalutazione del danno risarcibile.
Questa situazione depotenzia intollerabilmente i diritti proprietà industriale e
costituisce un preciso incentivo alla contraffazione oltre che un disincentivo a
investimenti dall'estero.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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La nuova formulazione dell'articolo 125 CPI, introdotta in attuazione della direttiva
n. 2004/438/CE sul rispetto dei diritti proprietà intellettuale (art. 17, co. 1, D.Lgs.
16 marzo 2006, n. 140), propone regole parzialmente nuove, che hanno migliorato
la prassi giurisprudenziale.
“1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli
articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti
pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato
guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della
violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il
danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.
2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in
una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne
derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo
non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto
pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.
3. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili
realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro
cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento.”.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• Il danno risarcibile comprende, secondo le regole generali, il danno
emergente e il lucro cessante.
• Il danno emergente consiste soprattutto delle spese vanificate
dall'illecito (ad esempio spese pubblicitarie) e delle spese affrontate
per ovviare alla contraffazione (spese di accertamento della
contraffazione, spese di consulenza, assistenza e pubblicità
motivate dalla necessità di fronteggiare la contraffazione).
• Il lucro cessante, e cioè il mancato profitto del titolare del diritto di
proprietà intellettuale, è dato dalla differenza tra i flussi di vendita
che il titolare avrebbe avuto senza contraffazione e quelli che ha
effettivamente avuto. Deve quindi distinguersi la riduzione delle
vendite del titolare provocata dalla contraffazione da quella che può
essere imputata ad altri fattori (ad esempio a disaffezione del
mercato, a crisi economica generale, ecc.).
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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La difficoltà di quantificazione del danno può essere superata in parte grazie alla valutazione
equitativa, secondo le regole generali. L'art. 125, co. 2, CPI consente che il giudice liquidi il
danno in una somma globale stabilita in base agli atti di causa e alle presunzioni che ne
derivano.
Secondo la regola generale di cui all’art. 278 c.p.c., è possibile anche una condanna generica
del contraffattore al risarcimento del danno, con la remissione della quantificazione a un
futuro giudizio, che è onere del titolare del diritto promuovere.
In ogni caso sia la valutazione equitativa, sia condanna generica, sia la determinazione di una
somma globale presuppongono la c.d. prova ontologica del danno, la prova cioè che un
danno, se pure non quantificabile con esattezza, esiste.
Il secondo comma dell’art. 125 CPI precisa che il lucro cessante è comunque determinato un
importo non inferiore a quello del compenso che il contraffattore avrebbe pagato al titolare
se avesse chiesto ottenuto una licenza per utilizzare il diritto altrui.
Si tratta di una regola da utilizzare solo ove manchi la possibilità di identificare altrimenti le
mancate vendite del titolare.
Il canone di una ipotetica licenza, infatti, non può essere assunto criterio ottimale di
quantificazione del lucro cessante, perché sottostima sempre il danno (l'utile di chi produce e
vende è sempre maggiore dell'utile di chi produce solo tramite licenza a terzi) e rischia di
azzerare il diritto di esclusiva, consentendo a chiunque di ottenere una sorta di licenza anche
contro la volontà del titolare.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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A differenza di altre sanzioni, la condanna al risarcimento del danno è possibile
solo in presenza del presupposto soggettivo di cui all’art. 2043 c.c., che è
costituito, alternativamente, dal dolo o dalla colpa dell'autore dell'illecito.
Si ritiene che la pubblicità legale dei titoli di proprietà industriale dia vita ad
una presunzione (relativa, quindi suscettibili di prova contraria) di colpa a
carico del contraffattore. Anche chi agisce a difesa di un diritto non titolato è
esonerato dall'onere di prova della colpa dell'autore dell'illecito (vedi art. 2600
c.c.).
Nella pratica, per effetto di queste presunzioni, è sempre assai difficile per il
contraffattore fornire la prova dell'assenza di colpa.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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B)Danno emergente
Il danno emergente può essere chiesto cumulativamente con il lucro cessante calcolato
secondo il modello dei primi due commi o del terzo (invece alternativi fra loro).
Sono ritenute pacificamente risarcibili le spese sostenute per la ricerca degli elementi di
prova, le spese pubblicitarie vanificate e quelle resesi indispensabili per controbattere la
contraffazione (c.d. pubblicità da ricostruzione).
Inoltre, le spese legali, anche di costituzione di parte civile nel procedimento penale, e di
consulenza tecnica.
Non possono non esistere tracce nei bilanci della società titolare degli investimenti effettuati
e dei costi sopportati per ottenere la titolarità del brevetto.
Tuttavia non tutte le spese della vittima della violazione, pur provate, devono essere risarcite.
Ad esempio, le spese di indagine potrebbero essere state sostenute in base un programma di
monitoraggio adottato come misura generale, indipendentemente dalla specifica violazione;
così come un'eventuale pluralità di contraffattori indipendenti comporterà non già una loro
responsabilità solidale, ma pro quota, il che richiederà una suddivisione proporzionale delle
spese.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• Le spese affrontate devono essere comunque proporzionate al fatto lesivo.
• Va peraltro tenuto presente che tendenzialmente anch'esse, come i danni
del lucro cessante, devono essere liquidate nella loro integrità, al fine non
solo di assolvere una funzione compensativa, ma anche per evitare
qualunque vantaggio, e quindi incentivo, per l'autore della violazione.
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Parimenti per la giurisprudenza devono essere comprese nel danno
emergente le c.d. spese vive, ossia quelle derivanti dall'esigenza di
reazione delle parti lese.
• Anche le eventuali spese di pubblicazione di un provvedimento cautelare,
ove non rimborsate.
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Si ritiene anche che la sfera del danno emergente possa allargarsi al
c.d. danno normativo, cioè il pregiudizio subito dalla posizione di
monopolio in sé goduta dal titolare dell'esclusiva quale situazione
giuridicamente protetta dall'ordinamento.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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È in quest'ottica che la dottrina richiede risarcire il danno da annacquamento (o svilimento)
del diritto come parte del danno emergente.
Anche in giurisprudenza si sta sempre più affermando l'orientamento che richiede risarcire il
danno da annacquamento (o svilimento o dilution) del marchio. In particolare il danno da
annacquamento è da liquidarsi nel caso di marchio notorio.
Per parte della giurisprudenza il danno da annacquamento, che è autonomo rispetto ai
mancati profitti, deve essere necessariamente liquidato in via equitativa, soprattutto nei casi
di marchio notorio (che potrebbe non subire contrazione nelle vendite).
Esistono comunque criteri utili a calcolare tale danno, unendo valutazioni di tipo finanziario,
basate sull'attualizzazione dei flussi differenziali prodotti dal marchio oggetto di valutazione,
a valutazione di tipo qualitativo, legate alla determinazione della forza del brand.
Peraltro il fenomeno della dilution non sembra confinato ai segni distintivi, per la perdita di
valore attrattivo. Si è fatto l'esempio della contraffazione malamente effettuata di un
brevetto farmaceutico, potenzialmente idonea distruggere la fiducia del pubblico nel farmaco
contraffatto.
Le spese di pubblicità ricostruttiva, necessaria per combattere l'annacquamento del
marchio, sono state liquidate nel 10% del fatturato relativo alle spese di pubblicità, mentre in
altri casi si è scelta una stima totalmente equitativa in una somma fissa.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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C)Lucro cessante
Per quantificare il lucro cessante, già prima dell'introduzione dell’art. 125 CPI e della sua
riforma, erano stati proposti e applicati tre diversi criteri valutativi:
la perdita di profitto del titolare della privativa,
i benefici realizzati dal contraffattore,
la royalty ragionevole.
1)Il criterio ritenuto dalla dottrina principale e più corretto e quello che fa riferimento alla
perdita di profitto subita dal titolare con la contraffazione.
L’art. 125 CPI fa in effetti riferimento alle conseguenze economiche negative, compreso il
mancato guadagno, del titolare del diritto leso.
Non sempre è possibile utilizzare questo criterio. Non lo è per esempio in caso di
contraffazione di brevetto non ancora attuato e comunque in tutti i casi di non
intercambiabilità tra profitti persi della vittima della contraffazione e utile del contraffattore.
Per esempio nel caso in cui vi siano canali di distribuzione diversi e comunque non
interferenza di clientela. In tali casi infatti non può presumersi che titolare abbia subito un
danno da lucro cessante corrispondente alle vendite effettuate dal contraffattore.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• Fa parte del lucro cessante, e va risarcito provato, il danno da mancata
vendita di prodotti accessori o complementari al prodotto brevettato, c.d.
convoyed sales. In dottrina si è specificato che, nel caso di risarcimento del
danno da mancata vendita di prodotti o servizi accessori (o vendite
gemellate o danni indotto), non vale la presunzione per cui il mancato
guadagno del titolare sia uguale al profitto del contraffattore, in quanto
viene meno la situazione di monopolio. In questo caso il titolare deve
dimostrare una contrazione delle vendite, almeno per ottenere un
risarcimento equitativo.
• Altra voce di danno sussumibile nel lucro cessante deriva
dall'abbassamento dei prezzi che il titolare può essere costretto ad
effettuare come reazione alla contraffazione.
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• Potranno essere utili ai fini della prova del danno o del suo calcolo,
rispetto al fatturato del titolare danneggiato, la sua documentazione
contabile, i listini dei prezzi, i depliant, i premi, i riconoscimenti, gli ordini
dei clienti parentesi poi disdettati.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• Il mancato guadagno in cui si concretizza il lucro cessante
essenzialmente identificato, dunque, per la giurisprudenza
tradizionale, nella perdita del soggetto passivo della contraffazione,
conseguente alle minori vendite e agli sconti che questa dovuto
praticare per fronteggiare l'erosione del mercato.
• In questo filone parte della giurisprudenza presa base l'utile netto
che le vittime avrebbe conseguito sul volume di affari sottratti.
• La giurisprudenza più recente ha però calcolato lucro cessante sul
fatturato escludendo dalla decurtazione i costi fissi quali le spese di
amministrazione, gli ammortamenti e i costi generali che in ogni
caso il titolare della privativa dovrebbe sostenere e calcolando
quindi in decurtazione i soli costi incrementali, cioè i costi che la
società titolare della privativa avrebbe affrontato per produrre
commercializzare il numero di prodotti corrispondente alle mancate
vendite.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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Un altro orientamento fa riferimento all'utile lordo che avrebbe conseguito il
titolare se avesse venduto i prodotti al posto del contraffattore, moltiplicando il
prezzo praticato dal titolare per il numero di pezzi venduti dal contraffattore,
ovvero al margine operativo lordo, il c.d. Mol.
In ogni caso anche la giurisprudenza che accoglie il criterio dell'utile netto ha
precisato che, per determinarlo, occorre tenere conto del prezzo dei prodotti del
titolare e non di quello dei prodotti contraffattori che spesso sono venduti un
prezzo inferiore.
Altra giurisprudenza fa riferimento, più genericamente, all'utile del settore (nella
specie stimato nel 15%).
Per alcuni ritengono preferibile, anche in funzione deterrente, il cosiddetto profitto
lordo, rappresentato dei ricavi diminuiti solamente dei costi variabili; o comunque,
si fa riferimento a percentuali di ricarico medio del settore o a margini di utile
equitativamente stimati sul fatturato complessivo.
Ciò che ad alcuni sembra più rilevante non è l'utile lordo ho detto, ma il risultato
operativo del titolare ottenuto sottraendo dal fatturato i costi operativi, i costi del
lavoro e gli ammortamenti e accantonamenti.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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Altro autore identifica il dato di partenza per il calcolo del lucro cessante nell'utile
marginale realizzato sulle vendite che il titolare ha potuto effettuare malgrado la
violazione, ricavato sottraendo dal fatturato e relativi costi variabili diretti e
ammortamenti e accantonamenti corrispondenti, senza contare i costi fissi.
Spesso utilizzato nel calcolo dei profitti persi è il c.d. Panduit Test o test Damp,
secondo il quale bisogna verificare che esiste una domanda per il prodotto, che vi
è assenza di sostituti accettabili non in contraffazione, che il titolare danneggiato
abbia capacità manifatturiera e mercantile atta a soddisfare la domanda. Se tutte
queste prove vengono fornite, si può procedere al calcolo del profitto perso.
In sintesi, si dovrebbe tendere a verificare il prezzo di vendita del prodotto
coperto da privativa, il numero di prodotti che la parte attrice avrebbe venduto in
assenza dell'attività di contraffazione, comparando ad esempio le vendite degli
anni precedenti con quelle successive, ma tenendo conto del tasso medio di
crescita o di decrescita del settore e della quantità di prodotti venduti dal
contraffattore, con specificazione dell'effettiva capacità di interferenza anche
territoriale delle vendite.
A questo punto si dovrebbe calcolare l'utile netto sottraendo al fatturato i costi
incrementali, cioè i costi indotti dalla produzione e vendita delle unità perse.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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Per valutare il mancato guadagno del titolare può essere utile sapere qual è stato il guadagno
conseguito dal contraffattore (art. 125, co. 1, CPIU: i benefici realizzati dall’autore della
violazione). E questo è un dato rilevabile dall'esame delle scritture contabili del
contraffattore, de le quali il titolare del diritto potere dell'esibizione ex art. 121 CPI.
In linea di diritto, gli utili del contraffattore non coincidono con il danno risarcibile, perché
titolare del diritto violato potrebbe avere una contrazione di vendite superiore o inferiore al
volume di vendite realizzato dal contraffattore.
L'avrà superiore se il contraffattore è poco efficiente, la contraffazione disorienta il pubblico,
e fa perdere quote di mercato del prodotto, favorendo la concorrenza di terzi; l'avrà inferiore,
se il contraffattore è più efficiente del titolare, e realizza un volume di vendite superiore a
quello che il titolare stesso avrebbe realizzato in assenza di contraffazione
Per calcolare l'utile del contraffattore non è scontato che possa valere lo stesso criterio
che serve a determinare il lucro cessante del titolare, per cui risulta necessario supporre che i
ricavi delle vendite dei prodotti contraffatti beneficino degli investimenti, delle spese generali
e dei costi fissi che il contraffattore comunque sostiene, salvo limitare, quando la
contraffazione non sia incolpevole, la deduzione ai soli costi variabili per evitare che la
contraffazione possa comunque risultare conveniente.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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2) L’art. 125 CPI prevede anche il caso in cui sia difficile arrivare a identificare la
perdita subita dal titolare della privativa, secondo i metodi sopraindicati.
Infatti, i criteri indicati al secondo comma dell’art. 125 CPI fanno riferimento, in
generale, al fondamentale criterio equitativo.
In particolare si prevede la possibile liquidazione di una somma globale, che
altro non può significare se non l'esenzione per il giudice dall'onere di specificare i
singoli elementi presi in considerazione. Si tratta appunto di liquidazione
equitativa, già ricompresa nel primo comma in forza del rinvio all’art. 1226 c.c.
Grazie queste disposizioni giudice potrà liquidare i danni in generale e non
limitatamente al lucro cessante e superare le molte difficoltà di quantificazione.
Si può dare luogo a liquidazione equitativa anche in assenza di richieste di parte o
dove la parte non abbia dimostrato specificamente una diminuzione di fatturato.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• La liquidazione equitativa del danno non è però per il giudice
completamente discrezionale, perché trova un significativo limite nella
seconda parte del secondo comma del predetto articolo, che impone
come minimo obbligatorio che l'importo non possa essere inferiore a
quello dei canoni che l'autore della direzione avrebbe dovuto pagare
qualora avesse ottenuto la licenza del titolare del diritto leso.
• Si tratta di un criterio residuale, quello della royalty virtuale.
• È un criterio particolarmente efficace nei casi in cui il titolare del diritto di
privativa non lo utilizzi, o lo utilizzi misura nettamente inferiore rispetto
contraffattore, o in territori diversi da quelli in cui è stato immesso il
prodotto in contraffazione, o i consumatori appartengano a settori non
permeabili.
• Per evitare che questo criterio sia troppo favorevole contraffattore, il
prezzo della royalty va fissato al tempo della contraffazione, senza sconti.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• Quella della royalty è in ogni caso un criterio non ottimale perché
sottostima sempre il danno e rischia di azzerare il diritto di esclusiva del
titolare, sostanzialmente estorcendogli il consenso.
• Infatti spesso è definito come giusto prezzo del consenso.
• La royalty può essere calcolata secondo metodo analitico, in base al
quale bisogna sommare l'utile standard per i prodotti in questione con
l'utile attribuibile alla tecnologia brevettata, o ipotetico, in base al quale
bisogna valutare quale sarebbe stata un'aliquota concordata tra le parti.
• In genere si può far riferimento a puntuali studi sulle aliquote della royalty
media di settore, con esame dei contratti di licenza per ogni settore
merceologico.
• La royalty ragionevole può essere identificata anche sulla base di fatti
notori delle pratiche dei singoli settori.
• Quando poi il marchio gode di particolare rilevanza, le aliquote vengono
calcolate, ancorché in via equitativa, anche in misura molto maggiore.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• 3) Altro criterio fondamentalmente equitativo è quello previsto
dall'articolo 125 comma terzo della cosiddetta retroversione degli
utili.
• Si tratta di una innovazione con riferimento ad un autonomo
meccanismo risarcitorio e indennitario.
• Il terzo comma prevede infatti la retroversione degli utili in
alternativa con il risarcimento del danno, con riferimento solo al
lucro cessante, perché, per quanto concerne il danno emergente,
esso per coerenza di sistema e a salvaguardia della funzione
dissuasiva della nuova misura, dovrebbe essere ritenuto cumulabile
con la retroversione degli utili.
• La restituzione degli utili realizzati dall'autore della contraffazione
avviene in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella
misura in cui essi eccedano tale risarcimento.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• La ratio di questa regola è semplice.
• In certi casi il contraffattore è un operatore più efficiente del titolare e
riesce a realizzare un volume di vendite maggiore di quello che avrebbe
realizzato il titolare in questi casi se si limita il danno risarcibile al mancato
utile del titolare, l'operazione può chiudersi con un forte saldo attivo per il
contraffattore. Il che non è tollerabile.
• In certi altri casi, il titolare potrebbe non risentire alcuna contrazione di
vendite, nonostante la contraffazione. Ciò accade quando il contraffattore
occupa un mercato diverso o quando il contraffattore, grazie alle spese
pubblicitarie, fa crescere le vendite anche del titolare. In questi casi, se si
limita il danno al mancato utile, si viene a negare ogni risarcimento (danno
emergente a parte), perché il titolare del diritto leso non ha subito alcuna
contrazione di vendite.
• Opportuna, quindi, la regola che consente al titolare di chiedere in ogni
caso l'attribuzione degli utili realizzati dal contraffattore. Ad evitare che
contraffattore possa trarre guadagno dalla contraffazione stessa.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
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Per evitare, però, che l'attribuzione degli utili del contraffattore operi in termini
ingiustificatamente premiali per il titolare, occorre identificare esattamente gli utili
che il contraffattore è tenuto a restituire.
Questi sono, non tutti gli utili che egli ha realizzato con la commercializzazione e
vendita di un certo prodotto, ma solo gli utili realizzati con l'attività contraffattoria.
In ipotesi di contraffazione di brevetto che copre un prodotto nuovo, l'attività
illecita è, appunto, la produzione e commercializzazione di quel prodotto; e quindi
gli utili restituendi saranno tutti gli utili realizzati dal contraffattore con la
produzione e vendita di quel prodotto.
Nel caso, invece, di contraffazione di un marchio speciale, l'attività illecita non è la
produzione e commercializzazione di un certo prodotto, ma solo l'uso di un certo
marchio per certi prodotti; e quindi gli utili restituendi saranno, non tutti gli utili
realizzati da contraffattore con la produzione e vendita di prodotti, ma solo quella
parte degli utili che può essere imputata alla contraffazione, cioè alla apposizione
di quel marchio. Rimarranno al contraffattore, invece, tutti gli utili che egli
comunque avrebbe realizzato vendendo quel prodotto con altro marchio non
contraffattorio.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• D)Danno non patrimoniale
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Nell'ambito del danno emergente va anche
ricompreso il danno non patrimoniale, che viene
ormai pacificamente ricompreso nel novero
dell'art. 2059 c.c.
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Il danno morale è specificamente previsto
comunque dall’art. 125, co. 1, CPI, che non fa
distinzione tra persone fisiche e persone
giuridiche.
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
• Un tipico danno non patrimoniale è il danno all'immagine o alla
reputazione commerciale.
• Esso può essere dunque risarcito anche a una persona giuridica
allorquando sia lesa la sua buona immagine e la sua buona
considerazione, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione
da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali
la persona giuridica o l’ente di norma interagisca, sia sotto profilo della
incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire dell'ente.
• Tali conseguenze sono state ravvisate nella materia della proprietà
industriale, ad esempio, nel caso di vendita di prodotti contraffatti a un
prezzo inferiore a quello praticato dal legittimo titolare, o dove i prodotti
siano qualitativamente inferiori.
•
La valutazione richiede una adeguata motivazione che eviti
qualunque automatismo nel calcolo e sia parametrata alle caratteristiche
oggettive della condotta riprovata, quali la gravità, la sistematicità, la
pericolosità, l'intensità del dolo o la gravità della colpa, l'ingiustificato
arricchimento.
CASI PRATICI
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E)Casi Pratici
1) Risarcimento dei danni morali subiti dall’architetto A.
Tali danni consistono nella lesione dell’immagine dell’attore, che si è oggettivata
nell’opera architettonica di X e che è stata alterata e distorta dalla realizzazione peggiorativa
estrinsecatasi nella centrale di Y.
La violazione della reputazione dell’attore emerge da quanto rilevato dai CTU (“La mera e
manieristica ripetizione, a Y, del linguaggio architettonico tipico della centrale di X, la
presenza di un progetto/realizzazione ove non è leggibile uno studio originale e organico dei
volumi e degli involucro…., possono costituire pregiudizio alla reputazione e all’onore
dell’autore del progetto originario, nei confronti degli esperti e/o dei possibili committenti di
opere architettoniche significative”) e dalle dichiarazioni rilasciate da esperti del settore
architettonico, che hanno comunicato lo stupore di fronte alla realizzazione, a Y, peggiorativa
del progetto originario di A.
Tali danni (il cui risarcimento è ammesso dall’art. 158, co. 3, L.A.) possono essere
liquidati equitativamente, tenendo conto del valore dell’immagine dell’arch. A (emergente
dai documenti attorei inerenti alla sua attività e dagli onorari professionali dal medesimo
ottenuti nel suo lavoro, specialmente negli anni precedenti ai fatti di causa) e della estrema
visibilità delle opere in esame (le due centrali termoelettriche, di X e di Y).
Appare dunque equo liquidare il danno non patrimoniale in complessivi €. 100.000, già
compresa la rivalutazione monetaria e gli interessi sulle somme rivalutate.
CASI PRATICI
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2) Restituzione degli utili realizzati a far tempo dal 2005 nella commercializzazione del macchinario
X.
Il CTU, esaminata la documentazione contabile acquisita in sede di descrizione giudiziale e
successivamente esibita dalla parte convenuta, ha accertato (nella sua relazione) il fatturato e gli
utili (dal 2005 alla data della relazione) nella seguente misura:
- fatturato: €. 1.447.184,65;
- utili: €. 261.589,40.
Correttamente il CTU ha calcolato l’utile del contraffattore sottraendo dai ricavi ottenuti
dalla vendita dei prodotti contraffatti i costi che sono stati necessari per “fare” detti prodotti
venduti, ma limitatamente ai costi che non si sarebbero sostenuti se non ci fosse stata la violazione.
In particolare, il CTU segnala che i costi di impiego dei fattori di produzione vanno attribuiti in
ragione del contributo offerto alla produzione, che i costi indiretti vengono detratti dai ricavi in
misura diversa a seconda che si tratti di impresa multi prodotto (come nel presente caso, in cui
sono prodotti almeno anche i diversi macchinari Y) o monoprodotto, e che i costi da detrarre sono
principalmente i c.d. costi variabili (materie prime, merci), dal momento che i costi fissi sono
comunque sostenuti indipendentemente dai volumi di vendita e di produzione realizzati.
Pertanto, il CTU, in maniera condivisibile, esaminando le contestazioni delle parti, considera in
parte detraibili il costo del personale, il costo medio bordo macchina e quadro elettrico, i costi
montaggi e assistenza tecnica, i costi di trasporto, le spese commerciali trasferte, e non invece
quelli inerenti alla voce locazioni
CASI PRATICI
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3)Rubinetti
Per quanto riguarda la quantificazione del danno appaiono corretti gli accertamenti e le
conclusioni della CTU contabile disposta.
Delle ipotesi di calcolo del lucro cessante effettuate dal CTU, appare più aderente alla realtà
la III ipotesi, di cui alla pag. 47 della CTU.
Tale ipotesi ha preso in considerazione i ricavi dalla vendita dei prodotti contraffatti, sottraendo da
essi i costi primi di diretta imputazione a detti prodotti venduti.
A proposito del calcolo del CTU, da un lato si osserva che vanno senz’altro conteggiate anche
le vendite all’estero dei prodotti X, dal momento che l’attività di fabbricazione sul territorio dello
Stato di un prodotto tutelato da brevetto per invenzione costituisce contraffazione brevettuale
anche se la produzione è destinata al mercato estero
Dall’altro lato, vanno escluse le vendite dei prodotti X separatamente (cioè solo una canna per
l’erogazione dell’acqua o un miscelatore), perchè, come sopra visto, solo la vendita in combinazione
dei dispositivi della convenuta integra la contraffazione accertata.
Il CTU, dunque, ha accertato l’utile ricavato dalla convenuta per la vendita dei prodotti X (in
forma abbinata e anche con destinazione estera):
- nella misura di €. 28.556,02 per X;
- nella misura di €. 15.956,63 per XX.
Il totale complessivo è di €. 44.512,65, al quale vanno aggiunti la rivalutazione monetaria, secondo
gli indici Istat, dal 2007 ad oggi, e gli interessi, nella misura dell’1%, sulle somme via via rivalutate.
CASI PRATICI
• 4) Violazione modelli di maniglie
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Si ritiene, invece, accoglibile la domanda
dell’arch. X di condanna dei convenuti Y al
risarcimento del danno al medesimo causato
dalla illecita menzione del sig. Y come autore
delle maniglie oggetto delle registrazioni attoree.
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Appare equa la valutazione della violazione
del diritto morale dell’arch. X nella misura di €.
10.000 per ciascun modello, per un totale di €.
50.000.
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CASI PRATICI
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5)Imitazione pensiline per auto.
Per quanto riguarda il quantum del risarcimento, si osserva, in primo luogo, che il
CTU, nell’accertamento di quali siano stati gli utili realizzati dalla X dal gennaio
2006 al 2009 con la commercializzazione delle pensiline di cui al doc…, ha rilevato,
dopo approfondito esame (pag. 9 e ss.) della documentazione in atti (fatture e
scritture contabili della convenuta), che (pag. 14) solo nel 2006 la X ha realizzato
un utile netto (di €. 11.918,52, detratte anche le imposte), mentre negli anni dal
2007 al 2009 i costi (comprensivi di costi per le materie prime per la produzione
delle pensiline e dei costi generali del personale e di amministrazione e
produzione) hanno superato i ricavi.
Si osserva, tuttavia, che, come osservato dalla parte attrice, per valutare
quale sia stato l’utile che la X ha sottratto alla Y, tale utile va calcolato con
riferimento principale al prodotto e non alla organizzazione interna di chi
commette l’illecito (che può essere strutturalmente soggetta a costi generali
diversi e più ampi di quelli della parte lesa).
Pertanto, per calcolare detto utile si dovrebbe tener conto solo dei costi
immediatamente riconducibili al prodotto, cioè di quelli inerenti alle materie prime
per la produzione delle pensiline, oltre ad una ragionevole percentuale (comunque
imprescindibile) di costi fissi.
CASI PRATICI
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Nel caso in esame, pertanto, tenuto conto delle tabelle di cui alle pag. 12-14 della CTU, l’utile sottratto alla Y può essere calcolato nel seguente
modo:
- anno 2006:
.fatturato:
€. 279.461,20;
.consumi inerenti pensiline: €. 125.357,26;
.detrazione dal risultato di €. 154.103,94 di un terzo dei costi fissi (calcolati dal CTU nella complessiva somma di €. 136.730), con risultato di utile di
€. 108.527,34;
- anno 2007:
.fatturato:
€. 281.903,58;
.consumi inerenti pensiline: €. 183.733,37;
.detrazione dal risultato di €. 98.170,21 di un terzo dei costi fissi (calcolati dal CTU nella complessiva somma di €. 157.813), con risultato di utile di €.
45.565,91;
- anno 2008:
.fatturato:
€. 321.446,33;
.consumi inerenti pensiline: €. 213.569,13;
.detrazione dal risultato di €. 107.877,2 di un terzo dei costi fissi (calcolati dal CTU nella complessiva somma di €. 186.628), con risultato di utile di €.
45.667,9;
- anno 2009:
.fatturato:
€. 286.145,00;
.consumi inerenti pensiline: €. 211.734,22;
.detrazione dal risultato di €. 74.410,78 di un terzo dei costi fissi (calcolati dal CTU nella complessiva somma di €. 148.921), con risultato di utile di €.
24.770,48.
Il risultato complessivo è di €. 224.531,63.
Vanno aggiunti la rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, dal 2006 ad oggi, e gli interessi in misura che si ritiene equo
determinare al tasso annuo dell’1%, da calcolarsi anno per anno sul valore delle somme via via rivalutate.
CASI PRATICI
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6)Atti di cessione di marchi
Per quanto riguarda l’individuazione dei danni subiti dalla parte attrice, va, in primo luogo,
esclusa la restituzione del prezzo pagato dalla X per l’acquisto dei marchi, dal momento che
l’attrice ha potuto comunque sfruttare i marchi per anni, sin dal 2003, come la stessa
afferma.
Il danno subito dall’attrice va individuato nel lucro cessante, derivante dalla mancata
futura disponibilità dei marchi da parte sua.
L’attrice ha affermato di aver sfruttato il marchio concedendolo in licenza al Gruppo Tessile X
sin dal 2003, come emerge dal contratto di licenza di cui al doc. 30 attoreo, dalle fatture
aventi oggetto le royalties pagate da X dal 2003 al 2009, per totali €. 150.000 (doc. 22
attoreo), e dalle dichiarazioni testimoniali dei testi A e B, che hanno confermato che Y aveva
concesso in licenza i marchi a X.
Dal documento 22 predetto risulta il pagamento di royalties nella misura di circa €. 25.000
all’anno.
Pertanto, ipotizzando una possibilità di sfruttamento del marchio per almeno altri 15
anni (anche grazie agli investimenti e alla promozione pubblicitaria effettuati da Y, doc. 34
attoreo), il lucro cessante può essere individuato nella misura di €. 375.000.
Non viene presa in considerazione l’osservazione dell’attrice circa il calo di fatturato negli
anni 2007-2009, trattandosi di profilo di danno al quale l’attrice ha accennato tardivamente
solo nella terza memoria ex art. 183 c.p.c.
CASI PRATICI
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Infine il danno subito dall’attrice va individuato altresì (come da essa richiesto) nelle spese da
essa affrontate per tutelare i propri interessi relativamente ai marchi in esame.
Tali spese risultano:
- dal doc. 33 attoreo, contenente prospetto indicativo delle ore dedicate dai dipendenti di Y
alla gestione della presente vicenda nell’anno 2010 (esame corrispondenza, riunioni con
avvocato e consulenti, ricerca documenti, ecc,.), per totali 93 ore di tempo, con un costo
totale di €. 3.028,00;
- dalle dichiarazioni dei testi A e B, che hanno confermato i dati di cui al citato doc. 33 e
hanno riferito di aver eseguito ricerche ed esami anche negli anni 2008 e 2009.
Pertanto, il costo affrontato da Y negli anni dal 2008 al 2010 per ricerche ed esami in
relazione alla presente vicenda può essere individuato nella misura di €. 7.000 (calcolando €.
3.000 per il 2010, anno di maggiore intensità del lavoro effettuato dai dipendenti della Y, ed
€. 2.000 per ciascuno degli anni anteriori).
Pertanto, il danno subito dall’attrice va individuato nella complessiva somma di €. 382.000,
oltre alla rivalutazione monetario, ai sensi degli indici Istat, dal 2007 ad oggi e oltre agli
interessi, nella misura dello 0,5%, da calcolarsi sulle somme via via rivalutate.
CASI PRATICI
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7)Appropriazione di design
Per quanto riguarda la domanda attorea di risarcimento danni, da un lato si osserva che
l’attrice non chiede il risarcimento del danno emergente, non esponendo spese particolari
sofferte.
L’attrice chiede che le sia risarcito il lucro cessante derivante dalla perdita della
possibilità di concessione in licenza dei disegni in questione, con conseguente possibilità di
percezione di royalties.
Tale danno appare sussistente (ex art. 2056 c.c.), considerato che l’immissione sul
mercato (doc. 8 e 14-15 attorei), da parte della convenuta, di rubinetti aventi forma quasi
identica a quella oggetto dei disegni attorei ha privato di valore tali disegni, che non possono
più essere considerati oggetto di interesse da parte di altri produttori di rubinetti, non
essendo essi più caratterizzati da aspetti innovativi.
Il lucro cessante in questione può essere equitativamente quantificato (tenendo
presente il complessivo importo- €. 114.300- percepito da X in occasione della concessione in
licenza alla Y di altra linea di rubinetti negli anni dal 1998 al 2006, doc. 10 attoreo, e
considerato il diverso periodo preso in considerazione, dal 2006 in poi, e il diverso stato del
mercato) in circa la metà della predetta somma, pari ad €. 50.000.
Pertanto la convenuta va condannata a pagare tale somma, oltre alla rivalutazione
monetaria, secondo gli indici Istat, dal 2006 ad oggi, ed oltre agli interessi in misura che si
ritiene equo determinare al tasso annuo del 1,5%, da calcolarsi anno per anno sul valore delle
somme via via rivalutate.
CASI PRATICI
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8)Pubblicità comparativa
Va, poi, altresì accolta la domanda attorea di risarcimento danni.
In primo luogo si osserva che l’impatto negativo per X, in termini di danni all’immagine
e di sviamento di clientela, determinato dalla pubblicità televisiva, per stampa e via internet
su descritta, illecita perchè ingannatoria e denigratoria, è stato senz’altro molto elevato
considerato:
- che la pubblicità realizzata attraverso le reti televisive Mediaset per più giorni, attraverso la
pubblicazione sui diffusissimi “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Il Sole 24 Ore” e le riviste
“Io Donna” e “D La Repubblica delle Donne” e attraverso il sito internet ha avuto una enorme
e rilevante diffusione;
- che la campagna televisiva è andata in onda dal 5/4/2008 (in questo primo giorno vi è stato
uno spot denominato “teaser”, cioè una pubblicità preliminare diretta a suscitare curiosità
nel pubblico senza rivelare la marca del prodotto pubblicizzato, e tuttavia rilevante ai fini
della successiva pubblicità illecita, proprio perchè diretta a rafforzarla) al 20 aprile (come
emerge dalla tabella di cui al doc. 35 attoreo, per un totale di 216 passaggi televisivi);
- che la pubblicità è avvenuta anche sul sito internet A, come risulta dal doc. 50 attoreo, che
contiene anche l’indicazione delle proprietà del file sul quale le pagine del sito sono state
salvate, dalla quale si evince che il file è stato creato il 21/4/2008.
CASI PRATICI
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A questo punto, da un lato si osserva che non è possibile individuare il danno subito da X nella
misura della penale prevista dall’ordinanza del Tribunale di Torino del 27/5/2008, dal momento che
il provvedimento emesso dal Tribunale inaudita altera parte nella precedente data del 17/4/2008
non conteneva la previsione della penale e che tale penale non può essere applicata
retroattivamente.
Si osserva, poi, che, se anche è vero che il fatturato del prodotto S in esame è aumentato dal
2007 al 2008 (come riferito dalla parte attrice stessa e dichiarato dal teste attoreo A), tuttavia il
danno subito dalla parte attrice può in primo luogo essere individuato nella percentuale superiore
degli importi incassati da Y in relazione alle vendite del prodotto P almeno nei due mesi successivi
alla campagna pubblicitaria in esame, percentuale che può corrispondere ad un mancato guadagno
da parte di X, per essere stata la clientela dirottata verso il prodotto P a causa dell’illecita pubblicità.
Più precisamente, dai doc. 60 e 61 attorei, sostanzialmente non contestati dalla convenuta
riguardo ai dati del fatturato, risulta che nei mesi di aprile e maggio 2008 (successivi alla campagna
pubblicitaria) il fatturato del prodotto P in esame ha avuto un incremento, rispetto al precedente
mese di marzo e al successivo mese di giugno, per cui tale incremento (rispetto ad una media di
circa €. 80.000 per i mesi di marzo e giugno, i mesi di aprile e maggio hanno avuto una media di
fatturato di €. 135.000, con conseguente incremento di €. 55.000 per ciascun mese) può essere
considerato effetto dell’esecuzione dell’illecita pubblicità.
Pertanto, il lucro cessante di X può essere individuato nell’utile derivato dal predetto incremento di
fatturato (totale 110.000, determinabile nella misura della metà dello stesso, cioè in €. 55.000).
CASI PRATICI
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Si ritiene poi che siano rimborsabili all’attrice le seguenti spese, necessariamente e legittimamente
affrontate per fronteggiare l’intenso effetto dannoso proveniente dalla pubblicità illecita su
descritta:
- fattura n. 574 del 3/9/2008 di €. 17.887,73, emessa dallo studio G per l’attività svolta nell’ambito
del procedimento avanti il Giurì (doc. 51 attoreo);
- importo di €. 3.600,00, versato all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria per i costi del relativo
procedimento (doc. 51 attoreo);
- non si prendono in considerazione, invece, le spese legali e di CTP affrontate nell’ambito del
procedimento cautelare, ex art. 700 c.p.c., atteso che tali spese sono già state liquidate nel
provvedimento 27/5/2008 del Tribunale di Torino (per €. 20.156,00, oltre Iva e Cpa);
- costo dell’invio, da parte di X, dopo la pubblicazione del provvedimento del Tribunale di Torino del
27-28/5/2008 sul quotidiano La Repubblica del 4/7/2008, di una lettera a tutte le farmacie che
commercializzano i prodotti F (circa 8.000), con la quale è stato comunicato l’esito del
procedimento cautelare e alla quale è stato allegato il quotidiano La Repubblica del 4/7/2008
- costo dell’impiego di 9 dipendenti di X sia per fornire un sostegno tecnico-scientifico ai legali
esterni e al perito relativamente alle iniziative giudiziarie intraprese nei confronti di Y, sia per gestire
le iniziative di marketing intraprese per contrastare la campagna pubblicitaria di A, per un
complessivo monte ore di 280 (tempo sottratto alle altre occupazioni di tali dipendenti e dunque
influente sull’organizzazione del lavoro di X), così come risulta dalle testimonianze dei dipendenti di
X; l’attrice ha indicato un costo complessivo di €. 40.000, che la convenuta non ha nei termini
specificamente contestato come non rispondente al vero.
Il totale delle suddette spese è di €. 74.087,73.
CASI PRATICI
• Infine, si ritiene debba anche liquidarsi a favore
dell’attrice una somma per il danno all’immagine,
derivato dall’intensa attività pubblicitaria denigratoria
della convenuta sopra descritta.
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Tenuto conto dell’elevatissima notorietà del
marchio F (tra l’altro emergente dal doc. 64 attoreo) e
dell’altissimo fatturato collegato a questo marchio
(come risultante dalle dichiarazioni del teste A e dal
doc. 62 attoreo), e quindi dell’intenso impatto negativo
della pubblicità denigratoria sul prodotto B, si ritiene
equo individuare il danno all’immagine della parte
attrice nella misura di €. 200.000.
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