[2016/07] Critelli Giovanna - Università degli studi di Genova

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea Magistrale
Rivelazione di neutrini da supernova con
telescopi sottomarini.
Relatore:
prof. Mauro Taiuti
dott. Marco Anghinolfi
Correlatore:
prof. Marco Pallavicini
Candidato:
Giovanna Critelli
Giugno 2016
Sommario
Le supernovae sono considerate tra i fenomeni astronomici più energetici nell’universo. Una
supernova core-collapse produce un breve ed intenso flusso di neutrini di energia dell ’ordine
di 10 MeV, in due fasi: il neutronization burst di durata inferiore al secondo in cui viene liberata fino al 20% dell ’energia, mentre la restante parte viene emessa in una seconda fase di
raffreddamento (circa 20s).
Differenti modelli teorici propongono una descrizione del meccanismo di rilascio dei neutrini,
ma i dati a disposizione - relativi alla supernova SN1987A - non sono sufficienti a discriminare
un corretto e completo scenario.
Lo studio dei neutrini emessi dalla supernova può arricchire le nostre conoscenze, finora prevalentemente teoriche, riguardo ai meccanismi che avvengono negli strati più interni della
stella innescandone l ’esplosione, nonchè sulle proprietà dei neutrini stessi (vita media, momento magnetico, velocità, ecc.).
In questo lavoro di tesi viene investigata, attraverso simulazione, la possibilità di rilevare
tale flusso neutrinico nell’ambito del telescopio sottomarino KM3NeT-ORCA. L’ infrastruttura di
ORCA (Oscillation Research with Cosmics in the Abyss) è attualmente in fase di costruzione al
largo di Tolone, a circa 2500 metri di profondità.
Essa à stata progettata per rilevare i neutrini di energie intermedie (3 − 20 GeV) e di origine
atmosferica che attraversano la Terra, con l’obiettivo di individuarne la gerarchia di massa attraverso la registrazione del pattern di oscillazione. Nonostante ciò, è possibile che essa sia
in grado di rilevare anche neutrini di bassa energia come quelli prodotti da supernovae.
Il metodo di rilevazione è basato sull’ osservazione che il massiccio flusso di neutrini, genera un improvviso aumento collettivo nei conteggi dei moduli ottici nel telescopio in un breve
tempo (circa 10s).
La ricchezza del mezzo (acqua marina) in protoni, in corrispondenza delle basse energie dei
neutrini in esame, rende predominante il contributo della reazione di decadimento beta inverso. I prodotti di tale interazione (positrone e neutrone) generano entrambi fotoni che possono
potenzialmente essere registrati dai moduli ottici di ORCA.
A partire da un dato flusso di neutrini prodotto da una supernova lo scopo della tesi è
quello di quantificare il segnale atteso nel rivelatore, di paragonarlo con il background e di
dedurre la sensibilità del telescopio in funzione della distanza dell’evento.
ii
Nel primo capitolo viene presentato il meccanismo di formazione delle supernovae con
particolare attenzione a quelle di categoria ”core-collapse”. Successivamente viene fornito
un quadro delle possibili interazioni in acqua dei neutrini prodotti da supernova (cap. 2) ed
un’introduzione all’esperimento KM3NeT (cap. 3). Infine, dopo alcuni cenni ai software impiegati in questo lavoro (GENIE e Geant4), vengono presentate le implementazioni apportate ed i
risultati ottenuti.
iii
Indice
Sommario
ii
I
Prima Parte
1
1
Supernovae
1.1 Classificazione delle supernovae . . . . . . . . . . . . .
1.2 Storia stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Supernovae termonucleari . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Supernovae core-collapse . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Neutrini emessi da una supernova core-collapse
1.4.2 SN 1987A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.3 Spettro dei neutrini . . . . . . . . . . . . . . . .
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2 Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
2.1 Principali interazioni con la materia . . . . . . . . . . .
2.2 Reazioni significative nei rivelatori Čherenkov ad acqua
2.2.1 Decadimento beta inverso . . . . . . . . . . . . .
2.2.2 Scattering elastico su elettroni . . . . . . . . . .
2.2.3 Interazioni di corrente carica con nuclei . . . . .
2.2.4 Scattering elastico coerente neutrino-nucleo . .
2.2.5 Le interazioni in sintesi . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Rivelatori Čherenkov ad acqua . . . . . . . . . . . . . .
2.3.1 Effetto Čherenkov . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.2 Rivelazione in acqua . . . . . . . . . . . . . . . .
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3 L’esperimento KM3NeT
3.1 Caratteristiche dei siti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Il DOM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Trigger and Data Acquisition System (TriDAS) . . . . . . . . .
3.5 Il prototipo PPM-DU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5.1 Calibrazione temporale . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5.2 Frequenza di coincidenza di eventi singoli e multipli
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3.5.3
Simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5 Simulazione
5.1 Simulazione con GENIE . . . . . . . . .
5.2 I prodotti del decadimento beta inverso
5.3 Simulazione con Geant . . . . . . . . .
5.3.1 Distanza tra i moduli ottici . . .
5.4 Energia dei neutrini rilevati . . . . . . .
5.5 Sensitività del rivelatore . . . . . . . .
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4 Packages software impiegati
4.1 Il software GENIE . . .
4.1.1
Modello fisico .
4.1.2 Sezioni d’urto .
4.2 Il software Geant . . .
4.3 KM3Sim . . . . . . . . .
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6 Conclusioni
79
A Sezioni d’urto in GENIE
83
Bibliografia
87
v
Parte I
Prima Parte
CAPITOLO
Supernovae
Le supernovae sono considerate tra i fenomeni astronomici più energetici nell’universo. Si
tratta di esplosioni stellari che si possono manifestare come catastrofico termine del ciclo vitale di stelle massicce e raggiungere luminosità pari a circa 109 volte quella solare brillando
anche fino a diversi mesi prima di svanire. Seppure la conoscenza di alcuni processi associati
alla natura di tali eventi sia stata possibile grazie anche alle osservazioni di oggetti extragalattici, molti meccanismi restano ancora da scoprire. Negli ultimi decenni, gli studi sui flussi di
neutrini di origine astronomica si sono affermati come un provato canale di informazione per
molti oggetti astrofisici, in grado di arricchire anche la comprensione del decorso formativo
delle supernovae.
In questo primo capitolo vengono introdotte alcune proprietà delle supernovae volte ad inquadrarne gli aspetti utili ai fini di questo lavoro. Dopo un breve accenno alla classificazione
dei differenti tipi di supernovae identificate ed una contestualizzazione nel processo evolutivo
stellare, sono approfonditi i meccanismi che portano alla produzione e liberazione dei flussi
neutrinici.
1.1
Classificazione delle supernovae
Le supernovae, che compaiono nel cielo come fossero stelle nuove e brillantissime, sono state
storicamente catalogate attraverso osservazioni spettroscopiche. Analogie e differenze negli
spettri in prossimità del massimo di luminosità e nelle proprietà delle curve di luce (rappresentazioni grafiche dell’andamento della luminosità nel tempo), dipendenti dalla composizione dell’ involucro del progenitore, hanno permesso di identificare due categorie principali
a seconda delle presenza (tipo I) o della assenza (tipo II) delle righe dell’ idrogeno. Ulteriori
sottoclassificazioni sono schematizzate in figura 1.1.
Tuttavia la più rilevante impronta fisica risiede nel meccanismo di formazione, sulla base
del quale, le supernovae possono essere raggruppate in due soli gruppi:
- Supernovae core-collapse le quali comprendono supernovae di tipi Ib e Ic e tutte le
supernovae di tipo II;
3
1
1 – Supernovae
Figura 1.1: Schema riepilogativo della classificazione osservativa delle supernovae.
Figura 1.2: Confronto tra curve di luce
relative a diversi tipi di supernovae.
Figura 1.3: Tipici spettri di emissione
di alcune supernovae
- Supernovae termonucleari rappresentate solo dalla classe Ia.
Tale differenziazione è identificabile nei relativi spettri di luce, alcuni mesi dopo la luminosità
massima, quando il materiale espulso diviene otticamente sottile e rivela le regioni interne
che contengono materiale sintetizzato durante l’esplosione.
In particolare, le supernovae Ia possiedono curve di luce molto omogenee che le rendono
adatte ad essere sfruttate come candele standard.
4
1.2 – Storia stellare
1.2
Storia stellare
Quando, a causa di una perturbazione proveniente dall’esterno o di turbolenze interne, una
nube molecolare (costituita da gas interstellare e polveri) inizia a collassare gravitazionalmente, possono crearsi le condizioni per una formazione stellare.
All’interno di una stella, catene di reazioni termonucleari di fusione assemblano elementi leggeri generando elementi più pesanti. Tale nucleosintesi sviluppa l’energia necessaria a contrastare l’attrazione gravitazionale e quindi a mantenere l’equilibrio idrostatico durante la vita
dell’astro. Per tale ragione l’evoluzione delle stelle è selezionata, oltre che dalla composizione
chimica, principalmente attraverso la massa iniziale M, misura della quantità di combustibile
disponibile per le reazioni di fusione.
Maggiori quantità di materia, contraendosi, permettono di innalzare la temperatura centrale
della stella, rendendo possibile la fusione di nuclei più pesanti, aumentando la velocità di
reazione e quindi determinando una luminosità più alta (L ∝ Mα , 1 . α . 4). In generale ne
consegue che le stelle massicce sono caratterizzate da cicli vitali più brevi.
Tutte le stelle evolvono, durante le fasi iniziali della loro esistenza, in modo simile, conver-
Figura 1.4: Diagramma Hertzsprung-Russell
tendo l’idrogeno, contenuto in abbondanza nelle nubi molecolari originarie, principalmente
in elio (sequenza principale). All’esaurimento dell’ idrogeno nel nucleo, la fusione si sposta
nel guscio più esterno (dove è ancora presente idrogeno) determinandone l’espansione a cui
consegue un raffreddamento della stella che favorisce la contrazione della materia interna.
La stella diviene una:
- gigante rossa se M < 8M - supergigante rossa se M > 8M .
5
1 – Supernovae
Nelle giganti rosse più piccole (M < 0.5M )[1] , la materia non è sufficiente a raggiungere la
fusione dell’elio e la stella collassa rapidamente formando una nana bianca di elio e una nube planetaria. Per masse superiori, ma ancora inferiori a M < 2.25M il collasso procede per
lungo tempo prima di raggiungere la fusione dell’elio, per questo la caduta di materiale viene
arrestata dalla pressione di degenerazione del nucleo (e solo successivamente, accompagnato dal ”flash dell’elio”, si avvia il bruciamento del nuovo combustibile). Maggiori quantità di
materia, invece, collassando, innalzano rapidamente la temperatura ed è l’ ignizione dell’elio
a ricomporre l’equilibrio, senza che si instauri la degenerazione della materia. In entrambi gli
ultimi due casi, la stella non potrà proseguire la nucleosintesi e morirà come nana bianca di
carbonio-ossigeno.
Se M è superiore a 8M , la materia è sufficiente a permettere la fusione di tutti gli altri elementi fino al silicio con la produzione dei nuclei di ferro. Gli scambi energetici all’ interno
del corpo e l’equilibrio idrostatico determinano nella stella una disposizione della materia
stratificata, ordinata secondo massa atomica.
Il ferro, l’elemento con la maggiore energia di legame per nucleone, rappresenta lo "spartiacque" tra le reazioni di fusione e quelle di fissione: il processo di fusione del ferro è una
reazione endotermica. Senza dunque il sostegno dell’energia nucleare, il nucleo inizia a contrarsi ed a scaldarsi, raggiungendo temperature che privilegiano la fotodissociazione del ferro.
Si produce un collasso catastrofico in cui la materia degenera. A seguire, la violenta esplosione di supernova espelle gli strati esterni (che daranno origine a nubi di gas e polveri) e lascia
un residuo compatto di massa m:
- se m< mT OV la pressione di degenerazione dei neutroni blocca il collasso e la stella
muore come stella di neutroni;
- se m> mT OV la pressione di degenerazione non è sufficiente, il collasso continua ed
il residuo potrebbe divenire un buco nero oppure una stella di Wolf-Rayet (una stella
massiccia che perde materia a ritmi molto elevati per mezzo di intensi venti stellari).
Il valore indicato come mT OV corrisponde al limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff, attualmente stimato tra 1.5M e 3M .
6
Figura 1.5: Schema di evoluzione stellare. M indica la massa della stella in sequenza principale (”ZAMS”), m si riferisce alla massa del
solo nucleo, m ch e mT OV sono rispettivamente la massa di Chandrasekhar (' 1.44M ) e la massa di Tolman-Oppenheimer-Volkoff
(' 1.5 − 3M ).
1.2 – Storia stellare
7
1 – Supernovae
Stelle caratterizzate da masse iniziali superiori a 100M seguono cicli vitali differenti. È necessario però evidenziare che esiste una quantità di materia massima per la stabilità stellare:
nel caso in cui la pressione di radiazione nel centro della stella sia molto elevata (Prad ∝ M2/3 ),
non potendo conservare uno stato legato (Fgravit ∝ Minterna /R2 ), la teoria prevede che essa si
dissolva. Analogamente è richiesto un valore minimo di massa (limite di Jeans) affinchè la
materia si leghi e possa iniziare la nucleosintesi ( ≥ 0.08M ).
1.3
Supernovae termonucleari
I progressi nella conoscenza degli eventi di supernova di tipo Ia sono ostacolati dalla relativamente bassa luminosità dei loro progenitori. La natura del processo di esplosione presenta
molte incertezze anche se è comunemente accettato che essa sia generata mediante fusione
termonucleare.
Le nane bianche sono corpi compatti (di materia degenere), con debole luminosità e colore
tendente al bianco, caratterizzate da due composizioni chimiche possibili: le nane bianche di
elio e le più numerose nane bianche di carbonio-ossigeno. Gli spettri al massimo di luce delle
supernovae di tipo Ia evidenziano la presenza di tutti gli elementi fino al carbonio, avvallando
l’ipotesi di un collegamento con le nane bianche di C-O.
Si suppone che, nel caso in cui una nana bianca di C-O faccia parte di un sistema
binario, essa possa accrescere la sua massa
assorbendo materia dalla compagna, oppure si possa generare una fusione tra le due
stelle. Quando la temperatura raggiunge il
limite per l’accensione del carbonio, l’ ignizione in un ambiente di materia altamente
degenere determina l’esplosione. Tale condizione si verifica per masse lievemente inferiori a quella di Chandrasekhar (' 1.44M )[2] ,
che rappresenta comunque il limite di esistenza delle nane bianche. L’energia espressa nell’esplosione risulta però solo per una minima frazione attribuibile ad un flusso di neutrini[6] ,
differentemente da quanto avviene nel caso delle supernovae di tipo II.
sn
Ia
<en. totale>
1.5·1051 erg
en. neutrini
1·1050 erg
en. cinetica
1.3-1.4·1051 erg
radiazione em
1·1049 erg
Per tale ragione, le supernovae di formazione termonucleare non saranno analizzate ulteriormente in questo lavoro.
8
1.4 – Supernovae core-collapse
1.4
Supernovae core-collapse
Durante le fasi conclusive della sua esistenza, una stella massiva (M>8M ± 1M )[7] , può essere strutturalmente schematizzata in un nucleo centrale dove sono depositati principalmente nuclei di ferro (ma anche elettroni, positroni, fotoni e in minori concentrazioni protoni e
neutroni), avvolto da strati ordinati in cui sono distribuite le ceneri delle precedenti fusioni,
secondo massa atomica, fino all’ idrogeno [Fig 1.6].
Figura 1.6: Struttura interna di una supergigante rossa
nell’ultimo giorno del suo ciclo vitale.
Venti stellari o interazioni con altre stelle, possono strappare via alcuni degli involucri superficiali.
strato esterno
H
He
elementi leggeri
esplosione
SN II
SN Ib
SN Ic
In questo stadio, il nucleo stellare è assimilabile a quello di una calda nana bianca di
massa vicina al valore limite di Chandrasekhar. Con la formazione dei nuclei di ferro nel cuore
della stella, si arresta, in quella zona, la nucleosintesi, che però procede nel guscio successivo
(composto prevalentemente da silicio) e negli altri strati, fino all’ultimo contenente idrogeno,
dove non avvegono più processi di fusione. Si generano in questo modo, ulteriori quantità
di ferro che accrescono il nucleo. Quando quest’ultimo supera il limite di Chandrasekhar, la
pressione di degenerazione degli elettroni relativistici presenti, non è sufficiente ad arrestare
il collasso gravitazionale. In meno di un secondo, circa un terzo della sua massa condensa,
con una riduzione del diametro (tipica) da poco meno di 10000km a 10-20km.
Si identificano due principali processi che contribuiscono all’ instabilità:
- fotodisintegrazione dei nuclei di ferro in nucleoni liberi;
- cattura elettronica da parte dei nuclei di ferro.
Il processo di fotodisintegrazione:
9
1 – Supernovae
γ + 56 Fe −→ 13α + 4n − 124.4MeV
γ + 4 He −→ 2p + 2n − 28.3MeV
@(3 − 10) · 109 K
@(6 − 14) · 109 K
avviene quando, ad alte temperature, l’energia dei fotoni supera quella di legame dei nuclei di
ferro. La natura endoenergetica di tali dissociazioni scema l’energia termica (e la pressione)
degli elettroni. Al crescere della densità aumenta la probabilità di cattura elettronica da parte
di nuclei pesanti e di protoni liberi:
e− + A X −→ νe + A Y
e− + p −→ νe + n
tali reazioni inducono un calo della concentrazione elettronica e quindi della pressione di
degenerazione del nucleo. Attraverso la cattura, inoltre, vengono generati numerosi neutrini
elettronici. Questi ultimi, nelle prime fasi del collasso, quando la densità del nucleo è ancora
relativamente bassa, possono fuoriscirne immediatamente. La loro luminosità risulta però
trascurabile se comparata con quella delle fasi successive.
Entrambi i meccanismi dunque, favoriscono e accelerano il collasso (con relativo aumento di
temperatura), mentre arricchiscono di neutroni la stella.
Con la progressiva contrazione del nucleo, l’aumento della sua densità rende finita la
probabilità di scattering elastico dei neutrini sui nuclei:
νe + A X −→ νe + A X
che riduce il loro cammino libero medio lν (lν ∝ 1/ρ ).
Quando il cuore della stella raggiunge densità dell’ordine di 1012 g/cm3 , il tempo di diffusione dei neutrini τdiff ∼
3Rcore 2 clν
diviene superiore al tempo dinamico di caduta libera (tempo
di collasso) del gas (τdin = R/vfuga ∼ (Gρ)
) e i neutrini vi restano intrappolati. La superficie
in cui si trovano imprigionati prende il nome di neutrino-sfera.
Quando la compressione della parte interna raggiunge 2.7 · 1014 g/cm3 (densità della materia nucleare), la caratteristica repulsiva a corto raggio della forza nucleare rende il nocciolo
incomprimibile e se la sua massa è relativamente piccola ( / mT OV ) il suo collasso si arresta bruscamente (per masse del nucleo maggiori di mT OV la materia continua nella caduta
fino a generare un buco nero). Esso si equilibra idrostaticamente originando una protostella di neutroni, sulla cui superficie si generano onde di pressione che rimbalzano indietro,
espandendosi
Tale fronte propagandosi verso l’esterno, si scontra con la caduta supersonica di materia
e sprigiona un’onda d’urto. Nelle estreme condizioni in cui si verifica lo scontro si sviluppano temperature elevatissime in presenza di alte concentrazioni di neutroni, i quali possono
essere assorbiti dai nuclei e trasformati in protoni (con emissione di e− e ν̄ ) generando un
arricchimento degli strati esterni con elementi più pesanti del ferro (”nucleosintesi esplosiva”).
I neutrini, contenuti nella regione più profonda, restano ancora intrappolati (fuoriescono
solo per diffusione dopo numerose interazioni). Al contrario, i neutrini derivanti dalla neutronizzazione (νe ) nella regione meno densa al di sopra del punto sonico, si immagazzinano dietro
−1/2
10
1.4 – Supernovae core-collapse
Figura 1.7: Profili di velocità assunti dal nucleo in collasso in due
tempi successivi t1 e t2. Le curve tratteggiate rappresentano la
velocità locale del suono ed incrociano i profili di velocità della
materia nei rispettivi punti sonici.
l’onda d’urto (che appare ad essi densa e opaca) che espandendosi raggiunge la neutrinosfera
(alcuni millisecondi dopo il rimbalzo), dove vengono finalmente emessi in pochi decimi di secondo ("burst di neutronizzazione immediato"). Il burst di neutronizzazione strappa via circa
1051 erg che corrispondono a meno di un millesimo dell’energia che viene liberata complessivamente nell’esplosione. Nel frattempo, man mano che l’onda d’urto avanza, la materia ancora
in collasso del nucleo esterno accresce la protostella di neutroni. Se l’onda d’urto si propaga senza entrare in stallo (in caso di nucleo esterno poco massivo), si verifica un’esplosione
pressochè immediata ("prompt explosion") con tempi caratteristici dell’ordine dei 10ms[17] .
Tuttavia l’onda viene rapidamente attenuata da perdite di energia legate alla dissociazione
dei nuclei di ferro che attraversa, in nucleoni liberi e nella maggioranza dei possibili scenari
è destinata ad entrare in stasi. Per dare il via alla supernova è necessario che l’onda d’urto
venga rivitalizzata attraverso meccanismi che sfruttino l’enorme riserva di energia rilasciata
durante la formazione della proto-stella di neutroni e immagazzinata in essa sotto forma di
energia di degenerazione e di energia termica.
La proto-stella, in questa fase, è composta da una parte interna (non perturbata dall’onda
d’urto) relativamente fredda e da un mantello caldissimo, con neutroni in alto stato di eccitazione termica. La sua temperatura raggiunge i 100 miliardi di Kelvin, circa 100 volte pi‘ĕlevata
del nucleo del Sole, e deve essere liberata parte di questa energia affinchè i neutroni possano
formare una stabile stella di neutroni.
Il raffreddamento (”neutrino cooling”) avviene mediante radiazione di intensi flussi di coppie neutrino-antineutrino di ogni sapore attraverso la neutrino-sfera, che vengono prodotti via
cattura elettronica (o positronica):
11
1 – Supernovae
e− + p −→ νe + n
e+ + n −→ ν¯e + p
e mediante processi termici:
N + N −→ N + N + ν + ν̄
γ −→ e+ + e− −→ Z0 −→ ν + ν̄
Figura 1.8: Schematizzazione dei meccanismi di raffreddamento e
riscaldamento da parte dei neutrini.
Parte di tali neutrini (antineutrini), soprattutto elettronici, vengono assorbiti da elettroni
(protoni) liberi ed in questo modo cedono una piccola frazione di energia agli strati esterni
(”neutrino heating”[10] , figura [1.8]).
Si realizza così la riattivazione dell’onda d’urto, che può nuovamente diffondersi con potenza dirompente scagliando nello spazio il materiale residuo nella luminosa esplosione ”ritardata” di supernova[18] .
1.4.1
Neutrini emessi da una supernova core-collapse
Il nucleo di una supernova irradia flussi di neutrini e antineutrini di ogni sapore, i quali custodiscono informazioni sia sulle condizioni termodinamiche, sia sui meccanismi di formazione
della stella di neutroni. Tali particelle rivestono, infatti, un ruolo essenziale ai fini dell’esplosione di una stella: essi accelerano il collasso sottraendo energia e riattivano l’onda d’urto
(attraverso i processi riepilogati in tabella [1.1]).
Nonostante la loro debole interazione con la materia, i neutrini, prodotti via cattura elettronica e gli antineutrini, generati via cattura positronica su neutroni, possono fluire fuori dal
mantello della proto-stella di neutroni solo quando valicano la neutrino-sfera (superficie di
12
1.4 – Supernovae core-collapse
Processo
Processi beta
e − + p n + νe
e+ + n p + ν¯e
e − + A X νe + A Y
Reazioni di scattering
ν + AX ν + AX
ν+N
ν+N
ν + e± ν + e±
Produzione di coppie
e+ + e− ν + ν̄
Bremsstrahlung nucleone-nucleone
N + N N + N + ν + ν̄
Reazioni tra neutrini
νµ,τ + ν̄µ,τ νe + ν̄e
νx + νe νx + νe
νx + ν̄e νx + ν̄e
Tabella 1.1: Riepilogo delle reazioni rilevanti nella produzione
di neutrini nel nucleo della supernova e/o nella proto-stella di
neutroni. N indica un nucleone, ν un qualsiasi tipo di neutrino.
densità pari a circa 1011 g/cm3 ).
Le reazioni di corrente neutra possiedono sezioni d’urto indipendenti dalla famiglia leptonica
del neutrino, mentre alle energie in gioco, (a cui la creazione di particelle µ e τ non è consentita) e in un mezzo costituito prevalentemente da protoni, neutroni ed elettroni, solo i neutrini
di famiglia elettronica sono in grado di interagire mediante reazioni di corrente carica. Perciò
i neutrini non elettronici si disaccoppiano dalla materia in una regione più calda. L’opacità
relativa a νe e ν̄e è dominata dai processi beta che, in un ambiente ad alta concentrazione
neutronica, rallentano prevalentemente νe .
Si definiscono dunque tre neutrino-sfere dipendenti dall’energia, relative a νe , ν̄e e unitamente ai neutrini non elettronici, indicati genericamente come ”νx ”. A parità di energia iniziale, i
raggi delle neutrino-sfere soddisfano, quindi, la seguente relazione: R(νx ) < R(ν̄e ) < R(νe ).
Il differente degrado subito dalle energie medie dei neutrini, attraverso le interazioni con la
materia, stabilisce, analogamente, una gerarchia in energia:
¥E(νe )¦ < ¥E(ν̄e )¦ < ¥E(νx )¦.
Stime da modelli[40] , indicative delle energie medie dei neutrini nel tempo forniscono approssimativamente:
E(νe ) ' 10MeV
E(ν̄e ) ' 15MeV
E(νx ) ' 18 − 20MeV.
Quando l’onda d’urto scavalca le neutrino-sfere, vengono rilasciati (neutronization burst), in
grandi flussi sequenziali, i neutrini precedentemente intrappolati. A partire da quel momento,
ogni neutrino-sfera produce un flusso termico del corrispondente sapore neutrinico.
13
1 – Supernovae
In figura [1.9] è rappresentato il profilo di luminosità dei neutrini, ottenuto mediante metodi numerici. Il primo picco che si rileva nella luminosità di νe corrisponde al neutronization burst, che dura approssimativamente fino a 25ms dopo il rimbalzo del nucleo, con
un’emissione di energia di due ordini di grandezza inferiore a quella totale della supernova
(Eneutron ' 1/100Etot ). Il neutrino elettronico contribuisce negli istanti successivi, congiuntamente agli altri neutrini, al burst termico che fino ad un tempo di circa 0.5s è legato all’accrescimento e successivamente (fino a circa 10s) al raffreddamento della proto-stella di neutroni.
Figura 1.9: Evoluzione temporale di luminosità ed energia media dei neutrini liberati,
ottenuti con modelli numerici, scegliendo come istante zero il rimbalzo del nucleo[27] .
Il nucleo di ferro della stella progenitrice in equilibrio nucleare statistico - prima dell’ instaurarsi delle instabilità - contraendosi [figura 1.10], mette a disposizione della futura stella
di neutroni una quantità di energia che può essere stimata, facendo uso della tabella [1.2]:
Egravit = Egravit NS − Egravit FE = −
3 GMNS 2 3 GMFE 2
+
' −3 · 1053 erg
5 RNS
5 RFE
con (MNS ' MNS e RNS << RFE ), corrispondente all’energia rilasciata durante l’esplosione di
supernova, dove FE indica il nucleo di ferro originario e NS la stella di neutroni.
Del totale, una frazione, pari circa a:
Ecinet ∼ 1051 erg
viene convertita in energia cinetica degli strati esterni espulsi (che corrispondono tipicamente
a 10M ) rilasciati dal legame gravitazionale con il dispendio di:
14
1.4 – Supernovae core-collapse
Figura 1.10: Contrazione del nucleo di ferro del progenitore che dà origine alla protostella di neutroni.
Stella di neutroni alla formazione
Massa
Valore massimo massa
Raggio
(1.35±0.04M) [12]
3.2M [11]
10km[13]
Progenitore con nucleo di ferro degenere
Massa nucleo
Raggio nucleo
1.4M ∼6000km
Tabella 1.2: Valori di massa e raggio tipici per una stella stella di neutroni
alla formazione (prima che avvengano fenomeni di accrescimento) e del
nucleo di ferro della stella progenitrice immediatamente prima dell’ inizio
del collasso.
Eespuls ∼ 1050 erg
pari all’intensità con cui, nel progenitore, gli strati, nelle vicinanze del confine esterno della futura stella di neutroni, erano legati al materiale sovrastante, successivamente espulso.
Mentre, una ancor più ridotta percentuale viene dispersa in radiazione elettromagnetica:
Elumin ∼ 1049 erg
che brilla nel cielo per diversi mesi con luminosità dell’ordine di Lγ ∼ 108 L .
sn
core collapse
<en. totale>
1053 erg
en. neutrini
∼ 1053 erg
en. cinetica
1051 erg
en. espuls
1050 erg
radiazione em
1049 erg
Pertanto circa il 99% dell’energia liberata dal processo di supernova, viene portato via dai
neutrini (principalmente quelli termici).
15
1 – Supernovae
Tale ordine di grandezza risulta confermato anche da un set di modelli[1.11 ] che rappresentano i possibili comportamenti di una protostella di neutroni e che definiscono l’energia
irradiata in neutrini come compresa nell’ intervallo tra 1.5 · 1053 erg e 4.4 · 1053 erg (maggiori
dettagli possono essere reperiti in [19]).
Figura 1.11: Alcuni modelli utilizzati per desumere l’energia rilasciata da una supernova, basati su scenari diversi. "EOS" indica l’equazione di stato utilizzata per il calcolo,
mentre Ṁ 0 rappresenta il rate di accrescimento della massa barionica per i modelli
ad accrescimento[19] .
Assumendo l’equilibrio termico, si può fare ricorso all’approssimazione del principio di
ripartizione dell’energia secondo il quale l’energia totale e conseguentemente la luminosità,
sono distribuite equamente tra i sei diversi neutrini: E(νi ) = Etot /6. Attraverso un calcolo
approssimativo si può stimare l’abbondanza neutrinica emessa dall’esplosione di una tipica
supernova core collapse:
N(ν) '
Etot
6 · ¥Eν ¦
16
1.4 – Supernovae core-collapse
per un totale di circa 1057 neutrini.
I neutrini prodotti nel nucleo di supernovae di tipo II interagiscono molte volte prima di diffondere in una regione che sostanzialmente permette la libera propagazione. Pertanto, i loro
spettri, all’emissione dalle rispettive neutrino-sfere, risultano molto simili a quelli di corpo
nero [figura 1.12].
Facendo ricorso alla legge del moto browniano è possibile una verifica sui tempi di diffusione
Figura 1.12: Spettro dei neutrini emessi attraverso le
neutrino-sfere.
del neutrino[23] :
2
d = λ vt
dove d è lo spazio percorso, λ ( λ = 1/(nσ)) corrisponde al cammino libero medio dei
neutrini che può essere calcolato a partire dalla concentrazione n (in un volume sferico di
raggio R) e la sezione d’urto σ delle interazioni coinvolte (dell’ordine di 10−40 cm2 per energie
intorno ai 10MeV):
- all’interno della stella di neutroni di raggio tipico pari a 10km, il tempo di diffusione
risulta di circa 1s,
- all’esterno della stella di neutroni, la materia è ancora densa e i neutrini spendono
circa 10s all’ interno della regione avvolta nella neutrino-sfera (di raggio tipico pari a
circa 100km).
La materia risulta notevolmente più opaca al passaggio della radiazione, che riesce a sprigionarsi solo quando l’onda d’urto giunge la superficie estrema della stella, pertanto il raffreddamento del residuo avviene prevalentemente ad opera dei neutrini.
La luminosità espressa dalla totalità dei neutrini:
Lν = ∆N(ν)/∆t' 1057 /s
che applicando nuovamente il principio di ripartizione, per un sapore (ad esempio ν̄e ), corrisponde a circa 1056 /s . Per un confronto, il flusso di νe che giungerebbero sulla Terra se al
17
1 – Supernovae
Figura 1.13: Il tempo di diffusione del neutrino nella supernova risulta inferiore a quello del fotone, poichè il neutrino si propaga quasi liberamente oltre la superficie della
neutrino-sfera.
Sole si sostituisse una supernova sarebbe circa 1028 volte il corrispondente solare.
1.4.2
SN 1987A
All’interno di una popolazione, la frazione di stelle che allo stadio della formazione possiede materia sufficiente a provocare una supernova di tipo II, può essere stimata attraverso la
"funzione iniziale di massa" (IMF).
Tale distribuzione, raffigurata nel grafico [1.14] mostra che il numero di stelle decresce
rapidamente all’aumentare della massa considerata, definendo l’esplosione di supernova come una circostanza relativamente rara: nella Via Lattea sono predetti 1.3 ± 0.9 eventi in un
secolo[16] , di cui 70 su 100 di tipo II.
SN 1987A è stata la più luminosa supernova vicina registrata, dopo quella osservata nel
1604 da Keplero. Essa esplose da una supergigante di tipo spettrale B e massa pari a circa
15M , nella Grande Nube di Magellano circa 168000 anni prima (è posizionata a una distanza
di circa 51.4kpc dalla Terra). Il suo spettro luminoso, ricco di tracce legate alla presenza di
idrogeno, la classifica tra le supernovae di tipo II. Essa brillò nel cielo australe, luminosissima
(L ∝ 108 L ) per diverse settimane e la sua luce giunse sulla Terra ritardata rispetto ai neutrini di circa tre ore.
Le rilevazioni degli osservatori Super-Kamiokande (in Giappone) e IMB (in Ohio), in occasione
dell’esplosione della supernova SN 1987A raccolsero dati coerenti con stime numeriche di ν̄e
dell’ordine di 1058 ed energie totali di 1053 erg. Mentre il rilascio di energia luminosa corrispose
a 1.7·1051 erg.
18
1.4 – Supernovae core-collapse
Figura 1.14: Confronto di modelli di funzioni iniziali di massa: il massimo si individua
per masse ∼M , mentre la frequenza cade
rapidamente per masse superiori a 8M .
IMB
Sito
Tipo di rivelatore
Massa rivelatore [t]
Soglia [MeV]
Numero di eventi rilevati
Temperatura [MeV]
Energia media [MeV]
Fluence [·1010 cm−2 ]
Energia totale νe [·1052 erg]
Energia totale rilasciata [·1053 erg]
Kamiokande
USA
Giappone
water Čherenkov
6800
2140
19
7.5
8
11
4.2
2.6
13.2
8.2
0.79±0.28
1.98±0.60
4.8±1.7
7.8±2.4
2.9±1.0
4.7±1.5
Baksan
Russia
scintillatore liquido
200
10
5
Tabella 1.3: Riepilogo dei dati rilevati mediante studio dei flussi neutrinici e confronto tra
le condizioni di rilevazione, relativi alla supernova SN 1987a.
1.4.3
Spettro dei neutrini
Data la complessità dei meccanismi che accompagnano il fenomeno di esplosione di supernova, caratterizzazioni più precise possono essere ottenute solo mediante simulazioni numeriche: l’evento SN 1987A ha fornito un prezioso riferimento con cui confrontare i modelli teorici.
Esso ha permesso di constatare una deviazione dall’andamento dello spettro di corpo nero
19
1 – Supernovae
Figura 1.15: Neutrini rilevati dagli esperimenti Kamiokande II e IMB relativamente all’esplosione di SN
1987a.
ideale e dall’indicazione di equipartizione dell’energia, per cui i valori delle luminosità integrate nel tempo, appaiono parzialmente differenti per ogni sapore.
Tale scostamento dallo spettro di corpo nero deriva dal fatto che la posizione della neutrinosfera non dipende solo dal sapore della particella, ma anche dalla sua energia, che disaccoppia, dalla proto-stella di neutroni, anche neutrini di stesso sapore, a differenti raggi e
conseguentemente differenti temperature locali, ed al fatto che neutrini più energetici hanno
anche sezioni d’urto più elevate.
Per effettuare un’analisi più approfondita del fenomento, può, dunque, essere introdotto un
fattore α di ”pinching”[20] per includere tali deviazioni nei modelli predittivi.
Il paramentro α è definito come:
α=
[20]
¥E2 ¦
¥E¦2
idealmente α = αFD '1.3029 , mentre per valori inferiori o superiori a αFD la curva
esibisce rispettivamente una soppressione o un potenziamento nelle parti a basse e alte
energie.
R
∞
I neutrini emessi sono globalmente caratterizzati da una luminosità L = 0 Ed E dd NE che
varia nel tempo secondo[26] :
Ltot (t) = Lνe (t) + Lν̄e (t) + Lνx (t) =
Egravit −t/τ
e
= Ltot (0) e−t/τ
τ
dove per ottenere i valori di τ (tempo di decadimento tipico della luminosità), si ricorre ai dati
sperimentali relativi a SN 1987A: 1.74s < τ < 4.19s [24] . Mentre in figura [1.9] è rappresentata
20
1.4 – Supernovae core-collapse
un modello relativo all’evoluzione temporale specifica dell’emissione di neutrini elettronici,
antineutrini elettronici e neutrini mu e tau.
A seconda delle approssimazioni introdotte si possono ottenere diversi modelli per incontrare i risultati delle simulazioni Montecarlo. Di seguito vengono presentati i principali.
Approssimazione di Fermi-Dirac:
Fν (0) (E) =
E2
120L
7π 4 T4 eE/T + 1
dove T è la temperatura effettiva definita come T ' ¥E¦ /3.1514
Modello di ”Livermore”:
Considerando il ”pinching”, si definisce
Fν (0) (E) =
L
E2
F(α)T4 eE/T−α + 1
∞
dove F(α )= 0 x3 d x/(ex−α + 1) e ¥E¦ /T=' 3.1514 + 0.125α + 0.049α 2 + O(α 3 )
R
L’analisi dei dati sperimentali fornisce
[25]
νe




ν̄e
:

 ν
 x
α νe ≈ 3 − 5
Tνe ≈ 3 − 4MeV
αν̄e ≈ 2.0 − 2.5 Tν̄e ≈ 5 − 6MeV
α νx ≈ 0 − 2
Tνe ≈ 7 − 9MeV
Mentre la luminosità secondo i dati osservati risulta ripartita come:
Lνe /Lνx = 0.5 − 2, Lν̄e /Lνx = 0.5 − 2
Modello numerico [21][22] ”GKVM”:
(largamente utilizzato ed a cui spesso ci si riferisce come "modello Garching")
Fν (0) (E) =
E
β ν βν L
Γ(β ν )¥E¦ ¥E¦
! βν −1
· e−βν E/¥E¦
in cui il fattore β ν è un altro parametro di ”pinching” adimensionale, con valore numerico stimato[30] nell’ intervallo 3.5-6.
Attraverso questa parametrizzazione, con i dati sperimentali, la relativa ripartizione risulta:
Lνe /Lνx = 0.5 − 0.8, Lν̄e /Lνx = 0.5 − 0.8.
I parametri indicati nei modelli come L , T, α , ¥E¦ sono, dunque, coerenti con la diversificazione nei sapori leptonici. In figura [1.16] sono confrontati il primo e l’ultimo modello. Gli
stessi valori di luminosità e valore medio di energia di ν̄ e (≈15MeV) sono stati introdotti nelle
due
parametrizzazioni. Si manifestano disuniformità a energie inferiori e superiori rispetto a
Eν̄e , dove la curva di Fermi-Dirac sovrastima il numero di neutrini. Inoltre, il modello ”GKVM”
mostra, nel tempo, una traslazione del massimo verso energie più elevate, coerentemente con
la descrizione del processo di onda d’urto nella stella.
21
1 – Supernovae
Figura 1.16: Comparazione tra lo spettro di ν̄e corrispondenti a comuni luminosità ed energia media, elaborato mediante fit della distribuzione di Fermi-Dirac (linee tratteggiate) ed attraverso il modello GKVM (linee continue), a
differenti tempi dopo il rimbalzo del nucleo.
Successivamente all’emissione, i neutrini, prodotti dal core collassato della supernova,
si propagano all’esterno raggiungendo la superficie della supernova stessa ed in seguito diffondendo nello spazio. Ad un rivelatore sulla Terra, i flussi appaiono alterati, rispetto alla
distribuzione iniziale a causa di diversi effetti:
- Effetto MSW (Mikheyev-Smirnov-Wolfenstein) La materia provoca una alterazione del
meccanismo di oscillazione del neutrino tra i diversi autostati di sapore, che risulta
importante nell’ambiente ad alta densità della supernova
- Effetti legati all’onda d’urto Penetrando nella materia della supernova durante l’emissione dei neutrini, l’onda d’urto modifica il profilo di densità della stella e può raggiungere la regione di risonanza dove l’oscillazione tra i sapori è massima, influenzandone
la probabilità
- Effetti collettivi sui neutrini L’alta concentrazione di neutrini rende le interazioni neutrinoneutrino responsabili di significative variazioni degli stati
- Effetti legati al passaggio nella materia terrestre.
Tenendo conto di tali meccanismi e contestualizzandoli alla luce del valore dell’angolo di
mixing θ13 , la cui stima sperimentale più recente, fornita dall’esperimento Daya Bay [29] risulta
sin2 (2θ13 ) = 0.084 ± 0.005, gli spettri dei neutrini che giungono ad un rivelatore posto a
22
1.4 – Supernovae core-collapse
distanza D dalla supernova - a parte il fattore di angolo solido 1\D2 - possono essere rivisti e
modellizzati complessivamente come[25] :
Fνe D = p · Fνe (0) + (1 − p)Fνx (0)
Fν̄e D = p̄ · Fν̄e (0) + (1 − p̄)Fν̄x (0)
Fνx D = (1 − p) · Fνe (0) + (1 + p)Fνx (0)
Fν̄x D = (1 − p̄) · Fν̄e (0) + (1 + p̄)Fν̄x (0)
dove p e p̄ rappresentano le probabilità di sopravvivenza dei neutrini nello stato originario,
in conseguenza dei quattro effetti suddetti, che dipendono dalla gerarchia di massa (una trattazione completa può essere reperita in [25]).
Ai fini di questo lavoro si farà riferimento alla simulazione di Livermore per un progenitore
di 20M . Sulla base di questo ho riquantificato la stima numerica relativa ai neutrini emessi
ottenendo:
N νe ' 1.4 · 1057 N ν̄e ' 1.1 · 1057 N νe ' 7 · 1056 .
23
24
CAPITOLO
Neutrini da supernova e loro
rivelazione in acqua
Figura 2.1: Spettro ”unificato” dei flussi neutrinici provenienti da sorgenti diverse.
Il grafico di fig. [2.1] inquadra il contributo delle supernovae (ed in particolare della recente
SN 1987A) all’ interno dello spettro completo dei flussi neutrinici sulla Terra, evidenziandone
l’abbondanza rispetto a quelli di altra origine.
Grazie anche a questo loro caratteristica, i neutrini da supernova possono arricchire le nostre
conoscenze, finora prevalentemente teoriche, sui meccanismi che avvengono negli strati più
interni della stella innescandone l’esplosione, nonchè sulle proprietà dei neutrini stessi (vita
media, momento magnetico, velocità, ecc.). Proprio tale compartecipazione di effetti di natura non ancora conosciuta, legati al processo di supernova ed alla fisica del neutrino, rende
25
2
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
fondamentale per l’analisi disporre di sufficienti quantità di dati che possono essere raccolti
grazie alla presenza di numerosi rivelatori distribuiti sul pianeta.
Le tecniche di rivelazione possono essere differenti (scintillatori, metodi radiochimici, rivelatori ad effetto Čherenkov, rivelatori ad effetto termoacustico,...), ma tutte accomunate dalla necessità di studiare i neutrini attraverso i prodotti delle loro interazioni nella materia.
I rivelatori Čherenkov ad acqua rappresentano una soluzione vantaggiosa per l’osservazione delle supernovae: essi possono sfruttare volumi molto estesi (ad esempio in mare) per
massimizzare il numero di eventi individuati, sfruttando un mezzo di rivelazione altamente
economico (acqua).
In questo capitolo vengono presentate le interazioni utili alla segnatura dei neutrini provenienti da supernovae, in particolare nel caso dei rivelatori Čherenkov ad acqua ed una loro
stima quantitativa.
2.1
Principali interazioni con la materia
I neutrini vengono rilevati attraverso i prodotti delle loro interazioni deboli che si distinguono
in:
- interazioni di corrente carica (CC), con scambio del bosone W±
- interazioni di corrente neutra (NC), con scambio del bosone Z0 .
e sono caratterizzate da sezioni d’urto più basse e vite medie più lunghe rispetto ai processi
elettromagnetici e forti.
Figura 2.2: Diagramma di Feynman di una possibile interazione
debole (in questo caso scattering elastico ν -elettrone) di corrente
carica (sinistra) e una neutra (destra).
Diverse sono le reazioni che possono avere luogo[33] durante la propagazione dei neutrini
nella materia, tra queste le principali:
processi senza soglia, Eν ∼0-1 MeV
principalmente si tratta di
- scattering coerente ν + AZ X −→ ν + AZ X∗
reazione di corrente neutra (schematizzata in figura [2.3]), che avviene anche fino
26
2.1 – Principali interazioni con la materia
a Eν ∼50 MeV, di difficile rilevazione a causa delle energie estremamente basse di
rinculo del nucleo [fig.2.4]
- cattura del neutrino su un nucleo radioattivo νe + AZ X −→ e− + AZ+1 Y
reazione esotermica che, come la reazione precedente, non è ancora stata osservata sperimentalmente
Figura 2.4: Nuclei raccolti vs energia
di rinculo per scattering coerente con
Eν =5MeV.
Figura 2.3: Scattering coerente su
nucleo X.
processi nucleari a basse energie, Eν ∼1-100 MeV che comprendono
- il decadimento beta inverso
ν̄e + p −→ e+ + n
rappresenta una delle più significative interazioni, studiata sia teoricamente che
sperimentalmente, con energia di soglia Eν ∼1.8MeV
- l’ interazione del neutrino con il deuterio
νe + d −→ e− + p + p (CC)
ν + d −→ ν + n + p (NC)
- scattering con altri nuclei
ν + AZ X −→ l− + AZ+1 Y
ν̄ + AZ X −→ l+ + AZ−1 Y
in tali casi la trattazione diviene più complessa a causa della presenza di stati
legati, soprattutto ad energie medio-basse in cui i nucleoni non sono assimilabili
a particelle quasi-libere
Una panoramica delle reazioni concomitanti con Eν superiori, è fornita in figura [2.5].
Ai fini di questo lavoro, l’ intervallo di energie interessanti risulta essere quello tipico dei
neutrini prodotti nelle esplosioni di supernova di tipo core-collapse, quindi entro poche decine di MeV. Le relative interazioni, valutate in importanza rispetto ai rivelatori Čherenkov ad
acqua, sono approfondite nelle sezioni seguenti.
27
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Figura 2.5: Sezioni d’urto totali di corrente carica riferite allo scattering per
nucleone di neutrino (a sinistra) ed anti-neutrino (a destra) relative ad energie Eν superiori a 100MeV. I contributi rappresentati si riferiscono a scattering quasi-elastico (QE), produzione di risonanze (RES) e scattering altamente
inelastico (DIS).
2.2
Reazioni significative nei rivelatori Čherenkov ad acqua
Durante la rilevazione sperimentale dei neutrini una delle principali grandezze osservate è il
numero di eventi Nieventi conteggiati nel canale di reazione ” i”, che è definito dall’ integrale sull’energia del prodotto tra il numero dei bersagli NT , la sezione d’urto σi ed il flusso dei neutrini
registrato a distanza D:
Nieventi = NT
Z
Fν D
4π D2
σi (E)d E
Diviene quindi essenziale individuare quali reazioni risultino dominanti negli intervalli di energia del neutrino interessanti per l’analisi di un fenomeno specifico e in base al meccanismo
di rilevazione usato (in questo caso, l’effetto Čherenkov in acqua), nonchè quali valori delle
sezioni d’urto vi corrispondano.
Per ottenere una grezza stima degli ordini di grandezza di Nieventi , volta a confrontare la
significatività di diverse interazioni, vengono trascurati gli effetti di alterazione del flusso
contestuali alla propagazione ed utilizzato la distribuzione secondo il modello di Livermore.
2.2.1
Decadimento beta inverso
Si tratta della reazione[2.1] (fig. [2.6]) più significativa nei materiali ricchi di protoni liberi, come i rivelatori ad acqua, che non fornisce informazioni sulla direzionalità della traccia poichè
i positroni sono emessi approssimativamente in modo isotropo[37] , ma che necessita di una
bassa energia di soglia dell’anti-neutrino .
Quest’ultima può essere calcolata considerando che per una generica reazione:
a + b −→ c + d
28
2.2 – Reazioni significative nei rivelatori Čherenkov ad acqua
Figura 2.6: Diagramma relativo al decadimento beta inverso in cui lo scambio di un bosone W+ permette la
trasformazione di un quark u del protone, in un quark
d.
il quadrato dell’energia sviluppato nel centro di massa deve essere maggiore o uguale al quadrato delle energie finali
2Ea mb + ma 2 ≥ (mc + md )2 − m2b .
Nel caso del decadimento beta inverso si determina dunque un’energia di soglia pari a 1.808MeV.
Un bilancio energetico approssimato, trascurando l’energia di rinculo del neutrone, permette
di stimare l’energia totale del positrone creato come:
Ee ≈ Eν − 1.3MeV
che quindi differisce dall’energia del neutrino incidente, sostanzialmente per una quantità
pari alla differenza tra le masse di neutrone e protone.
Generalmente viene rilevata la perdita di energia del positrone (che produce anche fotoni
in seguito ad annichilazione). Il neutrone, invece, può essere assorbito via cattura da parte di
un nucleo:
∗
A+1
n+AZ X −→ A+1
Z X −→ Z X + γ .
Considerata l’acqua come mezzo, tale cattura avviene principalmente su nuclei di idrogeno, con generazione di deuterio e di un fotone. La coincidenza tra il segnale prodotto dal
positrone e quello di tale fotone, ritardato rispetto al primo di circa 250µ s, fornisce una chiara
segnatura dell’evento. Tuttavia, l’osservazione del fotone che in tal caso, ha energia di circa
2.2MeV, richiede soglie di rivelazione molto basse.
Il decadimento beta inverso ha sezione d’urto relativamente alta (∼G2F Eν2 ) e un calcolo
approssimato a basse energie, porta alla seguente formulazione[36] :
σIBD ' 9.56 · 10−44 cm2
E 2 τ ν
n
MeV
886s
che esprime la sezione d’urto in termini di quantità note (energia del neutrino, vita media
del neutrone τn ). Nel caso di un antineutrino provienente da una supernova tipica risulta:
σIBD ≈ 2x 10−41 cm2 .
29
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Una stima più accurata ed adatta alla trattazione dei neutrini da supernova, può essere
reperita in [38], mentre la figura 2.7 presenta un confronto tra tre approssimazioni, mostrando
che le differenze diventano sostanziali sono per energie superiori a circa 20MeV.
Figura 2.7: Confronto tra tre approssimazioni della sezioni d’urto per
decadimento beta inverso (sinistra) e spettro neutrinico atteso per una
supernova localizzata a distanza di 10kpc.
Nell’ipotesi che si verifichi una supernova galattica ad una distanza D pari a 10kpc dal
rivelatore, il numero di interazioni attese in una sfera di raggio 10m di acqua, integrate nel
tempo (∼ 10s), in seguito a decadimento beta inverso, puo’ essere calcolata utilizzando, per
il flusso di neutrini, l’approssimazione di Livermore:
NIBD
eventi
(10kpc,r=10m) =
Np
4π D2
Z
·
d Nν̄e
σIBD (E)dE ' 1.2 · 103
dE
dove il numero di protoni contenuti in una sfera di raggio 10m di acqua è Np = 2NA ·
Macqua /Mmolec ' 2.8 · 1032 , mentre Nν̄e ' 1.1 · 1057 .
2.2.2
Scattering elastico su elettroni
Neutrini di bassa energia possono interagire con elettroni attraverso il processo di scattering
elastico[2.2] :
ν + e− −→ ν + e−
ν̄ + e− −→ ν̄ + e−
il quale non richiede energia di soglia.
Le relative sezioni d’urto[40] corrispondono approssimativamente a:
σES (Eν ) ' 88.06 · 10
νe
−46
30
2
cm ·
Eν
me
g1
2
1
+ g2 2
3
!
2.2 – Reazioni significative nei rivelatori Čherenkov ad acqua
g1 = 0.73
g2 = 0.23
g1 = 0.23
g2 = 0.73
g1 = −0.27 g2 = 0.23
g1 = 0.23
g2 = −0.27
Da cui si può dedurre la sspredominanza della reazione νe + e− −→ νe + e− sulle altre, con
un rapporto tra le relative sezioni d’urto di:
σES νe : σES ν̄e : σES ντ,µ : σES ν̄τ,µ ' 1 : 0.42 : 0.16 : 0.14
Nel caso di scattering elastico, il numero di interazioni previste in una sfera di raggio 10m di
acqua, dovute a neutrini provenienti da una supernova, distante 10kpc è dell’ordine di:
νe
ν̄e
νµ,τ
ν̄µ,τ





dove i parametri gi valgono: 





NES
eventi (10kpc,r=10m) =
Ne
Z X
4π D2
σES (νi )Nνi dE ' 37
avendo, in acqua, un numero di elettroni Ne cinque volte superiore a quello dei protoni liberi.
Inoltre affinchè il segnale dovuto a scattering elastico sia registrato in un rivelatore Čherenkov
ad acqua, l’energia di rinculo dell’elettrone (Te soglia ) deve essere sufficiente per l’emissione
della relativa radiazione con frequenza rilevabile (l’energia di soglia per effetto Cherenkov in
acqua, per l’elettrone è pari a 0.768 MeV). Pertanto il numero effettivo di interazioni utili risulta
inferiore e si può fare ricorso ad una formulazione più generale della sezione d’urto:
σES νe (Eν , Te soglia ) '
− g2 2 + g1 g2
dove Te max =
2Eν 2
me +2Eν
me
2Eν
!
88.06 · 10−46 cm2 f
me
* Te
,
max 2
g1 2 + g2 2 · Te max − Te soglia
3 
2
− Te soglia + 1 2 * Te max 3 − Te soglia +
+ g2

Eν
Eν 2
,
- 3
-
.
Nonostante presenti una piccola sezione d’urto[39] relativamente al totale, l’ interazione
di scattering elastico su elettroni esibisce una distribuzione angolare fortemente direzionata
che potrebbe contribuire alla ricostruzione della traccia del neutrino [fig. 2.8].
2.2.3
Interazioni di corrente carica con nuclei
ν + AZ X −→ l− + AZ+1 Y
ν̄ + AZ X −→ l+ + AZ−1 Y
Tali reazioni possono realizzarsi in concomitanza con un neutrino sufficientemente energetico:
soglia
Eν
=
MY2 + m2l + 2MY ml − M2X
2MX
' MY − MX + m l
dove con MX e MY si indicano le masse dei nuclei iniziale e finale, mentre con ml , la massa
del leptone finale.
31
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Figura 2.8: Distribuzione angolare tra neutrino
incidente ed elettrone scatterato .
soglia
Eν
quindi pone un veto alle interazioni dei neutrini muonici e tauonici con i nuclei, in base
alle energie che si sviluppano nella supernova.
Restano invece possibili le reazioni dei neutrini ed anti-neutrini elettronici, in cui la maggior parte dell’energia incidente viene assorbita dal leptone carico prodotto (meno massivo
del nucleo), che propagandosi nella materia può essere osservato. Inoltre la diseccitazione del nucleo può anch’essa generare effetti rilevabili (gli stati finali possono comprendere
emissione di fotoni o espulsione di nucleoni) utili per etichettare l’evento. Infine, nel caso di
interazione di anti-neutrini, anche il positrone, annichilendo nella materia, crea fotoni.
Nel caso dei rivelatori ad acqua, i nuclei di maggiore interesse sono quelli dell’ossigeno.
Tra le possibili reazioni:
soglia
−
16
νe + 16
= 15.4MeV
8 O −→ e + 9 F, Eν
soglia
+
16
ν̄e + 16
= 11.4MeV
8 O −→ e + 7 N, Eν
Inoltre le energie medie dei νx possono essere sufficienti ad eccitare il nucleo di 16
8 O (”risonanza gigante”, fig.[2.9]) che successivamente decade principalmente con emissione di un
15
15
protone o un neutrone e con trasformazione rispettivamente in 7 N o 8 O. I nuclei prodotti non
sempre si trovano in stato fondamentale e possono dunque irradiare γ rilevabili qualora la
15
loro energia sia sotto la soglia di diseccitazione via particella (E<10.2MeV per 7 N o E<7.3MeV
15
per 8 O)[50] .
Le interazioni di corrente carica con i nuclei, nonostante non trascurabili, sono ancora
teoricamente e sperimentalmente poco comprese negli intervalli di energie importanti per le
supernovae. Esistono, comunque, alcune stime relative alle sezioni d’urto[41],[42] ed in tabella
[2.10] ne sono riportati alcuni valori relativi a reazioni diverse.
Indicato con NO il numero di atomi di ossigeno contenuti in in una sfera di raggio 10m di acqua
e σνe O la sezione d’urto relativa all’ interazione del neutrino elettronico, proveniente da una
32
2.2 – Reazioni significative nei rivelatori Čherenkov ad acqua
Figura 2.9: Diseccitazione γ in ossigeno.
supernova collocata a 10kpc, con l’ossigeno, stimando in modo approssimato il numero di
eventi relativi che si possono verificare nella sfera di raggio 10m, si ottiene:
ν O
e
Neventi
(10kpc,r=10m) = σνe O NO
Nνe
4π D2
' 2 · 10−5
che risulta notevolmente inferiore a quelli prodotti da decadimento beta inverso. In realtà,
però, essendo il valore medio di energia dei neutrini elettronici collocato intorno al valore
di 10MeV, il numero di neutrini che effettivamente supererebbero la soglia della reazione è
inferiore. Considerando, invece gli antineutrini, la cui energia media è prevista essere inferiore
alla soglia di reazione, si ottiene:
ν̄ O
e
Neventi
(10kpc,r=10m) = σν̄e O NO
Nν̄e
4π D2
' 0.4
ancora una volta, molto inferiore al numero di eventi relativi al decadimento beta inverso,
nell’intervallo di energie in esame.
Oltre a queste, può anche realizzarsi la reazione di corrente neutra:
16 ∗
ν̄ + 16
8 O −→ ν̄ + 8 O
la cui sezione d’urto è definita in [43].
2.2.4
Scattering elastico coerente neutrino-nucleo
Le sezioni d’urto[44] per scattering elastico su nucleo (e su protone) sono relativamente alte,
ma per neutrini provenienti da supernova, le energie di rinculo dei nuclei (o protoni) sono
talmente ridotte (dell’ordine del keV per i nuclei e del MeV per i protoni) da richiedere un
rivelatore a bassa soglia.
33
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Figura 2.10: Sezioni d’urto in funzione dell’energia del neutrino incidente (in MeV),
espresse in unità di 10−42 cm2 , esponenti indicati fra parentesi. L’asterisco indica che
sono state inserite insieme le sezioni d’urto parziali per tutti gli stati legati[51] .
2.2.5
Le interazioni in sintesi
La tabella [2.1] presenta un riassunto delle interazioni utili ai fini dell’osservazione dei neutrini
provienti da supernova in un rivelatore ad acqua, mentre la figura [2.11] pone a confronto le
relative sezione d’urto[45] .
Considerato l’intervallo di energie interessanti per lo studio delle supernovae, dal confronto tra le sezioni d’urto delle principali interazioni, la reazione più significativa risulta essere il decadimento beta inverso.
Una comparazione tra il numero di interazioni ascrivibili a decadimento beta inverso e a scattering elastico su elettroni, in corrispondenza di diversi valori di energia in acqua, può essere
visualizzato in figura [2.12]. Il decadimento β inverso mostra una spiccata dominanza nell’ intervallo intorno alle energie medie dei neutrini da supernova, mentre lo scattering elastico
contribuisce per meno del 10% al segnale complessivo fornito dalle due interazioni.
Anche le sezioni d’urto relative alle reazioni su ossigeno sono significative, ma essendo
caratterizzate da soglie relativamente elevate, raggiungono valori paragonabili con quelli del
beta inverso solo intorno a 80MeV.
Infine lo scattering su elettrone, reazione a soglia zero che non raggiunge mai alte sezioni
d’urto nelle basse energie, seppure inferiore al decadimento beta inverso, risulta apprezzabile.
34
2.3 – Rivelatori Čherenkov ad acqua
Reazione
Soglia[MeV]
Particelle Rilevabili
1.806
15.4
11.4
e+ ,n
ee+
15.0
15.0
15.0
15.0
γ ,n
γ ,n
γ
γ
0
0
0
0
eeee-
Corrente Carica
ν̄e + p −→ e+ + n
νe + O −→ e− + F
ν̄e + O −→ e+ + N
ν̄µ,τ
νµ,τ
ν̄µ,τ
νµ,τ
Corrente Neutra
+ 15
8 O+n+γ
+ 15
8 O+n+γ
+ 15
7 N+p+γ
+ 15
7 N+p+γ
+ 16
8 O −→ ν̄µ,τ
+ 16
8 O −→ νµ,τ
+ 16
8 O −→ ν̄µ,τ
+ 16
8 O −→ νµ,τ
Scattering elastico
−→ νe + e−
−→ ν̄e + e−
−→ νµ,τ + e−
−→ ν̄µ,τ + e−
νe + e−
ν̄e + e−
νµ,τ + e−
ν̄µ,τ + e−
Tabella 2.1: Possibili interazioni del neutrino con la materia per energie inferiori a 20 GeV.
2.3
Rivelatori Čherenkov ad acqua
Il principio fisico alla base del funzionamento dei rivelatori Čherenkov ad acqua è l’effetto
Čherenkov, mentre grandi volumi d’acqua sono impiegati con il doppio ruolo di bersaglio per
i neutrini incidenti e mezzo rivelatore per i prodotti delle interazioni.
2.3.1
Effetto Čherenkov
Una particella carica che si propaga con velocità maggiore di quella della luce (v>c/n), in un
mezzo dielettrico con indice di rifrazione n maggiore di 1, dissipa parte della sua energia per
emissione di radiazione di Čherenkov.
In figura [2.15] è schematizzato l’effetto: la particella carica muovendosi nel mezzo induce una
temporanea polarizzazione degli atomi nei dintorni della sua traiettoria. Nel caso di velocità
inferiori a quella della luce, tale polarizzazione si manifesta simmetricamente intorno alla particella, quindi nella globalità produce un campo elettrico nullo (fig. [2.13]). Al contrario, qualora
la velocità sia superiore, tale distribuzione di carica indotta assume una configurazione asimmetrica nel piano trasversale all’asse di propagazione (fig. [2.14]), che genera un momento di
dipolo elettrico variabile nel tempo. Si definisce una regione polarizzata, posteriormente al
passaggio della particella, che può riorganizzarsi solo via emissione di un impulso elettromagnetico, con spettro continuo nel campo delle frequenze. La radiazione viene emessa in
35
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Figura 2.11: Confronto tra sezioni d’urto relative a diverse interazioni del neutrino. Sono indicati gli scattering elastici su elettroni,
il decadimento β inverso (”IBD”), le interazioni NC e CC su nuclei
di ossigeno.)
Figura 2.12: Rapporto tra numero teorico NIBD
e NES
eventi
eventi
da neutrini prodotti in una supernova[49] .
36
2.3 – Rivelatori Čherenkov ad acqua
Figura 2.14: v < c/n.
Figura 2.13: v < c/n.
Figura 2.15: Polarizzazione dovuta alla propagazione di una particella carica
in un dielettrico
Figura 2.16: Schematizzazione dell’effetto Čherenkov: in viola è rappresentata la particella in diversi istanti della sua propagazione, in arancione la
direzione di emessione della radiazione, θC è l’angolo che caratterizza la
regione conica.
Figura 2.17: Rivelazione della luce di Čherenkov con un array di
fotomoltiplicatori.
onde sferiche con origine lungo la traiettoria della particella, che complessivamente creano
un fronte di forma conica, caratterizzato dall’angolo θC (vedi fig. [2.16]).
Geometricamente si ottiene:
cos θC =
1
, con β = v/c.
βn
Per particelle relativistiche β ≈ 1, quindi cos θC ≈ 1n .
37
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Il numero di fotoni emessi da una particella di carica ze, per unità di spazio d l percorso e
di lunghezza d’onda dλ della radiazione, è espresso attraverso la relazione di Frank-Tamm:
d 2 Nγ
1 2π z2
4π z2 e2
1
−
= 2 α sin θc 2
=
d ldλ
hcλ 2
n2 β 2
λ
dove e è la carica unitaria e α la costante di struttura fine.
Dunque, il numero di fotoni emessi risulta:
- di densità inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d’onda, quindi lo
spettro della radiazione è dominato dalle alte frequenze (blu e ultravioletto)
- dipendente dalla sua carica e dalla sua energia.
Un rivelatore ideale con efficienza 1, sensibile ad un intervallo di lunghezze d’onda compreso tra λ inf e λ sup raccoglierà un numero
d Nγ
=
dl
λ2
Z
λ1
d 2 Nγ
1
1
dλ = 2π z2 α sin θc 2
−
d ldλ
λ2 λ1
di fotoni per tratto d l percorso. Mentre rispetto alla perdita di energia della particella:
d 2 Nγ
α z2
=
sin θc 2 .
d ld E
ħc
2.3.2
Rivelazione in acqua
La zona eletta per l’installazione dell’esperimento è stata oggetto di studi per l’ individuazione
delle proprietà ottiche locali dell’acqua: temperatura, salinità, concentrazione e composizione
sono caratteristiche che influenzano la propagazione della radiazione e l’ indice di rifrazione
del mezzo.
L’andamento di quest’ultimo è stato definito sulla base del modello di Quan & Fry[46] , attraverso un fit[47] (fig.[2.18] ) delle misure rilevate in corrispondenza di differenti lunghezze d’onda:
16.2561 4382 1.1455 · 106
− 2 +
240 − 200
λ
λ
λ3
dove s, p e T rappresentano salinità, pressione e temperatura del sito, mentre λ = lunghezza
nacqua = 1.32292 + (1.32394 − 1.32292) ·
p − 200
+
d’onda della luce.
Pertanto in corrispondenza di 470 nm (blu) si considera n pari a 1.35[48] , che definisce un
angolo di Čherenkov θC di 42◦ .
Considerando che un anti-neutrino elettronico proveniente da una supernova (¥E(ν̄e )¦ ≈15MeV)
interagisca attraverso un decadimento beta inverso in acqua marina, il positrone prodotto
dovrà possedere un’energia superiore all’energia di soglia di circa 0.76MeV, affinchè venga
irradiata luce di Čherenkov.
Nel caso in studio, la quantità di fotoni Čherenkov prodotti da neutrini, nel regime energetico proprio delle supernovae, in seguito a decadimento beta inverso in acqua marina, può
38
2.3 – Rivelatori Čherenkov ad acqua
Figura 2.19: Indice di rifrazione misurato per λ =470nm e accompagnato da un fit
gaussiano.
Figura 2.18: Indici di rifrazione di fase e di
gruppo in funzione della lunghezza d’onda
della radiazione.
quindi essere stimato come:
d Nγ
dλ
dλ
= 2π z2 α sin θc 2 2 ' 0.02 2
dl
λ
λ
dove λ é la lunghezza d’onda del fotone emesso.
La radiazione durante la propagazione in uno spessore l d’acqua, risulta attenuata in conseguenza a fenomeni di assorbimento e deviata rispetto alla direzione iniziale da fenomeni
di scattering. L’ intensità luminosa trasmessa (nell’ ipotesi di sorgente puntiforme) segue la
seguente legge esponenziale:
I0 −x/Ltot (λ)
I(x, λ) =
e
a x2
dove a è un fattore che dipende dalla geometria del fascio emesso (a=4π per sorgente puntiforme), mentre Ltot si riferisce alla lunghezza di attenuazione, dimensione dello spessore di
acqua che riduce di 1/e l’ intensità originaria.
In figura [2.20] è mostrato il fit relativo alle misure effettuate in sito.
39
2 – Neutrini da supernova e loro rivelazione in acqua
Figura 2.20: Fit relativo alla determinazione della lunghezza
di attenuazione della luce. Le misure sono state rilevate in
corrispondenza di due lunghezze d’onda: 470nm (indicata in
blu) e 400nm (in viola). Con R è indicata la distanza dalla
sorgente
40
CAPITOLO
L’esperimento KM3NeT
KM3NeT (km3 Neutrino Telescope) è un telescopio per neutrini, con infrastruttura distribuita,
che impiega come rivelatore, un volume esteso (maggiore di 1km3 ) di acqua marina. Tre i siti
di installazione sottomarini nel Mediterraneo: KM3NeT-Fr (ORCA, Oscillations Research with
Cosmics in the Abyss), a circa 2500m di profondità vicino a Toulon (Francia), non lontano dal
rivelatore dell’esperimento ANTARES, KM3NeT-It (ARCA, Astroparticle Research with Cosmics in
the Abyss), a circa -3500m vicino a Porto Palo di Capo Passero (Sicilia) e KM3NeT-Gr, vicino a
Pylos (Grecia).
La possibilità di disporre di rivelatori con volumi estesi, posizionati a profondità marine (∼3000
m) tali da schermare i raggi cosmici, fornisce un’apertura privilegiata ai principali obiettivi di
ricerca dell’esperimento che comprendono lo studio:
- di neutrini ad alte energie attraverso KM3NeT-ARCA, 1010 eV <Eν <1016 eV
Neutrini di origine cosmica, prodotti nei resti di supernova, nelle pulsar, e nei microquasar galattici, nonchè in AGN e γ−ray burst extragalattici, ricerca delle particelle
WIMPs (candidati a materia oscura) ed altre sorgenti cosmiche non riconoscibili individualmente (Eν > 1015 eV).
- di neutrini a basse energie in KM3NeT-ORCA, 3GeV <Eν > 20GeV
Al fine di identificare la gerarchia di massa, mediante un’analisi delle oscillazioni dei
neutrini atmosferici, con la possibilità anche di osservare la composizione interna terrestre e componenti di materia oscura di bassa energia.
Altri progetti collaterali spaziano nel campo delle scienze marine e della Terra.
Seppure KM3NeT sia progettato per rivelare neutrini di energie superiori al GeV, può anche
essere sensibile ai brevi, ma intensi flussi di bassa energia, caratteristici delle esplosioni di
supernova.
Come vedremo nei prossimi capitoli, lo scopo del mio lavoro è stato proprio quello di
capire se i moduli ottici di questi rivelatori dedicati alle alte energie possono essere utilizzati
anche per i flussi di neutrini da SN. In questo capitolo descriverò il rivelatore km3.
41
3
3 – L’esperimento KM3NeT
3.1
Caratteristiche dei siti
La localizzazione delle infrastrutture è stata selezionata considerando diversi fattori ambientali:
- batimetria al fine di individuare aree a profondità costante dove poter installare il
rivelatore
- condizioni meteorologiche e marine per verificare la frequenza attendibile di periodi
adatti alle operazioni di posa
- situazione geologica affinchè il sito non mostrasse evidenze di possibili instabilità.
Sono anche stati monitorati i parametri caratteristici dei siti:
- temperatura, rilevante nella progettazione dell’elettronica di front-end e nella scelta
dei fotomoltiplicatori
- salinità, influisce sulle proprietà dell’acqua (conduttività, densità, reattività chimica)
- flusso di sedimenti, unitamente ad incrostazioni di natura biologica, può depositarsi
sui moduli ottici, riducendo la trasmittanza della luce di Čherenkov
- correnti marine, possono alterare la geometria del rivelatore
- proprietà ottiche dell’acqua, per conoscere lunghezza di assorbimento, di attenuazione
e di scattering
- rumore di fondo, che deve essere tenuto in considerazione durante progettazione e
misurazioni.
In particolare, assume fondamentale importanza la conoscenza delle emissioni gamma che
costuitiscono il rumore di fondo da distinguere dai segnali utili e la cui origine è riconducibile
a due meccanismi: radioattività e bioluminescenza.
Decadimenti β e γ producono nell’acqua una continua ed isotropa emissione di luce di
Čherenkov ad opera principalmente del 40 K, che costituisce lo 0.012% del potassio totale
disciolto, con concentrazione pari a 0.010mol/l e che può decadere in:
89.28%
decadimento beta 40 K −→ 40 Ca + e− + ν̄e
40 K
10.72%
cattura elettronica 40 K + e− −→ 40 Ar + γ + νe
Gli elettroni risultanti dal canale di decadimento beta, hanno energie fino a 1.33MeV e molti
di essi sono quindi in grado di produrre luce di Čherenkov. I fotoni emessi in seguito a cattura
elettronica hanno, invece, energie pari a 1.46MeV e possono, per effetto Compton, creare elettroni che possono anch’essi superare la soglia Čherenkov.
Ne consegue un’attività pari a circa 13Bq/l (tempo di dimezzamento del 40 K =1.25·109 anni).
Simulazioni Montecarlo hanno determinato che tali decadimenti (tipicamente un decadimento produce fino a 150 fotoni Čherenkov[55] ) aggiungono in totale circa 120 conteggi al secondo
42
3.1 – Caratteristiche dei siti
per cm2 di area del fotocatodo (per un totale di ∼5kHz per un fotocatodo di circa 70mm di
diametro).
Sperimentalmente sono state registrate lievi variazioni nella salinità in dipendenza del tempo[61]
e della profondità[62] , che possono essere trascurate.
La bioluminescenza, invece, è diffusa prevalentemente nelle frequenze 450−490 nm relativamente alle quali, l’acqua e’ maggiormente trasparente (ed in alcuni casi anche 500−520 nm).
Essa ha due componenti: la prima variabile su scale di ore e giorni (generata probabilmente
da batteri) aggiunge un contributo che dipende dal sito e pari a circa ∼5kHz per fotocatodo
su ANTARES, mentre la seconda e’ composta da burst della durata massima di pochi decine
di secondi, dovuta a macro-organismi (in grado di emettere fino a 1011 fotoni al secondo) che
transitano nelle vicinanze dei moduli ottici) che introducono picchi nei conteggi.
In concomitanza di correnti marine più forti, i conteggi di entrambe le componenti mostrano
Figura 3.1: Frequenza di conteggi in Antares durante un periodo di 6 mesi
(fig. in alto) e 4 minuti (fig. in basso). Le lievi differenze rilevate dai moduli
riguardo al fondo costante, sono determinate da leggere discrepanze nelle
sensibilità dei PMT.
aumenti, mentre le correnti seguono un andamento all’ incirca periodico con picchi in velocità
43
3 – L’esperimento KM3NeT
registrati ogni circa 17-18 ore, imputabili alla rotazione terrestre[63] .
Figura 3.2: Correlazione tra le componenti (valori medi) del fondo
bioluminescente e la velocità della corrente marina.
Parametro
Valore Medio
Profondità
Temperatura
Salinità
Sedimentazione
Fondo radioattivo
2450 m
(13.3 ± 0.2)◦ C
38.45psu
0.2-0.5 mm/anno
∼5kHz/PMT
Tabella 3.1: Caratteristiche rilevate nel sito di Toulon. L’unità denominata ”psu” (practical salinity unit) esprime la salinità: 1psu
corrisponde alla presenza di 1g di sali per kg di acqua.
3.2
Rivelatore
L’apparato sperimentale deve soddisfare alcuni requisiti relativi all’efficienza di misura e alle
condizioni ambientali in cui essa avverrà: le elevate profondità marine richiedono strumenti
resistenti ad alte pressioni, a fattori di stress in fase di installazione, nonchè un lungo ciclo
vitale che riduca la necessità di costosi e disagevoli interventi di manutenzione.
Strutturalmente i rivelatori [fig. 3.4] saranno costituiti da unità denominate ”Detection Unit”
(DU) [fig. 3.4], ancorate al fondale e tese mediante boe sommerse. In ogni DU, una coppia di
cime ospiterà dei ”Digital Optical Module” (DOM). Il DOM è l’occhio attraverso cui KM3NeT raccoglie la luce generata per effetto Čherenkov dai prodotti carichi delle interazioni del neutrino
con l’acqua.
44
3.3 – Il DOM
Nei siti di installazione, sono state selezionate differenti configurazioni geometriche dei
sensori [fig. 3.3], ottimizzate in efficienza ai fini sperimentali mediante simulazioni.
KM3NeT-Fr
KM3NeT-It
Figura 3.3: Le configurazioni geometriche selezionate per i rivelatori nei due
siti. KM3NeT-It sarà composto da due blocchi come quello schematizzato in
figura.
In particolare, i rivelatori ORCA ed ARCA, presentano due differenti configurazioni con diversa granularità nella disposizione dei sensori ottici tale da ottimizzare la rilevazione nell’ intervallo di energie selezionato.
I rivelatori sono caratterizzati[54] da moduli (”building blocks”), ognuno dei quali contiene 115
detection unit distanziate tra loro approssimativamente di 100m in ARCA e 20m in ORCA. Ogni
DU è costituita da una coppia di cavi flessibili (cime Dyneema® ), a sua volta, sostiene 18 moduli
ottici (corrispondenti a 18 "storey") interdistanziati di circa 36m in ARCA e 9m in ORCA. ARCA,
nella sua configurazione finale sarà costituito da due blocchi per un totale di circa 1km3 di volume occupato dagli strumenti, mentre ORCA sarà costituito da un solo building block di circa
0.004km3 . I DOM sono connessi tra loro ed alla base del DU, mediante un cavo elettro-ottico
verticale ”VEOC” (Vertical Electro-Optical Cable): sostanzialmente un tubo riempito di olio per
il bilanciamento della pressione, in cui sono alloggiate 18 fibre ottiche e due conduttori di rame per trasmissione dati e alimentazione. L’alimentazione dell’apparato ed i dati sono infine
connessi ad una postazione terrestre costiera mediante cavi elettro-ottici denominati ”MEOC”
(main electro-optic cables) lunghi circa 100km.
45
3 – L’esperimento KM3NeT
Figura 3.4: Rappresentazione schematica dell’ infrastruttura (sinistra) e di
una Detection Unit (destra).
3.3
Il DOM
Un Digital Optical Module (DOM)[56] è esternamente costituito da una sfera di vetro (Vitrovex® ),
resistente alla pressione esterna e con buona trasparenza (95% a 350nm)[74] , di diametro
432mm, che protegge ed ospita 31 fotomoltiplicatori (di cui 19 nell’emisfero superiore, per
una superficie sensibile totale[76] pari a circa 1260cm2 per DOM), la relativa scheda di alimentazione, nonchè l’elettronica di readout ”CLB” (Central Logic Board). La piccola superficie del
singolo PMT ne determina una debole sensitività al campo magnetico terrestre, permettendo
di rinunciare ad una schermatura che avrebbe reso più complessa e costosa l’ integrazione nel
DOM.
I fotomoltiplicatori sono supportati da una struttura di nylon e
aderiscono otticamente al Vitrovex mediante l’ introduzione di un
sottile (∼ 1mm) strato di gel. Per ridurre la probabilità di riflessione
della luce nel passaggio tra i diversi materiali (vetro del DOM, gel,
vetro del PMT) è stato scelto un gel siliconico trasparente (Wacker
612) di indice rifrattivo (≈ 1,40) a 350nm vicino sia a quello del Vitrovex (1.47) che a quello della finestra del PMT (1.51-1.54).
La scelta di una struttura multi-PMT permette di avere una maggiore superficie sensibile
ed una migliore discriminazione degli eventi (possibilità di cercare coincidenze tra i segnali
all’interno del singolo modulo ottico), rispetto ad un modulo ottico con un solo PMT.
I PMT sono ordinati su 5 anelli con angoli zenitali θ di 56◦ , 72◦ , 107◦ , 123◦ e 148◦ . In ogni
46
3.3 – Il DOM
Figura 3.5: Esploso di un DOM.
47
3 – L’esperimento KM3NeT
anello sono posizionati 6 fototubi spaziati azimutalmente (φ ) di 60◦ ed ogni anello è sfalsato
di 30◦ rispetto al precedente. L’ultimo PMT è rivolto verticalmente verso il basso (θ =180◦ ).
Inoltre nel DOM è installato un sensore piezoelettrico con funzione di idrofono, che unitamente ad altri 3 elementi (il Long BaseLine system composto da acoustic transceivers ancorati al fondale,
apparecchi come bussole e tiltmetri) permette la calibrazione acustica della posizione (APS, acoustic positioning system), utile nella
fase di installazione ed indispensabile in fase operativa[58] . Sono
anche presenti sensori di temperatura e umidità, un manometro,
un sistema di raffreddamento passivo ed una sorgente LED (nanobeacon) utile alla calibrazione.
I fotomoltiplicatori rappresentano l’elemento attivo nel processo di rilevazione e le loro
proprietà sono dunque essenziali ai fini delle prestazioni del telescopio: la precisione nella
misura del tempo influisce sulla ricostruzione della traccia, mentre dalla ricostruzione della
carica deriva la stima dell’energia della particella che produce i fotoni Cherenkov. Essi devono
inoltre essere conformi alle peculiarità geometriche dell’apparato.
Tra i parametri più significativi che ne definiscono le prestazioni e che sono dunque da tenere in considerazione nella scelta di un fotorivelatore, vi sono: i materiali del fotocatodo e
della finestra, l’efficienza quantica, l’ incertezza sul tempo di transito (TTS), la stabilità, la dark
current, la percentuale di afterpulses, ecc. . I valori limite di questi parametri sono stati determinati mediante l’ausilio di simulazioni in modo da rispettare i requisiti dell’esperimento I
valori di questi parametri sono riassunti in tabella 3.6).
Di particolare importanza nella definizione delle prestazioni del rivelatore ottico è lo spessore del fotocatodo (in questo caso dell’ordine di decine di nanometri). Esso è composto da
una lega di semiconduttori (bialcali in KM3NeT) che è deposta per evaporazione sulla superficie interna del vetro del fotomoltiplicatore. La luce incidente sul fotorivelatore può, secondo
leggi probabilistiche, essere assorbita, riflessa o trasmessa attraverso il fotocatodo. Ai fini della rilevazione, è necessario massimizzare l’assorbimento. Lo spessore del fotocatodo è dunque
un compromesso: uno strato più sottile favorisce l’assorbimento solo di piccole quantità di
luce, uno strato spesso, d’altro canto, potrebbe ostacolare l’emissione degli elettroni.
Ogni PMT è dotato di una base a bassa potenza ed alto voltaggio con amplificazione integrata (selezionata per un guadagno di 3 · 106 ) e discriminazione regolabile via software attraverso l’abilitazione/disabilitazione di determinati canali, la cui soglia è impostata a 0.3 fotoelettroni. Il segnale analogico del PMT viene digitalizzato secondo la tecnica del Time-overThreshold (ToT), che richiedendo poca elettronica off-shore, minimizza il consumo di potenza,
massimizzando l’affidabilità. Essa è approntata da un TDC multi-channel (Time-to-Digital Converter) incorporato in un FPGA (Field Programmable Gate Array) nella Central Logic Board del
DOM: il TDC rende disponibili i dati relativi al tempo di arrivo e all’ampiezza del segnale discriminato [fig. 3.7] che permettono la ricostruzione della carica depositata ed in ultima analisi la
48
3.3 – Il DOM
Figura 3.6: Principali caratteristiche richieste per i PMT in KM3NeT.
stima dell’energia della particella che ha generato i fotoni.
Figura 3.7:
Tecnica del Time-overThreshold: la stima di t2 -t1 può essere
utilizzata per la stima della carica.
Dalla CLB i dati vengono spediti a terra dal sistema di acquisizione attraverso una rete
Ethernet di cui ogni DOM costituisce un nodo IP. È quindi possibile la sincronizzazione al nanosecondo attraverso un segnale di clock trasmesso da terra: eventuali ritardi di propagazione
del segnale tra i singoli DOM (principalmente derivanti dalla lunghezza dei cavi), oppure tra
i fotomoltiplicatori di uno stesso DOM (principalmente dovuti al tempo di transito dei fotomoltiplicatori), verranno corretti in tempo reale mediante la rete Ethernet (progetto ”White
Rabbit”[57] ).
Ai fini della ricostruzione della traccia e dell’energia delle particelle cariche, oltre alle informazioni temporali, occorre conoscere con buona precisione anche la posizione dei sensori.
Essa è calcolata sulla base delle informazioni restituite dal sistema di posizionamento acustico (Acoustic Positioning System, APS), costituito da una Long Base Line (LBL) di segnalatori
(beacon) ancorati al fondale in posizioni fisse e da una matrice di Digital Acoustic Receivers installati sia internamente in ogni DOM (internal DAR) sia esternamente alla base della detection
unit (external DAR, idrofoni) [fig. 3.8].
49
3 – L’esperimento KM3NeT
Figura 3.8: Sistema di posizionamento
acustico.
Il beacon acustico è costituito da un trasduttore piezo-ceramico che emette un breve ed
intenso segnale con range di frequenze 20kHz-40kHz, che può propagarsi in acqua, nelle condizioni del sito sperimentale e venire ricevuto dai sensori piezoelettrici nel DOM e nella detecton unit[78] (un segnale di frequenza 32 kHz e 180 dB re 1 mPa dopo aver percorso 2km subisce
un attenuamento a 110 dB re 1 mPa).
Misurando gli intervalli temporali tra emissione e ricezione dei segnali acustici e utilizzando
un metodo di triangolazione si ottiene la posizione del ricevitore (DOM) con una precisione
dell’ordine di qualche cm.
3.4
Trigger and Data Acquisition System (TriDAS)
Al fine di ridurre la complessità dell’hardware nei moduli ottici, è stato adottato il concetto ”all
data to shore”. Questo però implica il trasferimento di una grande quantità di informazione
raccolta nel sito, compreso, dunque, anche il segnale del rumore di fondo. Per l’apparato
completo si stima un flusso di dati a regime fino a 500 Gbps per sito[79] .
In tale contesto si manifesta l’ importanza di un sistema software efficiente di acquisizione, aggregazione e filtraggio dei dati grezzi: il TriDAS (fig. 3.9). Esso è stato progettato per
un funzionamento modulare e poter quindi crescere con il rivelatore, dai prototipi ridotti al
progetto finale.
Nel sito marino, ogni DOM immagazzina due flussi di informazioni: quello ottico rilevato
dai fotomoltiplicatori (tra cui il TOT, Time Over Threshold, ovvero l’ intervallo temporale in cui
il segnale si mantiene sopra la soglia di 0.3 fotoelettroni che corrisponde al trigger di livello
0) e quello acustico registrato dai sensori piezo-elettrici.
Viene dunque effettuata una prima fase di raggruppamento in DataFrame dei dati ottici corrispondenti a ”fette temporali” (Time Slices) di circa 100ms. Quando un data frame è
completo, esso viene trasferito alla shore station attraverso un protocollo UDP/IP.
50
3.4 – Trigger and Data Acquisition System (TriDAS)
Figura 3.9: Schema del sistema di acquisizione dati e trigger in KM3NeT.
Le informazioni acustiche vengono inviate, invece, in flusso continuo.
La prima fase di processamento dei dati presso la shore station, avviene nella farm di
DataQueue (ad ogni DataQueue vengono inviati i dati relativi ad uno specifico settore del telescopio), dove un software si occupa di aggregare le informazioni e smistarle a seconda della
loro natura verso le macchine dedicate al trigger (AcousticDataFilter e OpticalDataFilter) ed
all’analisi.
Ogni OpticalDataFilter riceve, da tutti i Data Queue, le informazioni ottiche riferite ad una
determinata Time Slice, ottenendo così un’ immagine complessiva del rivelatore in tale intervallo. Nell’OpticalDataFilter, l’applicazione di algoritmi di trigger, finalizzati alla determinazione delle correlazioni spazio-temporali tra gli eventi, porta ad una riduzione dei dati grezzi di
un fattore 104 . In particolare, ad esempio, il trigger di livello 1 (L1 Trigger) seleziona i dati corrispondenti alla coincidenza di due segnali rivelati in fotomoltiplicatori diversi di uno stesso
DOM, con separazione temporale massima di 25ns (L1 hit). Tutti gli L1 hit che avvengono in
corrispondenza di intervalli di tempo inferiori a 330ns (coerentemente con segnali prodotti
da particelle passanti in prossimità del rivelatore) sono considerati appartenenti allo stesso
evento (trigger di livello 2).
Infine l’OpticalDataFilter invia i dati scremati ad un software, DataWriter, che li archivia
come file compatibili con ROOT.
51
3 – L’esperimento KM3NeT
Figura 3.10: Schematica della creazione dei Data Frame
nei DOM e dell’ invio onshore.
Ogni AcousticDataFilter invece, riceve tutti i dati da un singolo DataQueue in modo continuo, e ricostruisce il Time Of Arrival (TOA) del segnale acustico raccolto da tutti i sensori
(piezo-elettrici e idrofoni). Attraverso multilaterazione viene dunque definita la posizione dei
ricevitori (quindi dei DOM) rispetto ai beacon di riferimento (unitamente ai dati raccolti da
bussola, tiltmetro e barometro) con una accuratezza di circa 10cm. Le informazioni così elaborate vengono successivamente registrate nel database dal software DataBaseWriter.
L’unità di controllo (Control Unit) rappresenta l’ interfaccia al rivelatore che coordina il funzionamento sia del rivelatore sottomarino che del software TriDAS. Si compone di 4 elementi:
il Detector Manager attraverso il quale è possibile configurare le Control Logic Board dei DOM
ed il sistema di alimentazione e monitorare e registrare tutti i paramentri di interesse; il TriDAS
Manager che gestisce la farm computazionale; il DataBase Writer; ed il Master Control Program
che controlla tutti i precedenti.
Infine sono stati anche implementati dei software (RoyWeb, Rainbow Alga, RoyFit) per effettuare analisi veloci, visualizzazioni e monitoraggio su set di dati post-trigger (Quasi On-Line
Analysis and Monitoring).
3.5
Il prototipo PPM-DU
Dopo la validazione in Aprile 2013 di un modulo ottico PPM-DOM (Pre Production Model) nel
sito di Antares, in Maggio 2014 presso il sito italiano di KM3NeT è stato posizionato il primo
prototipo di detection unit (PPM-DU) composta da 3 moduli ottici (3.11), rimasto in operazione fino al suo decommissioning in Luglio 2015. Recentemente (Dicembre 2015 e Maggio 2016)
52
3.5 – Il prototipo PPM-DU
sono state invece deposte, presso Capo Passero, le prime tre Detection Unit complete (18 DOM).
Il PPM-DU implementando la struttura meccanica, le connessioni elettro-ottiche ed il sistema di trasmissione dati che apparterranno anche al progetto finale, ha permesso di testare
per la prima volta in mare, la presa dati contemporanea di più DOM.
Figura 3.11: Prototipo di Detection Unit nel sito di KM3NeT-It.
Per l’installazione in questo prototipo, sono stati selezionati due differenti modelli di fotomoltiplicatori, entrambi a bialcali, con prestazioni simili, ma dimensioni lievemente diverse.
Il DOM1 e il DOM2 ospitano i fototubi della ET Enterprises modello D783KFLA[59] , mentre il
DOM3 ospita il fototubo Hamamatsu R12199-02[60] , ogni PMT è circondato da un anello riflettore conico, inclinato di 45◦ rispetto all’asse del fototubo al fine di aumentare l’efficienza di
rilevazione.
In figura [3.12] sono schematizzati i risultati ottenuti dai test sulle prestazioni dei due fotomoltiplicatori, effettuati operando ad un guadagno G pari a 5·106 .
3.5.1
Calibrazione temporale
La prima fase di operatività del prototipo ha riguardato la calibrazione temporale consistente nella valutazione dell’offset temporale tra fotomoltiplicatori alloggiati in uno stesso DOM
(calibrazione intra-DOM) e tra DOM diversi (calibrazione inter-DOM).
53
3 – L’esperimento KM3NeT
Figura 3.12: Prestazioni del PMT Hamamatsu R12199-02[60] .
Per la stima del primo, che dipende principalmente dal tempo di transito dei PMT, sono
stati sfruttati i segnali dovuti al decadimento del potassio (ref. [77]). Sono state studiate le
differenze temporali dei PMT raggruppati a coppie (465 combinazioni possibili), riscontrando
un andamento tipicamente gaussiano [fig. 3.13] con un picco decrescente all’aumentare della
separazione angolare della coppia a causa del campo di vista limitato dei rivelatori [fig. 3.14].
Figura 3.13: Esempio di differenza temporale tra due PMT adiacenti nel DOM 1. Tale
distribuzione ha un andamento gaussiano
che dipende oltre che dall’offset temporale, dalle efficienze di rilevazione e dal
time-spread dei PMT. Si è riscontrato un
valore tipico di FWHM per le coppie di
PMT pari a circa 7-10ns, correlato principalmente con il TTS (fino a quasi 5ns) dei
fotomoltiplicatori.
La calibrazione tra coppie di DOM (il relativo sfasamento temporale dovuto ad elettronica, lunghezza dei cavi e velocità della luce in acqua) viene invece realizzata impiegando la
sorgente LED (a 470nm) integrata nella sfera del DOM 1 ed incrociando i risultati con quelli
ottenuti utilizzando il LED alloggiato nel DOM 2 (i LED sono posizionati nell’emisfero superiore
dei moduli, direzionati verso l’alto). Si è così raggiunta un’accuratezza temporale dell’ordine
di 1ns.
54
3.5 – Il prototipo PPM-DU
Figura 3.14: La frequenza di conteggi doppi intra-DOM risulta avere un andamento
esponenziale in funzione della separazione angolare dei PMT. In figura è rappresentata tale dipendenza per i 3 DOM e risulta evidente il rate superiore di conteggi
dovuto alle aree maggiori di fotocatodo e
anello riflettore del PMT Hamamatsu.
Figura 3.15: Distribuzione delle differenze temporali tra hit nel DOM contenente il LED ed
il DOM sottoposto a calibrazione. Nei calcoli
è stata considerata la velocità di gruppo della luce in acqua, in corrispondenza di 470 nm
(lunghezza d’onda emessa dal LED).
3.5.2
Frequenza di coincidenza di eventi singoli e multipli
Le rilevazioni effettuate mediante il prototipo hanno permesso di caratterizzare il rumore di
fondo nel sito di Capo Passero che risulta essere sorgente del maggiore contributo alla frequenza dei singoli.
Nell’istogramma in figura [3.16] è mostrata la distribuzione del rate medio (in una Time Slice
di 134ms) di eventi singoli rilevati su un fotomoltiplicatore del DOM1. Tale grafico è stato ottenuto sovrapponendo gli eventi rilevati sui diversi fotomoltiplicatori. Nel grafico si evidenzia
un picco ”quasi-gaussiano”a circa 5.9kHz, determinato principalmente dal decadimento del
potassio contenuto nell’acqua, ed una coda ad alte frequenze collegata alla bioluminescenza
che è apparsa verificarsi in modo sporadico e spazialmente omogeneo. Singolarmente ogni
fotomoltiplicatore presenta un picco di tipo gaussiano con lievi differenze da quello degli altri
fotomoltiplicatori, il cui effetto globale su un DOM in intervalli di tempo di 1 secondo è rappresentato in figura [3.17]: il rate ha un valore medio di circa 175 kHz e la deviazione standard
risulta pari a 1156 Hz.
Sono state studiate anche le coincidenze doppie per i 3 DOM, raffigurate in [3.18]
55
3 – L’esperimento KM3NeT
Figura 3.16: Distribuzione del tasso medio di conteggi singoli
per 1 PMT del DOM1.
3.5.3
Simulazione
Per paragonare i dati misurati dalla PPM-DU con le stime attese, è stata realizzata una simulazione Montecarlo dedicata per generare il flusso di muoni atmosferici, propagarli nell’acqua
marina, generare e propagare i fotoni Cherenkov e riprodurre la digitalizzazione del segnale.
Nella simulazione la luce di fondo generata dal potassio è stata integrata aggiungendo una
frequenza di hit singole di 5.5 kHz per fotomoltiplicatore e frequenze di hit di 697 Hz, 57 Hz e
7 Hz per DOM corrispondenti rispettivamente alle coincidenze di due, tre e quattro hit in due
PMT dello stesso DOM. Infine è stato preso in considerazione anche un rate di dark current di
0.7 kHz per PMT. Si è verificata un eccellente accordo tra la distribuzione temporale attesa dei
segnali generati dai muoni e quella simulata: con un singolo DOM risulta possibile rigettare il
fondo e identificare il segnale di interesse selezionando le hit con coincidenze ad alta molteplicità (maggiore di 5, al di sotto invece il rumore di fondo è dominante), disporre di tutti e 3 i
DOM della PPM-DU ha permette una ricostruzione più precisa.
56
3.5 – Il prototipo PPM-DU
Figura 3.17: Distribuzione del tasso medio di conteggi singoli
per 1 DOM su intervalli temporali di 1 secondo. Il valore di
RMS pari a 1156 Hz, indicato nell’ istogramma, rappresenta la
deviazione standard dei dati, che in questo caso (numero di
conteggi elevato), corrisponde alla deviazione standard della
gaussiana
57
3 – L’esperimento KM3NeT
Figura 3.18: Frequenze medie di coincidenze in un tempo
di 25ns, dopo la sottrazione combinatoriale del rumore di
fondo.
Figura 3.19: Frequenze medie di coincidenze in un tempo di
25ns
58
CAPITOLO
Packages software impiegati
Una supernova core-collapse schematicamente, produce un breve ed intenso flusso di neutrini di energia dell’ordine di 10 MeV, in due fasi: il neutronization burst di durata inferiore al
secondo in cui viene liberata fino al 20% dell’energia, mentre la restante parte viene emessa
nella fase di raffreddamento (tra 10s e 20s). Differenti modelli teorici propongono una descrizione del meccanismo di rilascio dei neutrini, ma i dati a disposizione - relativi alla supernova
SN1987A - non sono sufficienti a discriminare un corretto e completo scenario.
La capacità di rilevazione in un telescopio per neutrini di alta energia del flusso di neutrini
provenienti dall’esplosione di una supernova è stata proposta per la prima volta nel 1994, nell’ambito dell’esperimento AMANDA[84] e successivamente testata sperimentalmente[85] . Il metodo di rilevazione è basato sull’osservazione che un massiccio flusso di neutrini proveniente
da una supernova, genererebbe un improvviso aumento collettivo nei conteggi dei moduli
ottici di un telescopio in un breve tempo (∼ 10s).
Per verificare questa possibilità nelle reali condizioni di rilevazione del telescopio KM3NeT
è stata effettuata una simulazione in due step. Nel primo step è stata simulata l’ interazione
dei neutrini nell’acqua attraverso il pacchetto GENIE, successivamente i prodotti di tale simulazione sono stati immessi nel software di simulazione KM3Sim dedicato all’esperimento e
basato su Geant4, per studiarne la rilevabilità.
4.1
Il software GENIE
GENIE (Generates Events for Neutrino Interaction Experiments, http://www.genie-mc.
org/) e’ un codice C++, basato su ROOT, sviluppato per simulare le interazioni dei neutrini
con particelle e nuclei. Lo scopo di tale progetto e’ generare (attraverso il metodo Monte Carlo) eventi validi nella descrizione delle interazioni di ogni sapore neutrinico nell’ampio spettro
di energie compreso tra 1MeV e 1PeV.
59
4
4 – Packages software impiegati
I modelli fisici incorporati in GENIE, nella versione 2.8.6 (utilizzata in questo lavoro), ne validano l’impiego per energie da pochi MeV fino a centinaia di GeV rendendolo, dopo 8 anni dal
rilascio della prima versione ufficiale (2007), un codice adottato in molti esperimenti che si
occupano di neutrini e quindi in costante aggiornamento.
Per tali ragioni ed in aggiunta, per la sua flessibilita’, esso risulta dunque uno strumento adatto nella descrizione delle interazioni dei neutrini provenienti da supernova, caratterizzati da
basse energie.
4.1.1
Modello fisico
Il modello fisico implementato in GENIE, per descrivere il nucleo con il quale il neutrino interagisce, e’ quello del gas di Fermi relativistico (RFG), e ne viene utilizzata la versione di Bodek e
Ritchie, modificata per incorporare le correlazioni nucleone-nucleone a corto raggio[64] (sebbene nel caso in esame, l’ interazione dominante coinvolga il singolo nucleone dell’ idrogeno).
Tale approssimazione risulta di successo soprattutto alle basse energie di interesse in questo
lavoro. Al fine di includere gli effetti connessi ai nucleoni in stato legato nel nucleo atomico,
in GENIE sono stati introdotti per lo scattering elastico e quasi-elastico, il principio di Pauli e
per target nucleari un fattore che tiene conto delle differenze osservate rispetto ai nucleoni
liberi (effetto di shadowing, anti-shadowing, effetto EMC). Le interazioni nucleari successive
dovute ad adroni prodotti, che possono modificare significativamente le distribuzioni osservate in molti rivelatori, vengono simulate attraverso un Monte Carlo a cascata implementato
in un pacchetto denominato "INTRANUKE". Infine l’eventuale diseccitazione dei nuclei ’colpiti’, che puo’ avvenire con emissione di nucleoni, fotoni e frammenti (fissione), e’ introdotta
nella simulazione, nel caso di emissione di fotoni, solo da nuclei di ossigeno, in quanto tale
condizione risulta la piu’ significativa nei rivelatori Cherenkov ad acqua.
4.1.2
Sezioni d’urto
I modelli utilizzati forniscono il calcolo delle sezioni d’urto totali e differenziali. Selezionati gli
oggetti iniziali, GENIE fa ricorso alle sezioni d’urto relative ai possibili processi per determinare
quali interazioni avvengano e conseguentemente viene definita la cinematica dell’evento. Le
interazioni di maggiore interesse in questo lavoro riguardano:
- lo scattering quasi-elastico che fa ricorso ad un modello di Llewellyn-Smith modificato [65]
- lo scattering elastico di corrente neutra, descritto attraverso il modello di Ahrens et al.[66]
- lo scattering elastico neutrino-elettrone[67] .
Le sezioni d’urto sono disponibili pre-calcolate in corrispondenza di valori ("knots") di
energia spaziati logaritmicamente - per avere una maggiore densità di informazione alle basse
energie in cui la sezione d’urto presenta variazioni più rapide - e tabulate in un documento
xml.
In tali tabelle viene considerato un intervallo di energie compreso tra 0.01GeV e 1000GeV.
60
4.2 – Il software Geant
4.2
Il software Geant
Geant4 (Geometry and tracking) è un toolkit libero sviluppato in un ambiente orientato agli
oggetti (C++), finalizzato alla simulazione del passaggio di particelle nella materia. L’ampia
gamma di modelli fisici implementati su un vasto intervallo di energie (sostanzialmente tutte
quelle praticabili sperimentalmente) lo rendono uno strumento impiegato in un grande numero di esperimenti (tra cui BaBar, ATLAS, CMS, Borexino, T2K, ...) e progetti appartenenti a un
variegato dominio applicativo che include la fisica delle alte energie, le scienze astrofisiche e
spaziali, le scienze mediche e la radioprotezione.
Fondamento del software è il metodo Monte Carlo: esso si basa su un algoritmo computazionale che, a partire da alcuni dati iniziali, genera una serie di eventi casuali (non correlati)
seguendo la distribuzione di probabilitá attesa per il fenomeno in studio. Il campione di eventi
generati è caratterizzato da alcuni parametri che possono essere studiati ed i cui valori medi permettono di estrapolare informazioni sul fenomeno. In sintesi, la colonna portante del
metodo è la ”legge dei grandi numeri”: un teorema appartenente alla teoria probabilistica,
secondo cui la ripetizione di un esperimento un numero molto grande di volte produce un
valore medio molto vicino a quello reale. Tale approccio risulta piú efficiente in termini di
tempi e potenza di calcolo rispetto a soluzioni numeriche convenzionali (che richiederebbero lo svolgimento di un sistema algebrico composto dalle equazioni differenziali discretizzate
che descrivono il modello matematico del sistema fisico).
Il completo set di librerie di Geant4 lo rende uno strumento flessibile che permette all’utente di riprodurre il proprio sistema di rivelazione definendo geometria, particelle iniziali
e modelli fisici coinvolti. Il software quindi ”trasporta” le particelle create nel rivelatore simulando le interazioni nella materia in base al metodo Monte Carlo e traccia le traiettorie.
Geometria e risultati della simulazione possono essere visualizzati anche mediante un’ interfaccia grafica interattiva.
Nella fase di inizializzazione è necessario che l’utente si occupi della costruzione del rivelatore (classe G4VUserDetectorConstruction), della generazione delle particelle e della
selezione dei processi fisici.
La modellizzazione del rivelatore avviene modularizzandolo in componenti definite a partire da solidi[75] già catalogati in Geant (G4VSolid). All’ interno del rivelatore, inoltre, possono
essere attivate delle regioni sensibili in cui possono essere raccolte informazioni (hits, classe
G4VHit) sulle interazioni fisiche di una traccia.
La creazione delle particelle primari, invece, può essere implementata facendo ricorso a due
utility:
- G4ParticleGun, un generatore che produce particelle con momento, posizione, tempo e direzione definiti (tale classe contiene anche metodi per inizializzare particelle con
momento, energia o posizione casuali);
61
4 – Packages software impiegati
- G4GeneralParticleSource (GPS), che rende invece possibile specificare distribuzione spettrale, spaziale e angolare di una sorgente di particelle.
Successivamente alla creazione delle particelle, devono essere selezionati i processi fisici: essi
descrivono come avviene l’ interazione di una particella con il materiale (e quindi con i campi
magnetici, elettrici o elettromagnetici), la traccia ed il volume.
Completati il set-up geometrico e fisico e calcolate le sezioni d’urto dei processi, è possibile iniziare il run e lanciare dunque la simulazione attraverso l’evocativo ”BeamOn ()” (metodo
di G4RunManager). Un run (G4Run) consiste di una sequenza di eventi (G4Event) durante i quali le condizioni di set-up non possono essere modificate e che contengono tutte le
informazioni di ingresso e di uscita della simulazione.
4.3
KM3Sim
KM3Sim è un pacchetto di simulazione basato su Geant4, in fase di elaborazione da parte della
collaborazione di KM3NeT, nell’ottica della descrizione globale del passaggio di particelle cariche nell’acqua ed alla loro rilevazione nelle specifiche condizioni del telescopio KM3NeT. Essa
ha il compito di generare lo sciame di fotoni prodotti per effetto Cherenkov dalla particella
primaria tenendo conto anche degli effetti di scattering ed assorbimento, di determinare la
distribuzione della densità e dei tempi di arrivo dei fotoni al rivelatore in funzione di distanza
ed energia ed infine di convertire tali dati in una probabilità di rivelazione.
La scelta dell’utilizzo di Geant é stata determinata da diversi fattori: esso é un software
per il tracciamento che si trova ad un avanzato stato di sviluppo pertanto in grado di descrivere larga parte della fisica di interesse (effetto Cherenkov, ottica, decadimenti nucleari, ...), già
testato ed implementato in esperimenti simili (ad esempio Antares), è distribuito liberamente
e quindi ampiamente impiegato ed in continuo miglioramento. Allo stesso tempo, però, la
sua fruizione in KM3NeT ne richiede un completamento in alcune funzionalità e talvolta una
correzione.
Per poter inferire in modo affidabile il segnale distinguendolo dal rumore di fondo, è determinante conoscere la risposta del rivelatore ai differenti contributi. Pertanto una delle
principali implementazioni riguarda la simulazione completa dei fototubi e globalmente dei
moduli ottici.
La complessa geometria del PMT viene riprodotta come sovrapposizione di forme geometriche elementari per poter essere inferita matematicamente, in modo flessibile, mediante la
lista di parametri reperibili nelle specifiche fornite dal produttore. Un cilindro definisce la base, un cono la parte subito sovrastante, un elissoide ed una sfera completano la struttura [fig.
4.1 ]. Tutte le proprietà caratterizzanti la geometria e le prestazioni del modello di fotomoltiplicatore che si voglia testare, possono essere quindi direttamente inserite nella simulazione,
62
4.3 – KM3Sim
completando i relativi file di configurazione caricati dallo strumento KM3PhotoTubeMgr. È stato anche costruito un modello geometrico del modulo ottico ospitante i fotomoltiplicatori e
della Detection Unit, al fine di ridurre nell’esperimento reale, i possibili errori sistematici.
Figura 4.1: Schematizzazione della struttura di
un fotomoltiplicatore a bulbo.
Una delle caratteristiche fisiche di rilevante importanza ai fini dell’analisi del segnale, è
l’efficienza di raccolta, la cui determinazione è connessa alla distribuzione dei rivelatori ed all’efficienza quantica del PMT. Quest’ultima manifesta la sensitività del fotocatodo ed esibisce
una dipendenza dalla lunghezza d’onda della luce incidente e dall’angolo di arrivo rispetto al
fotomoltiplicatore che la simulazione ha il compito di investigare con precisione. Generalmente, per un rivelatore immerso in aria, la netta differenza tra i valori degli indici di rifrazione n,
determina una trascurabile dipendenza angolare. Contrariamente, nel caso del DOM, i diversi
materiali posti a contatto sono stati selezionati anche con l’ intento di ridurre il fenomeno di
riflessione e dunque, presentando indici di rifrazione dai valori ravvicinati, permettono l’assorbimento a fotoni provenienti da un maggiore campo di vista angolare [fig. 4.2]. La sottigliezza
del fotocatodo, inoltre, impone ulteriori modifiche per il corretto trattamento nelle zone di
confine e le possibili riflessioni tra fotocatodo e vuoto (interno al fotomoltiplicatore) rispetto
al modello convenzionale classico.
Questo implica la necessità di utilizzare un modello più accurato di quello semplificato
disponibile in Geant, per riprodurre il meccanismo di rivelazione ed il comportamento del fotocatodo che viene modellizzato come un film metallico sottile. Tuttavia la determinazione
indiretta dell’ indice di rifrazione (con una componente complessa) del fotocatodo, presenta
difficoltà dovute alla degenerazione nel calcolo (ad una determinata misura corrisponde un
numero infinito di valori possibili) ed a ciò si somma l’ impossibilità di studiarlo direttamente
(in quanto chimicamente instabile se esposto all’aria). Pertanto lo spessore e l’ indice di rifrazione del fotocatodo sono stati dedotti sperimentalmente in modo indiretto mediante la
misurazione descritta in [83].
63
4 – Packages software impiegati
Figura 4.2: Il PMT Hamamatsu R12199-02 impiegato nel PPM-DU e la stratificazione dei materiali a contatto: dall’acqua marina (n∼1.35 a 470nm) un fotone
dovrà attraversare il vetro del DOM (n∼1.47 a 470nm), il gel (n≈1.40 a 470nm)
ed il vetro della finestra del PMT (n∼1.51-1.54) per raggiungere il fotocatodo.
Conseguentemente nella simulazione è stata importata ed implementata una nuova parte
di codice basata sul modello ottico presentato in [81] e [82] che ha dimostrato solidità sperimentale [fig. 4.3][80] .
Figura 4.3: Comportamento della luce incidente sul fotocatodo in funzione
dell’angolo di arrivo.
In laboratorio sono stati realizzati numerose prove e calibrazioni per testare il setup.
Queste verifiche hanno dimostrato che il modello introdotto riproduce correttamente il comportamento dei fotoni Cherenkov nello strato sottile del fotocatodo: la simulazione permette
una fedele riproduzione del valore del rate di coincidenza singola e multipla nel DOM dovuto
al potassio (un test di consistenza che certifica l’affidabilità delle simulazioni usate nel mio
lavoro).
64
CAPITOLO
Simulazione
Una supernova core-collapse produce un breve ed intenso flusso di neutrini di energia dell’ordine di grandezza della decina di MeV, schematicamente in due fasi: il neutronization burst
di durata inferiore al secondo in cui viene liberata fino al 20% dell’energia, mentre la restante
parte viene emessa nella fase di raffreddamento (circa 20s). Differenti modelli teorici propongono una descrizione del meccanismo di rilascio dei neutrini, ma i dati a disposizione - relativi
alla supernova SN1987A - non sono sufficienti a discriminare uno scenario completo.
In questo capitolo vengono presentate la simulazione effettuata e le relative considerazioni sui risultati ottenuti. Mediante l’utilizzo (con modifiche ed alcune implementazioni) del
software GENIE ho simulato le interazioni dei neutrini nel regime energetico tipico di una supernova core-collapse.
Successivamente ho inserito i prodotti di tali interazioni nella simulazione KM3Sim in Geant4
per studiare la risposta del rivelatore. Tale lavoro è servito per valutare alcuni dei requisiti
necessari ad un telescopio sottomarino ai fini della rilevazione di un evento di supernova.
Come nelle precedenti parti, tutti i modelli ed i riferimenti numerici sono determinati da
studi basati sui dati resi disponibili dall’osservazione della SN1987A.
5.1
Simulazione con GENIE
Benchè la soglia per la reazione di decadimento beta inverso si attesti su 1.808MeV e sussistano le condizioni per scattering elastico su elettroni e protoni, GENIE non simula, nella configurazione predefinita, interazioni al di sotto del valore 10MeV, riferito all’energia del neutrino
incidente [fig. 5.1]. Considerati gli spettri attesi per i neutrini generati durante le supernovae, in tal modo si escluderebbe, ad esempio, circa un terzo degli anti-neutrini elettronici
potenzialmente rilevabili (al di sopra della soglia di decadimento beta inverso).
Ho quindi deciso di apportare le opportune modifiche nella configurazione (ad esempio
in UserPhysicsOptions.xml e nella classe genie::XSecSplineList), e quindi generare, mediante
65
5
5 – Simulazione
Figura 5.1: Spettro di ν̄e provenienti da supernova
previsto dal modello di Fermi-Dirac. L’area colorata
rappresenta la porzione di particelle tra 1.808MeV e
10MeV.
l’utility gmkspl (gMakeSplines), una nuova tabella di sezioni d’urto, più adatta a questo lavoro
[fig. 5.3].
In Appendice A sono presentate, per confronto, le relative curve generate in GENIE.
Dopo aver implementato il codice di GENIE, al fine di impostare un’analisi dei risultati e
di importarli successivamente in Geant (facendo ricorso a ROOT), ho lanciato diversi run di
eventi, nell’intervallo energetico proprio del regime di supernova.
Ho approfondito le interazioni dell’antineutrino elettronico dapprima in acqua e successivamente aggiungendo NaCl, il principale componente che attribuisce salinità all’acqua marina.
Nella simulazione ho impostato un flusso costante in energia. GENIE produce sempre interazione per ogni evento, pertanto nella fase successiva si è reso necessario scalare i risultati
La simulazione in GENIE, volta a riprodurre le condizioni dei precedenti calcoli approssimati, ne conferma la coerenza.
In particolare risulta evidente, alle energie tipiche medie dei neutrini provenienti da supernova e nel caso di interazione di anti neutrini elettronici con acqua, la predominanza
dei processi di decadimento beta inverso che coinvolgono protoni dell’ idrogeno (e che si
verificano circa nel 72% delle interazioni totali), rispetto agli scattering elastici.
Poco significative le interazioni dei neutrini elettronici (energia media 10MeV) in acqua,
che essendo sotto soglia per altri processi, presentano bassissima probabilita’ di interazione.
Aggiungendo all’acqua il cloruro di sodio, principale componente della salinità dell’acqua
marina, il decadimento beta inverso ha continuato a mostrare una predominanza sulle altre
interazioni: con una simulazione con antineutrini elettronici di energia 15MeV, il decadimento beta inverso è avvenuto circa nuovamente nel 72% dei casi di interazione, simili anche le
frequenze delle altre interazioni.
Considerando energie più alte (ad esempio 50 MeV, al limite dello spettro modellizzato
per i neutrini da supernova) le reazioni di decadimento beta inverso diminuiscono lievemente
(seppure sempre predominanti), come pure lo scattering su elettrone ed aumentano invece le
interazioni con i nuclei che aumentando il numero di neutroni, potrebbero rappresentare una
aggiuntiva fonte di informazione. Purtroppo tali energie sembrano rappresentare solo una
coda molto sottile per i neutrini da supernova.
66
5.2 – I prodotti del decadimento beta inverso
Figura 5.2: Esempio dell’output su schermo di default di GENIE, relativo
ad un evento. In questo caso particolare è mostrato proprio l’evento più
frequente: un decadimento beta inverso a seguito dell’ interazione di un
antineutrino elettronico su idrogeno. In particolare le particelle identificate
dal numero Idx 0 e 1 sono le primarie, mentre a seguire si trovano i prodotti.
Tutte le particelle e i nuclei sono etichettati mediante il codice PDG (codifica
del Particle Data Group impiegata nelle simulazioni Montecarlo). ”sig(Ev)”
indica la sezione d’urto relativa all’evento e nel sommario sottostante vi
sono riepilogate le caratteristiche dell’ interazione e le condizioni iniziali
(tra cui ad esempio, il quadrimpulso delle particelle in GeV).
5.2
I prodotti del decadimento beta inverso
Come descritto nei capitoli precedenti, il principale canale di interazione degli (anti) neutrini
da SN con l’acque è il decadimento beta inverso con il protone dell’ idrogeno. In tale processo
i positroni emessi risultano (come atteso in [68], seppure con differenze), a basse energie
scatterati indietro, mentre i neutroni in avanti.
I positroni ereditano la maggior parte dell’energia a disposizione ed in corrispondenza del valore medio stimato di 15MeV, per l’energia degli anti-neutrini incidenti [fig. 1.12],
acquisiscono un’energia cinetica pari a circa 12.5MeV [fig. 5.5].
Tali particelle superano dunque, la soglia per l’attivazione dell’effetto Cherenkov (Ksoglia =0.249MeV)
e possono generare, nella regione di sensibilità tipica dei fotorivelatori (340nm<λ <560nm):
d NγC
dx
=
Z
0.02
dλ = 2.3 · 10−5 /nm
λ2
67
5 – Simulazione
Stato Iniziale
Eν [MeV]
νe + H2 O
10
ν̄e + H2 O
15
νµ + H2 O
20
ν̄µ + H2 O
20
ντ + H2 O
20
ν̄τ + H2 O
20
Prodotti
Percentuale
σ (E)[cm2 ]
58.8
38.6
2.6
71.9
22.8
5.3
79.5
20.5
78.9
21.1
79.7
20.3
80.1
19.9
2.030·10−42
7.108·10−43
8.88·10−44
1.489·10−41
4.814·10−42
p+νe
e− +νe (16 O)
e− +νe (H)
e+ +n
p+ν̄e
e− +ν̄e
p+νµ
e− +νµ
p+ν̄µ
e− +ν̄µ
ντ +p
ντ +e−
ν̄τ +p
ν̄τ +e−
9.440·10−42
2.457·10−43
8.648·10−42
2.063·10−43
9.440·10−42
2.457·10−43
8.648·10−42
2.063·10−43
Tabella 5.1: Simulazione (con 10000 eventi nel caso ν̄e + H2 O e
1000 negli altri) di interazione di neutrini ed antineutrini in acqua. L’energia selezionata per le particelle incidenti corrisponde
all’energia media stimata per i neutrini provenienti da supernova.
circa 230 fotoni per centimetro di materia attraversata (x corrisponde alla distanza percorsa
dal positrone).
Considerato un mass stopping power MS per i positroni in acqua pari a circa 2.2MeVcm2 /g, in
corrispondenza di un’energia Ee di 12.5MeV ed una densità media dell’acqua marina ρ pari a
1025kg/m3 , il loro range medio sopra soglia per l’effetto Cherenkov, sarà:
+
Range(e ) =
Z
Ee
Esoglia
1
d E ' 5.5cm
ρ MS
Pertanto a seguito di ogni evento, in media saranno emessi circa 1300 fotoni nella finestra di
sensibilità dei fotomoltiplicatori.
I fotoni prodotti in un secondo, considerato in un volume di acqua corrispondente ad una
sfera di raggio 10m, saranno dunque:
Nγ0 = Ne (r = 10m,10kpc)
d NγC
dx
d x ' Ne · 103
dove Ne indica il numero di positroni, che con un calcolo approssimato, era stato stimato in
7·103 in seguito all’esplosione di una supernova posta alla distanza di 10kpc.
68
cm2]
5.2 – I prodotti del decadimento beta inverso
σ [10
-38
Sezione d’urto νe+p
10-2
10-3
10-4
0
10
20
30
40
50
60
70
E[MeV]
Ee,n[MeV]
Figura 5.3: Sezioni d’urto relative all’ interazione ν̄e +p,
calcolate attraverso l’utility gmkspl di GENIE.
Figura 5.4: Sezioni d’urto
disegnate mediante l’utility
gspl2root.
70
Energie medie positroni e neutroni
60
50
40
e+
n
30
20
10
0
0
10
20
30
40
50
60
70
Eν [MeV]
Figura 5.5: Energie medie dei prodotti, per interazioni simulate in GENIE in corrispondenza dei valori di energia Eν dell’anti-neutrino
incidente.
Figura 5.6: Distribuzione dei valori medi del
coseno degli angoli di e+ e n riferiti alla direzione del ν incidente, ottenuti attraverso
l’ implementazione in GENIE.
Poichè i positroni subiscono numerosi scattering prima di essere catturati, la luce Cherenkov emessa è sostanzialmente isotropa. Facendo ricorso alla schematizzazione in fig. [5.7], è
possibile stimare la quantità di fotoni, prodotti in una regione di volume V, che potenzialmente
raggiungono la superficie di un fototubo di diametro D, posto a distanza r. Poichè la maggior
parte delle interazioni avverranno sufficientemente distante, si può assumere che tutti i raggi
69
5 – Simulazione
Figura 5.7: Schema di rivelazione della luce.
Figura 5.8:
KM3NeT[73] .
Area effettiva di un PMT in
colpiscano il PMT con lo stesso angolo θ . Quindi, detto Nγ il numero di fotoni:
π(D/2)2 cosθ
4πr 2
Nel caso del modulo ottico di KM3NeT (D∼76mm) questo valore è ulteriormente incremenNγ = Nγ0
tato grazie alla presenza dell’optical ring (17mm) che aumenta l’area sensibile effettiva [5.8],
mentre la curvatura della superficie del DOM permette la rivelazione anche di alcuni fotoni
in direzioni θ >π /2. A questo bisogna aggiungere che l’efficienza del fotomoltiplicatore è però
dipendente dall’angolo di incidenza della luce.
Infine, in grandi volumi di acqua, come quelli considerati, l’attenuazione della luce non
può essere trascurata: un’ intensità iniziale I0 , su una distanza x, subisce un degrado definito
mediante il coefficiente di attenuazione lineare µ :
I = I0 e−µx
In fig. 5.9 è mostrato l’andamento di µ in acqua, in funzione dell’energia (µ '2·10−4 /cm
@470nm).
Pertanto i fotoni che raggiungeranno il rivelatore saranno:
Nγ = Nγ0
π(D/2)2 cosθ −µr
e
4πr 2
Infine tenendo in considerazione anche l’efficienza quantica del fototubo (20%@470nm) ed
il suo livello di rumore, la quantità finale di fotoni rilevabili diviene:
Nγ = Nγ0
π(D /2)2 cosθ −µr
e
(Eγ , θ)
4πr 2
che, nel caso che la ”sorgente” sia posta 1m dal rivelatore in direzione θ = 0◦ , considerando
fotoni di lunghezza d’onda pari a 470nm, corrisponde a:
Nγ ∼ Ne · 10−1
70
5.2 – I prodotti del decadimento beta inverso
Secondo le stime presentate in precedenza, si attende che i positroni generati dall’ interazione di decadimento beta inverso ad opera di neutrini nel regime di supernova, in una sfera di
acqua di raggio 10m, produca circa 122 fotoni Cherenkov.
Queste valutazioni qualitative indicano che i neutrini da supernova, seppure di bassa energia, possono in principio essere rilevati attraverso i moduli ottici KM3NeT. Una verifica più
accurata di questa ipotesi è stata realizzata ricorrendo ai programmi di simulazione precedentemente descritti.
I neutroni liberati in acqua mediante la reazione di decadimento beta inverso sono neutroni veloci (0.4MeV / Ecin / 4MeV in corrispondenza di energie di ν̄e tra 10MeV e 70MeV), che urtando con i protoni liberi nell’acqua perdono energia fino a raggiungere la termalizzazione (E=kT).
In media sono necessarie circa 20 collisioni ed un tempo tterm dell’ordine di 10 µ s per raffreddare un neutrone di alcuni MeV alla temperatura rilevata in mare (Tmare '13◦ C, E=24.5meV).
Successivamente alla termalizzazione, il neutrone può essere catturato da un protone o da un
nucleo di ossigeno. Poichè la sezione d’urto per la cattura su ossigeno, in tali condizioni, è
approssimativamente 0.19mb e corrisponde a circa lo 0.06% della sezione d’urto su protone
(σnp '0.33b), quest’ultima risulta quindi nettamente più significativa.
Tale cattura avviene in media dopo 200 µ s dalla termalizzazione ed è accompagnata dall’emissione di un fotone:
n+p → d+γ
di energia pari a 2,225MeV (energia di legame del deutone).
Le interazioni dei fotoni prodotti con la materia sono dominate dall’effetto Compton [fig. 5.9],
la cui sezione d’urto è espressa attraverso la formula di Nishina−Klein[69] .
L’elettrone diffuso (schematizzato come particella libera) può guadagnare in corrispondenza di un urto frontale (fotone che rimbalza indietro) un’energia cinetica massima pari
a:
Kmax = Eγiniz − Eγfin = Eγiniz *1 −
,
mc 2
+ = 1.99M eV
2Eγiniz + mc 2 -
Tale valore risulta al di sopra della soglia Cherenkov e pertanto anch’esso produce un segnale
potenzialmente rilevabile, seppure piu’ debole rispetto a quello da positroni.
Infine, seppure di frequenza notevolmente inferiore al decadimento beta inverso, anche
lo scattering elastico neutrino-elettrone può contribuire ad arricchire le informazioni sulle
supernovae. Il fenomeno potrebbe essere identificato attraverso la rilevazione dei fotoni
Cherenkov emessi dal rinculo dell’elettrone.
La distribuzione angolare dell’elettrone (di energia cinetica K), detto α l’angolo tra la sua
direzione e quella del neutrino incidente, risulta[71] :
cosα =
Eν + me
K
Eν
K + 2 me
71
!2
5 – Simulazione
Confronto tra le possibili interazioni dei
fotoni nella materia.
Coefficiente di attenuazione di massa
µ/ρ per fotoni in acqua (ρ =densità) [70].
Figura 5.9: Fotoni nella materia.
e può essere fittata con una gaussiana il cui centro può dare informazioni sulla direzione
della supernova[72] . Purtroppo nel caso di KM3NeT, tale possibilità non è applicabile in quanto
occorrerebbe una matrice più densa di moduli ottici.
Figura 5.10: Distribuzione angolare degli elettroni dopo scattering elastico con il neutrino
incidente (dati generati per Eν =6MeV).
5.3
Simulazione con Geant
Ho inserito in KM3Sim una sezione relativa alla simulazione delle interazioni da supernova,
denominata LES, Low Energy Simulation.
Il primo passo necessario per il lavoro in Geant è stata l’ importazione delle particelle prodotte dalla simulazione precedentemente realizzata in GENIE, attraverso la lettura del TTree
ROOT, dei dati caratterizzanti.
Le particelle primarie sono così state create per ogni evento attraverso il generatore G4ParticleGun
72
5.3 – Simulazione con Geant
di Geant.
È stato poi creato il file di configurazione per il run della simulazione. Esso contiene le
caratteristiche del target e del rivelatore ed i parametri legati alla simulazione oltre alla possibilitá di una visualizzazione grafica.
5.3.1
Distanza tra i moduli ottici
Sia le particelle direttamente prodotte dall’ incidenza di neutrini da supernova nell’acqua, sia
i fotoni che vengono generati successivamente, attraversano solo un range finito di materia a
causa delle interazioni con il mezzo (acqua marina).
Dunque, ipotizzando un flusso spazialmente omogeneo di neutrini, ci si aspetta che il numero
di eventi effettivamente rilevati dal modulo ottico incrementi all’aumentare del volume considerato, fino ad un certo volume limite, oltre il quale il modulo ottico non riesce a ”vedere”.
A ciò si aggiunge, come vedremo in seguito, la presenza del rumore dovuto al fondo ed al funzionamento del fotomoltiplicatore stesso.
Per valutare tale volume limite ho impiegato la simulazione in Geant inserendo uno dei
moduli ottici di KM3NeT in posizione centrale in un volume target sferico, caratterizzato mediante il suo raggio R[fig. 5.11].
Le simulazioni sono state ottenute su campioni di neutrini di energia fissata pari a 20 MeV di
Figura 5.11: Configurazione utilizzata nella simulazione:
un modulo ottico ospitante 31 fotomoltiplicatori, posto
al centro di un volume target sferico di acqua marina.
un antineutrino elettronico emesso da un supernova che segue il modello di Livermore, posta
alla distanza di 10kpc dal rivelatore, in idrogeno (in GENIE).
In figura [5.12] è rappresentato il flusso degli anti-neutrini elettronici, integrato nel tempo e
basato sul modello che ho utilizzato, considerando un target posto a distanza 10kpc dalla
supernova.
I prodotti sono stati fatti successivamente interagire in acqua marina (in KM3Sim) in corrispondenza di diversi raggi della sfera target. Nel grafico in fig. [5.13] sono presentati i risultati
ottenuti.
73
5 – Simulazione
Figura 5.12: Flusso degli antineutrini elettronici secondo il
modello di Livermore, integrato nel tempo ed a distanza
pari a 10kpc. Il valore medio relativo all’energia associato
a tale distribuzione si verifica in corrispondenza di circa 20
MeV.
Figura 5.13: Andamento del numero di eventi rilevati in corrispondenza di diversi raggi del volume target, su tutto il tempo
di emissioni (circa 10 s). I dati sono stati ottenuti mediante
simulazioni in GENIE e Geant.
Le simulazioni hanno mostrato un andamento coerente con quello atteso ed hanno permesso di individuare il valore del raggio limite in corrispondenza di circa 40 metri (distanza
74
5.4 – Energia dei neutrini rilevati
entro la quale, il numero di eventi risulta circa proporzionale al raggio considerato). Dopo tale
valore l’andamento risulta, con fluttuazioni, circa piatto.
Pertanto nell’ottica della rilevazione di una supernova, tale misura potrebbe essere considerata come distanza minima di separazione tra i moduli ottici al fine di massimizzare le risorse
disponibili senza un’eccessiva perdita di informazione.
Figura 5.14: Istogramma rappresentante il numero normalizzato di eventi rilevati dal modulo ottico in funzione dell’energia del vertice (principalmente positrone-neutrone),
ottenuto in Geant in corrispondenza di un’energia del neutrino incidente pari a 20MeV e con un raggio della sfera
target di 40 metri.
5.4
Energia dei neutrini rilevati
Effettuando analoghe simulazioni in corrispondenza di diversi valori di energia del neutrino
incidente, con il raggio della sfera target stabilito a 40 metri, ho ottenuto i risultati rappresentati nel grafico di figura [5.15].
In corrispondenza di un’energia del neutrino incidente pari a circa 24 MeV, si verifica il massimo di eventi rilevati.
Tale valore è evidentemente correlato con l’andamento degli eventi di decadimento beta inverso, come può essere verificato attraverso il grafico in figura [5.16] rappresentato impiegando il modello di Livermore per lo spettro dei neutrini incidenti e la sezione d’urto relativa
all’interazione già indicata nel capitolo 2.
75
5 – Simulazione
Figura 5.15: Andamento del numero di eventi rilevati in corrispondenza di diversi valori di energia del neutrino incidente
e raggio del volume target di 40 metri.
Figura 5.16: Andamento del numero di eventi previsti
(normalizzato a 1), in funzione dell’energia del neutrino
incidente.
5.5
Sensitività del rivelatore
La possibilità di rilevazione in un telescopio per neutrini di alta energia del flusso di neutrini
provenienti dall’esplosione di una supernova è basata sull’osservazione che un massiccio flusso di neutrini proveniente da una supernova, genererebbe un improvviso aumento collettivo
76
5.5 – Sensitività del rivelatore
nei conteggi dei moduli ottici di un telescopio in un breve tempo (∼ 10s).
La rilevazione in un telescopio sottomarino è però limitata, come avviene per qualunque
altra misura, dalla presenza del rumore di fondo: per valutare la capacità del rivelatore di permettere l’ identificazione di un evento, è essenziale che il segnale sia distinguibile dal rumore.
La componente di disturbo, dovuta alla bioluminescenza risulta essere di più complicata
trattazione in quanto presenta, sovrapposto ad un contributo dovuto alla costante presenza
di attività bioluminescente, picchi sporadici nei conteggi (”burst”) di difficile reiezione.
Al contrario, i conteggi dovuti al decadimento del potassio disciolto in acqua presentano un
comportamento casuale, ma complessivamente circa costante. Globalmente, escludendo i
burst da bioluminescenza, il rate medio di conteggi singoli determinati dal rumore ambientale (e del dark count), rilevato sul modulo ottico, nei siti sottomarini segue una distribuzione
statistica di tipo gaussiano caratterizzata da una deviazione standard σDOM di circa 1156 Hz,
come già mostrato nel capitolo 3 ed in particolare in fig. [3.17].
Il segnale, estrapolato dai risultati della simulazione in coincidenza del raggio individuato precedentemente, per un’energia del neutrino di 20 MeV, risulta pari a circa 115 conteggi per un
modulo ottico, in un tempo di 10s.
Considerato l’andamento esponenziale nel tempo, del flusso di neutrini rappresentato in
figura [1.9], può essere opportuno riferirsi all’ intervallo di tempo relativo al primo secondo
dall’evento di supernova, tempo durante il quale il numero di neutrini in arrivo è molto più
massiccio, raggiungendo in un decimo del tempo circa il 50% del totale (ovviamente tale intervallo di tempo è passibile di variazioni a seconda del modello di riferimento).
In corrispondenza del valore medio di 20 MeV dei neutrini incidenti, secondo il modello adottato, il segnale SDOM rilevato nel primo secondo comprende, dunque, circa 60 eventi.
Nel caso di un solo modulo ottico, considerando di voler distinguere il segnale dal rumore con un confidence level di 99.7% (3σ ), non si potrebbe giungere alla rilevazione di una
supernova:
SDOM [∆t= 1s] < 3σDOM [∆t= 1s]
In generale, però, aumentando il numero di moduli ottici impiegati si ottiene (sempre nell’ipotesi di un flusso di neutrini omogeneo nel volume target) una crescita del segnale (SN )
maggiore rispetto a quella della deviazione standard (σN ).
Detto NDOM il numero dei moduli:
q SN = NDOM√·SDOM
P 2
σDOM = NDOM · σDOM
σN =
e la sensitività del rivelatore, definita come rapporto tra SN e σN risulta proporzionale alla
radice di NDOM .
77
5 – Simulazione
Per identificare il segnale di una supernova di caratteristiche analoghe a quelle considerate, sono dunque necessari:
NDOM > (3· S DOM )2 '3000 moduli ottici.
σ
DOM
Inoltre dato che l’intensità del segnale è inversamente proporzionale al quadrato della distanza D tra la supernova ed il rivelatore:
√
sensitività (D)=
NDOM ·SDOM(10k pc)
σDOM ·D 2
dove D è espresso in kpc e SDOM (10kpc) quantifica il segnale rilevato in corrispondenza della
supernova di riferimento posta a 10kpc.
La richiesta di moduli ottici per rilevare una supernova che esplodesse ad una distanza di D
kpc corrisponde quindi circa a: 0.3·D4 [kpc].
78
CAPITOLO
Conclusioni
In questo lavoro di tesi mi sono occupata di studiare, mediante simulazioni, la rilevazione in
un telescopio sottomarino, di una possibile esplosione di supernova di tipo core-collapse, con
caratteristiche analoghe alla famosa SN1987A, che ha rappresentato per ora l’unica concreta
sorgente delle informazioni sperimentali note.
L’eventualità che si ripeta un tale evento all’ interno della nostra galassia è piuttosto rara, ma
non nulla: si prevede una esplosione di supernova di tipo II circa ogni 100 anni.
I telescopi sottomarini come l’esperimento KM3NeT, seppure progettati per rilevare neutrini di alte energie, offrono una buona possibilità di rilevazione per le supernove, in quanto in
grado osservare grandi volumi di materia (acqua marina) schermata dai raggi cosmici, poichè
posta a grandi profondità, in cui i neutrini possono interagire ed essere registrati attraverso
una folta matrice di rivelatori Cherenkov. Infatti, come ho verificato sia in letteratura, sia mediante le simulazioni in GENIE, il principale canale di interazione con l’acqua è rappresentato
dal decadimento beta inverso in cui l’antineutrino elettronico interagisce con il protone generando un neutrone ed un positrone. Quest’ultimo acquisendo energie sufficienti, si identifica
come la maggiore fonte di fotoni ottici, diffuse proprio mediante effetto Cherenkov.
Nonostante cìo, tali apparati non sono ottimizzati per rilevare le basse energie tipiche
di tali neutrini (inferiori ai 100 MeV) che pertanto, potrebbero produrre un segnale debole
rispetto al rumore ambientale presente nelle profondità marine e dovuto principalmente al
decadimento del potassio 40 disciolto, alla presenza di attività biologica luminescente e al
rumore elettronico dei fotomoltiplicatori.
Attraverso simulazioni in KM3Sim, software sviluppato a partire da Geant per descrivere
proprio il rivelatore KM3NeT, ho quindi cercato di qualificare i principali parametri che un reticolo di moduli ottici dalle caratteristiche tecniche di quelle selezionate per l’esperimento
dovrebbe possedere per permettere la rilevazione di una supernova.
Il segnale che giungerebbe sulla Terra in caso di una tale esplosione è stato approssimato
mediante il modello di Livermore, trascurando gli effetti di oscillazione ed ipotizzato come
79
6
6 – Conclusioni
uniformemente distribuito.
Ho quindi verificato che ogni modulo ottico può rilevare senza un’eccessiva perdita di efficienza, neutrini (di energia pari all’energia media degli antineutrini elettronici) interagenti in
un volume di raggio circa 40 metri. Tale distanza potrebbe essere considerata nella progettazione di un rivelatore per massimizzare le risorse e coprire un maggiore volume totale.
Considerata tale separazione tra i moduli, inoltre, per poter identificare un segnale prodotto
da supernova con un confidence level di 3σ , nel caso di una supernova di distanza analoga
alla SN1987A questo equivale a mettere in campo circa 3000 moduli ottici di KM3NeT, maggiori
distanze restano attualmente di difficile osservazione.
Lo studio da me effettuato è da considerarsi solamente preliminare. Il disegno del Digital
Optical Module che include 31 PMT può fornire ulteriori informazioni. Ad esempio, per rendere
più efficiente la rilevazione, la soluzione più immediata è sicuramente quella di impiegare le
coincidenze multiple tra i fotomoltiplicatori (cioè la capacità di identificare lo stesso evento
simultaneamente da diversi fotomoltiplicatori) di uno stesso DOM per applicare una efficace reiezione del rumore ed alzare la sensitività del rivelatore. Così pure l’ identificazione di
neutrini di diversa origine (atmosferica, cosmica) può essere utile a discernere il segnale da
supernova.
Date le peculiarità del segnale proveniente da supernova, il rivelatore non è sensibile alla direzione dei neutrini incidenti e pertanto non permette la localizzazione nel cielo del punto di
origine. Tuttavia l’informazione temporale di ciascun evento potrebbbe fornire la possibilità
di determinare la direzione sfruttando un metodo di triangolazione tra due telescopi sottomarini (come applicato ai fini della rilevazione delle onde gravitazioni dalla collaborazione
Ligo-Virgo).
80
Allegati
APPENDICE
Sezioni d’urto in GENIE
Sinistra:
ν̄e su H.
Destra:
ν̄e su 16 O.
83
A
A – Sezioni d’urto in GENIE
Sinistra:
νe su H.
Destra:
νe su 16 O.
Sinistra:
ν̄mu su H.
Destra:
su
ν̄mu
16
O.
84
Sinistra:
νmu su H.
Destra:
νmu
16
O.
Sinistra:
ν̄τ su H.
Destra:
ν̄τ su 16 O.
85
su
A – Sezioni d’urto in GENIE
Sinistra:
ντ su H.
Destra:
ντ su 16 O.
86
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