ARTE E PROFEZIA. L`universo artistico di N. De Maria

annuncio pubblicitario
SAGGI E RICERCHE Nuova Umanità
XXXVII (2015/1) 217, pp. 53-64
ARTE E PROFEZIA.
L’universo artistico di N. De Maria
in relazione ad alcune metafore spirituali di C. Lubich
Marta Michelacci*
La maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si
compiono in uno spazio che mai parola ha varcato, e
più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose
esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce,
perdura.
Rainer Maria Rilke1
Il tempo e l’indugio
La citazione di Rainer Maria Rilke posta in esergo ci consente di entrare
direttamente nel discorso sull’arte e sul di più che essa può offrire alla nostra
vita. Già Hans Georg Gadamer2, attraverso le categorie del gioco, del simbolo e della festa, aveva messo in evidenza, in prospettiva fenomenologica,
il legame profondo tra l’uomo, la sua ricerca di senso e di pienezza, e l’arte,
in un incessante farsi che ne detta la perenne attualità, nel senso aristotelico
del termine.
L’opera d’arte è quindi dilatazione dell’essere ed è questo che la distingue
nettamente da tutte le altre realizzazioni umane, sia nell’ambito artigianale
che in quello tecnico. Come il gioco, l’arte è libera dalla finalità dell’utile,
è profondamente radicata nella natura dell’uomo ed esige un con-giocare:
richiede una risposta attiva. L’esperienza dell’arte è capace di farci sperimen-
* Artista e storica dell’arte.
54
Marta Michelacci
tare una nuova dimensione del tempo: «Il tempo vuoto, percepito a volte
come noia oppure come qualcosa da riempire che è consapevolezza del non
aver mai tempo, l’aver sempre qualche cosa da fare»3,� a contatto con l’opera
d’arte si trasforma. L’autentica esperienza dell’arte ci offre un modo più luminoso e leggero di percepire la vita.
Nel salutare un gruppo di giovani artisti riuniti in convegno a Castel Gandolfo nel 2004 Chiara Lubich diceva:
Per me l’Arte è un problema […] adesso vi dico perché […]. Mi rendo
conto che c’è in queste opere […] qualche cosa che supera la possibilità di una persona umana, e sono opere d’arte che durano sempre per
questo “di più”, ecco, e mi domando: «Da dove viene questo di più?».
Secondo me non può mancare qui un’ispirazione di Dio, un intervento
di Dio sulla creatura stessa che fa qualche cosa che va al di là di sé e che
dura in eterno perché non si spegne mai finché c’è l’opera d’arte4.
Le parole della Lubich aprono un orizzonte inesplorato ma contemporaneamente ci invitano a prendere consapevolezza che, nei confronti dell’arte,
è necessario uno sguardo senza pregiudizi e la disponibilità a lasciarsi cambiare la vita. Un concetto ripetuto più volte da Gadamer è che l’eccedenza,
che sopraggiunge come un di più, è legata all’idea del genio creativo5 che crea
qualcosa di irripetibile ma che richiede la congenialità del fruitore.
Quindi, accanto all’aspetto intrinseco dell’arte e che riguarda il suo farsi,
si colloca l’aspetto interpretativo che è il compito specifico del fruitore; è un
trasalimento6 che porta a un radicale cambiamento di vita come frutto diretto dell’esperienza artistica. La natura simbolica dell’arte è colta a seconda
delle diverse pertinenze del fruitore, e ne consegue pertanto l’inesauribile7
possibilità di lettura. D’altra parte l’uomo, spesso, vive in una condizione
frammentaria, di essere dimezzato, nell’attesa desiderante di qualcosa che
possa risanare la sua condizione, come dice Aristofane nel noto discorso del
Simposio di Platone8.
La simbolicità dell’arte consiste proprio in questa alternanza di manifestazione/nascondimento che è un ineliminabile gioco finalizzato all’incontro,
alla ricongiunzione di esseri spezzati e complementari.
Heidegger a proposito dell’arte usa un’espressione forte, essa provoca un
«mutamento dell’essere»9, intendendo un essere colpiti fino alle radici ogni
Arte e profezia
55
volta che si compie un’esperienza artistica. L’arte diventa quindi una festa,
un appropriarsi del tempo che viene sospeso e fermato nell’indugio.
L’esperienza dell’arte ci insegna quindi a dimorare nell’indugio e questa è
la festa: entrare in una dimensione paradisiaca, eterna.
Entrare nel mondo di Nicola De Maria (Foglianise, 1954, artista italiano
che vive e lavora a Torino), come ci proponiamo brevemente in queste pagine, ci offre la possibilità di fare un’esperienza estetica di questo tipo. Alcune
sue dichiarazioni, come la seguente: «Dove c’è il male non c’è l’arte, perché
l’arte è stata donata agli uomini per mutare la crudeltà del mondo in un’opera sublime, per fare più dolce la vita agli uomini»10,� ci spingono ad entrare
in profondità nel suo lavoro.
Al di là dell’apparenza
Il linguaggio di Nicola De Maria è lirico11 e spirituale, sempre in bilico fra
l’astrazione e le immagini che, pur riconoscibili, appaiono quasi trasfigurate,
che si tratti di fiori, stelle, case, valigie...
Egli vive l’incanto di fronte alla natura ma sente anche il mistero incombente, ne avverte la dimensione cosmica. Si può parlare di transustanzia,
di trasformazione, di sottili percezioni sensoriali distillate in un complesso
gioco che richiede un vuoto completo da parte del fruitore. Rudi Fuchs, acutamente, osservò il modo di lavorare di De Maria a Kassel nel 1982. Molti,
tra gli artisti presenti all’esposizione, erano agitati, preoccupati del proprio
spazio di lavoro; De Maria chiese di lavorare di notte e, nel silenzio, organizzò tutto metodicamente, le campiture e il grado di saturazione vennero man
mano accrescendosi fino a ottenere il risultato finale (Viaggio nel regno dei
fiori dentro il pittore, Museum Fridericianum Kassel). Egli stesso spiegherà,
in un altro momento, il suo metodo di lavoro:
Così diventa interminabile il lavoro dell’artista che continuamente deve
attingere dentro il proprio deposito per portare ad affioramento le tracce
di un potenziale inestinguibile. Egli avanza sulla corda del funambolo,
con l’accortezza dell’acrobata, col rischio di precipitare egli stesso dentro
la materia del proprio immaginario12.
56
Marta Michelacci
I suoi dipinti rifuggono la superficialità dello sguardo e chiedono di non
fermarsi all’apparenza13; le forme stilizzate e i colori vividi sono infatti il frutto di una ricerca artistica appassionata e senza compromessi. L’Artista vede
nel proprio lavoro non tanto una professione14 ma, piuttosto, la risposta a
un’altissima vocazione, quella di risarcire il mondo della bellezza di Dio15,
quella bellezza che il mondo spesso smarrisce: «A volte capita di sentirsi
addirittura oggetto di un dono, quello di un dipinto che arriva attraverso di
me ma il cui vero significato mi sfugge, tanto è sconvolgente il valore che esso
ha, la novità che appare ai miei occhi»16. De Maria riconosce nell’anima la
fonte della sua arte: «L’artista è un dono della Provvidenza, un missionario
destinato a pilotare la vita verso la magia del sublime»17.
Un esempio singolare, in questo senso, ci è offerto dalla Stanza di S. Francesco che l’Artista ha realizzato nella Fattoria di Celle di Santomato presso
Pistoia. I muri e il pavimento della stanza sono completamente dipinti di
blu mentre, su una parete, campeggia una piccola luna gialla; in un angolo è
collocata una valigia dipinta. Egli ha dichiarato di aver immaginato un luogo ideale dove, se il «Santo tornasse tra noi», potrebbe trovarsi in perfetta
sintonia con le cose che lo circondano. Questo non significa che nel suo
lavoro artistico manchi la contraddizione; l’accostamento quasi surreale di
oggetti e cose dipinte lascia l’osservatore stupefatto, sorpreso. Il suo mondo
è straordinariamente fuori dall’ordinario e l’apollineo e il dionisiaco sembrano convivere in un continuo alternarsi. Il titolo di alcune sue mostre come
Festa dell’atmosfera che brilla18, Astri fatati, La purezza: musica proibita19 ci
incantano perché inusitati; eppure c’è un aspetto intrinseco di “follia” che
traspare nel suo lavoro e che si rivela nell’improvviso scrivere sui muri, sulle
pareti delle gallerie dove espone, come a San Marino:
Con la neve i lupi assaltavano le porte per mangiare, poi scomparvero insieme a capre, asini e galline. Ma insieme alle volpi e alle lucciole l’aquila
c’è ancora. Abnegazione selvaggia, energia che combatte la materia: sono
poche le parole che valgono ed il nome non conta niente per i migliori
dipinti che hanno bisogno di tutti e tutti hanno bisogno di dipinti attraversati dall’ARIA20.
Apparentemente il racconto sembra innocuo, ma ad un’analisi più attenta pare quasi disegnare una metafora politica, l’Artista sguaina un coltello rosa, affilatissimo, ma apparentemente innocente: è qui che convivono
Arte e profezia
57
le contraddizioni che sono parte integrante della natura umana, ma che ne
fanno la grandezza, possiamo dire: la santità.
Non ci sorprende allora quello che Chiara Lubich ha evidenziato a proposito della santità dell’artista e dell’eternità:
Allora mi sembra, veramente, che quello che ho detto ancora nel passato,
che i più vicini ai santi sono gli artisti, anche inconsciamente […].
Di qua, secondo me, un dovere da parte degli artisti, la riconoscenza. La
riconoscenza a Dio di quello che sta facendo attraverso di voi, senza magari che voi lo sappiate, senza magari che voi lo conosciate Dio, senza che
magari voi crediate in Lui.
[…] Lasciar che siate voi gli strumenti suoi per parlare di eternità al
mondo, perché come sappiamo la vita non è tutta qua, c’è anche l’altra
vita, c’è l’eternità che noi non sappiamo com’è, ma sarà stupenda. Io so
che lì ci saranno danze, poesie, musiche ecc., di là.
Ma chi predica eternità? Certo il sacerdote sull’altare può dire i Nuovissimi: Paradiso, Inferno, ecc., e ci crede chi ci crede […]. Beh, voi dovreste
essere quelli che dicono al mondo: «Sì, dopo questa vita ce n’è un’altra
che non è breve come questa, che non termina, che è eterna»21.
Note biografiche
«Aut tace, aut loquere meliora silentio».
Una lapide in marmo grigio screziato accoglie con questo monito chi entra
nello studio di Nicola De Maria in piazza Vittorio Veneto a Torino. La frase,
attribuita a Salvator Rosa, grande artista napoletano del Seicento, può essere
la traccia per ripercorrere le tappe più importanti del suo percorso artistico.
Le sue radici affondano nei territori dell’antico Samnium, a Foglianise, nei
pressi di Benevento, luogo denso di tradizioni e di riti. Un’infanzia serena,
anche se l’Artista racconta di non aver avuto molti amici o compagni di gioco
a eccezione del fratello. Precoce la passione per il disegno. Fin da piccolo la
materia della sua fantasia si alimentava disegnando a biro sulla carta; la carta
della spesa, del panettiere, quella che veniva utilizzata, quando ancora non
si usavano le buste di nylon, per fare dei cornetti che contenevano i cibi più
58
Marta Michelacci
diversi22. Poi gli studi di medicina e la specializzazione in neurologia. Gli anni Settanta sono quelli nei quali emerge la passione per l’arte; il suo interesse
è inizialmente rivolto alla fotografia e a sperimentazioni musicali. È nel 1978
che incontrerà a Torino Achille Bonito Oliva che, nell’anno successivo, su
Flash Art scriverà un articolo sulla Transavanguardia, neologismo che alludeva ad una Trans-izione, forse un passaggio, un attraversamento necessario
verso l’iconicità e che presupponeva, al contempo, l’idea del viaggio, del nomadismo culturale che accompagnava una generazione di artisti che sentiva
il desiderio profondo di recuperare lo slancio creativo attraverso la manualità ma anche nella conquista di una spazialità che coinvolge lo spettatore.
Compie poi un viaggio in Australia, in India, poi in America dove espone
alla Galerie Maeght-Lelong di New York; sarà poi a Tokio e a Osaka. La
Biennale di Venezia gli dedicherà nel 1990 una sala personale nel padiglione
Italia. Nel 2002 per la metropolitana di Napoli realizza un mosaico: Universo
senza bombe, regno dei fiori, sette angeli rossi (in memoria di Francesco De
Maria). Nel 2002 al Castello di Rivoli (Torino) la mostra Transavanguardia e
nel 2004 si terrà quella al Macro di Roma. Più recenti (novembre/dicembre
2011) la mostra di Palazzo Reale a Milano dedicata ai cinque artisti protagonisti del movimento (Chia, Clemente, Paladino, De Maria, Cucchi) e quella
della Fondazione Pecci di Prato, quasi un’antologica dell’Artista (dicembre
2011). Queste solo alcune delle tappe fondamentali di una vita interamente
dedicata all’arte: «Gli anni se ne vanno… qui ci sono parole nuove. Ascolta:
ho giurato sull’arte bella: creo il futuro»23.
Fiori e stelle
La sua pittura si pone spesso in dialogo con lo spazio circostante e le
dimensioni del dipinto diventano quelle dell’ambiente che lo ospita. Avvolto da campiture di colore puro, lo spettatore entra all’interno dell’opera.
L’esperienza è totalizzante e, passo dopo passo, s’incontra un fiore, un tappeto giallo, una stella, un fazzoletto azzurro, l’arcobaleno catturato in una
ruota… È un viaggio nel colore puro, eppure nulla è chiassoso; l’armonia
di forme e colori fa sperimentare, e non solo vedere, un regno che non è di
questo mondo. L’opera più grande, così come quella così piccola da tenersi
Arte e profezia
59
in tasca o sul palmo della mano, può «incontrare e fare proprio il ritmo
ondulante degli uomini e della natura – dice De Maria – così un artista
partecipa alla creazione»24.
Le sue forme alludono a teste, teste d’angelo, di donna o di artista, dunque a una sedimentazione di ricordi, circostanze, che appartengono a un vissuto. Si tratta di frammenti di vita che, emblematicamente, diventano rivelazione di una condizione esistenziale che ci invita a prendere consapevolezza
del nostro presente; occorre fissare quell’istante, incastonarlo in un supporto
durevole, consistente.
Diversamente da altri artisti, come Kandinskij, che hanno voluto spiegare
la loro grammatica visiva attribuendo valori e suoni alle forme e ai colori,
Nicola De Maria non ci spiega nulla, anzi rifugge da qualsiasi traduzione
didascalica e ci lascia invece immersi in una sostanza lirica che si scopre di
volta in volta. In occasione di una sua recente esposizione, alla domanda sul
senso di un tracciato, in secondo piano rispetto alla stesura pittorica di campiture distinte, l’Artista ha risposto che si trattava di quella voce interiore che
parla, suggerisce il da farsi, propone vie d’uscita o alternative, e che ciascuno
ascolta o mette a tacere. Il segno diventa pertanto quasi ideogramma seppure mai criptico; è un codice che va ricercato di volta in volta, ma che parla
direttamente all’anima.
Il Regno dei fiori è un tema ricorrente della sua pittura. Si tratta di fiori
dalla forma particolare, spesso a tre punte, somiglianti a una stella. Nel loro
regno, colori e segni sono colti nell’atto di fecondarsi a vicenda per generare un universo nuovo25. Infiorescenze appuntite e stilizzate sono sospese su
lunghi steli. Non spuntano dalla terra, di sicuro non dalla nostra; sembrano
piuttosto nascere direttamente dal colore e poi crescere, tendere oltre, abbandonando infine il proprio stelo per volare sul mare o galleggiare nel cielo.
Ma in questa nuova creazione le forme sono volatili e pronte a rinnovarsi, a
rinascere sotto nuove spoglie, così possiamo vedere fiori che brillano in alto
nel cielo e stelle che, viceversa, irradiano i prati da cui sembrano fiorire. In
questo nuovo creato, fiori e stelle si richiamano a vicenda per la loro forma,
la loro natura, il loro essere uno in funzione dell’altro, uno per l’altro. È così
che questa nuova natura diventa, agli occhi dello spettatore, un paesaggio
interiore ripopolato di nuovi colori, nuove stelle, nuovi fiori; quei fiori che
De Maria pianta in cielo e in ciascuno di noi per ricrearci e farci rifiorire.
Mauro Mantovani26, ha tracciato un excursus molto interessante
sull’immagine del fiore, dai testi di filosofia antica, gli oracoli caldaici, al-
60
Marta Michelacci
le simbologie elaborate dal monaco medievale Gioacchino da Fiore, dove
non mancano anche i riferimenti a Baudelaire de I fiori del male o ai Fiori
blu di Queneau.
Egli nota come i fiori siano un tema ricorrente nelle culture orientali e
abbiano un ruolo nella creazione di un mondo ideale, per arrivare a una
specie di paradiso terrestre in cui la verità, la virtù e la bellezza si manifestino
nella vita di tutti i giorni. Gli oracoli caldaici, rivelazioni sapienziali di epoca
greco-romana datate intorno alla fine del II sec. d.C., contengono una serie
di pensieri straordinariamente ricchi dal punto di vista mistico. In alcuni
frammenti l’oracolo dice che il Dio supremo è una Monade triadica, ossia
“uno e trino”, concetto che giustifica l’impossibilità di comprendere Dio se
non attraverso un’unione sovrarazionale che richiede il vuoto di noi stessi attraverso il “fiore dell’intelletto”27. Questa facoltà, che per gli oracoli è legata
a una mentalità magica, per i mistici cristiani è frutto della grazia e consente
di unirsi a Dio. Il “fiore dell’intelletto” presuppone il totale “silenzio” perché, dicono gli oracoli, del silenzio “Dio si nutre”.
Una sorprendente analogia
Nella pittura di Nicola De Maria c’è un richiamo frequente al rapporto
fiore/stella con un rimando puntuale alla vita intima dell’Artista che, come
già detto in precedenza, concretizza in queste immagini situazioni di vita
vissuta, di esperienze intense, sensoriali ed emotive.
Perché i fiori diventano stelle? Il fiore e la stella appartengono allo stesso
universo, ma la vita del fiore è breve, terrena; diversa la vita di una stella la
cui luce arriva dopo migliaia di anni. Forse alle migliaia di stelle in cielo corrispondono altrettanti fiori sulla terra. Per l’Artista “il fiore” è una metafora
della condizione umana che aspira a vette irraggiungibili; così si esprime in
occasione dell’inaugurazione di una sua mostra:
Dipendesse da me toglierei dal mondo la malvagità, il dolore, e la miseria. Voglio cancellare il male che minaccia la vita dipingendo opere che
ignorano il mondo della violenza, voglio dipingere la virtù e il coraggio.
Perché pensiamo all’arte? Perché è un fuggitivo mistero che aiuta a vivere e ci permette con la bellezza della forma, con la consolazione che ci
Arte e profezia
61
offre, di sopportare tutto il resto. Perché essa è un momento essenziale
e magico della vita, a cui chiedo un sorso d’acqua pura, esprimendo un
desiderio28.
Il desiderio di dare spazio e luogo ai sentimenti che possono legare gli
uomini tra loro lo ha portato a sviluppare il tema parallelo del nido cosmico.
Ad esempio nell’installazione legata all’evento Luci d’artista a Torino, Nicola
De Maria è intervenuto sui lampioni di una piazza realizzando una sorta di
nido luminoso: «Io vedevo le cornucopie della piazza diventare fiori magici
del cielo, lasciati sulla terra per consolare e rallegrare le donne e gli uomini
che vivono in questa città». Dunque il nido luminoso diventa «Regno dei
fiori» ma anche fiore che è al contempo stella per la città. Davvero la «città
della metafisica, dei santi e della carità», come la definisce l’Artista, sembra
poter udire il «canto cosmico dell’immortalità amorosa di tutte le anime che
vivono nell’universo del nostro cuore»29.
In Chiara Lubich e in Nicola De Maria il fiore/stella è metafora della
condizione umana, del percorso talvolta travagliato dell’esistenza, nelle sue
fasi alterne, di buio e di luce, di ascolto o di totale perdita dell’orizzonte, di
morte o di vita.
Per Chiara Lubich, Maria è «Fiore dell’umanità» perché è la creatura che
ha raggiunto la perfezione piena, cioè il totale silenzio, per lasciare completamente spazio a Dio, come si evince dal passo che segue:
Eppure se il fiore non ci fosse stato non sarebbe maturato il frutto.
Come Maria è Figlia del suo Figlio, così il fiore è figlio del frutto, che è
figlio suo.
Ma tra il fiore e il frutto il tempo è tanto breve da essere quasi annullato,
essendo il frutto una conseguenza del fiore.
Mentre il fiore, dopo lungo tempo, nasce sull’albero generato dal seme
contenuto nel frutto.
Così Maria è il fiore fiorito sull’albero dell’umanità nato da Dio che creò
il primo seme in Adamo. È Figlia di Dio suo Figlio30.
Nella Favola fiorita sul sentiero Foco, scritta da Chiara Lubich per illustrare metaforicamente un’esperienza mistica comunitaria, l’Autrice ha usato l’immagine del fiore e della stella:
62
Marta Michelacci
Sul davanzale di una piccola baita montana v’erano tanti vasetti di fiori.
Rossi, bianchi, rosa, azzurri.
Di notte passò Qualcuno e gettò in un vasetto un piccolo seme.
Il giorno dopo, sulla morte della piantina che occupava il vaso, i viandanti videro un magnifico fiore mai visto, lucente: una piccola stella.
Nei vasetti accanto, a poco a poco morirono le umili pianticelle montane
e sulla loro morte fioriron tante stelle […].
Era notte, Qualcuno sorvolò quel luogo d’incanto. Vide il firmamento in
terra, ascoltò il lieve sussurro d’un’infinità di vasetti che accorrevano verso la piccola baita stellata e disse:
«Sicut in coelo et in terra»31.
Nell’intenzione dichiarata di Nicola De Maria, come sopra citato, l’obiettivo dell’arte è quello di dar spazio e corpo ad una dimensione esistenziale
che è un canto alla creazione e si traduce in grandi campiture colorate che
sono la versione contemporanea dei grandi cicli d’affresco che celebravano
le glorie e i fasti dei principi o, nella dimensione religiosa, le estasi o le visioni
dei santi. Il fiore/stella è, nel suo immaginario lirico, l’emblema del percorso
umano altalenante tra l’attaccamento alla terra e la necessità dell’infinito.
La vita di chi, per amore, dona la sua vita può essere paragonata a quella
di un fiore che muore in terra per diventare stella? Di qui l’analogia con le
intuizioni di Chiara Lubich.
L’artista ha la capacità di rendere visibile l’invisibile e utilizza, talvolta,
le stesse immagini dei mistici per attuare un cambiamento di vita e vedere il
Paradiso in terra.
Summary
The work of art is a kind of expansion of the being and it is this which
distinguishes it clearly from all other human achievements. The experience of
art is able to make us experience a new dimension of time. Nicola De Maria is
a contemporary artist who lives and works in Turin. The comparison between
the work of Nicola De Maria and some writings by Chiara Lubich is justified
just by some thematic choices of the Artist and the purpose of his artistic work.
Arte e profezia
63
For this, it was possible to identify some elements of convergence that have
focused on the theme of the flower/star. Chiara Lubich had identified in the
figure of the artist who “transcends himself”, “as close to the saints”. The
Lubich, repeatedly, used the image of the flower/star to explain some insights
concerning the spiritual life and similarly the Artist. In Chiara Lubich and
Nicola De Maria flower/star is a metaphor for the human condition, listening
or total loss of the horizon of death or of life.
1 13.
R.M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, trad. it. di L. Traverso, Adelphi, Milano 2012, p.
2 Cf. H.G. Gadamer, L’attualità del bello. L’arte come Gioco, Simbolo e Festa, trad. it. di
R. Dottori - L. Bottani, Marietti, Genova 1986.
3 Ibid., p. 45.
4 Saluto di Chiara Lubich ai giovani artisti, (trascrizione), Castel Gandolfo, 10 settembre
2004, su http://www.clarte.org/documenti/Scritti/Saluto%20Chiara%20giovani%20artisti%202004.html.
5 Cf. H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 22.
6 Cf. J. Dewey, Art as experience, Minton, Balch & Co., New York 1934, trad. it. C. Maltese, J. Dewey, Arte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze 1967.
7 Cf. L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Bompiani, Milano 1988, p. 238.
8 Cf. Platone, Simposio, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, p. 29.
9 M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Id., Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi,
La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 37.
10 G. Politi, La fede e la passione, in «Flash Art», dicembre 2002 / gennaio 2003, 237,
Milano, pp. 65-68.
11 Nella sua arte emergono forti componenti musicali e poetiche. Egli stesso si definisce
come: «Uno che scrive poesie con le mani piene di colori», su: www.archimagazine.com.
12 A.B. Oliva, Minori maniere. Dal Cinquecento alla Transavanguardia, Feltrinelli, Milano
1985, p. 109.
13 Le forme, solo apparentemente infantili, sono essenziali e ridotte, quasi cifre stilistiche
di un comune alfabeto. Come le lettere, infatti, le forme stilizzate paiono fatte apposta per
collegarsi le une alle altre, richiamarsi a vicenda e svelare così il senso profondo della natura e
del cosmo: la relazione.
14 Su questa idea De Maria è ritornato molte volte: «la pittura non è un prodotto ma un’espressione della creazione» (G. Politi, La fede e la passione, cit., p. 65). Egli dichiara esplicitamente il suo rifiuto nei confronti dell’arte come un oggetto di produzione o un qualcosa
destinato a far spettacolo.
15 L’arte di De Maria è radicata su una spiritualità profonda e una fede gioiosa che invita a
guardare al presente con entusiasmo e con sguardo soprannaturale: «Un oggetto dipinto nasconde sempre un’altra opera, nasconde soprattutto l’ineffabile, l’indicibile, che l’arte cerca
di dire con le forme e con i colori più belli del mondo ma le parole non riescono ad esprime-
64
Marta Michelacci
re e allora c’è sempre questo segreto che è come una presenza continua che ci accompagna»
(in M. Cosio - M. Michelacci, Intervista a Nicola De Maria, 16 marzo 2005, inedito). In modo
diretto egli ribadisce che l’arte è un dono di Dio un «sistema che aiuta a vivere, che ci permette, con la bellezza delle forme, con la consolazione che ci offre, di sopportare tutto il
resto». L’arte deve poter parlare a tutti ma «parla ancora a una persona per volta», (in Nicola
De Maria, Quaderni della Quadriennale, Roma 2004 , p. 41).
16 M. Cosio - M. Michelacci, Intervista a Nicola De Maria, cit.
17 Ibid.
18 È il titolo della mostra personale dell’artista nella Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Marino curata da Zeno Birolli (12 luglio - 7 settembre 2008).
19 Galleria Kaj Forsblom, Helsinki 2000, testi di Patrice Cotensin e John Yau.
20 Testo poetico dell’artista scritto direttamente su una delle pareti della Galleria d’Arte
Moderna e Contemporanea di San Marino, cit.
21 Saluto di Chiara Lubich ai giovani artisti, cit.
22 Cf. M. Cosio - M. Michelacci, Intervista a Nicola De Maria, cit.
23 A.B. Oliva - D. Eccher (edd.), Nicola De Maria. Elegia cosmica, Electa, Milano 2004, p.
286.
24 M. Bandini, L’armonia ribelle dei poeti, in «Flash Art», giugno 1994, 185, p. 38.
25 Dal 1981 moltissime opere di De Maria si intitolano Regno dei fiori. Si intuisce dalle
sue dichiarazioni che Il regno dei fiori è una metafora della vita stessa dell’artista in tutte le
sue sfumature.
26 Cf. M. Mantovani, A proposito di Guardare tutti i fiori. La filosofia “mariana” come gratitudine che viene “dalla terra”, in «Nuova Umanità», XXVI (2004/1) 151, p. 92.
27 Cf. ibid., p. 97.
28 N. De Maria, Astri fatati, testo scritto in occasione della mostra alla Galleria Persano,
Torino 2004.
29 N. De Maria, testo autografo, scritto in occasione dell’inaugurazione di Luci d’artista a
Torino nel 2005.
30 C. Lubich, Maria Fiore dell’Umanità, in «Nuova Umanità», XVIII (1996/1) 103, pp.
15ss.
31 T. Minuta, Abbiamo creduto all’amore, Città Nuova, Roma 2013, pp. 5 e 128.
Scarica