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Man on a Mission
di Gian Paolo Galloni
C’era una volta...
L
a storia della mia passione per le due ruote potrebbe
essere una come tante, ma quel che davvero più conta
è che sia comunque “una delle tante”. Anch’io ad un
certo punto l’ho confusa, aggiungendo il motore alle due
ruote e consumando pneumatici come chewing-gum, ma era
successo perché a suo tempo non c’erano tutte le possibilità
di oggi. Soprattutto non c’era la mountain bike. Mountain
bike che intesa come “attività” e non come mezzo avevo a
suo tempo in qualche modo interpretato anch’io. Facevo
solo la seconda media inferiore quando attraversavo tutta la
città (Milano, allora) perché non mi bastava più il vicino
Monte Stella, diverso da oggi, per raggiungere niente meno
che il Parco Lambro, con i suoi sentieri nel verde sui quali
volavo con la mia “Graziella” (avete capito bene!) arancione
con le gomme da strada ed i cerchi di diametro ben lontano
da quello di una 29er. Avrei pagato oro a quei tempi per una
26 pollici, così la chiamavano, a tre rapporti che soltanto il
mio migliore amico, tragicamente scomparso nel frattempo,
possedeva tra l’ammirazione di tutti. Non vi nego di aver
vissuto un’infanzia dignitosa, ma di essere sostanzialmente
di estrazione “povera”. La bella bici era quindi un misto tra
un sogno ed un miraggio, mentre il motorino dell’adolescenza
era stato una pura e semplice esigenza di trasporto (una volta
trasferitomi nella campagna veneta) trasformatasi in passione,
visto che una ce ne vuole nella vita, per trovarci un po’ più di
gusto e cercare di non farla essere quasi solo sopravvivenza.
La bici da corsa? L’ho scoperta troppo tardi... ma è così per
molti, anzi... la maggior parte della gente non l’ha nemmeno
ancora capita, ma è comprensibile. Vista dall’abitacolo di un
automobile correre di lato (non sempre) alla strada, sfiorata
da auto e camion sembra molto difficile che
la cosa
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possa essere anche un minimo divertente. Eppure...
Ma se non fosse stato per la mountain bike la bici non
l’avrei nemmeno più presa lontanamente in considerazione,
catturato più dal fascino del Sol Levante (Honda, Yamaha,
ecc.) piuttosto che da quello delle Stelle & Strisce.
La prima uscita in mtb l’ho fatta però con un prodotto
locale, una Pinarello dai colori improbabili e persino dotata
di parafanghi e portapacchi. C’era un fango terribile lungo
il Piave che lambiva il Montello e pozzangheroni nei quali
sono più volte sprofondato fino alla caviglia, ma è stato un
colpo di fulmine. Avevo preso la cosa sottogamba, accettando
l’invito degli amici dopo averlo declinato infinite volte, ed
al tempo stesso non ero certo tipo da rotolamenti per terra.
A quei tempi in giacca e cravatta andavo anche a letto, ma
forse è stato questo stridente contrasto ad accentuare la forza
di una scoperta che mi ha cambiato la vita.
Me l’ha cambiata perché ho voluto a tutti i costi che tale
passione si trasformasse in mestiere. Avrei preferito essere
un cantante, una rockstar o qualcos’altro di più artistico e
probabilmente anche più remunerativo, ma una passione è
comunque un dono immenso e non c’era certo di che avere
rimpianti. Tutt’altro! Fino ad allora potevo avere interessi,
anche importanti, ma una passione coinvolge in un modo
completamente diverso, al punto da cambiare anche la vita
degli altri, se fosse vero che abbia cambiato pure la vostra,
almeno in minima parte, nel corso degli anni.
Non avevo bisogno a suo tempo, una volta entrato nel
settore del ciclo per mia personale soddisfazione, di avviare
la precedente attività, portando in Italia marchi scomparsi e
prezzi più allineati, così come non avevo bisogno poi di
portarci anche un “criterio informativo” diverso, anzi... l’ho
pagato carissimo in termini economici. La “missione” però
di tutto questo lavoro è chiara e limpida come l’acqua dei
torrenti nei quali ci rinfreschiamo durante i giri in montagna
più belli, nonché molteplice. Da un lato si vuole fornire una
chiave di interpretazione della propria passione a chiunque
possa faticare a trovarla, affinché nessuno si senta racchiuso
in questo o in quello stereotipo, a seconda del gruppo di amici
che frequenta... siano essi “prezzolati” del cross-country e delle
granfondo, o “saltimbanchi” del freeride, o kamikaze del DH
più da fuori di testa. C’è spazio per far crescere la propria
voglia più basica, quella di aria aperta, di endorfine da sano
sforzo ed adrenalina da discese spettacolari, come si vuole e
di momento in momento, senza troppe etichette o confini.
La missione è anche nell’aiutare le aziende a trasmettere il
proprio messaggio, troppo spesso quasi “cifrato” da troppi
acronimi o slogan che definire abusati è un eufemismo.
La missione è pure permettervi di districarvi nel clima di
delirio informativo di oggi, cogliendo la sostanza delle cose
senza perdere di mira il quadro generale. Facile a dirsi, ma
più difficile a farsi. Da parte nostra potremmo stampare più
di una rivista al mese solo con le newsletter ricevute, mentre
da parte vostra c’è la necessità di sapere cosa c’è sul mercato.
Ma la missione più grande, quella che ci impegna più di
tutte, che di notte ci sveglia con un pensiero da tradurre in
realtà il giorno dopo, che ci fa discutere e ridiscutere, ed
anche e soprattutto rimettere sempre tutto in discussione, è
quella di permettere ad un bambino come quello nella foto
di tenersi il suo primo vero ed unico e grande “giocattolo non
giocattolo” per tutta la vita. Non importa se con la sella già
sul tubo orizzontale non arriva ancora ai pedali... perché da
quella sella non vorrebbe mai, mai e poi mai scendere! ✪