2012 | Anno 8 | numero 3 - Orchestra da Camera di Mantova

N
Foto di Max Orlandini
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icalmente
Anno 8 - Numero 4
Ottobre 2012
MUSICA
DI SALVATAGGIO
Axelrod
e OGI
battesimo di Stagione
Antonio
Ballista
sul filo della memoria
Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova
EDITORIALE
di Andrea Zaniboni
MUSICA IN CRESCITA,
anche nei numeri
La notizia prima è questa: nella stagione concertistica scorsa, quella
chiusa qualche mese fa, Tempo d’Orchestra ha contato ben 765 abbonati,
un nuovo record. Il numero è risultato dalla somma delle varie forme di
fidelizzazione previste e documenta
ancora una volta un interesse in crescita. La percentuale riferita alla popolazione è bassa (non diversamente
da Milano ad esempio – il cui solo
comune capoluogo ospita un milione e trecentomila abitanti – dove lo
storico Teatro alla Scala ha totalizzato poco meno di sedicimila abbonamenti), ma il segnale è importante e confortante: dimostra che se la
cultura è sostenuta economicamente, è qualitativamente sorvegliata ed
è ben proposta, i risultati arrivano.
Tuttavia, la condizione necessaria
perché questo si verifichi, è non aver
fretta: l’educazione del gusto è un
processo lungo che si confronta con
molteplici variabili individuali. E la
musica dal vivo, in particolare, rimane un’arte volatile: chiuso il sipario
non resta che affidarsi alla memoria.
Perciò un semplice dato numerico
come quello ricordato più sopra assume un significato particolare, specie in un momento così difficile per
gli equilibri sociali come questo che
stiamo vivendo, e nel quale supporresti che il nutrimento dell’anima, o
l’amore per il bello, sia l’ultimo dei
pensieri dei cittadini. E invece, anche secondo una recente indagine
condotta da alcuni giornali di punta del nostro continente, sia in Italia, quanto in Spagna e Francia non
si sono mai venduti tanti biglietti nel
settore dello spettacolo, culturale o
d’intrattenimento che sia. Questo si
è verificato per due motivi principali: da un lato gli organizzatori-produttori hanno fatto di necessità vir-
tù, utilizzando le risorse disponibili
(ricordiamo che il Fus, Fondo unico
per lo spettacolo, in Italia sull’arco di
22 anni, tra il 1985 ed il 2007, è sceso
di oltre il 40 per cento) con maggiore attenzione critica al rapporto tra
costi e benefici, oltre che con maggiore interesse per l’incremento del
pubblico, anche giovane; dall’altro
evidentemente il cittadino disorientato da una situazione generale preoccupante sotto molti punti di vista,
ha individuato un appiglio solido
proprio nella cultura, trasmissione
di sapere e di ideali, di certezze illuminanti, di bellezze emotivamente
necessarie. Con tutto il rilievo necessario concesso all’oggetto piuttosto
che al soggetto, all’opera piuttosto
che al suo servitore-interprete (proprio come lo intendeva Carlo Maria
Giulini, che si percepiva all’umile
servizio dell’arte); perché in definitiva la mitizzazione dell’interprete,
che ben conosciamo, possiede certamente una componente irrazionale
ed istintiva, ma la radice di tale valorizzazione, quando ciò si verifica,
risiede in quella sua abilità tutt’altro
che scontata: quella di saper restituire una storia viva, dialogante ed un
oggetto, appunto, istruttivo. Lì sta
la lezione dell’opera musicale, ricostruita ogni volta, nei casi migliori e
necessari, con precisione certosina e
vergine senso di scoperta.
Massimo Mila, anni fa scriveva che
«la musica è ansiosa di impartire i
suoi doni, perché ha dei doveri da
assolvere. Non chiede soltanto, vuol
dare». Le due lunghe giornate a
sfondo benefico che abbiamo vissuto alla fine di settembre si annodano a questa intenzione, al concetto
di un’arte utile, slegata dal privilegio di appartenere alla società del
benessere.
Se la cultura
è sostenuta
economicamente,
è qualitativamente
sorvegliata e ben
proposta, i risultati
arrivano
Mila scriveva
che la musica
non chiede
soltanto, vuole
anche dare
musicalmente
3
N
Ottobre 2012
SOMMARIO
6
IN COPERTINA
6
Classica,
acceleratore etico
di Federico Capitoni
7
Note di solidarietà
L’arte batte il terremoto
di Giovanni Bietti
9
7
Il fotoracconto
della due giorni
I CONCERTI
9
12
22
11
Battesimo
di Stagione
12
Gioventù
virtuosa
d Oreste Bossini
14
21
14
Sul filo della nostalgia
Intervista ad Antonio Ballista
di Anna Barina
21
Ed è di nuovo
Madama DoRe
di Vincenzo Mancini
22
24
I tormenti di un genio
Ritratto di Benjamin Britten
di Luca Ciammarughi
24
Avos, una perla
di quartetto
di Patrizia Luppi
AMICI
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usicalmente
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26
TIRATURA 4.000 copie
DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni
COORDINAMENTO EDITORIALE: Anna Barina
GRAFICA: Elena Avanzini
REDAZIONE: Valentina Pavesi
HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Giovanni Bietti,
Simonetta Bitasi, Oreste Bossini, Federico Capitoni, Luca Ciammarughi, Claudio Fraccari,
Patrizia Luppi, Vincenzo Mancini, Andrea Penna, Emanuele Salvato, Luca Segalla,
Giorgio Signoretti
EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova
SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12
Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected]
STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121.
Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004
Chiuso in redazione il 9 ottobre 2012
4
musicalmente
AMICI
L’avventura della musica
di Andrea Penna
RUBRICHE
27
32
QUADERNO DI VIAGGIO
San Colombano,
un museo di strumenti vivi
di Giorgio Signoretti
33
di Andrea Zaniboni
28
LEGGERE
La musica al di sopra
dei suoni e della guerra
COLONNA SONORA
Il senso di Disney per la classica
di Simonetta Bitasi
di Claudio Fraccari
29
ALTRA MUSICA
Fortuna e mistero del British jazz
34
GRAMMOFONO
Cantelli, talento spezzato
IN PLATEA
Maria Luisa Vaccari,
la signora che veste i teatri
di Michele Ballarini
30
di Alice Bertolini
CD - DVD
Grimes, un’opera
senza tempo e luogo
di Luca Segalla
31
MUSICA & ARTE
Spazio Visivo: storia e fortuna
di un progetto innovativo
28
di Paola Artoni
Alice
Bertolini
Milanese, si è laureata in Lettere moderne all’Università degli
Studi e in Musicologia al Conservatorio della sua città.
Giornalista pubblicista, scrive
su Suonare News e sulle pagine
culturali del dorso veneto del
Corriere della Sera.
Cura le relazioni con la stampa
per le Edizioni Curci, per la violoncellista Silvia Chiesa e per il
pianista Maurizio Baglini.
Vive a Padova.
Federico
Capitoni
Nato a Roma nel 1980, si è laureato prima in Scienze della Comunicazione e poi in Filosofia alla
Sapienza. È critico musicale del
quotidiano la Repubblica e collabora con altre testate, tra cui Il
Sole24Ore. Ha ideato e condotto trasmissioni radiofoniche per
Radio Rai, Radio Vaticana e altre.
Continua, all’università, a svolgere attività di collaborazione e insegnamento ed è assegnatario della cattedra di Storia della musica e
del teatro musicale alle Belle Arti
di Roma. Autore di diversi libri di
argomento musicale, il suo campo
privilegiato riguarda i rapporti tra
musica e filosofia.
Andrea
Penna
Andrea Penna è nato nel
1970 a Roma dove ha seguito gli studi pianistici e si è
laureato.
Dal 1997 svolge attività di
promotore, organizzatore
culturale, ufficio stampa.
Collabora con riviste musicali e quotidiani; fra le
pubblicazioni alcuni saggi
su Studi Romani e per Skira
una biografia di G.F. Haendel.
musicalmente
5
IN COPERTINA
CLASSICA,
acceleratore etico
Forse non potrà salvare
il mondo ma almeno
lo aiuta a riconoscersi nel suo
aspetto più bello e felice
di Federico Capitoni
Si dice che la musica, l’arte in generale, non sia in grado
di migliorare il mondo. È vero. Anzi, tra le cose migliori
del mondo ci sono proprio loro, le arti, e di più non
possiamo chiedere. Ma è anche vero che l’arte non funziona solo come medium tra chi la crea e chi ne fruisce,
ma tra tutti quelli che in qualche maniera ne vengono
in contatto. La musica poi, che tra tutte è quella che
vibra maggiormente, ha una potenza emotiva formidabile, in grado di scavare nel profondo di ognuno noi, disponendoci verso gli altri nel modo migliore possibile.
Un’iniziativa come quella dell’Orchestra da Camera di
Mantova (organizzare, com’è accaduto il 29 e 30 settembre, 50 concerti in due giorni è un’impresa mirabile) va
quindi salutata non solo come un pur legittimo tentativo di raccogliere fondi per le zone colpite dal terremoto, ma anche e soprattutto come acceleratore etico che
può favorire la comunicazione, intendendo con questo
proprio un riconoscimento di un destino comune, che
non è – nello specifico – quello del terremoto, bensì la
possibilità in ogni momento, in ogni luogo, di rialzarsi. Qualunque sia stata la caduta. La dimensione della
partecipazione collettiva tipica delle maratone di solidarietà è in realtà il contenitore di un aspetto ancora
più importante. Quello del gesto, dell’atto, di partecipazione stessa del singolo: il solo fatto che una persona
si muova per andare a un concerto o a una mostra per
beneficenza è un simbolo di immedesimazione. Infine
c’è una presenza speciale, di cui solo la musica può fregiarsi. Si tratta dell’ascolto. Ascolto che, attraverso la
musica, è prima di noi stessi poi – raggiunto un livello
di coscienza più alto – dell’altro. Trovarsi riuniti in una
manifestazione musicale ha il suo effetto più potente
alla fine di un concerto, non prima. Se si è saputo ascoltare. Altrimenti si è soltanto offerto un utile – ma sterile
ai fini della comprensione reciproca – contributo alla
raccolta fondi di turno. È la differenza che passa tra donare 1 euro da casa col cellulare e recarsi nei luoghi della tragedia per ascoltare musicisti che si impegnano al
di fuori delle loro mansioni contrattuali. A essere straordinario – per chi ascolta e chi esegue – è così il gesto,
non la spesa o il turno di lavoro. Perciò è importante
che questi concerti non soltanto vengano organizzati,
ma frequentati e ascoltati (cosa che, per quanto strano
possa sembrare, non è ovvia). La sensibilizzazione verso
la musica non può farsi che attraverso la musica stessa,
la quale forse non potrà salvare il mondo ma almeno lo
aiuta a riconoscersi nel suo aspetto più bello e felice.
6
musicalmente
Santa Barbara dopo il sisma
(foto di Nicola Malaguti)
I PROTAGONISTI
IN COPERTINA
Eccoli, in ordine d’apparizione, tutti gli artisti/professionisti che hanno reso possibile la manifestazione Un week end a tutta classica – L’arte batte il
terremoto, aderendo con generosità ed entusiasmo senza percepire alcun cachet/compenso:
Lorenzo Gentili-Tedeschi, Elia Tagliavia, Stefano
Patuzzi, Stefano Guarino, Filippo Lama, Igor Cantarelli, Laura Riccardi, Gregorio Buti, Giovanni Bietti, Alessandro Conrado, Carlotta Conrado, Giorgio Galvan, Francesco Moi, Orchestra Fuoritem-
po, Massimiliano Rizzoli, Cesare Carretta, Cecilia
Micoli, Monica Vatrini, Michele Ballarini, Paolo Ghidoni, Pietro Bosna, Cristiano Burato, Gino Maini,
Anna Atzeni, Andrea Leasi, Lanfranco Martinelli,
Damiano Rossi, Stefano L’Occaso, Marco Giavazzi, Grazia Serradimigni, Giacomo Tesini, Roberto
Fabiano, Roberto Grossi, Bruno Matteucci, Maurizio Cavallini, Luigi Sabanelli, Luca Braga, Pierantonio Cazzulani, Klaus Manfrini, Paolo Perucchetti,
Francesco Di Rosa, Alessandro Carbonare, Fran-
cesco Bossone, Alessio Allegrini, Francesco Vassallo, Giovanni Mentuccia, Elia Mastrovito, Fernando Servidone, Claudio Marini, Gabriele Prodi, Eugjen Gargjola, Stefano Scansani, Maurizio Saletti,
Stefano Biguzzi, Antonietta Micheli, Daniele Sala,
Oreste Campedelli, Irene Veneziano, Ugo Favaro,
Rossana Calvi, Danilo Grassi, Lisa Bartolini, Pedro
Perini, Federico Zammarini, Giacomo Invernizzi,
Luciano Cavalli, Emiliano Paterlini, Carlo Fabiano,
Chiara Spagnolo, Plamena Mangova.
Note di solidarietà
L’ARTE batte il terremoto
di Giovanni Bietti
l’Orchestra da Camera di Mantova e Plamena Mangova
domenica 30 nel concerto conclusivo del week end al Teatro Bibiena
(Foto di Andrea Rinaldi)
29 e 30 settembre 2012. Il viaggiatore a cui è capitato di
attraversare la provincia di Mantova in questi due giorni con le orecchie aperte e un po’ di curiosità ha avuto
l’occasione di vivere un’esperienza assolutamente unica, per certi versi Settecentesca: cinquanta concerti realizzati nei comuni del territorio. Un’iniziativa intitolata
Un week end a tutta classica ed organizzata dall’Orchestra
da Camera di Mantova in collaborazione con la Fondazione Comunità Mantovana e con la Provincia di Mantova, con un duplice significato: il più immediato era
la raccolta di fondi a favore dei beni artistici mantovani colpiti dal sisma, (prossimamente gli esiti definitivi, /ndr/) ma c’era anche un secondo intento, in un
certo senso più privato ma ugualmente sentito.
La stagione alle porte segna infatti il ventesimo
anniversario di Tempo d’Orchestra, la rassegna
annuale dell’Ocm, e l’orchestra ha scelto di festeggiare questo speciale compleanno con un
gesto, a mio modo di vedere, di grande generosità: non attendersi un regalo dalla comunità
locale ma offrirlo. E quindi la musica ha arricchito il fine settimana di comuni direttamente
danneggiati come San Benedetto Po, Revere,
Carbonara, Quingentole, Quistello, Felonica,
Moglia, Poggio Rusco, Ostiglia, San Giovanni
del Dosso e Suzzara, ma anche delle più fortunate zone settentrionali e occidentali, Castiglione, Monzambano, Medole, Castellucchio, Volta Mantovana, Gazoldo, San Martino, Bozzolo,
San Giorgio, Bigarello, Goito, Castel Goffredo.
Chiese, palazzi, auditori, teatri, palestre scolastiche e tensostrutture improvvisate risuonavano delle note di Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Brahms,
Verdi, Debussy e tanti altri grandi compositori.
A questi concerti itineranti si aggiungeva poi
un “percorso cittadino”: secondo una formula già sperimentata con successo, molti luoghi
della città hanno ospitato brevi ed intensissimi
“29 e 30 settembre:
un gruppo di professionisti
di alto livello sceglie liberamente
di regalare il proprio lavoro
in un momento di profonda
crisi economica che colpisce
pesantemente il settore della cultura.
La musica ha mostrato,
grazie ai magnifici musicisti
dell’Ocm, di saper fare
cose utili alla collettività.
Questo è il senso più profondo dell’arte,
in ogni cultura e in ogni tempo:
essere un servizio, e indicare una strada,
un percorso morale...”
musicalmente
7
IN COPERTINA
momenti musicali, una sorta di labirinto sonoro che portava l’ascoltatore da San Lorenzo alla Casa del
Mantegna, dal Conservatorio a Palazzo Ducale, da Santa Barbara al
Teatro Bibiena. Il fitto reticolo di
concerti proposto nell’intera provincia si specchiava e si concentrava
nella città, il flusso di energia sonora si allargava e si restringeva continuamente, seguendo il ritmo ed il
respiro della musica.
L’idea di offrire un regalo musicale
all’intera comunità si può sintetizzare nel fatto che alcuni eventi – sette,
per la precisione – sono stati specificamente dedicati alle scuole, ai ragazzi. Centinaia di studenti hanno
assistito a lezioni-concerto durante
le quali i musicisti hanno illustrato
le caratteristiche ed il significato di
brani anche molto raffinati e complessi, capolavori cameristici come
il Quintetto di Schumann o il Trio
op. 99 di Schubert, che venivano
poi eseguiti interamente. In queBietti introduce il Quintetto di Schumann
sti momenti il senso più profondo
per gli studenti di Ostiglia
dell’iniziativa veniva davvero alla ribalta: l’emozione e la conoscenza
punto di vista etico il peso di un simile atteggiamento
si intrecciavano, suoni, ritmi, melodie venivano prima
vada davvero messo in risalto. Un gruppo di professiospiegate, razionalizzate e quindi fruite direttamente.
nisti di alto livello, tutti ben noti e riconosciuti a livello
La musica si svelava in tutta la sua immensa ricchezza,
nazionale, sceglie liberamente di regalare il proprio lail suo essere al tempo stesso un atto di conoscenza, di
voro. In un momento di profonda crisi economica, che
scoperta del mondo, e un’esperienza fisica, una gioia e
colpisce il settore della cultura in modo forse più peuna vibrazione. L’evento conclusivo, il concerto dell’insante di altre attività. Ma, direi ancora più importante,
tera Orchestra da camera di Mantova al Bibiena con la
in un momento in cui scoppia uno scandalo quasi ogni
pianista Plamena Mangova, offriva la cifra, il riassunto
giorno, in cui si ha davvero l’impressione che gli interesdi tutta l’iniziativa. Il brano eseguito è stato il Concerto
si della classe dirigente, di chi regge i fili del potere, non
K. 271 di Mozart, forse il primo capolavoro indiscusso
coincidano perfettamente con quelli della collettività, e
del più amato tra tutti i compositori. Mozart ci mostra
che troppo spesso il tornaconto personale conti più del
in questo Concerto un impressionante balzo in avanti:
bene comune.
sviluppa miracolosamente, allo stesso tempo, lo stile, la
Per questo, credo che il gesto offerto dall’Orchestra da
forma del genere, innova fin dalle primissime battute
Camera di Mantova e dai suoi magnifici musicisti all’in(che cominciano in modo originalissimo con un dialotera provincia vada al di là di un semplice – e riuscitissigo tra solista e orchestra), e realizza una sorta di stramo – evento artistico. La musica ha mostrato, in questi
ordinaria “conciliazione degli opposti”, unisce e rende
due giorni, di essere capace di fare qualcosa per gli altri,
coerenti e compatibili i caratteri più diversi. Un primo
di sapersi rimboccare le maniche e di dimostrarsi utile
tempo vigoroso ed assertivo, un secondo movimento
alla comunità. Del resto questo è il senso più profondo
mesto, cantabile e dolente, un Finale in cui due danze
dell’arte, in ogni cultura e in ogni tempo: l’arte deve esapparentemente inconciliabili, Minuetto e Rondò, dansere un servizio, e allo stesso tempo deve indicare una
no vita ad una sintesi commovente. E proprio nell’idea
strada, un percorso morale. Deve mostrare che è posdella sintesi va trovato secondo me il valore più imporsibile affrontare problemi, risolvere tensioni che nella
tante di questa densissima due giorni mantovana. Non
vita di tutti i giorni facciamo fatica a fronteggiare, e può
l’ho scritto fino a questo momento, ma tutte le rapide
offrire un’armonia che la società, la politica di oggi non
presentazioni all’inizio di ogni concerto lo hanno giusembrano davvero in grado di assicurare. Il nostro monstamente sottolineato: gli artisti, nessuno escluso, si sono
do, insomma, ha davvero un gran bisogno di musica,
esibiti gratuitamente, per il piacere di contribuire ad una
forse oggi più che mai. L’Orchestra da Camera di Maniniziativa così forte e originale, e senza pretendere altro
tova lo ha dimostrato a tutti, in questo fine settembre.
che il contatto e il calore del pubblico. Credo che dal
8
musicalmente
IN COPERTINA
nelle scuole
Il fotoracconto
della DUE giorni
Photo Vettori
Sabato 29 settembre:
i musicisti dell’Ocm, l’Orchestra
FuoriTempo, l’Ottetto di fiati
dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia e il Trio
di Mantova danno vita
a 26 concerti a Mantova città
e sul territorio provinciale con
un’attezione speciale alle scuole
musicalmente
9
IN COPERTINA
Domenica 30 settembre:
24 gli appuntamenti che vedono
protagonisti tra Mantova
e provincia i musicisti dell’Orchestra
da Camera di Mantova,
i pianisti Plamena Mangova,
Irene Veneziano e Elia Tagliavia,
l’organista Damiano Rossi.
Ad aprire la seconda giornata
del Weekend a tutta classica
un’escursione impossibile nelle sale
del Castello di San Giorgio
gravemente danneggiate
dal sisma proposta
dal giornalista
e scrittore Stefano Scansani,
con intrusioni musicali a cura
del violinista Eugjen Gargjola
Fotoservizio di Nicola Malaguti
Foto 2000
La raccolta fondi realizzata
nel corso delle due giornate
viene destinata
al complesso monastico
di San Benedetto Po,
prezioso bene
artistico del territorio
mantovano
Foto di Andrea Rinaldi
10
musicalmente
I CONCERTI
John Axelrod
Battesimo
di STAGIONE
musicalmente
11
I CONCERTI
John Axelrod, carismatico
direttore americano,
guida l’OGI in un viaggio
musicale da Cajkovskij
a Copland nel concerto
inaugurale di
“Tempo d’Orchestra”
Sono passate solo poche settimane dalla scomparsa di Piero Farulli. È impossibile raccontare la storia
dell’Orchestra Giovanile Italiana senza ricordare prima l’ardore profetico e la fede nella musica di questo
artista impareggiabile e uomo indimenticabile. Come
viola del Quartetto Italiano, Farulli ha vissuto nella
prima parte della vita una delle esperienze più entusiasmanti della musica italiana, offuscata purtroppo
alla fine da spiacevoli polemiche, secondo il costume incorreggibile delle vicende di casa nostra. Dopo
trent’anni di musica ai massimi livelli e un infarto che
avrebbe stroncato un bue, Piero tuttavia non aveva
nessuna intenzione di mettersi a riposo.
Non era un fatalista e vedeva in che condizioni versavano le istituzioni musicali del nostro paese, a cominciare dai Conservatori e dalle orchestre dei teatri.
La professione musicale era ridotta a un mediocre
mestiere, esercitato in maniera
svogliata da strumentisti frustrati
e rassegnati al fallimento artistico.
La musica da camera era ignorata o vista con sospetto dagli insegnanti, che la consideravano una
perdita di tempo per i migliori
e un inutile sforzo per gli allievi
meno dotati.
L’orchestra, non ne parliamo,
una morta gora popolata di anime in attesa della pensione. Farulli avrebbe potuto limitarsi ad
allargare le braccia, in fondo ne
avrebbe avuto il diritto, considerati la salute e il prestigio. Ma il
toscanaccio Piero aveva l’anima
del profeta e gli sarebbe sembrata
di Oreste Bossini
una bruciante sconfitta rimanere
Orchestra Giovanile Italiana
Gioventù
VIRTUOSA
L’OGI, nata nei primi anni Ottanta, diventa
subito uno strumento formidabile per sovvertire
l’avversione dei musicisti italiani per l’orchestra.
Oggi è un’affermata compagine e un modello
12
musicalmente
I CONCERTI
AUDACIA E SENSO PATRIOTTICO MADE IN USA
L’anno successivo al coinvolgimento
diretto degli Stati Uniti nella Seconda
Guerra mondiale, scatenato dall’attacco
a Pearl Harbor, il maestro londinese
Eugene Goossens, a quel tempo direttore
musicale della Cincinnati Symphony
Orchestra, ebbe l’idea di commissionare
ad alcuni compositori più e meno celebri
una breve pagina dedicata ai militari alleati
impegnati nel conflitto, da eseguirsi prima
dei concerti in abbonamento. Risposero
in molti, tra cui, oltre lo stesso promotore,
che scrisse una Fanfara per la Marina
Mercantile, Walter Piston, Darius Milhaud
(Fanfare de la Liberté), Paul Creston, Henry
Cowell, Morton Gould ed Aroon Copland
il quale, anziché scegliere una dedica
ben precisa, decise, probabilmente
suggestionato da un famoso discorso
pronunicato nel ’42 dal vice presidente
USA Henry Wallace, per una Fanfare for
John Axelrod
the Common Man (Fanfara per l’uomo
comune) che venne destinata ad un
organico di 11 strumenti a fiato (quattro
corni, tre trombe, tre tromboni, basso
tuba) e percussioni (timpani, gran cassa
e tam-tam). La breve partitura, fra tutte
quelle commissionate da Goossens, è
stata l’unica a divenire popolare, simbolo
maestoso di audacia e senso patriottico,
con suggestione di tinte ed accenti crudi
ed essenziali. A quest’ultima fa eco con
una certa analogia di tratti ed in senso
competitivo parodistico, dedicata a
“donne avventurose”, la Fanfara n.1 for the
Uncommon Woman della compositrice
Joan Tower, newyorkese, classe 1938,
che vi richiede un organico simile a quello
di Copland. Quest’altra breve pagina,
comparsa nel gennaio 1987 sotto la
direzione di Hans Vonk e commissionata
dalla Houston Symphony, fu seguita
con le mani in mano di fronte a tanto scempio. Con
l’aiuto di una sparuta manciata di discepoli, Farulli decise di fondare nel 1974 la Scuola di Musica di Fiesole, nella convinzione che si potesse prendere esempio
anche da una piccola esperienza per riformare alle radici l’educazione musicale italiana. Un’utopia simile
a quella di Don Milani e della scuola di Barbiana, ma
per fortuna prosperata con maggior successo.
Ma mancava ancora qualcosa per completare l’opera.
Nel 1978 Lionel Bryer, un vulcanico dentista inglese
di origini sudafricane, e la moglie Joy fondarono la
European Community Youth Orchestra, grazie all’aiuto del primo ministro inglese Edward Heath e di un
artista sempre generoso con i giovani come Claudio
Abbado. Farulli comprese subito la necessità di riprendere e innestare nella realtà italiana quell’idea
strepitosa.
L’Orchestra Giovanile Italiana, nata nei primi anni
Ottanta, diventava infatti uno strumento formidabile
per sovvertire la tradizionale avversione dei musicisti
italiani per l’orchestra.
L’idea di Farulli era semplice e rivoluzionaria: la prima cosa da imparare per suonare in un ensemble è
di ascoltare gli altri. Per un ragazzo abituato fin dalla
più tenera età ad ascoltare sempre e soltanto il suono del proprio strumento si trattava di una scoperta
sconvolgente.
Pensate che lezione di civiltà sarebbe anche per i non
musicisti, capire che per vivere in armonia con gli altri
la prima cosa da imparare è saper ascoltare. Su questo
principio elementare è stato costruito l’intero edificio
dell’Orchestra.
Il lavoro era distribuito in modo tale che ciascun musicista avesse la possibilità di suonare alla mattina musica da camera, sotto la guida di maestri del calibro
di Farulli, del Trio di Trieste, di Franco Petracchi e
da altre quattro con il medesimo titolo
tra il 1989 ed il 1993, diverse però
nella strumentazione. Ad eseguirle il 18
ottobre al Teatro Sociale di Mantova è
l’OGI guidata dalla carismatica bacchetta
dell’americano John Axelrod. Il programma
è completato dall’interpretazione della
Sinfonia n.9 Dal Nuovo Mondo di Dvoràk e
della Sinfonia n. 4 di Cajkovskij
Il concerto sarà presentato da Oreste
Bossini martedì 16 ottobre alle ore 18 in
Sala Norlenghi a Mantova. (a.z.)
di tanti altri musicisti di primo piano. Al pomeriggio
invece le varie sezioni si riunivano ciascuna per conto proprio, per studiare le parti dei lavori sinfonici in
programma nei concerti. Ogni fila studiava con l’aiuto di un professionista importante, tutti musicisti con
una lunga esperienza e abituati a suonare con solisti e
direttori di rango internazionale.
Alla fine il lavoro della giornata sfociava nella prova
d’orchestra, che diventava così il punto d’arrivo e la
sintesi del percorso formativo saggiamente progettato
dai fondatori.
E visto che siamo in clima di amarcord, un pensiero di
riconoscenza e affetto va al compianto Piero Bellugi,
che per molti anni si è sobbarcato la dolce fatica di
svezzare tanti giovani musicisti, cedendo poi la bacchetta, una volta preparata l’Orchestra a dovere, ai
numerosi artisti ospiti venuti a sostenere nel corso di
trent’anni la splendida utopia di Farulli.
Da allora naturalmente le cose sono cambiate.
Il successo dell’OGI ha provocato una proliferazione di orchestre giovanili, a volte giustificate da buoni progetti, altre volte invece formate al solo scopo
di sfruttare manodopera a basso costo. Inoltre oggi
le orchestre italiane si sono profondamente rinnovate
con l’ingresso di tanti giovani musicisti, molti dei quali passati attraverso l’esperienza di Fiesole.
Come tutti i fenomeni umani, anche la Giovanile deve
affrontare quindi una fase nuova e raccogliere sfide
diverse rispetto al passato.
La scomparsa di Farulli segna adesso anche in maniera simbolica la fine di un’epoca gloriosa e induce la
direzione della Scuola, passata già da qualche anno
nelle mani di Andrea Lucchesini, a imboccare delle
strade nuove, inventando per l’Orchestra Giovanile
Italiana progetti in grado di rispondere alle esigenze
della musica di domani.
musicalmente
13
I CONCERTI
Sul filo della NOSTALGIA
Era il 22 novembre di 20 anni fa. E Antonio Ballista con l’Orchestra da
Camera di Mantova dava il via alla prima edizione di “Tempo d’orchestra”
di Anna Barina
Era il 22 novembre del 1993 quando sul palco del Teatro Bibiena l’Orchestra da Camera di Mantova dava il via alla prima stagione di Tempo
d’Orchestra. Oggi, a vent’anni di distanza e sul filo della nostalgia, quel
concerto viene ripreso il 14 e 15 novembre (rispettivamente a Suzzara,
all’Auditorium, e a Mantova, al Bibiena) e ancora una volta a dirigere dal
pianoforte l’ensemble mantovana c’è Antonio Ballista. Milanese, pianista,
clavicembalista e direttore d’orchestra, già divulgatore dell’avanguardia
strumentale nel dopoguerra e storico partner del duo pianistico con Bruno Canino, si è dedicato sin dall’inizio della sua carriera all’approfondimento delle espressioni musicali più diverse, effettuando personalissime
escursioni nel campo del ragtime, della canzone italiana e americana, del
rock e della musica da film, agendo spesso in una dimensione parallela
tra la musica cosiddetta di consumo e quella di estrazione colta. E come
in quella serata di quattro lustri fa, Antonio Ballista riporta a Mantova
quella che lui stesso definisce «la più recente e innovativa delle correnti
musicali», il crossover.
Cosa richiamerà alla memoria del pubblico quel primo concerto di Tempo d’Orchestra?
«Evocheremo quella sera eseguendo ancora Incantesimi, una fantasia di
canzoni dai film di Walt Disney per soprano, pianoforte ed ensemble strumentale. Ci tengo a sottolineare che l’Orchestra da Camera di Mantova è
stata tra le prime ad eseguire questo programma, precoce esempio italiano
di crossover, la corrente musicale il cui precursore è stato nel 1984 il pianista Alessandro Lucchetti. Fino a quel momento, infatti, il crossover veniva
identificato con la fusion, ovvero l’unione di jazz, etnica e altri generi di
musica di consumo, ma l’innesto con la classica è stato realizzato per la prima volta da me e Lucchetti. La musica da film è qui trasformata in musica
per un’orchestra classica: la rielaborazione è avvenuta innestando il materiale della colonna sonora in strutture formali mutuate dalla cosiddetta
“musica colta”. Questo è possibile perchè, a differenza di altri generi basati
sull’improvvisazione, nella classica esiste la notazione».
14
musicalmente
Due immagini
del maestro Antonio Ballista
I CONCERTI
Un repertorio che però viene spesso considerato di serie B proprio dagli
stessi musicisti...
«Sì, purtroppo è vero. La musica di consumo è considerata di seconda serie anche da artisti importanti. L’intenzione mia e di Lucchetti è
proprio di sfatare questo mito perchè, come diceva il grande Leonard
Bernstein, «I generi musicali sono solo due, la musica scritta e quella
non scritta, e quest’ultima non va screditata». A mio parere possono
esistere sinfonie noiose come canzoni strepitose. Sembra ovvio ma non
lo è per i professionisti che ancora, devo dire con un certo razzismo,
pensano che la musica da film o la musica da ballo e anche le canzoni
non possano essere messe sullo stesso piano della classica, quando in
realtà quello che conta è la qualità».
Nella seconda parte del concerto presentate, appunto, una divertita ricognizione su 40 anni di musica leggera italiana, tra motivi del nascente
mezzo radiofonico, canzoni popolari e temi orecchiabili del Ventennio...
«Made in Italy ripercorre la storia italiana tra il 1910 e il 1950 attraverso la
musica dell’epoca offrendone uno spaccato sociologico con un continuo
rimando tra canzoni e vita. Nel programma sono presenti diversi medley.
Marco Braito (tromba)
e Massimiliano Rizzoli (contrabbasso)
dell’Ensemble dell’Ocm
Alessandro
Lucchetti
IL NEOROMANTICO LUCCHETTI TRA PIANOFORTE E CONTAMINAZIONI
Alessandro Lucchetti, compositore e pianista bresciano, si alterna al pianoforte con
Antonio Ballista nei due concerti intitolati Anni ruggenti, Melodie struggenti ed è
autore delle trascrizioni. Tra i fondatori della corrente denominata “neoromantica”,
è impegnato da anni nella ricerca sulla fusione dei generi e delle culture musicali
tra jazz, rock, musica orientale, afro-americana. Sue composizioni sono eseguite
in importanti festival e istituzioni concertistiche italiane e straniere e ha ricevuto
commissioni, tra gli altri, dalla Radio Svizzera, dalla RAI di Roma, dall’Orchestra di
Winterthur e dalla Biennale di Venezia. Sono molto eseguite le sue rivisitazioni di
generi musicali “altri” in chiave classica: dal rock (il concerto dal titolo Rocklied
appare ormai nei repertori di numerosi soprano italiani e stranieri), alla musica da
film (Movie Charms è il titolo del programma esistente in varie versioni cameristiche
e sinfoniche che racchiude il meglio delle colonne sonore italiane e americane),
alla canzone italiana. E proprio il programma che ripercorre quarant’anni di storia
italiana a cavallo delle due guerre, Made in Italy, lo stesso che ascolterà il pubblico
mantovano, ha riscosso un grande successo nel 2002 alla prima assoluta al Teatro
alla Scala, eseguito dello stesso Lucchetti con l’ensemble ‘900 e Oltre diretto da
Antonio Ballista. Programma che tre anni dopo è stato portato trionfalmente in
tournée in Argentina, Brasile ed Uruguay.
musicalmente
15
IN COPERTINA
Mercoledì 14 e giovedì 15
novembre Ballista riporta
a “Tempo d’Orchestra”
quella che a suo dire
è la più recente
e innovativa delle
correnti musicali:
il crossover
Dalle illusioni sognanti per amori mai consumati o conclusi, canzoni
come Tu che mi fai piangere e Tango della gelosia del geniale Gian Vittorio Mascheroni che hanno incontrato il favore di grandi cantanti lirici
come Gigli, Di Stefano e Pavarotti, a “Lazzi e sberleffi”, le canzoni della
fronda, ovvero titoli ironici e spassionati che sbeffeggiavano il regime.
Pippo non lo sa di Kramer e Maramao perchè sei morto sono state un’opposizione popolare sotterranea al fascismo. Voglio ribadirlo, la vera
musica contemporanea è questa, non quella che viene ammannita nei
festival ricalcando qualcosa che ormai ha esaurito del tutto dal punto
di vista storico il suo interesse. E la risposta del pubblico lo dimostra».
Intende dire che eseguire questo tipo di repertorio potrebbe aiutare il
ricambio generazionale di pubblico anche nella classica?
«Direi di sì, anche se gli interessi degli italiani sono ormai altri e la disaffezione generale per la musica non è facile da combattere. L’Italia ha
prodotto alcuni dei più grandi artisti di tutti i tempi ma gli italiani non
sembrano particolarmente interessati alla musica. Ci vorrebbe una politica illuminata ma soprattutto una necessità di nutrimento che parta
dalla base: la musica deve far parte in modo capillare della formazione
di un individuo, solo così tutti la consumeranno e si sforzeranno di comprenderla. Fino a quando l’educazione musicale è confinata ai Conservatori l’ignoranza che regna generale non potrà essere colmata».
“La musica
deve far parte in modo
capillare della formazione
di un individuo”
RAFFINATA INTERPRETE DI LIEDER
L’INGLESE LORNA WINDSOR
SARA’ LA VOCE PROTAGONISTA
Originaria del Kent, Inghilterra, il soprano Lorna Windsor ha
al suo attivo una brillante e versatile carriera. Riconosciuta
come interprete raffinata di lieder, si esibisce frequentemente
in recital dedicati alla musica da camera romantica e
contemporanea, ed è richiesta come interprete ideale da
compositori che hanno dedicato e dedicano opere alla
sua voce ed interpretazione. La sua personalità brillante la
ha portata anche verso l’operetta, a cominciare dal debutto
come Rosalinde in Die Fledermaus a Die lustige Witwe
di Lehar e la maggior parte dei ruoli di Offenbach, ma ha
interpretato anche vari ruoli delle opere buffe napoletane
del Settecento e, spesso, è stata protagonista di ruoli di
prosa a teatro. Un’altra sua passione è il repertorio di musica
antica, dai canti del XIII secolo dei Trobadors a Monteverdi.
Nel suo percorso si è distinta anche per le interpretazioni di
ruoli mozartiani come Venere in Ascanio in Alba, Donna Anna
nel Don Giovanni, Despina in Cosi fan tutte diretta da Claudio
Abbado. Nel campo operistico, poi, ha interpretato Euridice
nell’Euridice di Peri, Oscar in Un ballo in maschera, Sophie in
Der Rosenkavalier, Norina in Don Pasquale.
16
musicalmente
Lorna Windsor
NOTE ALL’ASCOLTO
a cura di Andrea Zaniboni
Orchestra
Giovanile Italiana
Mantova | Teatro Sociale
Giovedì 18 ottobre 2012, ore 20.45
John Axelrod, direttore
INSERTO ESTRAIBILE
A. Copland, Fanfare for the common man
A. Dvoràk, Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95
“Dal Nuovo Mondo”
J. Tower, Fanfare for the uncommon woman
P.I. Cajkovskij, Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
La Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” – un
tempo numerata come Quinta e oggi
divenuta Nona dopo il ritrovamento
di quattro sinfonie giovanili ed il conseguente rimescolamento dell’ordine
cronologico – risale al 1893 e fu la prima composizione scritta da Dvorák durante il soggiorno americano iniziato
nel settembre del ’92 e terminato, inclusa una parentesi in patria nel ’94,
nel mese di aprile del 1895.
Fin dal 1891 Dvorák era stato sollecitato da Jeanette Thurber, intraprendente
moglie di un ricchissimo commerciante ed appassionata di musica, ad assumere la direzione del Conservatorio di
New York da lei fondato, per il quale sarebbe stata estremamente gradita una
personalità di trainante prestigio. Ma
egli, pur con la sua forte esperienza di
viaggiatore e pur allettato da un compenso assolutamente straordinario per
l’epoca (quindicimila dollari annui)
tergiversò a lungo, finendo per accettare l’incarico solo dopo mesi di fitti
scambi espistolari.
Compositore di stampo “nazionalista”,
come si è voluto puntualizzare, Dvorák
approdò nel Nuovo Mondo con un
sostanzioso bagaglio di opere confortate dalla freschezza dell’ispirazione,
dall’agilità delle strutture compositive
e da una sensibile influenza del dato
popolare, colto in una rivistazione affettuosa e spontanea, non quindi sistematica o motivata da desideri di ricerca
scientifica.
Tali inclinazioni ovviamente non svanirono nella nuova patria temporanea,
manifestandosi così anche nella produzione “americana”.
La Nona Sinfonia in questo senso è
esemplare, e sia il celebre Largo (con
il pensieroso motivo del corno inglese)
quanto gli altri movimenti, specie quelli estremi, abbondano di tratti riferibili
al folclore locale e alla tradizione po-
polare indiana. Ma si tratta, come s’è
detto, di riferimenti, non di puntuali
trascrizioni, tanto che le interpretazioni a questo riguardo sono dissimili: c’è
chi ha fatto notare la somiglianza di un
tema dell’Allegro iniziale con quello di
uno spiritual, e chi ha segnalato come
la celebre melodia del Largo sia stata
utilizzata in ambito disimpegnato, a
sottolinearne i profili non intellettuali. Le origini del materiale utilizzato da
Dvorák comunque non sono state individuate con esattezza: e ciò basta a farci credere che l’inventore non sia altri
che lui, abilissimo nel consegnarci una
Sinfonia che, in felice miscela di radiosa
spontaneità melodica ed arioso sapere
costruttivo, s’imprime immediatamente nella memoria.
Nel segno del travaglio interiore, che
giunge ad assumere una dimensione realmente condizionante non solo in ambito artistico ma pure nel quotidiano,
risente buona parte della produzione
di Cajkovskij ed in particolare proprio
la Quarta Sinfonia ideata e conclusa tra
il 1876 e il 1878, nel periodo che segna
l’avvio dei famosi scambi epistolari con
la facoltosa protettrice Nadežda von
Meck, nonché il compiersi della disastrosa e singolare esperienza matrimoniale con Antonina Miljukova, sposata
in un momento di follìa, senza alcuna
convinzione. Proprio la Quarta, per la
sua straordinaria carica emotiva, in evidenza specie nel primo movimento, e
per il fiorire di idee che trovano esposizione con scrittura orchestrale a tratti virtuosistica e spettacolare, emerge
come una tra le sue più riuscite prove
sinfoniche: fatto che rende plausibile
quella tesi che pone in strettissimo rapporto «crisi privata e deflagrazione del
processo compositivo» (Aldo Nicastro).
Di questa Sinfonia, presentata a Mosca
all’inizio del ’78 con la direzione di Nikolaj Rubinstein, lo stesso Cajkovskij la-
Antonin Dvoràk
sciò più che una traccia interpretativa
in una ben nota lettera indirizzata alla
von Meck: «L’introduzione contiene il
germe di tutta la sinfonia, l’idea da cui
tutto il resto dipende. È il fato, la potenza del destino che ci impedisce di
essere felici (…) in balia delle onde vaghiamo senza meta sino a quando veniamo inghiottiti dal nulla. Questo è in
sostanza il senso del primo movimento. Il secondo raffigura un altro aspetto
delle nostre sofferenze, la malinconia
che ci travolge la sera, nella solitudine
(…). Il terzo movimento è una successione di immagini impalpabili, quali
traversano la mente durante l’ebbrezza. (…) Il quarto movimento suggerisce di cercare negli altri la serenità che
manca a noi stessi (…). Ma anche qui a
tratti ricompare il destino».
Ma se tanto ispirato ci appare il “programma”, più efficace ancora si svela il
potere illustrativo della partitura, di cui
gli aspetti elegiaci, affettuosi, irresoluti, appassionati, si colgono come spie di
un vivere precario, tra le insidie di una
sensibilità mai appagata.
«In effetti la mia anormalità – confidava il compositore al fratello Anatol, nel
1875 – provoca un abisso insormontabile tra me e la maggior parte della
gente».
musicalmente
17
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Ensemble
dell’OCM
Alessandro Lucchetti,
pianoforte
Antonio Ballista,
pianoforte e direttore
L’idea di distillare il meglio di quarant’anni di canzoni, restituendo il
profilo di un’epoca attraverso arrangiamenti per un ensemble classico
(senza voce!) risale sia per Lucchetti
sia per Ballista a diversi anni fa. Ballista racconta che fu ispirato da una
scena del film Shining di Stanley Kubrick: tronato a casa volle ricostruire
musicalmente in un concentrato di
nostalgia i sentimenti provati nel corso della visione del film, alla ricerca di
una sorta di Eldorado musicale perso per sempre, come ha raccontato
lui stesso. Per Lucchetti (…) l’ultima
tessera di un mosaico iniziato a metà
degli anni ’80 contribuisce a delineare i contorni della più moderna corrente musicale: il crossover, che unisce stili e correnti musicali diverse.
Lucchetti non è nuovo al ruolo di
trascrittore-rielaboratore di musiche
che non appartengono alla tradizione musicale cosiddetta colta o classica. Lo testimoniano esperienze come
Movie Charms, concerto-spettacolo sulla magia del cinema attraverso le colonne sonore, o come Rocklied, rielaborazione in versione liederistica per
voci femminili di canzoni dei Beatles.
Avventure, come scrive Lucchetti, intraprese all’insegna del divertimento,
ma anche vere e proprie sfide raccolte nell’intento di mostrare come una
bella musica, espressione di idee, sentimenti, immagini, atmosfere, possa
vivere vite parallele, valicando le barriere issate fra i generi classico e leggero che suddividono l’arte dei suoni
in mondi apparentemente incomunicabili. Non c’è musica di serie A o
di serie B: ma solo musica di qualità.
L’originalità di questa proposta sta
nell’assenza di testi letterari per cui le
canzoni entrano in una dimensione
atemporale e diventano mitiche, evocando con maggior intensità ricordi,
emozioni, nostalgie. Una magistrale
orchestrazione ripropone a un pubblico colto una musica di consumo, destinata a un pubblico di massa attraver-
18
musicalmente
Suzzara| Auditorium
Mercoledì 14 novembre | ore 20.45
(Abbonati Apollo, Venere, Euterpe, Ouverture)
Mantova |Teatro Bibiena
Giovedì 15 novembre | ore 20.45
(Abbonati Amico Sostenitore, Orfeo, Ouverture)
“Anni ruggenti, Melodie struggenti”
Mancini-Lucchetti,
Una Pantera a Hollywood
Fantasia di temi dalle colonne sonore
di Henry Mancini
AA.VV. – Lucchetti, Incantesimi
Canzoni dai film di Walt Disney
(musiche di Churchill, Livingstone e altri)
D’Anzi, Tu musica divina - Bambina innamorata - Ma le gambe Silenzioso slow
- Non dimenticar… - Ma l’amore no
G. Kramer, Pippo non lo sa
M.C. Consiglio, Il pinguino innamorato
- Maramao perché sei morto
R. Morbelli, Ba-ba-baciami
A. Pestalozza, Ciribiribìn
V. Mascheroni, Bombolo - Fiorin fiorello
- Lodovico - Tu che mi fai piangere
-Tango della gelosia
D. Olivieri, Tornerai
E. Sciorilli, Perduto amore
A. Fragna, Signora illusione
G. Kramer, Non ti fidar
(di un bacio a mezzanotte)
Gorni Kramer
so medley, cioè miscellanea di canzoni suonate come un pezzo continuo.
La scelta dei brani è frutto di un lungo, a tratti estenuante periodo di
ascolti, come dice Lucchetti, supportati dall’ausilio spesso canoro di un
esercito di prozie e conoscenti, che
ebbe come esito la selezione di canzoni attraverso le quali un’intera epoca
esprime la sua cultura, il suo gusto, i
suoi costumi, le sue abitudini, perfino
i suoi tic, un racconto dell’Italia dalla bella époque al secondo dopoguerra.
La vivace suddivisione del repertorio (…) permette ai motivi di susseguirsi in maniera armoniosa, di
aggrovigliarsi come se si perdesse il
filo del discorso, di sovrapporsi, evocando, attraverso più o meno insistiti
ritorni, fantasmi di forme classiche.
L’esordio è affidato a sei composizioni di Giovanni D’Anzi, il grande artista milanese nato il 1° gennaio 1906
e passato alla storia per aver scritto
parole e musica di O mia bela Madunina, la canzone-inno dei Milanesi.
Tra i più importanti compositori di
musica leggera, negli anni ’30-’50 lavorò in coppia con Alfredo Bracchi
versatile autore milanese (…). Insieme composero motivi di successo per
la radio, il cinema e la rivista. D’Anzi venne fortemente influenzato dal
jazz e dai ritmi latino-americani, ma
fu anche tra i promotori della canzone d’autore in dialetto milanese.
La diffusione delle canzoni di Giovanni D’Anzi è legata alla radio. Fu il 1924
l’anno della grande rivoluzione nella
storia della comunicazione in Italia:
iniziarono le trasmissioni radiofoniche. Da quel momento in poi la canzone entrò nelle case degli italiani e
il mercato editoriale si servì della radio per rendere familiari le melodie i
cui spartiti sarebbero stati venduti alle
orchestrine e ai complessini di tutta Italia per essere eseguite nelle sale
da ballo e nelle feste di piazza. Solo
le canzoni di successo diventavano
occasionalmente un disco a 78 giri. Il
mercato del disco non era, all’epoca,
rilevante dal momento che ben pochi possedevano un grammofono. La
radio invece, a galena o elettrica, raggiunse progressivamente la più ampia
diffusione.
Con le prime trasmissioni radiofoniche in Italia nacque l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) – nome
che verrà in seguito sostituito da quello della RAI.
(note estratte dal booklet allegato al cd
Made in Italy – La Bottega Discantica,
2005)
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Orchestra
della Toscana
Lunedì 3 dicembre 2012
Mantova, Teatro Sociale | ore 20.45
H. Purcell-B. Britten, Ciaccona
B. Britten, Doppio concerto per violino,
viola e orchestra
W.A. Mozart, Sinfonia n. 40 in sol minore
K. 550
Uno dei rari cimenti del Britten trascrittore si è esercitato proprio su
una celebre pagina della più magistrale figura di musicista inglese del
diciassettesimo secolo, Henry Purcell, con la splendida Chaconny in sol
minore (Z.730), antica danza su basso
ostinato per archi e basso continuo,
datata 1680, rielaborata per orchestra d’archi con ovvio arricchimento di spessore sonoro, tra la fine del
1947 e l’inizio del 1948, quindi immediatamente presentata a Zurigo
dal Collegium Musicum di quella città diretto dallo stesso compositore.
In questa scelta felice (non l’unica di
Britten nei riguardi di Purcell) c’è il
riflesso dell’attenzione del musicista
di Lowestoft per la grande storia nazionale e per le forme arcaiche (altre
ciaccone, nella sua produzione si ravvisano nel Quartetto n.2 per archi del
1946 e nella Seconda Suite per violoncello del 1971), ma anche il segnale
di una modernità aperta alle più varie
influenze se è vero che altre prove del
genere inclusero Mahler (il secondo
movimento della Terza Sinfonia, rivisto
per piccola orchestra nel 1941) quanto
il tradizionale inno God Save the Queen.
Tale ecletticità creativa è anche quella
che emerge dal cosiddetto Double Concerto (Britten lo intitolò semplicemente Concerto in si minore per violino, viola e
orchestra) realizzato nel 1932, due anni
prima della celebre Simple Symphony,
dove l’impianto neo-classico e l’attenta razionalità compositiva tesa ad
individuare elementi collanti, si sposa
con un’immaginazione sonora persino epica e con un vitalismo ritmico
(vedi soprattutto il terzo ed ultimo
movimento) di coinvolgente energia,
che affonda le radici nelle scoperte
degli avanguardisti d’inizio secolo.
Il Concerto per violino e viola aperto ad
un epilogo inusuale nel richiamo del
primo movimento, in un progressivo
svanire delle sonorità, rimase a lungo ineseguito: la prima esecuzione si
diede solo nel 1997 all’Aldeburgh Fe-
Andrea Tacchi, violino
Stefano Zanobini, viola
Johannes Debus, direttore
stival con la Britten-Pears Orchestra
guidata da Kent Nagano (solisti Katherine Hunka e Philip Dukes). Due anni
dopo ne seguì la pubblicazione.
La Sinfonia in sol minore K.550, quarantesima prova mozartiana nell’ambito
specifico, si lega notoriamente a tutta
una serie di suggestioni legate alla biografia del compositore (comprese le
sue crescenti difficoltà economiche),
alla metafisica della musica strumentale, intrisa di patetismi finanche preromantici, ed alle proprietà attribuite
alla tonalità selezionata che «sembra
portare con sé - così ha scritto Beniamino Dal Fabbro - un’inquietudine patetica e arcana, un soffocato e un po’
angosciato lirismo». Lasciamo pure da
un lato la troppo lacrimevole «prova
d’amore in prossimità della morte»
partorita dalla prosa d’Aloys Greither,
noto studioso mozartiano; ma rientra
tra i fatti musicali verificati il grande
potere di commozione e d’emozione
suscitato da questa Sinfonia: non a
caso, seconda ed ultima scritta da Mozart nella tonalità di sol minore, svetta
tra le opere più celebri di tutti i tempi,
essendosi avvantaggiata di una costante auto-promozione, segnale della sua
costante attualità.
Scritta oltre tre anni prima della morte (fu completata a Vienna il 25 luglio
del 1788), e seguita da una settantina
di numeri d’opera in buona parte finalizzati al più sereno intrattenimento,
la Sinfonia K.550 si colloca al centro di
una triade celeberrima – costituita con
le sinfonie K.543 e K.551 “Jupiter”- che
recenti ricerche hanno legato a sicure
finalità esecutive, sebbene non meglio
specificate.
Con il recupero della misura per così
dire umana, in ogni modo, non pare
se ne sia ridotto il messaggio artistico che, al contrario, n’è uscito potenziato: perché è proprio il contatto di
Mozart con il quotidiano che n’esalta,
per contrasto, la stupefacente capacità
d’astrazione. Al riguardo, anche l’essenzialità dei mezzi strumentali a cui
Benjamin Britten
il maestro salisburghese fece ricorso
(un’orchestra senza trombe e timpani,
e inizialmente anche senza clarinetti,
aggiunti poi, nel 1791), precisa che il
suo intento espressivo non necessita di
grandi mezzi, di materialità; giacché
piuttosto è nella leggerezza che la sua
immaginazione spicca il volo, disegna
allusioni, scopre l’emozione di profondità ignote.
Di «aleggiante Grazia greca» ebbe a
scrivere Robert Schumann, di «appello
all’eternità» l’Einstein. Certamente, di
là dai tentativi di afferrarne lo spirito,
questa Sinfonia, se a suo tempo emerse come violazione della regola, oggi
mostra di mantenere il segreto sul suo
ambiguo ondeggiare tra semplicità e
complessità, tra eleganti candori e vibranti scosse drammatiche. Opera che
sollecita domande, e che non placa i
nostri turbamenti.
musicalmente
19
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Quartetto Avos
Mario Montore, pianoforte
Mirei Yamada, violino
Diana Bonatesta, viola
Luca Magariello, violoncello
Ricordato come il maestro di Benjamin
Britten, l’inglese Frank Bridge (18791941) a oltre settant’anni dalla morte è
ancora inspiegabilmente poco noto in
Italia sebbene la sua produzione da camera sia considerata di grande valore,
rappresentando addirittura una vetta
rilevante in ambito nazionale. Autore
di un catalogo corposo, nel quale rientrano anche svariate partiture orchestrali ed un centinaio di liriche, Bridge ebbe un’evoluzione notevole che lo
condusse dalle propaggini del romanticismo all’atonalità («non senza un certo disagio e artificio», nota il Mila).
Il Phantasy Quartet in fa diesis minore
rappresenta in un certo senso l’anello
di congiunzione fra tradizione e novità
e fu completato nel giugno del 1910,
venendo pubblicato l’anno successivo
da Goodwin & Tabb. Il lavoro giunse
a seguito di una nutrita serie di altre
pagine da camera come le Novellette
ed il Phantasy String Quartet (quest’ultimo vincitore del Premio Cobbett), il
Primo Trio con pianoforte (anch’esso
premiato), un Quintetto con pianoforte ed una Sonata per violino e pianoforte, tutti compiuti a partire dal 1904.
Vi si ritrova un atmosfera che risente
di influenze germaniche e francesi,
fra melanconia e brillantezza, caratteri lavorati con preziosismi timbrici
ed ispirato lirismo, ed organizzati secondo un piano formale atto a creare
un disegno che si presenta speculare rispetto alla cerniera centrale, rappresentata dal “Trio” dello Scherzo.
In definitiva una pagina suggestiva, dalla quale ben avviare una ricognizione
su questo compositore misconosciuto,
che Britten significativamente omaggiò nel 1937 con le sue Variazioni orchestrali op.10.
Secondo Jean-Michel Nectoux, qualità
essenziale di Fauré è saper «esprimere i sentimenti più elevati con i mezzi
più semplici per raggiungere, in qualche modo, la carne nuda dell’emozione». L’affermazione è condivisibile,
pur tuttavia il maestro francese, protagonista della stagione del rinnova-
20
musicalmente
Suzzara, Auditorium | ore 20.45
Venerdì 14 dicembre 2012
F. Bridge, Phantasy piano quartet
G. Fauré, Quartetto n. 1 in do minore op. 15
per pianoforte e archi
J. Brahms, Quartetto n. 2 in la maggiore op. 26
per pianoforte e archi
mento linguistico nel suo paese a cavallo tra Otto e Novecento, rimane a
tutt’oggi un musicista non per tutti,
in ragione di una scrittura estremamente sofisticata, un ventaglio di caratteri non appariscenti, un fascino
intimo che si spiega per vie segrete,
così da richiedere un ascolto analitico,
una sintonia speciale nell’ascoltatore.
Tutta la sua musica da camera, d’altissima qualità, richiede questa singolare chiave d’accesso, da cui non viene
escluso ovviamente nemmeno il suo
primo Quartetto con pianoforte op.15,
scritto nel 1879 (Fauré era un compositore maturo, di 34 anni) e poi revisionato qualche anno dopo in ragione di un’insoddisfazione riguardante il quarto ed ultimo movimento.
Dedicato al violinista e compositore belga Hubert Léonard (1819-1890) questo
lavoro, presentato con successo a Parigi nel 1880, si presenta tuttavia ricco di
una chiarezza e di un’energia singolari,
capaci di avvincere anche senza la mediazione di speciali filtri intellettuali. In
tal senso quello che Marguerite Long
chiamava «charme ondoyant et berceur» si unisce ad una nettezza di tratti
e ad una vivezza ritmica tali da unire il
fluttuare della sensibilità armonica alla
pulizia delle forme, nel quadro di un
respiro di radice romantica che oscilla,
attraente di minuziose sottolineature,
tra frenesia e gravità pensierosa. Fascino di una tavolozza nella quale calano,
in quantità, anche le medie tinte di una
sensuale indeterminatezza, tipica di
questo maestro.
«Mi sono familiarizzato sempre più con
il Quartetto in la maggiore. Il tono intimo
e tenero ben contrasta con la fresca giovalità. (…) L’Adagio è magnifico! Prima pensavo che l’antitesi del mi maggiore non fosse felice; ma suonandolo
(pur malamente) al pianoforte, me ne
entusiasmai e provai vera meraviglia
quando il filo d’oro del tema penetra
scintillando nell’indeterminatezza della passione e appaga». Così scriveva
nell’ottobre del 1861 Joseph Joachim,
violinista ed intimo amico di Brahms
Johannes Brahms
dopo aver preso conoscenza del nuovo Quartetto op.26, lavoro compiuto a
ruota del gemello op.25, e come quello ampio d’architettura, denso di materiali, lavorato con vivo senso razionale. Anche qui, come in molte opere di
questo genere firmate dal compositore
d’Amburgo, emerge quel “camerismo
sinfonico” che lo contraddistingue:
scritture sostanziose, pianoforte emergente e con ruolo trainante, pastosità di suono, serrata azione collettiva.
Il vasto nuovo Quartetto, che contribuì a far conoscere il nome di Brahms
nel cruciale ambiente viennese (la prima esecuzione si ebbe il 29 novembre
del 1862, con il compositore al pianoforte accanto a membri del Quartetto Hellmesberger), ottenne apprezzamento del pubblico ma non convinse
del tutto l’autorevole Hanslick, a quel
tempo critico di Die Presse (quotidiano fondato nel 1848), che espresse riserve, fra l’altro, sul carattere dei temi,
a suo avviso scelti «più in vista delle
delle loro possibilità contrappuntistiche che delle qualità intrinseche».
In effetti questo rilievo ancor oggi non
appare del tutto infondato, se è vero
che ne risente una forma sostanzialmente più accademica se raffrontata
all’op.25; ma rimane evidente l’impronta di un talento costruttivo eccezionale,
capace di mettere a frutto ogni idea con
equilibrio raro di emozione e ragione.
I CONCERTI
Ed è di nuovo
MadamaDoRe
“Etnica”: esperienza d’ascolto
che si propone di coinvolgere
attivamente il pubblico in sala
di Vincenzo Mancini
UN PROGETTO
IN PARTENARIATO
Il progetto Neos Sinfonia
Orchestra nasce nel gennaio 2011 con un accordo di
partenariato tra i Comuni
e le associazioni musicali
del territorio piemontese: Centro per la Ricerca
e la Didattica Musicale-Musicanto e Scuola Civica
Musicale Carl Orff di Piossasco, Iniziativa Musicale
di Rivalta, Associazione Culturale Musicale di Beinasco e Associazione Amici della Musica di Bruino,
sotto la direzione artistica del maestro Alberto Conrado, a seguito dell’assegnazione di un contributo
del Ministero della Gioventù e dell’Anci per la partecipazione al bando Giovani Energie in Comune.
Grazie all’interessamento dell’Anci dei comuni e
delle associazioni coinvolte ottiene la possibilità di
proseguire l’attività concertistica a tutto il 2012.
Neos Sinfonia Orchestra
A inaugurare, nella stagione 2012/13, il ciclo di appuntamenti mattutini per famiglie Madama DoRe - Musica formato
famiglia, è Etnica - Dalle Ande agli Appennini (domenica 18
novembre, ore 11, Teatro Bibiena di Mantova), performance che intende offrire un’esperienza di ascolto legata alla
musica etnica e nel contempo un coinvolgimento attivo del
pubblico.
Il repertorio in programma viaggia lungo una linea immaginaria che, dalle sonorità tipiche dell’America Latina, attraversando l’oceano, solca l’area dell’Africa sub-sahariana,
per risalire poi fino al bacino del Mediterraneo. L’Orchestra
Neos Sinfonia, diretta da Alberto Conrado, esegue musiche
espressamente arrangiate, tratte dal repertorio popolare
brasiliano, boliviano, italiano, africano e arabo. Suonano
con l’orchestra, nell’area africana, i musicisti Marco Patanè
(kora e djembe) e Moussa Kora Sanou (kora e balafon). La
conduzione della performance intende ispirarsi alle linee
guida e alle pratiche della pedagogia Orff-Schulwerk (opera
didattica di Carl Orff). Ogni area geografica di repertorio
prevede una differente partecipazione del pubblico, dalla
body percussion alle microcoreografie e all’utilizzo della
voce che parla e che canta. Nell’intento di offrire il massimo coinvolgimento timbrico, l’orchestra giovanile utilizza,
in particolare nella sezione percussioni, ampio strumentario originale, dai tamburi africani alla kora, dalle percussioni dell’oriente allo strumentario del samba.
Gli strumenti a percussione rappresentano, infatti, fin dalla fondazione, un nucleo centrale dell’orchestra giovanile
Neos Sinfonia, in grado offrire al suo interno opportunità
di studio, momenti di aggregazione e spazi per l’esibizione
concertistica. La vera occasione per un reale coinvolgimento dei ragazzi, finalizzato ad un’autentica promozione della
crescita personale e volto alla scoperta e alla costruzione
dell’identità musicale di ciascuno, viene fornita, infatti,
proprio dall’attività di musica di insieme.
Per informazioni su biglietti e abbonamenti: biglietteria
Ocm (tel. 0376 1961640 - [email protected]).
musicalmente
21
I CONCERTI
Ritratto di Benjamin Britten,
Preciada Azancot, 1986
Bisogna recarsi ad Aldeburgh, sulla costa est della Gran Bretagna,
per capire profondamente la figura di Benjamin Britten, di cui nel
2013 ricorre il centenario della nascita: c’è, nelle infinite solitudini
delle spiagge del Suffolk e nel verde incontaminato dell’entroterra
pianeggiante su cui si staglia un cielo vasto e mutevole, l’idea di un
“paesaggio musicale” che dovette attrarre Britten quando, parzialmente incompreso dai londinesi, scelse nel 1948 questo borgo di
pescatori come ritiro. Il compositore inglese era nato non lontano
da Aldeburgh e la scelta di questo luogo significava al contempo
un ritorno alle origini e un gesto ardito: da un lato, faceva leva l’attrazione del magnifico e amniotico
mare della costa orientale o degli
idillici paesaggi di campagna alla
Constable; dall’altro vi si contrapponeva la diffidenza degli abitanti
locali, che videro arrivare Britten
nientemeno che insieme al suo
compagno di vita Peter Pears: una
coppia che, se a Londra era a malapena tollerata, in provincia suscitava raccapriccio e disgusto. Ci si
chiede perché un compositore già
noto in tutto il mondo non abbia
pensato a metter radici in un luogo culturalmente più prestigioso:
ad esempio New York. A Brooklyn,
Britten visse qualche tempo in una
comune di artisti ribelli, fra cui gli
scrittori Auden, Bowles e Isherdi Luca Ciammarughi
wood, ma ben presto si accorse di
I tormenti
di un GENIO
Ritratto di Benjamin Britten, artista
di straordinaria onestà intellettuale capace
di trasformare i propri fantasmi in capolavori
di sconcertante e toccante umanità
22
musicalmente
I CONCERTI
Il suo ritiro nella
provincia inglese
fu una presa
di coscienza delle
proprie radici in senso
caratteriale e musicale
Nella sua musica
ritroviamo lacerazioni
che derivano
da un’esperienza
di sofferenza reale
essere troppo introspettivo per sostenere la brillantezza del Gran Mondo:
«Qui sono tutte mode-mode-mode», disse. Il ritiro nella provincia inglese
non fu dunque per Britten solo un atto di rassegnazione, ma anche la presa di coscienza definitiva delle sue forti radici inglesi, sia in senso caratteriale che in senso musicale. La solitudine che Britten trovò ad Aldeburgh
ci suggerisce anche che egli avesse alzato bandiera bianca nei confronti
dell’esistenza per sublimare le proprie pulsioni nell’arte: non è un mistero
il fatto che il compositore fosse attratto da giovanissimi ragazzi, con i quali
sapeva di non poter e non dover instaurare altro che romantiche relazioni
idealizzate. La mancanza di ipocrisia che Britten manifestò nel mostrare i
propri sentimenti andò di pari passo con una forma di autopunizione, quella dell’isolamento e della vita austera. Musicalmente parlando, tutto ciò produsse un materiale poeticamente incandescente, soprattutto nelle opere che
toccavano il tema proibito: Billy Budd, Giro di vite, Peter Grimes, Albert Herring
e La morte a Venezia. Nella sua musica ritroviamo lacerazioni che non sono
mai presuntuosamente programmatiche, ma derivano da un’esperienza di
sofferenza reale, come nel caso dell’amico Shostakovich: da un lato, le triadi
consonantiche richiamano un mondo di innocenza perduta (il gamelan balinese sui giochi di Tadzio in spiaggia), dall’altro le dissonanze incarnano la
realtà nella sua brutalità (pensiamo all’orgia dodecafonica che rappresenta
la malvagità del pedofilo Quint in Giro di vite). Non è un caso che uno dei
riferimenti di Britten fu Franz Schubert, di cui suonò più volte i grandi cicli
liederistici e con cui condivise il tragico dilemma dell’apollineo e del dionisiaco, della luce e dell’ombra. Se sulla grandezza musicale di Britten nessuno
ormai osa più sollevare dubbi («Britten è stato per me la persona più squisitamente musicale che io abbia mai incontrato» scrisse già il rivale Tippett nel
necrologio), è giusto anche ricordare la sua onestà intellettuale, il rifiuto di
ogni ideologia preconfezionata e la lotta interiore con cui trasformò i propri
fantasmi in capolavori di sconcertante e toccante umanità.
LUNEDÌ 3 DICEMBRE AL TEATRO SOCIALE DI MANTOVA DEBUS GUIDA L’ORT E I SUOI SOLISTI
Johannes Debus: ecco uno delle giovani bacchette di livello internazionale che
passano agevolmente dalla lirica alla concertistica. Se a Tempo d’Orchestra, lunedì
3 dicembre, al Teatro Sociale di Mantova,
alla testa dell’Orchestra della Toscana, il
direttore tedesco, 38 anni, si dividerà tra
Mozart e Britten, in un piacevolissimo programma destinato a ricordare, sia pure con
lieve anticipo, il primo centenario della nascita del più celebre maestro inglese del
Novecento, in verità la sua carriera denota
una particolare vicinanza d’alto livello alla
musica operistica: Francoforte, Schwetzingen, English National Opera, Bayerische
Staatsoper di Monaco, Lione, Festival di
Spoleto, Tanglewwod, Berlino, sono alcune delle tappe che lo hanno condotto
fino alla testa della Canadian Opera di Toronto, padrone di un repertorio che va da
Mozart a Richard Strauss, da Stravinskij ad
Hans Werner Henze.
In sostanza un interprete decisamente
interessante, che sarà affiancato, nella realizzazione del raro Doppio Concerto di
Britten (una partitura scritta nel 1932, ma
pubblicata e presentata solo alla fine degli anni Novanta) da due solisti di vaglia:
Andrea Tacchi, fiorentino, primo violino
dell’Orchestra toscana dai tempi della sua
istituzione e regolarmente ospite, nello
stesso ruolo, della Filarmonica della Scala;
e Stefano Zanobini, formatosi alla eccelsa
scuola di Piero Farulli, oggi prima viola della stessa Orchestra della Toscana oltre che
docente a Fiesole.
Stefano Zanobini
(foto Marco Borrelli)
Johannes Debus
Ort
Andrea Tacchi
(foto Marco Borrelli)
musicalmente
23
I CONCERTI
Uno dei punti di forza
del Quartetto Avos
è il repertorio che spazia
dal classico
al contemporaneo
Solidità d’impianto
e desiderio di andare
oltre ai confini uniscono
personalità diverse e
insieme ben armonizzate
Nei primi quattro anni di attività ha tenuto un centinaio di concerti: un numero molto importante, che rivela come fin dall’inizio il Quartetto Avos abbia conquistato stima e ammirazione da parte delle istituzioni musicali e del
pubblico. Il giovane Quartetto, formatosi nel 2007 grazie all’incontro presso
la romana Accademia Nazionale di Santa Cecilia di musicisti di diversa provenienza (Italia e Giappone), si è inoltre già guadagnato sul campo giudizi
critici molto positivi, che ne lodano sia l’affiatamento sia l’intensità interpretativa. Il sistema dei concorsi è in pratica inevitabile, per l’affermazione di un
gruppo cameristico come per quella di un solista non ancora in carriera: i
primi posti nelle competizioni più autorevoli sono sicura garanzia di un alto
livello qualitativo. Ed ecco il Quartetto Avos fare man bassa di titoli e riconoscimenti molto significativi: tra gli altri, il piazzamento ai vertici del “Vittorio
Gui” di Firenze e del Premio Trio di Trieste nello stesso anno, il 2009; poi,
all’Accademia Musicale Chigiana di Siena, vivaio da parecchi decenni di musicisti eccellenti, l’Avos si rivela la perla del corso di quartetto d’archi e musica da camera tenuto da Günter Pichler e Valentin Erben del Quartetto Alban
Berg e si aggiudica così il Premio Banca Monte dei Paschi di Siena, una
borsa di studio destinata a sostenere giovani talenti nel loro percorso
formativo. Uno dei punti di forza
del Quartetto Avos è il repertorio.
Da quando è nato a tutt’oggi, il
gruppo ha inevitabilmente studiato
e assimilato i capisaldi della letteratura per quartetto con pianoforte,
in particolare i magnifici lavori di
Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms: di quest’ultimo, nel
concerto di Suzzara (venerdì 14 dicembre, ore 20.45, Auditorium) si
ascolterà il Quartetto n. 2 in la maggiore op. 26. Nella stessa serata, l’Avos
con scelta raffinata ha deciso di eseguire anche il Phantasy piano quartet
di Frank Bridge e il Quartetto n. 1
di Patrizia Luppi
op. 15 di Gabriel Fauré. La curiosità
AVOS, una perla
di quartetto
Approda all’Auditorium di Suzzara una giovane
formazione che si è guadagnata sul campo
giudizi critici positivi per affiatamento
e intensità interpretativa
24
musicalmente
I CONCERTI
Hanno fatto man bassa
di titoli e riconoscimenti
molto significativi tra cui
il “Vittorio Gui” di Firenze
e il Premio Trio di Trieste
Mirei Yamada
musicale e intellettuale dei quattro
musicisti li ha spinti finora da SaintSaëns a Mahler, da Walton a Schnittke, da Turina a Corghi, con un’attenzione particolare alla musica del
’900; non mancano gli excursus in
aree d’altro genere, come con le
musiche create da Ennio Morricone per il film Nuovo Cinema Paradiso
di Giuseppe Tornatore. Insomma,
solidità d’impianto e, al contempo,
desiderio di andare oltre i confini:
caratteristiche fondamentali per
una giovane formazione come questa, composta da personalità molto diverse e insieme davvero ben
Quartetto Avos
armonizzate; tra l’altro, i quattro
dell’Avos sono tutti ottimi solisti con
alle spalle ricchi curricula di studi, diplomi con il massimo dei voti, concerti
e vittorie a concorsi. La maggiore per età è la 35enne violinista giapponese
Mirei Yamada, che ha iniziato a studiare il suo strumento a soli tre anni e
ha proseguito tra il paese natale e l’Italia, con esperienze cameristiche di
alto livello tra cui quella con la Saito Kinen Orchestra e il suo straordinario
direttore Seiji Ozawa. Tra i suoi maestri, Felix Ayo, Rodolfo Bonucci e Domenico Nordio. Mario Montore, 27enne di Cosenza, è il pianista dell’Avos e
anch’egli si è accostato alla musica prestissimo, a soli quattro anni. A Santa
Cecilia ha studiato musica da camera con Rocco Filippini, per decollare poi
con la vittoria a più di 40 concorsi come solista: sempre in questa veste, ha già
alle spalle più di 400 concerti. 29 anni, romana, la violista Diana Bonatesta
è la fondatrice del Quartetto Avos. Stessa precocità degli altri componenti
nello studio della musica e simile percorso con docenti di altissimo livello
come Filippini, Bruno Giuranna e il Quartetto Alban Berg. Il violoncellista
Luca Magariello, 23enne, a quattro anni già allievo della Scuola Suzuki di
Torino, si è perfezionato con Mario Brunello, Giovanni Sollima e altri eccellenti maestri: tra questi, Enrico Dindo e Enrico Bronzi, numi tutelari della
sua formazione artistica e musicale.
musicalmente
25
AMICI
L’avventura
della MUSICA
Istruzioni per l’uso firmate Giovanni
Bietti nel recente volume dedicato alla
Sinfonia in Haydn, Mozart e Beethoven
di Andrea Penna
È possibile dialogare, raccontare, comprendersi,
innamorarsi, senza parole? Si può, ma è molto arduo. È possibile appassionarsi alla musica classica e
non conoscere il vocabolario essenziale, la storia e le
strutture fondamentali di una delle forme d’arte più
complesse e raffinate che la cultura umana abbia mai
prodotto? Forse sì, ma il rischio, ancora una volta è
di rimanere soltanto in superficie.
Ascoltare la Musica classica di Giovanni Bietti si propone, con competenza e garbo di guidare il lettore
nell’approfondimento della musica sinfonica, concentrandosi proprio sulla forma ‘principe’ della letteratura musicale classico-romantica, la sinfonia. Una
scelta precisa, che vuole concentrarsi su un trentennio fondamentale per la civiltà musicale occidentale,
rappresentato da Haydn, Mozart e Beethoven. Una
scelta che ripercorre e puntualizza caratteristiche,
strutture, ragioni intime, sviluppo ed evoluzione di
un genere rimasto in seguito protagonista di oltre
un secolo di straordinario fervore creativo e ancora oggi al centro delle scelte di repertorio di ogni
società concertistica, e di un vastissimo pubblico di
appassionati. Giovanni Bietti, studioso, pianista e organizzatore musicale di sensibilità e curiosità rare, ha
sviluppato negli anni una personale propensione e
una vera e propria metodologia di divulgazione musicale di alto livello, e trasfonde gran parte di queste
esperienze, svolte a Roma e in innumerevoli sedi musicali e festival italiani, nel suo volume. Le definizioni
di forma sinfonica, di forma sonata, degli strumenti
e degli organici orchestrali, l’esame delle strutture
dei singoli movimenti delle sinfonie, offrono al lettore una fertile esperienza di approfondimento, che si
avvale oltretutto di una ricca scelta di esempi musicali, in gran parte tratti da ottime esecuzioni dal vivo
dell’Orchestra da Camera di Mantova. Un metodo
asciutto e chiaro, che coniuga serietà nell’approfon-
26
musicalmente
Giovanni
Bietti,
Ascoltare
la musica
classica.
La sinfonia
in Mozart,
Hayden,
Beethoven. Con
cd- rom. Anno
2012, pp. 152,
Edizioni
Estemporanee
MARTEDÌ 6 NOVEMBRE
L’AUTORE PRESENTA L’OPERA
L’associazione Amici dell’Orchestra da Camera di Mantova affida a Giovanni Bietti il
secondo incontro del ciclo di conferenze
2012/13 Parolenote. Martedì 6 novembre
alle ore 18, in sala Norlenghi a Mantova,
l’autore di Ascoltare la Musica classica - La
Sinfonia in Haydn, Mozart e Beethoven presenta al pubblico il volume di recente pubblicazione. L’ingresso è libero.
dimento con una leggerezza di scrittura che sceglie di
semplificare senza banalizzare, senza accomodarsi su
un’aneddotica vieta e ripetitiva, con l’intenzione di
offrire uno strumento utile, da leggere e soprattutto
rileggere.
Una guida che, pur evitando al massimo i tranelli dei
modi della manualistica, accompagna l’ascoltatore
all’interno del meccanismo delle composizioni orchestrali con un linguaggio adatto a diversi tipi ed età di
lettori. Un linguaggio quanto più possibile teso a non
escludere, bensì a “includere” e ad avvicinare alla musica in un momento in cui il ricambio del pubblico
delle istituzioni musicali è un nodo centrale. Impegno
notevole e sostanzialmente riuscito, grazie anche alla
presenza dei due cd con gli ascolti, di una stringata
ma utile bibliografia, e di un glossario che chiarisce il
più possibile il corredo di terminologia tecnica.
Un libro che diventa un compagno di lettura utile
per prepararsi all’ascolto dei concerti, ma anche per
prendere familiarità con gli elementi essenziali di
una delle più grandi avventure dell’animo umano, la
musica sinfonica.
QUADERNO DI VIAGGIO
di Andrea Zaniboni
San Colombano, un museo
di strumenti vivi
Raro esempio
di cembalo piegatoio
PER VISITARE IL MUSEO
Ogni martedì alle ore 17.30, a cadenza quindicinale, sono in programma
le visite guidate alla collezione degli
strumenti (via Parigi, 5 - Bologna) con il
Maestro Liuwe Tamminga e la dott.ssa
Anna Zareba. Il costo della visita guidata
individuale è di €€ 5,00 (min 12 max 22
persone, dai 4 anni in su). È necessaria
la prenotazione presso la biglietteria,
chiamando il numero 051 19936366
oppure tramite e-mail all’indirizzo
[email protected].
Una sala del museo
(Credits Genus Bononiae - Musei della Città)
Chiesa Museo San Colombano, Bologna. In questo prezioso ed antico
complesso monumentale, eretto tra
il VII secolo e l’anno 1000 si trova
una interessante raccolta di strumenti a tastiera, dono generosissimo di Luigi Ferdinando Tagliavini,
interprete e studioso di fama, uno
dei più illustri rappresentanti di
casa nostra della moderna ed avvertita rivisitazione del Barocco. Quella
che un tempo fu chiesa e monastero, dimora dei Benedettini e quindi
delle Carmelitane e delle Clarisse, e
poi persino pensionato per studenti, oggi dopo un profondo e recente restauro durato un quadriennio
che ha valorizzato anche testimonianze artistiche più recenti (tra cui
un soffitto a volta datato 1803, scoperto nell’oratorio) è divenuto un
importante polo museale cittadino
multifunzionale, dove si ammirano
gli affreschi, si realizzano concerti,
si tengono conferenze, si accede
alla corposa Biblioteca musicale di
Oscar Mischiati (circa quindicimila
pezzi fra libri, dischi e riviste specializzate, donati dalla famiglia dello
studioso scomparso nel 2004) e naturalmente ci si sofferma sulla collezione di strumenti antichi, un’ottantina, raccolti sull’arco di circa
mezzo secolo: “un museo di stru-
Un caratteristico
Bechstein del 1866
menti vivi”, come sottolinea lo stesso
Tagliavini – che avviò i suoi acquisti
alla fine degli anni Sessanta - perché fior d’interpreti si avvicendano
sulle tastiere, mantenute in perfetta
efficienza dal curatore Liuwe Tamminga. Gli strumenti in esposizione,
che si succedono nelle splendide
sale del Museo, rispondono in maniera inequivocabile alla formazione ed all’attività concertistica di Tagliavini, appartenendo alla famiglia
delle tastiere: dalla spinetta al clavicordo, dall’organo al pianoforte,
fino all’arpicordo (l’esemplare data
1540) la cui disposizione delle corde, vibranti contro unicini metallici,
ricorda l’arpa. Curioso un clavicembalo del 1746, firmato da un allievo
di Bartolomeo Cristofori, dotato di
un registro che evoca chiaramente
il pianoforte; e raro il cosiddetto
“cembalo piegatoio”, o per meglio
dire “pieghevole”, uno strumento
divisibile in tre parti e con una piccola tastiera di nemmeno quattro
ottave, utile per un uso “da viaggio”.
Un’invenzione, questa, non attribuita con certezza ma che ebbe un
certo successo diffondendosi pure
in Francia con il nome di “clavicin
brisé”. Non mancano due esemplari
di pianoforti Stein (del 1833) e Bechstein (del 1866) ed altre curiosità
come un un minuscolo organo a
cilindro. Tante tastiere da scoprire
insomma in questa esposizione di
grande valore documentario, per
una visita suggestiva che si potrà accompagnare alla consultazione del
catalogo curato da Tagliavini e John
Henry van der Meer.
musicalmente
27
COLONNA SONORA
di Claudio Fraccari
Il senso di DISNEY
per la classica
È ovviamente Fantasia che meglio
rappresenta, nell’intera produzione Disney, il connubio fra
cinema e musica classica.
In quel celebre lungometraggio del 1940 ogni episodio prende ispirazione, forma grafica e sostanza narrativa da
un brano musicale. Si susseguono
così la Toccata e fuga in re minore di
Bach, Lo schiaccianoci di Caikovskij,
L’apprendista stregone di Dukas, La
sagra della primavera di Stravinskij,
la sinfonia Pastorale di Beethoven,
La danza delle ore di Ponchielli, Una
notte sul Monte Calvo di Musorgskij,
l’Ave Maria di Schubert. Non tutti gli otto segmenti sono memorabili (i migliori si avvalgono
del sottofondo di Dukas, Caikovskij e Stravinskij), ma è
di indiscusso fascino l’operazione
nel suo complesso. Tanto che sessant’anni dopo verrà replicata: Fantasia 2000, aprendosi di più al Novecento, propone la Sinfonia n. 5 di
Beethoven, I pini di Roma di Respighi, la Rapsodia in Blu di Gershwin,
Piano Concert n. 2, Allegro Opus di
Shostakovich, Carnival of Animals
di Saint-Saëns, ancora L’apprendista
stregone di Dukas, Pomp and Circumstance di Elgar, L’uccello di fuoco di
Stravinskij. Meno riuscito del precedente (eccezionali però le animazioni per Gershwin, Saint-Saëns
e Stravinskij), il film conferma la
centralità per la Disney del commento sonoro.
Agevole trovarne prove ulteriori, anche relative ad ambiti musicali assai
diversificati: il jazz e il pop dominano ad esempio pellicole che hanno
fatto la storia del cinema d’animazione contemporaneo, almeno fino
all’avvento della Pixar e del digitale. Si prenda Aladdin (John Musker
& Ron Clements ‘92), che inaugura con il suo citazionismo esasperato il cartoon che strizza l’occhio al
pubblico adulto: la colonna sonora firmata da Alan Menken (Oscar
28
musicalmente
FANTASIA
di AA.VV.
Film
d’animazione
suddiviso in otto
segmenti ispirati ad
altrettanti brani musicali di autori celeberrimi,
eseguiti
dalla
Philadelphia
Orchestra diretta da Leopold Stokowski:
da Bach a Beethoven, da Caikovskij a Dukas, da Stravinskij a Ponchielli, da Musorgskij a Schubert. Gli esiti sono diseguali, ma
molti episodi sono di folgorante bellezza:
su tutti, quelli che sceneggiano i temi de
L’apprendista stregone di Dukas e de Lo
schiaccianoci di Tchaikovsky.
(Usa 1940)
IL RE LEONE
Walt Disney
con Mickey Mouse
‘93) si muove tra la musica leggera e il pop. Nel successivo Il re Leone
(Roger Allers & Rob Minkoff ‘94),
il primo ad affrontare tematiche remote dalle fiabe, date le componenti tragiche quasi shakespeariane (la
morte del padre e il senso di colpa
del figlio), le musiche sono affidate ad Hans Zimmer (altro premio
Oscar), che assorbe nella partitura
spunti tratti dalla tradizione musicale africana, in conformità con l’ambientazione; le canzoni sono invece
di Tim Rice ed Elton John. Nel 1999
Tarzan (Kevin Lima & Chris Buck)
completa questa trilogia che svincola il marchio Disney dall’angusto
ambito del cinema per l’infanzia: la
storia incrementa la spettacolarità
dell’azione, mentre lo score musicale, che viaggia nei cieli del rock melodico, è affidato all’ex Genesis Phil
Collins, che nell’occasione si aggiudica l’Oscar per la miglior canzone
(You’ll Be In My Heart).
Appare ora, in considerazione di
quanto scritto, del tutto giustificabile l’affermazione secondo cui molti
film della Walt Disney possano essere annoverati fra il genere conosciuto come musical.
di Allers & Minkoff
Senza umani, la vicenda si svolge nella savana africana:
un cucciolo di leone crede di essere
il responsabile della morte del padre;
in realtà il colpevole è lo zio, che mira
ad usurpare il trono. Trasparenti i rimandi
all’Amleto shakespeariano, tali da minare
il pregiudizio che il cartoon sia destinato all’infanzia. La colonna sonora (premio
Oscar) di Hans Zimmer sfrutta le sonorità
della tradizione africana e si vale delle canzoni di Elton John e Tim Rice.
(Usa 1994)
TARZAN
di Lima & Buck
Il famoso personaggio creato da E. R.
Burroughs ottiene in
questa versione a disegni animati un’aderenza alla pagina
letteraria superiore a
quella dei molti film ad azione vivente realizzati in precedenza. In ogni caso, a determinarne il successo furono l’incremento di
spettacolarità (frutto anche di nuove tecnologie come il “deep canvas” che dava
tridimensionalità ai paesaggi) e alle canzoni
scritte appositamente da Phil Collins. Una
delle quali gli valsero l’Oscar.
(Usa 1999)
GRAMMOFONO
di Michele Ballarini
CANTELLI, talento spezzato
Considerato l’erede
di Toscanini, morì
nel 1956 in un
incidente aereo a Orly.
Aveva solo 36 anni
«La sciagura più terribile che ha
colpito La Scala dopo il bombardamento» questo fu detto all’indomani di sabato 24 novembre 1956,
quando il trentaseienne direttore
d’orchestra Guido Cantelli, nominato appena una settimana prima
direttore stabile di quel teatro, trovò
la morte in un disastro aereo a Orly,
presso Parigi; andava in America, in
un paese che dal 1949 – dopo l’invito di Arturo Toscanini a dirigere la
sua orchestra della NBC - lo acclamava come uno dei più dotati tra
i giovani interpreti. Grandi doti direttoriali unite a una ferrea volontà
e al rifiuto di qualsiasi compromesso nell’interpretazione costituivano
la base della personalità di Guido
Cantelli: ogni pezzo era studiato e
approfondito totalmente prima delle prove, e in questo giocava principalmente la memoria del nostro,
che a differenza di Toscanini non
era fotografica ma consequenziale; un’analisi attentissima che attraverso la completa conoscenza delle varie sezioni del pezzo e della
loro successione portava all’assimilazione del percorso formale voluto dall’autore come l’unica alternativa possibile. Il risultato di questo
lavoro si rivelava poi indispensabile
nella concertazione, dove gli aspetti
tematici, timbrici e armonici delle
varie voci venivano calibrati perfettamente facendo risultare chiarissi-
mo tutto il loro intreccio ed evidenziando nel contempo l’importanza
di ogni particolare; a questo punto però subentravano prepotentemente la comunicativa e il fascino
del nostro, che attraverso queste
basi solidissime realizzavano letture avulse da qualsiasi aspetto dimostrativo e sorrette invece da una passione assoluta per la cantabilità e il
suono, oltre a sublimare le peculiarità delle famiglie strumentali – pastosità degli archi, legato dei legni e
colori accesi e penetranti degli ottoni. Ecco perché le sue incisioni – realizzate spesso in un’unica ripresa
e senza tagli per non interrompere
questa tensione espressiva – risultano ancor oggi non toccate dagli
anni, di una profondità e chiarezza
davvero emozionanti. Confrontando questa estetica con quella di Toscanini ci si rende anche conto che
la fama di allievo del vecchio maestro, vista all’epoca superficialmente dai più, si limiti a qualche affinità, tra cui il rispetto per la musica
e l’abnegazione assoluta nell’interpretarla. Cantelli era destinato alla
seconda metà del 900’ così come
Toscanini lo era stato per la prima:
la sua onestà e il suo rispetto per la
musica avrebbero sicuramente influito sulla vita musicale italiana ma
sventuratamente la tragica impennata di un aereo spezzò prematuramente questa successione.
IL DEBUTTO NEL 1945
TUTTE LE INCISIONI CON EMI
E PER RIASCOLTARLO...
Nato a Novara nel
1920, studia al Conservatorio di Milano
composizione con
Ghedini e direzione
d’orchestra con
Votto. Debutta nel
1945 dirigendo l’orchestra della Scala e nel maggio del 1948
Toscanini, dopo aver assistito a un suo
concerto con la stessa orchestra lo invita a
dirigere a New York; intraprende così fino
alla prematura scomparsa un’intensissima
carriera alla testa di orchestre come la NBC
e la Filarmonica di New York, La Philharmonia di Londra e La Scala.
Quasi tutte le registrazioni di Cantelli furono relizzate dalla EMI
principalmente con la
Philharmonia di Londra, se si escludono
alcune con la NBC,
l’Orchestra di Santa Cecilia e una straordinaria Quinta di Ciaikovskji con l’Orchestra della Scala. Oltre
all’esistenza di vari cd singoli pubblicati dalla Testament queste splendide registrazioni sono ora disponibili in un unico cofanetto EMI della serie Icon, che contiene anche
un documentario sulla vita e la figura del
Maestro.
A fronte di un catalogo ristretto di incisioni in studio disponiamo di un vastissimo
materiale proveniente
da esecuzioni
concertistiche effettuate soprattutto in
america, dove i concerti della NBC e della
New York Philharmonic venivano radiodiffusi e registrati; una scelta di questi concerti
– peraltro pubblicati in precedenza da
varie etichette – è disponibile in 3 cofanetti
della Testament, testimonianza eloquente
di quanto il repertorio di Cantelli fosse già
vasto e di larghi interessi.
musicalmente
29
CD - DVD
di Luca Segalla
Peter GRIMES, un’opera
senza tempo e luogo
A quasi un secolo dalla nascita - 22 novembre 1913
- i tempi sono maturi per collocare definitivamente Britten, già gloria nazionale inglese, tra i grandi
del Novecento. La modernità del Peter Grimes (1945)
non sembra scalfita dal tempo, una modernità opposta a quella espressionista/architettonica del Wozzeck
(1925) di Berg. La sua straordinaria vena melodica è
alimentata da suggestioni arcaiche e popolari, il cui
diatonismo mette in rilievo la natura espressiva e incantatoria del canto. L’orchestrazione è nuda, in bianThe Royal Opera
co e nero, spesso la voce è sostenuta appena da un
House Covent
sottile velo timbrico, se non lasciata sola nel silenzio
Garden; regia:
del palcoscenico. Peter Grimes venne accolto come un
Elijah Moshinsegno della rinascita della musica inglese, in realtà è
sky.1 DVD
un’opera senza tempo e luogo. L’opera di un’umaniNVC ARTS
tà ambigua e degradata, che il compositore investe di
una dolorosa «pietas»; se nel Wozzeck Berg osserva con
cinico distacco la follia dei suoi personaggi, Britten sembra volerli avvolgerli tutti nell’abbraccio del perdono.
L’allestimento è quello del Covent Garden del 1981, con uno straordinario Jon Vickers. Il tenore canadese ha lasciato un’impronta indelebile nel
ruolo che fu composto per il mitico Peter Pears. Il suo Grimes è ostinato
fino alla follia, lacerato tra una vitalità animalesca e una disperata ricerca
di affetti. Vickers è espressivo anche quando non canta. Basta il suo volto,
bastano gli occhi.
COPLAND E LA DECIMA MUSA
Anni fecondi, tra le due guerre, nel rapporto tra musica e cinema. Al 1939 risale la prima colonna sonora
di Aaron Copland, compositore dall’istinto cinematografico. The City è un documentario di R. Steiner e W.
Van Dyke sul sogno americano di una società libera e
serena. Inquinamento, ingorghi stradali e la frenesia
alienante dei fast-food rappresentano la città vecchia.
Immersa nella natura ecco la città nuova, armoniosa
e ordinata. La musica è ottimistica e lineare: l’estetica
della “semplicità imposta”.
The City. 1 DVD Naxos (2.110231)
MUSICA DISTILLATA
È quella del direttore rumeno Sergiu Celibidache
(1912 - 1996), con la sua Filarmonica di Monaco. Arte
suprema delle alchimie timbriche. Nel Largo della sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorák (1991) il corno inglese
appare magicamente sospeso sul tappeto impalpabile
degli archi. Nulla di selvaggio, nemmeno nello Scherzo. Anche nella Sinfonia classica di Prokof’ev (1988): si
perde in vivacità, a vantaggio dell’espressione.
Sergiu Celibidache. Münchner Philharmoniker. 1 DVD
Euroarts (2066558)
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musicalmente
INVITO ALL’ASCOLTO
Henry Purcell
maestro inglese
dell’età barocca
«Padrone di
ogni forma e
capace di qualsiasi fantasia».
Questo era
Henry Purcell,
il più illustre
maestro inglese
dell’età barocca, nell’opinione del musicologo milanese Giulio Confalonieri.
Poche parole estratte da un più esteso
ritratto da cui però evincere l’eccezionalità di un musicista comparso come
una meteora nel cielo britannico di re
Carlo II, e rimasto infine senza eredi.
Scomparso prematuramente nel 1695
a soli trentasei anni (le sue spoglie sono
sepolte nell’Abbazia di Westminster
accanto a sovrani ed altri illustri artisti),
Purcell ha lasciato pagine memorabili e
la sua figura ha ottenuto una meritata e
crescente rivalutazione nel corso del
tempo. Famoso autore di musica sacra
e operistica (il suo Dido and Aeneas
del 1689 rappresenta un punto fermo
nella storia del melodramma) Purcell si
dedicò anche alle pagine strumentali,
con una varietà di accenti assolutamente ammirevole. Un economico
disco della Harmonia Mundi realizzato
dagli specialisti del London Baroque
ci rammenta appunto la sua versatilità,
espressa con una qualità d’ispirazione
coinvolgente. Sonata, Suite, Ouverture,
Pavana, Ciaccona sono i titoli che compaiono in questa raccolta che ci racconta gli anni della sua giovane maturità,
influenzata anche dai maestri italiani per
i quali egli nutriva un ammirato rispetto.
Maestri che egli imitava «al fine di accreditare e di metter di moda la serietà
e la gravità della musica da camera»,
raccomandata ai compatrioti. L’aspirazione si realizzava quindi nelle scritture,
nelle quali comparivano sì spunti di
danza ma anche abilità combinatorie
contrappuntistiche, ed una sensuale
sensibilità armonica talora aperta su
tensioni cromatiche inquiete. (a.z.)
MUSICA & ARTE
di Paola Artoni
SPAZIO VISIVO:
storia e fortuna di un
progetto innovativo
La nascita a Gazoldo nel 2006
Da allora l’idea ha preso
il volo lanciando artisti come
Cavinato e Trevisi
SOUVENIR DE VOYAGE
Forme essenziali, materiali poveri,
ricercate costruzioni geometriche
che dialogano con frammenti sonori:
è l’arte secondo Spazio Visivo
Nel nome di Mantegna ho avuto la
fortuna di tenere a battesimo il primo progetto di Spazio Visivo, dove
forme essenziali, materiali poveri e
di recupero, ricercate costruzioni
geometriche dialogano con frammenti sonori, musica elettronica e
sperimentale, dando vita sia a raffinati microcosmi sia a stanze percorribili dallo spettatore. Era il 2006 e
come curatrice, insieme ad Antonella Gandini, avevo avuto l’incarico di selezionare gli artisti di una
memorabile edizione della Biennale d’Arte Giovane nel Museo d’Arte
Moderna di Gazoldo (Mantova). Il
tema che avevamo scelto chiedeva ai
partecipanti di sviluppare un omaggio al genio di Mantegna nell’ambito delle celebrazioni che naturalmente toccavano anche la città dei
Gonzaga. Ogni artista aveva a disposizione un’intera stanza da elaborare e gli spazi del museo si erano trasformati in affascinanti “Camerae
Pictae”. Spazio Visivo si presentava allora per la prima uscita ufficiale, composto da due giovani mantovani che erano già molto più di
semplici promesse: Paolo Cavinato,
classe 1975 e Stefano Trevisi, nato
nel 1974. Per l’occasione avevano
regalato a noi e al pubblico un’affascinante stanza: “CamerAptica”, ovvero una struttura tridimensionale
grande quanto una stanza del museo, leggibile e comprensibile solamente da un unico punto, laddove
gli elementi fluttuanti e sospesi della stanza e i suoni si ricomponevano nell’omaggio alla Camera Picta
del Mantegna.
In questi sei anni Spazio Visivo è
cresciuto. Cavinato ha partecipato
alla Biennale di Istanbul, ha vinto il
3° Premio della Fondazione Arnaldo Pomodoro, è stato invitato a fare
parte della Royal British Society
of Sculptors of London; recentemente è stato selezionato per “The
Swatch Art Peace Hotel Guest Artist Program” di Shanghai. Le composizioni di Trevisi, pubblicate con
RaiTrade, sono state eseguite a RaiNuovaMusica, alla Biennale Musica,
al MATA Festival di New York, all’Alte Schmiede di Vienna e selezionati in vari concorsi. Quest’anno è sta-
Tra le mostre allestite da Spazio Visivo si segnala “Souvenir de Voyage”, in corso sino al 17 novembre
alla Galerie Mario Mazzoli di Berlino (Potsdamer Str., 132), e ispirata
all’omonima serie di René Magritte.
Il concetto-chiave è che gli oggetti realizzati da Cavinato e i paesaggi sonori di Trevisi possono essere
intesi come una moderna interpretazione del diorama e in questa occasione il testo critico è di
Manuel Wischnewski. In occasione
del finissage è previsto un concerto di elettroacustica di Trevisi.
to invitato alla Biennale Music di
Venezia, all’Auditorium Parco della Musica di Roma e all’Auditorium
San Fedele di Milano. Le opere del
duo sono state esposte presso la Royal British Society of Sculptors di
Londra, il Palazzo delle Arti di Napoli, l’Egmont Park a Bruxelles, la
galleria Rosenfeld- Porcini di Londra, il CIAC Museum a Roma, il Palazzo Libera a Trento, il Festival della Creatività a Firenze, il Palazzo Te
a Mantova e sono risultate finaliste
al 36th International Competition
of Electroacoustic Music di Bourges, all’Art in the City di Bruxelles,
al Premio Ettore Fico di Roma e al
Premio Aletti ArtVerona.
musicalmente
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ALTRA MUSICA
di Giorgio Signoretti
A SIDMOUTH UN WEEKEND NEL SEGNO DEL FOLK
TUTTO IN 15 DISCHI
Chi volesse assaggiare il gusto di
uno degli ingredienti fondamentali
della grande musica inglese potrebbe passare la prima settimana
di Agosto a Sidmouth per l’imperdibile “folkweek” (www.sidmouthfolkweek.co.uk) che riempie il
minuscolo paesino del Devon di
concerti stellari, ceilidh, workshop e mercatini. L’edizione 2012 ha
presentato la sublime JuneTabor (con Oysterband) e l’altrettanto
sublime Eliza Carthy in compagnia di papà e mamma: Martin Carthy
e Norma Waterson, due dei fondatori del nuovo folk degli anni
Sessanta. C’erano anche molti grandi scozzesi, da Archie Fisher a
Dick Gaughan e Alasdair Roberts. E, ovviamente, molta birra di non
inferiore qualità.
Difficile confinare l’esplosione del
jazz inglese in una quindicina di
dischi, ma ecco una proposta:
Under Milkwood (Stan Tracey,
1965), Gyroscope (Gordon Beck,
1969), Extrapolation (John McLaughlin, 1969), Once Upon A Time
(Alan Skidmore, 1969), The Trio
(The Trio, 1970), Third (Soft Machine, 1970), Elastic Rock (Nucleus,
1970), The Topography Of The Lungs (Derek Bailey, Evan Parker,
1970), Brotherhood Of Breath (Chris Mc Gregor, 1970), Ear Of The
Beholder (Lol Coxhill, 1970), Metropolis (Mike Westbrook, 1971),
Tales Of The Algonquin (John Surman, 1971), Septober Energy
(Keith Tippett Centipede,1971), The Gentle Harm Of The Burgeoisie
(Paul Rutherford, 1974), Gnu High (Kenny Wheeler, 1975).
Fortuna e mistero
del British JAZZ
Coltrane chiamò un suo pezzo del
1959 Some Other Blues. In questo titolo potrebbe forse nascondersi il
mistero della fortuna del jazz inglese degli anni Sessanta e Settanta. Quello delle grandi poetiche
individuali di Westbrook, Tracey,
Surman e Osborne. Quello libero
e viscerale dei sudafricani McGregor, Moholo e Feza. O quello lirico del canadese Wheeler. Quello
venato di sperimentazioni ritmiche dei geniali McLaughlin, Holland e Holdsworth. Quello visionario dei radicali Coxhill, Bailey,
Parker, Rutherford e Oxley oppure quello nitido dei grandi stilisti
del pianoforte John Taylor e Gordon Beck. O ancora quello più vicino al rock di Nucleus e Soft Machine, che si riversa elegante sulla
nascente scena progressive, verso
il suono levigato e cool di Canterbury e fino alle più intricate visioni crimsoniane.
Capace di travalicare i generi,
di far capolino nel blues di Mayall come nel folk di Nick Drake
e John Martyn, il suono del jazz
inglese è compatibile con quanto di più creativo accade sull’isola nell’irripetibile decennio 19651975 proprio in virtù di un suo
umore inafferrabile che tanto lo
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musicalmente
distanzia dal jazz americano. Alla radice, direbbe Coltrane, c’è un
altro tipo di blues. Un
blues che arriva a Londra dalle highlands
spazzate dal vento, con
la gotica e pietrificata compostezza di una
ballata scozzese, con lo
swing sottointeso ma feroce che muove il Morris delle Cotswolds, con
l’austera maestà degli
spazi grigi del mare del
nord. È un blues della
brughiera che influenza e definisce trasversalmente il suono di tutta
la più grande musica
inglese dell’epoca: saxofoni e trombe sembrano avere
lo stesso colore emotivo delle voci
di Wyatt, Winwood o Gabriel, ma
anche delle chitarre di Peter Green e David Gilmour. Niente del
genere nel resto del mondo occidentale e – una buona notizia nonostante i terribili e defolianti
anni Ottanta e Novanta di Margaret Thatcher e John Major, la verde Albione resta ancora oggi uno
scrigno pieno di segreti assai ben
custoditi.
John Surman
Sound diverso
dal fratello
americano e compatibile
con quanto di più
creativo accade sull’isola
nel decennio 1965-1975
LEGGERE
di Simonetta Bitasi
PRIMOPIANO, GIOCHI SULLA
TASTIERA PER FUTURI PIANISTI
Due topolini, Linetto e Lina, inseguendosi e trastullandosi,
insegnano ai bimbi
a orientarsi sulla tastiera. La proposta
didattica, firmata da
Adolfo
Conrado,
invita a esplorare la
tastiera con il bambino, fissando così nella sua esperienza sequenze e posizioni di tasti neri e bianchi,
prima di passare allo studio sistematico
dello strumento.
Primopiano. Giochi sulla tastiera per la Scuola dell’infanzia, di Adolfo Conrado, illustrazioni di Lorenza Vaccaro Rugginenti Milano,
2012, pp. 48, euro 10,40.
NIDI DI NOTE, COME EDUCARE
ALL’ASCOLTO I PICCOLI
Un libro che si nutre di un patrimonio di
contributi
artistici,
esperienze sul campo con i bambini,
progetti
educativi
innovativi. Il tema è
quello dell’educazione al suono e alla
musica in età prescolare. Attraverso giochi di riconoscimento
gli educatori guidano i bambini a orientarsi
nel mondo dei suoni e a formarsi un primordiale corredo linguistico musicale.
Nidi di note. Un cammino in dieci passi verso la musica, di Bruno Tognolini, Alessandro
Sanna, Paolo Fresu, Sonia Peana, Gallucci
2012, pp. 60, 18 euro con CD audio.
MARTINA ALLA RICERCA DI UN
CODICE PER TROVARE SE STESSA
Martina ha 16 anni e non vuole adeguarsi
alla società: non le
piace il consumismo,
né lo sguardo dei ragazzi su di lei e si lamenta perché i giovani non hanno posti in
cui andare e ritrovarsi,
o stare soli a leggere,
o a suonare. È alla ricerca di quello che lei
chiama un “codice” e infine lo trova nella
musica rock e punk, come forma di ribellione contro il mondo degli adulti. Da leggere
ascoltando le canzoni che contiene.
Voglio essere punk di Belen Gopequi, Atmosphere libri 2012, pp. 159, euro 15.
La musica al di sopra
dei suoni della GUERRA
«I direttori d’orchestra non si
mescolano ai musicisti. Fa parte
del loro compito.
È un privilegio,
e insieme un fardello. Quando te
ne stai in disparte, facilmente susciti antipatia. A
me non importa. Per essere più
precisi, non può
importarmi. Con
le poche energie
che mi restano, non posso
concedermi il lusso di sentirmi offeso»: Karl Il’ic Eliasberg è chiamato a un’impresa quasi eroica. Siamo a
Stalingrando nel 1941, la città è assediata, e al direttore dell’Orchestra Sinfonica
è stato ordinato di ricostituire la compagine musicale per
eseguire la Settima Sinfonia che
Dmitrij Šostakovic ha appena
terminato di comporre. L’orchestra era stata sciolta per la
tragica scomparsa della maggior parte dei suoi componenti e
anche i pochi superstiti sono più vicini alla morte che alla vita. Ma suonare la sinfonia della guerra può essere l’unica possibilità per sentirsi
e far sentire ancora vivi gli abitanti
della città, bersaglio delle bombe e
delle granate dell’esercito di Hitler.
Il romanzo di Sarah Quigley, una
delle voci più importanti della cultura neozelandese contemporanea,
ripercorre il percorso dei musicisti
per far suonare la musica al di sopra
dei suoni della guerra, come lo stridore delle slitte cariche di cadaveri,
le terrificanti esplosioni dei candelotti di dinamite impiegati per scavare fosse comuni, l’ululato dei cani
e dei gatti randagi uccisi per sfamarsi, l’allarme per le incursioni aeree.
Tra tutte spicca la figura di Karl Il’ic
Sinfonia Leningrado
di Sarah Quigley,
traduzione
di Chiara Brovelli,
Neri Pozza 2012,
pp. 300, 17 euro
Eliasberg, il timido e complessato direttore, diviso tra il terrore di un’impresa quasi impossibile e il desiderio
per un’occasione che ha sognato per
tutta la vita. E che alla fine riesce a
convincere i pochi musicisti rimasti,
stremati dalla fame e con le mani e
i piedi tormentati dai geloni, e i volti di un pallore mortale e coperti di
piaghe, a riprendere in mano i loro
strumenti.
Sinfonia Leningrado potrebbe essere
definito ‘musical fiction’: è un romanzo dove la musica è la protagonista indispensabile della storia insieme ai musicisti e ai loro strumenti
(«Credi che gli strumenti si ricordino delle persone? Io sì. A volte quando prendo il violoncello, sento che
vuole parlarmi di te. Adesso dovrà ricordarsi anche di me...»).
musicalmente
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IN PLATEA
Come si giudica la qualità acustica di una sala musicale? Comincia con questa domanda l’intervista con Maria Luisa Vaccari. L’imprenditrice veneta è presidente e
direttore generale di Suono Vivo, una società di servizi
che attraverso speciali camere acustiche fa risuonare al
meglio teatri e auditorium di mezzo mondo: dalla Royal
Opera House di Londra alla New Opera House di Oslo.
Ecco la sua risposta: «La qualità è ottimale quando la
sala è interamente compenetrata e avvolta dalla musica,
invece quando l’acustica non è buona, anche l’ascoltatore meno esperto percepisce che il suono è breve e secco,
“vitreo”».
San Carlo di Napoli, Carlo Felice di Genova, Giuseppe
Verdi di Trieste: tra i vostri “pazienti” ci sono molti teatri d’opera, perché?
«Il classico teatro d’opera all’italiana era progettato per
far sentire le voci, che hanno un “tempo di arrivo” molto più breve rispetto agli strumenti, mentre l’orchestra si
trovava nella buca e aveva una funzione di sfondo. Dunque quando un’orchestra sinfonica suona su un palcoscenico teatrale ha bisogno di una cassa di risonanza più
elastica, che permetta un “tempo d’arrivo” più lungo».
Quali sono i legni più pregiati dal punto di vista acustico?
«Per i rivestimenti esterni i migliori sono ciliegio, pero
svizzero, quercia e faggio. Bisogna scegliere quelli con la
stratificazione più densa e coesa e sottoporli a particolari lavorazioni».
Quali teatri le hanno dato maggiori soddisfazioni?
«Il nuovo teatro Bolshoi di Mosca, inaugurato lo scorso
anno, ma anche il teatro Sociale di Mantova per il quale
stiamo approntando nuove modifiche in vista dell’inaugurazione della prossima stagione sinfonica. Conosco e
ammiro da anni l’attività dell’Orchestra da Camera di
Mantova e sono orgogliosa di contribuire all’eccellenza
della loro produzione musicale».
La sala con la migliore acustica del mondo?
«Le mie preferite sono: Philharmonie di Berlino, Grosses Festispielhaus di Salisburgo e teatro di Bayreuth».
Amplificare o non amplificare i teatri all’aperto?
«Io sono favorevole. È un intervento delicatissimo, ma
può portare a ottimi risultati: lo abbiamo sperimentato con una nuova partnership alle terme di Caracalla,
quest’estate».
La qualità sonora dei file musicali che viaggiano su internet, per esempio su youtube, è spesso mediocre: andiamo verso un peggioramento del livello acustico?
«È un rischio. Però la rete offre anche musica ad alta
definizione, penso al progetto Digital Concert Hall che
permette di ascoltare in streaming i concerti dei Berliner Philharmoniker».
I suoi gusti musicali?
«I miei primi amori sono stati Rachmaninov e Cajkovskij,
ancora oggi prediligo il repertorio sinfonico romantico».
Suona qualche strumento?
«Per anni ho studiato chitarra classica, ma ho dovuto
smettere per mancanza di tempo. Nessun rimpianto: anche senza suonare, la mia vita è dedicata alla musica».
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musicalmente
di Alice Bertolini
Maria Luisa
Vaccari
La signora
che ”veste”
i TEATRI
Maria Luisa Vaccari è presidente
e direttore generale di Suono Vivo,
le cui camere acustiche
fanno risuonare al meglio le
sale da concerto di mezzo mondo
FONDATRICE DI UN SERVICE INNOVATIVO
Nata in Veneto nel 1956, Maria Luisa Vaccari è la fondatrice di un innovativo service teatrale di acustica naturale
per la musica sinfonico-cameristica, volto alla tutela, alla
conservazione e alla gestione del fattore acustico nei teatri
lirici italiani. Ha creato dapprima l’associazione Salv.a.t.i.
(Salvaguardia Acustica dei Teatri Italiani), poi la Società
di servizi Suono Vivo Srl, di cui Vaccari è Presidente e
Direttore Generale, che si occupa di consulenza, progettazione, affitto e vendita, incluso il service di installazione,
di speciali camere acustiche per orchestra. Parallelamente,
Vaccari fonda e diviene Presidente anche di CO.P.AR (Concerti e Produzioni Artistiche), società italiana di ideazione,
produzione e gestione di eventi musicali. Vaccari è membro del Consiglio Direttivo del Bologna Festival dal 2006 e
Presidente dell’Associazione Chamber Music di Trieste dal
giugno del 2011.