Greenwich Village, 1961, gli anni del folk revival che videro poco dopo nascere e abbagliare, celando tanti altri
talenti, l'astro di Bob Dylan. I Coen rivisitano la possibile storia di uno degli 'altri', ispirandosi all'autobiografia
incompiuta di Dave Van Ronk. Davis non è simpatico, eppure non possiamo evitare di parteggiare per lui. È bravo,
intenso, ha una 'sua' etica e una sua visione delle cose, ma è sfortunato. Siamo con lui, nella sua affannata corsa
circolare, inseguito dalla sorte che non gli dà tregua, in viaggio con l'ironia e la rassegnazione a un destino che gli
riserva continue, bizzarre sorprese. Atmosfere da capolavoro.
scheda tecnica
tit. orig.:
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
soggetto:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
costumi:
scenografia:
suono:
colonna sonora:
distribuzione:
INSIDE LLEWYN DAVIS
105 MINUTI
USA, FRANCIA
2013
JOEL COEN, ETHAN COEN
FERZAN ÖZPETEK
GIANNI ROMOLI, FERZAN ÖZPETEK
BRUNO DELBONNEL
RODERICK JAYNES
MARY ZOPHRES
JESS GONCHOR
SKIP LIEVSAY
T-BONE BURNETT
LUCKY RED
interpreti:
OSCAR ISAAC (Llewyn Davis), CAREY MULLIGAN (Jean Berkey), JUSTIN TIMBERLAKE (Jim
Berkey), JOHN GOODMAN (Roland Turner), GARRETT HEDLUND (Johnny Five), F. MURRAY ABRAHAM (Bud
Grossman), ETHAN PHILLIPS (Mitch Gorfein), ROBIN BARTLETT (Lillian Gorfein), MAX CASELLA (Pappi Corsicato),
STARK SANDS (Troy Nelson), JEANINE SERALLES (Joy), JERRY GRAYSON (Mel Novikoff), ADAM DRIVER (Al Cody),
ALEX KARPOVSKY (Marty Green).
premi e riconoscimenti: 2014, Oscar, Nomination Miglior fotografia e Miglior sonoro – 2014, Golden Globe,
Nomination Miglior film commedia o musicale, Miglior attore, Migliore canzone
originale (Please Mr. Kennedy) – 2014, BAFTA Nomination Migliore sceneggiatura
originale, Migliore fotografia, Miglior sonoro – 2013, Festival di Cannes, Grand Prix
Speciale della Giuria a Ethan Coen e Joel Coen, Nomination Palma d'oro.
I fratelli Coen
Joel David Coen (St. Louis Park, 29 novembre 1954) e Ethan Jesse Coen (St. Louis Park, 21 settembre 1957),
generalmente noti come i fratelli Coen, sono due celebri registi, sceneggiatori, produttori cinematografici e
montatori statunitensi, famosi soprattutto per le loro commedie irriverenti e sofisticate.
Normalmente scrivono insieme il soggetto e la sceneggiatura dei loro film e, nonostante di solito sia Joel ad
essere accreditato come regista, la collaborazione tra i due fratelli è così stretta che questa distinzione non è
netta. In effetti, sul set gli attori interagiscono con entrambi per le indicazioni delle scene, ottenendo più o meno
le stesse risposte. Per questo motivo, nel mondo del cinema vengono spesso definiti come "il regista a due
teste". Spesso i due fratelli sono autori anche del montaggio dei propri film, per il quale compaiono sotto lo
pseudonimo Roderick Jaynes.
Joel ed Ethan sono cresciuti a St. Louis Park, un sobborgo di Minneapolis. I genitori, Edward e Rena, entrambi
ebrei, erano l'uno docente di economia all'Università del Minnesota e l'altra di storia alla St. Cloud State
University. Prima di intraprendere la carriera cinematografica, Joel ed Ethan frequentano il college e l'università;
Joel si laurea in cinematografia alla New York University, mentre Ethan in Filosofia a Princeton.
Iniziano a lavorare nel mondo del cinema come assistenti sul set, e nel 1982 collaborano con l'amico Sam Raimi,
anch'esso al debutto, in una produzione a basso costo che diverrà un vero e proprio cult: La casa.
Nel 1984 esordiscono in proprio con Blood Simple - Sangue facile, con Frances McDormand (che poi diventerà la
moglie di Joel). Entrati in contatto con il regista Sam Raimi e con l'attore Bruce Campbell - grazie al fratello che
con i due studiava a New York – collaborano con lui per la sceneggiatura de I due criminali più pazzi del mondo
(1985), dove Joel ha anche una piccola parte come attore.
Diventati amici di Steve Buscemi, Jon Polito, John Godoman, John Turturro, George Clooney, Michael Badalucco,
Charles Durning, Peter Stormare, Tony Shalhoub e Billy Bob Thornton, creano una ristretta cerchia "familiare"
attorno a sé, che gli permetterà anche nel futuro di lavorare ai propri progetti audio-visivi con più facilità: dal
comico Arizona Junior con Nicolas Cage (1987) al gangsteristico Crocevia della morte (1990), da Barton Fink - È
successo a Hollywood fino a Mister Hula Hoop (1994) con Tim Robbins e Paul Newman. Barton Fink procura ai
fratelli sia la Palma d'Oro come miglior film sia quella per la miglior regia. Ricevono poi una seconda Palma d'Oro
nonché l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale con Fargo (1996), sfiorando anche la statuetta per il
miglior film. Plurinominati ai Golden Globe e ai BAFTA, nel 1998 mettono a segno un ottimo film con un
eccentrico elogio dell'indolenza e della lentezza: è Il grande Lebowski. Storia di noir e di bowling come filosofia di
vita, di Drugo Lebowski, interpretato da un magnifico Jeff Bridges, che diventa un'icona per tutti quelli che
credono ancora nella resistenza all'idiozia del Sistema.
Con Fratello, dove sei? (2000), liberamente tratto dall'Odissea di Omero, ricevono una candidatura all'Oscar e ai
BAFTA per la miglior sceneggiatura non originale, così come similmente accadrà per L'uomo che non c'era (2001),
terza Palma d'Oro e David di Donatello. Nel 2004 dirigono il 'minore' Ladykillers (2004) remake de La signora
omicidi che annovera fra i protagonisti Tom Hanks in un ruolo che fu di Alec Guinness. Decidono poi di
collaborare con altri registi, fra cui Jean-Luc Godard, nella pellicola collettiva, Paris, je t'aime (2006), e
partecipano al mosaico prodotto in onore del 60° festival di Cannes A ciascuno il suo cinema (2007), 60 corti
firmati tra gli altri da David Cronenberg, Jane Campion, Michael Cimino, Lars von Trier, Wim Wenders, Manoel de
Oliveira, Takeshi Kitano, Nanni Moretti, Zhang Yimou, Roman Polanski, Théo Angelopulos e Wong Kar-wai. Presto
tornano al capolavoro: Non è un paese per vecchi (2007) thriller morale con Tommy Lee Jones, Javier Bardem,
Josh Brolin e Woody Harrelson, che vince il Golden Globe per la migliore sceneggiatura e il BAFTA per la miglior
regia. Tornano a temi più leggeri con Burn After Reading (2008) con Brad Pitt e John Malkovich.
Un nuovo ottimo film, con un tocco di autobiografia, è A serious man (2009), due nomination agli Oscar. Nello
stesso anno iniziano a lavorare anche al western Il Grinta (2010), tre nomination agli Oscar.
La parola ai protagonisti
Intervista ai fratelli Coen
Come mai avete deciso di fare un film su questo soggetto?
JC: Siamo sempre stati interessati alla musica di quel periodo, il cosiddetto 'folk revival' della fine degli anni '50,
alla vivace scena musicale che caratterizzava il Village prima che Bob Dylan vi facesse la sua apparizione. Una
musica prodotta ed eseguita durante quella che potrebbe essere definita l'epoca beatnik degli anni '50 e dei
primi anni '60. Quel periodo è durato solo fino ai primissimi anni '60, e la maggior parte della gente non ne sa
niente.
EC: Siamo rimasti particolarmente colpiti da un libro scritto dal musicista folk Dave Van Ronk, incentrato su quegli
anni, “The Mayor of MacDougal Street” 1.E' la biografia di Van Ronk, che aveva cominciato a scrivere lui stesso ma
che non era riuscito a portare atermine prima della sua morte. Il suo amico, il giornalista Elijah Wald, l'ha
praticamente scritta al posto suo. E' infatti più un'intervista a Dave che una sua biografia.
Un giorno Joel mi ha detto: ‘Che ne pensi di questo? Sembra l'inizio di un film... Un cantante folk viene picchiato
nel vicolo dietro il Gerde’s Folk City’. Abbiamo immaginato la scena, e poi abbiamo pensato: ‘perché qualcuno
1 pubblicato in Italia dalla casa editrice BUR Rizzoli con il titolo di “Manhattan Folk Story”.
dovrebbe picchiare un cantante folk ?’ Da quel momento la questione è diventata cercare di farsi venire in mente
una sceneggiatura, un film che funzionasse con quella scena e che spiegasse l'incidente.
Non vi è stato difficile ricostruire quel periodo e quel contesto, vero?
JC: Conoscevamo già abbastanza bene quella musica. Se ami Bob Dylan, come me ed Ethan, non puoi fare a
meno di conoscerla perché Dylan vi ha attinto a piene mani in un modo molto interessante. Ha reinterpretato
quella musica a modo suo. Se vai indietro nel tempo, ti accorgi che fa parte della cultura americana in senso
stretto. Quella musica ha lo stesso tipo di sonorità, la stessa genealogia e lo stesso tipo di canzoni che abbiamo
usato in Fratello, dove sei?
Entrambi siamo da tempo interessati alla musica folk americana. Siamo convinti che il revival del folk negli anni
'50 sia stato in parte un modo per riportare in vita quelle forme musicali tradizionali americane che conosciamo
bene e che abbiamo sempre amato. Gran parte di quella musica è meravigliosa. E, attraverso il passaggio della
sua rivisitazione negli anni '50, si è poi evoluta in quello che pensiamo sia diventato successivamente il genere
'cantautoriale', che è diverso dal folk tradizionale.
Vi interessava insomma il “pre-Dylan”
JC: La gente sa molto più di Bob Dylan, della sua storia e delle sue canzoni che del periodo precedente, perché
Dylan è stato importantissimo, oltre che un grande trasformatore. E' spuntato sulla scena nel 1961 e ha cambiato
tutto.
Che cosa vi ha affascinato di quell'epoca?
EC: Un aspetto è per esempio la ricerca di autenticità che per molti degli artisti folk e dei cantautori emergenti di
quegli anni appariva fondamentale; tutti sembravano condividere la paura di raggiungere il successo e di
cominciare a vendere dischi.
JC: Quando leggi qualcosa su quell'ambiente scopri subito quella fissazione per l'autenticità. Ci sono personaggi
straordinari come Elliot Adnopoz, figlio di un neurochirurgo del Queens, che si faceva chiamare Ramblin’ Jack
Elliot. Nel film c'è un personaggio a lui ispirato, che canta e suona la chitarra, porta un cappello da cowboy e si fa
chiamare Al Cody, ma il cui vero nome è Arthur Milgram.
EC: E poi c'è Dave Van Ronk non era un cantautore. Ha scritto alcune canzoni, ma non era questo il suo specifico.
Gran parte delle canzoni che cantava era composta da brani tradizionali folk, canzoni che potevano essere
interpretate ed eseguite in modi diversi.
Avete voluto ricostruire il suo modo di eseguire i brani?
No, sebbene Llewyn Davis suoni spesso canzoni associate a Van Ronk, come ‘Hang Me’, ‘Dink’s Song ’ e ‘Green
Rocky Road’, l'interpretazione di Oscar Isaac nel film non mira a cercare di riprodurre lo stile di Van Ronk.
Le canzoni di A proposito di Davis nascono dallo stesso ceppo della musica americana che aveva ispirato Fratello,
dove sei?. Il legame con quel film è molto forte?
JC: Volevamo realizzare un altro film che fosse trainato dalla musica, ed è in questo senso che i due film si
somigliano. Tuttavia il modo di presentare la musica nelle due pellicole è estremamente diverso. In questo film
volevamo che venissero eseguite alcune canzoni per intero. Invece in Fratello, dove sei? la musica era usata in
modo più convenzionale. Nella colonna sonora c'erano solo pezzi di canzoni. In questo caso volevamo che le
canzoni fossero presenti per intero. E in effetti il film comincia così. Con Llewyn che canta per tre interi minuti. Ci
piaceva l'idea. Non sai quale sia il contesto, non conosci ancora la storia. Stai solo guardando una performance.
Un legame tra i due film è la collaborazione con il produttore musicale T Bone Burnett: ha fatto parte del
progetto fin dall'inizio, da quando abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura e non sapevamo ancora con
esattezza quale musica ci sarebbe stata. Sapevamo solo che ci sarebbe stato un personaggio che avrebbe
suonato qualcosa. Molto di quello che abbiamo stabilito, e poi scritto nella sceneggiatura, deriva direttamente
dalle nostre chiacchierate con T Bone e dallo scambio di idee avuto con lui.
È vero che per questo film avevate solo un'idea molto vaga della direzione che avrebbe preso la storia?
EC: Non ci capita mai, e non l'abbiamo fatto neanche per questo film, di tracciare una scaletta o di pensare a cosa
succederà dopo, a come si svilupperà la sceneggiatura. Cominciamo scrivendo la prima scena e vediamo dove ci
porta.
JC: In questo caso, però, sapevamo come volevamo che finisse. Una cosa che avevamo deciso fin dall'inizio era
che la storia avesse una struttura circolare. Era un'idea sulla quale non avevamo dubbi, perfino prima che la
storia fosse definita per intero: doveva terminare nel punto in cui era iniziata. E sapevamo anche che si sarebbe
svolta in un lasso di tempo ristretto, più o meno una settimana.
EC: Un'altra cosa che avevamo sempre in mente mentre scrivevamo era decidere quando — per l'esattezza
quando alla fine del film — avremmo fatto capire al pubblico che la storia stava tornando, per così dire, al
presente. Quand'è che il pubblico avrebbe dovuto capire che la storia era come un cerchio che si chiude.
JC: E' solo nell'ultimissima scena, quando torniamo su Llewyn che canta 'Hang Me' al Gaslight, proprio come
all'inizio, che abbiamo inserito alcuni elementi per rendere chiaro al pubblico il fatto che si tratta dello stesso
momento visto all'inizio.
EC: Llewyn avrebbe potuto cantare la stessa canzone in un numero indefinito di serate, visto che fa parte del suo
repertorio. Per cui abbiamo dovuto concentrarci su come rendere chiaro che non si tratta semplicemente di
Llewyn che canta la stessa canzone due volte, ma che quella della fine è esattamente la stessa performance
dell'inizio del film.
LC: La ripresa [di Llewyn che si allontana dal palcoscenico dopo la sua esibizione] non è coperta dalla macchina
da presa così come lo era stata all'inizio, ma nella scena sono presenti gli stessi dialoghi per cui ci si rende conto
di trovarsi di fronte allo stesso evento, ripreso da una diversa angolazione.
I personaggi sono il risultato di un amalgama tra le idee che vi siete fatti su alcuni personaggi realmente esistiti e
quelli frutto della vostra fantasia. Jean e Jim Berkey, per esempio, soprattutto quando si esibiscono con il loro
amico Troy Nelson al Gaslight Café, ricordano molto il trio folk Peter, Paul e Mary.
JC: Infatti nella sceneggiatura abbiamo dato loro da cantare una canzone di Peter, Paul e Mary: ‘500 Miles.
EC: Esisteva davvero un duo chiamato Jim e Jean, ma da questo duo essenzialmente abbiamo tratto ispirazione
solo per i nomi. Non ho idea di che persone fossero. Jim e Jean come appaiono nel film sono una nostra
invenzione. Li abbiamo immaginati come la versione un po' ripulita dei cantanti folk dell'epoca. Per il personaggio
di Roland Turner ci siamo ispirati a New Orleans, alla vecchia scuola, ai tipi del jazz e a Dr. John. Roland è il
risultato della combinazione di diverse figure. Per quanto riguarda Llewyn, si tratta di un personaggio originale,
interamente inventato. Infatti, nonostante il titolo del film faccia riferimento all'album di Van Ronk del 1963,
‘Inside Dave Van Ronk’, il film non parla di Van Ronk. Come Van Ronk, Llewyn proviene dalla classe operaia, ma
per il resto condivide con Van Ronk solo il suo repertorio musicale.
Ci sono aspetti ispirati alla vita di Van Ronk?
EC: Il viaggio di Llewyn a Chicago è vagamente ispirato ad un fatto accaduto a Van Ronk: un'audizione
particolarmente imbarazzante per il notissimo produttore di musica folk Al Grossman (che ha ispirato nella
sceneggiatura il personaggio di Bud Grossman). Ma il viaggio a Chicago non ha una grande importanza nelle
memorie di Van Ronk, mentre noi abbiamo pensato che il film fosse talmente incentrato su New York che un
viaggio avrebbe rappresentato un'utile digressione — lo abbiamo immaginato come un modo per mettere in
rilievo New York in modo interessante. La perdita da parte di Llewyn della sua patente della marina mercantile è
un altro dettaglio che abbiamo preso in prestito dalla vita di Van Ronk, ma tutto il resto è inventato.
Curiosità
Sosta alla Lincoln Oasis
Una delle sequenze più intense del film è certamente quella del viaggio in auto verso Chicago, in compagnia di un
gatto e due bizzarri musicisti, con una sosta in un'area di servizio, una cena frugale e indigesta e per colonna
sonora il rumore delle auto che passano. La scena, ambientata nella Chicago Southland Lincoln Oasis, è un
momento di grande straniamento e forse risveglia i ricordi di viaggio di molti: a chi non è capitato di dover fare
una sosta assonnata nel cuore della notte, magari proprio in un autogrill di quelli sospesi sull'autostrada?
Non è la prima volta che una scena di film americano è ambientata in un'area di servizio della ormai storica
tipologia delle Illinois Tollway Oasis. In The Blues Brothers era toccato alla Des Plaines Oasis, che ha chiuso lo
scorso aprile per demolizione. Le Oasis erano sette (ora sei), quasi tutte costruite come ristoranti-ponti sopra
l'autostrada. Chicago Southland Lincoln Oasis (I-80/294) (Tri-State Tollway) 1 miglio (1.6 km) vicino a South
Holland, Illinois, coordinate 41.57869°N 87.599052°W.
Dave Van Ronk: The Mayor of MacDougal Street.
Conosciuto nel Greenwich Village dei primi ’60 con questo appellativo, fu una delle figure chiave del movimento
folk e beat che sfidava le regole, il sistema e il conformismo musicale e culturale. Il film s'ispira parzialmente alla
sua storia. Chitarra acustica e radici blues, testi politicamente schierati e ballad personali costituivano il substrato
comune. Van Ronk non divenne un’icona di fama mondiale come Dylan, ma è riconosciuto come uno dei padri
fondatori di quella scena non convenzionale: un vero anticonformista da riscoprire.
Gli inediti a firma Mumford & Sons e Bob Dylan
La colonna sonora, curata da T-Bone Burnett, è l'anima del film. Vi si ascoltano esibizioni di Oscar Isaac, Justin
Timberlake, Marcus Mumford, Carey Mulligan e Punch Brothers. Tra gli altri, c'è anche un inedito a firma di Bob
Dylan coprodotto – come gli altri brani – da Marcus Mumford dei Mumford&Sons.
Farewell è il pezzo di Dylan presente nel film, in una versione mai pubblicata e risalente proprio al periodo delle
registrazioni dell’iconica The Times They Are A-Changin’. Un tuffo direttamente nel passato, in quel ricettacolo
folk che rimane il vero deus ex machina dell’intera storia.
Per i Mumford & Sons, invece, parlano i dischi degli ultimi anni: da ensemble busker a gruppo di successo
planetario, rivisitando in chiave pop quelle sonorità country e folk tipicamente statunitensi. Lo stesso Marcus
Mumford è autore della versione inedita del brano Fare Thee Well (Dink’s Song), cantata in duetto con Oscar
Isaac.
Recensioni
Marianna Cappi. Mymovies.it
C'era una volta la capitale indiscussa del folk, quel Greenwich Village a partire dal quale Bob Dylan avrebbe
cambiato la storia della musica. Ma questa storia comincia prima, quando la musica folk è ancora
inconsapevolmente alla vigilia del boom e i ragazzi che la suonano provengono dai sobborghi operai di New York
e sono in cerca di una vita diversa dalla mera esistenza che hanno condotto i loro padri. Llewyn Davis è uno di
questi, un musicista di talento, che dorme sul divano di chi capita, non riesce a guadagnare un soldo e sembra
perseguitato da una sfortuna sfacciata, della quale è in buona parte responsabile.
Anima malinconica e caratteraccio piuttosto rude, Llewyn è rimasto solo, dopo che l'altra metà del suo duo ha
gettato la spugna nel più drastico dei modi, e ha una relazione conflittuale con il successo, condita di ebraici sensi
di colpa, purismo artistico e tendenze autodistruttive. Appartiene alla categoria più fragile e più bella dei
personaggi usciti dalla mente dei fratelli Coen, come Barton Fink o Larry Gopnik (A serious man), così come il film
appare immediatamente come il ritorno ad un progetto più intimo rispetto all'ultimo Il Grinta. E tuttavia A
proposito di Davis, nei confini di uno spazio limitato a pochi ambienti (l'unica possibilità di fuga si rivela un altro
fallimento) e di una sola settimana di tempo (arrotolata in una circolarità tipicamente coeniana), è una
celebrazione dell'arte (...) amara e sentita, tutt'altro che contenuta.
Per quanto il lavoro di rievocazione storica dell'ambiente musicale e degli ambienti in generale (è il 1961, l'anno
di Colazione da Tiffany, qui omaggiato dalle finestre che si aprono sulle scale antincendio e da un gatto senza
nome, destinato a riuscire nell'impresa giusto per far sentire Llewyn ancora più perdente) sia uno dei
protagonisti indiscussi del film, è in un una scena molto diversa che si nasconde il suo cuore. Su un palco in
penombra, senza appigli che non siano una sedia e una chitarra, e ad un certo punto più nemmeno quest'ultima,
Llewyn canta la sua struggente ballata per il produttore. È un momento di emozione pura, al termine del quale, il
potente interlocutore guarda il protagonista e sentenzia: non si fanno soldi con quella roba. E in questa chiusa
comica e micidiale, i Coen dicono tutto, dell'arte e dell'industria, forse anche del loro stesso film, con la consueta
ironia e il consueto cinismo. (...) A proposito di Davis è anche una piccola summa del cinema precedente dei
fratelli di Minneapolis, fatto di incontri enigmatici, facce incredibili, bizzarre riunioni canore attorno ad un
microfono, tragicomici doppi. Perché in due è meglio.
Alberto Crespi. L'Unità
Ve ne abbiamo parlato qualche giorno fa, allargando il discorso al libro Manhattan folk story di Dave Van Ronk cantautore attivo nel Greenwich Village degli anni '60 - al quale liberamente si ispira. Torniamoci, brevemente,
nel giorno dell'uscita: siamo così innamorati di questo nuovo film dei fratelli Coen che non vogliamo perdere
nessuna occasione per spingervi a vederlo. (...) A proposito di Davis è uno dei loro film più personali, profondi e
riusciti, pur nella leggerezza del tono. Insomma: uno dei loro capolavori. Il Davis del film è Llewyn Davis,
folksinger che nel 1961 si arrabatta per salvaguardare la propria integrità artistica nei locali del citato Greenwich
Village, a Manhattan. Nessuno dei tanti cantanti che eseguono brani folk in quell'enclave culturale è ricco: tutti si
arrangiano, tutti inseguono vanamente un contratto discografico o un ingaggio, molti - e il nostro eroe fra loro dormono dove capita e mangiano quando capita. Llewyn, per di più, sembra una calamita di guai: Jean, fidanzata
con il suo amico Jim, è incinta ed è convinta che lui sia il «colpevole» (e sì, qualcosa c'è stato); gli ingaggi
scarseggiano e anche una tragicomica trasferta a Chicago in compagnia di un jazzista pazzo non sortirà nulla di
buono; Jim, il suddetto amico cornuto, invita Llewyn a registrare una canzone con lui e questi non vuole
nemmeno essere pagato perché il pezzo «fa cagare» (ovviamente diventerà un hit); per di più, uscendo dalla casa
degli amici che l'hanno ospitato per una notte, si porta appresso senza volerlo un gatto che diventerà la sua
nemesi. E, ciliegina sulla torta, all'inizio e alla fine del film c'è un tizio nerovestito che lo aspetta in un vicolo per
spaccargli la faccia, mentre nel locale dove si è appena esibito nell'indifferenza generale sta ora suonando un
giovanotto appena arrivato in città, tale Bob Dylan. Toccante ritratto della scena folk anni 60, A proposito di Davis
è divertente e commovente, sprizza genialità da ogni poro. Se amate Dylan e i folksinger Usa, è il film della vostra
vita. Se non li avete mai ascoltati, è il momento di cominciare
Roy Menarini. Mymovies.it
l senso dell'ultimo capolavoro dei fratelli Coen sta tutto in un dialogo. Costretto per un errore a trascinare con sé
il gatto rosso dei padroni di casa, Llewyn telefona all'università dove lavora l'amico e prega la segretaria di
rassicurarlo: "I have the cat". La segretaria non capisce e ripete come in un teatro dell'assurdo "Ok, you are the
cat". E Llewyn insiste: "No, I HAVE the cat!". In verità, lui è il gatto, vero protagonista di questo film. Si chiama,
non a caso, Ulisse, ed è l'unico che ha una casa dove tornare, peraltro dopo essere stato scambiato per un altro
gatto - in uno dei tipici scambi di persona o di oggetti nonsense della filmografia coeniana. Llewyn al massimo
può tornare al primo divano che lo ha ospitato, il resto è una sua personale, malinconica, ridicola e tristissima
Odissea che ruota attorno al nulla, il grande nulla che i Coen narrano da sempre - due autori ormai paragonabili,
come peso nella cultura americana, a Charles Schultz o Art Spiegelman.
Nessuno come i Coen avrebbe potuto comprendere così a fondo il folk pre-Dylan del 1961, il Village (tutt'altro
che euforico o romantico), la rivalità col beat e col jazz rappresentata dalle figure di Roland Turner (alias Doc
Pomus) e del suo accompagnatore/poeta. (...) Persino il folk urbano, di cui Davis (alias Dave Van Ronk) fa parte, è
ben diverso dal folk campagnolo, tanto è vero che a un certo punto il protagonista deluso e alticcio insulta una
simpatica contadina che sta strimpellando una canzone del repertorio provinciale.
Attirandosi le prevedibili ire dei sopravvissuti e dei parenti di quell'epoca, i Coen hanno in verità proceduto con la
consueta spericolatezza nel rimanere a cavallo tra filologia e reinvenzione di sana pianta. Tutta la vicenda ispirata
alle memorie di Van Ronk diventa sì una ricostruzione d'epoca, ma nel contempo vale come rilettura mentale e
filosofica dei rapporti tra musica e società in America. La nostra distribuzione ci permette di vedere A proposito
di Davis pochi giorni dopo la scomparsa di uno dei padri del folk, Pete Seeger, autore di parecchi standard poi
cantati dai gruppi cui si allude nel film dei Coen - basti pensare a If I had a Hammer ripresa poi da Peter, Paul &
Mary (qui Jim, Jean and Troy). Fu tra coloro che cercarono di staccare la spina elettrica di Dylan nel concerto di
Newport del 1965 - secondo alcuni il momento in cui finì simbolicamente anche il Greenwich Village.
E proprio Dylan è il fantasma (infine concreto) che aleggia su tutto il film. Dylan si è sempre prestato a paradossi
di rappresentazione, giocando con la propria identità, anche nel bizzarro film da lui diretto, Renaldo and Clara.
Ma i Coen sembrano più che altro dialogare con Io non sono qui di Todd Haynes e No Direction Home di Martin
Scorsese, trascinando però l'epopea folk pre-menestrello in un ambito di cui appropriarsi, ovvero la leggenda
ebraica (evidente, fin dalla somatica, nelle cene a casa dei Gorfein) e la filosofia, con Wittgenstein e Gödel sullo
sfondo. Toccando imprevisti picchi di commozione e struggimento, i Coen hanno dunque superato se stessi, e
espresso una maestria che sottende un magma di significati e percorsi nascosti, che - nel tempo, rivedendo più
volte A proposito di Davis - scopriremo e sfoglieremo uno dopo l'altro
Peter Bradshaw. The Guardian
Il nuovo film dei fratelli Coen è brillante nella scrittura, magnifico nella recitazione, superbo nella realizzazione.
Una dolce, triste e divertente riflessione sul mondo perduto della musica folk. (...) è soprattutto un film dei
fratelli Coen, pungente come una tazza di caffè nero bollente. È il racconto di una triste settimana nella vita di
Llewyn Davis, aspirante cantastorie nella New York dei primi anni sessanta, periodo in cui ci immergiamo senza
alcuna fatica. La cosa più straziante di Inside Llewyn Davis è una riflessione sul successo e sul fallimento, sul
momento intangibile in cui l’uno si trasforma nell’altro. I Coen ci lasciano il dubbio sul valore della musica di
Llewyn: è brillante e destinata al successo? O ha quel tipo di talento che non gli garantisce il trionfo? Magari è un
precursore. L’imminente successo di Bob Dylan significa che il suo genere di musica finalmente avrà il posto che
merita oppure è un’ulteriore prova schiacciante del suo destino fallimentare? Inside Llewyn Davis procura un
piacere intenso. Uno dei migliori film dei Coen e il migliore visto finora a Cannes.
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
L’ispirazione viene da Manhattan Folk Story (BUR), interessante raccolta di memorie (a cura di Elija Wald) del
cantante-chitarrista newyorkese Dave Van Ronk che, pur non avendo mai conquistato la fama del collega e amico
(almeno della prima ora) Bob Dylan, è considerato uno dei pionieri del rinnovamento del folk. Ma A proposito di
Davis dei Coen è tutt’altra cosa dal libro. È un film personalissimo dove lo spaccato di certa scena culturale e
politica del “Village” è come alluso, o meglio sublimato a livello di atmosfera, di temperie d’epoca tramite un
sotteso tessuto di rimandi (Kerouac, Capote); è una commedia nera giocata nel registro kafkiano congeniale agli
autori e popolata dei loro tipici personaggi: a partire dall’inesistente musicista del titolo, il quale più che a Van
Ronk somiglia a Barton Fink.
(…) Siamo nell’inverno 1961, il luogo è il «Gaslight Café» - storico locale del Greenwich che ora non c’è più - e il
tizio in questione è Llewyn Davis, di cui ci apprestiamo a seguire i vagabondaggi, incluso un inutile viaggio per un
provino a Chicago (sull’auto di uno stralunato John Goodman) e un tentativo abortito di scappare via
imbarcandosi. In crisi per il suicidio del partner, senza un soldo, senza una casa, trasmigrando da un divano
all’altro di conoscenti, Llewyn dissipa il suo talento e brucia amori e amicizie (vedi Carey Mulligan e Justin
Timberlake), senza riuscire a dare un senso alla vita.
Usando uno schema circolare (la fine coincide con l’inizio), i Coen imbastiscono il film in soggettiva sull’inquieto
girare a vuoto del protagonista - a un certo punto con l’ingombrante compagnia di un gatto che dovrebbe
riportare ai proprietari - cosicché la nota dominante è quella onirica (bella fotografia di Bruno DelBonnel). In ogni
caso il quadro resta costantemente irradiato dalla scontrosa umanità di Llewyn che Oscar Isaac (nominato ai
Golden) incarna con padronanza e sensibilità, interpretando lui stesso brani d’epoca arrangiati dal grande T Bone
Burnett.
In Usa il film ha avuto un’uscita di nicchia ed è entrato in gara per gli Oscar solo in due categorie minori, però per
molti (fra cui noi) è uno dei migliori titoli della stagione.