RSI Lugano, Auditorio Stelio Molo
N
e
2005—2006
Domenica
17.30
o
30.10.05
29.1.06
26.2.06
19.3.06
v
e
c
e
p r e s e n t e
n
6 concerti
per ascoltare e capire la musica
degli ultimi cento anni
2.4.06
30.4.06
t
direzione artistica e musicale
Giorgio Bernasconi
Conservatorio
della Svizzera italiana
Studenti e insegnanti
della scuola universitaria
o
Un progetto di
Cooperativa Migros Ticino
Presentazioni di
Guido Salvetti
con il sostegno di
Commissione culturale cantonale
Entrata libera
2005
N
e
o
Giuseppe Clericetti
2006
v
e
c
e
p r e s e n t e
n
t
o
Non è cedere ad un luogo comune affermare che nel campo della musica, proprio come negli altri campi – dell’arte, della conoscenza, della morale e della pratica sociale –, il XX secolo è stato un secolo di crisi. Dopo
la sua rivoluzione dodecafonica, Schönberg è nuovamente tentato dalla
tonalità; dopo il fragore del Sacre du printemps, Stravinskij abbraccia il
neoclassicismo. Dopo la seconda guerra mondiale, i «giovani turchi» di
Darmstadt rimettono nuovamente in discussione, in modo molto più radicale, il linguaggio tonale che, nell’arco di tre secoli, era servito da fondamento dell’espressione musicale d’Occidente, ma neppure il serialismo diventerà il nuovo linguaggio musicale universale, come non trionferà
la società proletaria, universale e senza classi. Dopo il radicalismo del
discorso e la sperimentazione sistematica, è la volta di un periodo di
progressiva disaffezione del pubblico nei confronti della musica «seria»
contemporanea. Vengono riabilitate alcune correnti «conservatrici» del
passato. Certi compositori auspicano l’avvento di una nuova semplicità;
altri tendono la mano alle musiche industriali onnipresenti e con le quali
crescono i giovani d’oggi; altri infine propongono il ritorno alla tonalità.
Al termine del percorso, senz’altro mai sarà stato così necessario interrogarsi sull’avvenire della musica come adesso, dopo un secolo attraversato da fratture, da ritorni, da perplessità, da polemiche.
La lunga e densa citazione è di Jean-Jacques Nattiez, direttore di un’importante
impresa editoriale dedicata alla musica: la recente Enciclopedia della musica
pubblicata in cinque volumi da Einaudi, un’opera che, come scrive lo stesso Nattiez, «si basa sulla scommessa di un nuovo concetto di enciclopedia musicale».
È mia intenzione partire proprio da questo nuovo concetto, per una riflessione sulla ‘musica del Novecento’ e su come essa sia considerata, pensata, proposta nel
2005/2006.
Tra i vari modi di intendere un’enciclopedia della musica, Nattiez evita quello storico e punta alla molteplicità e al rinnovamento degli approcci, cercando di illustrare
i nuovi interrogativi a proposito delle musiche: ecco quindi la coesistenza, in un’unica enciclopedia, di punti di vista distinti, di scuole di pensiero diverse, come distintivi e diversi sono in realtà i modi di affrontare e comprendere ciascuna delle
sfaccettature del mondo musicale. Fatto significativo, l’Enciclopedia si apre con
un volume dedicato esclusivamente al Novecento, situandolo così al centro della
riflessione metodologica in musicologia, e sottolineando gli interrogativi e le crisi
evocate nella citazione del nostro inizio. Ma non è solamente la scelta programmatica nella distribuzione tematica dei cinque volumi costituenti l’Enciclopedia a
farci riflettere: a dimostrare la centralità della musica del Novecento nella musicologia contemporanea è soprattutto l’articolazione interna di questo primo volume.
Attraverso i 65 articoli affidati a 54 autori diversi (un’altra caratteristica dell’Enciclopedia è quella di essere costituita da una miscellanea di saggi), capiamo una
volta di più la complessità e l’eterogeneità del secolo appena trascorso, dove i
momenti di invenzione, di rivoluzione o di rottura stanno accanto o si alternano a
fasi di prolungamento o di ritorno a stili del passato. È ancora Nattiez a ricordarci
che il XX secolo è stato il secolo della coesistenza e della diversità delle tendenze: è sintomatico constatare come il 1909 sia l’anno del terzo Concerto di Rachmaninov ma anche di Erwartung di Schönberg; che la Sinfonia classica di Prokofiev e le Etudes di Debussy siano entrambe del 1915; che Gianni Schicchi e
l’Histoire du soldat siano coevi, del 1918; che Intégrales di Varèse preceda di un
anno la Turandot (1924/25); che Richard Strauss scriva i Vier letzte Lieder esattamente lo stesso anno, 1948, nel quale Boulez compone Le soleil des eaux. E allora
se nella prima parte del Volume primo (Torino 2001, pp. LVIII + 1333), «Ricerche e
tendenze», si raggruppa tutto ciò che concerne la musica cosiddetta ‘seria’ e si
parla di avanguardie, modernità, post-romanticismo, elettroacustica, neoclassicismo, e ovviamente dei protagonisti, da Debussy a Stockhausen, eccoci subito
dopo immersi nei «Piaceri e seduzioni», seconda parte, con i contributi sulla canzone, il musical, il jazz, la musica nel cinema, la musica negli ambienti, nella pubblicità e nei videoclip, la popular music, la techno, il rap. Largo spazio è pure concesso ai fenomeni di ricezione musicale: alla riproduzione (dal rullo di cera al CD),
alla radio, alla televisione, al concerto rock e al festival di musica strumentale e
operistica, fino a toccare argomenti come l’editoria e gli aspetti economici della
vita musicale.
Il volume termina con una sezione che si occupa di ‘intersezioni’ e ‘contaminazioni’, dell’incontro di tendenze o correnti a lungo separate: dall’influenza della
musica africana sul jazz alla migrazione planetaria del tango, dalla world music per
giungere al cosiddetto ‘postmoderno’, cioè la mescolanza degli stili e dei generi,
l’ispirazione al passato, la moltiplicazione delle citazioni, l’equivalenza delle varie
culture musicali: l’impurità assunta a nuovo modello artistico. La musica del Novecento significa tutto ciò, ci dimostra Nattiez attraverso questa serie di spaccati
orizzontali: la monumentale iniziativa editoriale della Einaudi, con il Novecento
situato in prima posizione e con la complessa articolazione assegnata alla riflessione scientifica nei riguardi del XX secolo, ci testimonia il maturato interesse degli
studi musicologici verso il periodo che è al centro delle nostre stagioni concertistiche di Novecento e presente. Un interesse che sembra consolidato anche a livello
regionale, vista l’importante e costante presenza di pubblico nella scorsa stagione
di Novecento, nonché il grande successo tributato dal pubblico della Svizzera italiana a stagioni concertistiche che, recentemente, hanno presentato nei loro programmi, rivolti a un auditorio vasto, un’importante percentuale di composizioni
scritte nel Novecento: è stato il caso dei Concerti d’autunno 2004 dell’Orchestra
della Svizzera italiana al Palazzo dei Congessi di Lugano (dove Ionisation di Varèse
faceva bella mostra di sé addirittura accanto alla quinta Sinfonia di Mahler) e, con
composizioni di rarissima esecuzione, nei Concerti pubblici di Rete Due, dedicati
nel 2005 ai compositori britannici, perlopiù operanti nel XX secolo. La partecipazione intelligente e incuriosita del pubblico ha pure contraddistinto un’altra iniziativa svizzeroitaliana, originale per la formula: la Via lattea, giunta nel 2005 alla
seconda edizione, con importanti omaggi ad Anton Webern e Giacinto Scelsi, e
con una buona fetta della programmazione orientata al Novecento: un Novecento,
che grazie ad iniziative editoriali, musicologiche, concertistiche come quelle citate,
si presenta in tutta la complessità e importanza che gli dobbiamo, da cultori appassionati e onnivori dei fatti musicali.
Giorgio Bernasconi
Nato a Lugano, si è diplomato in corno al Conservatorio G. Verdi di Milano. Ha
proseguito gli studi presso la Hochschule für Musik di Friburgo in Germania dove
ha studiato composizione con Klaus Huber e direzione d’orchestra con Francis
Travis, diplomandosi nel 1976.
È stato per anni animatore e direttore del Gruppo Musica Insieme di Cremona, con
il quale ha svolto un’intensa attività concertistica. Ha collaborato con la cantante
Cathy Berberian con la quale ha effettuato numerosi concerti in Italia e all’estero.
Dal 1982 è regolarmente invitato a dirigere l’Ensemble Contrechamps di Ginevra
con il quale, oltre ad essere costantemente presente nelle più importanti sedi
concertistiche europee, ha effettuato tournées in Sudamerica, India, Giappone,
Russia.
Parallelamente a questa attività è spesso ospite di diverse orchestre italiane e straniere quali l’Orchestra della Svizzera italiana, l’Orchestra Sinfonica dell’Emilia Romagna «Arturo Toscanini», l’Orchestra Nazionale Belga, la Tokyo Symphony Orchestra, l’Orchestra Filarmonica di Radio France.
Dal 1999 si occupa dei concerti di musica da camera dedicati al repertorio novecentesco presso il Conservatorio della Svizzera italiana, dove è titolare dell’insegnamento della direzione d’orchestra per il repertorio contemporaneo.
Domenica 30 ottobre 2005
Lugano, Auditorio Stelio Molo RSI, 17.30
Arthur Honegger
1892-1955
Le Roi David
Psaume symphonique en trois parties d’après le drame de René Morax
per soprano, mezzosoprano, tenore,
recitanti e orchestra da camera
Chœur de l’Université de Fribourg
maestro del coro Pascal Mayer
Joelle Delley, soprano
Simone Chevalley, mezzosoprano
Michael Mülhauser, tenore
Charles Sudan, voce bianca
Eörs Kisfaludy, recitante
Yvette Théraulaz, recitante
Domenica 29 gennaio 2006
Lugano, Auditorio Stelio Molo RSI, 17.30
Paul Dessau
1894-1979
Musiche per i film muti di:
Walt Disney
Four Alice Comedies:
Alice in the Wooly West
Alice the Firefighter
Alice’s Monkey Business
Alice Helps the Romance
e
Ladislaw Starewicz
L’horloge magique:
L’horloge magique
La forêt enchantée
per orchestra da camera
Domenica 26 febbraio 2006
Lugano, Auditorio Stelio Molo RSI, 17.30
Fabrizio Rosso
Luciano Berio
*1969
1925-2003
Sequentia-Traum
per voce ed elettronica
Luisa Castellani, voce
Bruno Maderna
1920-1973
Continuo
Solo Tape
Karlheinz Stockhausen
*1928
Komet
per percussioni e nastro magnetico
Pietro Luca Congedo, percussioni
Fausto Romitelli
1963-2004
Amok Koma
per ensemble ed elettronica
Allestimento: Alessandro Sciaraffa
Regia suono: Fabrizio Rosso
Domenica 19 marzo 2006
Lugano, Auditorio Stelio Molo RSI, 17.30
Erik Satie
1866-1925
Parade
ballet réaliste en un tableau
per mimi e orchestra
trascrizione per orchestra da camera
di Mathias Steinauer
Igor Stravinskij
1882-1971
Renard
Histoire burlesque chantée et jouée
per mimi,voci e strumenti
Scenografie e costumi:
SUPSI – Sezione Arti Applicate
Mimica: Scuola Teatro Dimitri
Regia: Joe Fenner
Coreografia: Corinna Vitale
Domenica 2 aprile 2006
Lugano, Auditorio Stelio Molo RSI, 17.30
Giovanni Bataloni
*1969
Os Sonhos Nao Envelhecem
per coro di bambini e strumenti
Leonard Bernstein
1918-1990
Danze sinfoniche
da West Side Story
per 2 pianoforti e 2 percussionisti
Filippo Rosini e Jasmine Croci, pianoforte
Mircea Ardeleanu, percussioni
Ivo Antognini
Jazz
per coro di bambini e strumenti
Coro Clairière
Direzione Brunella Clerici
*1963
Domenica 30 aprile 2005
Lugano, Auditorio Stelio Molo RSI, 17.30
Arnold Schönberg
1874-1951
Musica di accompagnamento per una scena cinematografica op. 34
Trascrizione per orchestra da camera di Johannes Schoellhorn
«Un’altra città», Video di Carlo Ippolito
produzione TSI
Klaus Huber
*1924
Beati pauperes III
per pianoforte, chitarra e 4 percussionisti
Dmitrij Šostakovič
1906-1975
Suite per due pianoforti op. 6
I. Prelude, II. Fantastic Dance, III. Nocturne, IV. Finale
Alessandro D’Onofrio e Carmine Palermo, pianoforti
Jean-Claude Schlaepfer
*1961
Chant de lune
per ensemble
Paul Hindemith
1895-1963
Kammermusik n.1 op.24
con Finale 1921
per 12 strumenti solisti
Animazione video a cura della SUPSI
Sezione Arti applicate
Il concerto sarà preceduto da un’intervista a Carlo Ippolito e dalla proiezione del Video
con Cathy Berberian interprete di Stripsody
Conservatorio
della Svizzera italiana
Il Conservatorio della Svizzera italiana (CSI), è l’unica istituzione in Svizzera che
offra una formazione musicale professionale in lingua italiana in grado di richiamare studenti provenienti da tutto il mondo: Nord e Sud America, Russia, Giappone,
Corea, Australia, e naturalmente Europa e Svizzera. Oltre al Bachelor triennale, la
Scuola Universitaria del CSI offre quattro corsi di studio (Master) per il conseguimento del Diploma di Pedagogia Musicale, Diploma di Perfezionamento, Diploma
di Solista, Diploma di Educazione Musicale Elementare, Diploma di Direzione
d’Orchestra di Fiati, Diploma di Direzione per il Repertorio Contemporaneo. Particolare rilievo è stato dato allo studio della «nuova musica», alla sua esecuzione ed
alla sua interpretazione. Ciò si realizza attraverso importanti collaborazioni con
compositori attivi a livello internazionale, e la recente istituzione di un Centro di
Competenza per lo studio della Musica Contemporanea «Spazio21».
Il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo (DRS), ha l’obiettivo di implementare la ricerca e verificarne le possibili applicazioni. A questo scopo, particolare importanza è
stata data agli studi legati alla Psicologia, alla Fisiologia e alla Pedagogia della
musica, grazie anche alla collaborazione con istituzioni prestigiose, come il Royal
College of Music (Londra), e la New York University (USA) insieme agli studi sulla
ricezione musicale.
La stretta continuità tra il lavoro del DRS e quello del Dipartimento Servizi ha permesso la realizzazione d’occasioni d’aggiornamento professionale di rilievo internazionale (Zoning In, Aaron Williamon – Royal College of Music, String instruments
Group teaching and orchestra, Robert Culver – University of Michigan School of
Music, Manfredo Zimmermann). Queste si collocano accanto ad un programma
di post-formazione ampiamente articolato, che spazia dalla Pedagogia Musicale,
all’Educazione Musicale Elementare, al Perfezionamento Strumentale, e che mira
alla costante riqualificazione dei docenti di musica.
Attraverso il lavoro del DRS il Conservatorio si è anche profilato per la sua funzione
culturale a livello regionale, con la realizzazione del Dizionario dei Musicisti della
Svizzera italiana, l’approfondimento sulla stagione del Festspiel nella Svizzera italiana (ottobre 2005), e l’avvio di un progetto di ricerca sull’opera vocale di Carlo
Donato Cossoni (2005-2006).
Il 2005 ha visto la conclusione delle ultime formalità per il conseguimento definitivo del riconoscimento federale di Scuola Universitaria di Musica. È inoltre in discussione avanzata il contratto di affiliazione alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana (SUPSI).
30 ottobre
Arthur Honegger, Le Roi David
Spirito estremamente dinamico, grande amante di numerosi sport e della sua lussuosa Bugatti – con la quale sfrecciava anche a 120
km all’ora – Arthur Honegger (Le Havre 1892 – Parigi 1955), concepì tutta la sua produzione musicale nel segno di un libero e fascinoso eclettismo, ricco di fermenti e di vitalità, che lo portò a scrivere molte opere da camera, svariate liriche per pianoforte, molta
musica per orchestra, tra cui 5 vivaci sinfonie, e numerose composizioni per teatro – oscillando, con sorprendente facilità, tra miti
moderni (Skating Rink, Pacific 231) e miti antichi e biblici (Il re Davide, Judith, Saul, Prométhéé, Antigone). Nel 1916 entrò a far parte
del Gruppo dei Sei, insieme a Milhaud, Auric, Poulenc, Durey e Tailleferre. Non avevano un preciso programma, non volevano cambiare il mondo, non erano ancorati a particolari ideologie, ma erano convinti, ciascuno a suo modo, che la musica aveva bisogno di
maggior semplicità e freschezza. Amici di Jean Cocteau, avevano trovato nella sua brillante estroversione un piacevole altoparlante.
Tuttavia Honegger attenuò presto quegli intenti polemici, recuperando una scrittura musicale sempre più vicina ai nobili modelli del
contrappunto classico e al sommo esempio di J.S. Bach. Ne è esemplare testimonianza Il re Davide, Salmo sinfonico da un dramma
di René Morax, in tre parti e ventisette episodi, ultimato il 28 aprile 1921. Un’opera di un vasto lirismo, che con originale maestria sa
coniugare i solenni esempi del corale barocco con le nuove timbriche di Ravel e Debussy.
29 gennaio
Paul Dessau Musiche per film muti
Paul Dessau è una delle grandi figure della musica del Novecento, ancora poco conosciute. Forse per essere vissuto molti anni isolato
nella DDR, la Germania dell’Est; forse per essere considerato troppo spesso un semplice, efficace braccio di Bertold Brecht – con il quale collaborò alacremente a partire dai primi anni Quaranta ad Hollywood; forse per aver scritto una musica spesso dodecafonica, ma
sempre temperata da contaminazioni melodiche e tonali. Fu un uomo estremamente aperto e democratico, la cui poetica fu sempre improntata «a un profondo senso etico e sociale della musica, imperniato sui valori della solidarietà, dell’uguaglianza, della lotta contro
l’oppressione.» Partì da posizioni stravinskiane e hindemithiane – sempre entusiasta per un musica semplice, chiara, facilmente fruibile (Gebrauchmusik) – poi abbracciò il verbo di Schönberg, che considerava «il padre della nostra arte contemporanea»; il maestro venerato al quale mai osò far vedere una sua composizione. Con l’avvento di Hitler, nel 1933, emigrò prima a Parigi (dove strinse una lunga amicizia con il massimo apostolo della dodecafonia: René Leibowitz), poi negli Stati Uniti, dove visse facendo il giardiniere, il copista,
e l’insegnante; e componendo per i film di Hollywood, sotto falso nome o in anonimato, una enorme quantità di colonne sonore. Nel
1948 ritornò a Berlino, dove proseguì l’intensa collaborazione con Bertold Brecht (Madre Coraggio, 1946; L’anima buona di Sezuan,
1948; La condanna di Lucullus, 1951) e dove il suo puro comunismo soffrì a contatto con il comunismo reale.
Nel 1928, dopo aver litigato con Bruno Walter all’Opera di Berlino, divenne direttore del teatro Alhambra: un luogo funzionale e pittoresco, dove compose ed eseguì molta musica per film muti. Tra questi alcuni capolavori di Walt Disney, Le quattro commedie di Alice,
del 1928-29, e L’orologio magico (1928) di Ladislaw Starewicz. Una musica magica, misteriosa, contemplativa; suoni apparentemente
´
semplici per tredici esecutori; un umile commento a squisiti cartoni animati – perle del grande Walt Disney – che ad un attento ascolto
riveleranno un’amorevole aura di leggerezza e contrappunto, melodia e grazia.
26 febbraio
Rosso/Berio,Sequentia-Traum
«dalle rovine circolari, una Sequenza insegue un sogno… essere Luisa. Luisa sogna Sequenza e da Sequenza è sognata, riflesso l’uno
dell’altra, suono del suono. Così ho costruito il mondo onirico sulla Sequenza III, che si manifesta in un caos impersonale, in un gioco
di riflessi sonori, per poi giungere alla continuità scritta, riportata, fino alla cristallizzazione assoluta su nastro dove anche l’interprete
è annullato… Il pezzo estremizza quella «polifonia di umori» già tutta materia originale e la traduce in un pericoloso gioco creativo fatto di riflessi, di rovine, di proiezioni, di trasformazioni, di sospensioni e manipolazioni sonore. Come i sogni edificano significati simbolici a partire da esperienze vissute così si costruisce il disgregarsi-raggirarsi, il divenire, il venir meno, del doppio sogno di Sequenza
e di Luisa.
Sequentia-Traum è la composizione di un ascolto possibile, sognato con minuziosa interezza e pallidamente restituito alla realtà.
Si realizza tecnicamente grazie ad una quadrifonia tetraedrica, che attraverso un’unica direzione del flusso sonoro apre a tutte le
dimensioni, sintesi estrema dei movimenti e degli spazi percepibili». (Fabrizio Rosso)
Bruno Maderna, Continuo
Il titolo del pezzo fa riferimento al gioco dei suoni tenuti, assaporati e condotti attraverso una grande varietà di fascinosi e «continui»
cambiamenti timbrici. Il continuo del suono non può essere separato dal suo trasformarsi in altro, in una infinita gamma di colori notturni, uniformi, in una variazione permanente. Il materiale usato è fondamentalmente derivato dall’elettronica pura, utilizzando soprattutto strati filtrati di suono bianco (il suono bianco è la somma di tutte le frequenze e, anche se in maniera incompleta, corrisponde al
frusciare di una radio non sintonizzata; chi volesse scoprire una specie di suono bianco in natura non dovrebbe far altro che avvicinarsi a un torrente o a una cascata.) La tecnica utilizzata da Maderna è fondamentalmente empirica, il che significa essere sensibile agli
stimoli che la stessa materia sonora suggerisce. In questo costante «interrogare» per poi approdare a nuove domande, la prassi della
composizione elettronica si lega alla tradizione. Il risultato è però un’opera per sempre impressa su nastro, come un dipinto sulla tela,
una sorta di scultura sonora, sempre aperta nel suo significato ma fissata nel suo divenire. (Fabrizio Rosso)
Karlheinz Stockhausen, Komet
Dall’episodio per elettronica e voci bianche «la guerra dei bambini», parte dell’opera Freitag aus Licht, Stockhausen ha ricavato
l’estratto Komet, per nastro magnetico su quattro tracce e solista al sintetizzatore o alle percussioni. Il testo del coro è stato rielaborato
e registrato da una stravolta voce recitante. Seguendo istruzioni precise il solista ha il compito di elaborare una propria versione.
In quella qui presentata il percussionista ha elaborato il pezzo facendo coincidere testo e timbrica strumentale in una continua comunicazione, in un passaggio dal concreto all’elettronico, dall’umano al non-umano. In questa metafora del «passaggio» si edifica tutto
il significato simbolico e notoriamente «mistico» della musica stockhauseniana. Con la collaborazione dell’artista Alessandro Sciaraffa, il set delle percussioni diviene una vera e propria scultura a forma di cometa e nel complesso l’intera installazione allude a un
misterioso viaggio nell’ignoto del cosmo. (Fabrizio Rosso)
Fausto Romitelli, Amok Koma
Fausto Romitelli, compositore di notevole talento, mancato a questo mondo molto prematuramente (Gorizia 1963-2004), ha scritto
che «per comunicare veramente attraverso la musica dobbiamo rinnovarne costantemente il linguaggio e variarne i codici; un messaggio estetico espresso attraverso dei clichés linguistici non ha, in musica, alcun valore (se non quello di mero intrattenimento). Credo pertanto che il talento di un compositore si misuri, oggi, dalla sua capacità di integrare nella scrittura materiali differenti, spesso
eterogenei, senza rinunciare al rigore concettuale e alla definizione di uno “stile” capace di “metabolizzare” le differenti influenze e
generare delle nuove immagini sonore». Così in tutte le sue opere e in Amok Koma (2001), per nove esecutori ed elettronica, Romitelli ha sempre cercato una nuova osmosi tra elementi colti ed influenze pop, suoni tradizionali e suoni manipolati con le nuove tecnologie. Costruito intorno ad una cellula fondamentale di tre note, Amok Koma scava il proprio enigma timbrico, mescolando con inedita tensione suoni armonici e rumori, materiali grezzi e reminiscenze storiche.
19 marzo
Erik Satie, Parade
Le poche e storiche fotografie che ritraggono insieme Satie (Honfleur, Calvados 1866 – Parigi 1925) e Debussy, testimoniano di due
uomini eleganti, arguti, divertiti. Fu nell’atmosfera frizzante del cabaret Chat Noir, dove dal 1905 al 1908 Satie fu pianista, che si incontrarono. Divennero subito amici. Se la maggior parte dei compositori contemporanei erano sentimentali, malinconici, introspettivi, Satie
era brillante, gioioso, provocatorio. Se i compositori post-wagneriani guardavano ancora alla profondità, alla psicologia, ad una dimensione intima e soggettiva – macerata nei riferimenti con il passato – l’autore di Parade, Socrate e dei Tre pezzi in forma di pera – scritti
come risposta all’insegnante di Debussy, Guiraud, il quale pensava che la sua musica mancasse di forma – osservava freddamente
la superficie, l’oggettività, l’evidenza: i trucchi di una realtà liberata dalle stanche moine del romanticismo. In questo senso, se i loro
contemporanei rimasero influenzati dal virus del sentimentalismo, Satie e Debussy elessero a loro unica guida i bagliori scintillanti
della superficie come forma, il riverbero o il graffio del suono che trascende la composizione delle note. Entrambi si sentivano, certo,
come persone venute al «mondo molto giovani, in un tempo troppo vecchio»; ed entrambi erano d’accordo nelle loro concezioni antiromantiche e antiaccademiche, rese mirabilmente con accordi di nona concatenati parallelamente o di quarta sovrapposti.
Su queste premesse estetiche Satie compose il suo Parade, uno dei più grandi scandali della storia della musica: uno delle maggiori
opere del primo ‘900, che vide collaborare tre enormi talenti: con le parole di Cocteau, e le scenografie di Picasso. «È la poesia dell’infanzia raggiunta da un magistrale tecnico»; così lo stesso Cocteau concludeva il suo felice commento su Parade. Parigi, 1917; un
grande desiderio di evadere dalla Germania; una grande irritazione verso tutto quello che sapeva di romantico, malinconico, intimistico, sinfonico; un rifiuto totale verso tutta quella musica «che si ascolta con la testa tra le mani». Un fervente desiderio di tornare giovani, più che giovani, bambini. Una felice, elegante, comica volontà di essere estremamente immediati, solari, spensierati. Una nuova,
maliziosa corrente di candida semplicità, di irruente freschezza, contro la geriatria malinconia del tardo romanticismo, avverso un prepotente wagnerismo che aveva inghiottito, nei suoi fumi religiosamente ipnotici, troppi talenti. Voglia d’inedite fonti, brama di nuove
realtà: il primo, impareggiabile jazz (quello davvero povero e «osceno» nei suoi improvvisati arabeschi melodici e nei suoi irrazionali
guizzi ritmici); la musica comica e pungente del circo; i timbri e le melodie stralunate del luna-park; le note sapide e stonate dei sal-
timbanchi; infine, il mondo felicemente sonoro dei nuovi caffè come luoghi per il music-hall. Tutto questo, su un solido tessuto di suoni tradizionali, è Parade.
Igor Stravinskij, Renard
«Renard deve essere recitato da pagliacci, danzatori o acrobati, possibilmente su una passerella con l’orchestra posta al di sotto. Se
viene rappresentato in un teatro, dovrebbe essere dato fuori dal sipario. Gli orchestrali restano tutto il tempo sul palcoscenico. Entrando insieme accompagnati da una piccola marcia che serve da introduzione e allo stesso modo è trattata la loro uscita di scena. I protagonisti delle parti sono muti. I cantanti, due tenori e due bassi, sono in orchestra». Così recita la nota che leggiamo all’inizio di questa
mirabile partitura: una storia burlesca composta in Svizzera tra il 1915 ed il 1916, che narra di una volpe, un gallo, un gatto ed un
caprone, da cantare e recitare sulla scena, su un testo che Stravinskij (Oeranienbaum, San Pietroburgo 1882 – New York 1971) prese ispirandosi liberamente ad alcuni racconti popolari russi. Una storia senza storia, incentrata sulla lotta tra la volpe (Renard) e il Gallo. Come L’Histoire du soldat, Renard s’ispira alle orchestrine del circo, alle musiche dei saltimbanchi e al mondo del luna-park. Nulla di più anti-wagneriano, in un tessuto narrativo e sonoro riccamente dissociativo. Un’opera radicalmente antiretorica e antiromantica.
In questo senso, nessun musicista come Stravinskij si è tanto riccamente alimentato alle inesauribili fonti del popolo, delle persone
semplici, della storia cosiddetta «minore». Come Picasso, anche lui capì subito che la creazione dal nulla, l’invenzione ex nihilo, è una
trovata della presunzione umana, o il suggerimento di un’entità sterile e diabolica. In verità, come ci dimostrano le loro variegatissime opere – in cui tutta la storia e tutta la tradizione, anche di lontane culture, viene rimescolata e trasfigurata in un impareggiabile
arcobaleno di forme e di suoni – nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Ma quali sono gli esempi da cui partire? Quali sono i modelli ai quali ispirarsi? Come Nietzsche, come Debussy, Stravinskij fu uno dei
primi a capire, nei primi anni del ‘900, «che lo spirito più profondo debba essere anche il più frivolo». Così, se era terminato il tempo
e il concetto dell’opera d’arte come qualcosa di definitivo e magniloquente, solenne ed eroico; se era finita la forza del pensiero come
qualcosa di assoluto e inequivocabile, era giusto rivalutare le forme di cultura cosiddette minori, i suoni più desueti e strani – come,
in Renard, il cimbalon di origine ungherese – fino ad affondare la propria ispirazione nello spettacolo del circo, nella musica dei cabaret, nei lampeggianti suoni del luna-park.
2 aprile
Giovanni Bataloni, Os sonhos nao envelhecem (trad.: i sogni non invecchiano)
Nato a Bellano, sul lago di Como nel 1969. Ha cominciato i suoi studi musicali durante gli anni del liceo interessandosi in modo particolare alla musica sacra. Ha lavorato come direttore di coro, organista e pianista accompagnatore per diversi anni, componendo
anche musica per la chiesa e il teatro. Nel 1994 si è iscritto al Conservatorio «G. Verdi» di Como, dove si è diplomato a pieni voti in
Musica Corale e Direzione di Coro con B. Streito e in Composizione con I. Fedele. Nel 2001 ha completato un corso di Composizione
presso il Conservatoire National de Région di Strasburgo. Ha seguito seminari e corsi di perfezionamento con Franco Donatoni (Modena 1996) e Luca Francesconi (Agon – Milano 2002). Fondamentale per l’evoluzione della sua ricerca compositiva è stato l’incontro
con Stefano Gervasoni. La sua composizione Dripping per violoncello solo, premiata al Concorso Intenazionale città di Pavia, è pub-
blicata dalla casa editrice Rugginenti di Milano. Ha lavorato inoltre come compositore e arrangiatore con alcuni gruppi di musica pop
e jazz.
Una citazione di Milton Nascimento fa da commento alla composizione Os sonhos nao envelhecem: «La terra è mia madre, il mare è
il mio ambiente, il verde è la luce, sorriso nei miei occhi. Credimi è un posto unico, la mia gente porta una croce, ma ha la forza per
cambiare.
Il luogo che la mia gente sogna può esistere ed esisterà, vive in noi e vivrà quanto questo mio canto...». (G.B.)
Leonard Bernstein, Danze sinfoniche
Le Danze sinfoniche da West Side Story (commedia musicale del 1957), sono una delle pagine più famose e belle di Leonard Bernstein (Lawrence, Massachusetts, 1918 – New York 1990). In esse c’è ritmo, gioia, vivacità, ardore. Uno dei massimi direttori d’orchestra di tutti i tempi, uno dei musicisti più brillanti e preparati del ‘900, con questa musica ha voluto offrire un grandioso tributo alla
gente e alle strade di New York. Come Celibidache, come Giulini, Bernstein non amava le avanguardie, non amava il patrimonio musicale del secondo ‘900. Per lui la musica non poteva essere solo ricerca, sperimentazione, rischio, abbandono. Non potevano esistere o giustificarsi forme compositive radicalmente sganciate da ogni tradizione. In reazione a questa tendenza, come pochi, Bernstein
si rifece al folclore: al patrimonio sonoro dei popoli, della storia, della gente di strada. E, tutta la sua opera di compositore – mai astratta e cerebrale – è fortemente ispirata ai canti popolari, alla musica jazz, ai suoni più spontanei e disparati delle Americhe e dell’Africa, come testimoniano esemplarmente queste Danze sinfoniche.
Ivo Antognini, Jazz
Nasce a Locarno nel 1963. Inizia suonando lo xilofono e a otto anni riesce a convincere il padre a comprargli un pianoforte verticale.
Si diploma nel 1985 studiando dapprima con Roberto Braccini ed in seguito con Nora Doallo. Sin da giovanissimo si interessa alla
composizione e svolge da subito un’intensa attività compositiva come autodidatta. Dopo il diploma di pianoforte studia alla Swiss
Jazz School di Berna con il pianista Joe Haider.
Dal 1989 ad ora ha composto una marea di musiche per la televisione e il cinema.
Ha pubblicato tre CD di Jazz con sue composizioni originali: «The Dark Cloud» (1993), «Inspiration» (1998), «Feggàri mou» (2005).
Compositore molto prolifico, si concentra soprattutto sulla musica da camera senza però disdegnare la musica corale.
La sua discografia comprende una ventina di CD dedicati alla musica per l’immagine, tre dischi di Jazz, la sua composizione «Picasso» presente sul cd «Esperienze», Jecklin edition, 1996; inoltre diverse sue composizioni figurano su supporti sonori di case editrici
svizzere.
Dal 2001 sta lavorando per la realizzazione di un libro che ha l’obiettivo di spiegare la struttura del ritmo, della melodia e dell’armonia
e come questi tre elementi interagiscono fra di loro.
Dal 1987 è insegnante di ascolto e di pianoforte complementare nella sezione professionale presso il Conservatorio della Svizzera
italiana a Lugano. È pure attivo nella sezione pre-professionale dove da anni si occupa della ristrutturazione dei programmi di studio.
Il suo intento è quello di abituare gli studenti ad ascoltare la musica in modo intelligente e utile alla propria formazione. È molto attento alle tecniche di insegnamento dei vari dettati (melodico, a due e quattro voci, atonale, ritmico), ai sistemi di memorizzazione, all’improvvisazione cosciente e all’importanza dell’orecchio relativo.
La composizione «JAZZ» per coro di voci bianche e strumenti vari vuole dimostrare come la musica di J.S.Bach oltre ad aver ispirato
Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Chopin, Schumann, Brahms, Ravel, ecc. è una sicura fonte di ispirazione per un certo tipo di Jazz.
«JAZZ» invita jazzisti e jazzofili all’ascolto della musica «seria» e chiede agli estimatori della musica «scritta» di avere più rispetto della musica improvvisata. (I.A.)
30 aprile
Dmitrij Šostakovič, Suite per due pianoforti
Dmitrij Šostakovič scrisse il Concertino in la minore op. 94 nel 1953. È una delle sue pagine cameristiche più brillanti e semplici; si
respira un’aria salottiera, svagata, gioiosa. Tuttavia, oltre la freschissima apparenza, quest’opera nasconde qualcosa di più articolato e complesso: non solo formalmente, nel raffinato intreccio polifonico e polistilistico, ma anche come testimonianza e simbolo della sua complessa vicenda biografica e culturale. Partito, nei primi decenni del ’900, su posizioni riccamente avanguardiste – come
Prokofiev e Majakoskij – Šostakovič dovette presto attenuare e talvolta rinnegare il suo esuberante istinto musicale, per una scrittura più tradizionale e controllata impostagli dal regime di Stalin e dai vari rapporti di Zdanov. Nonostante queste forti limitazioni, con
molte opere, Šostakovič dimostrò ugualmente di essere un grande compositore. Ma cosa avrebbe scritto assecondato da una completa libertà? Al di là di questa astratta domanda ciò che rimane è la realtà della sua abbondante opera: le sue 15 sinfonie, i suoi melodrammi, la vasta musica cameristica che comprende anche questo elegante Concertino, ordito sapientemente con modernità e tradizione, profondità e leggerezza.
Arnold Schönberg, Musica per l’accompagnamento di una scena da film
Tra le molte opere di Arnold Schönberg (Vienna 1874 – Los Angeles 1951) la Musica per l’accompagnamento di una scena da film op.
34 è una delle meno note ma indubbiamente una delle più piacevoli. È una composizione dodecafonica, scritta a Berlino tra il 1929
ed il ’30; ma del sistema delle dodici note, della sua volontà di evitare qualsiasi riferimento tonale, qualsiasi ammicco con le armonie
del passato (gli accordi consonanti di terze sovrapposte), sembra avere poco a che fare. Divisa in tre movimenti: Pericolo minaccioso – Angoscia – Catastrofe, è una musica che proprio nella descrizione di queste tre situazioni, questi tre stati d’animo, trova il suo
più pertinente e nobile significato. Schönberg non è un compositore facile; indubbiamente le sue musiche – a volte atonali a volte
dodecafoniche – richiedono dall’ascoltatore un notevole impegno. Liberando il linguaggio alle nuove asprezze delle dissonanze, ricercando melodie più allusive e meno orecchiabili, i suoi suoni sembrano raccogliere, come scrisse Adorno, «tutto il dolore del mondo»
– in contrasto ad una musica di consumo (musica leggera) che culla le nostre coscienze in una panna spesso stucchevole e superficiale. Già alla sua prima esecuzione questa Musica per l’accompagnamento di una scena da film riscosse un inaspettato successo.
Abitatori di una civiltà sempre più a-patica (pathos, dolore) e analgesica, sapremo un giorno riconoscere al grande Schönberg l’indubbia capacità di trasfigurare le forze della morte e del male?
Paul Hindemith, Kammermusik
Paul Hindemith (Hanau 1895 – Francoforte sul Meno 1963) scrisse la Kammermusik op.24 n.1 nel 1921. In Germania, nel cuore di
un’imponente tradizione musicale, nessuna forma sonora più di questa ha voluto e vuole distaccarsi dal romanticismo. Il suo impeto
ritmico, la sua struttura eminentemente contrappuntistica (più linee melodiche che si intrecciano), il suo affilato nerbo timbrico vogliono tagliare tutti i contatti con il malinconico e introspettivo mondo ottocentesco. Se Wagner aveva sublimato l’orchestra in un grandioso «mastice multicolore», Hindemith rinunciò alle grandi compagini orchestrali, agli evanescenti colori timbrici, concentrandosi in una
scrittura levigata ed essenziale. Abbandonò il pastoso suono degli ottoni (trombe e tromboni), rinunciò al sontuoso cromatismo (pochi
cambiamenti di tonalità) mettendo a fuoco una scrittura sonora scabra e scintillante. Per fare questo, rinunciò alle logiche conseguenze del tardo-romanticismo – la lenta dissoluzione della tonalità – ritornando con ferma determinazione agli immortali modelli pre-classici, ispirandosi soprattutto a Bach. Come i contemporanei del Bauhaus di Walter Gropius, così Hindemith divenne il paladino di una
«musica d’uso» (Gebrauchsmusik), una musica efficace e semplice, pratica e funzionale, fondata su un’impeccabile maestria artigianale. A partire dalla Kammermusik n.1 costruì il suo mondo sonoro come una geometrica fortezza – capace di resistere ad ogni assalto malinconico e sentimentale – che partendo da sapienti sperimentazioni politonali approda ad una grandiosa restaurazione tonale.
Klaus Huber, Beati Pauperes III
Come è successo alla maggior parte delle figure più significative della musica del dopoguerra, Klaus Huber non ha potuto evitare la
sua parte di incasellamenti. Meno si conosce della musica e dell’uomo, tanto più facile è costruire un’immagine unidimensionale,
riempita con i consueti stereotipi stilistici e morali debitamente consenzienti. Ma al contrario, per quelli di noi abbastanza fortunati da
aver accesso a una visione più ampia del suo impegno compositivo e critico, la piena intensità, l’apertura e (se così posso dire) la
complessità della sua posizione storica appaiono subito evidenti. Diverso in ciò da molti della sua generazione, pur non avendo mai
rinnegato le proprie radici nella pratica compositiva medioevale e seriale, Huber è riuscito a non farsi congelare in facili classificazioni
stilistiche: ciascuna sua composizione è infatti sia una risposta profondamente individuale a una sede chiaramente focalizzata e tecnicamente incisiva di problemi, sia una precisa riconsiderazione dei rapporto tra i linguaggi della musica contemporanea e il mondo
reale, imperfetto, all’interno dei quale essi esistono
Comune a tutti i suoi lavori è l’ampia dimostrazione di una superiore, veramente magistrale padronanza delle risorse strumentali e
testuali, una profonda, naturale introversione espressiva (ancor più penetrante e incisiva quando è deliberatamente proiettata verso
l’esterno, come nei lavori caratterizzati da una dimensione più pubblica) e una padronanza dello svolgimento del tempo nella musica
non seconda a nessuna. La sua è un’arte musicale che possiamo dire umanistica, nel duplice senso della fedeltà ai principi tradizionali del «mestiere» e dell’incessante richiesta che egli (legittimamente) pone alla musica, di farsi estremo, visionario veicolo di ideali
di elevato impulso etico.
Al tempo stesso, Huber è tutt’altro che un solitario mistico tardo-modemo: diversamente da Adorno, egli non accetta il punto di vista
agnostico per cui l’integrale autonomia dell’opera d’arte d’avanguardia è necessaria e sufficiente garanzia della sua autenticità.
Al contrario, le sue convinzioni cristiane gli impongono di far appello direttamente a quella che egli considera come l’utopica, dupli-
ce missione dell’arte: indurre l’ascoltatore a una concreta riflessione sociale e incarnare la visione colma di speranza di una vita giusta. E quel che vale per le convinzioni vale per l’uomo, come attesta l’esperienza di successive generazioni di giovani compositori
che, come me, hanno immediatamente intuito la forza delle doti pedagogiche di Huber e possono cosi confermare la sua totale apertura e tolleranza critica verso differenti posizioni estetiche e culturali.
Dobbiamo sperare che l’irripetibile combinazione di espressività apparentemente fragile e di instancabile forza propositiva propria di
Huber continui a influenzare mente e cuore di coloro che sono disposti a porsi di fronte a questa musica con la stessa grande apertura spirituale con cui fu scritta. (Brian Ferneyhough)
Jean-Claude Schlaepfer, Chant de lune
Jean-Claude Schlaepfer è nato a Ginevra dove, dopo lo studio del pianoforte con M. Risler ha anche studiato teoria e composizione
con Pierre Wissmer e Jean Balissat. In seguito si è perfezionato con Betsy Jolas a Parigi. Parallelamente all’attività di compositore
insegna armonia e analisi al Conservatorio superiore di Musica di Ginevra e al Conservatoire populaire della stessa città.
Interpreti
30 ottobre
Pascal Mayer
Fondatore del Chœur de l’Université et des Jeunesses musicales di Friburgo, che ha diretto fino al 2000, ha studiato canto e direzione
di coro nei Conservatori di Friburgo e di Zurigo. Nel corso degli studi è stato membro dell’Ensemble Vocal de Lausanne (sotto la direzione di Michel Corboz), del Chœur de la Radio Suisse romande (sotto la direzione di André Chalet) e del Coro da camera di Stoccarda (sotto la direzione di Frieder Berius). Paul Sacher l’ha chiamato a dirigere per cinque anni il Basler Kammerchor, mentre è stato
condirettore del Chœur de Chambre Romand dal 1987 al 1997 a fianco di Charlet. Nel 1995, con il collega vallesano Hansruedi
Kämpfen, ha costituito il Chœur suisse des Jeunes sotto l’egida della Federazione Europa Cantat. Da 19 anni dirige la Maîtrise de
Saint-Pierre-aux-Liens di Bulle. A Losanna è direttore del coro Faller e, dal 1999, del coro Pro Arte. È spesso invitato a Monaco e a
Dresda, come preparatore dei rispettivi cori radiofonici.
Coro da Camera dell’Università di Friborgo
Diretto dal 1987 dal suo fondatore e direttore Pascal Mayer, il Coro da Camera dell’Università di Friborgo (CCUF) coltiva un vasto
repertorio che si estende dal Rinascimento ai nostri giorni. Privilegiando la musica degli ultimi due secoli, ha creato diverse opere
contemporanee, alcune commissionate dal coro stesso. Anche un repertorio più leggero, dal canto popolare alla commedia musicale, trova posto nei progetti di questo gruppo, che varia dai 30 ai 50 memebri ed è formato da coristi dilettanti. Il coro tiene annualmente numerosi concerti sia in Svizzera che all’estero, in formazioni a cappella o con accompagnamento (ensemble e orchestra). Da menzionare il primo premio della giuria e il premio del pubblico ai «Rencontres chorales nationales de Charmey» e un secondo premio
con menzione eccellente al «Concorso dell’unione svizzera delle corali» a Zugo nel 1999.
26 febbraio
Luisa Castellani
Luisa Castellani è un’interprete particolarmente apprezzata per l’estrema duttilità della tecnica vocale, affinata con insegnanti come
Gina Cigna e Dorothy Dorow, unita al gusto dell’approfondimento musicale, in particolare nel repertorio contemporaneo, per cui molti
compositori ne hanno fatto un’interprete di elezione.
Luciano Berio l’ha voluta per dar voce alla nuova edizione del suo Calmo, che Luisa Castellani ha portato nei principali teatri e festival insieme a Sequenza III e Folksongs, e per lei ha creato il ruolo di Ada in Outis, andato in scena alla Scala nell’autunno del 1996.
Anche Giacinto Scelsi le aveva affidato l’interpretazione delle sue partiture.
Ha eseguito e registrato con successo numerose opere, tra cui molte «prime assolute», di Berio, Cage, De Pablo, Donatoni, Ferneyhough, Francesconi, Gervasoni, Kurtag, Panni, Pennisi, approfondendole con gli stessi autori.
Ha inoltre interpretato le opere dei più importanti compositori del ’900 storico, da Debussy a Bartók, da Schönberg a Dallapiccola,
da Stravinskij a Webern, sotto la direzione di maestri come Berio, Eötvös, Ferro, Gelmetti,Robertson, Sinopoli, Tamayo.
Ha interpretato molti e importanti ruoli come cantante d’opera, tra l’altro, in Esequie della Luna e Tristan di F. Pennisi, Anton di E. Scogna, The Turn of the Screw di B. Britten, Outis e La vera storia di L. Berio, La madre invita a comer di L. De Pablo, Il velo dissolto di
F. Donatoni e ha ricevuto, nel 1991 il premio Gino Tani per la lirica. Solista con le più importanti orchestre (come la London Sinfonietta,
la BBC, le orchestre di Radio France) e nei principali festival (Wien Modern, biennali di Helsinki, Berlino, Venezia). Ha registrato per
radio e televisioni in molti paesi e numerosi.
Fabrizio Rosso
Nato a Torino nel 1969, si è formato come pianista nella sua città e in seguito a Zurigo con H. Francesch e a Lugano con N. Doallo.
Parallelamente ha studiato filosofia presso l’Università di Torino e si è dedicato alla composizione, studiando a Milano con B. Zanolini e frequentando i corsi presso la Musikhochschule di Zurigo. Dal 1998 frequenta ai seminari di K. Stockhausen a Kürten (Colonia)
dove ha eseguito Mantra e Refrain.
Dal 2001 è docente presso il Conservatorio della Svizzera Italiana.
Pietro Luca Congedo
Nato a Legnano (Italia) nel 1977, inizia i suoi studi presso il conservatorio «A. Scontrino» di Trapani. Nel 2001 viene ammesso al Conservatorio della Svizzera italiana nella classe di M. Ardeleanu. Nel 1998 partecipa agli International Ferienkurse für Neue Musik di
Darmstadt con i solisti I. Nakamura e M. Ardeleanu. È membro stabile del Lugano Percussion.
Nel 2002 partecipa agli International Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt ricevendo lo StipendiumMusikpreis per l’interpretazione.
Ha suonato per importanti enti e associazioni musicali, quali Rai Radio Tre, Radio della Svizzera italiana, Teatro Stravinskij di Montreux, Ente Musicale Aquilana «B.Barattelli», Festival Internazionale di Montalcino, Museo Nazionale di Reggio Calabria, Spazio Novecento-Cremona. Nel 2005 ha vinto il premio ‘Stockhausen-Kurse’ consegnati dal compositore.
19 marzo
Scuola Teatro Dimitri
La Scuola Teatro Dimitri è una scuola di teatro nella quale l’insegnamento è basato soprattutto sullo studio del movimento, sul corpo e le sue possibilità di espressione. A partire dalla sua apertura, nel 1975, sono state scelte come materie principali il teatro del
movimento, l’acrobazia, la danza e l’improvvisazione teatrale. Col tempo si sono aggiunte lo studio del ritmo, un lavoro sulla respirazione, l’espressione vocale e la recitazione. Degli stages su diverse forme d’espressione, per esempio Commedia dell’Arte, clownerie, particolari tipi di danza, ecc. completano questo insegnamento.
La Scuola Teatro Dimitri offre una formazione di base completa nel dominio dell’espressione teatrale, per mezzo della trasmissione
di tecniche tradizionali e nuove, cercando di stimolare in modo creativo i doni di ciascuno in rapporto alla sua personalità. Nell’anno
2004 la Scuola Teatro Dimitri ha ottenuto il riconoscimento come Scuola Universitaria di Teatro.
SUPSI: Dipartimento Ambiente, Costruzioni e Design
L’obiettivo del dipartimento è far fronte alle nuove sfide nei settori dell’ambiente costruito e naturale, basandosi sui principi dello sviluppo sostenibile, nei campi di competenza delle sue unità.
Il dipartimento offre numerosi cicli di studio con curricoli a tempo pieno e in parallelo all’attività professionale che permettono allo studente di frequentare uno studio pur mantenendo l’attività lavorativa.
Comune a tutti i corsi è un approccio che abbina la trasmissione di conoscenze teoriche all’esercitazione pratica. Quest’ultima rappresenta mediamente il 50% delle ore-lezione previste per un corso e garantisce che i partecipanti sappiano applicare a casi concreti le competenze tecniche acquisite. A questo scopo il DACD dispone di sale di esercitazione e laboratori modernamente attrezzati e continuamente aggiornati.
L’ambito di attività del comunicatore visivo si estende da quello definito dalla grafica tradizionale sino a quello dei nuovi media. Particolare attenzione è data allo sviluppo di competenze, sia nella comunicazione didattica sia in quella sociale. È sollecitata la capacità di sviluppare immagini coordinate utilizzando i diversi linguaggi e media oggi a disposizione (computer, video, fotografia digitale…).
Lo studente deve imparare a individuare e risolvere i problemi di comunicazione. Le soluzioni possono essere ricche della capacità
espressiva personale.Nelle diverse attività è dato particolare accento all’interazione di diversi codici. L’intento è di delineare percorsi «linguistici» costituiti da più codici, capaci di tradurre, esprimere e comunicare il senso di ciò che viene realizzato. L’esempio di
ricerca intitolato «immagini per apprendere», sulla base di ricerche svolte in ambito didattico, è volto appunto all’utilizzo di più codi-
ci (linguistico e iconico) al fine di comunicare a più livelli un contenuto, traducendolo in diversi sistemi di segni. Altri esempi di attività
estendono la traduzione a sistemi di segni musicali e video, altri ancora, in collaborazione con gli architetti d’interni, allo spazio.
2 aprile
Il Coro di Voci Bianche «Clairière»
Il Coro di Voci Bianche «Clairière» nasce all’interno della Scuola di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano ed è
composto da ragazzi e ragazze dagli 8 ai 14 anni.
Ha al suo attivo numerosi concerti nella Svizzera Italiana e all’estero. Nell’estate 2000 ha partecipato, con 6 rappresentazioni, alla
Carmen di Bizet messa in scena al Castelgrande di Bellinzona.
È stato invitato più volte a cantare all’interno della rassegna Novecento passato e presente diretta da Giorgio Bernasconi presso la
Radio della Svizzera italiana di Lugano.
Sulla base di alcune registrazioni è stato selezionato quale rappresentante della Svizzera italiana insieme ad alcuni prestigiosi cori
europei per partecipare alla 39.ma edizione del Montreux Choral Festival, che si è svolto dal 4 al 7 aprile 2002, ottenendo una menzione e riscuotendo un notevole successo di pubblico e critica.
Nel corso del 2003 ha registrato il suo primo CD … per voce e strumento…
Nel maggio 2004 si è esibito nella Città del Vaticano in occasione della giornata del Giuramento delle Guardie Svizzere.
Brunella Clerici
Ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio «G. Verdi» di Milano diplomandosi in Pianoforte, Composizione, Musica Corale
e Direzione di Coro.
Ha partecipato a numerosi corsi e Seminari di Direzione di Coro in Italia e presso l’Accademia Kodaly di Keckemet (Ungheria).
La sua attività è prevalentemente rivolta alla coralità giovanile alla quale ha dedicato alcune sue composizioni che sono state eseguite nella rassegna Musica e Metrò, presso la Sala Carducci di Como e nel ciclo Novecento passato e presente.
Mircea Ardeleanu
Mircea Ardeleanu è nato nel 1954 a Cluj / Romania e ha studiato musica e percussioni prima nella sua città natale e poi a Basilea. Nel
1978 ha vinto il primo premio al Concorso per solisti rumeni di Bucarest e l’anno seguente il primo premio al Concorso internaziona-
le Gaudeamus di Rotterdam. Ha partecipato a numerosi e importanti festival di musica contemporanea in tutto il mondo e ha tenuto
a battesimo prime assolute di compositori quali K. Stockhausen, G. Kurtag, I. Xenakis, Peter Eötvös, R. Febel.
Mircea Ardeleanu ha tenuto masterclasses in molte università europee oltre che in Cina, Sud Corea, India, Uruguay, Argentina, Brasile, Messico, Venezuela, Cuba, Ecuador.
Dal 1996 è invitato come docente di percussioni ai Corsi estivi internazionali di Darmstadt. Mircea Ardeleanu ha effettuato numerose
registrazioni di opere di compositori quali K. Stockhausen, I. Xenakis, J. Cage, H.W. Henze e recentemente anche di compositori svizzeri contemporanei e lavori di G. Kurtag. Proprio il cd con opere di Kurtag ha ricevuto il premio della critica nel 2003 come migliore interpretazione.
Nel 2004 ha iniziato una collaborazione con Martha Argerich, al festival luganese dedicato alla pianista argentina.
Vive in Svizzera ed è docente della classe di percussioni presso il Conservatorio della Svizzera italiana
Filippo Rosini
Filippo Rosini, nato Locarno, inizia lo studio di pianoforte all’eta di 10 anni con Elena Pressaco alla Scuola di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana, continuando gli studi con Marco Di Davide.
Al momento è nella classe professionale di Alessandro D’Onofrio del Conservatorio della Svizzera italiana. Ha un piacere particolare
a eseguire la musica contemporanea e jazzistica.
Jasmine Croci
Jasmine Croci, inizia lo studio di musica all’età di 5 anni con il violino. A 10 anni comincia lo studio del pianoforte, dapprima con Elena Casé-Uhelingher a Minusio e poi con Jean-Jacques Hauser alla Scuola Pianistica di Bellinzona.
Attualmente segue il corso di perfezionamento al Conservatorio della Svizzera italiana nella classe di Nora Doallo.
Collabora periodicamente con la Scuola Teatro Dimitri di Verscio in qualità di pianista ripetitrice, specializzandosi nei «song» di Kurt
Weill, Harms Eisler e Paul Dessau.
Si interessa anche di composizione: una sua colonna sonora per un cortometraggio è stata presentata al Festival di Film di Locarno
del 2005.
30 aprile
Alessandro D’Onofrio
Alessandro D’Onofrio inizia lo studio del pianoforte sotto la guida di Eke Méndez e Nora Doallo. Nel 1980 consegue il diploma al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma con il massimo di voti e la lode e si perfeziona in seguito con Jakob Gimpel, Eduardo Vercelli,
Aldo Ciccolini, Maria Joào Pires e Alexis Weissenberg.
In seguito all’incontro con Alberto Lysy, collabora con la «Camerata Lysy» e si dedica al repertorio cameristico approfondendo questo
genere con musicisti quali Sandor Vegh, Bruno Giuranna, e Riccardo Brengola, con cui ottiene nel 1988 il diploma di perfezionamento
in musica da camera ai corsi dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, con il massimo dei voti e la lode.
Si è esibito in tutta Europa e negli Stati Uniti, dove ha tenuto seminari suonando tra l’altro come solista con la Camerata Lysy, l’Orchestra di Stato di Mosca e l’Orchestra della Svizzera italiana.
Ha effettuato numerose registrazioni radiofoniche e discografiche.
Attualmente insegna pianoforte e musica da camera presso il Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano e svolge intensa attività concertistica.
Carmine Palermo
Carmine Palermo inizia lo studio del pianoforte a Lugano con Diva Biaggi ed in seguito con André Ducommun.
Continua gli studi presso il Conservatorio della Svizzera italiana dapprima con Patricia Pagny e poi con Mauro Harsch, conseguendo
il diploma di insegnante.
Nel 1999 si trasferisce a Sydney e sotto la guida di Viktor Makarov segue il corso di perfezionamento all’Australian Institute of Music,
esibendosi in recital e musica da camera. Attualmente insegna pianoforte presso la Scuola di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana.
o
v
e
c
e
p r e s e n t e
n
t
idée suisse
e
RTS I - un’azienda della SRG SSR
N
o