la nota 22 (scarica pdf) - Società dei concerti: Roberto Fioravanti

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LALA
NOTA
NOTA
Pubblicazione semestrale della Società dei
Concerti “ROBERTO FIORAVANTI”
Direttore responsabile: Andrea Sarti
Sede: Via Cairoli, 31 Prato
Segreteria: 3285777899
Direttore editoriale: Enrico Belluomini
Maggio 2008
Iscr. Registro Naz.le della stampa RNS n. 8611
www.pratoconcerti.it - e-mail: [email protected]
SOCIETÀ
DEI
CONCERTI
Anno XII - Numero 22
Edito da: Società dei Concerti “Roberto Fioravanti” - Via Cairoli 31 - 59100 Prato
Iscr. Trib. PO n° 10/97 - Dir. resp.: Andrea Sarti - Poste Italiane s.p.a.
Sped.abb.post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46), art. 1 comma 1, DCB Prato - Stampa: Duplioffset PO
In caso di mancato recapito inviare al CPO di Prato per la restituzione al mittente previo pagamento resi
LA FIORAVANTI HA FATTO UN BEL............DODICI
Anche se il “13” non è stato raggiunto, tali sono stati i concerti programmati nel cartellone 2007-2008 dimostrando ancora una volta grandi risorse di qualità e di sapere accontentare le richieste del pubblico. Davanti ad uno
scenario economico generale della città e del nostro tempo non dei più favorevoli, possiamo dire di avere vinto ancora una volta e solamente con un “12”. Il nostro piccolo “tour” musicale nei luoghi più conosciuti ed interessanti
della città e la collaborazione con alcune Istituzioni pubbliche e private, hanno avuto anche il consenso della critica giornalistica che da tempo ci segue e ci stima. Provincia di Prato, Fondazione Cassa di Risparmio di Prato, Rotary
Club Prato “Filippo Lippi” e Rotary Club Prato, Scuola di Musica di Prato “Giuseppe Verdi”, Metastasio Jazz, Festival Zipoli, Comune di Prato, Concorso Internazionale “Città di Taranto”, Associazione per la lotta contro i tumori
“Sandro Pitigliani”, Associazione “Luciano Bettarini”: questi sono stati i nostri “padrini” che ringraziamo e che ci hanno affiancato in questa Stagione e che hanno avuto fiducia e grande soddisfazione in noi.
Si è conclusa così anche la 14° Stagione della Società dei concerti R.Fioravanti. Un cartellone di
bravissimi artisti, alcuni giovanissimi in carriera,
altri di nomi già alla ribalta con curriculum di
notevole importanza. Ed è importante ribadire
come la nostra collaborazione con Associazioni
concertistiche, o Enti di rilievo, prosegua.
Il coro “Busoni”,costituito da giovani voci, è
stato l’ospite delle “Anteprime musicali” dedicata
appunto, come ogni anno, a giovani musicisti
emergenti. Il concerto, che peraltro ha riscosso
un bel successo di pubblico, è nato appunto dalla
nostra collaborazione con il Centro F.Busoni
di Empoli e con Marco Vincenzi, direttore
artistico. Il ricavato di questa serata è stato poi
devoluto all’Associazione per la lotta contro I
tumori “S.Pitigliani”. Vincenzi stesso, musicista
già affermato con successo, si è poi esibito nel
nostro cartellone presentando un programma
di Mozart-Busoni, incluse alcune trascrizioni
di Sinfonie. Nomi come quello di Michele
Marasco non necessitano poi di presentazioni.
Considerato uno dei maggiori flautisti a livello
nazionale ed internazionale, è stato nostro ospite
accompagnato dalla pianista Marta Cencini.
Un grande successo. Il secondo premio (primo
non assegnato) al prestigiosissimo Concorso
pianistico internazionale “F.Busoni” ha suonato
per noi inaugurando la nostra 14° stagione. Di
nazionalità russa, questa giovane pianista Sofya Gulyak si è esibita in un programma che
spaziava da Clementi a Liszt con una tecnica
formidabile ed una musicalità straordinaria.
Un’altra collaborazione, all’interno di questo
cartellone, è stata poi quella con la 5° ed. del
Festival Zipoli. La clavicembalista Elena Sevskaya ha tenuto un concerto su clavicembalo e
gravicembalo, seguito da un breve seminario su
questi strumenti. La bellissima sala del Palazzo
della Provincia, dove si è tenuto il concerto, è
stato teatro di un foltissimo ed entusiasmante
pubblico. In memoria del M° Luciano Bettarini,
nostro concittadino che ricordiamo per le sue
ineccepibili qualità di musicista, si sono esibiti
alcuni allievi di canto di M.Luisa Zeri Bettarini,
eseguendo musiche del Maestro stesso. Con il
Rotary Club F.Lippi abbiamo organizzato poi
un bellissimo appuntamento nella prestigiosa
Pubblichiamo di seguito alcuni commenti dei nostri concerti che ci hanno inviato i Direttori Artistici di tre importanti Istituzioni Musicali
che hanno collaborato con noi in questa Stagione Musicale.
pinacoteca della Cassa di Risparmio di Prato.
Roberto Prosseda, pianista con un nutrito curriculum e con al suo attivo numerose esibizioni
nelle più prestigiose sale d’Europa, ha presentato
un programma di musiche romantiche, fra cui
la fuga in re minore di F.Mendelsshon, in prima
esecuzione italiana.
Con Metastasio jazz abbiamo avuto quest’anno
Michele Rabbia (percussioni), nome che
ritroviamo nei più importanti Festival italiani
ed internazionali. E’ stata poi la volta di Angel
Sanzo, 1° Premio al Concorso pianistico internazionale “Città di Taranto”. Si è esibito in un
programma di musiche spagnole, da J.Albeniz
a M.De Falla, ottenendo un grande successo di
pubblico e critica.
Un sax e pianoforte è stato poi un altro giovane duo, vincitore di numerosi premi fra cui
l’edizione 2008 del Concorso G.Rospigliosi. In
grande carriera, nonostante la loro giovane età,
hanno già al loro attivo importanti registrazioni
ed esibizioni. Anche il Quintetto “Quintessència” (violino, fisarmonica, chitarra, pianoforte
e contrabbasso), ha ottenuto un bel successo.
I cinque giovani musicisti si sono esibiti con un
programma di grande effetto di A.Piazzolla. Per
concludere un altro concerto particolare quello
organizzato con La Scuola Di Musica G.Verdi di
Prato, concerto che ha segnato la conclusione
della Rassegna “Concerti di Primavera”. Grande
esempio di maestria di esecuzione e di eclettica
è stata l’esibizione del Duo Paul McCandless,
fiati - Andea Pellegrini, pianoforte, che ha
segnato sicuramente un bellissimo ricordo al
numeroso pubblico presente.
Foto di Nedo coppini
Sabato 8 dicembre 2007 - Salone “Banci Buonamici” della Provincia di Prato
ELENA SEVSKAYA, clavicembalo, gravicembalo
La Meraviglia Barocca Del Gravicenbalo a Martelletti
In collaborazione con il Festival Zipoli, nell’ambito della 5a edizione del Festival.
In una città come Prato, dove il pubblico che accorre alle manifestazioni di musica ‘classica’ è soltanto in rari casi numeroso, unire le forze,
risparmiando risorse ed energie, diventa quasi un imperativo. L’importante è trasformare una via ‘obbligata’ in una via virtuosa, in cui colleghi,
magari amici o simpatizzanti, si ritrovano a collaborare per progettare proposte di elevato livello artistico e culturale, destinate a soddisfare
il senso estetico e la sete di conoscenza del pubblico, che è assai meno abulico e incolto di quanto le più influenti agenzie informative ci
vorrebbero far credere. In questo spirito è avvenuta la collaborazione tra il Festival Zipoli, giunto nel 2007 alla V edizione, e la Società dei
Concerti «R. Fioravanti», concretizzatasi in un concerto e un seminario di approfondimento. Il Festival, promosso sin dal 1998 dagli Assessorati
alla Cultura del Comune e della Provincia di Prato con la direzione artistica dello scrivente, intende proporre all’attenzione del pubblico la
musica del più importante musicista pratese, nato nel 1688 e morto a Cordoba nell’odierna Argentina nel 1726. Com’è noto, Zipoli fu autore
soprattutto di brani per organo e clavicembalo, motivo per cui nel Festival viene dato ampio spazio a questo tipo di repertorio. L’evento che
ha visto la collaborazione con la Società Fioravanti è infatti consistito nel concerto della clavicembalista ucraina Elena Sevskaya, avvenuto l’8
dicembre 2007 nel Salone del Gonfalone di Palazzo Banci Buonamici e nel seminario del giorno successivo, cui hanno partecipato anche
alcuni allievi della Scuola Comunale di Musica «G. Verdi» di Prato.
Elena Sevskaya - raffinata specialista degli antichi strumenti a tastiera, cui ha dedicato numerosi CD - ha incantato per eccellenza tecnica e
sensibilità artistica il foltissimo pubblico, suonando sia un clavicembalo che una copia (realizzata da Kerstin Schwarz in collaborazione con
Tony Chinnery) del famoso gravicembalo a martelletti costruito fra Sei e Settecento dal padovano Bartolomeo Cristofori, cembalaro di corte
dei granduchi di Toscana. Lo strumento - ricordato in tutti i manuali di storia della musica - rappresentò, in un certo senso, il prototipo del
pianoforte moderno, costituendo infatti lo strumento a tastiera più all’avanguardia della tarda stagione barocca. Il programma comprendeva
musiche di Alessandro Scarlatti (uno dei maestri di Zipoli), del figlio Domenico Scarlatti - di cui nel 2007 ricorreva il 250° anniversario della
morte -, del pistoiese Ludovico Giustini (uno dei primi autori a scrivere musica esplicitamente destinata al gravicembalo) e, naturalmente,
di Zipoli. Il successo decretato dal pubblico al recital è stato calorosissimo, così come vivo interesse ha riscosso il seminario dell’indomani,
occasione unica per ammirare da vicino il gravicembalo, capirne il funzionamento e le singolari caratteristiche timbriche, debitamente illustrate con perizia e pazienza da Elena Sevskaya.
Gabriele Giacomelli
Direttore Artistico “Festival Domenico Zipoli”
Martedì 13 novembre 2007 - Teatro Magnolfi - Coro Giovanile “BUSONI”
Venerdì 18 gennaio 2008 - Conservatorio San Niccolò
MARCO VINCENZI, pianoforte
in collaborazione con l’Associazione contro i tumori “Sandro Pitigliani”
Forse pecco di un certo qualunquismo, ma non credo di affermare nulla di falso se dico che il campanilismo è uno dei nostri difetti più evidenti: l’italica incapacità a mettersi d’accordo, a stabilire programmi comuni, a collaborare a progetti condivisi è - purtroppo - sotto gli occhi di
tutti. La questione non è soltanto politica, ma invade molti altri settori dell’organizzazione sociale: spesso la programmazione culturale soffre
di una certa asfitticità, dovuta alla difficoltà di allargare gli orizzonti. In troppi casi, si ha l’impressione che i responsabili delle stagioni teatrali,
musicali, artistiche in generale stiano bene attenti a tenere tutto per sé, come se fosse un problema mettersi attorno a un tavolo, ognuno con
le sue proposte, e vedere se esiste un terreno comune da coltivare nell’interesse di tutti, per dare un respiro più ampio al proprio cartellone e
permettere al proprio pubblico di assistere a manifestazioni che escono dalle mura della propria città.
Siccome la situazione sopra descritta è molto comune, si tira un sospiro di sollievo quando le cose vanno per il verso giusto, come nel caso della
Società “Roberto Fioravanti”, che - da diversi anni - è in stretto collegamento con alcune delle realtà toscane e nazionali più vivaci dal punto
di vista della co-produzione. Per rendercene conto, basta dare un’occhiata alla Stagione pratese 2007-08, di cui vorrei sottolineare il proficuo
contatto col Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni di Empoli, di cui mi occupo. L’anteprima musicale è stata affidata proprio al Coro Giovanile
del Centro Busoni, con un programma centrato attorno a uno dei capolavori del Seicento italiano, l’oratorio Jephte di Carissimi. Il Coro Giovanile
è un ensemble vocale che raggruppa gli elementi migliori del Progetto Corale attivo nelle scuole superiori empolesi da più di dieci anni.
Altrettanto posso dire - in prima persona - per il recital che sono stato invitato a tenere poco prima di suonare per i Concerti del Quirinale
2008, dedicato alle trascrizioni di Ferruccio Busoni da Mozart: una proposta raffinata (ma non facile, perché si trattava di musica eseguita in
pubblico per la prima volta!), che ha trovato negli abbonati della “Fioravanti” un uditorio attento, competente e molto gratificante.
Marco Vincenzi
Direttore Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni
Venerdi 22 febbraio 2008 - Monash University
MICHELE RABBIA, percussioni - “Musica presa alla lettera”
In collaborazione con Metastasio Jazz
Più che un concerto, un teatro di suoni. Un grande timpano al centro, dozzine di percussioni e oggetti intorno, voci da un altoparlante: così
Michele Rabbia mette in scena il suo concerto, un rituale giocoso e affascinante, trascinante e commovente, che a tratti fa leva sul nostro
stupore infantile, se non fosse che esso subito si traduce in emozione estetica. L’inesauribile creazione di suoni, le combinazioni più sorprendenti si dispiegano sotto i nostri occhi in un caleidoscopio di trovate: palline, metronomi, piatti, buste, tutto è trasformato in musica. Ma non
c’è arbitrio in questo spettacolo: i suoni, i ritmi, i paesaggi sonori di Michele Rabbia sono discorsi, carichi di valori, memorie, emozioni umani.
La vita sembra un gioco, sotto le mani di Rabbia, ma presto ci si rivela in tutta la sua profonda, avvincente complessità.
Stefano Zenni
Direttore Artistico Metastasio Jazz
Maggio 2008 ANNO XII Numero 22
LA NOTA
La nostra città, anche se non sembra, è spesso caratterizzata da un sottobosco di ammiratori e di veraci intenditori di personaggi che hanno fatto storia specialmente nella nostra Prato. L’Amico Goffredo Gori, sempre pronto a cogliere anche il
minimo fruscio con grande sensibilità per il gusto della cultura, ci ha inviato questo bellissimo articolo che rappresenta come altre volte una “pillola” di libertà di scrivere e che fa riflettere i più saggiamente preparati in cultura letteraria e musicale.
Ariel D’Annunzio: “L’Imaginifico Vate”.
Oppure Benelli Sem: “cenciaiolo pratese” ?
di Goffredo Gori
Gabriele D’Annunzio (detto “Ariel”) o Benelli Sem (nato a Prato) ?
Messa così sa di presa in giro: la Storia ha già emesso la sua sentenza sui due
personaggi che vissero vicende artistiche e politiche analoghe e contemporanee.
Mi guardo bene dal proporre un confronto, intimidito dalla schiera di autorevoli
testimoni a carico del povero “cenciaiolo” Benelli, “ciabatta smessa di D’Annunzio”:
i Papini, i Soffici, i D’Amico. Più che trattare delle innegabili affinità estetiche (il
decadentismo in tutte le sue salse) o dello schizofrenico impegno politico (il
poeta-soldato, le guerre, il fascismo) che riguardò tutti e due, qui e ora, preferisco
cogliere la circostanza delle solite occasioni celebrative per spolverare l’effimero
localistico in comune ai due: la pratesità, la musica, le iniziative dedicate ai settanta
anni dalla morte di D’Annunzio (2008); e quelle dei sessanta di Sem Benelli (nel
2009). Per D’Annunzio non si può che partire dal “Convitto Nazionale Cicognini”
di Prato dove l’abruzzese “Ariel- Gabriele” è spedito dal padre il 1° novembre del
1874 per “intoscanirsi” fin dall’età di 11 anni.
D’Annunzio al “Cicognini” di Prato.
Il “Cicognini” ha nel suo scrigno un gioiello di teatro ora intitolato al grande poeta: e qui a marzo del 2008, tre appuntamenti dell’Assessorato alla Cultura del
Comune di Prato (insieme alla Provincia e al Convitto), hanno dato vita a una
ricorrenza rievocativa attraverso letture dannunziane (con l’attore Gabriele Tozzi
e il flauto di Carlotta Vettori), una conferenza (Milva Maria Cappellini e Marco
Marchi) e uno spettacolo: un originale
ideato dalla pianista pratese Anna Toccafondi, che insieme a un narratore (Luca
Scarlini) e un tenore (Leonardo De Lisi)
ha rappresentato in sintesi il percorso del
Vate seguendo la cifra musicale. Una
operazione intelligente e non comune
- oltreché utile- visibilmente fecondata
dalla curiosità culturale e dall’impegno
di ricerca di una appassionata e competente musicista come Anna Toccafondi.
Sono sfilati brani noti e meno noti. Non
poteva mancare il popolare e salottiero
Francesco Paolo Tosti di “A vucchella” e
“Visione”. Ildebrando Pizzetti e “I pastori”,
e anche G.F Malipiero e Ottorino Respighi. Richard Wagner come citazione
di affinità esistenziale dei “Wesendonk Lieder”. Curiosità per un inedito di Mario
Castelnuovo Tedesco che interpreta le trasparenze poetiche de “La sera fiesolana”.
Per voce di tenore, la rarità di due arie da opere dimenticate: una da “La figlia di
Iorio” messa in musica da Alberto Franchetti; l’altra da “Parisina” di Pietro Mascagni:
interessantissimo ascolto di un testo “decadente” dove il “verista” livornese dovette
sudare non poco per adeguarsi al poeta, aggiungendo note musicali a parole già
impregnate di esuberante musicalità.
D’Annunzio, il “Cicognini”, la musica e i musicisti.
I sette anni di studi liceali a Prato saranno vissuti da D’Annunzio come un castigo
militare: “La Cicogna pratese è un gran seminario laicale istituito per isterilire le
più fervide semenze”. I classici greci e latini; ma anche ginnastica, violino, tromba
e pianoforte, disegno e pittura. Qui i capelli ce li ha ancora: i riccioli sono tanti
quante furono le occasioni di trasgressione alla disciplina del “Convitto”, vittime
prime le guardarobiere del Collegio. “Ariel” sperimenterà il “suo primo assalto
a un mistero carnale” nell’occasione di una gita scolastica al “Museo Etrusco di
Firenze”; la scena primaria della iniziazione sessuale di Ariel non avrebbe potuto
essere che quella che fu: accanto alla mitica belva bronzea ed etrusca della
Chimera, con una partner carnale che si chiamava Clemenza e che il puberale
ma già incontenibile edonismo del futuro “Imaginifico”, ribattezzerà - come farà
con tutte le sue donne- Crematilde. La Chimera con quel suo corpo ibridato
di leone-capra-serpente appare come l’epifania feticistica di tutta l’esistenza di
quella straordinaria figura che fu Gabriele D’Annunzio. Tutto quello che lui farà
è destinato a diventare componimento poetico. Perfino una fuga in un bordello
fiorentino, dove la “piccola meretrice” doveva fingere di chiamarsi Lucrezia, “gran
gorgona dalla criniera di serpi”. Gabriele aveva quindici anni. E a sedici fiorisce
una più duratura cotta liceale: quella con Lalla- Giselda Zucconi, figlia di Tito
Zucconi, un ex garibaldino di Campi Bisenzio che ora è professore per l’appunto
al “Cicognini”. Chissà di quali eroici spessori, il giovane Gabriele avrà caricato la
sua storia d’amore con la figlia del professore? Lo studio dei classici, il castigo del
Collegio, le esperienze erotiche primarie, tutto è vissuto miticamente: “Bisogna
fare della propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo
d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui” (da “Il Piacere”). L’arte
come proiezione di carnalità e sensualità che si nutre avidamente di tutto, anche
del superfluo (donne gioielli libri cani), e del simbolo come espressione di sé,
ponte per l’immortalità. Quelle esperienze primarie del “Cicognini” saranno gli
ingredienti della miscela esistenziale che fisserà per sempre il titanismo, il superomismo, l’egocentrismo, l’erotomania dell’ “Amante guerriero”, del Poeta, del Vate,
del Comandante. E la musica? Se D’Annunzio non avesse scritto poesie, avrebbe
scritto musica (e ne ebbe rimpianto per non averlo fatto): in fondo, l’essenza più
identitaria dell’ arte dannunziana, non è forse l’ebbrezza panica della parola che
con l’arte dei suoni condivide l’astrazione estetica? D’Annunzio farà scrivere
musica ad altri, come vedremo. “Nel Convitto della Cicogna mi misi a studiare il
violino, il flauto e il canto”. Fare attenzione a quel violino: c’è in questo episodio
un sintomo indicativo e probante di quella fissazione esistenziale secondo cui
“bisogna fare della propria vita, come si fa un’opera d’arte”. Ricordate la “Lucrezia
al bordello” di Firenze ? Bene, fu lei a vendere lo strumento “dimolto antico del
1753” (ma scassato) al ragazzo Gabriele: la giovane prostituta lo aveva ereditato
dal nonno di Barberino di Mugello. Immaginate la scena: Lucrezia cortigiana che
passa dalle sue mani a quelle di lui lo strumento e Ariel poeta le dà una moneta
in cambio del violino, che per destino estetizzante non potrà che diventare un
simbolo erotico “di voluttà e musica che son sorelle”. E così una opportunistica
elemosina ad una meretrice si trasfigura in un rito sull’altare di Eros e di Orfeo:
su quella parentesi, episodio della sua vita, il futuro Vate mette il suggello di
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una classicità, appropriandosi così di “sorella musica”: “Il mio stame è dedotto e
attorto dalla vita della musica”. E l’oppio spirituale e impalpabile della musica,
per D’Annunzio, sarà per tutta la vita così indispensabile quanto la più palpabile
polverina bianca, droga venefica che condividerà anche nelle coltri della galleria
infinita delle sue donne. L’ebbrezza panica di Riccardo Wagner lo stordisce come
fosse il filtro d’amore di Tristano e di Isotta, fino all’identificazione. (Anche Wagner
- prima di D’Annunzio- si era ubriacato di titanismo e superomismo al fine di fare
della “propria vita un’opera d’arte”). Paolo Tosti metterà note musicali a sfare alla
parola salottiera e aristocratica del compaesano Gabriele: “desire” farà rima con
“morire”. D’Annunzio non ha scrupoli a offendere il bonario Ruggero Leoncavallo,
compositore “soffocato dall’adipe melodico”. Disprezza i veristi della “Giovane
Scuola” e dà del “capobanda” a Mascagni, salvo poi fraternizzare colla speranza
di farci affari. Con “Parisina”, Mascagni è costretto ad appiattirsi con sudditanza
sugli arcaismi sonnolenti e logorroici del Vate. Stessa sorte per Riccardo Zandonai
che prova senza esito a compiacere lo storicismo oleografico dei medievalismi
verbali di “Francesca da Rimini”. Peggio ancora con Alberto Franchetti che non
riesce a dare senso alle passioni primitive ma eroiche de “La figlia di Iorio”.Tragedia
pastorale che diventerà nel 1957 libretto d’opera anche per Ildebrando Pizzetti
(che D’Annunzio nel 1915 aveva pomposamente ribattezzato Ildebrando da Parma
quando il compositore prestò l’impotenza del suo recitativo infinito alla grecità
di “Fedra”). La sensualità dannunziana non poteva non nutrirsi di decadentismi,
estetismi, simbolismi, impressionismi e correnti artistiche che prendevano forma
nei salotti mondani che lo spregiudicato e ricercato (soprattutto dalle donne) poeta
frequentava, accompagnato dal conte De Montesquiou. Esotismi, anche. Sogni.
“Sogno di un tramonto d’autunno”, rappresentato nel 1905 dall’amante Eleonora
Duse, innamora il musicista G.Francesco Malipiero, compositore fecondo della
cosiddetta “Generazione dell’Ottanta”, in simpatia con la magniloquenza dannunziana sia attraverso il recupero di arcaismi sonori, sia per il recupero dei moduli
estetici (puri) del rinascimentale “recitar cantando”(Monteverdi) in termini però
antimelodrammatici. Il “Sogno” rimane nel cassetto perché sulle ragioni artistiche
prevalgono quelle finanziarie: il Vate preferisce le settemila lire che una ignota
musicista dilettante gli versa per la riduzione del suo testo. Misticismo e lussuria
a Parigi, nel camerino della danzatrice Ida Rubinstein: Gabriele si prosterna, le
bacia i piedi, e tra le meravigliose gambe nude fino all’inguine - et voilà!- gli appare
Saint Sebastien. Estetica decadente e fasto dannunziano. La visione si materializzerà colla musica di Claude Debussy (anche lui magniloquentemente ridefinito
Claudio di Francia): “Le Martyre de Saint Sebastien”, frecce simbolicamente allusive
conficcate su un martire (cristiano?) dal corpo sinuoso di donna. Fragranze lubriche
ed eccitazioni febbrili. Ingredienti di una poetica che se si cerca di sposarla alla
musica, rischia il naufragio per sovrabbondanza di carico. E’ il caso del mancato
incontro con Puccini, più volte tentato, favorito e sfavorito allo stesso tempo da
un’ambiguità mai sciolta: d’arte e di carattere. Una certa comune inclinazione
decadentistica forse poteva far pensare a una collaborazione tra i due; ma era la
“distillazione ubriaca” del poeta a essere incompatibile con la poetica musicale del
“grande dolore in piccole donne”, ispirazione dominante del compositore toscano.
“Il Poeta porta male al teatro lirico. Vi manca sempre il vero e spoglio e semplice
senso umano. Tutto è sempre parossismo, corda tirata, espressione ultra eccessiva”.
Puccini - l’unico che resiste all’irretimento seduttivo de “L’ Imaginifico”- che si
sfoga e rivela la sua inclinazione tutta toscana per l’essenzialità, realismo e senso
della misura: le cose di tutti i giorni, essenza del teatro di Puccini, erano lontane
dalle archeologie verbose del D’Annunzio.
Benelli o D’Annunzio?
Possiamo azzardare - oggi- il tentativo di una messa a fuoco fuori dai soliti luoghi
comuni codificati dalla critica suscettibile, tentando l’eresia di un D’Annunzio
grande come poeta e po’ meno grande come drammaturgo ? E qui accostargli (per
il teatro se non per la poesia) il pratese Sem Benelli? Ci vuol coraggio a riaprire
oggi gli atti di un processo che ha già una sua autorevole e codificata sentenza;
ci vuol coraggio a tentare una riabilitazione-renaissance di Benelli che lo assolva
almeno dalla accusa di dozzinale “post-dannunzianesimo”. Eppure qualcuno ci
ha già provato nel 1974 pubblicando per “Edizioni del Palazzo” di Prato: Diego
Fabbri, che aveva incontrato Benelli nel 1934. Fabbri intravede in Giuliano di
“Tignola” - primo lavoro di Benelli del 1907- il tratto autobiografico, il dramma
del vinto, il colore crepuscolare che anticipa quell’intimismo che sarà il connotato
principale del filone letterario del Novecento. Benelli come precursore di una
drammaturgia che intenzionalmente prendeva le distanze dall’estetica dannunziana. Si può citare il teatro di Ibsen per ricordare che fu merito del drammaturgo
pratese se in Italia per la prima volta si rappresentò “Peer Gynt”, allestito a Torino
dalla Compagnia Sem Benelli l’11 ottobre del 1928. L’ambiguità di Giannetto e
della sua “beffa”, il rovello nevrotico inespresso del protagonista de “La Cena delle
beffe” (folgorazione di un dramma teatrale tra i più rappresentati al mondo, che
conquistò l’America prima di Pirandello), poco hanno a che fare con la ieraticità
mitica del poco credibile pastore Aligi de “La figlia di Jorio” del Vate. E i recuperi
arcaici del Medioevo italiano e del Rinascimento, allora di moda, in Benelli hanno
l’intenzione di attingere all’autenticità della radice popolare (se pure di fantasia)
dei novellieri toscani come il Boccaccio o il Lasca. Lontano dall’aulicità fonica e
verbosa dei fasti di D’Annunzio. Al di dell’ironia dei vari critici acrimoniosi come
Silvio D’Amico e Accademici vari del fascismo, Diego Fabbri valorizza l’invenzione
del “verso drammatico”, l’endecasillabo dinamico, sciolto, parlato, scorrevole di
Benelli: “L’arte è sintesi, non è stucchevole dimostrazione, fatta specialmente per
assurdo, come fanno tanti” (è chiaro a chi sia rivolta la polemica di Benelli). Una
prosa poetica in contrapposizione al verso “polito” e classicamente prezioso di
D’Annunzio. “Giustizia per Benelli” la chiede anche Giuseppe Bicci nel medesimo
libro del 1974, interrogando(si) se la parabola umana e culturale di Benelli sia
già evasa storicamente e culturalmente, oppure no. Bicci (si) risponde che la
cortina fumogena di una certa critica di parte avvezza al linciaggio, ha preferito
condannare sbrigativamente l’immagine benelliana, falsata dai suoi contemporanei magari ricorrendo all’accusa di contraddittorietà: sia per quanto riguarda il
volto artistico, la poetica; sia per la vicenda umana e politica di Benelli fascistaantifascista. Bicci cita opportunamente lo stesso Benelli: “Non v’è malvagio più
compassionevole di colui che non sa leggere nel libro delle nostre incoerenze”.
Intorno agli anni Sessanta anche Paolo Emilio Poesio fa notare come la critica del
tempo non comprendesse il “gesto ribelle” di Benelli: “In pieno teatro di telefoni
bianchi, in pieno teatro digestivo” andare controcorrente non è facile “mettendo
in discussione i canoni conformistici di una società addormentata”. Recente è
il libro di Sandro Antonini, la più rigorosa ricostruzione storiografica di Benelli,
indispensabile per trarre il poeta pratese “da un ingiusto oblio e rendergli omaggio
se pure tardivo”. Al momento in cui scriviamo è in corso di stampa una nuova
pubblicazione su Sem Benelli voluta dall’associazione pratese “Terrena” che con
“OperAltrA” aveva progettato nel corso del 2008 l’allestimento teatrale de “La
cena delle beffe”, opera lirica di Umberto Giordano, al “Politeama Pratese”. Avventura
fallita che conteneva come iniziativa parallela il corredo di questa pubblicazione
sull’illustre pratese.
Benelli archiviato.
Sembra che oggi qualcuno abbia voglia di occuparsi meglio e di più del Benelli di
Prato. Purché si cominci da un lavoro di scrostatura da quella supponenza aristocratica e ideologica della solita critica modaiola, che scoraggia e frena istituzioni
e amministrazioni a prendere degne iniziative di conoscenza e approfondimento.
Il 2008, anniversario della nascita del poeta pratese, fallito il progetto “Cena delle
beffe”, ha visto due appuntamenti voluti da “OperAltrA”, un’associazione culturale
locale che ha messo in scena due spettacoli originali scritti apposta per l’occasione. Iniziative brade ma autentiche, un
po’ controcorrente e sperimentali; non
beneficiando del guanciale soffice delle
critica accreditata, né dell’ appoggio autorevole delle istituzioni (se non per un
po’ di patrocinio e punto finanziamento),
queste iniziative non hanno un marchio
riconoscibile o raccomandato: quindi
sono destinate a non fare storia, a non
lasciar traccia. Per D’Annunzio - meno
pratese di Benelli- qualcuno ha fatto
qualcosa a Prato nel teatro del “Convitto
Cicognini” intitolato al poeta abruzzese.
(A proposito: ma esiste un teatro intitolato a Sem Benelli?). Per Benelli c’è il 2009,
che è l’anniversario della morte. La solita
“OperAltrA” avrebbe un bel programma
per rendere “giustizia per Benelli” (il condizionale cautelativo sta a segnalare la
fragilità di un progetto, qualora esso non possa contare su appoggio convinto e
sostegno concreto delle istituzioni cittadine).
Una “Benelliana - 2009”
Tre appuntamenti nel corso del 2009 come progetto non solo celebrativo, ma
occasione di indagine vera e propria sono in programma a cura di “OperAltrA” che
per sua natura si dedica alla produzione di eventi musicali (spettacoli). Pertanto
il taglio complessivo dell’operazione avrà una venatura di carattere musicale, in
quanto l’approdo drammaturgico si volgerà verso quei testi di Benelli che (come
per D’Annunzio) si prestarono a diventare opera lirica. E’ il caso della nota “Cena”
musicata da Umberto Giordano, che vede il poeta e autore occuparsi - caso
rarissimo- di persona e con passione, alla riduzione del testo per l’opera lirica.
Anche “La Gorgona” benelliana fu messa in musica da Lamberto Landi, ignoto
compositore lucchese nel 1933 e mai rappresentata. Nel 1937 con la musica di
Renzo Bianchi, nasce alla Scala “Proserpina”, tratta da “Orfeo e Proserpina” di Sem
Benelli. Ma l’opera lirica di maggior successo tratta da un testo teatrale di Benelli è
senz’altro “L’amore dei tre re” con la musica di Italo Montemezzi in prima alla Scala
di Milano nel 1913. Ancora di Italo Montemezzi nasce un’opera lirica in un atto
su un testo di Benelli, l’unico che il poeta pratese abbia scritto appositamente e
solo per il teatro musicale: “L’incantesimo”, che nel 1943 ebbe per la prima volta
un’esecuzione radiofonica a New York. Due mesi dopo la morte di Montemezzi,
nell’agosto del 1952, l’ “Arena di Verona” combina - per contrasto- la solare e
sanguigna “Cavalleria rusticana” insieme a “L’incantesimo”, atto unico in cui la levità
della neve sembra essere il personaggio protagonista. Bisogna aspettare fino a
novembre del 2007, quando “L’incantesimo” appare in forma di concerto in un
singolare teatro americano, “Il Grattacielo” gestito da una persona altrettanto
singolare e appassionata, Duane D. Printz, che ha deciso di dedicare la sua
vita al recupero delle rarità melodrammatiche italiane del periodo verista- che
in Italia ci si guarda bene da prendere in considerazione anche critica- e a cui
ha dato voce anche il tenore pratese Lando Bartolini. Molte citazioni di tutte
questo campionario di opere liriche sepolte e dimenticate, avranno una sorta di
recupero a sorpresa dentro il progetto “Benelliana-2009” di “OperAltrA”, che nel
nome e per amore di Benelli, intreccia tre appuntamenti di spettacolo inediti
e di taglio drammaturgico lontano dalla formula concertistica. Si pensa ad un
percorso benelliano in tre appuntamenti durante il 2009. Primo: uno spettacolo
di narrazione prosa, canto e musica con orchestra da collocare proprio nel teatro
intitolato a D’Annunzio, al “Convitto Cicognini”: “D’Annunzio, Benelli Sem e C.”. Il
secondo appuntamento prevede la rappresentazione di un testo originale ancora
attraverso il linguaggio intrecciato tra parola cantata e recitata -con scena e proiezioni filmiche sintesi dell’excursus esistenziale e artistico di Benelli- mirato su
la celeberrima “Cena delle beffe”. Titolo di questo seconda tappa l’assai eloquente
motto “Chi non beve con me…!”. Terzo appuntamento conclusivo del progetto di
“OperAltrA”, uno spettacolo di non comune intuizione: “L’incantesimo”, l’unico
testo che Benelli scrisse appositamente per il teatro lirico e per Italo Montemezzi,
che di fatto ebbe la sola rappresentazione scenica in quel 1952 all’ “Arena di
Verona”. La proposta di “OperAltrA” prevede di questo atto unico una versione
insolita e originale, da rappresentarsi in un teatro della città dove Benelli nacque,
Prato. Spettacolo per la cui rappresentazione sarebbe stato scelto- in una sorta
di legame ideale- il giorno stesso della morte del drammaturgo avvenuta il 18 di
dicembre (1949). Un progetto appassionato e impegnativo, che in qualsiasi modo
si evolva, ha già il merito genuino di stimolare quella curiosità intellettuale che
dovrebbe animare una doverosa rilettura critica del drammaturgo Benelli Sem
nato alla Croce de’ Cappuccini, Filettole di Prato.