TEORIA E OSSERVAZIONI: storia di un`antica lotta

L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
TEORIA E OSSERVAZIONI:
storia di un’antica lotta
S
crivevo sul numero di marzo di
quest’anno di Le Stelle (n. 93), in
questa stessa rubrica, che c’è una
cosa ancor più eccitante della formulazione di una teoria elegante in grado di spiegare molti fenomeni: è la scoperta di qualcosa che la mette in crisi, un’osservazione
o un risultato che non trova spiegazione
all’interno della teoria e che, se confermato, ne richiede la revisione se non addirittura l’abbandono.
Allora mi riferivo alla soddisfazione che
dovevano aver provato i colleghi che avevano scoperto l’esistenza di un ammasso
di galassie già formato quando l’Universo
aveva solamente tre miliardi di anni, in
contraddizione con quanto prevedono i
modelli correnti di formazione delle strutture barioniche.
Analogamente, devono essersi divertiti
i colleghi che hanno studiato la piccola
stella SDSS J102915+172927 nella nostra
galassia, che sembra essere composta solamente da idrogeno ed elio, come se si fosse formata prima che venissero sintetizzati
gli elementi più pesanti (v. pp.16-17). Alla
faccia delle teorie di formazione stellare
che non prevedono che stelle così potessero formarsi, perché le nubi di gas progenitrici non erano sufficientemente massicce
da collassare.
Be’, nulla in confronto all’euforia (e allo
sgomento, credo) che devono aver provato
i ricercatori dell’INFN - Laboratori Nazionali del Gran Sasso, nonché quelli del
CERN, man mano che l’analisi dei dati
raccolti dall’esperimento OPERA andava
mostrando che i neutrini sparati da LHC
verso i loro rivelatori avevano viaggiato a
una velocità leggermente superiore alla velocità della luce.
10 • Le Stelle n. 100 • Novembre 2011
Alla ricerca di conferme
o smentite
Se confermato – e una conferma indipendente in questo caso è più che mai necessaria – questo risultato metterebbe in crisi
uno dei pilastri della fisica moderna. Sto
parlando della relatività di Einstein, una
delle teorie a tutt’oggi più accreditate e
verificate.
“Extraordinary claims require extraordinary
evidence” affermò una volta Carl Sagan,
riferendosi all’eventuale scoperta di intelligenze extraterrestri. Questa sua affermazione si adatta bene anche al caso in questione: ne sono perfettamente consapevoli
i ricercatori del CERN e dei Laboratori
Nazionali del Gran Sasso.
È inevitabile quindi che nei prossimi anni
molti sforzi vengano dedicati a confermare o smentire questo clamoroso risultato
Piero Bianucci
Tommaso
Maccacaro
Istituto Nazionale
Giornalista
scientifico.
di Astrofisica, Milano
che sembra mettere in discussione molte
delle certezze che i fisici hanno accumulato in questi cento anni trascorsi a partire
dalla “rivoluzione einsteiniana”.
Una conferma avrebbe l’impatto di una
ulteriore rivoluzione scientifico-culturale,
e ci porterebbe ad addentrarci in territori
inesplorati. Si comprende quindi la grandissima cautela con cui l’argomento è stato affrontato, e l’enorme risonanza che ha
avuto sui media e nei laboratori di tutto
il mondo.
Una smentita, d’altra parte, farebbe invece tirare a molti un respiro di sollievo,
accompagnato magari da una frase del
tipo: «Peccato, sarebbe stato interessante
se fosse stato vero…».
I fisici teorici, senza attendere conferme o
smentite, dovranno comunque arrovellarsi a immaginare contesti in cui inquadrare
La risonanza della notizia pubblicata dal team dell’esperimento OPERA è andata ben oltre la
comunità di accademici.
L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
l’apparente comportamento anomalo dei
neutrini.
Chi preferisse aspettare la conferma per
pensarci sarebbe infatti svantaggiato rispetto ai colleghi più temerari; questi,
tuttavia, corrono il rischio di esporsi proponendo teorie alternative basate su un
“inciampo”. Sempre che di inciampo si
dovesse trattare.
Quando la teoria vince
sulle nuove osservazioni
È un confronto molto particolare quello
che si viene a creare quando una splendida teoria che è stata ripetutamente validata, e che spiega elegantemente molti
fenomeni, va in rotta di collisione con un
dato sperimentale, con un’osservazione in
contrasto con la teoria stessa.
Quando questo accade, a volte la teoria in
questione viene abbandonata, altre volte
sopravvive e anzi la sua validità viene ulteriormente confermata.
Questi sono i casi in cui il dato osservativo discordante viene spiegato invocando
qualcosa di nuovo che lo riconduce all’interno della teoria, e che permette di risolvere così la discordanza.
Penso per esempio allo studio dell’orbita di
Urano, che imbarazzò la comunità degli
astronomi poiché violava apparentemente
le previsioni della meccanica newtoniana.
Il problema fu poi risolto salvando la meccanica newtoniana e postulando l’esistenza di un pianeta perturbante sconosciuto.
Il pianeta fu successivamente scoperto osservando la regione di cielo dove i calcoli
sulle perturbazioni dell’orbita di Urano
suggerivano si dovesse trovare il nuovo
pianeta, che fu chiamato Nettuno.
E i neutrini?
Anche i neutrini, gli stessi neutrini che ora
imbarazzano la teoria della relatività e minano le nostre certezze, furono immaginati per “salvare” qualcosa a cui i fisici erano
estremamente affezionati, qualcosa che
erano pronti a difendere con ogni mezzo:
il principio di conservazione dell’energia.
Ecco dunque che nel 1931 Pauli “inventò” l’esistenza di una particella senza massa e senza carica, che serviva per spiegare
quanto si osservava nei decadimenti beta.
In queste reazioni, apparentemente,
l’energia dei prodotti (un protone e un
Immagine del pianeta Nettuno. La sua esistenza era stata prevista per “salvare” la teoria
newtoniana. Allo stesso modo, i neutrini nacquero per non rinunciare al principio di
conservazione dell’energia.
elettrone) era inferiore, e in maniera variabile, all’energia del neutrone che decadeva.
L’introduzione del neutrino (la particella
fu così battezzata da Enrico Fermi, che
le trovò collocazione nella teoria delle
interazioni deboli) permetteva di salvare
il principio di conservazione attribuendo
al neutrino l’energia che mancava per far
tornare i conti.
Dalla formulazione di Pauli alla verifica
sperimentale dell’esistenza del neutrino
passarono più di venticinque anni, a dimostrazione di quanto questa nuova particella fosse elusiva e difficile da studiare,
a causa della sua bassissima probabilità di
interagire con la materia.
Esistono tre famiglie di neutrini, dette in
gergo tecnico “sapori”. Al neutrino “elettronico”, invisibile compagno dell’elettrone nel decadimento beta, si sono poi
aggiunti un neutrino “muonico” e infine
un neutrino “tau” associati agli altri due
leptoni elettricamente carichi.
Inizialmente concepiti come particelle
a massa nulla (e che quindi si potevano
muovere alla velocità della luce!), i neutrini sono ora considerati avere massa,
piccola, ma non nulla. Pertanto, la velocità della luce per queste particelle dovrebbe rappresentare un limite non raggiungibile.
Oscillo, dunque ho massa
Le stelle, a seguito delle reazioni nucleari
che continuamente hanno luogo al loro
interno, sono poderose sorgenti di neutrini. Il Sole stesso ci irraggia con enormi
quantità di queste particelle.
Misure del flusso dei neutrini solari hanno
mostrato per anni che la quantità di neutrini osservata era circa un terzo di quella
prevista dalle teorie che regolavano le reazioni nucleari.
Questa discrepanza, per molto tempo inspiegabile e attribuita a errori strumentali,
è stata compresa solamente quando si è
realizzato che i neutrini possono “oscillare” da un sapore all’altro durante il tragitto dal Sole alla Terra; in questo modo, due
terzi dei neutrini sarebbero effettivamente
sfuggiti alla rivelazione da parte di strumenti ottimizzati per vederne soltanto un
particolare tipo.
La validazione della teoria di “oscillazione” dei neutrini implicava che questi
fossero dotati di massa anche piccola;
questo a sua volta implicherebbe l’impossibilità di raggiungere la velocità della
luce, che è il comportamento apparentemente violato dai neutrini studiati al
Gran Sasso.
Che bellezza: ci sono ancora moltissime
cose che non sappiamo e che non capiamo. Mettiamoci dunque a studiare!
Le Stelle n. 100 • Novembre 2011 • 11