Mediaset: "Senza spot taglieremmo la tivù dei bimbi"

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GENTE VENETA | Società e cultura
Venerdi, 3 Giugno 2005
Mediaset: "Senza spot taglieremmo la tivù dei
bimbi"
O manteniamo questo livello di pubblicità, o siamo costretti a ridurre la programmazione per i
bambini. E contro l'eccesso di spot ci deve essere il presidio della famiglia: non si può appaltare
alla tivù il compito di baby-sitter e di educatrice. E' il senso delle risposte che vengono da
Publitalia, la concessionaria di pubblicità delle tivù Mediaset, chiamata in causa da una recente
indagine della Società pediatrica italiana. Secondo lo studio promosso dai pediatri, un bambino
che veda ogni giorno due ore di programmi di Italia 1, fra le 16 e le 19, in un anno vede circa
31.500 spot. Quasi cento al giorno. Un'enormità. Ma secondo Luigi Colombo, Direttore
Generale Marketing di Publitalia '80, la medaglia ha molti lati, e vale la pena di vederli tutti.
Cominciamo dal primo: questo numero - più di 30.000 spot in un anno - è reale? Il dato è
vero. Ma è quello che ci è consentito dalla legge. Legge che ci impone un tetto quantitativo non più del 18% del tempo di trasmissione oraria può essere occupato dalla pubblicità - e
regole ferree: la non interruzione dei cartoni (con il posizionamento degli spot solo tra un
cartone e l'altro o all'apertura di un cartone o del programma), nonché particolari mezzi di
segnalazione della pubblicità nel corso della programmazione dedicata ai minori, oltre al divieto
della presenza di personaggi dei cartoni animati nella pubblicità trasmessa prima o dopo gli
stessi cartoni. Resta che 30.000 e passa spot sono tantissimi. Non mi dirà che fanno bene
ad un bambino... Le dirò che la pubblicità fatta bene, che dà anche informazioni, secondo me
non crea effetti nocivi sull'educazione dei ragazzi. Noi abbiamo un'estrema attenzione per gli
spot trasmessi nella fascia protetta, tra le 16 e le 19, affinché non possano in alcun modo
turbare i ragazzi. Durante questi orari non compaiono spot di televendita, né la pubblicità di
alcuni settori merceologici considerati "critici" per il pubblico in età minore. Richiediamo alla
pubblicità cinematografica versioni "soft" durante il pomeriggio, così come applichiamo criteri di
particolare attenzione a tutta la pubblicità che può raggiungere i ragazzi negli orari in cui è più
probabile che si trovino soli davanti al televisore. Dopodiché un ragazzino esce di casa, passa
davanti ad un'edicola e vede un sacco di riviste pornografiche tranquillamente esposte. Chi ha
avuto maggiori attenzioni? D'accordo, ma rimaniamo alla tivù. Così tanti spot comportano
una forte induzione all'acquisto, che non è detto faccia molto bene... Scusi se la porto
ancora fuori dalla tivù, ma se un ragazzino va al parco giochi o al supermercato ha stimoli
all'acquisto anche più forti. Mi sembra un po' troppo facile e banale criminalizzare la pubblicità in
tivù rispetto ad altre offerte che comunque sono fatte ad un bambino. Direi, piuttosto, che
questo è il prezzo da pagare per i benefici della nostra civiltà. E' vero che i cartoni animati
non vengono interrotti, ma durano ciascuno pochi minuti. Così, fra l'uno e l'altro, con
frequenze molto alte, arrivano serie di spot. E' impensabile concentrare la pubblicità e
avere degli intervalli più lunghi non interrotti? Una scelta del genere avrebbe due effetti: il
primo è di rendere antieconomica la scelta di trasmettere cartoni animati. E siccome siamo una
televisione commerciale, una situazione del genere ci porterebbe al quesito se continuare a
trasmettere programmi per bambini o no. Ma non c'è un margine di riduzione almeno
parziale della frequenza degli spot? Concentrare la pubblicità in uno spazio per ogni ora
vorrebbe dire, dal nostro punto di vista, andare in perdita totale. Per cui una televisione che vive
di pubblicità dovrebbe ripensare le sue scelte. Però, a volte, una televisione può scegliere,
per motivi "politici", di mantenere anche una programmazione in perdita economica... Sì,
ma questa è una scelta editoriale, non più della concessionaria di pubblicità. Publitalia deve
trovare, attraverso la pubblicità, il corretto equilibrio fra i costi di un programma e i ricavi. Ma
quanto rende la pubblicità nei programmi per i bambini? Certamente non è il settore più
profittevole per una televisione. Ma un gruppo televisivo come il nostro deve avere al suo
interno un'offerta variegata. Cioè il ricavo per uno spot... Il ricavo di uno spot per le
trasmissioni dei bambini è unitariamente più basso rispetto a quello di target più allargati. Il
motivo? Nella nostra società a crescita demografica zero i bambini sono pochi e questo incide
sia sulle vendite dei prodotti che sulla pubblicità. Lei parlava di un secondo effetto... Sì:
anche dietro agli spot ci sono aziende e posti di lavoro. Il mondo del giocattolo, per rimanere al
tema dell'infanzia, ha delle valenze produttive di pari dignità rispetto a quello delle automobili o
della pasta. Contrarre ulteriormente la comunicazione pubblicitaria delle aziende che operano
nel settore dei giocattoli avrebbe un impatto economico non indifferente per loro stesse. Però mi
pare che dimentichiamo una cosa... Cioè? A tutto questo dibattito sulla tutela dei bambini mi
pare venga meno un elemento fondamentale che è la famiglia. Non è pensabile che un
bambino venga affidato tout court alla televisione e che chi dovrebbe avere doveri educativi vi si
sottragga. I genitori non possono essere dovunque... D'accordo, ma neanche assenti. La
stessa cosa si può dire se, alle 10.30 di sera, in un film tivù passa una situazione scabrosa. Si
suppone che un bambino a quell'ora non sia da solo davanti alla televisione. Noi, certo,
evidenziamo con i bollini i livelli di fruizione, ma la responsabilità non può essere tutta nostra...
Giorgio Malavasi
Tratto da GENTE VENETA, n.22/2005
Approfondimenti
- Su Italia 1 un bimbo può vedere 31.500 spot all'anno
- Pallante: "Tanti spot riducono creatività e socialità"
Articolo pubblicato su Gente Veneta
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