DALIA arborea
Con l’avvicinarsi dell’inverno sono sempre in apprensione per la mia dalia
arborea. Leggendo la pagina che
scrissi anni fa sarà chiaro il motivo.
“Quando al mattino aprii le imposte
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della finestra capii immediatamente
che le previsioni meteorologiche erano
state rispettate. I prati rilucevano al
sole, le foglie di alberi e cespugli
ancora verdi avevano assunto una
colorazione cupa; nonostante fossimo
appena oltre la metà di novembre, la
forte brinata mi aveva tolto ogni
speranza di vedere fiorita anche
quest’anno la mia dalia arborea. Né
avrei potuto, sebbene la coltivi in vaso,
spostarla in ambiente protetto: con i
suoi quattro metri e mezzo di altezza, raggiunti nella fase vegetativa, non
sarebbe stato agevole trovarle un adeguato ricovero.
Durante il giorno le foglie e i boccioli acquisirono una
colorazione brunastra quasi marcescente; tagliai
pertanto la parte aerea fino ad un metro da terra e
misi definitivamente ciò che rimaneva, nudi tronchi, al
riparo dal freddo dell’inverno incipiente”.
La storia della dalia (Dahlia Cav., famiglia delle
Asteraceae, la stessa a cui appartiene la margherita
dei prati) è ineluttabilmente legata al suo luogo di
origine, dove la mitologia e il costume si sono fusi
con la storia delle esplorazioni, la botanica e
l’orticoltura. Originaria dell’America Centrale
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(soprattutto regioni montuose del Messico e
Guatemala per la dalia arborea, ma altre specie si
ritrovano anche in Colombia, Perù e Costa Rica) la
leggenda la vuole immischiata nella vita di dei e dee aztechi. Secondo quanto
riporta Diana Wells, scrittrice americana, la Donna Serpente era solita far
visita all’aquila per sapere degli dei del cielo. Un giorno vi trovò un coniglio
che teneva stretto in bocca un fiore di dalia, scarlatto e a otto petali. Gli dei
le dissero di forare il fiore con un aculeo di agave e di tenerlo tutta la notte in
grembo. Il mattino seguente diede vita al dio della guerra e del sole,
Huitzilopochtli, già nelle sembianze di adulto, condensando in sè la tenacia e
la sete di sangue, trasmessi dalla dalia. Anche il cuore dei prigionieri
sacrificati per onorare il dio della guerra venivano posti fra dalie e agavi. Una
altra leggenda vuole la nascita di Huitzilopochtli da Coatlicue, dea della vita
e della morte, raffigurata con una collana di cuori e mani e una gonna di
serpenti. Quando la dea si imbattè in una palla di piume la spinse sotto la
gonna e così facendo rimase incinta. I suoi altri figli sdegnati da tale
gravidanza tramarono di ucciderla e la portarono in cima alla montagna per
sacrificarla. Li partorì Huitzilopochtli,
rappresentato come un guerriero dal capo
cinto di piume di colibrì, che assassinò i
fratellastri traditori in una orgia di sangue.
La prima notizia scritta e la prima
rappresentazione della dalia comparvero
nell’erbario Badianus, conosciuto anche
come codex Barberini, del 1552. Col nome
azteco cocoxochitil (che significa “tubi per
l’acqua”, per l’uso che ne facevano gli
indigeni dei lunghi fusti cavi, per
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convogliare l’acqua dai torrenti di
montagna) viene invece rappresentata in
Plantas y Animales de la Nueva Espana, y
sus virtudes di Francisco Hernandez.
Fino al 1787 non si hanno più notizie. In quell’anno Nicholas Joseph Thierry
de Menonville fu mandato dal governo francese di Louis XVI in America a
cercare la cocciniglia (insetto utilizzato nella produzione del colore rosso) e la
pianta che questa colonizzava. Al suo ritorno scrisse oltre che della
cocciniglia anche di una pianta che cresceva in un giardino di Guaxaca, dai
fiori simili alla margherita ma con fusti alti quanto un uomo e dalle foglie
foggiate come quelle del sambuco. Gli indigeni la usavano anche come
rimedio nell’epilessia, disordini urinari e come alimento. L’interesse per la
pianta crebbe in Europa; si pensò alla dalia come alimento ma la palatabilità
non incontrò il gusto degli europei. La Spagna ebbe l’esclusiva dei primi
semi inviati da Vincentes Cervantes, direttore del Giardino Botanico del
Messico, all’abate Cavanilles (Cav.) (1745-1804), che diventerà direttore del
Giardino Botanico di Madrid. Questi descrisse quindi il genere Dahlia in
Icones et Descriptiones Plantarum, Madrid. 1791 (tre specie: pinnata,
coccinea e rosea) dedicandolo ad Andreas Dahl (1751-1789), botanico
svedese, allievo di Linneo. Nel frattempo Lord John, marchese di Bute
(1744-1814) diplomatico di istanza a Madrid, mandò alcuni semi alla moglie,
Charlotte-Jane, in Gran Bretagna. Seguendo le indicazioni del tempo circa la
coltura di piante esotiche, le giovani piante vennero costrette nelle calde e
umide serre, tanto che nel giro di due anni vennero perse. La stessa sorte
toccò alle piante nate da seme che anche i Giardini Reali di Kew erano
riusciti ad ottenere. Lo stesso abate Cavanilles, nel 1802, mandò alcuni semi
di dalia al Jardin des Plantes di Parigi e a De Candolle a Montpellier. Nello
stesso anno John Fraser, vivaista di Sloane Square, riuscì a farsi mandare
alcuni semi da Parigi e le piante fiorirono in Inghilterra per la prima volta nel
1804. Da quegli stessi fiori venne ritratta la Dahlia coccinea pubblicata sul
Botanical Magazine. Sempre nel 1804 venne pubblicato un articolo, ‘Memoire
sur la culture des Dahlia’, da André Thouin (1747-1824) affiancato da una
immagine a colori, considerato il primo articolo tecnico ad essere stato scritto,
inerente i nuovi metodi di coltura del fiore. Semi spediti direttamente dal
Messico da Alexander von Humboldt e Bonpland vennero ricevuti dal Prof.
Karl Ludwig Willdenow di Berlino nel 1804, e
chiamò la pianta Georgina per onorare il
botanico Prof. Forscher Georgi di S.
Pietroburgo. Per la legge della precedenza
della scienza tassonomica il nome Dahlia
venne poi riconosciuto e diffuso. In Italia la dalia
venne citata nel catalogo del Giardino Freyler
nel 1810. Successivamente la storia della dalia
è di carattere essenzialmente orticolturale, con
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la creazione di ibridi dalle fogge e dai colori più
diversi: tipo cactus e semicactus, tipo pompon,
tipo a collaretto, tipo a fiore semplice, tipo a
palloncino, tipo a ninfea, tipo a fior di anemone.
Fu l’epoca della dalia-mania; si contarono almeno 1500 varietà (John
Wedgwood – fondatore della Royal Horticulture Society - ne aveva solo lui
almeno 200); di fatto nel 1835 in Inghilterra l’ibrido Yellow Defiance venne
venduto al prezzo di 200 sterline.
Dahlia imperialis
Da Gartenflora, prestigiosa rivista di orticoltura in lingua germanica,
apprendiamo la prima descrizione e di come si arrivò a farla fiorire. “Abbiamo
letto increduli la prima descrizione del nostro amico Roezl di una Dahlia
dall’aspetto impensato e sorprendente. Una Dahlia con grandi fiori bianchi
campanulati, tipo Lilium ed una infiorescenza piramidale, ramificata come un
candelabro e con più di 100 fiori sembrerebbe appartenere al mondo delle
favole. Eppure abbiamo coltivato e portato a fioritura questa Dahlia nell’Orto
Botanico di Zurigo e perciò siamo anche sicuri che non appartiene a nessuna
altra specie finora descritta”. La lettera di accompagnamento di Roezl al
materiale che arrivò a Zurigo diceva: “Questa nuova Dahlia, imponente già
come pianta verde, farà grande sensazione, quanto la prima semplice
Georgina. Porta su un infiorescenza piramidale da 150 a 200 grandi fiori
bianchi campanulati pendenti simile ad una Yucca o un gigantesco bianco
Lilium.
La ritengo la più bella e preziosa delle mie introduzioni e spero che
giustificherà il nome orgoglioso di Dahlia imperiale anche nei giardini europei
e affidandoVi tutto il materiale per la coltivazione Vi preghiamo (Roezl e
Besserer) di fare raffigurare i primi fiori e di farla conoscere e di vendere per
noi l’edizione in modo vantaggioso”. L’articolo su Gartenflora continua: “Con
grande aspettativa ricevemmo a fine
maggio 1862 una grande cassa con ca.
200 tuberi, simili ai normali tuberi delle
Georgine ma di forma più allungata. Tutte
furono piantate immediatamente
all’aperto in giardino nelle aiuole, e una
grande quantità, per mancanza di spazio,
su un campo di patate povero e non
concimato.
Tutti germogliavano bene, qualcuna
anche con 3-4 getti, che ad eccezione del
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più forte furono subito eliminati ed
utilizzati come talee radicando subito e
velocemente.
Le piante nelle aiuole raggiungevano
velocemente un’altezza di 5-6 piedi. Le altre nel campo un po’ meno.
L’altezza, le grandi foglie doppi quasi triplici pennati di un brillante verde ne
fanno già una pianta verde bellissima, meglio delle specie tipo Wigandia,
Solanum e Nicotianum e non perde le foglie in basso.
Impazienti dovevamo aspettare a lungo prima di scoprire i primi boccioli,
soltanto a metà ottobre si coprirono di boccioli di colpo tutti gli esemplari, dai
più grossi ai più deboli. Ne contavamo anche più di quelli descritti da Roezl.
Col cattivo tempo la formazione dei boccioli rallentò e fummo costretti a
trapiantare ai primi di Novembre gli esemplari più avanti con la fioritura in
grandi vasi e di trasferirli in serra fredda. Questa operazione, pur eseguita
con tutta la cura possibile, purtroppo ebbe lo stesso degli effetti negativi sulle
piante, tutti i boccioli non completamente sviluppati annerirono e caddero.
Abbiamo avuto comunque la soddisfazione di vederla fiorire verso metà
novembre, i fiori corrispondevano completamente alla descrizione di Roezl e
così potemmo far eseguire le tavole seguenti per Gartenflora.
Speriamo che la tarda fioritura fu causata dal tardivo impianto dei tuberi,
perché se si dimostrasse che necessitano di un clima più caldo di quello
centro-europeo, tutta questa bella nuova introduzione perderebbe molto della
sua attrattiva”.
In Italia la D. imperialis fu introdotta da Berger nel 1867 e quindi reintrodotta
dal Guatemala nel 1926 da Mario Calvino, direttore della Stazione
Sperimentale di Floricoltura “Orazio Raimondo” di Sanremo.
CODEX BARBERINI
Il manoscritto Badianus, conosciuto anche come Codex Barberini, fu
compilato nel 1552, presso l’Istituto Cristiano di Santa Cruz di Città del
Messico, da due autori aztechi: Martín de la Cruz, medico azteco, lo scrisse
nella propria lingua natia mentre Juannes Badianus lo tradusse in latino.
Consistente di 70 pagine (206 x 152 mm) e illustrato
con 184 immagini di erbe e alberi, il manoscritto
rappresenta il primo Herbario del Nuovo Mondo,
suddiviso in 13 capitoli, ognuno riguardante un
gruppo di rimedi oppure un distretto anatomico. A
differenza di altri erbari (vedi quello di Dioscoride)
questo è giunto fino a noi senza le contaminazioni di
interpretazione o apporto della esperienza dei vari
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traduttori. Di notevole importanza le similitudini che
esistono con la tradizione europea nella
preparazione e indicazione dei vari preparati nonchè
nella credenza del valore medicale di parti del corpo di animali e delle pietre.
Fu donato da Don Francisco de Mendoza al re di Spagna, Carlo V. Alla fine
del XVII secolo venne in possesso del Cardinale Francesco Barberini, nipote
del Papa Urbano VII, fondatore della Biblioteca Barberini nel 1679. In seguito
la Biblioteca divenne parte della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il manoscritto
era noto solamente a una manciata di studiosi come “Codex Barberini, Latin
241”; ma nel 1929 venne riconosciuta la sua importanza dallo storico Prof.
Charles M. Clark e nel 1931 lo portò all’attenzione del Dr. William Welch
della Università Johns Hopkins, che nel 1940 ne pubblicò il facsimile. Nel
1990 dopo la visita del Papa Giovanni Paolo II in Messico il manoscritto
Badianus raggiunse nuovamente la terra natia.
FRANCISCO HERNANDEZ
Nato a Toledo nel 1515, studiò medicina all’Università di Salamanca. Nel
1569 il Re Felipe II di Spagna lo incaricò di compilare un’opera sulla storia
naturale della Nueva España (Messico attuale) comprendendo animali piante
e minerali. Partì quindi nel 1570 e per 5 anni studiò e descrisse ogni
elemento naturale in particolare le piante con proprietà medicinali, aiutato in
tale compito dagli indigeni, sia come guide esploratrici, medici, artisti,
botanici. Ben 16 volumi vennero preparati, ricchi di 1200 immagini, e con tale
bottino ritornò in Spagna. Poichè era troppo oneroso pubblicare tale opera,
venne opportunamente rilegata e abbandonata nella biblioteca dell’Escorial.
Nel 1578 Morì a Madrid. Alcuni anni più tardi il Re affidò l’opera a Nardo
Antonio Recchi in modo da prepararne una versione meno voluminosa;
questi utilizzò unicamente la parte riguardante la flora, mentre il rimanente
materiale dei viaggi andò perso durante un incendio dell’Escorial nel 1671. In
parte la pubblicazione dell’opera (Rerum Medicarum Nova Hispaniae
Thesaurus) avvenne nel 1628 quando anche il Recchi era deceduto, ad
opera di Schreck (Terrenzio), membro dell’Accademia dei Lincei; mentre
l’edizione del 1651, che doveva essere l’inizio di una nuova serie, non fu che
un ampliamento della precedente. Francisco Hernandez viene ricordato nella
orchidea da lui dipinta e chiamata col nome indigeno di Coatzonte Coxochitl,
ovvero Stanhopea hernandezii (Kunth) Schlechter.
Il genere Dahlia conta oggi circa 35 specie, tutte originarie di un ampio
territorio compreso tra il Messico e la Colombia; alcune specie hanno
comunque un areale di distribuzione molto ristretto. Molte specie sono rare e
poche sono le specie in coltivazione. Si tratta di piante erbacee o suffruticose
dotate di un apparato radicale tuberizzato. Alcune specie sono sarmentose, a
volte alcune si comportano come epifite. La vegetazione è rappresentata da
fusti solitari o più spesso multipli, raramente ramificati (si può ottenere una
ramificazione artificiale rimuovendo l’apice). Le dimensioni variano da specie
a specie, dal mezzo metro della D. scapigera ai 9 metri della D. imperialis. Le
foglie opposte sono pinnate o pinnatifide di dimensioni variabili in relazione
alla specie, anche 60 cm nella imperialis. ruvide al tatto e scarsamente
consistenti. I fiori (in realtà ciò che apprezziamo come fiore è botanicamente
una infiorescenza chiamata capolino costituita
da una serie di brattee colorate che cingono i
piccoli fiori serrati nella parte centrale) sono di
colore diverso dal bianco al rosa, dal giallo al
rosso.
Ho visto la dalia arborea coltivata in diverse
regioni italiane, sia del nord che del sud. In
tutte raggiunge dimensioni ragguardevoli, non
meno di 6-7 metri in altezza, ma sono sempre
state molto più lussureggianti quelle che ho
apprezzato al nord Italia dove probabilmente
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soffrono meno l’arsura estiva e dove è
maggiore l’approvvigionamento idrico. Bisogna
ricordare che la dalia arborea proviene da zone
montagnose, anche se localizzate ai tropici. Sicuramente necessita di
abbondanti bagnature durante l’estate. Difficilmente riusciranno a salvare le
foglie se si avvizziranno oltre un certo limite; in alcuni giorni si iscuriranno, si
accartocceranno per poi cadere prematuramente mentre gli apici
produrranno nuova vegetazione. I fusti sono solitamente annuali ma dove
non vengono ‘bruciati’ dal gelo (in Riviera e al Sud compreso le sue isole)
possono l’anno successivo dar luogo a nuove ramificazioni. A primavera
inoltrata i nuovi fusti crescono velocemente dal piede del cespo per essere
già a metà estate alti parecchi metri. Consigliabile una ricca concimazione
primaverile con letame ben maturo. I temporali estivi possono danneggiare il
fogliame e i forti venti abbattere completamente i fusti; dal piede ricacceranno
vigorosi. Nelle zone meno privilegiate del nord, dove le temperature invernali
raggiungono anche i –10°C la dalia arborea può sopravvivere se i suoi tuberi,
lasciati in piena terra, sono in posizione comunque drenata e soleggiata,
magari con una buona copertura di foglie secche. La fioritura avviene in
autunno-inverno; decine di ‘fiori’ svettano in lunghe e copiose infiorescenze
sfidando i venti e stagliandosi contro l’azzurro cielo. Bianchi o
rosa, sono leggermente penduli con un diametro all’antesi fino
a 15 cm.
La coltivazione è possibile anche in vaso. Allora è necessario
un vaso di dimensioni appropriate, sui 60 cm diametro circa
per una pianta adulta, terriccio sabbioso ma umifero e
concimazioni sia a lenta che a rapida cessione. Bagnare
abbondantemente durante la fase vegetativa. Per contenere lo
sviluppo e quindi poter spostare la pianta il luogo riparato per
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goderne la fioritura ho effettuato quest’anno tre tagli delle cime
a partire da giugno, uno ogni circa 20 giorni. Dalla ogni ascella
delle foglie alla base del taglio si sviluppa un nuovo getto,
cosicché la pianta diventa moto ramificata e la fioritura più copiosa.
La moltiplicazione è possibile da seme; di pronto effetto è la moltiplicazione
da talea di fusto provvisto di un nodo e delle due foglie corrispondenti. Il fusto
può essere anche verde ma migliore è la resa se parzialmente maturo. Va
infisso in terreno sabbioso e mantenuto umido, con calore di fondo o
l’operazione va eseguita durante la stagione calda.
Si ringrazia Henrike Berg Panà per la traduzione dal tedesco dell’articolo
apparso su Gartenflora.
Bibliografia
Cruz, Martin de la. [CODEX BARBERINI]. THE BADIANUS MANUSCRIPT
(CODEX BARBERINI, LATIN 241), VATICAN LIBRARY; AN AZTEC HERBAL
OF 1552. Introduction, translation and annotations by Emily Walcott Emmart.
Foreword by Henry E. Sigerest. 1940. Johns Hopkins Press. Baltimora,
Maryland. USA
Hollingsworth, B. 1958. Flowers Chronicles. Rutgers University Press. New
Jersey. USA
Howe, M.A. 1925. Dahlia imperialis. Addisonia 10(4): 49-50
McClaren, B. 2004. Encyclopedia of Dahlias. Timper Press. Portland,
Oregon. USA
Roezl. 1863. Dahlia imperialis. Gartenflora 12: 243-