1 Marco Romano RITRATTO DI REGGIO

Marco Romano
RITRATTO DI REGGIO CALABRIA COME OPERA D’ARTE
Quando nel 1783 il terremoto distrugge Reggio Calabria il clima culturale
suggerisce di cogliere l’occasione per ricostruire la città con un programma di
rinnovamento radicale.
Il fatto è che la Reggio crollata non era un gran che: affaticata dagli attacchi degli
arabi siciliani, avamposto continentale per la riconquista cristiana e in seguito
presidio di confine tra i regni di Calabria e di Sicilia, sempre sotto la minaccia di
scorrerie dalla parte di mare, vittima di terremoti endemici, era cresciuta a stento,
piuttosto una fortezza che una città – seppure con una cattedrale ortodossa,
residuo del periodo bizantino, che si chiama Cattolica e una Chiesa madre, il
duomo, che cattolica lo è davvero - e soltanto nel 1473 era stata riconosciuta
come una civitas con i suoi propri statuti. Ma non avrà ancora un palazzo
comunale, se gli statuti prevedono che le riunioni del consiglio municipale si
tengano nella chiesa di San Gregorio – solo tre secoli dopo vedremo accanto
all’ospedale un modesto palazzo municipale, che è anche sede del monte di pietà,
ma privo di una piazza principale a renderlo simbolicamente solenne, ché piazza
principale era da sempre la piazza davanti al duomo -; quanto alla strada lata che
attraversa la città da nord a sud con un andamento irregolare non sembra un tema
privilegiato, una strada maestra con una sua continuità, mentre a loro volta molti
saranno i palazzi registrati nel catasto settecentesco ma pochi di qualche rilievo
architettonico – forse la domus magna con una torre - sparsi nella città senza un
embrione di strada monumentale: anche se sulla Marina il prato della fiera
d’agosto, istituita nel 1357, ha a suo modo un aspetto monumentale, e la piazza
all’interno delle mura tiene luogo di mercato.
L’incerta strada principale di Reggio in una veduta del Settecento, con il
prato della fiera con la fontana la piazza del mercato all’interno della porta
Marina…
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… e una pianta congetturale della città di quei tempi
Il prato della fiera con a destra la fontana e lontano, oltre il canale di Sicilia,
la vetta dell’Etna
Delle altre cittadine crollate nel terremoto molte sono state ricostruite ex novo in
un sito diverso - nello spirito di rinnovamento e di progresso che percorre
l’Europa e che ha trovato a Napoli un terreno fertile nella fondazione di una cittàfabbrica modello, San Leucio, da parte dello stesso sovrano -, alcune ricorrendo al
modello di Avola, adottato dopo il terremoto di Sicilia nel 1693, a sua volta
derivato da un disegno incluso nel trattato di Pietro Cataneo ripreso nel progetto
di Newcourt per la ricostruzione di Londra dopo l’incendio del 1666 e di lì nel
piano per Filadelfia in Pennsylvania: ma in entrambi questi casi le piazze saranno
di fatto sostituite dagli square a giardino allora così frequenti a Londra.
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Il disegno del Cataneo e la pianta di Avola
Il progetto di Newcourt per la ricostruzione di Londra e quello di Filadelfia
in Pennsylvania
Gli square di Londra e la pianta di Bianco in Calabria
E’ tuttavia uno schema che sul versante compositivo appare ormai troppo povero
e in Calabria verrà arricchito al suo interno da strade trionfali tracciate diritte
sulle nuove chiese e, all’esterno, da sontuosi giardini pubblici e da passeggiate
alberate che sembrano tanto indispensabili quanto le pubbliche fontane.
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Le piante di Gallina e di Mileto
Le piante di Cortale e di Filadelfia Calabra, frutto anch’essa di un
proprietario riformatore
Le piante di Palmi e di Seminara
Era del resto già maturata da tempo una certa perplessità per i tracciati simmetrici,
nella constatazione che le strade e le piazze tematizzate non erano duplicabili,
sicché la strada principale avrebbe potuto essere una soltanto e una soltanto la
strada monumentale, una soltanto la piazza principale e una soltanto la piazza del
mercato: del che era già consapevole Filarete, che disegna della Sforzinda una
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pianta stellare ma deve rassegnarsi a inserirvi al centro una sequenza di piazze
asimmetriche, e soprattutto Vincenzo Scamozzi, che traccia verso il 1616 una città
relativamente simmetrica – in aperta polemica con la rigorosa simmetria della
Palmanova di Savorgnan - ma specificando poi che coppie di strade e di piazze
sulla carta apparentemente corrispondenti sono tematizzate in maniera diversa.
Le città di Filarete e di Scamozzi
Questa consapevolezza prende corpo in Calabria nel progetto di Borgia,
attraversata da una lunga strada maestra animata dalla sequenza delle scalinate
aperte sul paesaggio, della piazza principale e dell’esedra monumentale, e
incrociata dalle sequenze verso le piazze delle due chiese a monte, ma soprattutto
a Bagnara, con una strada maestra conclusa da due passeggiate e contrappuntata
da una palazzata su una passeggiata a mare, anch’esse attraversate da tre sequenze
verso le chiese interne, nel complesso con una parte centrale sostanzialmente
simmetrica.
Le piante di Borgia e di Bagnara1
Che in una città stretta tra il mare e la montagna come Reggio lo schema più
praticabile fosse proprio quello di tracciare una strada maestra parallela alla costa
era infatti la soluzione più elegante, e verrà adottata da Giovanni Battista Mori,
l’autore del piano di ricostruzione, una strada larga dodici metri, la stessa della
strada principale di Catania dopo il 1693.
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Il corso di Reggio Calabria nell’Ottocento e oggi
Dalla metà del Duecento tracciare rettilinea la strada maestra delle città
rispecchiava il consolidarsi di una nuova capacità professionale degli agrimensori
ma rispecchiava anche la volontà di rendere più trasparente allo sguardo l’intera
urbs proprio come doveva essere trasparente la civitas, i cui cittadini erano prima
di tutto cittadini della città piuttosto che gli affiliati a una corporazione attestata su
strade o su piazze particolari - come quelle che ancora oggi le ricordano nel nome
- o a una comunità religiosa oppure ancora i clienti di qualche grande famiglia
raggruppati intorno al suo palazzo.
E’ questo del resto l’argomento di Vincenzo Scamozzi e di Francesco Milizia - il
cui trattato, pubblicato nel 1781 e molto diffuso, era probabilmente noto al Mori –
per sostenere la supremazia della strada diritta: perché consente di abbracciare con
un colpo d’occhio gli edifici monumentali dell’intera città. Argomento peraltro
non del tutto scontato: nel Trecento Martina Franca è stata fondata con una strada
maestra irregolare e ancora un secolo dopo Alberti asseriva esser le strade curve
più belle perché consentono una miglior veduta dei palazzi e Filarete perché la
linea curva sarebbe più consona alla vocazione del vedere, quasi precorrendo gli
argomenti della Gestalt, e del resto oggi noi avremmo mantenuto il vecchio
andamento irregolare – come dopo il terremoto dell’Umbria a Gualdo Tadino o a
Nocera Umbra - influenzati da quella cultura del pittoresco che ha fatto
disegnare nel Novecento molti nuovi quartieri con le strade sinuose suggerite da
Raymond Unwin e addirittura realizzare nuove strade nel centro antico con un
tracciato sinuoso come a Strasburgo.
Poiché però la strada maestra che attraversa le città da porta a porta non potrà
essere tutta intera strada principale - perché la qualità dei commerci cittadini è
stratificata come è stratificata la società della civitas – e di consueto la strada
principale vera e propria, con le botteghe di maggior pregio, sarà il tratto dalla
piazza principale alla porta più importante, il Mori sovrappone al suo tracciato
simmetrico alcune indicazioni che promuovono a strada principale il suo tratto
meridionale.
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Il centro della città viene sottolineato dalla sequenza del palazzo municipale con
la sua piazza principale, che come in molte altre città – Bologna, Modena,
Palermo - una fila di case separa dalla strada maestra, dove viene invece disposto
il teatro, una centralità sottolineata lì accanto dal collegio per le fanciulle nobili e
per quelle povere, e dalla casa di riposo per le vedove benestanti.
Contestualmente il Mori suggerirà che quello meridionale sia il settore più
pregiato della città, contrassegnato nel seguito della strada maestra dalla piazza
del duomo, con il seminario e l’arcivescovado, attraversato poi dalla sequenza a
quei tempi chiarissima del presidio territoriale – il governatore con la sua
guarnigione intorno alla piazza d’armi sul versante a mare e sul versante a monte
il castello che ospita il carcere forse accanto al tribunale -, e concluso infine dalla
piazza del mercato circondata da due esedre alberate che ne fanno la passeggiata
cittadina, mentre a settentrione il settore popolare della strada maestra verrà
invece concluso, molto lontano dal teatro, dalla piazza dell’orfanatrofio e del
pubblico granaio.
La strada principale è poi attraversata al centro dalla sequenza tematizzata a mare
da una piazza mercantile, sito del mercato marino, cui corrisponde una strada più
larga che forma una croce equidistante dalla piazza principale e da quella del
duomo, e che sottolinea l’accesso alla città dal porto, contrappuntata in tono
minore da una strada trionfale più a sud, verso la fontana sulla piazza del duomo,
che contrappunta la fontana sul prato della fiera.
La Reggio del Mori
Certo che dall’esperienza di Noto, una città ricostruita nella Sicilia orientale dopo
il 1693, è passato in quei pochi decenni il vento riformatore dei Borboni, e quei
conventi dei francescani e dei domenicani le cui piazze ritmavano fitte la
sequenza della strada maestra notinese – per di più contrappuntati sulle loro
piazze da una seconda chiesa o da un monastero – sono scomparse dal paesaggio
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di Reggio, la cui sequenza include sì quella del duomo ma nel quadro laico di una
strada maestra tematizzata dalla passeggiata alberata nella piazza del mercato, dal
teatro e dalla piazza dei grani verso settentrione.
La strada maestra di Noto con i suoi edifici religiosi
D’altra parte fino alla metà del Cinquecento a Reggio – quando i Gesuiti avevano
costruito il loro collegio – francescani e domenicani avevano avuto i loro modesti
conventi fuori porta mentre dentro alla città, a testimoniare una certa laicità
cittadina, aveva prosperato in un suo ghetto ben serrato e accessibile da una sola
porta una ricca comunità ebraica, con la sua scuola la sua sinagoga le sue botteghe
e con una raffinata tradizione artigiana e persino con una cospicua tipografia, la
prima in Europa a stampare, trent’anni dopo quella di Gutemberg, una Bibbia in
ebraico.
Ma a questo semplice schema della strada maestra che attraversa la città il Mori
sovrappone un’idea grandiosa, quella di rendere monumentale la palazzata sul
porto coordinandone l’architettura come a Messina nel Seicento - a Bordeaux e a
Senigallia qualche decennio prima - e, su questa palazzata a mare, aprire porte
decorate, come la porta Felice sulla Marina di Palermo, che costituiscano
l’accesso a mare della città.
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La palazzata progettata dal Mori e quelle di Messina, di Senigallia e di
Bordeaux
Dopo le scontate polemiche iniziali con chi avrebbe voluto una ricostruzione
com’era e dov’era – forse non fidandosi troppo delle pur raffinate tecniche di
redistribuzione dei lotti sperimentate a Palermo e a Catania nei due secoli
precedenti - il taglio europeo del piano Mori soddisferà le ambizioni estetiche
della città e la strada maestra verrà riconfermata nel corso dell’Ottocento come la
sequenza esteticamente rilevante della città e non soltanto come una soluzione
distributiva razionale.
Soprattutto dopo il 1848, quando Palermo traccia il viale della Libertà
sottolineando il principio di una sequenza lineare in se stessa progressista –
perché, come la prospettiva del progresso, concettualmente illimitata - i reggini
sembrano rendersi conto che una strada maestra così lunga può diventare un
motivo estetico peculiare, con in Europa forse il solo riscontro nella Prospettiva
Nevskj di San Pietroburgo.
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Vi verranno disposti il rinnovato palazzo municipale, il teatro, la prefettura, la
camera di commercio, la banca d’Italia, mentre la piazza principale verrà
sottolineata demolendo la cortina di edifici che nel piano Mori la separava dalla
strada maestra. Di lì, verso mezzogiorno, va emergendo come strada principale,
con i negozi più prestigiosi, il tratto della strada maestra tra la piazza principale e
la piazza del duomo - anche se poi il caffè dei conservatori sarà nella piazza
principale e quello dei liberali nella piazza del duomo. Più oltre verranno aperti il
giardino pubblico, un nuovo teatro, la piazza davanti alla stazione ferroviaria
mentre, a confermare il carattere popolare del versante settentrionale - la
“Siberia”, verrà chiamata - vi verrà aperto il nuovo porto.
Tuttavia le famiglie eminenti avranno qualche dubbio sul destino del progetto di
palazzata del Mori, a prima vista forse troppo ambizioso per la consistenza
effettiva del loro ceto, che d’altra parte preferirà sempre e dovunque scegliere
l’aspetto esteriore dei propri singoli palazzi anziché affidarsi alla facciate unificate
del Mori – la place royale e rue de Rivoli a Parigi non riusciranno mai a
diventare, nonostante le speranze di Luigi XIV e di Napoleone, il sito privilegiato
delle élite -, e poiché d’altra parte, come del resto in tutte le città, vogliono
comunque prendere le distanze dall’ambiente mercantile delle botteghe sulla
strada maestra preferiranno dar vita con i loro palazzi a una strada monumentale,
via Aschenez, come in molte città – a Toulouse, a Ginevra, a Noto, a Catania una parallela immediatamente a monte delle strada principale, sorvegliata dalla
caserma dei carabinieri e tematizzata dal Conservatorio, dal mercato coperto, dal
liceo, dal collegio Campanella, e dove verranno realizzate le chiese della
Candelora e della Cattolica.
La pianta della città nel tardo Ottocento
Il terremoto del 1908 sarà di fatto una straordinaria occasione per dare ulteriore
corpo al piano settecentesco, e nella temperie di un vivace e decennale dibattito
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Pietro de Nava riuscirà a perseguire il sogno di fare di Reggio una delle più belle
città europee, ricorrendo per questo ai modelli in quel momento più consolidati.
La ricostruzione è soprattutto il momento di concludere sul versante simbolico
l’annessione di Reggio al regno d’Italia, dopo gli anni del brigantaggio, con la
realizzazione di una piazza principale che sia anche piazza nazionale, dove
vengono affacciati non soltanto il municipio ma anche il palazzo della provincia e
quello della prefettura. E’ un accostamento raro, perché il palazzo e la piazza
municipale, in quanto tema cittadino, non vengono di solito commisti con i
palazzi dello Stato: ma qui il modello seguito è con tutta evidenza la piazza
realizzata a Strasburgo trent’anni prima per celebrare l’annessione dell’Alsazia al
Reich dopo la guerra del 1870 circondandola con il palazzo del governo centrale,
con il palazzo del Land e – essendo in quel caso fuori luogo immaginare il
trasferimento del municipio – con la biblioteca, la cui notorietà la rendeva un
vivace simbolo della tradizione di una città dove Gutemberg aveva stampato il suo
primo libro.
La piazza del Reich a Strasburgo
A conchiudere una concezione estetica compatta e determinata sarà anche il
rifacimento radicale della piazza del duomo, resa finalmente rettangolare
seguendo il principio di un’estetica “geometrica”: principio messo già da tempo
in discussione da Sitte e proprio a Reggio dal Basile – cui era stato affidato il
progetto del nuovo palazzo comunale – che rimproverava l’eccessiva
squadrettatura del piano del de Nava, ma principio forse legittimo dal momento
che il carattere dell’identità reggina, dopo il terremoto del 1783, è una volontà di
regolarità che ha cancellato il vecchio tessuto cittadino per diventare il paradigma
di una città ortogonale come la vediamo nei progetti della lottizzazione
ottocentesca riportati più sopra..
Sta il fatto che la nuova piazza del duomo viene sistemata con due filari di portici
simmetrici a renderla anche monumentale come fosse - con quella nuova chiesa
romanico-bizantina – la piazza del duomo di Milano: portici nel mezzogiorno
rarissimi, ché si contano soltanto quelli moderni di via Ruggero Settimo a
Palermo e quelli di piazza Mazzini a Catania, oltre a quelli curiosi davanti al
castello di Venosa.
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Piazza Mazzini a Catania e la piazza di Venosa
La mossa più clamorosa del de Nava sarà poi quella di profittare del trasferimento
del porto a settentrione e della demolizione delle mura per progettare, al posto di
una palazzata ormai irrealizzabile, una passeggiata a mare ispirata alle
promenade che si erano andate diffondendo nel corso dell’Ottocento in altre città
di mare, da Brighton a Nizza alla stessa Palermo - ma che qui, organizzata su due
livelli con uno splendido giardino di palme e di magnolie a dividerli e, ravvivata
in seguito dal monumento per Vittorio Emanuele III e da quello ai caduti, sarà
forse la più bella.
Le celebri passeggiate di Brighton e di Nizza
La passeggiata a mare, il monumento a Vittorio Emanuele III e quello ai
Caduti
Lo spostamento del porto aveva da tempo cancellato il prato della fiera e il
mercato marino e la sua sequenza con la piazza del duomo, e ora la croce di
strade dominante verrà dal de Nava spostata qualche isolato a settentrione della
piazza principale, tematizzata dalle nuove chiese e soprattutto, a monte, dalla
sequenza della via Aschenez, riconoscendone così il rilievo simbolico sulla scena
cittadina.
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A Reggio tuttavia la presenza dello Stato non sarà manifesta soltanto nella
commistione tematica di una piazza principale che è anche piazza nazionale, ma a
ben vedere anche dal fatto che la parte più rappresentativa della strada maestra è
poi conclusa a mezzogiorno da una seconda piazza nazionale con la statua di
Garibaldi di fronte alla stazione e a settentrione da una terza piazza nazionale,
quella dominata dal museo archelogico nazionale e arricchita dalla statua del de
Nava: laddove neppure una via ricorda, damnatio memoriae, il Mori che di questa
bellissima Reggio fu duecento anni fa il primo ideatore.
Il museo archeologico e la statua del de Nava
Del resto la presenza dello Stato, sul versante simbolico, è sottolineata anche
dalla inedita sequenza della piazza principale con una vera e propria strada che
chiamerei nazionale, dal momento che vi sono schierati l’uno accanto all’altro come se la città fosse una “sorvegliata speciale” – i palazzi di tutte le
amministrazioni periferiche dello Stato, l’ufficio delle imposte, il genio civile, le
poste, in un sito relativamente più centrale di quanto fossero rimasti ai margini la
casa del governatore e la guardia militare all’epoca borbonica, e soprattutto sono
affacciati con un retro dignitoso sulla passeggiata dove saranno per questo ben
poche quelle palazzine borghesi, forse davvero soltanto quella che imita la Cà
d’Oro veneziana, schierate nelle altre città lungo i boulevard.
La regolarizzazione della piazza del duomo si inscrive a sua volta in un vasto
programma di rinnovamento architettonico che fa di Reggio una delle città più
singolari. Crollate le case precedenti quelle nuove sono state ricostruite con soli
due o tre piani fuori terra – secondo le norme antisismiche anteriori alla diffusione
del cemento armato – e con facciate sorprendentemente decorate non soltanto
lungo la strada maestra o lungo via Aschenez, dove erano di prammatica, ma
anche nelle strade minori, sicché passeggiare nelle strade di Reggio offre il
piacere di una continua mostra di progetti accurati, di facciate decorate nei vari
stili riconosciuti e canonici, lasciandoci con il desiderio di approfondirne la
lettura, di riconoscere dietro a questo fiorire pervasivo la stratificazione dei ceti
sociali nei vari rioni.
La forza della strada maestra sarà poi ancora rinvigorita, dopo gli anni Trenta del
Novecento, non soltanto dalla vasta piazza trapezia del mercato a settentrione ma
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anche a mezzogiorno da una sua conclusione trionfale verso lo stadio dall’altra
parte del ponte sul Calopinace.
E’ a dire tuttavia che a partire da quegli anni il seguito del programma del Mori e
del de Nava comincia a zoppicare perché sta ormai perdendosi la consapevolezza
che il disegno della città consista in una attenta e variegata successione di
sequenze, sicché là dove, oltre il Calopinace, la strada maestra doveva per forza di
cose cambiar giacitura per diventare poi la strada trionfale dello stadio, Mori
avrebbe tracciato una piazza monumentale, forse circolare come quella già
disegnata nel suo piano e come le vediamo in tutte le città europee dove un
boulevard esterno venga innestato sulle sequenze cittadine, sicché se oggi forse il
traffico può ricongiungersi lungo la strada trionfale dello stadio certo la sua
filiazione e la sua continuità simbolica con la strada maestra è perduta.
Piazza Beccaria a Firenze
Di questa medesima distrazione soffre l’ambizioso viale Calabria, che sembra
voler riprendere l’idea di una main street cui affidare l’ordine formale della città
senza neppure immaginare che il suo senso scaturisca dal legame delle sequenze
nel loro complesso seguito. Le città di un tempo ricorrevano a temi e a strade o
piazze tematizzate non a se stanti ma sempre connessi in sequenze che li
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rendevano esteticamente significativi, con un disegno più articolato e minuto che
non con un rettifilo insignificante, sicché viale Calabria resta un isolato boulevard
che di fatto attraversa la campagna e nella campagna finisce, come bene mostra il
disegno che chiude questo ritratto.
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Per un esame più esaustivo di queste città il lettore può consultare www.esteticadellacitta.it, alla
voce “Ritratti di città”
www.esteticadellacitta.it
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