N Foto di Max Orlandini u s.BHB[JOFEFMMq0SDIFTUSBEB$BNFSBEJ.BOUPWB icalmente Anno 8 - Numero 4 Ottobre 2012 MUSICA DI SALVATAGGIO Axelrod e OGI battesimo di Stagione Antonio Ballista sul filo della memoria Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova EDITORIALE di Andrea Zaniboni MUSICA IN CRESCITA, anche nei numeri La notizia prima è questa: nella stagione concertistica scorsa, quella chiusa qualche mese fa, Tempo d’Orchestra ha contato ben 765 abbonati, un nuovo record. Il numero è risultato dalla somma delle varie forme di fidelizzazione previste e documenta ancora una volta un interesse in crescita. La percentuale riferita alla popolazione è bassa (non diversamente da Milano ad esempio – il cui solo comune capoluogo ospita un milione e trecentomila abitanti – dove lo storico Teatro alla Scala ha totalizzato poco meno di sedicimila abbonamenti), ma il segnale è importante e confortante: dimostra che se la cultura è sostenuta economicamente, è qualitativamente sorvegliata ed è ben proposta, i risultati arrivano. Tuttavia, la condizione necessaria perché questo si verifichi, è non aver fretta: l’educazione del gusto è un processo lungo che si confronta con molteplici variabili individuali. E la musica dal vivo, in particolare, rimane un’arte volatile: chiuso il sipario non resta che affidarsi alla memoria. Perciò un semplice dato numerico come quello ricordato più sopra assume un significato particolare, specie in un momento così difficile per gli equilibri sociali come questo che stiamo vivendo, e nel quale supporresti che il nutrimento dell’anima, o l’amore per il bello, sia l’ultimo dei pensieri dei cittadini. E invece, anche secondo una recente indagine condotta da alcuni giornali di punta del nostro continente, sia in Italia, quanto in Spagna e Francia non si sono mai venduti tanti biglietti nel settore dello spettacolo, culturale o d’intrattenimento che sia. Questo si è verificato per due motivi principali: da un lato gli organizzatori-produttori hanno fatto di necessità vir- tù, utilizzando le risorse disponibili (ricordiamo che il Fus, Fondo unico per lo spettacolo, in Italia sull’arco di 22 anni, tra il 1985 ed il 2007, è sceso di oltre il 40 per cento) con maggiore attenzione critica al rapporto tra costi e benefici, oltre che con maggiore interesse per l’incremento del pubblico, anche giovane; dall’altro evidentemente il cittadino disorientato da una situazione generale preoccupante sotto molti punti di vista, ha individuato un appiglio solido proprio nella cultura, trasmissione di sapere e di ideali, di certezze illuminanti, di bellezze emotivamente necessarie. Con tutto il rilievo necessario concesso all’oggetto piuttosto che al soggetto, all’opera piuttosto che al suo servitore-interprete (proprio come lo intendeva Carlo Maria Giulini, che si percepiva all’umile servizio dell’arte); perché in definitiva la mitizzazione dell’interprete, che ben conosciamo, possiede certamente una componente irrazionale ed istintiva, ma la radice di tale valorizzazione, quando ciò si verifica, risiede in quella sua abilità tutt’altro che scontata: quella di saper restituire una storia viva, dialogante ed un oggetto, appunto, istruttivo. Lì sta la lezione dell’opera musicale, ricostruita ogni volta, nei casi migliori e necessari, con precisione certosina e vergine senso di scoperta. Massimo Mila, anni fa scriveva che «la musica è ansiosa di impartire i suoi doni, perché ha dei doveri da assolvere. Non chiede soltanto, vuol dare». Le due lunghe giornate a sfondo benefico che abbiamo vissuto alla fine di settembre si annodano a questa intenzione, al concetto di un’arte utile, slegata dal privilegio di appartenere alla società del benessere. Se la cultura è sostenuta economicamente, è qualitativamente sorvegliata e ben proposta, i risultati arrivano Mila scriveva che la musica non chiede soltanto, vuole anche dare musicalmente 3 N Ottobre 2012 SOMMARIO 6 IN COPERTINA 6 Classica, acceleratore etico di Federico Capitoni 7 Note di solidarietà L’arte batte il terremoto di Giovanni Bietti 9 7 Il fotoracconto della due giorni I CONCERTI 9 12 22 11 Battesimo di Stagione 12 Gioventù virtuosa d Oreste Bossini 14 21 14 Sul filo della nostalgia Intervista ad Antonio Ballista di Anna Barina 21 Ed è di nuovo Madama DoRe di Vincenzo Mancini 22 24 I tormenti di un genio Ritratto di Benjamin Britten di Luca Ciammarughi 24 Avos, una perla di quartetto di Patrizia Luppi AMICI N usicalmente .BHB[JOFEFMMq0SDIFTUSBEB$BNFSBEJ.BOUPWB 26 TIRATURA 4.000 copie DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni COORDINAMENTO EDITORIALE: Anna Barina GRAFICA: Elena Avanzini REDAZIONE: Valentina Pavesi HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Giovanni Bietti, Simonetta Bitasi, Oreste Bossini, Federico Capitoni, Luca Ciammarughi, Claudio Fraccari, Patrizia Luppi, Vincenzo Mancini, Andrea Penna, Emanuele Salvato, Luca Segalla, Giorgio Signoretti EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12 Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected] STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121. Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004 Chiuso in redazione il 9 ottobre 2012 4 musicalmente AMICI L’avventura della musica di Andrea Penna RUBRICHE 27 32 QUADERNO DI VIAGGIO San Colombano, un museo di strumenti vivi di Giorgio Signoretti 33 di Andrea Zaniboni 28 LEGGERE La musica al di sopra dei suoni e della guerra COLONNA SONORA Il senso di Disney per la classica di Simonetta Bitasi di Claudio Fraccari 29 ALTRA MUSICA Fortuna e mistero del British jazz 34 GRAMMOFONO Cantelli, talento spezzato IN PLATEA Maria Luisa Vaccari, la signora che veste i teatri di Michele Ballarini 30 di Alice Bertolini CD - DVD Grimes, un’opera senza tempo e luogo di Luca Segalla 31 MUSICA & ARTE Spazio Visivo: storia e fortuna di un progetto innovativo 28 di Paola Artoni Alice Bertolini Milanese, si è laureata in Lettere moderne all’Università degli Studi e in Musicologia al Conservatorio della sua città. Giornalista pubblicista, scrive su Suonare News e sulle pagine culturali del dorso veneto del Corriere della Sera. Cura le relazioni con la stampa per le Edizioni Curci, per la violoncellista Silvia Chiesa e per il pianista Maurizio Baglini. Vive a Padova. Federico Capitoni Nato a Roma nel 1980, si è laureato prima in Scienze della Comunicazione e poi in Filosofia alla Sapienza. È critico musicale del quotidiano la Repubblica e collabora con altre testate, tra cui Il Sole24Ore. Ha ideato e condotto trasmissioni radiofoniche per Radio Rai, Radio Vaticana e altre. Continua, all’università, a svolgere attività di collaborazione e insegnamento ed è assegnatario della cattedra di Storia della musica e del teatro musicale alle Belle Arti di Roma. Autore di diversi libri di argomento musicale, il suo campo privilegiato riguarda i rapporti tra musica e filosofia. Andrea Penna Andrea Penna è nato nel 1970 a Roma dove ha seguito gli studi pianistici e si è laureato. Dal 1997 svolge attività di promotore, organizzatore culturale, ufficio stampa. Collabora con riviste musicali e quotidiani; fra le pubblicazioni alcuni saggi su Studi Romani e per Skira una biografia di G.F. Haendel. musicalmente 5 IN COPERTINA CLASSICA, acceleratore etico Forse non potrà salvare il mondo ma almeno lo aiuta a riconoscersi nel suo aspetto più bello e felice di Federico Capitoni Si dice che la musica, l’arte in generale, non sia in grado di migliorare il mondo. È vero. Anzi, tra le cose migliori del mondo ci sono proprio loro, le arti, e di più non possiamo chiedere. Ma è anche vero che l’arte non funziona solo come medium tra chi la crea e chi ne fruisce, ma tra tutti quelli che in qualche maniera ne vengono in contatto. La musica poi, che tra tutte è quella che vibra maggiormente, ha una potenza emotiva formidabile, in grado di scavare nel profondo di ognuno noi, disponendoci verso gli altri nel modo migliore possibile. Un’iniziativa come quella dell’Orchestra da Camera di Mantova (organizzare, com’è accaduto il 29 e 30 settembre, 50 concerti in due giorni è un’impresa mirabile) va quindi salutata non solo come un pur legittimo tentativo di raccogliere fondi per le zone colpite dal terremoto, ma anche e soprattutto come acceleratore etico che può favorire la comunicazione, intendendo con questo proprio un riconoscimento di un destino comune, che non è – nello specifico – quello del terremoto, bensì la possibilità in ogni momento, in ogni luogo, di rialzarsi. Qualunque sia stata la caduta. La dimensione della partecipazione collettiva tipica delle maratone di solidarietà è in realtà il contenitore di un aspetto ancora più importante. Quello del gesto, dell’atto, di partecipazione stessa del singolo: il solo fatto che una persona si muova per andare a un concerto o a una mostra per beneficenza è un simbolo di immedesimazione. Infine c’è una presenza speciale, di cui solo la musica può fregiarsi. Si tratta dell’ascolto. Ascolto che, attraverso la musica, è prima di noi stessi poi – raggiunto un livello di coscienza più alto – dell’altro. Trovarsi riuniti in una manifestazione musicale ha il suo effetto più potente alla fine di un concerto, non prima. Se si è saputo ascoltare. Altrimenti si è soltanto offerto un utile – ma sterile ai fini della comprensione reciproca – contributo alla raccolta fondi di turno. È la differenza che passa tra donare 1 euro da casa col cellulare e recarsi nei luoghi della tragedia per ascoltare musicisti che si impegnano al di fuori delle loro mansioni contrattuali. A essere straordinario – per chi ascolta e chi esegue – è così il gesto, non la spesa o il turno di lavoro. Perciò è importante che questi concerti non soltanto vengano organizzati, ma frequentati e ascoltati (cosa che, per quanto strano possa sembrare, non è ovvia). La sensibilizzazione verso la musica non può farsi che attraverso la musica stessa, la quale forse non potrà salvare il mondo ma almeno lo aiuta a riconoscersi nel suo aspetto più bello e felice. 6 musicalmente Santa Barbara dopo il sisma (foto di Nicola Malaguti) I PROTAGONISTI IN COPERTINA Eccoli, in ordine d’apparizione, tutti gli artisti/professionisti che hanno reso possibile la manifestazione Un week end a tutta classica – L’arte batte il terremoto, aderendo con generosità ed entusiasmo senza percepire alcun cachet/compenso: Lorenzo Gentili-Tedeschi, Elia Tagliavia, Stefano Patuzzi, Stefano Guarino, Filippo Lama, Igor Cantarelli, Laura Riccardi, Gregorio Buti, Giovanni Bietti, Alessandro Conrado, Carlotta Conrado, Giorgio Galvan, Francesco Moi, Orchestra Fuoritem- po, Massimiliano Rizzoli, Cesare Carretta, Cecilia Micoli, Monica Vatrini, Michele Ballarini, Paolo Ghidoni, Pietro Bosna, Cristiano Burato, Gino Maini, Anna Atzeni, Andrea Leasi, Lanfranco Martinelli, Damiano Rossi, Stefano L’Occaso, Marco Giavazzi, Grazia Serradimigni, Giacomo Tesini, Roberto Fabiano, Roberto Grossi, Bruno Matteucci, Maurizio Cavallini, Luigi Sabanelli, Luca Braga, Pierantonio Cazzulani, Klaus Manfrini, Paolo Perucchetti, Francesco Di Rosa, Alessandro Carbonare, Fran- cesco Bossone, Alessio Allegrini, Francesco Vassallo, Giovanni Mentuccia, Elia Mastrovito, Fernando Servidone, Claudio Marini, Gabriele Prodi, Eugjen Gargjola, Stefano Scansani, Maurizio Saletti, Stefano Biguzzi, Antonietta Micheli, Daniele Sala, Oreste Campedelli, Irene Veneziano, Ugo Favaro, Rossana Calvi, Danilo Grassi, Lisa Bartolini, Pedro Perini, Federico Zammarini, Giacomo Invernizzi, Luciano Cavalli, Emiliano Paterlini, Carlo Fabiano, Chiara Spagnolo, Plamena Mangova. Note di solidarietà L’ARTE batte il terremoto di Giovanni Bietti l’Orchestra da Camera di Mantova e Plamena Mangova domenica 30 nel concerto conclusivo del week end al Teatro Bibiena (Foto di Andrea Rinaldi) 29 e 30 settembre 2012. Il viaggiatore a cui è capitato di attraversare la provincia di Mantova in questi due giorni con le orecchie aperte e un po’ di curiosità ha avuto l’occasione di vivere un’esperienza assolutamente unica, per certi versi Settecentesca: cinquanta concerti realizzati nei comuni del territorio. Un’iniziativa intitolata Un week end a tutta classica ed organizzata dall’Orchestra da Camera di Mantova in collaborazione con la Fondazione Comunità Mantovana e con la Provincia di Mantova, con un duplice significato: il più immediato era la raccolta di fondi a favore dei beni artistici mantovani colpiti dal sisma, (prossimamente gli esiti definitivi, /ndr/) ma c’era anche un secondo intento, in un certo senso più privato ma ugualmente sentito. La stagione alle porte segna infatti il ventesimo anniversario di Tempo d’Orchestra, la rassegna annuale dell’Ocm, e l’orchestra ha scelto di festeggiare questo speciale compleanno con un gesto, a mio modo di vedere, di grande generosità: non attendersi un regalo dalla comunità locale ma offrirlo. E quindi la musica ha arricchito il fine settimana di comuni direttamente danneggiati come San Benedetto Po, Revere, Carbonara, Quingentole, Quistello, Felonica, Moglia, Poggio Rusco, Ostiglia, San Giovanni del Dosso e Suzzara, ma anche delle più fortunate zone settentrionali e occidentali, Castiglione, Monzambano, Medole, Castellucchio, Volta Mantovana, Gazoldo, San Martino, Bozzolo, San Giorgio, Bigarello, Goito, Castel Goffredo. Chiese, palazzi, auditori, teatri, palestre scolastiche e tensostrutture improvvisate risuonavano delle note di Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Brahms, Verdi, Debussy e tanti altri grandi compositori. A questi concerti itineranti si aggiungeva poi un “percorso cittadino”: secondo una formula già sperimentata con successo, molti luoghi della città hanno ospitato brevi ed intensissimi “29 e 30 settembre: un gruppo di professionisti di alto livello sceglie liberamente di regalare il proprio lavoro in un momento di profonda crisi economica che colpisce pesantemente il settore della cultura. La musica ha mostrato, grazie ai magnifici musicisti dell’Ocm, di saper fare cose utili alla collettività. Questo è il senso più profondo dell’arte, in ogni cultura e in ogni tempo: essere un servizio, e indicare una strada, un percorso morale...” musicalmente 7 IN COPERTINA momenti musicali, una sorta di labirinto sonoro che portava l’ascoltatore da San Lorenzo alla Casa del Mantegna, dal Conservatorio a Palazzo Ducale, da Santa Barbara al Teatro Bibiena. Il fitto reticolo di concerti proposto nell’intera provincia si specchiava e si concentrava nella città, il flusso di energia sonora si allargava e si restringeva continuamente, seguendo il ritmo ed il respiro della musica. L’idea di offrire un regalo musicale all’intera comunità si può sintetizzare nel fatto che alcuni eventi – sette, per la precisione – sono stati specificamente dedicati alle scuole, ai ragazzi. Centinaia di studenti hanno assistito a lezioni-concerto durante le quali i musicisti hanno illustrato le caratteristiche ed il significato di brani anche molto raffinati e complessi, capolavori cameristici come il Quintetto di Schumann o il Trio op. 99 di Schubert, che venivano poi eseguiti interamente. In queBietti introduce il Quintetto di Schumann sti momenti il senso più profondo per gli studenti di Ostiglia dell’iniziativa veniva davvero alla ribalta: l’emozione e la conoscenza punto di vista etico il peso di un simile atteggiamento si intrecciavano, suoni, ritmi, melodie venivano prima vada davvero messo in risalto. Un gruppo di professiospiegate, razionalizzate e quindi fruite direttamente. nisti di alto livello, tutti ben noti e riconosciuti a livello La musica si svelava in tutta la sua immensa ricchezza, nazionale, sceglie liberamente di regalare il proprio lail suo essere al tempo stesso un atto di conoscenza, di voro. In un momento di profonda crisi economica, che scoperta del mondo, e un’esperienza fisica, una gioia e colpisce il settore della cultura in modo forse più peuna vibrazione. L’evento conclusivo, il concerto dell’insante di altre attività. Ma, direi ancora più importante, tera Orchestra da camera di Mantova al Bibiena con la in un momento in cui scoppia uno scandalo quasi ogni pianista Plamena Mangova, offriva la cifra, il riassunto giorno, in cui si ha davvero l’impressione che gli interesdi tutta l’iniziativa. Il brano eseguito è stato il Concerto si della classe dirigente, di chi regge i fili del potere, non K. 271 di Mozart, forse il primo capolavoro indiscusso coincidano perfettamente con quelli della collettività, e del più amato tra tutti i compositori. Mozart ci mostra che troppo spesso il tornaconto personale conti più del in questo Concerto un impressionante balzo in avanti: bene comune. sviluppa miracolosamente, allo stesso tempo, lo stile, la Per questo, credo che il gesto offerto dall’Orchestra da forma del genere, innova fin dalle primissime battute Camera di Mantova e dai suoi magnifici musicisti all’in(che cominciano in modo originalissimo con un dialotera provincia vada al di là di un semplice – e riuscitissigo tra solista e orchestra), e realizza una sorta di stramo – evento artistico. La musica ha mostrato, in questi ordinaria “conciliazione degli opposti”, unisce e rende due giorni, di essere capace di fare qualcosa per gli altri, coerenti e compatibili i caratteri più diversi. Un primo di sapersi rimboccare le maniche e di dimostrarsi utile tempo vigoroso ed assertivo, un secondo movimento alla comunità. Del resto questo è il senso più profondo mesto, cantabile e dolente, un Finale in cui due danze dell’arte, in ogni cultura e in ogni tempo: l’arte deve esapparentemente inconciliabili, Minuetto e Rondò, dansere un servizio, e allo stesso tempo deve indicare una no vita ad una sintesi commovente. E proprio nell’idea strada, un percorso morale. Deve mostrare che è posdella sintesi va trovato secondo me il valore più imporsibile affrontare problemi, risolvere tensioni che nella tante di questa densissima due giorni mantovana. Non vita di tutti i giorni facciamo fatica a fronteggiare, e può l’ho scritto fino a questo momento, ma tutte le rapide offrire un’armonia che la società, la politica di oggi non presentazioni all’inizio di ogni concerto lo hanno giusembrano davvero in grado di assicurare. Il nostro monstamente sottolineato: gli artisti, nessuno escluso, si sono do, insomma, ha davvero un gran bisogno di musica, esibiti gratuitamente, per il piacere di contribuire ad una forse oggi più che mai. L’Orchestra da Camera di Maniniziativa così forte e originale, e senza pretendere altro tova lo ha dimostrato a tutti, in questo fine settembre. che il contatto e il calore del pubblico. Credo che dal 8 musicalmente IN COPERTINA nelle scuole Il fotoracconto della DUE giorni Photo Vettori Sabato 29 settembre: i musicisti dell’Ocm, l’Orchestra FuoriTempo, l’Ottetto di fiati dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Trio di Mantova danno vita a 26 concerti a Mantova città e sul territorio provinciale con un’attezione speciale alle scuole musicalmente 9 IN COPERTINA Domenica 30 settembre: 24 gli appuntamenti che vedono protagonisti tra Mantova e provincia i musicisti dell’Orchestra da Camera di Mantova, i pianisti Plamena Mangova, Irene Veneziano e Elia Tagliavia, l’organista Damiano Rossi. Ad aprire la seconda giornata del Weekend a tutta classica un’escursione impossibile nelle sale del Castello di San Giorgio gravemente danneggiate dal sisma proposta dal giornalista e scrittore Stefano Scansani, con intrusioni musicali a cura del violinista Eugjen Gargjola Fotoservizio di Nicola Malaguti Foto 2000 La raccolta fondi realizzata nel corso delle due giornate viene destinata al complesso monastico di San Benedetto Po, prezioso bene artistico del territorio mantovano Foto di Andrea Rinaldi 10 musicalmente I CONCERTI John Axelrod Battesimo di STAGIONE musicalmente 11 I CONCERTI John Axelrod, carismatico direttore americano, guida l’OGI in un viaggio musicale da Cajkovskij a Copland nel concerto inaugurale di “Tempo d’Orchestra” Sono passate solo poche settimane dalla scomparsa di Piero Farulli. È impossibile raccontare la storia dell’Orchestra Giovanile Italiana senza ricordare prima l’ardore profetico e la fede nella musica di questo artista impareggiabile e uomo indimenticabile. Come viola del Quartetto Italiano, Farulli ha vissuto nella prima parte della vita una delle esperienze più entusiasmanti della musica italiana, offuscata purtroppo alla fine da spiacevoli polemiche, secondo il costume incorreggibile delle vicende di casa nostra. Dopo trent’anni di musica ai massimi livelli e un infarto che avrebbe stroncato un bue, Piero tuttavia non aveva nessuna intenzione di mettersi a riposo. Non era un fatalista e vedeva in che condizioni versavano le istituzioni musicali del nostro paese, a cominciare dai Conservatori e dalle orchestre dei teatri. La professione musicale era ridotta a un mediocre mestiere, esercitato in maniera svogliata da strumentisti frustrati e rassegnati al fallimento artistico. La musica da camera era ignorata o vista con sospetto dagli insegnanti, che la consideravano una perdita di tempo per i migliori e un inutile sforzo per gli allievi meno dotati. L’orchestra, non ne parliamo, una morta gora popolata di anime in attesa della pensione. Farulli avrebbe potuto limitarsi ad allargare le braccia, in fondo ne avrebbe avuto il diritto, considerati la salute e il prestigio. Ma il toscanaccio Piero aveva l’anima del profeta e gli sarebbe sembrata di Oreste Bossini una bruciante sconfitta rimanere Orchestra Giovanile Italiana Gioventù VIRTUOSA L’OGI, nata nei primi anni Ottanta, diventa subito uno strumento formidabile per sovvertire l’avversione dei musicisti italiani per l’orchestra. Oggi è un’affermata compagine e un modello 12 musicalmente I CONCERTI AUDACIA E SENSO PATRIOTTICO MADE IN USA L’anno successivo al coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale, scatenato dall’attacco a Pearl Harbor, il maestro londinese Eugene Goossens, a quel tempo direttore musicale della Cincinnati Symphony Orchestra, ebbe l’idea di commissionare ad alcuni compositori più e meno celebri una breve pagina dedicata ai militari alleati impegnati nel conflitto, da eseguirsi prima dei concerti in abbonamento. Risposero in molti, tra cui, oltre lo stesso promotore, che scrisse una Fanfara per la Marina Mercantile, Walter Piston, Darius Milhaud (Fanfare de la Liberté), Paul Creston, Henry Cowell, Morton Gould ed Aroon Copland il quale, anziché scegliere una dedica ben precisa, decise, probabilmente suggestionato da un famoso discorso pronunicato nel ’42 dal vice presidente USA Henry Wallace, per una Fanfare for John Axelrod the Common Man (Fanfara per l’uomo comune) che venne destinata ad un organico di 11 strumenti a fiato (quattro corni, tre trombe, tre tromboni, basso tuba) e percussioni (timpani, gran cassa e tam-tam). La breve partitura, fra tutte quelle commissionate da Goossens, è stata l’unica a divenire popolare, simbolo maestoso di audacia e senso patriottico, con suggestione di tinte ed accenti crudi ed essenziali. A quest’ultima fa eco con una certa analogia di tratti ed in senso competitivo parodistico, dedicata a “donne avventurose”, la Fanfara n.1 for the Uncommon Woman della compositrice Joan Tower, newyorkese, classe 1938, che vi richiede un organico simile a quello di Copland. Quest’altra breve pagina, comparsa nel gennaio 1987 sotto la direzione di Hans Vonk e commissionata dalla Houston Symphony, fu seguita con le mani in mano di fronte a tanto scempio. Con l’aiuto di una sparuta manciata di discepoli, Farulli decise di fondare nel 1974 la Scuola di Musica di Fiesole, nella convinzione che si potesse prendere esempio anche da una piccola esperienza per riformare alle radici l’educazione musicale italiana. Un’utopia simile a quella di Don Milani e della scuola di Barbiana, ma per fortuna prosperata con maggior successo. Ma mancava ancora qualcosa per completare l’opera. Nel 1978 Lionel Bryer, un vulcanico dentista inglese di origini sudafricane, e la moglie Joy fondarono la European Community Youth Orchestra, grazie all’aiuto del primo ministro inglese Edward Heath e di un artista sempre generoso con i giovani come Claudio Abbado. Farulli comprese subito la necessità di riprendere e innestare nella realtà italiana quell’idea strepitosa. L’Orchestra Giovanile Italiana, nata nei primi anni Ottanta, diventava infatti uno strumento formidabile per sovvertire la tradizionale avversione dei musicisti italiani per l’orchestra. L’idea di Farulli era semplice e rivoluzionaria: la prima cosa da imparare per suonare in un ensemble è di ascoltare gli altri. Per un ragazzo abituato fin dalla più tenera età ad ascoltare sempre e soltanto il suono del proprio strumento si trattava di una scoperta sconvolgente. Pensate che lezione di civiltà sarebbe anche per i non musicisti, capire che per vivere in armonia con gli altri la prima cosa da imparare è saper ascoltare. Su questo principio elementare è stato costruito l’intero edificio dell’Orchestra. Il lavoro era distribuito in modo tale che ciascun musicista avesse la possibilità di suonare alla mattina musica da camera, sotto la guida di maestri del calibro di Farulli, del Trio di Trieste, di Franco Petracchi e da altre quattro con il medesimo titolo tra il 1989 ed il 1993, diverse però nella strumentazione. Ad eseguirle il 18 ottobre al Teatro Sociale di Mantova è l’OGI guidata dalla carismatica bacchetta dell’americano John Axelrod. Il programma è completato dall’interpretazione della Sinfonia n.9 Dal Nuovo Mondo di Dvoràk e della Sinfonia n. 4 di Cajkovskij Il concerto sarà presentato da Oreste Bossini martedì 16 ottobre alle ore 18 in Sala Norlenghi a Mantova. (a.z.) di tanti altri musicisti di primo piano. Al pomeriggio invece le varie sezioni si riunivano ciascuna per conto proprio, per studiare le parti dei lavori sinfonici in programma nei concerti. Ogni fila studiava con l’aiuto di un professionista importante, tutti musicisti con una lunga esperienza e abituati a suonare con solisti e direttori di rango internazionale. Alla fine il lavoro della giornata sfociava nella prova d’orchestra, che diventava così il punto d’arrivo e la sintesi del percorso formativo saggiamente progettato dai fondatori. E visto che siamo in clima di amarcord, un pensiero di riconoscenza e affetto va al compianto Piero Bellugi, che per molti anni si è sobbarcato la dolce fatica di svezzare tanti giovani musicisti, cedendo poi la bacchetta, una volta preparata l’Orchestra a dovere, ai numerosi artisti ospiti venuti a sostenere nel corso di trent’anni la splendida utopia di Farulli. Da allora naturalmente le cose sono cambiate. Il successo dell’OGI ha provocato una proliferazione di orchestre giovanili, a volte giustificate da buoni progetti, altre volte invece formate al solo scopo di sfruttare manodopera a basso costo. Inoltre oggi le orchestre italiane si sono profondamente rinnovate con l’ingresso di tanti giovani musicisti, molti dei quali passati attraverso l’esperienza di Fiesole. Come tutti i fenomeni umani, anche la Giovanile deve affrontare quindi una fase nuova e raccogliere sfide diverse rispetto al passato. La scomparsa di Farulli segna adesso anche in maniera simbolica la fine di un’epoca gloriosa e induce la direzione della Scuola, passata già da qualche anno nelle mani di Andrea Lucchesini, a imboccare delle strade nuove, inventando per l’Orchestra Giovanile Italiana progetti in grado di rispondere alle esigenze della musica di domani. musicalmente 13 I CONCERTI Sul filo della NOSTALGIA Era il 22 novembre di 20 anni fa. E Antonio Ballista con l’Orchestra da Camera di Mantova dava il via alla prima edizione di “Tempo d’orchestra” di Anna Barina Era il 22 novembre del 1993 quando sul palco del Teatro Bibiena l’Orchestra da Camera di Mantova dava il via alla prima stagione di Tempo d’Orchestra. Oggi, a vent’anni di distanza e sul filo della nostalgia, quel concerto viene ripreso il 14 e 15 novembre (rispettivamente a Suzzara, all’Auditorium, e a Mantova, al Bibiena) e ancora una volta a dirigere dal pianoforte l’ensemble mantovana c’è Antonio Ballista. Milanese, pianista, clavicembalista e direttore d’orchestra, già divulgatore dell’avanguardia strumentale nel dopoguerra e storico partner del duo pianistico con Bruno Canino, si è dedicato sin dall’inizio della sua carriera all’approfondimento delle espressioni musicali più diverse, effettuando personalissime escursioni nel campo del ragtime, della canzone italiana e americana, del rock e della musica da film, agendo spesso in una dimensione parallela tra la musica cosiddetta di consumo e quella di estrazione colta. E come in quella serata di quattro lustri fa, Antonio Ballista riporta a Mantova quella che lui stesso definisce «la più recente e innovativa delle correnti musicali», il crossover. Cosa richiamerà alla memoria del pubblico quel primo concerto di Tempo d’Orchestra? «Evocheremo quella sera eseguendo ancora Incantesimi, una fantasia di canzoni dai film di Walt Disney per soprano, pianoforte ed ensemble strumentale. Ci tengo a sottolineare che l’Orchestra da Camera di Mantova è stata tra le prime ad eseguire questo programma, precoce esempio italiano di crossover, la corrente musicale il cui precursore è stato nel 1984 il pianista Alessandro Lucchetti. Fino a quel momento, infatti, il crossover veniva identificato con la fusion, ovvero l’unione di jazz, etnica e altri generi di musica di consumo, ma l’innesto con la classica è stato realizzato per la prima volta da me e Lucchetti. La musica da film è qui trasformata in musica per un’orchestra classica: la rielaborazione è avvenuta innestando il materiale della colonna sonora in strutture formali mutuate dalla cosiddetta “musica colta”. Questo è possibile perchè, a differenza di altri generi basati sull’improvvisazione, nella classica esiste la notazione». 14 musicalmente Due immagini del maestro Antonio Ballista I CONCERTI Un repertorio che però viene spesso considerato di serie B proprio dagli stessi musicisti... «Sì, purtroppo è vero. La musica di consumo è considerata di seconda serie anche da artisti importanti. L’intenzione mia e di Lucchetti è proprio di sfatare questo mito perchè, come diceva il grande Leonard Bernstein, «I generi musicali sono solo due, la musica scritta e quella non scritta, e quest’ultima non va screditata». A mio parere possono esistere sinfonie noiose come canzoni strepitose. Sembra ovvio ma non lo è per i professionisti che ancora, devo dire con un certo razzismo, pensano che la musica da film o la musica da ballo e anche le canzoni non possano essere messe sullo stesso piano della classica, quando in realtà quello che conta è la qualità». Nella seconda parte del concerto presentate, appunto, una divertita ricognizione su 40 anni di musica leggera italiana, tra motivi del nascente mezzo radiofonico, canzoni popolari e temi orecchiabili del Ventennio... «Made in Italy ripercorre la storia italiana tra il 1910 e il 1950 attraverso la musica dell’epoca offrendone uno spaccato sociologico con un continuo rimando tra canzoni e vita. Nel programma sono presenti diversi medley. Marco Braito (tromba) e Massimiliano Rizzoli (contrabbasso) dell’Ensemble dell’Ocm Alessandro Lucchetti IL NEOROMANTICO LUCCHETTI TRA PIANOFORTE E CONTAMINAZIONI Alessandro Lucchetti, compositore e pianista bresciano, si alterna al pianoforte con Antonio Ballista nei due concerti intitolati Anni ruggenti, Melodie struggenti ed è autore delle trascrizioni. Tra i fondatori della corrente denominata “neoromantica”, è impegnato da anni nella ricerca sulla fusione dei generi e delle culture musicali tra jazz, rock, musica orientale, afro-americana. Sue composizioni sono eseguite in importanti festival e istituzioni concertistiche italiane e straniere e ha ricevuto commissioni, tra gli altri, dalla Radio Svizzera, dalla RAI di Roma, dall’Orchestra di Winterthur e dalla Biennale di Venezia. Sono molto eseguite le sue rivisitazioni di generi musicali “altri” in chiave classica: dal rock (il concerto dal titolo Rocklied appare ormai nei repertori di numerosi soprano italiani e stranieri), alla musica da film (Movie Charms è il titolo del programma esistente in varie versioni cameristiche e sinfoniche che racchiude il meglio delle colonne sonore italiane e americane), alla canzone italiana. E proprio il programma che ripercorre quarant’anni di storia italiana a cavallo delle due guerre, Made in Italy, lo stesso che ascolterà il pubblico mantovano, ha riscosso un grande successo nel 2002 alla prima assoluta al Teatro alla Scala, eseguito dello stesso Lucchetti con l’ensemble ‘900 e Oltre diretto da Antonio Ballista. Programma che tre anni dopo è stato portato trionfalmente in tournée in Argentina, Brasile ed Uruguay. musicalmente 15 IN COPERTINA Mercoledì 14 e giovedì 15 novembre Ballista riporta a “Tempo d’Orchestra” quella che a suo dire è la più recente e innovativa delle correnti musicali: il crossover Dalle illusioni sognanti per amori mai consumati o conclusi, canzoni come Tu che mi fai piangere e Tango della gelosia del geniale Gian Vittorio Mascheroni che hanno incontrato il favore di grandi cantanti lirici come Gigli, Di Stefano e Pavarotti, a “Lazzi e sberleffi”, le canzoni della fronda, ovvero titoli ironici e spassionati che sbeffeggiavano il regime. Pippo non lo sa di Kramer e Maramao perchè sei morto sono state un’opposizione popolare sotterranea al fascismo. Voglio ribadirlo, la vera musica contemporanea è questa, non quella che viene ammannita nei festival ricalcando qualcosa che ormai ha esaurito del tutto dal punto di vista storico il suo interesse. E la risposta del pubblico lo dimostra». Intende dire che eseguire questo tipo di repertorio potrebbe aiutare il ricambio generazionale di pubblico anche nella classica? «Direi di sì, anche se gli interessi degli italiani sono ormai altri e la disaffezione generale per la musica non è facile da combattere. L’Italia ha prodotto alcuni dei più grandi artisti di tutti i tempi ma gli italiani non sembrano particolarmente interessati alla musica. Ci vorrebbe una politica illuminata ma soprattutto una necessità di nutrimento che parta dalla base: la musica deve far parte in modo capillare della formazione di un individuo, solo così tutti la consumeranno e si sforzeranno di comprenderla. Fino a quando l’educazione musicale è confinata ai Conservatori l’ignoranza che regna generale non potrà essere colmata». “La musica deve far parte in modo capillare della formazione di un individuo” RAFFINATA INTERPRETE DI LIEDER L’INGLESE LORNA WINDSOR SARA’ LA VOCE PROTAGONISTA Originaria del Kent, Inghilterra, il soprano Lorna Windsor ha al suo attivo una brillante e versatile carriera. Riconosciuta come interprete raffinata di lieder, si esibisce frequentemente in recital dedicati alla musica da camera romantica e contemporanea, ed è richiesta come interprete ideale da compositori che hanno dedicato e dedicano opere alla sua voce ed interpretazione. La sua personalità brillante la ha portata anche verso l’operetta, a cominciare dal debutto come Rosalinde in Die Fledermaus a Die lustige Witwe di Lehar e la maggior parte dei ruoli di Offenbach, ma ha interpretato anche vari ruoli delle opere buffe napoletane del Settecento e, spesso, è stata protagonista di ruoli di prosa a teatro. Un’altra sua passione è il repertorio di musica antica, dai canti del XIII secolo dei Trobadors a Monteverdi. Nel suo percorso si è distinta anche per le interpretazioni di ruoli mozartiani come Venere in Ascanio in Alba, Donna Anna nel Don Giovanni, Despina in Cosi fan tutte diretta da Claudio Abbado. Nel campo operistico, poi, ha interpretato Euridice nell’Euridice di Peri, Oscar in Un ballo in maschera, Sophie in Der Rosenkavalier, Norina in Don Pasquale. 16 musicalmente Lorna Windsor NOTE ALL’ASCOLTO a cura di Andrea Zaniboni Orchestra Giovanile Italiana Mantova | Teatro Sociale Giovedì 18 ottobre 2012, ore 20.45 John Axelrod, direttore INSERTO ESTRAIBILE A. Copland, Fanfare for the common man A. Dvoràk, Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal Nuovo Mondo” J. Tower, Fanfare for the uncommon woman P.I. Cajkovskij, Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36 La Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” – un tempo numerata come Quinta e oggi divenuta Nona dopo il ritrovamento di quattro sinfonie giovanili ed il conseguente rimescolamento dell’ordine cronologico – risale al 1893 e fu la prima composizione scritta da Dvorák durante il soggiorno americano iniziato nel settembre del ’92 e terminato, inclusa una parentesi in patria nel ’94, nel mese di aprile del 1895. Fin dal 1891 Dvorák era stato sollecitato da Jeanette Thurber, intraprendente moglie di un ricchissimo commerciante ed appassionata di musica, ad assumere la direzione del Conservatorio di New York da lei fondato, per il quale sarebbe stata estremamente gradita una personalità di trainante prestigio. Ma egli, pur con la sua forte esperienza di viaggiatore e pur allettato da un compenso assolutamente straordinario per l’epoca (quindicimila dollari annui) tergiversò a lungo, finendo per accettare l’incarico solo dopo mesi di fitti scambi espistolari. Compositore di stampo “nazionalista”, come si è voluto puntualizzare, Dvorák approdò nel Nuovo Mondo con un sostanzioso bagaglio di opere confortate dalla freschezza dell’ispirazione, dall’agilità delle strutture compositive e da una sensibile influenza del dato popolare, colto in una rivistazione affettuosa e spontanea, non quindi sistematica o motivata da desideri di ricerca scientifica. Tali inclinazioni ovviamente non svanirono nella nuova patria temporanea, manifestandosi così anche nella produzione “americana”. La Nona Sinfonia in questo senso è esemplare, e sia il celebre Largo (con il pensieroso motivo del corno inglese) quanto gli altri movimenti, specie quelli estremi, abbondano di tratti riferibili al folclore locale e alla tradizione po- polare indiana. Ma si tratta, come s’è detto, di riferimenti, non di puntuali trascrizioni, tanto che le interpretazioni a questo riguardo sono dissimili: c’è chi ha fatto notare la somiglianza di un tema dell’Allegro iniziale con quello di uno spiritual, e chi ha segnalato come la celebre melodia del Largo sia stata utilizzata in ambito disimpegnato, a sottolinearne i profili non intellettuali. Le origini del materiale utilizzato da Dvorák comunque non sono state individuate con esattezza: e ciò basta a farci credere che l’inventore non sia altri che lui, abilissimo nel consegnarci una Sinfonia che, in felice miscela di radiosa spontaneità melodica ed arioso sapere costruttivo, s’imprime immediatamente nella memoria. Nel segno del travaglio interiore, che giunge ad assumere una dimensione realmente condizionante non solo in ambito artistico ma pure nel quotidiano, risente buona parte della produzione di Cajkovskij ed in particolare proprio la Quarta Sinfonia ideata e conclusa tra il 1876 e il 1878, nel periodo che segna l’avvio dei famosi scambi epistolari con la facoltosa protettrice Nadežda von Meck, nonché il compiersi della disastrosa e singolare esperienza matrimoniale con Antonina Miljukova, sposata in un momento di follìa, senza alcuna convinzione. Proprio la Quarta, per la sua straordinaria carica emotiva, in evidenza specie nel primo movimento, e per il fiorire di idee che trovano esposizione con scrittura orchestrale a tratti virtuosistica e spettacolare, emerge come una tra le sue più riuscite prove sinfoniche: fatto che rende plausibile quella tesi che pone in strettissimo rapporto «crisi privata e deflagrazione del processo compositivo» (Aldo Nicastro). Di questa Sinfonia, presentata a Mosca all’inizio del ’78 con la direzione di Nikolaj Rubinstein, lo stesso Cajkovskij la- Antonin Dvoràk sciò più che una traccia interpretativa in una ben nota lettera indirizzata alla von Meck: «L’introduzione contiene il germe di tutta la sinfonia, l’idea da cui tutto il resto dipende. È il fato, la potenza del destino che ci impedisce di essere felici (…) in balia delle onde vaghiamo senza meta sino a quando veniamo inghiottiti dal nulla. Questo è in sostanza il senso del primo movimento. Il secondo raffigura un altro aspetto delle nostre sofferenze, la malinconia che ci travolge la sera, nella solitudine (…). Il terzo movimento è una successione di immagini impalpabili, quali traversano la mente durante l’ebbrezza. (…) Il quarto movimento suggerisce di cercare negli altri la serenità che manca a noi stessi (…). Ma anche qui a tratti ricompare il destino». Ma se tanto ispirato ci appare il “programma”, più efficace ancora si svela il potere illustrativo della partitura, di cui gli aspetti elegiaci, affettuosi, irresoluti, appassionati, si colgono come spie di un vivere precario, tra le insidie di una sensibilità mai appagata. «In effetti la mia anormalità – confidava il compositore al fratello Anatol, nel 1875 – provoca un abisso insormontabile tra me e la maggior parte della gente». musicalmente 17 N NOTE ALL’ASCOLTO Ensemble dell’OCM Alessandro Lucchetti, pianoforte Antonio Ballista, pianoforte e direttore L’idea di distillare il meglio di quarant’anni di canzoni, restituendo il profilo di un’epoca attraverso arrangiamenti per un ensemble classico (senza voce!) risale sia per Lucchetti sia per Ballista a diversi anni fa. Ballista racconta che fu ispirato da una scena del film Shining di Stanley Kubrick: tronato a casa volle ricostruire musicalmente in un concentrato di nostalgia i sentimenti provati nel corso della visione del film, alla ricerca di una sorta di Eldorado musicale perso per sempre, come ha raccontato lui stesso. Per Lucchetti (…) l’ultima tessera di un mosaico iniziato a metà degli anni ’80 contribuisce a delineare i contorni della più moderna corrente musicale: il crossover, che unisce stili e correnti musicali diverse. Lucchetti non è nuovo al ruolo di trascrittore-rielaboratore di musiche che non appartengono alla tradizione musicale cosiddetta colta o classica. Lo testimoniano esperienze come Movie Charms, concerto-spettacolo sulla magia del cinema attraverso le colonne sonore, o come Rocklied, rielaborazione in versione liederistica per voci femminili di canzoni dei Beatles. Avventure, come scrive Lucchetti, intraprese all’insegna del divertimento, ma anche vere e proprie sfide raccolte nell’intento di mostrare come una bella musica, espressione di idee, sentimenti, immagini, atmosfere, possa vivere vite parallele, valicando le barriere issate fra i generi classico e leggero che suddividono l’arte dei suoni in mondi apparentemente incomunicabili. Non c’è musica di serie A o di serie B: ma solo musica di qualità. L’originalità di questa proposta sta nell’assenza di testi letterari per cui le canzoni entrano in una dimensione atemporale e diventano mitiche, evocando con maggior intensità ricordi, emozioni, nostalgie. Una magistrale orchestrazione ripropone a un pubblico colto una musica di consumo, destinata a un pubblico di massa attraver- 18 musicalmente Suzzara| Auditorium Mercoledì 14 novembre | ore 20.45 (Abbonati Apollo, Venere, Euterpe, Ouverture) Mantova |Teatro Bibiena Giovedì 15 novembre | ore 20.45 (Abbonati Amico Sostenitore, Orfeo, Ouverture) “Anni ruggenti, Melodie struggenti” Mancini-Lucchetti, Una Pantera a Hollywood Fantasia di temi dalle colonne sonore di Henry Mancini AA.VV. – Lucchetti, Incantesimi Canzoni dai film di Walt Disney (musiche di Churchill, Livingstone e altri) D’Anzi, Tu musica divina - Bambina innamorata - Ma le gambe Silenzioso slow - Non dimenticar… - Ma l’amore no G. Kramer, Pippo non lo sa M.C. Consiglio, Il pinguino innamorato - Maramao perché sei morto R. Morbelli, Ba-ba-baciami A. Pestalozza, Ciribiribìn V. Mascheroni, Bombolo - Fiorin fiorello - Lodovico - Tu che mi fai piangere -Tango della gelosia D. Olivieri, Tornerai E. Sciorilli, Perduto amore A. Fragna, Signora illusione G. Kramer, Non ti fidar (di un bacio a mezzanotte) Gorni Kramer so medley, cioè miscellanea di canzoni suonate come un pezzo continuo. La scelta dei brani è frutto di un lungo, a tratti estenuante periodo di ascolti, come dice Lucchetti, supportati dall’ausilio spesso canoro di un esercito di prozie e conoscenti, che ebbe come esito la selezione di canzoni attraverso le quali un’intera epoca esprime la sua cultura, il suo gusto, i suoi costumi, le sue abitudini, perfino i suoi tic, un racconto dell’Italia dalla bella époque al secondo dopoguerra. La vivace suddivisione del repertorio (…) permette ai motivi di susseguirsi in maniera armoniosa, di aggrovigliarsi come se si perdesse il filo del discorso, di sovrapporsi, evocando, attraverso più o meno insistiti ritorni, fantasmi di forme classiche. L’esordio è affidato a sei composizioni di Giovanni D’Anzi, il grande artista milanese nato il 1° gennaio 1906 e passato alla storia per aver scritto parole e musica di O mia bela Madunina, la canzone-inno dei Milanesi. Tra i più importanti compositori di musica leggera, negli anni ’30-’50 lavorò in coppia con Alfredo Bracchi versatile autore milanese (…). Insieme composero motivi di successo per la radio, il cinema e la rivista. D’Anzi venne fortemente influenzato dal jazz e dai ritmi latino-americani, ma fu anche tra i promotori della canzone d’autore in dialetto milanese. La diffusione delle canzoni di Giovanni D’Anzi è legata alla radio. Fu il 1924 l’anno della grande rivoluzione nella storia della comunicazione in Italia: iniziarono le trasmissioni radiofoniche. Da quel momento in poi la canzone entrò nelle case degli italiani e il mercato editoriale si servì della radio per rendere familiari le melodie i cui spartiti sarebbero stati venduti alle orchestrine e ai complessini di tutta Italia per essere eseguite nelle sale da ballo e nelle feste di piazza. Solo le canzoni di successo diventavano occasionalmente un disco a 78 giri. Il mercato del disco non era, all’epoca, rilevante dal momento che ben pochi possedevano un grammofono. La radio invece, a galena o elettrica, raggiunse progressivamente la più ampia diffusione. Con le prime trasmissioni radiofoniche in Italia nacque l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) – nome che verrà in seguito sostituito da quello della RAI. (note estratte dal booklet allegato al cd Made in Italy – La Bottega Discantica, 2005) N NOTE ALL’ASCOLTO Orchestra della Toscana Lunedì 3 dicembre 2012 Mantova, Teatro Sociale | ore 20.45 H. Purcell-B. Britten, Ciaccona B. Britten, Doppio concerto per violino, viola e orchestra W.A. Mozart, Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550 Uno dei rari cimenti del Britten trascrittore si è esercitato proprio su una celebre pagina della più magistrale figura di musicista inglese del diciassettesimo secolo, Henry Purcell, con la splendida Chaconny in sol minore (Z.730), antica danza su basso ostinato per archi e basso continuo, datata 1680, rielaborata per orchestra d’archi con ovvio arricchimento di spessore sonoro, tra la fine del 1947 e l’inizio del 1948, quindi immediatamente presentata a Zurigo dal Collegium Musicum di quella città diretto dallo stesso compositore. In questa scelta felice (non l’unica di Britten nei riguardi di Purcell) c’è il riflesso dell’attenzione del musicista di Lowestoft per la grande storia nazionale e per le forme arcaiche (altre ciaccone, nella sua produzione si ravvisano nel Quartetto n.2 per archi del 1946 e nella Seconda Suite per violoncello del 1971), ma anche il segnale di una modernità aperta alle più varie influenze se è vero che altre prove del genere inclusero Mahler (il secondo movimento della Terza Sinfonia, rivisto per piccola orchestra nel 1941) quanto il tradizionale inno God Save the Queen. Tale ecletticità creativa è anche quella che emerge dal cosiddetto Double Concerto (Britten lo intitolò semplicemente Concerto in si minore per violino, viola e orchestra) realizzato nel 1932, due anni prima della celebre Simple Symphony, dove l’impianto neo-classico e l’attenta razionalità compositiva tesa ad individuare elementi collanti, si sposa con un’immaginazione sonora persino epica e con un vitalismo ritmico (vedi soprattutto il terzo ed ultimo movimento) di coinvolgente energia, che affonda le radici nelle scoperte degli avanguardisti d’inizio secolo. Il Concerto per violino e viola aperto ad un epilogo inusuale nel richiamo del primo movimento, in un progressivo svanire delle sonorità, rimase a lungo ineseguito: la prima esecuzione si diede solo nel 1997 all’Aldeburgh Fe- Andrea Tacchi, violino Stefano Zanobini, viola Johannes Debus, direttore stival con la Britten-Pears Orchestra guidata da Kent Nagano (solisti Katherine Hunka e Philip Dukes). Due anni dopo ne seguì la pubblicazione. La Sinfonia in sol minore K.550, quarantesima prova mozartiana nell’ambito specifico, si lega notoriamente a tutta una serie di suggestioni legate alla biografia del compositore (comprese le sue crescenti difficoltà economiche), alla metafisica della musica strumentale, intrisa di patetismi finanche preromantici, ed alle proprietà attribuite alla tonalità selezionata che «sembra portare con sé - così ha scritto Beniamino Dal Fabbro - un’inquietudine patetica e arcana, un soffocato e un po’ angosciato lirismo». Lasciamo pure da un lato la troppo lacrimevole «prova d’amore in prossimità della morte» partorita dalla prosa d’Aloys Greither, noto studioso mozartiano; ma rientra tra i fatti musicali verificati il grande potere di commozione e d’emozione suscitato da questa Sinfonia: non a caso, seconda ed ultima scritta da Mozart nella tonalità di sol minore, svetta tra le opere più celebri di tutti i tempi, essendosi avvantaggiata di una costante auto-promozione, segnale della sua costante attualità. Scritta oltre tre anni prima della morte (fu completata a Vienna il 25 luglio del 1788), e seguita da una settantina di numeri d’opera in buona parte finalizzati al più sereno intrattenimento, la Sinfonia K.550 si colloca al centro di una triade celeberrima – costituita con le sinfonie K.543 e K.551 “Jupiter”- che recenti ricerche hanno legato a sicure finalità esecutive, sebbene non meglio specificate. Con il recupero della misura per così dire umana, in ogni modo, non pare se ne sia ridotto il messaggio artistico che, al contrario, n’è uscito potenziato: perché è proprio il contatto di Mozart con il quotidiano che n’esalta, per contrasto, la stupefacente capacità d’astrazione. Al riguardo, anche l’essenzialità dei mezzi strumentali a cui Benjamin Britten il maestro salisburghese fece ricorso (un’orchestra senza trombe e timpani, e inizialmente anche senza clarinetti, aggiunti poi, nel 1791), precisa che il suo intento espressivo non necessita di grandi mezzi, di materialità; giacché piuttosto è nella leggerezza che la sua immaginazione spicca il volo, disegna allusioni, scopre l’emozione di profondità ignote. Di «aleggiante Grazia greca» ebbe a scrivere Robert Schumann, di «appello all’eternità» l’Einstein. Certamente, di là dai tentativi di afferrarne lo spirito, questa Sinfonia, se a suo tempo emerse come violazione della regola, oggi mostra di mantenere il segreto sul suo ambiguo ondeggiare tra semplicità e complessità, tra eleganti candori e vibranti scosse drammatiche. Opera che sollecita domande, e che non placa i nostri turbamenti. musicalmente 19 N NOTE ALL’ASCOLTO Quartetto Avos Mario Montore, pianoforte Mirei Yamada, violino Diana Bonatesta, viola Luca Magariello, violoncello Ricordato come il maestro di Benjamin Britten, l’inglese Frank Bridge (18791941) a oltre settant’anni dalla morte è ancora inspiegabilmente poco noto in Italia sebbene la sua produzione da camera sia considerata di grande valore, rappresentando addirittura una vetta rilevante in ambito nazionale. Autore di un catalogo corposo, nel quale rientrano anche svariate partiture orchestrali ed un centinaio di liriche, Bridge ebbe un’evoluzione notevole che lo condusse dalle propaggini del romanticismo all’atonalità («non senza un certo disagio e artificio», nota il Mila). Il Phantasy Quartet in fa diesis minore rappresenta in un certo senso l’anello di congiunzione fra tradizione e novità e fu completato nel giugno del 1910, venendo pubblicato l’anno successivo da Goodwin & Tabb. Il lavoro giunse a seguito di una nutrita serie di altre pagine da camera come le Novellette ed il Phantasy String Quartet (quest’ultimo vincitore del Premio Cobbett), il Primo Trio con pianoforte (anch’esso premiato), un Quintetto con pianoforte ed una Sonata per violino e pianoforte, tutti compiuti a partire dal 1904. Vi si ritrova un atmosfera che risente di influenze germaniche e francesi, fra melanconia e brillantezza, caratteri lavorati con preziosismi timbrici ed ispirato lirismo, ed organizzati secondo un piano formale atto a creare un disegno che si presenta speculare rispetto alla cerniera centrale, rappresentata dal “Trio” dello Scherzo. In definitiva una pagina suggestiva, dalla quale ben avviare una ricognizione su questo compositore misconosciuto, che Britten significativamente omaggiò nel 1937 con le sue Variazioni orchestrali op.10. Secondo Jean-Michel Nectoux, qualità essenziale di Fauré è saper «esprimere i sentimenti più elevati con i mezzi più semplici per raggiungere, in qualche modo, la carne nuda dell’emozione». L’affermazione è condivisibile, pur tuttavia il maestro francese, protagonista della stagione del rinnova- 20 musicalmente Suzzara, Auditorium | ore 20.45 Venerdì 14 dicembre 2012 F. Bridge, Phantasy piano quartet G. Fauré, Quartetto n. 1 in do minore op. 15 per pianoforte e archi J. Brahms, Quartetto n. 2 in la maggiore op. 26 per pianoforte e archi mento linguistico nel suo paese a cavallo tra Otto e Novecento, rimane a tutt’oggi un musicista non per tutti, in ragione di una scrittura estremamente sofisticata, un ventaglio di caratteri non appariscenti, un fascino intimo che si spiega per vie segrete, così da richiedere un ascolto analitico, una sintonia speciale nell’ascoltatore. Tutta la sua musica da camera, d’altissima qualità, richiede questa singolare chiave d’accesso, da cui non viene escluso ovviamente nemmeno il suo primo Quartetto con pianoforte op.15, scritto nel 1879 (Fauré era un compositore maturo, di 34 anni) e poi revisionato qualche anno dopo in ragione di un’insoddisfazione riguardante il quarto ed ultimo movimento. Dedicato al violinista e compositore belga Hubert Léonard (1819-1890) questo lavoro, presentato con successo a Parigi nel 1880, si presenta tuttavia ricco di una chiarezza e di un’energia singolari, capaci di avvincere anche senza la mediazione di speciali filtri intellettuali. In tal senso quello che Marguerite Long chiamava «charme ondoyant et berceur» si unisce ad una nettezza di tratti e ad una vivezza ritmica tali da unire il fluttuare della sensibilità armonica alla pulizia delle forme, nel quadro di un respiro di radice romantica che oscilla, attraente di minuziose sottolineature, tra frenesia e gravità pensierosa. Fascino di una tavolozza nella quale calano, in quantità, anche le medie tinte di una sensuale indeterminatezza, tipica di questo maestro. «Mi sono familiarizzato sempre più con il Quartetto in la maggiore. Il tono intimo e tenero ben contrasta con la fresca giovalità. (…) L’Adagio è magnifico! Prima pensavo che l’antitesi del mi maggiore non fosse felice; ma suonandolo (pur malamente) al pianoforte, me ne entusiasmai e provai vera meraviglia quando il filo d’oro del tema penetra scintillando nell’indeterminatezza della passione e appaga». Così scriveva nell’ottobre del 1861 Joseph Joachim, violinista ed intimo amico di Brahms Johannes Brahms dopo aver preso conoscenza del nuovo Quartetto op.26, lavoro compiuto a ruota del gemello op.25, e come quello ampio d’architettura, denso di materiali, lavorato con vivo senso razionale. Anche qui, come in molte opere di questo genere firmate dal compositore d’Amburgo, emerge quel “camerismo sinfonico” che lo contraddistingue: scritture sostanziose, pianoforte emergente e con ruolo trainante, pastosità di suono, serrata azione collettiva. Il vasto nuovo Quartetto, che contribuì a far conoscere il nome di Brahms nel cruciale ambiente viennese (la prima esecuzione si ebbe il 29 novembre del 1862, con il compositore al pianoforte accanto a membri del Quartetto Hellmesberger), ottenne apprezzamento del pubblico ma non convinse del tutto l’autorevole Hanslick, a quel tempo critico di Die Presse (quotidiano fondato nel 1848), che espresse riserve, fra l’altro, sul carattere dei temi, a suo avviso scelti «più in vista delle delle loro possibilità contrappuntistiche che delle qualità intrinseche». In effetti questo rilievo ancor oggi non appare del tutto infondato, se è vero che ne risente una forma sostanzialmente più accademica se raffrontata all’op.25; ma rimane evidente l’impronta di un talento costruttivo eccezionale, capace di mettere a frutto ogni idea con equilibrio raro di emozione e ragione. I CONCERTI Ed è di nuovo MadamaDoRe “Etnica”: esperienza d’ascolto che si propone di coinvolgere attivamente il pubblico in sala di Vincenzo Mancini UN PROGETTO IN PARTENARIATO Il progetto Neos Sinfonia Orchestra nasce nel gennaio 2011 con un accordo di partenariato tra i Comuni e le associazioni musicali del territorio piemontese: Centro per la Ricerca e la Didattica Musicale-Musicanto e Scuola Civica Musicale Carl Orff di Piossasco, Iniziativa Musicale di Rivalta, Associazione Culturale Musicale di Beinasco e Associazione Amici della Musica di Bruino, sotto la direzione artistica del maestro Alberto Conrado, a seguito dell’assegnazione di un contributo del Ministero della Gioventù e dell’Anci per la partecipazione al bando Giovani Energie in Comune. Grazie all’interessamento dell’Anci dei comuni e delle associazioni coinvolte ottiene la possibilità di proseguire l’attività concertistica a tutto il 2012. Neos Sinfonia Orchestra A inaugurare, nella stagione 2012/13, il ciclo di appuntamenti mattutini per famiglie Madama DoRe - Musica formato famiglia, è Etnica - Dalle Ande agli Appennini (domenica 18 novembre, ore 11, Teatro Bibiena di Mantova), performance che intende offrire un’esperienza di ascolto legata alla musica etnica e nel contempo un coinvolgimento attivo del pubblico. Il repertorio in programma viaggia lungo una linea immaginaria che, dalle sonorità tipiche dell’America Latina, attraversando l’oceano, solca l’area dell’Africa sub-sahariana, per risalire poi fino al bacino del Mediterraneo. L’Orchestra Neos Sinfonia, diretta da Alberto Conrado, esegue musiche espressamente arrangiate, tratte dal repertorio popolare brasiliano, boliviano, italiano, africano e arabo. Suonano con l’orchestra, nell’area africana, i musicisti Marco Patanè (kora e djembe) e Moussa Kora Sanou (kora e balafon). La conduzione della performance intende ispirarsi alle linee guida e alle pratiche della pedagogia Orff-Schulwerk (opera didattica di Carl Orff). Ogni area geografica di repertorio prevede una differente partecipazione del pubblico, dalla body percussion alle microcoreografie e all’utilizzo della voce che parla e che canta. Nell’intento di offrire il massimo coinvolgimento timbrico, l’orchestra giovanile utilizza, in particolare nella sezione percussioni, ampio strumentario originale, dai tamburi africani alla kora, dalle percussioni dell’oriente allo strumentario del samba. Gli strumenti a percussione rappresentano, infatti, fin dalla fondazione, un nucleo centrale dell’orchestra giovanile Neos Sinfonia, in grado offrire al suo interno opportunità di studio, momenti di aggregazione e spazi per l’esibizione concertistica. La vera occasione per un reale coinvolgimento dei ragazzi, finalizzato ad un’autentica promozione della crescita personale e volto alla scoperta e alla costruzione dell’identità musicale di ciascuno, viene fornita, infatti, proprio dall’attività di musica di insieme. Per informazioni su biglietti e abbonamenti: biglietteria Ocm (tel. 0376 1961640 - [email protected]). musicalmente 21 I CONCERTI Ritratto di Benjamin Britten, Preciada Azancot, 1986 Bisogna recarsi ad Aldeburgh, sulla costa est della Gran Bretagna, per capire profondamente la figura di Benjamin Britten, di cui nel 2013 ricorre il centenario della nascita: c’è, nelle infinite solitudini delle spiagge del Suffolk e nel verde incontaminato dell’entroterra pianeggiante su cui si staglia un cielo vasto e mutevole, l’idea di un “paesaggio musicale” che dovette attrarre Britten quando, parzialmente incompreso dai londinesi, scelse nel 1948 questo borgo di pescatori come ritiro. Il compositore inglese era nato non lontano da Aldeburgh e la scelta di questo luogo significava al contempo un ritorno alle origini e un gesto ardito: da un lato, faceva leva l’attrazione del magnifico e amniotico mare della costa orientale o degli idillici paesaggi di campagna alla Constable; dall’altro vi si contrapponeva la diffidenza degli abitanti locali, che videro arrivare Britten nientemeno che insieme al suo compagno di vita Peter Pears: una coppia che, se a Londra era a malapena tollerata, in provincia suscitava raccapriccio e disgusto. Ci si chiede perché un compositore già noto in tutto il mondo non abbia pensato a metter radici in un luogo culturalmente più prestigioso: ad esempio New York. A Brooklyn, Britten visse qualche tempo in una comune di artisti ribelli, fra cui gli scrittori Auden, Bowles e Isherdi Luca Ciammarughi wood, ma ben presto si accorse di I tormenti di un GENIO Ritratto di Benjamin Britten, artista di straordinaria onestà intellettuale capace di trasformare i propri fantasmi in capolavori di sconcertante e toccante umanità 22 musicalmente I CONCERTI Il suo ritiro nella provincia inglese fu una presa di coscienza delle proprie radici in senso caratteriale e musicale Nella sua musica ritroviamo lacerazioni che derivano da un’esperienza di sofferenza reale essere troppo introspettivo per sostenere la brillantezza del Gran Mondo: «Qui sono tutte mode-mode-mode», disse. Il ritiro nella provincia inglese non fu dunque per Britten solo un atto di rassegnazione, ma anche la presa di coscienza definitiva delle sue forti radici inglesi, sia in senso caratteriale che in senso musicale. La solitudine che Britten trovò ad Aldeburgh ci suggerisce anche che egli avesse alzato bandiera bianca nei confronti dell’esistenza per sublimare le proprie pulsioni nell’arte: non è un mistero il fatto che il compositore fosse attratto da giovanissimi ragazzi, con i quali sapeva di non poter e non dover instaurare altro che romantiche relazioni idealizzate. La mancanza di ipocrisia che Britten manifestò nel mostrare i propri sentimenti andò di pari passo con una forma di autopunizione, quella dell’isolamento e della vita austera. Musicalmente parlando, tutto ciò produsse un materiale poeticamente incandescente, soprattutto nelle opere che toccavano il tema proibito: Billy Budd, Giro di vite, Peter Grimes, Albert Herring e La morte a Venezia. Nella sua musica ritroviamo lacerazioni che non sono mai presuntuosamente programmatiche, ma derivano da un’esperienza di sofferenza reale, come nel caso dell’amico Shostakovich: da un lato, le triadi consonantiche richiamano un mondo di innocenza perduta (il gamelan balinese sui giochi di Tadzio in spiaggia), dall’altro le dissonanze incarnano la realtà nella sua brutalità (pensiamo all’orgia dodecafonica che rappresenta la malvagità del pedofilo Quint in Giro di vite). Non è un caso che uno dei riferimenti di Britten fu Franz Schubert, di cui suonò più volte i grandi cicli liederistici e con cui condivise il tragico dilemma dell’apollineo e del dionisiaco, della luce e dell’ombra. Se sulla grandezza musicale di Britten nessuno ormai osa più sollevare dubbi («Britten è stato per me la persona più squisitamente musicale che io abbia mai incontrato» scrisse già il rivale Tippett nel necrologio), è giusto anche ricordare la sua onestà intellettuale, il rifiuto di ogni ideologia preconfezionata e la lotta interiore con cui trasformò i propri fantasmi in capolavori di sconcertante e toccante umanità. LUNEDÌ 3 DICEMBRE AL TEATRO SOCIALE DI MANTOVA DEBUS GUIDA L’ORT E I SUOI SOLISTI Johannes Debus: ecco uno delle giovani bacchette di livello internazionale che passano agevolmente dalla lirica alla concertistica. Se a Tempo d’Orchestra, lunedì 3 dicembre, al Teatro Sociale di Mantova, alla testa dell’Orchestra della Toscana, il direttore tedesco, 38 anni, si dividerà tra Mozart e Britten, in un piacevolissimo programma destinato a ricordare, sia pure con lieve anticipo, il primo centenario della nascita del più celebre maestro inglese del Novecento, in verità la sua carriera denota una particolare vicinanza d’alto livello alla musica operistica: Francoforte, Schwetzingen, English National Opera, Bayerische Staatsoper di Monaco, Lione, Festival di Spoleto, Tanglewwod, Berlino, sono alcune delle tappe che lo hanno condotto fino alla testa della Canadian Opera di Toronto, padrone di un repertorio che va da Mozart a Richard Strauss, da Stravinskij ad Hans Werner Henze. In sostanza un interprete decisamente interessante, che sarà affiancato, nella realizzazione del raro Doppio Concerto di Britten (una partitura scritta nel 1932, ma pubblicata e presentata solo alla fine degli anni Novanta) da due solisti di vaglia: Andrea Tacchi, fiorentino, primo violino dell’Orchestra toscana dai tempi della sua istituzione e regolarmente ospite, nello stesso ruolo, della Filarmonica della Scala; e Stefano Zanobini, formatosi alla eccelsa scuola di Piero Farulli, oggi prima viola della stessa Orchestra della Toscana oltre che docente a Fiesole. Stefano Zanobini (foto Marco Borrelli) Johannes Debus Ort Andrea Tacchi (foto Marco Borrelli) musicalmente 23 I CONCERTI Uno dei punti di forza del Quartetto Avos è il repertorio che spazia dal classico al contemporaneo Solidità d’impianto e desiderio di andare oltre ai confini uniscono personalità diverse e insieme ben armonizzate Nei primi quattro anni di attività ha tenuto un centinaio di concerti: un numero molto importante, che rivela come fin dall’inizio il Quartetto Avos abbia conquistato stima e ammirazione da parte delle istituzioni musicali e del pubblico. Il giovane Quartetto, formatosi nel 2007 grazie all’incontro presso la romana Accademia Nazionale di Santa Cecilia di musicisti di diversa provenienza (Italia e Giappone), si è inoltre già guadagnato sul campo giudizi critici molto positivi, che ne lodano sia l’affiatamento sia l’intensità interpretativa. Il sistema dei concorsi è in pratica inevitabile, per l’affermazione di un gruppo cameristico come per quella di un solista non ancora in carriera: i primi posti nelle competizioni più autorevoli sono sicura garanzia di un alto livello qualitativo. Ed ecco il Quartetto Avos fare man bassa di titoli e riconoscimenti molto significativi: tra gli altri, il piazzamento ai vertici del “Vittorio Gui” di Firenze e del Premio Trio di Trieste nello stesso anno, il 2009; poi, all’Accademia Musicale Chigiana di Siena, vivaio da parecchi decenni di musicisti eccellenti, l’Avos si rivela la perla del corso di quartetto d’archi e musica da camera tenuto da Günter Pichler e Valentin Erben del Quartetto Alban Berg e si aggiudica così il Premio Banca Monte dei Paschi di Siena, una borsa di studio destinata a sostenere giovani talenti nel loro percorso formativo. Uno dei punti di forza del Quartetto Avos è il repertorio. Da quando è nato a tutt’oggi, il gruppo ha inevitabilmente studiato e assimilato i capisaldi della letteratura per quartetto con pianoforte, in particolare i magnifici lavori di Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms: di quest’ultimo, nel concerto di Suzzara (venerdì 14 dicembre, ore 20.45, Auditorium) si ascolterà il Quartetto n. 2 in la maggiore op. 26. Nella stessa serata, l’Avos con scelta raffinata ha deciso di eseguire anche il Phantasy piano quartet di Frank Bridge e il Quartetto n. 1 di Patrizia Luppi op. 15 di Gabriel Fauré. La curiosità AVOS, una perla di quartetto Approda all’Auditorium di Suzzara una giovane formazione che si è guadagnata sul campo giudizi critici positivi per affiatamento e intensità interpretativa 24 musicalmente I CONCERTI Hanno fatto man bassa di titoli e riconoscimenti molto significativi tra cui il “Vittorio Gui” di Firenze e il Premio Trio di Trieste Mirei Yamada musicale e intellettuale dei quattro musicisti li ha spinti finora da SaintSaëns a Mahler, da Walton a Schnittke, da Turina a Corghi, con un’attenzione particolare alla musica del ’900; non mancano gli excursus in aree d’altro genere, come con le musiche create da Ennio Morricone per il film Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Insomma, solidità d’impianto e, al contempo, desiderio di andare oltre i confini: caratteristiche fondamentali per una giovane formazione come questa, composta da personalità molto diverse e insieme davvero ben Quartetto Avos armonizzate; tra l’altro, i quattro dell’Avos sono tutti ottimi solisti con alle spalle ricchi curricula di studi, diplomi con il massimo dei voti, concerti e vittorie a concorsi. La maggiore per età è la 35enne violinista giapponese Mirei Yamada, che ha iniziato a studiare il suo strumento a soli tre anni e ha proseguito tra il paese natale e l’Italia, con esperienze cameristiche di alto livello tra cui quella con la Saito Kinen Orchestra e il suo straordinario direttore Seiji Ozawa. Tra i suoi maestri, Felix Ayo, Rodolfo Bonucci e Domenico Nordio. Mario Montore, 27enne di Cosenza, è il pianista dell’Avos e anch’egli si è accostato alla musica prestissimo, a soli quattro anni. A Santa Cecilia ha studiato musica da camera con Rocco Filippini, per decollare poi con la vittoria a più di 40 concorsi come solista: sempre in questa veste, ha già alle spalle più di 400 concerti. 29 anni, romana, la violista Diana Bonatesta è la fondatrice del Quartetto Avos. Stessa precocità degli altri componenti nello studio della musica e simile percorso con docenti di altissimo livello come Filippini, Bruno Giuranna e il Quartetto Alban Berg. Il violoncellista Luca Magariello, 23enne, a quattro anni già allievo della Scuola Suzuki di Torino, si è perfezionato con Mario Brunello, Giovanni Sollima e altri eccellenti maestri: tra questi, Enrico Dindo e Enrico Bronzi, numi tutelari della sua formazione artistica e musicale. musicalmente 25 AMICI L’avventura della MUSICA Istruzioni per l’uso firmate Giovanni Bietti nel recente volume dedicato alla Sinfonia in Haydn, Mozart e Beethoven di Andrea Penna È possibile dialogare, raccontare, comprendersi, innamorarsi, senza parole? Si può, ma è molto arduo. È possibile appassionarsi alla musica classica e non conoscere il vocabolario essenziale, la storia e le strutture fondamentali di una delle forme d’arte più complesse e raffinate che la cultura umana abbia mai prodotto? Forse sì, ma il rischio, ancora una volta è di rimanere soltanto in superficie. Ascoltare la Musica classica di Giovanni Bietti si propone, con competenza e garbo di guidare il lettore nell’approfondimento della musica sinfonica, concentrandosi proprio sulla forma ‘principe’ della letteratura musicale classico-romantica, la sinfonia. Una scelta precisa, che vuole concentrarsi su un trentennio fondamentale per la civiltà musicale occidentale, rappresentato da Haydn, Mozart e Beethoven. Una scelta che ripercorre e puntualizza caratteristiche, strutture, ragioni intime, sviluppo ed evoluzione di un genere rimasto in seguito protagonista di oltre un secolo di straordinario fervore creativo e ancora oggi al centro delle scelte di repertorio di ogni società concertistica, e di un vastissimo pubblico di appassionati. Giovanni Bietti, studioso, pianista e organizzatore musicale di sensibilità e curiosità rare, ha sviluppato negli anni una personale propensione e una vera e propria metodologia di divulgazione musicale di alto livello, e trasfonde gran parte di queste esperienze, svolte a Roma e in innumerevoli sedi musicali e festival italiani, nel suo volume. Le definizioni di forma sinfonica, di forma sonata, degli strumenti e degli organici orchestrali, l’esame delle strutture dei singoli movimenti delle sinfonie, offrono al lettore una fertile esperienza di approfondimento, che si avvale oltretutto di una ricca scelta di esempi musicali, in gran parte tratti da ottime esecuzioni dal vivo dell’Orchestra da Camera di Mantova. Un metodo asciutto e chiaro, che coniuga serietà nell’approfon- 26 musicalmente Giovanni Bietti, Ascoltare la musica classica. La sinfonia in Mozart, Hayden, Beethoven. Con cd- rom. Anno 2012, pp. 152, Edizioni Estemporanee MARTEDÌ 6 NOVEMBRE L’AUTORE PRESENTA L’OPERA L’associazione Amici dell’Orchestra da Camera di Mantova affida a Giovanni Bietti il secondo incontro del ciclo di conferenze 2012/13 Parolenote. Martedì 6 novembre alle ore 18, in sala Norlenghi a Mantova, l’autore di Ascoltare la Musica classica - La Sinfonia in Haydn, Mozart e Beethoven presenta al pubblico il volume di recente pubblicazione. L’ingresso è libero. dimento con una leggerezza di scrittura che sceglie di semplificare senza banalizzare, senza accomodarsi su un’aneddotica vieta e ripetitiva, con l’intenzione di offrire uno strumento utile, da leggere e soprattutto rileggere. Una guida che, pur evitando al massimo i tranelli dei modi della manualistica, accompagna l’ascoltatore all’interno del meccanismo delle composizioni orchestrali con un linguaggio adatto a diversi tipi ed età di lettori. Un linguaggio quanto più possibile teso a non escludere, bensì a “includere” e ad avvicinare alla musica in un momento in cui il ricambio del pubblico delle istituzioni musicali è un nodo centrale. Impegno notevole e sostanzialmente riuscito, grazie anche alla presenza dei due cd con gli ascolti, di una stringata ma utile bibliografia, e di un glossario che chiarisce il più possibile il corredo di terminologia tecnica. Un libro che diventa un compagno di lettura utile per prepararsi all’ascolto dei concerti, ma anche per prendere familiarità con gli elementi essenziali di una delle più grandi avventure dell’animo umano, la musica sinfonica. QUADERNO DI VIAGGIO di Andrea Zaniboni San Colombano, un museo di strumenti vivi Raro esempio di cembalo piegatoio PER VISITARE IL MUSEO Ogni martedì alle ore 17.30, a cadenza quindicinale, sono in programma le visite guidate alla collezione degli strumenti (via Parigi, 5 - Bologna) con il Maestro Liuwe Tamminga e la dott.ssa Anna Zareba. Il costo della visita guidata individuale è di € 5,00 (min 12 max 22 persone, dai 4 anni in su). È necessaria la prenotazione presso la biglietteria, chiamando il numero 051 19936366 oppure tramite e-mail all’indirizzo [email protected]. Una sala del museo (Credits Genus Bononiae - Musei della Città) Chiesa Museo San Colombano, Bologna. In questo prezioso ed antico complesso monumentale, eretto tra il VII secolo e l’anno 1000 si trova una interessante raccolta di strumenti a tastiera, dono generosissimo di Luigi Ferdinando Tagliavini, interprete e studioso di fama, uno dei più illustri rappresentanti di casa nostra della moderna ed avvertita rivisitazione del Barocco. Quella che un tempo fu chiesa e monastero, dimora dei Benedettini e quindi delle Carmelitane e delle Clarisse, e poi persino pensionato per studenti, oggi dopo un profondo e recente restauro durato un quadriennio che ha valorizzato anche testimonianze artistiche più recenti (tra cui un soffitto a volta datato 1803, scoperto nell’oratorio) è divenuto un importante polo museale cittadino multifunzionale, dove si ammirano gli affreschi, si realizzano concerti, si tengono conferenze, si accede alla corposa Biblioteca musicale di Oscar Mischiati (circa quindicimila pezzi fra libri, dischi e riviste specializzate, donati dalla famiglia dello studioso scomparso nel 2004) e naturalmente ci si sofferma sulla collezione di strumenti antichi, un’ottantina, raccolti sull’arco di circa mezzo secolo: “un museo di stru- Un caratteristico Bechstein del 1866 menti vivi”, come sottolinea lo stesso Tagliavini – che avviò i suoi acquisti alla fine degli anni Sessanta - perché fior d’interpreti si avvicendano sulle tastiere, mantenute in perfetta efficienza dal curatore Liuwe Tamminga. Gli strumenti in esposizione, che si succedono nelle splendide sale del Museo, rispondono in maniera inequivocabile alla formazione ed all’attività concertistica di Tagliavini, appartenendo alla famiglia delle tastiere: dalla spinetta al clavicordo, dall’organo al pianoforte, fino all’arpicordo (l’esemplare data 1540) la cui disposizione delle corde, vibranti contro unicini metallici, ricorda l’arpa. Curioso un clavicembalo del 1746, firmato da un allievo di Bartolomeo Cristofori, dotato di un registro che evoca chiaramente il pianoforte; e raro il cosiddetto “cembalo piegatoio”, o per meglio dire “pieghevole”, uno strumento divisibile in tre parti e con una piccola tastiera di nemmeno quattro ottave, utile per un uso “da viaggio”. Un’invenzione, questa, non attribuita con certezza ma che ebbe un certo successo diffondendosi pure in Francia con il nome di “clavicin brisé”. Non mancano due esemplari di pianoforti Stein (del 1833) e Bechstein (del 1866) ed altre curiosità come un un minuscolo organo a cilindro. Tante tastiere da scoprire insomma in questa esposizione di grande valore documentario, per una visita suggestiva che si potrà accompagnare alla consultazione del catalogo curato da Tagliavini e John Henry van der Meer. musicalmente 27 COLONNA SONORA di Claudio Fraccari Il senso di DISNEY per la classica È ovviamente Fantasia che meglio rappresenta, nell’intera produzione Disney, il connubio fra cinema e musica classica. In quel celebre lungometraggio del 1940 ogni episodio prende ispirazione, forma grafica e sostanza narrativa da un brano musicale. Si susseguono così la Toccata e fuga in re minore di Bach, Lo schiaccianoci di Caikovskij, L’apprendista stregone di Dukas, La sagra della primavera di Stravinskij, la sinfonia Pastorale di Beethoven, La danza delle ore di Ponchielli, Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij, l’Ave Maria di Schubert. Non tutti gli otto segmenti sono memorabili (i migliori si avvalgono del sottofondo di Dukas, Caikovskij e Stravinskij), ma è di indiscusso fascino l’operazione nel suo complesso. Tanto che sessant’anni dopo verrà replicata: Fantasia 2000, aprendosi di più al Novecento, propone la Sinfonia n. 5 di Beethoven, I pini di Roma di Respighi, la Rapsodia in Blu di Gershwin, Piano Concert n. 2, Allegro Opus di Shostakovich, Carnival of Animals di Saint-Saëns, ancora L’apprendista stregone di Dukas, Pomp and Circumstance di Elgar, L’uccello di fuoco di Stravinskij. Meno riuscito del precedente (eccezionali però le animazioni per Gershwin, Saint-Saëns e Stravinskij), il film conferma la centralità per la Disney del commento sonoro. Agevole trovarne prove ulteriori, anche relative ad ambiti musicali assai diversificati: il jazz e il pop dominano ad esempio pellicole che hanno fatto la storia del cinema d’animazione contemporaneo, almeno fino all’avvento della Pixar e del digitale. Si prenda Aladdin (John Musker & Ron Clements ‘92), che inaugura con il suo citazionismo esasperato il cartoon che strizza l’occhio al pubblico adulto: la colonna sonora firmata da Alan Menken (Oscar 28 musicalmente FANTASIA di AA.VV. Film d’animazione suddiviso in otto segmenti ispirati ad altrettanti brani musicali di autori celeberrimi, eseguiti dalla Philadelphia Orchestra diretta da Leopold Stokowski: da Bach a Beethoven, da Caikovskij a Dukas, da Stravinskij a Ponchielli, da Musorgskij a Schubert. Gli esiti sono diseguali, ma molti episodi sono di folgorante bellezza: su tutti, quelli che sceneggiano i temi de L’apprendista stregone di Dukas e de Lo schiaccianoci di Tchaikovsky. (Usa 1940) IL RE LEONE Walt Disney con Mickey Mouse ‘93) si muove tra la musica leggera e il pop. Nel successivo Il re Leone (Roger Allers & Rob Minkoff ‘94), il primo ad affrontare tematiche remote dalle fiabe, date le componenti tragiche quasi shakespeariane (la morte del padre e il senso di colpa del figlio), le musiche sono affidate ad Hans Zimmer (altro premio Oscar), che assorbe nella partitura spunti tratti dalla tradizione musicale africana, in conformità con l’ambientazione; le canzoni sono invece di Tim Rice ed Elton John. Nel 1999 Tarzan (Kevin Lima & Chris Buck) completa questa trilogia che svincola il marchio Disney dall’angusto ambito del cinema per l’infanzia: la storia incrementa la spettacolarità dell’azione, mentre lo score musicale, che viaggia nei cieli del rock melodico, è affidato all’ex Genesis Phil Collins, che nell’occasione si aggiudica l’Oscar per la miglior canzone (You’ll Be In My Heart). Appare ora, in considerazione di quanto scritto, del tutto giustificabile l’affermazione secondo cui molti film della Walt Disney possano essere annoverati fra il genere conosciuto come musical. di Allers & Minkoff Senza umani, la vicenda si svolge nella savana africana: un cucciolo di leone crede di essere il responsabile della morte del padre; in realtà il colpevole è lo zio, che mira ad usurpare il trono. Trasparenti i rimandi all’Amleto shakespeariano, tali da minare il pregiudizio che il cartoon sia destinato all’infanzia. La colonna sonora (premio Oscar) di Hans Zimmer sfrutta le sonorità della tradizione africana e si vale delle canzoni di Elton John e Tim Rice. (Usa 1994) TARZAN di Lima & Buck Il famoso personaggio creato da E. R. Burroughs ottiene in questa versione a disegni animati un’aderenza alla pagina letteraria superiore a quella dei molti film ad azione vivente realizzati in precedenza. In ogni caso, a determinarne il successo furono l’incremento di spettacolarità (frutto anche di nuove tecnologie come il “deep canvas” che dava tridimensionalità ai paesaggi) e alle canzoni scritte appositamente da Phil Collins. Una delle quali gli valsero l’Oscar. (Usa 1999) GRAMMOFONO di Michele Ballarini CANTELLI, talento spezzato Considerato l’erede di Toscanini, morì nel 1956 in un incidente aereo a Orly. Aveva solo 36 anni «La sciagura più terribile che ha colpito La Scala dopo il bombardamento» questo fu detto all’indomani di sabato 24 novembre 1956, quando il trentaseienne direttore d’orchestra Guido Cantelli, nominato appena una settimana prima direttore stabile di quel teatro, trovò la morte in un disastro aereo a Orly, presso Parigi; andava in America, in un paese che dal 1949 – dopo l’invito di Arturo Toscanini a dirigere la sua orchestra della NBC - lo acclamava come uno dei più dotati tra i giovani interpreti. Grandi doti direttoriali unite a una ferrea volontà e al rifiuto di qualsiasi compromesso nell’interpretazione costituivano la base della personalità di Guido Cantelli: ogni pezzo era studiato e approfondito totalmente prima delle prove, e in questo giocava principalmente la memoria del nostro, che a differenza di Toscanini non era fotografica ma consequenziale; un’analisi attentissima che attraverso la completa conoscenza delle varie sezioni del pezzo e della loro successione portava all’assimilazione del percorso formale voluto dall’autore come l’unica alternativa possibile. Il risultato di questo lavoro si rivelava poi indispensabile nella concertazione, dove gli aspetti tematici, timbrici e armonici delle varie voci venivano calibrati perfettamente facendo risultare chiarissi- mo tutto il loro intreccio ed evidenziando nel contempo l’importanza di ogni particolare; a questo punto però subentravano prepotentemente la comunicativa e il fascino del nostro, che attraverso queste basi solidissime realizzavano letture avulse da qualsiasi aspetto dimostrativo e sorrette invece da una passione assoluta per la cantabilità e il suono, oltre a sublimare le peculiarità delle famiglie strumentali – pastosità degli archi, legato dei legni e colori accesi e penetranti degli ottoni. Ecco perché le sue incisioni – realizzate spesso in un’unica ripresa e senza tagli per non interrompere questa tensione espressiva – risultano ancor oggi non toccate dagli anni, di una profondità e chiarezza davvero emozionanti. Confrontando questa estetica con quella di Toscanini ci si rende anche conto che la fama di allievo del vecchio maestro, vista all’epoca superficialmente dai più, si limiti a qualche affinità, tra cui il rispetto per la musica e l’abnegazione assoluta nell’interpretarla. Cantelli era destinato alla seconda metà del 900’ così come Toscanini lo era stato per la prima: la sua onestà e il suo rispetto per la musica avrebbero sicuramente influito sulla vita musicale italiana ma sventuratamente la tragica impennata di un aereo spezzò prematuramente questa successione. IL DEBUTTO NEL 1945 TUTTE LE INCISIONI CON EMI E PER RIASCOLTARLO... Nato a Novara nel 1920, studia al Conservatorio di Milano composizione con Ghedini e direzione d’orchestra con Votto. Debutta nel 1945 dirigendo l’orchestra della Scala e nel maggio del 1948 Toscanini, dopo aver assistito a un suo concerto con la stessa orchestra lo invita a dirigere a New York; intraprende così fino alla prematura scomparsa un’intensissima carriera alla testa di orchestre come la NBC e la Filarmonica di New York, La Philharmonia di Londra e La Scala. Quasi tutte le registrazioni di Cantelli furono relizzate dalla EMI principalmente con la Philharmonia di Londra, se si escludono alcune con la NBC, l’Orchestra di Santa Cecilia e una straordinaria Quinta di Ciaikovskji con l’Orchestra della Scala. Oltre all’esistenza di vari cd singoli pubblicati dalla Testament queste splendide registrazioni sono ora disponibili in un unico cofanetto EMI della serie Icon, che contiene anche un documentario sulla vita e la figura del Maestro. A fronte di un catalogo ristretto di incisioni in studio disponiamo di un vastissimo materiale proveniente da esecuzioni concertistiche effettuate soprattutto in america, dove i concerti della NBC e della New York Philharmonic venivano radiodiffusi e registrati; una scelta di questi concerti – peraltro pubblicati in precedenza da varie etichette – è disponibile in 3 cofanetti della Testament, testimonianza eloquente di quanto il repertorio di Cantelli fosse già vasto e di larghi interessi. musicalmente 29 CD - DVD di Luca Segalla Peter GRIMES, un’opera senza tempo e luogo A quasi un secolo dalla nascita - 22 novembre 1913 - i tempi sono maturi per collocare definitivamente Britten, già gloria nazionale inglese, tra i grandi del Novecento. La modernità del Peter Grimes (1945) non sembra scalfita dal tempo, una modernità opposta a quella espressionista/architettonica del Wozzeck (1925) di Berg. La sua straordinaria vena melodica è alimentata da suggestioni arcaiche e popolari, il cui diatonismo mette in rilievo la natura espressiva e incantatoria del canto. L’orchestrazione è nuda, in bianThe Royal Opera co e nero, spesso la voce è sostenuta appena da un House Covent sottile velo timbrico, se non lasciata sola nel silenzio Garden; regia: del palcoscenico. Peter Grimes venne accolto come un Elijah Moshinsegno della rinascita della musica inglese, in realtà è sky.1 DVD un’opera senza tempo e luogo. L’opera di un’umaniNVC ARTS tà ambigua e degradata, che il compositore investe di una dolorosa «pietas»; se nel Wozzeck Berg osserva con cinico distacco la follia dei suoi personaggi, Britten sembra volerli avvolgerli tutti nell’abbraccio del perdono. L’allestimento è quello del Covent Garden del 1981, con uno straordinario Jon Vickers. Il tenore canadese ha lasciato un’impronta indelebile nel ruolo che fu composto per il mitico Peter Pears. Il suo Grimes è ostinato fino alla follia, lacerato tra una vitalità animalesca e una disperata ricerca di affetti. Vickers è espressivo anche quando non canta. Basta il suo volto, bastano gli occhi. COPLAND E LA DECIMA MUSA Anni fecondi, tra le due guerre, nel rapporto tra musica e cinema. Al 1939 risale la prima colonna sonora di Aaron Copland, compositore dall’istinto cinematografico. The City è un documentario di R. Steiner e W. Van Dyke sul sogno americano di una società libera e serena. Inquinamento, ingorghi stradali e la frenesia alienante dei fast-food rappresentano la città vecchia. Immersa nella natura ecco la città nuova, armoniosa e ordinata. La musica è ottimistica e lineare: l’estetica della “semplicità imposta”. The City. 1 DVD Naxos (2.110231) MUSICA DISTILLATA È quella del direttore rumeno Sergiu Celibidache (1912 - 1996), con la sua Filarmonica di Monaco. Arte suprema delle alchimie timbriche. Nel Largo della sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorák (1991) il corno inglese appare magicamente sospeso sul tappeto impalpabile degli archi. Nulla di selvaggio, nemmeno nello Scherzo. Anche nella Sinfonia classica di Prokof’ev (1988): si perde in vivacità, a vantaggio dell’espressione. Sergiu Celibidache. Münchner Philharmoniker. 1 DVD Euroarts (2066558) 30 musicalmente INVITO ALL’ASCOLTO Henry Purcell maestro inglese dell’età barocca «Padrone di ogni forma e capace di qualsiasi fantasia». Questo era Henry Purcell, il più illustre maestro inglese dell’età barocca, nell’opinione del musicologo milanese Giulio Confalonieri. Poche parole estratte da un più esteso ritratto da cui però evincere l’eccezionalità di un musicista comparso come una meteora nel cielo britannico di re Carlo II, e rimasto infine senza eredi. Scomparso prematuramente nel 1695 a soli trentasei anni (le sue spoglie sono sepolte nell’Abbazia di Westminster accanto a sovrani ed altri illustri artisti), Purcell ha lasciato pagine memorabili e la sua figura ha ottenuto una meritata e crescente rivalutazione nel corso del tempo. Famoso autore di musica sacra e operistica (il suo Dido and Aeneas del 1689 rappresenta un punto fermo nella storia del melodramma) Purcell si dedicò anche alle pagine strumentali, con una varietà di accenti assolutamente ammirevole. Un economico disco della Harmonia Mundi realizzato dagli specialisti del London Baroque ci rammenta appunto la sua versatilità, espressa con una qualità d’ispirazione coinvolgente. Sonata, Suite, Ouverture, Pavana, Ciaccona sono i titoli che compaiono in questa raccolta che ci racconta gli anni della sua giovane maturità, influenzata anche dai maestri italiani per i quali egli nutriva un ammirato rispetto. Maestri che egli imitava «al fine di accreditare e di metter di moda la serietà e la gravità della musica da camera», raccomandata ai compatrioti. L’aspirazione si realizzava quindi nelle scritture, nelle quali comparivano sì spunti di danza ma anche abilità combinatorie contrappuntistiche, ed una sensuale sensibilità armonica talora aperta su tensioni cromatiche inquiete. (a.z.) MUSICA & ARTE di Paola Artoni SPAZIO VISIVO: storia e fortuna di un progetto innovativo La nascita a Gazoldo nel 2006 Da allora l’idea ha preso il volo lanciando artisti come Cavinato e Trevisi SOUVENIR DE VOYAGE Forme essenziali, materiali poveri, ricercate costruzioni geometriche che dialogano con frammenti sonori: è l’arte secondo Spazio Visivo Nel nome di Mantegna ho avuto la fortuna di tenere a battesimo il primo progetto di Spazio Visivo, dove forme essenziali, materiali poveri e di recupero, ricercate costruzioni geometriche dialogano con frammenti sonori, musica elettronica e sperimentale, dando vita sia a raffinati microcosmi sia a stanze percorribili dallo spettatore. Era il 2006 e come curatrice, insieme ad Antonella Gandini, avevo avuto l’incarico di selezionare gli artisti di una memorabile edizione della Biennale d’Arte Giovane nel Museo d’Arte Moderna di Gazoldo (Mantova). Il tema che avevamo scelto chiedeva ai partecipanti di sviluppare un omaggio al genio di Mantegna nell’ambito delle celebrazioni che naturalmente toccavano anche la città dei Gonzaga. Ogni artista aveva a disposizione un’intera stanza da elaborare e gli spazi del museo si erano trasformati in affascinanti “Camerae Pictae”. Spazio Visivo si presentava allora per la prima uscita ufficiale, composto da due giovani mantovani che erano già molto più di semplici promesse: Paolo Cavinato, classe 1975 e Stefano Trevisi, nato nel 1974. Per l’occasione avevano regalato a noi e al pubblico un’affascinante stanza: “CamerAptica”, ovvero una struttura tridimensionale grande quanto una stanza del museo, leggibile e comprensibile solamente da un unico punto, laddove gli elementi fluttuanti e sospesi della stanza e i suoni si ricomponevano nell’omaggio alla Camera Picta del Mantegna. In questi sei anni Spazio Visivo è cresciuto. Cavinato ha partecipato alla Biennale di Istanbul, ha vinto il 3° Premio della Fondazione Arnaldo Pomodoro, è stato invitato a fare parte della Royal British Society of Sculptors of London; recentemente è stato selezionato per “The Swatch Art Peace Hotel Guest Artist Program” di Shanghai. Le composizioni di Trevisi, pubblicate con RaiTrade, sono state eseguite a RaiNuovaMusica, alla Biennale Musica, al MATA Festival di New York, all’Alte Schmiede di Vienna e selezionati in vari concorsi. Quest’anno è sta- Tra le mostre allestite da Spazio Visivo si segnala “Souvenir de Voyage”, in corso sino al 17 novembre alla Galerie Mario Mazzoli di Berlino (Potsdamer Str., 132), e ispirata all’omonima serie di René Magritte. Il concetto-chiave è che gli oggetti realizzati da Cavinato e i paesaggi sonori di Trevisi possono essere intesi come una moderna interpretazione del diorama e in questa occasione il testo critico è di Manuel Wischnewski. In occasione del finissage è previsto un concerto di elettroacustica di Trevisi. to invitato alla Biennale Music di Venezia, all’Auditorium Parco della Musica di Roma e all’Auditorium San Fedele di Milano. Le opere del duo sono state esposte presso la Royal British Society of Sculptors di Londra, il Palazzo delle Arti di Napoli, l’Egmont Park a Bruxelles, la galleria Rosenfeld- Porcini di Londra, il CIAC Museum a Roma, il Palazzo Libera a Trento, il Festival della Creatività a Firenze, il Palazzo Te a Mantova e sono risultate finaliste al 36th International Competition of Electroacoustic Music di Bourges, all’Art in the City di Bruxelles, al Premio Ettore Fico di Roma e al Premio Aletti ArtVerona. musicalmente 31 ALTRA MUSICA di Giorgio Signoretti A SIDMOUTH UN WEEKEND NEL SEGNO DEL FOLK TUTTO IN 15 DISCHI Chi volesse assaggiare il gusto di uno degli ingredienti fondamentali della grande musica inglese potrebbe passare la prima settimana di Agosto a Sidmouth per l’imperdibile “folkweek” (www.sidmouthfolkweek.co.uk) che riempie il minuscolo paesino del Devon di concerti stellari, ceilidh, workshop e mercatini. L’edizione 2012 ha presentato la sublime JuneTabor (con Oysterband) e l’altrettanto sublime Eliza Carthy in compagnia di papà e mamma: Martin Carthy e Norma Waterson, due dei fondatori del nuovo folk degli anni Sessanta. C’erano anche molti grandi scozzesi, da Archie Fisher a Dick Gaughan e Alasdair Roberts. E, ovviamente, molta birra di non inferiore qualità. Difficile confinare l’esplosione del jazz inglese in una quindicina di dischi, ma ecco una proposta: Under Milkwood (Stan Tracey, 1965), Gyroscope (Gordon Beck, 1969), Extrapolation (John McLaughlin, 1969), Once Upon A Time (Alan Skidmore, 1969), The Trio (The Trio, 1970), Third (Soft Machine, 1970), Elastic Rock (Nucleus, 1970), The Topography Of The Lungs (Derek Bailey, Evan Parker, 1970), Brotherhood Of Breath (Chris Mc Gregor, 1970), Ear Of The Beholder (Lol Coxhill, 1970), Metropolis (Mike Westbrook, 1971), Tales Of The Algonquin (John Surman, 1971), Septober Energy (Keith Tippett Centipede,1971), The Gentle Harm Of The Burgeoisie (Paul Rutherford, 1974), Gnu High (Kenny Wheeler, 1975). Fortuna e mistero del British JAZZ Coltrane chiamò un suo pezzo del 1959 Some Other Blues. In questo titolo potrebbe forse nascondersi il mistero della fortuna del jazz inglese degli anni Sessanta e Settanta. Quello delle grandi poetiche individuali di Westbrook, Tracey, Surman e Osborne. Quello libero e viscerale dei sudafricani McGregor, Moholo e Feza. O quello lirico del canadese Wheeler. Quello venato di sperimentazioni ritmiche dei geniali McLaughlin, Holland e Holdsworth. Quello visionario dei radicali Coxhill, Bailey, Parker, Rutherford e Oxley oppure quello nitido dei grandi stilisti del pianoforte John Taylor e Gordon Beck. O ancora quello più vicino al rock di Nucleus e Soft Machine, che si riversa elegante sulla nascente scena progressive, verso il suono levigato e cool di Canterbury e fino alle più intricate visioni crimsoniane. Capace di travalicare i generi, di far capolino nel blues di Mayall come nel folk di Nick Drake e John Martyn, il suono del jazz inglese è compatibile con quanto di più creativo accade sull’isola nell’irripetibile decennio 19651975 proprio in virtù di un suo umore inafferrabile che tanto lo 32 musicalmente distanzia dal jazz americano. Alla radice, direbbe Coltrane, c’è un altro tipo di blues. Un blues che arriva a Londra dalle highlands spazzate dal vento, con la gotica e pietrificata compostezza di una ballata scozzese, con lo swing sottointeso ma feroce che muove il Morris delle Cotswolds, con l’austera maestà degli spazi grigi del mare del nord. È un blues della brughiera che influenza e definisce trasversalmente il suono di tutta la più grande musica inglese dell’epoca: saxofoni e trombe sembrano avere lo stesso colore emotivo delle voci di Wyatt, Winwood o Gabriel, ma anche delle chitarre di Peter Green e David Gilmour. Niente del genere nel resto del mondo occidentale e – una buona notizia nonostante i terribili e defolianti anni Ottanta e Novanta di Margaret Thatcher e John Major, la verde Albione resta ancora oggi uno scrigno pieno di segreti assai ben custoditi. John Surman Sound diverso dal fratello americano e compatibile con quanto di più creativo accade sull’isola nel decennio 1965-1975 LEGGERE di Simonetta Bitasi PRIMOPIANO, GIOCHI SULLA TASTIERA PER FUTURI PIANISTI Due topolini, Linetto e Lina, inseguendosi e trastullandosi, insegnano ai bimbi a orientarsi sulla tastiera. La proposta didattica, firmata da Adolfo Conrado, invita a esplorare la tastiera con il bambino, fissando così nella sua esperienza sequenze e posizioni di tasti neri e bianchi, prima di passare allo studio sistematico dello strumento. Primopiano. Giochi sulla tastiera per la Scuola dell’infanzia, di Adolfo Conrado, illustrazioni di Lorenza Vaccaro Rugginenti Milano, 2012, pp. 48, euro 10,40. NIDI DI NOTE, COME EDUCARE ALL’ASCOLTO I PICCOLI Un libro che si nutre di un patrimonio di contributi artistici, esperienze sul campo con i bambini, progetti educativi innovativi. Il tema è quello dell’educazione al suono e alla musica in età prescolare. Attraverso giochi di riconoscimento gli educatori guidano i bambini a orientarsi nel mondo dei suoni e a formarsi un primordiale corredo linguistico musicale. Nidi di note. Un cammino in dieci passi verso la musica, di Bruno Tognolini, Alessandro Sanna, Paolo Fresu, Sonia Peana, Gallucci 2012, pp. 60, 18 euro con CD audio. MARTINA ALLA RICERCA DI UN CODICE PER TROVARE SE STESSA Martina ha 16 anni e non vuole adeguarsi alla società: non le piace il consumismo, né lo sguardo dei ragazzi su di lei e si lamenta perché i giovani non hanno posti in cui andare e ritrovarsi, o stare soli a leggere, o a suonare. È alla ricerca di quello che lei chiama un “codice” e infine lo trova nella musica rock e punk, come forma di ribellione contro il mondo degli adulti. Da leggere ascoltando le canzoni che contiene. Voglio essere punk di Belen Gopequi, Atmosphere libri 2012, pp. 159, euro 15. La musica al di sopra dei suoni della GUERRA «I direttori d’orchestra non si mescolano ai musicisti. Fa parte del loro compito. È un privilegio, e insieme un fardello. Quando te ne stai in disparte, facilmente susciti antipatia. A me non importa. Per essere più precisi, non può importarmi. Con le poche energie che mi restano, non posso concedermi il lusso di sentirmi offeso»: Karl Il’ic Eliasberg è chiamato a un’impresa quasi eroica. Siamo a Stalingrando nel 1941, la città è assediata, e al direttore dell’Orchestra Sinfonica è stato ordinato di ricostituire la compagine musicale per eseguire la Settima Sinfonia che Dmitrij Šostakovic ha appena terminato di comporre. L’orchestra era stata sciolta per la tragica scomparsa della maggior parte dei suoi componenti e anche i pochi superstiti sono più vicini alla morte che alla vita. Ma suonare la sinfonia della guerra può essere l’unica possibilità per sentirsi e far sentire ancora vivi gli abitanti della città, bersaglio delle bombe e delle granate dell’esercito di Hitler. Il romanzo di Sarah Quigley, una delle voci più importanti della cultura neozelandese contemporanea, ripercorre il percorso dei musicisti per far suonare la musica al di sopra dei suoni della guerra, come lo stridore delle slitte cariche di cadaveri, le terrificanti esplosioni dei candelotti di dinamite impiegati per scavare fosse comuni, l’ululato dei cani e dei gatti randagi uccisi per sfamarsi, l’allarme per le incursioni aeree. Tra tutte spicca la figura di Karl Il’ic Sinfonia Leningrado di Sarah Quigley, traduzione di Chiara Brovelli, Neri Pozza 2012, pp. 300, 17 euro Eliasberg, il timido e complessato direttore, diviso tra il terrore di un’impresa quasi impossibile e il desiderio per un’occasione che ha sognato per tutta la vita. E che alla fine riesce a convincere i pochi musicisti rimasti, stremati dalla fame e con le mani e i piedi tormentati dai geloni, e i volti di un pallore mortale e coperti di piaghe, a riprendere in mano i loro strumenti. Sinfonia Leningrado potrebbe essere definito ‘musical fiction’: è un romanzo dove la musica è la protagonista indispensabile della storia insieme ai musicisti e ai loro strumenti («Credi che gli strumenti si ricordino delle persone? Io sì. A volte quando prendo il violoncello, sento che vuole parlarmi di te. Adesso dovrà ricordarsi anche di me...»). musicalmente 33 IN PLATEA Come si giudica la qualità acustica di una sala musicale? Comincia con questa domanda l’intervista con Maria Luisa Vaccari. L’imprenditrice veneta è presidente e direttore generale di Suono Vivo, una società di servizi che attraverso speciali camere acustiche fa risuonare al meglio teatri e auditorium di mezzo mondo: dalla Royal Opera House di Londra alla New Opera House di Oslo. Ecco la sua risposta: «La qualità è ottimale quando la sala è interamente compenetrata e avvolta dalla musica, invece quando l’acustica non è buona, anche l’ascoltatore meno esperto percepisce che il suono è breve e secco, “vitreo”». San Carlo di Napoli, Carlo Felice di Genova, Giuseppe Verdi di Trieste: tra i vostri “pazienti” ci sono molti teatri d’opera, perché? «Il classico teatro d’opera all’italiana era progettato per far sentire le voci, che hanno un “tempo di arrivo” molto più breve rispetto agli strumenti, mentre l’orchestra si trovava nella buca e aveva una funzione di sfondo. Dunque quando un’orchestra sinfonica suona su un palcoscenico teatrale ha bisogno di una cassa di risonanza più elastica, che permetta un “tempo d’arrivo” più lungo». Quali sono i legni più pregiati dal punto di vista acustico? «Per i rivestimenti esterni i migliori sono ciliegio, pero svizzero, quercia e faggio. Bisogna scegliere quelli con la stratificazione più densa e coesa e sottoporli a particolari lavorazioni». Quali teatri le hanno dato maggiori soddisfazioni? «Il nuovo teatro Bolshoi di Mosca, inaugurato lo scorso anno, ma anche il teatro Sociale di Mantova per il quale stiamo approntando nuove modifiche in vista dell’inaugurazione della prossima stagione sinfonica. Conosco e ammiro da anni l’attività dell’Orchestra da Camera di Mantova e sono orgogliosa di contribuire all’eccellenza della loro produzione musicale». La sala con la migliore acustica del mondo? «Le mie preferite sono: Philharmonie di Berlino, Grosses Festispielhaus di Salisburgo e teatro di Bayreuth». Amplificare o non amplificare i teatri all’aperto? «Io sono favorevole. È un intervento delicatissimo, ma può portare a ottimi risultati: lo abbiamo sperimentato con una nuova partnership alle terme di Caracalla, quest’estate». La qualità sonora dei file musicali che viaggiano su internet, per esempio su youtube, è spesso mediocre: andiamo verso un peggioramento del livello acustico? «È un rischio. Però la rete offre anche musica ad alta definizione, penso al progetto Digital Concert Hall che permette di ascoltare in streaming i concerti dei Berliner Philharmoniker». I suoi gusti musicali? «I miei primi amori sono stati Rachmaninov e Cajkovskij, ancora oggi prediligo il repertorio sinfonico romantico». Suona qualche strumento? «Per anni ho studiato chitarra classica, ma ho dovuto smettere per mancanza di tempo. Nessun rimpianto: anche senza suonare, la mia vita è dedicata alla musica». 34 musicalmente di Alice Bertolini Maria Luisa Vaccari La signora che ”veste” i TEATRI Maria Luisa Vaccari è presidente e direttore generale di Suono Vivo, le cui camere acustiche fanno risuonare al meglio le sale da concerto di mezzo mondo FONDATRICE DI UN SERVICE INNOVATIVO Nata in Veneto nel 1956, Maria Luisa Vaccari è la fondatrice di un innovativo service teatrale di acustica naturale per la musica sinfonico-cameristica, volto alla tutela, alla conservazione e alla gestione del fattore acustico nei teatri lirici italiani. Ha creato dapprima l’associazione Salv.a.t.i. (Salvaguardia Acustica dei Teatri Italiani), poi la Società di servizi Suono Vivo Srl, di cui Vaccari è Presidente e Direttore Generale, che si occupa di consulenza, progettazione, affitto e vendita, incluso il service di installazione, di speciali camere acustiche per orchestra. Parallelamente, Vaccari fonda e diviene Presidente anche di CO.P.AR (Concerti e Produzioni Artistiche), società italiana di ideazione, produzione e gestione di eventi musicali. Vaccari è membro del Consiglio Direttivo del Bologna Festival dal 2006 e Presidente dell’Associazione Chamber Music di Trieste dal giugno del 2011.