Luca Urselli - Appunti di Scienze integrate (Fisica) - Meccanica (seconda parte): la Dinamica
Le forze e le Leggi di Newton
Dopo aver affrontato lo studio della Cinematica, introducendo le principali grandezze ed alcuni
metodi che ci permettono di descrivere il moto dei corpi, passiamo ora alla Dinamica e quindi
cominciamo ad occuparci delle cause che generano il moto e di come esse influiscono sul tipo di
moto. Per far questo, sarà necessario introdurre nuove grandezze fisiche e sviluppare nuovi metodi.
Prima di iniziare è opportuno sottolineare che la Meccanica che stiamo studiando è quella classica,
sviluppata principalmente da Isaac Newton fra il XVII ed il XVIII secolo (e per questo chiamata
anche Meccanica newtoniana). In questa teoria i concetti di tempo e di spazio introdotti nella
Cinematica sono quelli cui siamo abituati nella vita quotidiana, nella quale siamo abituati a pensare
all’esistenza di un tempo “assoluto” ed universale e di uno spazio pure “assoluto”. Nel corso del
XX secolo queste idee sono state letteralmente demolite da nuove scoperte (dovute principalmente
ad Albert Einstein) che hanno portato allo sviluppo di nuove teorie di Meccanica: da quella
relativistica (in cui si scopre che le teorie classiche non sono più valide per corpi che si muovono a
velocità enormi) a quella quantistica (in cui si scopre che le teorie classiche falliscono anche per
corpi molto piccoli, ossia le particelle subatomiche). Si è scoperto in particolare che il tempo e lo
spazio assoluti sono concetti solo ideali, ma non verificabili dal punto di vista pratico a causa del
fatto che le nostre osservazioni, e quindi anche le nostre misurazioni, sono limitate dalla velocità
della luce che, per quanto enorme, non è comunque infinita. Le teorie della relatività tengono conto
di questo e sono dunque molto più precise ma, di conseguenza, molto più complicate già a livello di
Cinematica (figurarsi poi a livello di Dinamica e di Statica) in quanto tengono conto del fatto che le
misure di tempo e di spazio sono inevitabilmente relative all’osservatore che le compie e non
possono essere assolute. Si è poi anche scoperto che, nel caso delle particelle subatomiche (che non
potremo mai vedere con alcun microscopio per quanto potente possa essere ma che possiamo solo
studiare per via indiretta, attraverso alcune “tracce” che esse lasciano), le misurazioni che si
possono compiere devono necessariamente avere un alto grado di imprecisione per ragioni pratiche.
I fisici sapevano già che ogni misura è inevitabilmente approssimativa, ma nel caso delle particelle
subatomiche la cosa è ancora più grave: poiché per conoscere la posizione o la velocità di una di
queste particelle occorre “bombardarla” con delle radiazioni (non essendoci altro modo per
visualizzarle), inevitabilmente questo “bombardamento” ne altera il moto. Ne deriva che, se
vogliamo conoscerne con alta precisione la posizione, avremo viceversa un’alta incertezza sulla sua
velocità; al contrario, se ne misuriamo con alta precisione la velocità, avremo un’alta incertezza
sulla posizione. In parole povere, di una particella subatomica si possono avere scarse informazioni:
se sappiamo dov’è, non possiamo sapere dove sta andando e viceversa! È questo il noto Principio di
Indeterminazione di Heisenberg su cui si poggiano le teorie quantistiche.
Una volta chiarito che la realtà che ci circonda è molto più complicata di quanto credeva Newton,
possiamo però tranquillizzarci: la Meccanica classica, anche se è una teoria affetta da errori,
fornisce risultati che restano validi comunque con ottima approssimazione a patto che non si
sconfini nei territori “vietati”, ossia il “molto veloce” ed il “molto piccolo”. Ancora oggi, dunque,
continuiamo a studiare le teorie di Newton perché descrivono in maniera semplice la realtà che ci
circonda. Era necessario però accennare alle teorie moderne in quanto su di esse si basano alcuni
fenomeni più complessi che comunque si possono incontrare nella vita quotidiana. Basti pensare
che la struttura dell’atomo, così come la si conosce oggi e la si studia in Chimica, è basata
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unicamente sulla Meccanica Quantistica. Inoltre, molti strumenti tecnologici che ci circondano sono
stati pure costruiti tenendo conto di teorie moderne e non della Meccanica classica.
Riprendiamo il nostro cammino. Anche nello studio della Dinamica supporremo, almeno
inizialmente, di poter trattare il corpo che si muove come se fosse una particella puntiforme. Le
domande a cui dobbiamo rispondere sono diverse ma tutte collegate. Cos’è che fa “muovere” un
corpo (ossia gli fa cambiare posizione al passare del tempo)? Cos’è che lo fa star fermo? Cos’è che
lo fa andare più o meno veloce? Cos’è che gli fa cambiare direzione o verso? Cos’è che gli fa
aumentare o diminuire la velocità (ossia lo fa accelerare positivamente o negativamente)? Cos’è che
lo fa andare sempre alla stessa velocità, oppure sempre nella stessa direzione e nello stesso verso?
La Meccanica newtoniana risponde alle domande precedenti basandosi sull’esperienza quotidiana,
la quale ci dice che ad influenzare lo stato di moto di un corpo sono gli altri corpi che si trovano
nell’ambiente circostante. Ciascuno di questi corpi “interagisce” con quello preso in esame e può
quindi modificarne lo stato di moto. Quindi, se prendiamo in considerazione due corpi tra loro
“vicini”, essi interagiscono fra loro in quanto ognuno dei due corpi fa parte dell’ambiente
circostante dell’altro corpo. E dunque ciascuno dei due corpi può influire sullo stato di moto
dell’altro.
Per entrare maggiormente nei dettagli e poter descrivere in termini matematici l’interazione fra due
corpi vicini, dobbiamo introdurre una nuova grandezza fisica derivata. L’interazione fra due
particelle puntiformi consiste infatti nel fatto che ciascuna delle due particelle determina sull’altra
un effetto che può essere espresso mediante una grandezza chiamata forza. Ogni interazione fra
particelle è descritta quindi da due forze: quella che la prima particella determina sulla seconda e
quella che la seconda particella determina sulla prima. Ciascuna delle due forze è “causata” dalla
presenza di una particella ma ha “effetto” sull’altra particella, potendo modificarne lo stato di moto
(mentre non ha effetti sulla particella da cui è causata).
In particolare, quando una particella è isolata, cioè quando non ci sono altre particelle nell’ambiente
circostante, allora su questa particella non può essere applicata alcuna forza (in quanto le forze sono
causate dalla presenza di altre particelle). Di conseguenza lo stato di moto di questa particella non
può essere modificato (il che però non significa, come vedremo più avanti, che la particella rimane
ferma, ma solo che continuerà a muoversi sempre “allo stesso modo”).
Se invece una particella non è isolata, essa interagisce con tutte le particelle dell’ambiente
circostante e ciascuna interazione determina sulla particella da noi considerata una forza. Tutte
queste forze (una per ogni interazione con l’ambiente circostante) insieme alterano, in qualche
modo, lo stato di moto della nostra particella. Naturalmente, in questo caso, il discorso è valido per
ciascuna altra particella dell’ambiente, che allo stesso modo subisce forze da tutte le altre.
Per completare il discorso occorre ora specificare come sono fatte le forze e in che modo
influiscono sul moto delle particelle. Per farlo, dobbiamo enunciare le tre importantissime leggi
fisiche su cui è basata la Dinamica nell’ambito della Meccanica classica o newtoniana. Queste leggi
sono appunto chiamate Leggi di Newton o Leggi della Dinamica (a volte vengono anche dette
Principi della Dinamica) e sono anch’esse ricavate dall’esperienza quotidiana.
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La Prima Legge di Newton è nota anche come Principio d’inerzia. Essa afferma che esiste almeno
un sistema di riferimento dello spazio fisico dal quale le particelle isolate appaiono sempre
muoversi di moto rettilineo uniforme.
In alcuni testi questa legge tende ad essere semplificata e ci si limita a dire che una particella isolata
si muove sempre di moto rettilineo uniforme (eliminando cioè la premessa sui sistemi di
riferimento). In questo modo si evita di approfondire tutta una serie di problematiche riguardanti il
fatto che il concetto di moto è relativo, ma si commette in realtà un grossissimo errore. Il moto
assoluto non esiste, un oggetto si muove o è fermo non in assoluto ma sempre relativamente al
punto di vista di un osservatore (cioè appunto rispetto ad un sistema di riferimento). Lo stesso
oggetto che per un osservatore è fermo, per un altro osservatore si sta muovendo e per un altro
osservatore ancora si sta pure muovendo ma di moto completamente diverso da quello percepito dal
secondo osservatore. Pertanto il Principio d’inerzia, senza la premessa iniziale, diventerebbe privo
di significato o comunque banale (si potrebbe affermare che qualsiasi corpo, anche non isolato, si
muove sempre di moto rettilineo uniforme, basterebbe scegliere opportunamente il sistema di
riferimento; addirittura, allo stesso modo, potremmo affermare che qualsiasi corpo è sempre fermo).
La suddetta premessa è invece proprio la parte maggiormente significativa di questa legge fisica. La
quale ci dice quindi che esiste un sistema di riferimento “privilegiato”, rispetto al quale, cioè, le
cose funzionano in maniera abbastanza regolare dal punto di vista dinamico: se una particella è
isolata, cioè se essa non interagisce con altre particelle, allora questa particella non può accelerare;
essa può solo continuare a muoversi sempre nella stessa direzione e nello stesso verso, senza mai
aumentare né diminuire la propria velocità (almeno fintanto che rimane isolata). Naturalmente tutto
ciò è garantito se si continua ad osservare la particella isolata dal sistema di riferimento privilegiato.
Cambiando sistema di riferimento, invece, è possibile assistere ad accelerazioni e cambi di
direzione e verso anche per particelle isolate (spiegabili però col fatto che è il sistema di riferimento
a non essere adatto: ad esempio, se siamo dentro un’auto e vediamo che fuori dall’auto un albero,
inizialmente fermo, comincia a muoversi verso di noi, lo spieghiamo ovviamente col fatto che è il
nostro punto di osservazione ad essere “sbagliato”, perché è in realtà l’auto che ha iniziato a
muoversi verso l’albero).
È evidente quindi che, per comprendere i fenomeni dal punto di vista dinamico, conviene mettersi
ad osservare la realtà dal sistema di riferimento privilegiato la cui esistenza è assicurata dalla Prima
Legge di Newton. In realtà questa legge, anche se afferma l’esistenza di un sistema di riferimento
“buono”, permette di dedurre in realtà che ce ne sono infiniti altri. Infatti qualsiasi sistema di
riferimento che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto a quello garantito dal Principio
d’Inerzia è altrettanto “buono”, perché in esso la velocità di qualsiasi particella si otterrà dalla
velocità della medesima particella misurata nel sistema “privilegiato” sommando la velocità relativa
del secondo sistema rispetto al primo. Ma poiché tale velocità relativa è costante (in quanto il
secondo sistema si muove di moto rettilineo uniforme rispetto al primo), ne deriva che tutte le
particelle che si muovono di moto rettilineo uniforme (cioè a velocità costante) rispetto al primo
sistema devono muoversi di moto rettilineo uniforme anche rispetto al secondo (anche se le velocità
di una stessa particella possono essere differenti rispetto ai due sistemi, saranno però entrambe
costanti). Ciò varrà in particolare per le particelle isolate.
Quest’ultima osservazione ci permette di dare una nuova definizione. Il sistema di riferimento
privilegiato la cui esistenza è assicurata dalla Prima Legge di Newton e tutti i sistemi di riferimento
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che si muovono di moto rettilineo uniforme rispetto ad esso sono chiamati sistemi di riferimento
inerziali. Come conseguenza di quanto detto, in un qualsiasi sistema di riferimento inerziale, ogni
particella isolata si muove sempre di moto rettilineo uniforme.
Da questo momento in poi, quindi, studieremo il moto dei corpi osservandoli sempre da un sistema
di riferimento inerziale (salvo diverse indicazioni).
Prima di enunciare le altre due Leggi di Newton, è opportuno soffermare la nostra attenzione su
un’altra conseguenza molto importante della prima. Essa ci dice che, se una particella è isolata,
allora deve muoversi sempre sulla stessa retta e sempre con la stessa velocità. Ci si sarebbe potuti
aspettare invece che una particella isolata debba addirittura essere costretta a rimanere ferma, ma
ciò (al di là del già citato aspetto relativo del concetto di moto) non è in generale vero. Una
particella che si stia muovendo in una certa direzione ed in un certo verso nello spazio fisico, con
una certa velocità, se non è “disturbata” (cioè se non interagisce con altre particelle), continua a
muoversi per sempre in questo modo! Le interazioni tra particelle, quindi, non sono indispensabili
per far muovere le particelle stesse, ma solo per accelerarle (cioè modificarne le velocità). Di questo
fatto possiamo inizialmente rimanere sorpresi, perché nello spazio che ci circonda è difficile poter
osservare un corpo che si muove all’infinito sempre in un verso senza mai aumentare o diminuire la
propria velocità. Ma il motivo per cui non riusciamo ad osservare ciò va ricercato nel fatto che,
intorno a noi, è praticamente impossibile osservare corpi isolati! Prima o poi il nostro corpo
interagisce con altri e quindi modifica il proprio stato di moto. Anzi, più precisamente, nella
maggior parte dei casi, il nostro corpo tenderà a diminuire la propria velocità e a fermarsi, perché è
molto più probabile che le particelle con cui si trova ad interagire finiscano per diminuire la sua
velocità che non per aumentarla (in quanto, come vedremo, molte di queste interazioni provocano
accelerazioni in verso opposto alla velocità del corpo e finiscono dunque per ostacolarne o quanto
meno frenarne il moto). Questo erroneamente ci induce a credere che i corpi tendano verso uno
stato naturale di moto che è l’assenza di moto, che i fisici chiamano quiete. È un errore in cui, se
nessuno ci fa riflettere, è facile incappare. Invece il Principio d’Inerzia ci dice che lo stato naturale
di moto non è la quiete ma il moto rettilineo uniforme.
Possiamo convincerci meglio di questo fatto, pensando al seguente esperimento. Immaginiamo di
dare una spinta ad un oggetto che è in grado, successivamente alla spinta, di scivolare o di rotolare
lungo una superficie piana molto estesa (potenzialmente estesa all’infinito). Dopo la spinta iniziale,
non interveniamo più sull’oggetto. L’esperienza ci dice che l’oggetto scivola o rotola per un po’
verso la direzione in cui è stato spinto, rallentando progressivamente fino a fermarsi. Il Principio
d’Inerzia ci dice che, se fosse isolato, dovrebbe invece continuare a muoversi all’infinito. Ma il
problema è che l’oggetto non è isolato! A fermarlo non è la tendenza naturale alla quiete, che non
esiste, ma l’interazione con la superficie stessa su cui si muove, che tende a ostacolarlo a causa del
contatto. Infatti, a parità di spinta iniziale, osserviamo che il moto dell’oggetto diventa più lungo
quanto più siamo in grado di rendere lisce le superfici di contatto (si pensi al caso del disco da
hockey su ghiaccio che, con un piccolo colpetto iniziale, compie un lungo tragitto sulla superficie
ghiacciata). L’interpretazione corretta è che, se si potesse eliminare del tutto il contatto, l’oggetto si
muoverebbe senza ostacoli senza mai rallentare!
Osserviamo in conclusione che, comunque, la quiete è un caso particolare del moto rettilineo
uniforme che si ottiene quando la velocità (costante) è uguale esattamente a
. Pertanto risulta
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vero che un oggetto isolato resta in quiete solo quando esso era già inizialmente in quiete, e questo è
invece un fenomeno che osserviamo quotidianamente.
La Seconda Legge di Newton è nota anche col nome di Legge fondamentale della Dinamica. Essa
afferma che la somma di tutte le forze applicate su una particella puntiforme in un determinato
istante di tempo è uguale al prodotto tra la massa della particella e la sua accelerazione,
quest’ultima misurata nel medesimo istante da un qualsiasi sistema di riferimento inerziale.
Questa legge chiarisce il significato del concetto di forza come grandezza fisica derivata (in quanto
prodotto di una massa con un’accelerazione). Purtroppo, dal momento che l’accelerazione è una
grandezza vettoriale (dotata cioè anche di direzione e verso), anche la forza lo è. Di conseguenza la
relazione matematica espressa dalla Legge fondamentale della Dinamica è molto più complessa di
quel che sembra. In particolare la “somma di tutte le forze” applicate sulla particella in un
determinato istante non è agevole da calcolare, perché deve tener conto non solo dell’intensità di
ciascuna forza, ma anche delle loro direzioni e dei loro versi. Dovremo accontentarci di studiare
solo il caso in cui su un corpo è applicata una singola forza o al massimo quello in cui sono
applicate più forze ma aventi tutte la stessa direzione nello spazio.
La somma di tutte le forze applicate su una particella è chiamata la forza risultante applicata su
questa particella. Se indichiamo con questa forza risultante in un dato istante di tempo, con la
sua accelerazione nello stesso istante e con la massa della particella, la Seconda Legge di Newton
è allora espressa dalla formula
dove occorre tener conto che
ed hanno la stessa direzione e lo stesso verso (cioè il corpo
accelera nella direzione e nel verso della forza risultante).
In pratica l’accelerazione impressa ad una particella da una forza è direttamente proporzionale alla
forza stessa e la costante di proporzionalità è proprio la massa della particella. Si chiarisce così
anche il significato fisico della massa, che avevamo anticipato nell’Introduzione: a parità di forza,
un corpo di massa maggiore è accelerato meno di uno di massa minore, quindi la massa misura la
capacità del corpo di resistere alle sollecitazioni esterne, ossia alle forze applicategli da altri corpi.
Dal punto di vista pratico, ha spesso maggior utilità la formula inversa
che, note la massa della particella e la forza risultante su essa applicata in un certo istante, permette
di calcolare l’accelerazione della particella nel medesimo istante. L’altra formula inversa
si rivela utile invece come metodo dinamico per misurare la massa di un corpo (così come la prima
formula rappresenta un metodo dinamico per misurare le forze).
In tutte e tre le formule va sottolineato che l’accelerazione è necessariamente quella misurata da un
sistema di riferimento inerziale. Non occorre specificare di quale sistema inerziale si tratti, perché
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l’accelerazione di qualsiasi particella è sempre la stessa in tutti gli infiniti sistemi di riferimento
inerziali esistenti (in quanto due di essi si muovono a velocità costante, e quindi ad accelerazione
nulla, l’uno rispetto all’altro). È per questo motivo che, come anticipavamo a conclusione della
trattazione della Cinematica, il concetto di accelerazione riveste in Dinamica un’importanza
superiore a quella del concetto di velocità (la quale invece non è la stessa in tutti i sistemi di
riferimento inerziali).
Per effetto delle formule precedenti, l’unità di misura della forza nel SI, chiamata newton ed
indicata col simbolo , è stata scelta come quella forza che, applicata ad una particella avente la
massa di
, produce su essa un’accelerazione di
. Vale dunque la relazione
(notiamo che, a differenza di quanto fatto per velocità ed accelerazione, questa volta sono stati
introdotti un nome ed un simbolo abbreviativi che, oltre ad essere un omaggio al padre della
Meccanica, sono decisamente più comodi della faticosa locuzione “kilogrammo per metro al
secondo quadrato”).
In conclusione va osservato che, quando una particella è isolata, la forza risultante su essa applicata
è uguale a
. Allora, dalle formule inverse, segue che l’accelerazione è uguale a
e quindi
la particella deve muoversi con velocità costante, cioè di moto rettilineo uniforme. Quindi, la
Seconda Legge di Newton contiene, come caso particolare, la Prima Legge. Tuttavia era necessario
introdurre prima il caso dell’inerzia, in quanto indispensabile per introdurre il concetto di sistema di
riferimento inerziale (presupposto dalla Seconda Legge).
La Terza Legge di Newton è nota anche come Principio di azione e reazione. Essa afferma che, in
un’interazione qualsiasi fra due particelle puntiformi, la forza applicata sulla prima particella dalla
seconda in un determinato istante di tempo e la forza applicata sulla seconda particella dalla prima
nel medesimo istante hanno la stessa direzione, la stessa intensità e versi opposti. In simboli,
indicando con
la forza applicata sulla prima particella dalla seconda e con
la forza applicata
sulla seconda particella dalla prima, vale l’uguaglianza
che va interpretata nel senso che, se si assume come positivo il verso di una delle due forze, l’altra
ha lo stesso valore assoluto e verso negativo.
L’ultima legge della Dinamica regola il rapporto che esiste tra le differenti forze che costituiscono
la medesima interazione fra due particelle date. Anche questa legge è dedotta dall’esperienza e
possiamo convincerci della sua validità attraverso una semplice riflessione. Osserviamo anzitutto
che le due forze di cui parla il Principio di azione e reazione sono forze che agiscono su particelle
differenti. Non ha quindi senso sommarle ai fini del calcolo di una forza risultante. Tuttavia,
sappiamo bene che il concetto di particella puntiforme è solo una semplificazione della realtà. I
corpi che ci circondano non sono particelle prive di estensione spaziale, ma possiamo supporre che
siano composti di parti così piccole da poter essere trattate come se fossero particelle puntiformi.
Consideriamo allora due particelle facenti parte di uno stesso corpo più grande e consideriamo
l’interazione fra esse. Se il Principio di azione e reazione non fosse vero, le due forze che queste
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particelle si applicano reciprocamente potrebbero quindi non essere esattamente una l’opposta
dell’altra. Ma in questo caso avrebbe senso sommarle (perché forze agenti su parti diverse di un
medesimo corpo) e la loro somma sarebbe diversa da
. Ne deriva dunque che, anche se il corpo
fosse isolato, potrebbe esserci comunque una forza risultante non nulla applicata su di esso dovuta a
cause “interne” e quindi il corpo sarebbe in grado di accelerare in maniera autonoma. Ciò va
decisamente contro l’esperienza. La Terza Legge di Newton invece garantisce che, anche se vi sono
forze interne fra le varie particelle di uno stesso corpo, esse si annullano a due a due e quindi la loro
somma complessiva è sicuramente uguale a
. Pertanto le forze interne non danno alcun
contributo alla forza risultante agente sul corpo ed il corpo non è in grado di accelerare se non
intervengono cause “esterne”, come ci suggerisce l’esperienza.
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La forza peso
Le tre Leggi di Newton risolvono il problema della Dinamica da un punto di vista soprattutto
teorico: le cause del moto di un corpo (o meglio le cause delle variazioni del suo stato di moto, visto
che il semplice moto rettilineo uniforme può avvenire “per inerzia”, ossia senza bisogno di cause)
sono state individuate nelle forze, a loro volta dovute alle interazioni del corpo con gli altri corpi
dell’ambiente circostante. Ora però, chiuso il problema teorico, entriamo nei dettagli dal punto di
vista pratico, andando a vedere le principali forze che possono esplicarsi nella natura.
Una delle forze più facili da incontrare nella realtà che ci circonda è la forza gravitazionale. La
manifestazione più nota di questa forza si osserva quando un pianeta attrae un oggetto che si trova
non lontano dalla sua superficie: l’oggetto viene attratto verso il centro del pianeta in un moto che
solitamente chiamiamo caduta. Quando il pianeta in questione è la nostra Terra, siamo soliti dire
che l’oggetto cade “verso il basso”, ma questo, tenendo conto della sfericità del pianeta, non è
esatto: la caduta avviene sempre verso il centro della Terra.
In realtà la forza di gravità in natura si registra non solo tra un pianeta (o in generale un qualsiasi
corpo celeste) ed un oggetto piccolo non lontano dalla sua superficie. La forza di gravità si esercita
tra due corpi qualsiasi, o meglio tra due particelle qualsiasi. Due palline che vengono lasciate
cadere, oltre ad essere attratte verso il centro della Terra, si attraggono anche reciprocamente fra
loro. Di questo però è praticamente impossibile accorgersi, perché l’attrazione gravitazionale che
ciascuna pallina subisce dalla Terra ha un’intensità molto più grande rispetto all’attrazione
gravitazionale tra le due palline. Ci si potrebbe accorgere dell’attrazione gravitazionale fra le due
palline solo portandole nello spazio, molto lontano da grandi corpi celesti: in questo caso ciascuna
pallina risentirebbe solo dell’attrazione gravitazionale dell’altra e potremmo vederle avvicinarsi
l’una all’altra.
Quanto abbiamo detto comporta addirittura che, quando lasciamo cadere una pallina per terra, non è
solo il pianeta ad attrarre la pallina, ma accade anche il contrario: la pallina attrae il pianeta! Sembra
incredibile, ma è proprio così: mentre la pallina viene attratta verso il centro della Terra, il nostro
pianeta viene attratto verso la pallina… Tuttavia noi ci accorgiamo della pallina che va giù ma non
della Terra che va su: il motivo è sempre lo stesso, il pianeta è così grande che l’attrazione
gravitazionale che esso subisce dalla pallina praticamente non lo smuove, mentre la pallina è così
piccola che l’attrazione gravitazionale che essa subisce dal pianeta è ben percettibile. D’altra parte,
il fatto che anche il pianeta sia attratto dalla pallina è previsto dalla Terza Legge di Newton.
Per le considerazioni appena svolte, e dal momento che noi siamo abituati a trascorrere la nostra
esistenza con i piedi saldamente ancorati a… terra, resta comunque il fatto che l’unico aspetto della
forza gravitazionale che risulta significativo considerare nella nostra vita quotidiana è quello della
forza gravitazionale che ciascun oggetto subisce dal pianeta sul quale viviamo. Le forze
gravitazionali che il pianeta subisce reciprocamente dagli oggetti sulla sua superficie e le forze
gravitazionali che si applicano reciprocamente fra loro questi oggetti possono essere trascurate. La
forza gravitazionale che un oggetto subisce da un pianeta prende il nome di forza peso o più
semplicemente peso. Il peso è quindi, in Fisica, una cosa diversa dalla massa ed enunciamo qui le
differenze più importanti:
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la massa di un oggetto misura la capacità di quell’oggetto di resistere a qualsiasi
sollecitazione esterna, invece il peso esprime l’attrazione gravitazionale che l’oggetto
subisce da un pianeta;
la massa di un oggetto è costante (finché l’oggetto rimane integro), mentre il peso cambia a
seconda del pianeta su cui l’oggetto si trova e addirittura si annulla se l’oggetto si trova nello
spazio vuoto dove nessun corpo celeste può attrarlo;
la massa è una grandezza fisica fondamentale, invece il peso, essendo un caso particolare di
forza, è una grandezza fisica derivata;
la massa si misura, nel SI, in kilogrammi, mentre il peso, essendo una forza, si misura in
newton;
la massa è una grandezza fisica scalare, mentre il peso, essendo una forza, è una grandezza
fisica vettoriale (la forza peso è diretta verso il centro del pianeta).
Come anticipato nell’introduzione, nella vita quotidiana solitamente indichiamo con la parola
“peso” ciò che invece in Fisica si chiama massa. Nel linguaggio scientifico adesso non possiamo
più permettercelo. Il motivo di questa confusione nel linguaggio comune è tuttavia facile da
spiegare: massa e peso, anche se sono concetti fondamentalmente diversi, sono comunque
strettamente legati fra loro. Il legame fra queste due grandezze fisiche consiste in una scoperta
attribuita a Galileo Galilei. Egli scoprì che, sottoponendo all’attrazione gravitazionale della Terra
corpi anche molto diversi fra loro (per massa, materiale di cui sono costituiti e dimensioni),
l’accelerazione che acquistano è sempre la stessa. Si tratta di un altro fatto abbastanza sorprendente
e controintuitivo: ci si potrebbe aspettare che un corpo più pesante (ossia con massa maggiore)
acquisisca un’accelerazione maggiore di un corpo più leggero e quindi cada più velocemente (e del
resto lo diceva anche Aristotele). Invece ciò è falso. Tutti i corpi, sulla Terra, subiscono la stessa
accelerazione di gravità. Il valore approssimativo di questa accelerazione, indicata col simbolo , è
di poco meno di dieci metri al secondo quadrato, più precisamente
(il simbolo ha il significato di “uguale circa a”). Più avanti torneremo a parlare di gravitazione e
spiegheremo meglio come sia possibile che l’accelerazione di gravità sia la stessa per tutti gli
oggetti. Tuttavia chiunque può fare dei semplicissimi esperimenti, provando a lasciar cadere da una
certa altezza (per esempio da un balcone) due oggetti dei quali uno molto più leggero dell’altro. Nei
limiti di quanto è possibile apprezzare a occhio nudo, ci si renderà conto che, se i due oggetti sono
stati lasciati andare contemporaneamente e dalla stessa altezza, si muoveranno verso il basso
sempre uno accanto all’altro finendo per toccare terra contemporaneamente. Occorre solo scegliere
oggetti che non siano troppo frenati dall’aria: se si scelgono infatti una sferetta di piombo ed una
piuma (o, al posto di quest’ultima, un foglio di carta) l’esperimento non funziona perché la piuma, a
differenza della pallina, subisce la resistenza dell’aria e quindi viene rallentata (nel caso del foglio
di carta si può in parte rimediare appallottolandolo prima di lasciarlo cadere). Questo non dimostra
affatto che la piuma fa eccezione alla regola, ma solo che l’esperimento è disturbato dalla presenza
di un’altra forza (la resistenza dell’aria) che non c’entra nulla con la forza gravitazionale. Ci si può
convincere di questo in laboratorio: lì è possibile far funzionare l’esperimento anche nel caso di
oggetti come la piuma, facendoli cadere all’interno di un lungo tubo trasparente nel quale,
precedentemente, sarà stata aspirata via l’aria, creando il vuoto. In questo modo l’aria non oppone
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resistenza e la piuma cade allo stesso modo della sferetta di piombo, dimostrando che
l’accelerazione gravitazionale è sempre la stessa anche per corpi così leggeri!
Il valore approssimativo che abbiamo fornito per l’accelerazione di gravità
sulla superficie
terrestre è stato ottenuto tramite misure sperimentali. Esso in realtà subisce delle piccole variazioni
fra le varie zone del nostro pianeta (perché l’attrazione gravitazionale, essendo dovuta alla materia
di cui è fatta la Terra, non è la stessa dappertutto in quanto la crosta terrestre presenta delle
irregolarità). Inoltre, e questo è abbastanza ovvio, se ci si allontana molto dalla superficie terrestre,
viaggiando verso l’alto (e quindi allontanandosi dal centro della Terra), l’accelerazione di gravità
tende a diminuire. Quindi
è solo approssimativamente costante (con tecniche di misurazione
molto precise è possibile addirittura apprezzare la leggera diminuzione del suo valore misurandolo
dapprima al piano terra e poi all’ultimo piano di un edificio molto alto).
Come caso particolare della Seconda Legge di Newton, dal momento che
è l’accelerazione
prodotta dalla forza peso, si ha che la formula che lega il peso e la massa di un corpo è
(ottenuta sostituendo la forza risultante generica con la forza peso e l’accelerazione generica
con l’accelerazione di gravità). La formula inversa per ricavare la massa sapendo il peso è
(non scriviamo l’altra formula inversa in quanto essa avrebbe l’unica funzione di ricavare
l’accelerazione di gravità, il cui valore sperimentale sulla Terra abbiamo già fornito; in teoria può
essere usata per misurare tale accelerazione di gravità ad esempio su un altro pianeta, ma per farlo
occorre avere a disposizione un oggetto del quale si conoscano sia la massa sia il peso su quest’altro
pianeta; in realtà però si usano altri metodi per misurare l’accelerazione di gravità di altri pianeti).
Sulla teoria che abbiamo appena illustrato poggia il funzionamento del noto strumento di misura
chiamato bilancia a bracci uguali. Essa è costituita da un’asta omogenea appoggiata per il suo
centro ad un fulcro. Ciascuna delle due estremità dell’asta, chiamate bracci, sorregge, ad eguali
distanze, un piatto orizzontale. Su uno dei due piatti viene appoggiato il peso incognito che si vuole
misurare, mentre sull’altro piatto si appoggiano via via vari pesi noti, fino ad equilibrare il sistema,
quanto i due piatti si mantengono alla stessa altezza e la bilancia smette di oscillare. In questo
momento, in accordo col Principio d’Inerzia, la forza risultante applicata sulla bilancia dev’essere
nulla: se ne deduce che la somma dei pesi noti sarà uguale al peso incognito (in quanto nessuno dei
piatti viene tirato verso il basso da una forza peso maggiore di quella da cui è tirato l’altro piatto). Il
principio di funzionamento è basato sulla forza peso: la bilancia non funzionerebbe nello spazio
vuoto lontano dai pianeti, dove la forza peso è sempre nulla su entrambi i piatti indipendentemente
dagli oggetti che vi sono appoggiati.
Quando la bilancia è in equilibrio i due piatti sono alla stessa altezza e quindi su di essi
l’accelerazione di gravità ha esattamente lo stesso valore (non ci sono nemmeno quelle possibili
variazioni dovute alla differenza di distanza dal centro della Terra). Possiamo allora dimostrare che
non solo i pesi, ma anche le masse degli oggetti sui due piatti saranno uguali. Infatti, indichiamo
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Luca Urselli - Appunti di Scienze integrate (Fisica) - Meccanica (seconda parte): la Dinamica
con
la massa complessiva appoggiata sul primo piatto, con
quella appoggiata sul secondo
piatto, con e i rispettivi pesi. Come si è detto, dal momento che la bilancia è in equilibrio, vale
l’uguaglianza
tra i due pesi. Da essa, usando la formula inversa per il calcolo delle masse, si ottiene
e quindi effettivamente anche le due masse sono uguali. In effetti sui pesetti noti che vengono
forniti con la bilancia sono segnate le loro masse (e non i loro pesi), in quanto esse sono costanti
(mentre i pesi cambierebbero su un altro pianeta). In pratica, quindi, la bilancia a bracci uguali
permette di misurare più la massa che il peso, sebbene il principio di funzionamento sia basato sulla
forza gravitazionale (e pertanto resta valido il fatto che non può essere utilizzata dove non c’è
gravità). Notiamo inoltre che, per usare la bilancia, non è nemmeno necessario conoscere il valore
dell’accelerazione di gravità (tant’è che la bilancia funziona ugualmente bene anche su un altro
pianeta, a patto che venga usata per misurare le masse e non i pesi).
Concludiamo lo studio della forza peso rimarcando il fatto che è un’accelerazione e non una
velocità. Un oggetto che viene lasciato cadere, quindi, non cade sempre alla stessa velocità: la
velocità, inizialmente uguale a
nell’istante esatto in cui l’oggetto viene lasciato, aumenta
progressivamente durante la caduta (almeno finché è possibile trascurare altri fattori come ad
esempio la resistenza dell’aria). Il moto dovuto alla sola forza gravitazionale è quindi un moto
rettilineo uniformemente accelerato, con accelerazione uguale a . Questo moto è chiamato caduta
libera. Il valore fornito di
per la superficie terrestre ci dice che, ogni secondo che passa, la
velocità di caduta aumenta di
: quindi, se inizialmente la velocità è nulla, dopo
essa è
già aumentata a
; dopo
la velocità sarà raddoppiata, diventando di
; dopo
l’oggetto starà cadendo ad una velocità di
; e così via. Torneremo a riesaminare altri
aspetti della forza gravitazionale nel capitolo dedicato alla Gravitazione.
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La forza elastica
I fenomeni di tipo elastico sono legati al concetto di molla. Questi fenomeni sono presenti in natura,
ma più facili da vedere e da studiare se vengono prodotti artificialmente. Descriveremo qui il
comportamento di una classica molla artificiale, quella di forma elicoidale, ma va detto che quanto
sarà detto può essere facilmente applicato, con qualche adattamento, a tutti i fenomeni elastici sia
naturali che artificiali (e quindi anche a molle di altre forme, ad esempio quelle a spirale utilizzate
negli ingranaggi degli orologi meccanici).
L’esperienza ci dice che, tenendo fermo uno dei due capi della molla ed applicando una piccola
forza all’altro capo, avvertiamo una resistenza. Precisamente, se tiriamo la molla per allungarla,
essa tira dalla parte opposta cercando di opporsi all’allungamento; se invece comprimiamo la molla
per accorciarla, essa spinge verso di noi cercando di opporsi all’accorciamento. Questa descrizione
è avvalorata dal fatto che, una volta lasciata andare, la molla ritorna nella posizione iniziale: se era
stata tirata si riaccorcia, se era stata compressa, si riallunga.
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