CAPITOLO 2 La fenologia in agricoltura G. Puppi, F. Zinoni 2.1 - Stadi di sviluppo delle piante agrarie Gli stadi di sviluppo sono strettamente influenzati dalla sensibilità delle piante alle condizioni esterne e nel caso delle specie coltivate condizionano le scelte dell’agricoltore. Le decisioni operative assunte nei vari momenti del ciclo determinano il risultato finale, inteso come aspetto quantitativo e qualitativo del prodotto, e definiscono l’impatto ambientale della tecnica agronomica. Pertanto è evidente l’importanza di conoscere lo stadio di sviluppo della pianta per impostare una corretta pratica agricola. Una dettagliata conoscenza della fenologia delle piante coltivate, ovvero dei loro stadi di sviluppo, permette di effettuare previsioni sulle ripercussioni di eventi meteorologici più o meno favorevoli e, di conseguenza, di definire le strategie di coltivazione più opportune considerando le reali potenzialità produttive (Gate 1995). Lo sviluppo della pianta, dal momento della semina o del risveglio vegetativo alla fine del ciclo, avviene secondo regole specifiche, dove gli stadi “codificati” e la velocità con cui evolvono, rappresentano delle firme naturali che caratterizzano il comportamento delle diverse specie. I processi di sviluppo avvengono in un sistema continuo, dove ogni fase evolve in quella successiva senza soluzione di continuità, come bene si comprende osservando piante erbacee a sviluppo indeterminato o alberi. Questa asserzione sullo sviluppo delle piante, rigorosa per gli aspetti relativi allo studio e alla ricerca nel campo della fisiologia vegetale, dove ogni momento del ciclo di sviluppo può essere interpretato come un momento appartenente all’insieme sfuocato di un ampio processo all’interno del quale ogni istante è l’evoluzione del momento precedente oppure tende a degenerare nell’istante successivo (Schirone et al., 1989), non si addice ai fini pratici della gestione della pratica agricola. Per questo motivo sono state introdotte nel corso degli anni una serie di classificazioni che suddividono il ciclo colturale in fasi, più o meno omogenee e più o meno numerose, in relazione all’importanza che la pianta riveste nell’ambito produttivo mondiale. Altro elemento storico importante è costituito dall’affinamento delle tecniche agronomiche nel corso degli anni; lo studio e la produzione di scale fenologiche è stato più attivo per le colture che maggiormente hanno beneficiato degli effetti economici ed agronomici legati all’evoluzione della tecnica colturale, con interessamento delle aziende private e degli istituti di ricerca pubblici. Si è così giunti per la stessa coltura ad una suddivisione del ciclo di sviluppo in un numero di fasi estremamente variabile: ad esempio, nel frumento si va da una suddivisione centesimale (Zadoks, 1974), frutto di una ricerca dettagliata dell’aspetto morfologico dei cereali, scala utilizzata prevalentemente in ambito sperimentale, ad una suddivisione in 21 classi, messa a punto da Baggiolini (1954), per impieghi più operativi che riguardano in modo particolare la difesa fitosanitaria e la concimazione. Recentemente lo studio dello sviluppo del frumento ha subito un nuovo impulso basato sull’uso di nuove tecniche di osservazione, descrizione e classificazione, messe a punto per la famiglia delle graminacee coltivate, ed in particolare per il gruppo dei cereali. Sono stati proposti modelli di analisi dello sviluppo della pianta basati sull’osservazione dell’apice meristematico, che costituisce, per una buona parte del ciclo dei cereali, il vero elemento che ne caratterizza lo sviluppo (Kirby e Appleyard, 1981; Kirby, 1988; McMaster, 1997). L’osservazione dell’apice si basa sulla realizzazione di campioni distruttivi (prelievo di piantine) e sull’impiego di tecniche appropriate di sezionamento per la messa a nudo dell’apice vegetativo. Il riconoscimento dei vari componenti del meristema apicale viene effettuato in laboratorio con l’ausilio del microscopio binoculare (Kirby e Appleyard, 1981). L’osservazione dell’apice meristematico proposta da Kirby, può essere abbinata alla tecnica di rilevazione fenologica tradizionale. Gate (Gate, 1995) distingue due criteri di osservazione, definendo “agronomici”, quelli tradizionali effettuati in campo senza procedere al campionamento di materiale da sottoporre ad osservazione di laboratorio, e “fenologici” quelli eseguiti sull’apice meristematico. Si intende così, per fenologia della pianta, lo stadio di sviluppo degli organi differenziati sul meristema apicale e non lo stadio determinabile con l’osservazione della morfologia degli organi esterni. Rispetto ai rilievi tradizionali, lo studio della differenziazione dell’apice meristematico meglio si presta a definire la suscettibilità della pianta ad eventi meteorologici avversi ed a valutare l’efficacia degli interventi agronomici. Al fine di fornire un termine di confronto fra le osservazioni fenologiche tradizionali, eseguite in campo, e la microfenologia, che ha come elemento di osservazione l’apice meristematico, Gate (1995) presenta tabelle comparative delle principali scale fenologiche utilizzate per il grano e l’orzo (scale di Feekes, Baggiolini, Zadoks, Jonard e Kirby). Con l’osservazione dell’ontogenesi dell’apice, è possibile distinguere la fase vegetativa del cereale (fase nella quale vengono differenziate le foglie), dalla fase riproduttiva, momento che inizia con la differenziazione della spiga (stadio di double ridge). È inoltre possibile accertare il momento in cui termina la differenziazione della spiga ed inizia la fase di formazione degli organi fiorali, ed altri momenti essenziali dello sviluppo della pianta (Gate, 1995). 2.2. Osservazioni fenologiche Il ciclo di sviluppo di una pianta si compone di una serie di trasformazioni più o meno visibili all’occhio umano. A prescindere dal tipo di scala adottata, l’osservazione fenologica classica si basa sull’individuazione di fasi ben precise rilevabili a vista o al tatto, senza operare interventi distruttivi sulla pianta. Questa metodologia prevede l’individuazione di un numero contenuto di piante e l’osservazione del loro sviluppo fino alla fine del ciclo (Barbieri et al, 1987). La metodologia di rilevazione non si basa solo sulla scelta della scala fenologica di riferimento e sulla sua applicazione, ma deve considerare alcuni elementi importanti per limitare gli errori di rilevazione ed ottenere risultati rappresentativi. Innanzi tutto è necessario adottare tutti quegli accorgimenti che permettano di omogeneizzare i rilievi effettuati da osservatori diversi e limitare la soggettività dell’osservazione. Allo scopo si utilizzano schede di rilevazione normalmente accompagnate da note metodologiche per l’esecuzione dei rilievi. Solitamente nelle note delle schede sono definiti i principali criteri da rispettare per la scelta dell’azienda, dell’appezzamento e per la scelta dei siti e delle piante da osservare all’interno dell’appezzamento. Le note sono normalmente integrate con iconografie e immagini fotografiche, che permettono di riconoscere in modo dettagliato lo stadio fenologico della pianta (Barbieri et al, 1987; WMO, 1982). La necessità di uniformare e standardizzare i metodi e le tecniche di rilevazione fenologica ha suggerito di raccogliere in questo manuale le scale fenologiche maggiormente in uso per le piante coltivate e spontanee di interesse agronomico e di compararle con la scala fenologica BBCH (1997), ispirata alla metodologia proposta da Zadoks (Zadoks, 1974). 2.3. Variabilità fenologica 2.3.1 - La variabilità fenologica entro l'individuo La variabilità fenologica si esplica a diversi livelli: tra popolazioni, tra piante e tra singoli organi o parti della stessa pianta. Poiché l'oggetto del rilevamento fenologico generalmente è la singola pianta, è necessario affrontare il problema della variabilità fenologica entro l'individuo. La scalarità delle manifestazioni fenologiche entro le singole piante può creare dubbi e diversità di interpretazione nei rilevatori, principalmente per quanto riguarda le piante arboree, ove si aggiungono anche difficoltà di osservazione dovute alla grossa taglia. Poiché le variazioni fenologiche entro un individuo non sono casuali, ma dipendono dalla posizione dei vari organi, il rilevatore dovrebbe tenerne conto (Schirone et al. 1988 e 1989): in un albero una valutazione effettuata osservando alcuni rami scelti senza precisi criteri può portare ad errori e a disparità di valutazione tra diversi rilevatori. Il comportamento fenologico di una pianta arborea può essere visto come quello di una popolazione di fiori o foglie. A causa della scalarità del manifestarsi degli eventi fenologici nel singolo individuo, è opportuno introdurre il concetto operativo di "unità di osservazione”, che rappresenta ciò che viene osservato dal rilevatore per giungere alla attribuzione della fenofase. L'unità di osservazione può essere la pianta in toto, oppure singoli organi o parti di essa. Se come unità di osservazione viene scelta la pianta in toto, bisogna adottare chiavi di rilevamento le cui fenofasi permettano di distinguere la variabilità entro l'individuo. Se si scelgono come unità di osservazione le singole parti di una pianta (gemme, foglie, fiori, frutti) si dovranno effettuare valutazioni quantitative della presenza delle fenofasi mediante percentuali: ad esempio si deve individuare l'inizio di una fenofase (presenza della fenofase in poche unità di osservazione, da 1% a 10%), la fase mediana (in circa metà delle unità di osservazione, cioè tra 40% e 60%) e il completamento del fenomeno (praticamente in tutta la pianta, cioè tra 90% e 100% delle unità di osservazione) (vedi Puppi Branzi in Malossini 1993). 2.3.2 - La variabilità fenologica tra individui Al fine di assicurare la valutazione della variabilità tra gli individui della stessa specie, è necessario effettuare le osservazioni secondo i metodi e i criteri della fenologia quantitativa; il metodo di rilevamento infatti deve permettere di sottoporre i dati rilevati ad elaborazioni e confronti statistici e consiste nella registrazione delle quantità di individui di una certa specie che si trovano nelle diverse fenofasi. Se gli individui di una specie sono molto numerosi e non possono essere osservati tutti, tali quantità possono essere stimate in vario modo: • con valutazioni percentuali, riferite alla copertura o al numero di individui; • con conteggi di un numero prestabilito di individui (utilizzabile nelle colture); • con conteggi oltre un limite numerico minimo e fino ad un limite numerico massimo (utilizzabile in prati polifiti o vegetazione spontanea come ad es. in Arrigoni 1977, Arrigoni et al. 1977; Puppi e Speranza, 1983; Puppi, 1989). Questi ultimi due metodi hanno il vantaggio di eliminare la soggettività dalle valutazioni quantitative. A questo proposito è importante definire, secondo criteri oggettivi, il numero di individui da osservare per ogni specie in una certa stazione: questa quantità dipende dalla variabilità fenologica della specie e dalla precisione dei dati che si vuol ottenere (Puppi, 1989); in ogni caso è sconsigliabile considerare meno di 5 individui per le piante legnose (almeno 3 piante soltanto nel caso di cloni, vedi Malossini, 1993) e meno di 20 individui per le piante erbacee spontanee (che sono caratterizzate in generale da una certa variabilità genetica): per le piante erbacee coltivate, più omogenee geneticamente, possono essere sufficienti meno di 20 piante. Tuttavia, se non ci sono problemi di reperimento di un numero superiore di esemplari, e’ consigliabile esaminare quantità superiori al minimo sopra indicato: per Graminacee e Leguminose ad esempio si consiglia di osservare da 50 a 100 piante per stazione o parcella (Cenci 1983, 1989). Per quanto riguarda invece le varietà di piante erbacee coltivate, che sono più omogenee geneticamente delle specie spontanee, possono essere sufficienti osservazioni su meno di 20 individui. Bibliografia AA.VV., 1997. Extended BBCH scale - Compendium of growth stage identification keys for mono and dicotyledonous plants. BBCH publications, 2nd edition 1997, pp 130. Arrigoni P.V., 1977 - Problemi di ricerca sinfenologica. Informatore Botanico Italiano, vol.9, pp.302-5. Arrigoni P.V., Lamioni S., Marconcini C., 1977 - Ricerche sinfenologiche in alcuni boschi della Toscana. Webbia, 31, pp.1-33. Baggiolini M., Keller C., 1954: Les stades repères dans la végétation du blé. Revue Romande d’Agriculture. 10, 17-20 Barbieri R., Botarelli L., Salsi A., Zinoni F., 1989. Guida alle rilevazioni agrofenologiche ed alla compilazione delle schede di rilevamento per le colture erbacee ed arboree. E.R.S.A., Bologna Cenci C.A., 1983 – Metodi di rilevamento fenologico in Graminacee foraggere. Quaderni di Bioritmica, n.1, P.M.A., ed.Palombo, Roma Cenci C.A. 1987 – Tecniche di rilevamento fenologico in Leguminose foraggere. Quaderni di Bioritmica, n.3, P.M.A., ed.Palombo, Roma Gate P.,1995. Ecophosiologie du ble. Tec e Doc – Lavoisier, ITCF. Pp 429. Kirby E.J.M., Appleyard M., 1981. Cereal development guide M.. General Editor: A. Baron Cereal Unit. Malossini A. ed. 1993. Procedure per il rilevamento fenologico nei Giardini Italiani. Gruppo di Lavoro nazionale per i Giardini fenologici. Assessorato Agricoltura, R.E.R. McMaster GS, 1997. Phenology, development and growth of the wheat (Triticum aestivum L.) shoot apex: a review. Advances in Agronomy 59: 63118. Puppi Branzi G., 1989 - Rilevamenti fenologici su piante della flora spontanea. in AA.VV. Metodi di Rilievo e di rappresentazione degli stadi fenologici. IPRA Quaderni metodologici n.12, pp.9-36. Puppi G., Speranza M., 1983. Considerazioni su un'esperienza di rilevamento sinfenologico in brughiere a mirtillo. Inf. Bot. 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