[ALTA CUCINA] DI EMILIA PATRUNO - PHOTO VISION UN DIVO AI FORNELLI Seguiti, copiati, a volte idolatrati. Sono i grandi cuochi. C ode per intervistarli. Applausi scatenati e standing ovation per Gualtiero Marchesi e Pierre Troisgros (monumento della cucina mondiale) che si stringono la mano sul palco di Palazzo Mezzanotte a Milano; dieci minuti di applausi a scena aperta. La più importante manifestazione di cucina del nostro Paese, Identità golose, ha confermato l’interesse a proposito di cibo e chef. Il Congresso italiano di cucina d’autore (terza edizione) ha ribadito la crescita: 132 MARZO 2007 CLUB3 i relatori, dai 18 del 2005, sono passati a 56. Dice Paolo Marchi, giornalista del Giornale, ideatore e anima di Identità golose: «Quello che nessuno vuole è trasformare il Congresso in una passerella per cuochi carini e telegenici. L’evento ha un suo programma, delle linee guida perché chi lo segue dalla platea possa arricchirsi, tornare a casa con due nuove idee e, magari, pure qualche dubbio... Sono per la lievitazione naturale delle cose, i cuochi non devono diventare burattini a comando, madonne da esporre solo perché il cibo è un argomento che tira». Alla prima edizione, Identità golose fu uno choc e anche una sferzata di energia culturale In questa foto: l’assedio dei fotografi ai cuochi durante l’ultima edizione di Identità golose. In basso: a sinistra, Nadia Santini con il figlio Giovanni; a destra, Corrado Assenza con il figlio Francesco Ma il loro segreto sta nelle parole famiglia e tradizione in chi non si occupava di cibo. Ma fu solo alla manifestazione milanese che noi neofiti vedemmo per la prima volta Ferran Adrià, lo chef del Bulli a Roses, in Catalogna, unico cuoco incluso da Time nei cento più influenti uomini al mondo. Se la Nouvelle Cuisine svecchiò la cucina francese, con lui siamo nell’iperspazio della sperimentazione. Non ci sono confini, a priori. Ferran ha estremizzato il ricorso alle tecniche in cucina. E qualsiasi cosa risulti commestibile ha diritto di cittadinanza nella dispensa di Adrià. Chi non accetta il catalano per l’uso del sifone o dell’idrogeno, dovrebbe bocciare Schumacher perché la sua Fer씮 CLUB3 133 MARZO 2007 [ALTA CUCINA] A sinistra: Francesco Assenza durante la preparazione di un dolce. Sotto: Gualtiero Marchesi con Pierre Troisgros. Nel riquadro: i due grandi cuochi mimano la famosa testata di Zidane a Materazzi durante i Mondiali in Germania QUANDO MARCHESI ANDÒ IN FRANCIA 씰 I francesi Pierre e Michel Troisgros, durante la manifestazione Identità golose, hanno raccontato un aneddoto che riguarda uno dei nostri migliori e celebri chef, Gualtiero Marchesi: «Quando era già da tempo un grande cuoco, a 38 anni, Gualtiero decise di venire a fare uno stage proprio da noi. I suoi genitori avevano un ottimo albergo, ma lui voleva diventare, invece, un ristoratore. Così venne a Roanne e ci restò per 7 mesi. Poi, a un certo punto, improvvisamente, ci disse: «Ho capito tutto, me ne vado». E noi gli chiedemmo, stupiti: «Che cosa hai capito?». «Vedrai», disse lui. Aveva ragione. Marchesi è stato il primo cuoco d’Italia cui siano state date le famose tre stelle e se pensiamo che l’Italia è una piazza più difficile delle altre, perché in cucina è conservatrice, quel riconoscimento vale davvero molto». 134 MARZO 2007 CLUB3 씮 rari non ha le portiere e il bagagliaio come una Duna. Identità golose è stata un’occasione per coinvolgere chef italiani e stranieri a confrontarsi e discutere, alla scoperta di quanto di nuovo la creatività di tanti Paesi è in grado di offrire ora. L’Italia a tavola è una protagonista che non ha nulla da invidiare agli altri Paesi leader. La seconda giornata della manifestazione è stata dedicata alle grandi famiglie. Gli Alajmo, per esempio. Massimiliano Alajmo è soprannominato “Mozart dei fornelli” perché i suoi genitori (padre padovano e madre vicentina) a vent’anni lo lasciarono da solo alla guida di Le Calandre, ristorante che vantava già una stella Michelin. Con lui, Le Calandre è passato a due e poi a tre stelle. Il suo tocco personale sta nel costruire un piatto in maniera classica ma con dettagli inediti: il risotto riposa sopra un letto di polvere di caffè e capperi. A Identità Golose ha riproposto gnocchi di rape rosse con salsa di roquefort guarniti di zucchine saltate all’olio. Gli Assenza sono un’altra famiglia importante se si parla, in particolare, di pasticceria. Corrado Assenza, appena laureato in Agraria all’Università di Bologna, ebbe la possibilità di lavorare per un gruppo di studio coordinato e diretto da Giorgio Celli. Doveva indagare sulla capacità dell’ape di essere un insetto testimone del livello di inquinamento ambientale. Se oggi i mieli del Caffè Sicilia racchiudono assenze e aromi della Sicilia, come timo, capperi, lavanda, finocchietto e peperoncino candito, è anche grazie agli studi di allora. La svolta nel 1985, quando con suo fratello Carlo e con Nives Mazza, oggi sua moglie, decide di rilevare dalla zia Nella la conduzione del Caffè Sicilia. Col figlio Francesco, 16 anni, già coinvolto nel bellissimo gioco-lavoro del pasticcere, ha presentato una Sicilia riassunta in un raviolo mantovano in stile siciliano e nelle zisole di terra (riso mantecato alle mandorle con vinacce svinate di Nero d’Avola e miele aromatizzato ai semi di finocchietto selvatico), che riceve la benedizione di Nadia Santini perché viene riletto alla siciliana con salsa di lamponi, pasta di miele, polvere di peperoncino, pistacchi. Nadia Santini è l’indiscussa signora dei fornelli italiani, incoronata dai francesi come migliore cuoca del pianeta. Veneta, ha conosciuto Antonio Santini all’università a Milano, lui figlio di osti legati alla loro terra e alle acque del Mincio. Come i suoceri, Nadia trae la sua forza, oltre che da una profonda religiosità, dalle tradizioni della terra d’adozione. «La piacevolezza dell’anima ha sede nel gusto. La vera felicità si vive a tavola. La tradizione è una moda che si evolve solo se diventa stile. La cucina è il miglior modo per incontrare il mondo», ha detto, emozionata. Dalla capostipite Bruna ad Antonio e Nadia, e ora ad Alberto e Giovanni, trasformata l’osteria di famiglia in un ristorante di lusso, la carta rispecchia, sempre e in pieno, il territorio, declinato secondo le stagioni. La difficoltà del lavoro di questa cuoca sta nel rifiuto di ricorrere a effetti speciali e nel non assecondare le mode del momento. L’epilogo è tutto della famiglia Troisgros, Pierre, il padre e Michel, e di un piatto premiato dalla giuria specializzata come il “più rappresentativo del dopoguerra”: la ricetta originale è del 1960, libera dai condizionamenti del passato, spedita in direzione della leggerezza. Il pregiato salmone dell’Adour, tagliato a scaloppa, cotto brevemente, con l’interno della polpa ancora translucido. Fu Gaston Lenõtre a consigliare l’uso del teflon, allora sospettato di tossicità, per evitare il gusto di frittura. E l’acetosella, piantata dalla nonna friulana negli orti del ristorante con quel tocco acidulo caratteristico del gusto Troisgros. 47 anni dopo, il figlio Michel ha proposto la sua evoluzione: un cilindro di salmone avvolto nell’acetosella, cotto a vapore, servito con latte cagliato, più leggero, da mangiare con le dita. Con i Troisgros, padre e figlio, si complimenta anche il grande Gualtiero Marchesi. 왎