Carmen Consoli si fa in tre «Il rock deve destabilizzare

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IL VIDEOCLIP
Daniele Silvestri, fra droni e operai
— Dopo la musica, le immagini: da
oggi online su Vevo il videoclip di Quali
alibi, il brano che anticipa il nuovo
disco di inediti. Nel videoclip, che
assume i contorni di un micro-film,
questa fotografia viene trasposta con
maestria grazie a un’ambientazione a
metà tra il passato e il futuro, tra droni
che assumono le sembianze di colibrì e
operai che si ribellano e non accettano
di “abbassare la cresta” davanti
al malaffare. Il tutto con lo stesso
Silvestri che si sdoppia e interpreta
simultaneamente i due protagonisti.
Se ne va
il chitarrista
e fondatore
degli Eagles:
Glenn Frey
Nato a Detroit ma sognava la
California: Don Henley: «Era
come un fratello per me»
«E
L’esordio
della band è
del 1972
Il maggior
successo
Hotel
California
Carmen Consoli si fa in tre
«Il rock deve destabilizzare»
Al via oggi a Roma il tour della cantantessa: «La maternità mi ha reso più forte
Ora bado solo alle cose essenziali. La televisione? Mi spaventa, come Sanremo»
«Si racconta che il principe di Condé
dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi»: così Manzoni, rubando l’aneddoto a Balzac, apre
il secondo capitolo dei Promessi Sposi. Ora, la nostra intimità con Carmen
Consoli non va oltre qualche telefonata; eppure possiamo immaginare che
stanotte, alla vigilia del tour teatrale
che inizia stasera a Roma, abbia dormito anche lei come un sasso. Niente
ansie, nessuna traccia delle “consulte
angosciose” in cui si macera e si snerva don Abbondio. Sentite cosa stava
facendo quando l’abbiamo chiamata:
«Ero intenta a cucirmi una gonna, con
la mia macchina da cucire. Stavo decidendo come abbellirla. Seguo i consigli della signora Sara, la governante di
mia madre. Ma non credo che riuscirò
a finirla per il tour».
Valerio
Rosa
...che conteneva una cover di David
Bowie. Ti ha colpito la sua scomparsa?
«Certo, Bowie fa parte del DNA di tutti
noi: è l’universalità del grande artista.
Quando ero piccola ascoltavo i dischi
di Elvis Presley e piangevo all’idea che
fosse morto. Io però non ho paura della morte: l’Occidente si ostina a negarla con trucchi ed elisir, io mi esercito a
vederla in maniera obiettiva: perché
fare finta che non ci sia? Bisogna convivere con questo pensiero per dare
valore a ciò che viviamo oggi, anziché affannarsi a dimostrare di sapersi collocare nel conformismo degli
schemi di successo. In questo penso
che Bowie, che sicuramente influenzerà i prossimi decenni, abbia compiuto il suo ciclo dicendo ciao a questa
vita col sorriso e con molta classe. Ho
la sensazione che stia facendo un bellissimo viaggio».
Ah, ecco, il tour...
«Stavolta abbiamo studiato tre scenari diversi. Il primo, nei palazzetti, con
un ritorno al rock e alle chitarre elettriche; il secondo, estivo, con un classico
trio chitarra-basso-batteria; e poi questo tour teatrale che si spoglia dell’elettricità e diventa acustico, in punta di
plettro, se vogliamo ecosostenibile, e
si rivolge a chi ha a cuore la natura e le
sorti del pianeta, rispetta l’alternanza
delle stagioni e l’antica capacità umana di adeguarsi al clima che cambia».
Questo vuol dire che i brani rock
avranno una veste acustica?
«Cambio i vestiti, come la gonna che
mi sto cucendo, ma la mia taglia sempre quella è. Il corpo non cambia. Per
me il rock è nei contenuti più che nella
forma. Ricordi Joan Baez a Woodstock
o i primi tre album di Joni Mitchell?
Come fai a dire che non sono rock?
Allo stesso modo, come fai a dire che
sono rock canzoni piene di schitarrate,
ma con testi che non graffiano? Il rock
deve destabilizzare. Trovo che in Italia sia rock la musica popolare, che in
fondo è il nostro blues. Il rock è il messaggio. Mi viene in mente il live acustico dei Nirvana...».
La musicista
siciliana.
Parte oggi da
Roma il tour
dell’artista.
Foto: Ansa
«Siamo vicini di casa. A breve dovrei
organizzare una cena vegana a casa
sua con la signora Anna, la sua cuoca
personale, la regina degli involtini di
melanzane. Questa cosa mi fa venire
un’ansia da prestazione che non ti so
descrivere».
Ti viene per una cena e non per il
tour?
«Suonare dal vivo è la mia acqua, il mio
habitat. Ognuno deve fare ciò che sa
fare, anche se non nego l’eclettismo.
Io non so ballare, però faccio musica
e privatamente cucino. Però non sono
vegana: sono siciliana, non posso rinnegare il fatto di essere cresciuta mangiando pesce».
A proposito di viaggi, tu vai spesso
a Parigi?
«Ci ho vissuto e ho tuttora un pied-àterre dove torno ogni volta che devo
isolarmi a scrivere e quando voglio
respirare un’aria creativa, piena di cultura e di arte. Ci vado con mia madre
e mio figlio. Però vivo rigorosamente
nella mia splendida Catania, alle pendici dell’Etna».
Accennavi a tuo figlio. Gianna Nannini dice che la gravidanza ha influito sul suo modo di cantare. Anche
per te è così?
«A me ha cambiato tutto, il mio sguardo sul mondo, non solo il modo di cantare. Noi artisti parliamo di intenzione: a seconda dell’intenzione che hai
canti in un certo modo e ottieni un certo risultato, e questo si chiama interpretazione. Vale per me e per le colleghe che sono diventate mamme: Gianna, Giorgia, Elisa. Dopo la gravidanza viene fuori quello che sei, ti ritrovi magnificata da una ragione di vita
enorme. Ti scrolli di dosso te stessa,
smetti di prenderti troppo sul serio, e
in un certo senso ti ritrovi. E ti senti più
leggera. In passato mi arrabbiavo più
spesso, ora vado avanti per la mia strada, non insisto su ciò che mi dà dispiacere, mi impegno nella costruzione.
Prima la rabbia mi bloccava. Ora vado
dritta al centro, cerco l’essenzialità».
Come Battiato.
La cerchi anche nelle tue canzoni?
«Le assecondo. E cerco di vivere questo mestiere senza stressarmi».
È per questo che non vai più in gara
a Sanremo?
«Intendiamoci: io adoro Sanremo,
sono molto grata al festival, che mi
ha permesso di farmi conoscere, ma
l’ultima volta per la tensione mi sono
venuti tutti i capelli bianchi. Mi emoziono troppo, sto male, non ci vado
non perché mi senta la grande cantautrice della Sicilia, ma perché mi
spavento. La musica non mi deve spaventare. Per questo faccio poca televisione».
Se fossi più giovane, non avresti
altra scelta...
«Lo so. E infatti stimo tantissimo i
ragazzi che vanno ai talent, perché
devono essere molto forti. Se alla
fine di un’esibizione dovessi sentire
quattro giudici, non credo che lo sopporterei. Meno male che sono venuta fuori prima! Oggi non sarei “uscita” e non avrei avuto altre occasioni.
Negli anni ‘90 c’era la possibilità di
crescere senza fretta, com’è accaduto agli Afterhours, ai Marlene Kuntz,
a Capossela. E siccome voglio sentirmi a mio agio, non potrei fare nemmeno la giurata. Non mi va di giudicare gli altri».
Prova a giudicare te.
«Beh, sento che lavoro molto, che non
dimentico il passato, che mi godo il
presente e mi costruisco il futuro. Mi
sento un essere umano che ce la può
fare. Me ne frego delle convenzioni e
so circondarmi di gente bella. Mi do
la sufficienza, e mi basta. Come diceva Dalla: l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale».
ra come un fratello per
me». Don Henley piange
Glenn Frey, il chitarrista,
cantante e fondatore degli Eagles morto ieri a Los Angeles a 67
anni per una drammatica combinazione di artrite rematoide, polmonite e colite ulcerosa e le conseguenze di un’operazione all’intestino. Frey era nato
a Detroit ma sognava la California fin
da ragazzo, cresciuto in una città dalla tradizione musicale polarizzata tra
la grande musica black, la
Motown, il rock selvaggio
re.
di Stooges e Mc5. Così, alra.
la fine degli anni ‘60 si trasferì a Los Angeles per entrare in contatto con l’ambiente degli
studi di registrazioni.
E sarà proprio durante una session
per Linda Ronstadt che si formerà il
nucleo originale degli Eagles: Don
Henley, cantante e batterista, il bassista Randy Meisner e il tastierista Bernie Leadon. Nascono gli Eagles con una
formula che nel tempo creerà tensioni
a non finire: una band senza un vero
e proprio leader, dove la responsabilità della voce solista cambia a seconda
dei brani così come la firma sotto i brani. Tra cambi di formazione e scioglimenti, gli Eagles passeranno alla storia come uno dei gruppi più litigiosi di
sempre.
Fin dall’inizio la formula scelta è un
raffinato country rock. L’esordio è del
1972, seguito da Desperado, con alcuni classici, e poi dai titoli che faranno
entrare gli Eagles nella storia: On The
Boarder, One of these Nights e poi il
trionfo, Hotel California, un album da
30 milioni di copie che, come nella title track, con suoni eleganti e patinati
descrive la faccia oscura del sogno californiano.
Nel frattempo la line up della band
era cambiata: Leadon se n’era andato
prima del grande successo, Meisner
subito dopo, al loro posto erano subentrati Joe Walsh, Timothy B. Schmidt e
Don Felder che insieme a Glenn Frey e
Don Henley ha firmato Hotel California.
Le tensioni nel gruppo aumentano, aiutate da uno stile di vita da alta
classifica anche per quel che riguarda
gli eccessi fino ad esplodere nel 1980
con l’inevitabile scioglimento. Frey si
dedica alla musica per il cinema, piazza
The Heat Is On nella colonna sonora di
Beverly Hills Cop, fa un cameo in Miami
Vice e un’apparizione in Jerry Maguire. In tutto pubblicherà da solista cinque album ma è difficile fare paragoni
con gli Eagles che hanno venduto 150
milioni di dischi e pubblicato un celeberrimo Best, Their Greatest Hits 19711975 che è il secondo album più venduto della storia dopo Thriller. Gli Eagles
si riformano nel 1994 secondo l’inevitabile meccanismo dei tour celebrativi:
nel 2014 hanno suonato a Lucca. Il più
commosso nel commentare la sua morte è stato Don Henley, quello che fin dalla fatidica session con Linda Ronstadt,
aveva dimostrato una profonda affinità musicale e umana. »`Eravamo come
una famiglia e come in tutte le famiglie
ci sono stati dei problemi - scrive Henley
- Ma il legame che abbiamo stretto 45
anni fa non si è mai interrotto».
Grenn Frey.
Il fondatore
degli Eagles.
Foto: Ansa
l’Unità
Mercoledì, 20 Gennaio 2016
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