www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia IHISTORY. TANTE DOMANDE (E NESSUNA RISPOSTA) SUL NOSTRO MODO DI FARE STORIA di Serena Di Nepi iHistory, la dicitura un po' alla moda che introduce il titolo di questo numero, fa immediato e intuitivo riferimento ai cambiamenti che la storia e la storiografia stanno affrontando in questi anni e che sono segnati tanto dalla diffusione delle nuove tecnologie quanto dall’affermazione di comunità virtuali di ricerca e confronto. La condivisione continua e su scala globale delle idee, dei progetti e dei risultati produce conseguenze di grande rilievo sul modo stesso di impostare e pensare il mestiere degli storici e coinvolge esperti di varie discipline: dagli archivisti ai bibliotecari, dagli informatici ai project-manager e agli specialisti di fundraising in ambito umanistico fino, ovviamente, agli studiosi. Sono sufficienti poche domande per illustrare quanto il peso crescente degli IT stia trasformando in profondità ogni aspetto del lavoro. In che modo la costruzione di database complessi, e predeterminati, influenza l'andamento di una ricerca? Quanto pesa l'obbligo di normalizzare e pubblicare i dati del lavoro di scavo? Quanto è cambiato il lavoro di controllo bibliografico nell'epoca di academia, research gate, scopus e Google books? Gli interventi che presentiamo prendono spunto da un seminario svolto a Roma il 16 dicembre 2013 grazie al sostegno di Sapienza-Università di Roma e che si intitolava iHistory. Nuove prospettive e metodi per la ricerca storica: relazioni tra nazioni, culture e religioni attraverso le nuove tecnologie.1 L'iniziativa, che era a sua volta frutto dell'incontro tra due progetti FIRB attivi in quel momento presso il Dipartimento di Storia, Culture e Religioni, nasceva dalla volontà di discutere collettivamente alcuni problemi che i due gruppi si erano trovati ad affrontare e che avevano in larga parte a che fare proprio con l'impatto della "rivoluzione digitale" sul lavoro concreto dei ricercatori. Sin dalla fase di elaborazione di entrambi questi progetti - dedicati il primo alle relazioni cristiano-islamiche oltre la guerra santa2 e il secondo alla stagione diplomatica che aprì la strada alla stesura del trattato di Versailles del 19183 - le caratteristiche scientifiche delle proposte hanno spinto a ragionare sugli strumenti che avrebbero potuto facilitare l’impresa collettiva del gruppo e che, evidentemente, richiedevano l'elaborazione di un prodotto più complesso della semplice pubblicazione di un sito internet con notizie aggiornate sull'andamento dell’indagine. Al centro di questi due lavori stanno, infatti, indagini su fenomeni multiculturali e internazionali che, proprio perché condotte da più persone in contemporanea su materiale straordinariamente disomogeneo per lingua e contenuto, hanno imposto la costruzione di strumenti capaci di 1 Il programma completo della giornata è consultabile qui: http://www.mdh.uniroma1.it/master2/Programma_MDH.pdf . 2 Faccio riferimento al Progetto FIRB – Futuro in ricerca 2008: RBFR08UX26_002: Oltre la "guerra santa". La gestione del conflitto e il superamento dei confini culturali tra mondo cristiano e mondo islamico dal Mediterraneo agli spazi extra-europei: mediazioni, trasmissioni, conversioni (sec. XV-XIX) – coordinatore nazionale Giuseppe Marcocci. Per una presentazione generale del progetto: http://behowar.sns.it/index.php?id=2. 3 Faccio riferimento al Progetto FIRB – Futuro in ricerca: L'Europa di Versailles (1919-1939). I nuovi equilibri europei tra le due guerre nelle fonti dell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito – coordinatore nazionale Alessandro Vagnini. Giornale di storia, 19 (2015) ISSN 2036-4938 www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia impedire al progetto di frammentarsi in filoni autonomi di ricerca individuale, che avrebbero fatto perdere quei caratteri di innovatività e quelle ambizioni interdisciplinari che caratterizzavano entrambi gli studi.4 Questa riflessione non vuole (e non può) essere niente più che un primo ragionamento su questioni aperte, in continua e sempre complessa evoluzione. Per questo motivo non ha risposte e non contiene giudizi o valutazioni positive o negative; punta, invece, a formulare qualche spunto, con l'auspicio che a queste domande altre se ne aggiungano e che i dubbi, le paure, le curiosità e gli esperimenti che molti vanno affrontando possano essere condivisi sul «Giornale di storia» e offrire ulteriori elementi a una discussione senza dubbio importante. Impostare una ricerca nell’era della comunicazione digitale La fase di avvio di una ricerca prevede una verifica bibliografica e storiografica che permetta di padroneggiare ciò che già esiste e già è stato detto, fatto e pensato sull’argomento di interesse. Fino a qualche anno fa, questi controlli si svolgevano prevalentemente in biblioteca sulla base delle conoscenze pregresse che lo studioso aveva accumulato, grazie alla lettura del lavoro di chi lo aveva preceduto sul tema o su temi affini, al confronto con gli esperti e a una lunga e faticosa opera di scavo nei cataloghi, tra schede cartacee, soggettari e primi repertori informatici. Oggi questa fase si svolge in larga parte navigando in internet, spesso senza che vi sia bisogno (o voglia) di recarsi di persona in un istituto di conservazione. A partire dai cataloghi on line delle biblioteche, nazionali e/o internazionali fino alla ricerca nelle banche dati di settore, che indicizzano libri e articoli (jstor e google scholar, per citare due tra i più noti e usati) e ai portali che raccolgano edizioni digitali di migliaia e migliaia di volumi pubblicati in tutte le lingue e che includono tanto gli e-books di ultima generazione quanto le scansioni di libri, a partire dalle edizioni rare e ormai introvabili. Google books, ovviamente, ma non solo. I grandi portali internazionali, tutti dotati di sistemi di ricerca per parole chiave e in larga parte accessibili gratuitamente previa iscrizione, costituiscono un deposito straordinario di saggi, consultabili con grande velocità e facilità e soggetti a continua implementazione. Questi enormi scaffali digitali di materiale caricato spontaneamente trasformano significativamente il modo di fare e di raccontare la ricerca. La lista dei siti internet che si configurano come grandi biblioteche volontarie, spesso più aggiornate e più internazionali di quelle istituzionali, è lunga e produce intrecci inediti tra autore, lettore ed editore. Pubblicità, condivisione, internazionalizzazione sembrano essere le parole d’ordine di un sistema in transizione, dove un'evoluzione ormai tangibile è segnata dall'intreccio tra politiche di sostegno alla ricerca, che valorizzano temi globali e approcci digitali, e la continua innovazione tecnologica. A tutto questo, si affiancano le edizioni open access di riviste e volumi monografici e collettivi, presenti ormai nei siti delle case editrici ma anche, spesso, in molti altri spazi di condivisione della ricerca. Il numero e la disponibilità di queste edizioni, d’altro canto, sono destinati a crescere esponenzialmente nei prossimi anni: molte linee di finanziamento nazionali e internazionali, infatti, ormai obbligano a pubblicare in rete gratuitamente i risultati e prevedono uno specifico capitolo di spesa proprio a questo scopo. Una volta completato il sondaggio on-line e stilato l’elenco di ciò che resta da consultare, in biblioteca bisogna andarci davvero per leggere ciò che va letto e che, comunque, ancora non è reperibile con altri mezzi. Anche questa operazione, pur così tradizionale nella sua essenza, si è trasformata. Non solo il blocco degli appunti e le schede bibliografiche si sono 4 Il database è consultabile qui: http://behowar.sns.it/index.php?id=6. 2 www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia trasferiti su documenti informatici, fogli di calcolo, appunti e applicazioni varie (e determinate dalla familiarità dello studioso con le tecnologie) ma, spesso, molto di questo materiale, acquisito dalla biblioteca in e-book o digitalizzato, viene scaricato e salvato sul computer personale, per poi essere riletto e annotato in un secondo momento. La costruzione di biblioteche digitali individuali, con testi reperiti in mille modi, incluse le fotografie e le scansioni, è il frutto di questo lavoro, che porta nel mestiere dello storico (come in quello di qualunque altro studioso) una mobilità prima difficilmente immaginabile. Anche questa è una novità. L'accumulo di dati sui device personali non solo consente di scrivere ovunque, ma rende anche, in qualche modo, più solitario il processo di elaborazione e riflessione. Da una parte, la condivisione continua di materiale sulle piattaforme virtuali permette di entrare facilmente in contatto con chiunque studi una materia, al di là delle distanze geografiche; dall'altra, però, la riduzione delle ore trascorse condividendo spazi pubblici di riflessione intellettuale con altre persone diminuisce le opportunità di incontri reali. Meno chiacchiere in corridoio, più discussioni via chat. Sono nuovi modi di fare comunità, anche scientifica, che non hanno connotazioni positive o negative, ma che, appunto, rimarcano le tante trasformazioni in atto. La chiave nelle parole Il reperimento di saggi nei grandi portali internazionali si appoggia su sistemi di ricerca per parole chiave, scelte dallo studioso/autore/caricatore in piena autonomia. La selezione delle parole chiave per delimitare le aree di interesse scientifico, i temi di un articolo ma anche gli argomenti di un progetto di ricerca che si candida a un finanziamento sta diventando un aspetto essenziale del mestiere. Dalla precisione, dalla congruenza e dall'intelligenza di questa operazione dipendono concretamente le opportunità di attrarre tanto gli indispensabili fondi quanto l'attenzione di altri specialisti. La correttezza dell'abbinamento tra le parole chiave e il testo presentato incide, ovviamente, su queste possibilità di successo. La comunità scientifica valuta e tiene conto dell'onestà dei suoi membri e per questo la capacità di affinare i propri strumenti di auto-promozione in chiave virtuale si fa sempre più centrale. Se, per le recensioni e le presentazioni dei libri, ancora si contattano direttamente e singolarmente persone potenzialmente interessate all’indagine, la sorte dei saggi è sempre più affidata alle fortune della rete. La circolazione degli articoli avviene principalmente in questo modo è, non è un caso, che i vecchi estratti cartacei comincino a sembrare reperti di un'epoca remota. D'altronde, i documenti in formato pdf sono uno strumento essenziale anche al di là della (auto) pubblicazione in rete: le procedure concorsuali, di valutazione nonché qualunque altra attività accademica quotidiana (riempimento di schede prima U-Gov, ora IRIS, domani chissà) prevedono, appunto, la piena disponibilità di questi documenti. Pur tralasciando i problemi di copyright, emersi prepotentemente in Italia negli ultimi anni, anche in questo caso si registra un cambiamento in corso, che coinvolge tutti i soggetti che compongono la comunità scientifica, inclusi gli editori e che sta imponendo una ridefinizione delle regole comuni. Dunque, accoppiare le parole chiave è un’arte che non può essere trascurata. Se i soggettari dei cataloghi biblioteconomici sono il prodotto di sistemi scientifici di classificazione, l'attribuzione autonoma che ogni studioso fa delle proprie key-words si sviluppa secondo altre logiche. Nel primo caso, decide uno specialista terzo che, in base alla propria lettura e secondo criteri prestabiliti, seleziona la dizione più corretta; nel secondo, ogni studioso fa da 3 www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia sé e per sé, facendo riferimento a logiche e valutazioni strettamente personali. Nell’era della condivisione globale, la percezione che ciascun individuo ha del proprio lavoro diventa rilevante quanto l’analisi biblioteconomica effettuata da un tecnico. Da questo punto di vista, la narrazione di ciò che si è e si fa entra al centro dello scambio scientifico e della circolazione delle idee, con un impatto assai più potente di quello delle parole chiave scelte per un articolo su rivista cartacea. Le potenzialità del sistema non sfuggono e ciascuno è chiamato a partecipare e a fare la propria fortuna. Come recita l'inserzione in calce alle mail di academia.edu, «Boost your citations up of 70%!».5 Niente affatto un affare da poco, se si pensa al peso crescente dell'impact factor in tante discipline. La disponibilità di materiali organizzati per parole chiave permette allo studioso di individuare autori, fino a quel momento sconosciuti, che lavorano su temi vicini. Si tratta di un’opportunità eccezionale di confronto, dialogo e internazionalizzazione, che facilita e velocizza lo scambio di conoscenze e la circolazione delle idee al di là delle occasione classiche di socialità accademica: convegni, conferenze internazionali, libri spediti, reti di relazione individuale. L’accessibilità del lavoro è determinata dagli strumenti di reperimento del saggio (le parole chiave) e dalla sua leggibilità. La lingua in cui è redatto incide enormemente sulla visibilità di un testo in rete e, inevitabilmente, finisce per favorire ricerche compilate in inglese. La discussione sul destino delle altre lingue europee nelle pubblicazioni scientifiche di area umanistica sta arrivando a riconoscere anche in Italia, pur tra mille resistenze, la rilevanza e l’imprescindibilità delle pubblicazioni in inglese. L’affermazione dell’open access va nella stessa direzione. Risultati, problemi e quesiti superano le barriere linguistiche e disciplinari, puntano a essere discussi globalmente e, per questo, devono essere leggibili e comprensibili a livello internazionale. Se, da una parte, l’importanza delle pubblicazioni in inglese sembra quasi essere auto-evidente, allo stesso tempo, le domande sul destino della scrittura scientifica in altre lingue restano sospese e per ora senza soluzioni definitive. Non solo e non soltanto in nome della centrale relazione tra narrazione e ricerca in area umanistica ma anche, se non soprattutto, per i problemi pragmatici inerenti la gestione delle fonti: ha senso tradurre dal latino o dal volgare in inglese? Gli studiosi che lavorano su questi temi, non dovrebbero padroneggiare perfettamente le lingue delle fonti originali? I saggi di ricerca sono destinati soltanto al pubblico degli specialisti o devono parlare a una platea più ampia? Dunque, attraverso le grandi banche dati scientifiche, basate sulla pubblicazione degli articoli, sugli indici, sugli abstract e sulle parole chiave il lavoro di impostazione, diffusione e valorizzazione di una ricerca, senza dubbio, si fa più rapido e riesce a inserirsi in circuiti scientifici fino a qualche anno fa impossibili da raggiungere. Va notato come, però, tutto questo comporti qualche rischio: da una parte, come già detto, le incognite determinate da un’indicizzazione per parole chiave sbagliate o approssimative; dall’altra, il problema insolvibile del destino sfortunato di ottimi lavori pubblicati in lingue poco accessibili e che, dunque, faticano a circolare. Ancora una volta si tratta di un fenomeno in corso, ingigantito e velocizzato dalle trasformazioni generali del nostro tempo, con cui siamo chiamati a confrontarci, consapevoli delle potenzialità ma anche dei limiti: la comodità di lavorare a qualunque ora, da qualunque posto può portare, in certi casi, a un involontario pressappochismo. 5 Y. Niyazov et alii, Open Access meets Discoverability: Citations to Articles posted on Academia.edu (https://www.academia.edu/12297791/Open_Access_Meets_Discoverability_Citations_to_Articles_Posted_to_ Academia.edu) 4 www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia I database I grandi progetti di digitalizzazione di materiale di archivio degli ultimi anni hanno reso possibile sia la consultazione di alcune fonti direttamente in rete sia l’accesso a queste attraverso i tanti repertori tematici organizzati in database. Questo secondo aspetto merita particolare attenzione. La rilevanza di operazioni di questo tipo - che si vanno incrementando anche in risposta alle regole imposte dalle linee di finanziamento nazionali e internazionali e che premiano regolarmente proposte con un forte accento sulle digitalizzazioni - va oltre l’innovazione che la disponibilità on line di materiale d’archivio determina nel metodo stesso della ricerca. Dietro a ogni banca dati di documenti pubblicata su internet vi è un’enorme mole di lavoro, la cui impostazione influisce sul risultato finale. Arrivare a offrire a un utente sconosciuto materiale digitalizzato e descritto con sufficiente correttezza e chiarezza non è un’operazione neutra. Le operazioni di selezione, descrizione e analisi delle fonti destinate a confluire nei database richiedono una progettualità a monte, che, soprattutto nel caso sempre più frequente di lavori condotti in gruppo, si rivela determinante per il conseguimento del risultato finale. I dati faticosamente ricavati in archivio escono, ora, dalla cartella del singolo studioso e del gruppo di ricerca ristretto con cui è abituato a discutere le sue idee per essere pubblicati in rete, indicizzati e a disposizione di tutti. Il passaggio da ricerche condotte individualmente a indagini affidate a équipe ampie fa sì che, spesso, il lavoro di ricerca venga svolto in sedi diverse in contemporanea, da persone impegnate su uno stesso tema generale ma non in diretta e continua relazione tra loro. Questo significa che i dati che ciascun ricercatore elabora in autonomia devono essere leggibili, comprensibili e comparabili con quelli ricavati dai suoi colleghi e che, quindi, in qualche modo, è necessario che tutti i membri del gruppo li inseriscano con regolarità su una piattaforma comune: dal foglio di calcolo artigianale condiviso attraverso i sistemi cloud fino ai database appositamente sviluppati. L’impostazione di questi strumenti ne determina la funzionalità - e, dunque, il successo – ma comporta, anche, una evidente riduzione dell’indipendenza e della flessibilità concesse a ciascun ricercatore. L’individuazione dei campi da riempire obbligatoriamente, che precede l'avvio del lavoro, determina cosa avrà maggior peso nell'indagine prima ancora che questa abbia realmente avuto inizio. Il grado di leggibilità di un database dipende dalla sua capacità di fornire dati pertinenti e legati tra loro in risposta a un interrogativo formulato attraverso la compilazione di moduli progettati per questo e che, in base alle richieste presentate dall'utente, vanno a pescare informazioni congruenti nell'insieme sterminato delle informazioni presenti nel sistema. Per questo motivo, lasciare tutti i campi (o la maggior parte di questi) a inserimento libero nelle schede di rilevazione su cui lavorano i ricercatori non è un’opzione. Poiché, infatti, un database si prefigge di aggregare dati intorno a degli elementi che li accomunano, va da sé che sia indispensabile predeterminare quali siano questi vincoli, stabilire un ordine di priorità tra loro e costringere chiunque partecipi al progetto a rispettare queste regole comuni, al di là dei problemi concreti che le carte gli metteranno davanti. Qualche esempio aiuta a chiarire il punto. Si vuole che la data sia sempre segnalata e, quindi, si decide che la scheda di rilevazione non potrà essere chiusa in assenza di questa informazione. La data, però, non sempre è precisata con chiarezza nelle fonti e, dunque, viene concessa l’opzione di indicare un lasso di tempo non rigido (da/a). A seconda dell’ampiezza della scala cronologica prescelta (anni, secoli?), il database sarà più o meno facilmente consultabile: quante schede rientrano in un insieme che racchiude trenta, cinquanta o duecento anni e quale lettura dare del nesso, in apparenza debole, che li connette? Oppure, si punta tutto 5 www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia sui luoghi, decidendo di aggirare il problema delle incongruenze con l’identificazione di macroregioni di riferimento ma lasciando liberi altri campi, magari quello con la denominazione toponomastica presente nella fonte: e che si fa in questi casi ogni qual volta si ponga il problema di città che hanno cambiato nome o che vengono definite con toponimi diversi di lingua in lingua? L’uniformità dei dati si fa obiettivo ancora più difficile da raggiungere quando si lavora su contesti culturali diversi. Come riportare l'informazione per datazioni calcolate sull'Egira o sul computo ebraico? Ragusa è Ragusa o è Dubrovnik? Leon da Modena è Leone ebreo o è Yehuda? E come vanno censiti i convertiti dai mille nomi? Ciascun compilatore conosce la risposta giusta alle domande che le fonti sollevano. Il suo scopo, però, è presentare puntualmente la complessità della questione a chi non la conosce e offrire all'utente ignaro una via semplice per risalire all’evento schedato sia che in una fonte questo sia stato riportato col computo cristiano sia che, invece, in un’altra fonte, il racconto ruotasse intorno a quelle islamico: a richiesta, il database deve poter tirare fuori entrambe le schede e questo significa che i due schedatori (quello che ha lavorato a Istanbul e quello che ha lavorato a Venezia) devono aver inserito la medesima data nel campo data. Questa piccola presentazione di difficoltà concrete evidenzia quanto la predisposizione di strumenti digitali per la gestione di informazioni per la ricerca storica sia operazione centrale e straordinariamente delicata. La costruzione di database multifunzionale e digitale, destinati a gestire e elaborare migliaia di informazioni diverse, richiede un duplice impegno: da una parte, un processo di astrazione, che permetta allo storico di prevedere la tipologia principale di dati che dovranno essere schedati e di proporre a priori soluzioni per una serie di (possibili) dubbi; dall'alta, queste considerazioni dovranno essere esposte chiaramente per permettere tanto agli informatici di costruire una piattaforma utilizzabile dagli storici/schedatori, quanto a questi di maneggiarla senza eccessive difficoltà e agli utenti finali di interrogarla facilmente. Diventa necessario capire in anticipo quali saranno le domande centrali del lavoro e a quali problemi si andrà incontro e per questo motivo si finisce per imporre, quanto più possibile, griglie precompilate, con risposte normalizzate; soltanto in un secondo tempo, quando l'indagine avrà finalmente preso il via, il ricercatore sarà chiamato a scegliere una (o più) soluzioni atte a descrivere fedelmente la fonte che sta leggendo, senza dimenticare, né in caso di schede descrittive e soprattutto in caso di immagini digitali, i dati descrittivi indispensabili a contestualizzare il documento all’interno del fondo archivistico di provenienza, un elemento questo che molto spesso ne arricchisce notevolmente la comprensione. La creazione di vocabolari tematici intorno a cui far ruotare le schede da compilare è la soluzione a buona parte di questi dubbi. Le parole chiave (così importanti nella comunicazione dei risultati) si rivelano ancora più importanti nella vera e propria fase di ricerca, soprattutto per lavori affidati a gruppi sempre più numerosi e internazionali. I thesauri, che permettono di indirizzare la rilevazione e di ritrovare e confrontare schede compilate da persone diverse, devono essere stabiliti per tempo e non possono accettare modifiche, se non in percentuale minima e per ragioni ampiamente condivise. Si tratta di una trasformazione importante del modo di fare storia e che incide in profondità sul mestiere e sulle sue metodologie su cui sarebbe essenziali fermarsi a ragionare. Ovviamente pronti a condividere. 6 www.giornaledistoria.net – Serena Di Nepi, iHistory. Tante domande (e nessuna risposta) sul nostro modo di fare storia Giornaledistoria.net è una rivista elettronica, registrazione n° ISSN 2036-4938. Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli. Unica condizione: mettere in evidenza che il testo riprodotto è tratto da www.giornaledistoria.net. Condizioni per riprodurre i materiali --> Tutti i materiali, i dati e le informazioni pubblicati all'interno di questo sito web sono "no copyright", nel senso che possono essere riprodotti, modificati, distribuiti, trasmessi, ripubblicati o in altro modo utilizzati, in tutto o in parte, senza il preventivo consenso di Giornaledistoria.net, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per finalità di uso personale, studio, ricerca o comunque non commerciali e che sia citata la fonte attraverso la seguente dicitura, impressa in caratteri ben visibili: "www.giornaledistoria.net". Ove i materiali, dati o informazioni siano utilizzati in forma digitale, la citazione della fonte dovrà essere effettuata in modo da consentire un collegamento ipertestuale (link) alla home page www.giornaledistoria.net o alla pagina dalla quale i materiali, dati o informazioni sono tratti. 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