SOMMARIO 3 Mario Fancello RL 4 Mario Fancello Note informative 5 ------------ -------------- Profili biografici: E. Cretella, E. Grillotti, L. Maio, M. Manfredi, C. Pozzani 7 Luigi Maio Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello) 22 Elena Cretella Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello) 32 Max Manfredi Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello) Pozzani Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello) 47 Claudio 54 -----------59 Gianni -------------Milano Commenti imberbi: classe II B La supplente che sa di rosa 63 ------------ -------------- Puntaspilli (a c. di M. Fancello) 69 ------------ -------------- Farfalle metropolitane (a c. di M. Fancello) 70 ------------ -------------- Scheletri nell’armadio (a c. di M. Fancello) Cantarena Anno V – Numero 18 Giugno 2002 Periodicità trimestrale Direzione e redazione Mario Fancello Silvana Masnata Rosangela Piccardo Mirella Tornatore Realizzazione grafica Mario Canepa Mauro Grasso Rosangela Piccardo Produzione e distribuzione in proprio Per contatti ed informazioni Scuola Media Statale V. Centurione Salita inferiore Cataldi, 5 16154 Genova Fax 010 / 6011225 Posta elettronica [email protected] In copertina: P. MÖNNIG, Panik et circenses Rosa Leonardi nella sua galleria, 19-03-‘92 Fotografia: Fabian Knorr Courtesy Galleria Leonardi V-Idea In quarta di copertina: Logo del Festival Internazionale di Poesia Le fotografie raffiguranti gli incontri del laboratorio di poesia sono di M. Fancello COMUNICATO: Ringraziamo per la collaborazione La Federazione Democratici di Sinistra 2 RL La tua, nella mia valutazione, più che una galleria era un alveare, una metafisica casa del viandante, una galassia di giovani e adulti senza età. Qui ti muovevi con scioltezza e disinvoltura intessendo con chiunque ti frequentasse lunghi e severi colloqui d’ordine prettamente etico e culturale. Non misuravi con il bilancino il tempo speso e non lesinavi aiuti a chi si avvicinava all’arte con umiltà. Amo quel divano nero di Sabatino sul quale, seduti, si discorreva affrontando molteplici argomenti che ci vedevano quasi sempre concordi e rare volte in impetuoso dissidio. Ho cara l’atmosfera in cui prendevano vita i progetti didattici e mi pare di vedere ancora adesso l’agenda nera consunta e fitta di nomi d’artisti e di numeri telefonici da cui traevi quello adatto allo scopo. Credevi con fermezza nel valore educativo della scuola, manifestavi inquietudine per i tempi presenti e per lo sbando a cui venivano spesso condannati i giovani. Ti accaloravi per l’insensibilità dimostrata da certe istituzioni preposte alla diffusione dell’arte e non cedevi le armi di fronte alle difficoltà. Nutrivi fiducia e diffidenza ad un tempo nei confronti del futuro e ci confidavi spesso – tra il serio e il faceto – d’avere intenzione di vivere almeno centocinquant’anni per assistere e partecipare al movimento di idee e alle relative conquiste civili. Avevi trasmesso al tuo spazio vitalità culturale, accoglienza, attenzione ai più svariati indirizzi di pensiero, anticonformismo e molto altro. Sei stata per Genova una profonda e salutare boccata d’ossigeno. Ora che non ti ritrovo tutto questo mi manca. 3 NOTE INFORMATIVE Con il contributo della Provincia di Genova Relazioniamo, in questo numero di Cantarena, su una parte del progetto educativo denominato “Interazioni 1”, promosso dalla Media Centurione e sostenuto finanziariamente (nell’anno 20002001) dal Servizio della Pubblica Istruzione della Provincia di Genova. Ci riferiamo espressamente al Laboratorio di poesia curato da Claudio Pozzani (nella prima sezione) e dalla professoressa Emilia Marasco (nella seconda). Hanno partecipato all’esperimento due classi (II B e II C) radunate nell’auditorium della sede. Nell’ambito del primo segmento del laboratorio sono intervenuti il musicattore Luigi Maio (mercoledì 18 aprile 2001), l’artista Elena Cretella (sabato 21 aprile), il cantautore Max Manfredi (martedì 8 maggio) e il poeta Claudio Pozzani (mercoledì 9 maggio 2001 e venerdì 22 febbraio 2002). All’area della seconda fase (di cui daremo notizie più articolate in un successivo numero di Cantarena) hanno preso parte la docente Emilia Marasco, l’artista Franca Zarcone e le studentesse dell’Accademia Ligustica di Belle Arti: Nicla Bozzano, Chiara Cimenti, Stefania Dalla Noce. Il piano didattico (avente per tema riflessioni personali sulla guerra) si è articolato in cinque incontri: una presentazione introduttiva (tenuta in sala video giovedì 21 marzo 2002), quattro giornate di esercitazioni pratiche svolte, quest’ultime, nello spazio della biblioteca scolastica (sabato 23 marzo, giovedì 4 aprile, lunedì 15 aprile) e un appuntamento propedeutico al gioco degli scacchi. Lo stadio conclusivo ha contemplato l’allestimento di una mostra dei lavori realizzati. Gli allievi della III B e della III C (cinquanta complessivamente) sono stati suddivisi in sei gruppi: quattro di otto e due di nove membri. I criteri distributivi hanno fatto in modo che ogni sottoinsieme fosse omogeneo all’esterno ed eterogeneo all’interno e comprendesse (equamente mescolati fra loro) studenti dei due differenti corsi. 4 PROFILI BIOGRAFICI Elena Cretella È nata a Genova il 23.1.’65. Ha frequentato le medie sperimentali, dove si tenevano corsi d’arte ceramica, drammatizzazione, etc. Diplomata alle Magistrali, ha lavorato come Head liner e layouter per un’agenzia di pubblicità. Avendo seguito corsi di uso delle voci di risonanza per il teatro si è dedicata al canto jazz e ha dato concerti con varie band – per dieci anni – in molti club in giro per l’Italia. Contemporaneamente ha frequentato (senza diplomarsi) i corsi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova e ha lavorato nella bottega dello scultore Alfieri. Ritiratasi dall’accademia, ha cominciato ad insegnare nelle scuole dell’infanzia e ad esporre le sue opere. Con Claudio Pozzani e Alessandro Fiorini crea performance musico-poetico-pittoriche e – con loro due – ha fondato il movimento Psicoinformale. Enrico Grillotti È diplomato in pianoforte presso il Conservatorio N. Paganini di Genova. Ha partecipato a corsi di perfezionamento in musica da camera, pianoforte, direzione d’orchestra. La sua intensa attività concertistica come solista, in duo e in varie formazioni, si svolge in Italia e all’estero, dove ha partecipato, tra gli altri, al Helgenaes Kultur Festival in Danimarca. È inoltre maestro accompagnatore in varie accademie e corsi e svolge un’importante attività di relatore-esecutore in numerosi convegni. 5 Luigi Maio Nato a Genova nel 1965, è un personaggio poliedrico. Musicista, attore e compositore, esponente di quel genere di espressione da lui stesso definito Teatro Sinfonico, Maio ha collaborato con il Carlo Felice Ensemble, Milano Classica, I Solisti della Scala e con prestigiosi direttori d’orchestra. Tra i suoi spettacoli più importanti vi sono alcune rivisitazioni quali l’Histoire du soldat, I musicanti di Brema, Pierino e il lupo, Babar l’elefantino che hanno imposto Maio all’attenzione della critica. Attento alle tematiche ed alla letteratura del Novecento, ha scritto Vespe d’artificio, sul teatro futurista, e Le canzoni di Mefisto, prodotto dal Carlo Felice di Genova e trasmesso su TELE+. Il musicattore Maio è stato anche oggetto di una tesi di laurea. Max Manfredi Autore, musicista e interprete del tutto originale dei suoi pezzi. Le sue radici sono innumerevoli: fado, tango, chanson francese, influssi mitteleuropei, nostalgie mediterranee, senza dimenticare la sua città natale, Genova: il tutto filtrato da una sensibilità dall’autonomia a tratti allarmante. Ha partecipato varie volte al Premio Tenco, ottenendo il riconoscimento per il miglior debutto nel 1990. ha realizzato tre CD, Le parole del gatto (1990), Cantare in italiano (1994) e L’intagliatore di santi (2001). Claudio Pozzani Claudio Pozzani è nato a Genova nel 1961. Poeta, narratore e musicista, è apprezzato in Italia e all'estero per le sue performance poetiche che ha effettuato nei più importanti festival letterari a livello internazionale come quelli di Medellin (Colombia), Rosario (Argentina), Struga (Macedonia), Montreal (Canada), Vienna, Parigi, Barcellona, Zurigo, Bratislava, Ljubliana, Pietroburgo, Zagabria e in Saloni del Libro importanti quali Torino, Parigi e Francoforte. Le sue poesie sono tradotte in oltre 10 lingue e sono comparse in importanti antologie e riviste di poesia internazionale contemporanea. Claudio Pozzani è nella Commissione Poesia dell'Unesco. L'ultima raccolta di versi è un'edizione bilingue (italiano-francese) dal titolo Saudade & Spleen, edita nel 2001 dalle Editions Lanore di Parigi. Come narratore, ha pubblicato i romanzi Angolazioni Temporali, Kate ed Io e la raccolta Racconti dai Piedi Freddi. Nel 2002 è uscito in Francia per le edizioni La Passe du Vent il romanzo Kate et Moi. Nel 1983 ha fondato il Circolo dei Viaggiatori nel Tempo, un'associazione culturale che dirige tuttora e che si occupa di arte e in particolare di poesia e letteratura, organizzando manifestazioni internazionali in Italia e all'estero. Tra queste, il Festival Internazionale di Poesia di Genova, la Semaine Poétique di Parigi, l’Helsinki Runo Festival, Brugge Poésie e il Lago delle Muse sul Lago di Garda. Nel 2001 ha creato la Casa Internazionale di Poesia sita a Palazzo Ducale a Genova Come musicista ha fondato nel 1986 il gruppo rock Cinano, con il quale ha realizzato due LP e numerose tournée in Italia ed Europa, e che fu inserito nell'Enciclopedia della Musica Italiana curata da Renzo Arbore. Dal 1990 è il direttore e compositore dell’Orchestra Eczema, un ensemble di musica rumorsinfonica che ha effettuato numerosi concerti in Europa e prodotto 4 videoclip. Per le sue attività culturali e le sue performance artistiche, il grande poeta e drammaturgo Fernando Arrabal l'ha definito "maestro dell'invisibile, aizzatore di sogni, ladro di fuoco: il suo cuore danza nell'alcova festante". 6 TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO L U I G I M A I O Legenda LM EG CP RR CA FA MP II MF - Luigi Maio Enrico Grillotti Claudio Pozzani Alunni appartenenti alle classi II B e II C Carlo, allievo della II C Francesca, allieva della II C Mirko, allievo della II B Insegnanti coinvolti nell’attività di laboratorio Mario Fancello, insegnante di Artistica in II B [Mancano alcune battute iniziali non documentate in registrazione audio]. - LM – […] applaudire gli altri. Fatemi un applauso! Oh! RR – [Applaudono]. LM – Ebbene oggi parleremo di un qualcosa collegato alla musica, collegato alla poesia, collegato al teatro, collegato al Teatro Musicale da Camera. A quanti di voi piace il rap? RR – [Risponde uno degli allievi che effettuano la videoripresa] A me. LM – Ecco il cameraman ha già espresso il suo parere. Voi alzate la mano. Vedo praticamente tutti, qualcuno no. Ma non siete obbligati ad amare il rap. Dimmi tu, vieni qui [vicino al microfono], fate un applauso al vostro collega. RR – [Applaudono e si mettono subito a gridare per tifare ironicamente]. LM – Allora spiega ai tuoi compagni … Innanzitutto come ti chiami? CA – Carlo* [Omettiamo il cognome dell’alunno]. LM – Come? CA – Carlo*. 7 Alunni di II B e II C in auditorium. A destra B*, uno degli allievi che effettuano la ripresa video. - - LM – Carlo*. Allora caro Carlo dimmi cos’è che ti piace del rap? Qual è la prima cosa che ti viene in mente pensando al rap? CA – La musica. LM – Sì, ma è una musica alquanto particolare. Di solito la musica può essere eseguita da più strumenti, da un pianoforte, da un’orchestra, da un cantante assieme all’orchestra. In questo caso si canta? CA – Sì. RR – [Uno dice] No. LM – Sììì? Chi è che ha detto no? Aaah! Vieni vieni vieni. Ecco. Applauso. RR – [Applaudono]. LM – Un applauso anche per la professoressa Giusi e le nostre due bellissime professoresse laggiù in fondo, RR – [Battono le mani]. LM – che peraltro, Giuseppina, Giusi come Giuseppina – giusto? – ecco, un nome non fu mai così appropriato, soprattutto nel 2001, perché Giuseppina Strepponi è un nome legato a quello di Giuseppe Verdi; be’, qualcuno di voi sa chi è? Chi conosce Giuseppe Verdi? RR – [Uno dice] Chi è? LM – Nessuno conosce Giuseppe Verdi! RR – [Parlano]. LM – Alzi la mano chi lo conosce. Non interrogo, eh! Ah, bene. Qualcuno, uno o due. Chi era Giuseppe Verdi? Era un musicista, un compositore. Ecco, bravo, bravissimo. Un applauso perché ha risposto. RR – [Applaudono e gridano]. 8 Il maestro Enrico Grillotti (a sinistra) e il musicattore Luigi Maio (a destra). 9 - - - - LM – Bene, tu sai che nel 2001 Genova celebra Giuseppe Verdi proprio perché nel 1901 Giuseppe Verdi – ahimè – morì, lasciandoci in eredità opere, arie e marce celebri; una di queste (be’, la conoscete senz’altro) … [Si mette a cantarla]. Questa era l’Aida, va be’, l’ho cantata a modo mio (da come l’ho cantata, più che l’Aida era laida …), dopo questa scemata passiamo la parola alla vostra amica che si chiama? FA – Francesca* LM – Francesca? FA – [Ripete il cognome]. LM – [Ripete il cognome], ecco, allora la nostra Francesca vuole ovviamente chiarire al nostro amico – qui – Carlo, ecco, che cosa? FA – Eh, che praticamente non è che cantano; parlano. LM – Parlano, esatto; allora quale relazione può esserci con la musica? RR – [Alcuni “sogghignano”rumorosamente. Poi uno dice] Eccolo! LM – Eccolo! Ecco che Carlo ha avuto un guizzo negli occhi! CA – L’espressione. LM – L’espressione, nonché il …? RR – [Uno dice il ritmo]. FA – Il rap. LM – Il rap, lei ha detto il rap. Chi ha detto ritmo? Giusto, giustissimo, un applauso al nostro amico. RR – [Applausi e grida]. LM – Allora, mi state applaudendo (accidenti): questo è un modo di essere protagonisti! Effettivamente il pubblico, quando va ad assistere a un concerto, a uno spettacolo, spesso non si rende conto di essere un protagonista importante, perché, mentre la platea è formata da un insieme di persone che osservano sulla scena pochi attori esibirsi (in certi casi uno solo sul palco se abbiamo un monologo), viceversa l’attore, il cantante, il musicista, sul palcoscenico, diventa anch’esso pubblico, perché a sua volta guarda la platea e spesso riesce a vedere quello che sbadiglia, quello che sorride, quello che si scaccola, ehem, volevo dire … RR – [Ridono]. LM – va be’, no, niente, scusate, mi è sfuggita; ormai siamo abituati talmente al cinema e a vedere un film sapendo che Mel Gibson non ci potrà vedere mentre siamo lì che ci grattiamo; invece l’attore, il cantante, il musicista – be’ – sono personaggi reali, in carne ed ossa, e si divertono assieme a voi; quindi la bellezza del teatro è vivere un protagonismo duplice da parte di chi sta sul palcoscenico ma anche da parte di chi sta seduto creando a sua volta uno spettacolo sempre diverso per l’attore; quest’ultimo non vede l’ora di osservare gente nuova e divertirsi. Ma torniamo adesso – senza divagare – ai nostri amici; abbiamo visto che nel rap c’è espressione, interpretazione, ritmo e musica e secondo voi è un’espressione moderna, contemporanea (perché poi con moderno bisognerebbe approfondire il discorso). É il rap una creazione recente alquanto trendy – come si dice adesso – ? FA – Sì. LM – E certo, apparentemente sì, e secondo te invece? CA – Boh. LM – Boh. La risposta giusta secondo voi qual è? RR – [Parlano]. LM – [Indicando] La sua risposta o la sua in questo momento? RR – [Rispondono]. LM – Di Francesca? E invece credo che la risposta più giusta l’abbia data Carlo. RR – Eeehhh! 10 - - - - LM – Sì, perché effettivamente il rap non ha tirato fuori nulla di nuovo, in quanto la recitazione ritmata, e quindi non più il canto [si mette a cantare per fornirne un esempio], la parola detta, in questo caso diventa musica e ora vi spiego perché. Il rap è stato inventato in un certo qual modo da un signore con un nome difficilissimo, io riesco a dirlo, in generale i nomi difficili non mi vengono in mente e non riesco nemmeno a dirli però si chiamava Igor Sravinskij, alla faccia! Un nome che riempie la bocca alquanto. Be’, Igor Stravinskij è stato colui che nel 1918, quindi ai tempi dei nostri nonni e bisnonni, in piena prima guerra mondiale, concepì una specie di teatro fatto con poche cose e con pochi soldi e che potesse divertire tutti, che parlasse di favole, che potesse piacere quindi ai bambini, ai ragazzi, ai giovani un po’ più grandicelli, agli adulti e – perché no? – anche ai vecchietti; questa è una cosa importantissima, in genere adesso si tende sempre a fare degli spettacoli che possano piacere soltanto ai ragazzini, agli adulti e non si pensa mai che uno spettacolo solo possa parlare a tutte le età. Quindi intanto mandiamo a posto i nostri due grandi interpreti, hanno vinto forse un sacco di soldi, io non lo so, questo poi bisogna chiederlo alla Centurione. Bene, adesso vi presento il maestro Enrico Grillotti. RR – [Applaudono]. LM – Alzati, alzati. RR – [Continuano gli applausi]. LM – Ora stai seduto che mi fai sembrare più basso di quello che sono! Allora, perché maestro? Qua siamo alle medie – è giusto? – e quindi alle medie dovrebbero esserci dei professori, e che ci fa qui un maestro? Ma perché è un maestro di piano! E perché un certo tipo di teatro che può aver anticipato il rap (un genere teatrale che io porto in scena) si chiama Teatro da Camera? Guardate quante domande che vi faccio adesso; direte: <<Maledetto! Pensavamo di venire qua a non far più lezione, a vedere qualche cosa di interessante e invece questo ci fa tante domande!>> Allora l’ultima domanda che vi faccio è questa: Si chiama Teatro da Camera perché si fa in camera? RR – [Uno azzarda un no] No. LM – Perché è trasmesso in TV? Perché ripreso dalla videocamera? Eccola la videocamera [indica la strumentazione installata per videoregistrare l’evento didattico], vedete che bella? Fa vedere, fa vedere bene, torna indietro, [risata sonora di Luigi], ciao. Eh, son sciocco, non fateci caso. Come mai si chiama da “camera”? perché per la prima volta Igor Stravinskij si accorge che la gente non riusciva più a percepire un dramma attraverso il canto lirico dove le parole sono difficili da capire, bisognava che la musica fosse unita alla parola recitata, come un rap, quindi in realtà la musica diventa espressione del rumore dei passi del cattivo che si avvicina con un coltellaccio [interpreta con la mimica, con la postura del corpo e voce “femminile” la paura del personaggio in oggetto] alla vittima, una bella signorina che ha tanta paura, ed ecco che un bel flauto comincia a fare piripì piripì piripì per dire che la bella ha la tremarella oppure potrebbe essere uno squillo di tromba [voce reboante] perché l’eroe arriva con tanto di spada a sconfiggere il malvagio. Ma [torna alla sua intonazione normale] nel teatro da camera il buono e il cattivo non sempre sono distinguibili in quanto uno diventa a volte buono e l’altro, viceversa, diventa malvagio come nel caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde. Chi conosce questa storia? Chi conosce la vicenda del Dottor Jekyll? Laggiù, alzati, alzati amico mio, di’ il tuo nome e cognome e anche un soprannome, quello che vuoi. Come ti chiami? MP – Mirko LM – Mirko. Di cognome? MP – [Risponde]. LM – E di soprannome? MP – Parigi. 11 - - LM – Parigi. Un applauso per Parigi. Io sono Luigi. Vieni Parigi, vieni verso Luigi.[Mirko dal fondo dell’aula si avvicina al microfono da cui Maio dilata e diffonde la sua voce]. RR – [Applaudono]. LM – Dimmi, caro Parigi, avete la mensa scolastica? MF – No. LM – Allora, Parigi non vale una mensa. Va bene, va be’, questa è una scemata, va bene, d’accordo. Senti, caro il mio Parigi, di che cosa parla il Dottor Jekyll e Mister Hyde? Raccontalo un attimo ai tuoi amici. MP – Parla di uno scienziato che fa esperimenti strani con formule magiche. A un certo punto ne inventa una, la beve e diventa un mostro schizofrenico. RR - [Ridono]. LM – Ecco la parola giusta: schizofrenia, no? Abbiamo trovato un’altra parola chiave, il dualismo, – no? – lo sdoppiamento. Anche il teatro musicale da camera è un teatro in un certo qual modo schizofrenico, perché abbiamo due realtà: quella della recitazione e quella musicale, anche pianistica. Ma adesso ho parlato troppo. Tu rimani qui e ascolta il nostro maestro che ci fa sentire qualcosa, una cosa qualsiasi a memoria; esegua maestro qualche cosa per i nostri amici. Non mi guardi con odio: “qualsiasi” cosa. EG – [Inizia a suonare un pezzo al pianoforte]. LM – No, quello lo sentiamo un’altra volta. Non lo so; un pezzo classico. EG – [Fa dei cenni d’intesa]. LM – E va bene, d’accordo, sì. EG – [Comincia a suonare]. LM – Ma non con me, da solo. EG – [Continua a suonare]. LM – Ecco, facci sentire Grieg un attimo; non subito Stravinskij perché è già un po’ più complesso. Tatàtira tatatà … [Canticchia il tema di Grieg: “Nell’Antro del Re della Montagna”]. EG – [Suona]. LM – Esatto. EG – [Suona]. LM – Voi avete già sentito questa musica ultimamente perché qualcuno l’ha anche adattata come brano tipo disco-music, rock o qualcosa del genere; io non me ne intendo. Comunque questo è un brano classico. Questo per dimostrarvi come la musica rock e la musica leggera dipendano anche dalla musica classica. Questo è L’Antro del Re della Montagna, cioè, praticamente, la musica legata ai Troll. Chi li conosce questi esseri strani? Ahhh! [Ghigna]. Carlo sa tutto. Anche tu? Perché il Dottor Jekyll, in un certo qual modo, bevendo quell’intruglio, tira fuori il lato bestiale e malvagio dell’essere umano, quindi schizofrenicamente il Dottor Jekyll, che è l’uomo più buono di questa terra perché è un dottore, perché aiuta il prossimo, perché ti assiste anche quando non hai diritto alla mutua, lui, inglesi, stranieri, lui fa del bene a tutti, eppure, dentro di sé, questo dottore sa che per essere rispettato dalla collettività, da tutti gli altri, lui non può permettersi – ad esempio – di andarsene la sera in discoteca, in un night, a vedere uno spettacolo un po’ scollacciato, a vedere uno spogliarello, e va be’, è un uomo anche lui, anche lui potrebbe farlo perché è a posto con se stesso, sa che fa del bene agli altri; ma la morale pubblica glielo impedisce, allora dentro di sé il Dottor Jekyll continua a rimuovere, rimuovere, rimuovere l’aspetto mostruoso di sé, quello che in origine poteva essere semplicemente il suo aspetto fanciullesco e piano piano diventa un mostro, un Troll, e questo mostro esce fuori attraverso una pozione, questa pozione fatta con delle polverine particolari; queste polverine sono diventate particolari attraverso una serie di impurità, di elementi che per errore erano caduti nella polvere. Quando il Dottor Jekyll 12 ha esaurito la scorta della polvere impura, scopre che non può più ritornare umano, e il Dottor Jekyll è costretto a scegliere <<devo rimanere in vita come mostro o uccidermi e quindi pagarla una volta per sempre?>> anche perché Mister Hyde (da to hide – nascondere – quindi ecco la parola, l’importanza della parola, il gioco di parole, hide: nascondere – dall’inglese – e Mister Hyde è colui che Jekyll ha nascosto dentro di sé per tanto tempo) – be’ – Mister Hyde esce fuori, ruggisce e uccide tutti quelli che incontra sul suo cammino. Bene, però è difficile poi dire se Mister Hyde sia stato vittima del Dottor Jekyll o Jekyll vittima di Mister Hyde. Con questo racconto si aprono il romanzo, la poesia e il teatro del Novecento, dove non esistono più il bene e il male assoluti, esiste soltanto una miscela delle due simile alla polvere impura. Bene, mandiamo a posto il nostro Mirko, mandiamolo a Parigi, caro Parigi; un applauso. Luigi dietro al leggio e dietro a Luigi un disegno di sua mano – alla lavagna – che simbolizza il Teatro da Camera. - RR – [Applaudono]. LM – Sei un appassionato del genere horror? MP – Sììì. LM – Quali altri generi ti piacciono? MP – Avventura, comici. LM – E parlando dell’horror, all’interno dell’horror-or-or-or, quale altro film ti piace oltre a Jekyll e Hyde? MP – Nightmare, démoni, vampiri LM – Diavoli soprattutto. Ecco. Be’, quasi tutto il Teatro da Camera è incentrato sulla figura del Diavolo [risata diabolica]. A posto, grazie. E quindi [ride] adesso, dopo questa lunga introduzione, passiamo all’esempio pratico. In che cosa consiste allora questo Teatro Musicale da Camera? Ebbene un esempio molto semplice ce lo dà un’opera importantissima e conosciutissima Pierino e il lupo. Voi conoscerete di certo questa favola musicale. Chi mai l’ha vista a teatro? Chi è mai andato a vedere e a sentire questa fiaba? Nessuno? Allora è interessante poter adesso averne un piccolo assaggio. I 13 - - bambini, i ragazzi della vostra età, nel 1936 avevano una certa difficoltà a poter assistere a un’opera, un’opera sinfonica, orchestrale ad esempio; adesso invece la TV trasmette – anche a volte all’impazzata – concerti rock, concerti di musica leggera e pochi, pochissimi, concerti sinfonici, però quei pochi concerti sinfonici sono sempre una buona occasione per farvi un’idea. Ogni tanto vi può capitare di vedere un direttore – con la bacchetta – che dirige, perché voi avete la televisione in casa, ma nel 1936 in Russia la povertà era estrema. Figuriamoci avere la TV! Prokof’ev decide di scrivere per le scuole una fiaba musicale, dove appunto un bambino riesce a catturare con l’aiuto di qualche animale (quale un gatto, un uccellino e un’anatra) il terribile lupo. Il personaggio che si oppone a tutto questo è il nonno di Pierino. Il tentativo è quello di dimostrare che ogni strumento dell’orchestra, ogni strumento musicale, esprime un personaggio. Da lì è molto facile arrivare a pensare che ogni strumento orchestrale attraverso il suo colore particolare, il suo timbro, possa esprimere anche un sentimento, il sentimento del compositore. Quindi, con questa favola, i bambini hanno avuto la visione di che cosa poteva essere il fagotto, il clarinetto; il fagotto per il nonno perché è uno strumento che borbotta, il clarinetto per il gatto ché è uno strumento già più insinuante, il flauto per l’uccellino, il lupo addirittura viene espresso da tre corni, e ovviamente Pierino da tutti gli archi. Ora, in questo caso, abbiamo l’ausilio del pianoforte e per farvi capire l’importanza della interazione tra voce e musica arriveremo proprio a recitare una piccola parte di un testo che ho scritto volutamente in rima perché la favola di Pierino e il Lupo ora la conoscono quasi tutti ed è una favola che in origine non aveva l’esigenza di divertire i bambini, il testo era concepito come un supporto per far conoscere l’orchestra, ma ormai i ragazzi vogliono un testo completo. La rima è importantissima. La rima è espressione poetica e virtuosistica, solo che a volte può essere anche disarcionata da una metrica regolare. Ma arriveremo dopo a questo anche facendovi delle domande, eh, state attenti – eh – che adesso vi interrogo tutti, eh; sono sadico [risata malvagia], be’, faccio il Diavolo … Adesso parliamo però di questo Pierino e il Lupo, quindi cominciamo. La favola è iniziata, Pierino sta chiacchierando con un uccellino, l’uccellino a un certo punto litiga con l’anitra perché dice <<Saresti un uccello? Ché non sai volare?>> e l’anitra invece gli risponde <<Saresti un uccello? Ché non sai nuotare?>> e i due cominciano a litigare e la musica esprime lo svolazzare dell’uccellino e il litigio – qua qua qua – della papera. [Grillotti prende a suonare e Maio a recitare. Al termine Luigi Precisa] Ecco questo è Pierino e il Lupo; un bell’applauso per il nostro pianista. RR – [Applaudono ammirati]. LM – Allora – come vedete – la relazione, anzi, scusate un attimo, bevo un goccio d’acqua, eh, scusate. RR – [Si crea una sorta d’intervallo]. LM – Bene, bene, bene, cari ragazzi abbiamo fatto un attimo di pausa anche perché mi sono accorto che non avevo pile nel registratore. Lì era tutto sciancato il cavalletto [che sosteneva la videocamera]. Ah, ma adesso i nostri operatori, bravissimi e capaci, hanno risolto il problema. Ora sembra che sia sbilenca dall’altra parte, va be’, fa lo stesso, e va be’, è sbilenca, che ci possiamo fare? Altro esempio di Teatro Musicale da Camera è stato dato da uno dei più grandi comici italiani che si chiamava Ettore Petrolini. Ettore Petrolini lo si può anche associare a un personaggio che voi conoscerete sicuramente, divenuto un personaggio dei fumetti anche se originariamente era uno dei comici più irresistibili del cinema americano: Groucho. Chi conosce Groucho? Ma possibile? Non avete mai letto Dylan Dog? RR – [Rispondono senza che si senta in registrazione. Si ode la voce di uno che dice] Io no. LM – E tu leggevi Dylan Dog? Ah, adesso no, sei grande. Tu lo leggi ancora invece. 14 Luigi Maio interpreta uno dei suoi pezzi di bravura dinanzi agli studenti della Centurione. - RR – No. 15 - LM – No! Basta! Eh [ride]. Era l’aiutante di Dylan Dog. Comunque Groucho Marx è stato uno dei più grandi comici americani. Petrolini invece è il grande comico che sbeffeggiava il Futurismo. Il Futurismo era un modo per rivoluzionare la poesia, la musica, facendo ricorso anche a questa sorta di rap in quanto distruggeva la metrica. Che cos’è la metrica poetica? Che cosa vi fa pensare la parola “metrica”? a che cosa la potreste associare? [Termina il nastro dal lato A]. - - - - LM – … nella Histoire du Soldat, il diavolo dona un libro magico a un soldato, il quale comincia a leggere questo volume che parla delle quotazioni di borsa. Sapete che cosa sono? Le quotazioni di borsa sono quelle che vi fanno diventare ricchi. Se tu sai che le azioni saliranno, investi su quelle azioni con del denaro; se tu sai che le azioni caleranno, non investi denaro ovviamente perché se no perdi e allora devi vendere tutto. Ebbene il libro del soldato parla delle quotazioni di borsa tre giorni in anticipo e il soldato diventa l’uomo più ricco del mondo grazie al libro che “parla” tutte le lingue; può leggere “a termine, a vista, borsa valori di sabato 31”, può leggere anche in francese “à terme, à vue, cote du change, bourse valeur de samedì trente et un”, oppure può anche leggere in greco moderno ΤΟ ΜΑΤΙΚΟ ΒΙΒΛΙΟ ΤΟΥ ΑΠΟΚΑΛΙΠΤΕΙ ΤΑ ΜΙΣΤΙΚΑ ΤΟΥ ΧΡΗΜΑΤΙΣΤΗΡΕΙΟΥ. Certo avete capito che effettivamente con un’altra lingua forse è difficile comprendere il significato globale, ma la musicalità è la stessa. Che cos’è cambiato? Sono cambiate le parole, ma il ritmo e le assonanze sono suppergiù le stesse; questo è il potere della metrica, questo è il potere della musicalità insita nel verso; se a questa aggiungiamo la musica stessa, il Teatro Musicale da Camera può diventare un concerto spettacolare o uno spettacolo concertistico. Possiamo vedere ad esempio – grazie alla musica della Marcia del Soldato – questi che si dirige verso il Diavolo, senza ovviamente comprendere che il vecchietto che gli ha dato il libro al posto del violino sia proprio il Demonio in persona. EG – [Suona al pianoforte]. LM – [Recita un pezzo]. Questa musica particolare, quasi violenta, è stata ora eseguita col pianoforte, immaginatevi: con sette strumenti musicali esprime la stanchezza del Soldato e la sua gioia nel ritornare a casa. Il Soldato che cosa fa? Passa tre giorni in casa del Vecchio e diventa ricchissimo. Torna a casa dopo tre giorni e nessuno lo riconosce più. Accidentaccio, lui rimane sconvolto. Erano passati tre anni! [Riprende a recitare, a cantare e a riassumere pezzi de L’Histoire du Soldat. A un certo punto interrompe il racconto per dire] Sennonché il Diavolo lancia una maledizione. Ma prima di sentire la canzone del Diavolo vediamo un attimo che cosa ci può dire in questo caso il nostro Claudio Pozzani che è qui presente tra noi. Vieni. Vieni Claudio. Vieni un attimo. Soltanto un applauso. Vieni qui, vieni qui. [Claudio era arrivato proprio allora]. RR – [Applaudono]. LM – Sì, aspetta, Claudio parla un attimo ai nostri amici e vieni anche tu qua Enrico. Eccoci qua. CP – Bene. Io ringrazio tutti voi di essere qui. Grazie al professor Fancello e agli altri suoi colleghi. Maio e il suo pianista sono venuti qua nell’ambito di un esperimento anche che stiamo facendo con questa Scuola, ossia riuscire a dimostrare che la poesia è comunque una forma d’arte che può essere sposata a molte altre forme artistiche. Oggi avete visto musica e teatro; la prossima volta vedrete anche poesia e arti visive e poi infine poesia e canzoni d’autore. Quindi questo qua è il primo di questi appuntamenti. Mi sembra che sta riuscendo bene visto che lui è un vecchio gaglioffo de… [sta per avvicinarsi a lui] LM – Attento, ché son sudato fradicio. 16 - - - - CP – E lo so. Comunque questo personaggio – che è piccolo – in effetti è un grande artista; lo conoscono ormai in tutta Europa, perché lui viaggia anche col Teatro della Scala, il Teatro Carlo Felice, e quindi anche se piccolino nasconde un grande artista. LM – Grazie. Allora un applauso invece a lui che è alto e grande ugualmente. E con il grande Claudio siamo riusciti a creare una sorta di miracolo; ad esempio, l’ultima volta, quando abbiamo dovuto allestire uno spettacolo teatrale in uno spazio legato al teatro (pur non essendo il teatro vero e proprio in quanto lo spazio era quello del foyer del Teatro della Corte e il foyer è come l’ingresso della vostra scuola, non è per di se stesso un teatro) siamo riusciti ad avere pianista, pianoforte, palcoscenico, musicattore sul palcoscenico e Claudio Pozzani che aveva presentato la serata con la sua solita ed elegante verve. E questi miracoli si possono fare nel momento in cui il Teatro da Camera è costituito da pochi elementi, costa poco, basta un pianoforte, basta un pianista, basta un vero musicattore e tanta voglia di divertimento e di divertirci assieme, ma ci vuole principalmente il pubblico e il pubblico deve essere sempre tanto e numeroso. Chiediamo invece al nostro Maestro quali sono le caratteristiche principali di un musicista che debba però avere a che fare con il teatro e con il Musicattore, cioè un attore che sia anche musicista tanto da poter amalgamare i due momenti, quelli drammaturgici e quelli concertistici. EG – Beh, bisogna avere un grande senso del teatro, cioè sapere qual è la situazione e trovarla subito, cioè rispondere con la musica, quindi con quella che è la nostra arma, e sapersi inserire in questo discorso che porta avanti invece la voce recitante e cantante; quindi praticamente bisogna azzeccare sempre i tempi giusti, è molto difficile perché basta un millesimo di secondo fuori e salta tutto; infatti è una carogna e nelle prove mi distrugge sempre, perché [sogghigna] … No, non è vero. Non è vero, è bravissimo. Bisogna essere molto attenti al momento, al momento giusto, l’intensità giusta, il suono giusto. È difficile, però è bellissimo. LM – Allora un bell’applauso anche al fondamentale Maestro Enrico Grillotti e adesso passiamo alla Maledizione del Diavolo di cui vi avevo detto. Il Diavolo viene gettato fuori dal castello … [Prosegue il riassunto e poi precisa] Quello che sentiamo ora è il primo esempio di rap nella storia della musica in quanto nasce nel 1918 con La Storia del Soldato. [Riprende a cantare]. Questa è la canzone del Diavolo. L’elemento ritmico ossessivo è apparentemente regolare, ma abbiamo diverse battute, una battuta è di due ottavi, quindi un due; quella dopo: cinque quarti, un due tre tre quattro cinque. Quindi è particolare questo ritmo; è stato definito Cubismo Musicale. Chi conosce il Cubismo pittorico di Picasso ad esempio? MF – [Intervengo per dire che le classi sono di seconda media e in questo anno non affrontano lo studio del Novecento]. LM – Ah, allora bene; se siete di seconda media non è detto però che non possiate comprendere l’essenza divertente del Cubismo che fra qualche anno conoscerete di persona. Alcuni di voi avranno forse visto sfogliando un giornale qualche quadro dove c’è un naso qui, un occhio lì, la bocca là, la narice destra là a sinistra e quella di sinistra là a destra, il piede sinistro nella scapola destra, insomma tutto un problema – diciamo – ortopedico, ecco. Questo è il Cubismo. Perché? Perché il senso del Cubismo era questo: il naso è qui e l’occhio è lì perché nel frattempo il soggetto che viene ritratto nel quadro ha compiuto un movimento, quindi noi abbiamo fissato l’immagine del naso di profilo e abbiamo fissato l’occhio frontalmente attraverso uno spostamento, quindi oltre alla terza dimensione abbiamo anche la quarta dimensione, quella temporale, quella del tempo. Nella musica succede altrettanto. Se cambiamo ogni volta la battuta, il tempo della battuta, avremo un continuo rovesciamento di piani come quando marciavo e recitavo cantando la Marcia del Soldato che a un certo punto TÀ mi son messo di profilo, quasi fossi stato un egiziano, per suggerire questo ribaltamento costante dal punto di vista 17 - - figurativo, dal punto di vista musicale, ma anche dal punto di vista testuale; ormai voi non siete più obbligati, scrivendo una poesia, a fare tatà tatà tatatà e quello dopo deve essere altrettanto tatatì tatìta tatà. Non è detto. Voi potreste non essere legati a costanti endecasillabi o altro, nooo, voi potete scombinare tutto. L’importante è che tutto segua – abbia – un senso logico; ad esempio Façade, il primo esempio di Teatro da Camera inglese era composto da una serie di poesie di una grande poetessa: Edith Sitwell, la quale aveva per esempio concepito una serie di poesie di questo tipo: la “Tarantella” [Riprende a recitare]. Una corsa velocissima, spasmodica, all’interno della musica e all’interno del testo. Qualcuno di voi avrà visto L’Attimo Fuggente, quello con Roby Williams, non so quanti di voi possano averlo visto. Qualcuno di voi l’ha visto? RR – [Rispondono]. LM – Ecco, quello è un film abbastanza particolare perché l’entusiasmo dell’insegnante era plausibile in quanto aveva una classe di ragazzi svegli, come voi; anzi originariamente i ragazzi erano alquanto apatici, il professore doveva risvegliare l’interesse per la poesia; beh, nel vostro caso mi sembra invece proprio il contrario, qua bisogna anche trattenervi perché siete entusiasti e siete una potenza, quindi penso che i vostri insegnanti debbano con voi sgobbare molto, però devono essere anche molto contenti perché date loro molta soddisfazione, perché avete … l’entusiasmo … I I – [Dicono qualcosa]. LM – Nooo? E no, io penso di sì. Date soddisfazione? I I – Sììì. LM – Aaah, danno soddisfazione. Vedete come sono modesti. Loro dicono eeehhh e invece poi no no. Da adesso dieci e lode a tutti perché l’hanno ammesso, eh. Un applauso ai vostri professori, diteglielo che alzino la “media” alle “medie”. Allora comunque l’istinto di creare voi l’avete. Anche la cosa più sciocca. Quanti di voi avranno creato delle frasi piene di doppi sensi, alquanto birichine, e ci sarà stata anche qualche parolaccia qua e là. Beh, cari ragazzi, sappiate che anche Dante Alighieri, se è per questo, certe frasi colorite, saporite, all’Inferno le aveva messe, perché lui utilizzava proprio la parola “volgare” (a parte che lui scriveva in volgare, ma questo è un altro discorso, perché nel De Vulgari Eloquentia propone l’uso del volgare quale lingua comprensibile e appannaggio di tutto il popolo italiano), bene, però l’uso anche delle parole col significato molto forte, le cosiddette parolacce, che allora non si potevano ancora definire tali, be’, Dante le collezionava addirittura andando nelle osterie (gli attuali pub, per intenderci) chiedendo all’oste:<<Dimmi qualche frase che possa avere un effetto terribile>> e tiravano fuori le parolacce che comunque tutti noi conosciamo; non sempre, ma alcune erano particolari; alcune sono andate in disuso, perché? Perché l’uso di queste parole ti dava il senso della pesantezza, della materia all’interno dell’Inferno; mano mano che Dante si affranca dall’Inferno arrivando in Purgatorio piano piano il linguaggio si fa sempre più aulico, sempre più leggero fino ad arrivare al Paradiso dove il linguaggio acquista un senso sempre più astratto fino ad arrivare a vere e proprie astrazioni simboliche, insomma non ci si capisce niente … No, non è vero; ci si capisce; ovviamente abbiamo la possibilità di studiare tutto questo attraverso le note a piè pagina o grazie al ricorso della parola degli esperti. Ma quello che voglio dire è un’altra cosa, nel momento in cui voi pensate di aver perso tempo giocherellando con le rime, – ebbé – comunque voi avete messo in moto dei principi creativi con lo stesso spirito con cui si vuole a volte fare uno scherzo o offendere qualcuno in senso ritmico. Paradossalmente anche quando si vuole creare una grande poesia, il principio (e il divertimento) è lo stesso. Avete sentito prima Petrolini; Petrolini ha detto anche delle frasi che per l’epoca erano alquanto colorite, ora si sente anche di peggio in un film per ragazzi; ma quello che vi voglio dire è che se volete creare qualcosa anche d’importante fatelo col senso del gioco; anche quando dovete scrivere un tema, non mettetevi lì <<Adesso io faccio il 18 - tema!!! …>> ma giocate con lo stesso insegnante, l’insegnante (e loro lo sanno, è per questo che mi hanno chiamato qua a fare il folle, perché questo è già l’indizio del senso giocoso che gli insegnanti mettono nel loro lavoro e nell’intento d’insegnarvi e di inculcarvi giocosamente nozioni difficili e complesse. È tutto un gioco. Noi siamo persone legate alla civiltà occidentale e lo siamo perché vogliamo divertirci col sapere, perché vivere da esseri bestiali alla maniera di Mister Hyde non è sempre così divertente. Si può essere molto più trasgressivi – ad esempio – con la cultura: quando si parla del cosiddetto secchione in una classe di gente che non studia niente, il vero trasgressivo è il secchione, non coloro che sono lì a non far niente. Essere pigri e non studiare – beh – questo quasi tutti i ragazzi lo fanno, ma la vera pecora nera, la persona veramente originale può essere il secchione. Non vi si chiede questo! Perché c’è un’altra figura più originale ancora e trasgressiva del secchione: quello che studia e si diverte contemporaneamente. Se state attenti in classe studierete un po’ meno a casa [ridacchia], comunque divertitevi e quando siete in classe esigete da voi stessi un interesse per capire: là dove c’è la cultura c’è sempre quel qualcosa che interessa a noi. A quanti di voi piace – che so? – l’horror? Ne ho già visto qualcuno, ma alzino la mano quelli che vogliono vedere dei film horror o comunque interessanti d’avventura. Non vergognatevi, tutti i ragazzi, qua la maggior parte dei maschietti, credo che Nightmare l’abbiano visto. Chi l’ha visto Nightmare? Su, avanti; su, su le mani, su su su, su, ebbene RR – [Parlano]. LM – sappiate che anche l’horror fa parte della cultura occidentale. Bene, ragazzi, ragazzi, ragazzi, ragazzi, ragazzi. Questo è uno degli aspetti della nostra cultura; la cultura occidentale si dibatte sempre tra il problema del bene e il problema del male. È un po’ difficile, parlo da un punto di vista dello storico in quanto il Novecento è stato un secolo terribile e allora noi non possiamo incorrere, incappare, in giudizi moraleggianti che non è il caso di trattare in questa sede; però dal punto di vista invece poetico e artistico la nostra letteratura dal Medioevo fino ad adesso, tutta l’epoca moderna, ci ha dato degli esempi incredibili, affascinanti, di storia, che se uno Spielberg li dovesse mettere in scena in un film, sui grandi schermi e sui piccoli schermi, altro che Guerre Stellari! Ad esempio (e torniamo al teatro) Tarantella a Sorpresa. Dovete sapere che i futuristi amavano fare degli scherzi terrificanti al pubblico; ad esempio: mettevano la colla sul sedile; sì sì; no no, non è il vostro caso, non è il vostro caso, non statevi a guardare, stanno guardando se sulla sedia c’è la colla; no, ormai si sono ricomposti tutti; peccato, sarebbe stato uno scoop incredibile. Comunque mettevano la colla su sedile e potete immaginarvi le persone che allora andavano in giro con la bombetta, il cilindro e il frac, o le signore tutte vestite, azzimate, con la gonna lunga, le loro paillette, con tutte quelle belle cianfrusaglie che mettevano sulla stoffa, che non potevano più alzarsi dalla sedia perché “incollate”; mettevano polvere – per far starnutire – vicino ai braccioli delle poltrone; vendevano lo stesso posto a dieci persone diverse, così tutte arrivavano con lo stesso biglietto: <<No, è mio>>, <<È mio>>, << È mio >>, si pestavano tutti. Sì sì. Oppure mettevano anche dei matti, invitavano dei matti, davano il biglietto gratis ai matti, li mettevano vicino alle persone ben vestite e questi cominciavano a dar pizzicotti, a dir parolacce, addirittura a bestemmiare; facevano delle cose allucinanti. Perché? Perché questo era un modo di provocare un pubblico che era troppo serioso, voleva sul palcoscenico amore, cuore, uuuhhh, romanticherie di questo tipo: <<Ma mi ami?>>, <<Ma quanto mi ami?>>, <<Ma perché non mi ami?>> Ma va a quel paese! In sostanza i futuristi riuscivano (e il nostro Claudio lo sa) anche a ottenere questo aspetto allucinante, arrivando addirittura a mettere il sapone sul palcoscenico in modo che gli attori prendessero una bella capocciata per terra. Infatti io, in un mio spettacolo che si chiama Vespe d’Artificio, dove all’interno c’è anche Petrolini, ho composto questa Tarantella a Sorpresa che spiega quali scherzi questi futuristi combinavano al pubblico. Prego [dice 19 - - - al Maestro e subito canta accompagnato dal pianoforte; al termine aggiunge] Ecco, questo in platea; potete immaginare quel che facevano sul palcoscenico: entrare in scena all’alzar del sipario e suonare Beethoven [il pianista esegue] tutto al contrario, oppure allestire un’opera muta ficcando i cantanti nei sacchi di iuta [eccetera]. Ecco, altre cose allucinanti, ecco un altro personaggio, un altro grande protagonista della letteratura dell’Ottocento che si affaccia già però al Novecento è il Peer Gynt, parlavamo prima dei Troll, chi sono i Troll? Eccolo, Carlo, vieni qui, vieni qui, vieni qui, vieeeni qui; un altro applauso al nostro Carlo. RR – [Applaudono]. LM – Allora spiegaci un attimo come sono i Troll, prendi il microfono e parla facendo finta di essere me, che comunque – va be’ – tu sei più bello. CA – Sono folletti malefici, gialli e verde, un po’ brutti. LM – Gialli e verde? Oooh, ha detto una cosa giusta; cosa leggi qui? CA – La donna verde. LM – La donna verde. Infatti ha detto la parola giusta. Questo ragazzo è incredibile. Hai sbirciato? No. I Troll hanno la pelle verde, hanno anche CA – la coda LM – la coda, e possono avere quante teste? CA – Più di due, mi sembra. LM – Bravissimo; ma dove l’hai letto? L’hai studiato? Ti interessa? CA – No. Così; tanto per … LM – Ma perché forse forse io e lui siamo due Troll. Potreste esserlo tutti voi perché c’è un modo per diventare Troll e pochi lo sanno. CA – Essere folli. LM – Essere folli; ma non solo. Peer Gynt è questo ragazzo che desidera diventare un Troll per sposarsi una principessa Troll e diventare ricco a sua volta e quindi deve mettere la coda, ovviamente deve diventare un essere diabolico, e beh, il buon Peer Gynt scopre così che per essere un Troll è semplice; gli esseri umani dicono <<Uomo sii te stesso>> i Troll invece dicono <<Troll servi te stesso>>, ciò vuol dire che i Troll sono simbolo dell’egoismo e a volte un po’ egoisti lo siamo tutti; ma c’è egoismo e egoismo e l’egoismo nella creatività può divenire competitività, ma in senso buono, creativo. <<Io ho scritto una poesia meglio di te>>. <<No! Io ne ho scritta una migliore!>> e via così. La creatività umana si stimola attraverso il confronto. Sì, un applauso per il Troll Carlo, RR – [Applaudono]. LM – che ormai è un Troll a tutti gli effetti e gli è spuntata anche la coda: guardate, guardate, guardate, alzati un attimo, fa’ vedere che t’è spuntata la coda. No, non è vero, non è vero, non è vero. Non c’è bisogno d’avere la coda per essere un Troll. Bene, allora cominciamo quindi con una scena. La cosa importantissima a proposito della schizofrenia è che col Teatro da Camera abbiamo un attore solo in scena che interpreta tutti i personaggi come se fosse un pazzo, un folle – come dice lui – che schizofrenicamente diventa un uomo, una donna, il Diavolo, il Soldato, Peer Gynt, il Re dei Troll, qualsiasi personaggio. E quindi adesso immaginatevi che possa io avere i costumi di scena e cominciamo proprio con un pezzo del Peer Gynt per fornirvi un ulteriore esempio; non sempre il Teatro da Camera è in rima. Ad esempio, nella mia versione ispirata a Ibsen, il Re dei Troll quando narra di Peer Gynt parla in rima, ma quando dalla narrazione si passa all’azione vera e propria allora, come in un film, tutto diventa prosa, e infatti il pezzo che adesso andrò a recitarvi è in prosa. [Interpreta il brano scelto e riprende poi la conversazione] Per concludere una domanda ancora, quanti di voi hanno desiderato scrivere una poesia, hanno scritto una poesia o un testo teatrale o vorrebbero diventare poeti? Alzate la mano. RR – [Ridono]. 20 - - - LM – Se c’è qualcuno tra voi … CP – Si guadagna troppo poco. LM – <<Si guadagna troppo poco>> mi dice Claudio [Pozzani]. Chi di voi vuole diventare un morto di fame? Ecco, facciamo prima: io [Maio si candida]. C’è qualcuno? RR – [Rispondono, ma non si riesce a percepire – dalla registrazione – cosa dicano]. LM – Lui! Lui ha l’animo del poeta, non del morto di fame, ma del poeta ricco. Ti piacerebbe? E quanti di voi vorrebbero fare gli spettatori? Quanti di voi fare gli spettatori comunque in TV, al cinema? Voi non avete mai assistito a uno spettacolo? Quanti di voi hanno assistito a uno spettacolo? Lui? Ma io non credo, vi ci avranno portato i genitori almeno una volta. Quest’oggi è stata una lezione legata allo spettacolo. Be’, io credo che quasi tutti, eh …, e allora – ragazzi – vi chiedo questo: il desiderio di scrivere anche una scemata, inventarvi una barzelletta, far ridere il vostro compagno o la vostra compagna di banco c’è mai stato in voi? RR – [Rispondono a bassa voce]. LM – Desiderio di giocare, di dire anche sciocchezzuole – perché no? – ma comunque di stupire l’altro. RR – [Proseguono nel dare riposte che non sono nitide nella banda registrata]. LM – Non credo che voi non abbiate creato una filastrocca o una battuta contro qualcuno che vi stava sull’anima. Quanti di voi hanno fatto uno scherzo poetico al compagno? RR – [Non sono udibili le risposte che danno]. LM – Eeeh – ragazzi – non vi si giudica, eh! Qua i professori non ce l’hanno mica con voi se fate questo, perché l’hanno fatto anche loooro quando erano studenti, non è vero? [Rivolge lo sguardo verso di me]. MF – [Scuoto la testa per indicare – falsamente scandalizzato – di no]. LM – Nooo! Mica! Eeeh, è proprio il desiderio di rimanere a scuola che ha spinto molte persone a lavorare all’interno della stessa [ridacchia con molto sarcasmo]. Vedere il sottoscritto, ché, collaborando con i docenti e lavorando con gli studenti, questa attività è per lui il massimo del paradiso, di ciò che è paradisiaco, anche se oggi abbiamo parlato molto del Diavolo. Ebbene, ragazzi, non voglio sapere quanti di voi abbiano provato, perché sono sicuro che dentro di voi molti abbiano pensato di inventare una storia, di scrivere qualcosa, di diventare protagonisti di un racconto, o di un finzione teatrale, o – perché no? – addirittura di un film, o di finire in TV. Ma qualsiasi cosa vogliate fare, l’elemento della creatività è fondamentale, tanto più che questo corso è legato proprio all’aspetto delle avanguardie e quindi di tutto ciò che di creativo è stato fatto nel Novecento, ma anche se voi doveste fare il lavoro meno divertente di questa terra (e mi auguro che non sia così) Comunque dovrete mettere qualche cosa di creativo all’interno, perché l’unica “Pietra Filosofale”, quella che trasforma il piombo in oro, è l’arte, la vostra creatività, il vostro senso dell’umorismo, che bisogna conservarlo tanto nel quotidiano quanto al momento di scrivere … che so? … una tragedia! L’unica cosa che vi dico, spero che questo piccolo scherzo, questa lezione giocosa, possa ulteriormente suscitare quello che già le lezioni dei vostri insegnati fanno: appunto il desiderio di creare, di scherzare, di giocare, di mettervi gioiosamente in discussione con la realtà o con quello che voi credete possa essere la realtà. Ragazzi, giocate, prendete pure in giro tutti, ma fatelo, fatelo bene, fatelo con gusto [pronuncia il vocabolo ‘gusto’ in modo succulento], col divertimento, siate voi stessi veri Trolls, ma siatelo nella più bella forma. Grazie e a presto. RR – [Battono le mani con convinzione e serietà]. [Si conclude così la trascrizione dell’intervento]. 21 ESTRATTO DELL’INTERVENTO E L E NA C R E T E L L A Legenda: - EC RR CS R1 R2 S* CM RP MF - - - Elena Cretella Alunni della Centurione Alunna di II B Prima ragazza Seconda ragazza Alunno di II C Claudia Meschinelli, docente di Lingua Inglese Rosangela Piccardo, docente di Educazione Artistica Mario Fancello, docente di Educazione Artistica EC – Allora, io sono Elena Cretella, sono un’insegnante, sono una pittrice, una cantante di jazz, compositrice di musica e quant’altro. Ho lavorato in uno studio di scultura. Ho fatto un po’ di cose nella vita. E soprattutto mi interessa l’aspetto umano dell’apprendimento, questo moltissimo, perché è mia opinione che la vita sia proprio data da questo, dallo sperimentare le proprie emozioni in riferimento a quello che ci circonda. E questo è anche il senso dell’arte; l’artista produce arte perché rimanga qualcosa in chi guarda la propria opera: questo il senso dell’arte. Allora, prima di tutto volevo dirvi se sapete definire uomo, volevo chiedervi se siete in grado di dirmi qual è il significato della parola uomo. C’è qualcuno che ha questo coraggio? Dai. Che cos’è l’uomo? È una parte di fisico, no? Questo l’avete sperimentato dal primo giorno di vita. È una parte emotiva, perché proviamo delle emozioni, giusto? Qualsiasi cosa accada non c’è un istante della nostra vita che sia privo di emozioni. Ha una parte mentale, razionale, che ci permette di formulare dei pensieri e una parte spirituale che ci collega col tutto, con l’infinito, per chi crede e per chi non crede, non importa, e comunque tutto questo è energia, okay? Quali sono le emozioni che un uomo può 22 - - provare? Qualcuno può dirmele? Devo interrogarvi io? [Ride]. Chi è la più socievole? Francesca? Francesca. E beh, allora tutte e due venite qua. Forza. RR – Eeehhh. EC – Ci riprendono [fa riferimento alla videocamera]; facciamo anche gli attori. Allora, emozioni ce ne sono di due tipi: positive e negative; pare; perché la vita comunque è fatta di queste due antitesi; giusto? Okay. Un’emozione positiva? R1– Essere felice. EC – La felicità? R1 – Sì. EC – Okay. Un’emozione negativa? R2 – L’odio. EC – Brava. L’odio. L’odio è l’emozione negativa più grande che un uomo, o una donna ovviamente, possano provare. L’antitesi dell’odio? L’opposto? R1 – Amare una persona. EC – È l’amore. Bravissima. Okay. Potete tornare a posto. Ce l’avete fatta. Esatto: l’odio e l’amore. Lo yin e lo yang. C’è un simbolo molto bello. Potrei avere una penna? Brava, grazie. Un pennarello. Un pennarellone. Qualcuno ha un pennarello grosso? - RP – Qualcuno ha un pennarello grosso? - RR – [Dicono qualcosa]. - EC – [Rivolgendosi a me perché le ho fatto un cenno] Dimmi. - MF – Vado a vedere in segreteria. - EC – Sììì, sì, sì, sì. [Pausa]. [Elogia un allievo] Bravo! Sai come si chiama quello? Si chiama Tao. Adesso lo facciamo. Alla fine della lezione vorrei che voi mi lasciaste un ricordo. Ora il professore va a prendere dei fogli. L’ultima mezz’ora la dedicheremo a una produzione, nel senso vorrei – bravissima, grazie – che voi riproduceste sul foglio un’emozione. - RR – No, no. - EC – Ma andiamo per gradi. Intanto preparatevi spiritualmente. Fig. 1. Elenco dei sentimenti opposti. - RR – [Chiacchierano nell’attesa]. EC – Allora questo si chiama? E tu lo sai. RR – Boh! Tao. 23 - - - Fig. 2. Il simbolo del Tao disegnato da Elena. - EC – Tao, Tao, Tao, Tao. Ed è il senso di molto, perché vuol dire: niente è mai del tutto buono ma mai nulla è mai tutto cattivo e sempre c’è da imparare qualcosa. E quindi qua cosa possiamo vedere? Le emozioni positive e negative. Di solito la negatività è vista come una cosa nera perché anche il riferimento del colore dice molto sull’emozione, no? Se vi parlo di rosso cosa vi viene in mente? RR – L’amore. EC – L’amore? Il sangue [ridacchia]. Chi ha detto il sangue? RR – [Qualcuno risponde, ma non si percepisce cosa dica]. EC – E be’, è vero; può venire in mente anche questa cosa qua. Se vi parlo di giallo? RR – Il sole, il sole. EC – Il sole. Però – vediamo un po’ – se il rosso fosse una città che città potrebbe essere? RR – [Intervengono diverse persone contemporaneamente dando corpo alle loro intuizioni] Milano, Roma, Venezia EC – Venezia? RR – Venezia, Milano. EC – Il rosso? RR – Milano, Roma, Milano, Milano EC – Roma? RR – Milano EC – Ma andiamo oltre i confini dell’Italia. Guardate un po’ tutto il mondo, tutto il mondo. RR – [Dicono qualcosa]. EC – Pariiigi, ma sei romantico tu [ridacchia]. Abbiamo un romanticone. È vero: Parigi, la città dell’amore, una cosa pazzesca. Allora, dunque, tutto questo comunque per arrivare a che cosa? Questo discorso introduttivo? Perché vorrei leggervi, proprio perché le emozioni si possono esprimere ai livelli di cui abbiamo parlato prima, cioè a livello fisico, a livello spirituale, a livello emotivo, a livello razionale, e questa è la tendenza dell’arte moderna. Ho portato qualcuno che fa poesia senza metterla in versi, perché non è necessario che le poesie siano scritte in versi. Ci sono delle cose molto poetiche che non sono neanche scritte. Questo signore si chiama, si chiamava perché è mancato, Kahlil Gibran. Kahlil Gibran è un autore che ha origini libanesi, che però è vissuto a New York e, molto prima che arrivasse la New Age (non so se conoscete questo nuovo tipo di filosofia, che ormai è già superata peraltro, che è il ritorno appunto allo spirituale e tutte queste cose così), nel 1923 ha pubblicato questo libro che si chiama Il profeta e trovo che sia molto bello e parla di cose che sono molto semplici in realtà, però sono quelle ovvietà che, se vengono ricordate ogni tanto, ci arricchiscono. Allora la storia di questo libro è la presenza di questo profeta in un paese; questo profeta a un certo punto deve lasciare questa zona per andare via e tornare nelle sue terre, per cui la gente del paese si riunisce e gli fa delle domande nella speranza che lui 24 possa dare delle risposte cosmiche (vuol dire che servono a tutto) sulle tematiche importanti della vita. Quello che volevo leggervi erano due cose che secondo me vi possono interessare, perché si parla di amore e si parla di amicizia. Lui usa molte metafore, per cui cerchiamo di ascoltare bene; scusate se la mia voce non è abbastanza pronta. Allora: E. Cretella mentre legge il brano di Gibran. Sulla lavagnetta (nella foto, a sinistra) campeggia – non visibile – l’immagine del Tao. Disse allora Almitra: Parlaci dell’Amore. Ed egli sollevò la testa e alzò gli occhi sulla folla, e su di essi scese il silenzio. E a gran voce egli disse: Quando l’amore vi chiama, seguitelo, Benché le sue vie siano faticose e ripide. 1 E questa è la prima metafora, perché la vita è una salita e una discesa – no? – si può dire questo perché la vita non è sempre facile, non è mai facile, lo yin e lo yang, salire e scendere. E quando le sue ali vi avvolgono, abbandonatevi a esso, Quantunque la spada nascosta tra le sue piume vi possa ferire. E quand’esso vi parla, credetegli, Sebbene la sua voce possa frantumare i vostri sogni come il vento del nord devasta il giardino. Poiché proprio come l’amore vi incorona, così vi crocefiggerà. Come è per la vostra crescita, così favorisce la vostra potatura. 1 KAHLIL GIBRAN, Il Profeta, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 13. 25 Proprio come sale fino alla vostra altezza per accarezzare i vostri più teneri rami che tremano nel sole, Così esso scenderà alle vostre radici per scuoterle dov’esse sono più fortemente attaccate alla terra. Come covoni di grano vi raccoglie a sé. Vi trebbia per mettervi a nudo. Vi setaccia per liberarvi dalle vostre pellicole. Vi macina sino a rendervi candidi. Vi impasta sino a quando non sarete flessibili, E poi vi cede al suo sacro fuoco, affinché voi possiate diventare pane sacro per la santa mensa di Dio. Tutte queste cose farà a voi l’amore affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore, e in quella conoscenza diventare così un frammento del cuore della Vita. Ma se per paura cercherete dell’amore soltanto la pace e il piacere, Meglio sarebbe allora per voi coprire la vostra nudità, uscire dall’aia dell’amore, Ed entrare nel mondo senza stagioni dove voi riderete, però non tutto il vostro riso, e piangerete, ma non tutte le vostre lacrime. L’amore non dà nient’altro che se stesso e non prende nulla se non da se stesso. L’amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto, Perché l’amore basta all’amore. Quando amate non dovreste dire: “Dio è nel mio cuore”, ma piuttosto “Sono nel cuore di Dio”. E non pensiate di poter dirigere il corso dell’amore, perché è l’amore, se vi trova degni, a dirigere il vostro corso. L’amore non ha nessun altro desiderio che quello di adempiersi. Ma se nel vostro amore non potete fare a meno di desiderare, fate che questi siano i vostri desideri: Sciogliersi ed essere come un ruscello che canta la sua melodia alla notte. Conoscere la pena di troppa tenerezza. Essere feriti dalla comprensione stessa dell’amore. E sanguinare volentieri e con gioia. Destarsi all’alba con un cuore alato e render grazie per un altro giorno d’amore; Riposare nell’ora del meriggio e meditare l’estasi dell’amore; Rincasare la sera con gratitudine, E addormentarsi con una preghiera in cuore per l’amato e un canto di lode sulle labbra. 2 Cosa ne pensate? Vi è sembrata abbastanza interessante? Questo uomo nel 1923 aveva delle idee molte rivoluzionarie perché è nato in un periodo in cui c’era una morale molte serrata, dove non c’erano le famiglie allargate, per esempio; ma le scelte non erano date dalle proprie emozioni ma dalla forma dello stato delle cose sociali – giusto? – quindi se una donna, per esempio, decideva di rimanere sola era considerata una zitella, una cosa scartata, non una persona per esempio. Ora le cose sono cambiate nel senso che (per quanto questa società non sia la società perfetta, che ovviamente ha i suoi yin e yang) però abbiamo più libertà di espressione e questo lo vediamo anche nell’arte. Se fino all’Ottocento venivano 2 KAHLIL GIBRAN, Op. cit., Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 13-15. 26 - raffigurate le scene reali – [rivolgendosi alla Piccardo] vero professoressa? – [ride] e molto schematiche e molto precise di quello che poteva essere una natura oppure una partita di caccia, ora noi possiamo vedere che l’arte contemporanea si dà invece all’emozione che esce fuori da questa cosa, è per questo che è potuto nascere l’astrattismo, ha un suo senso, il senso dell’arte a quello che riusciamo a percepire guardando un’opera, okay? Ora, se il professore ha portato i fogli, facciamo una cosa che spero vi piaccia. MF – Li distribuiamo? EC – Sì, distribuiamo i fogli. RR – [Cominciano a fare un po’ di chiasso]. EC – Procuratevi una penna. RR – [Si riaccende il rumore di prima, ma per ragioni organizzative]. EC – No, no, no, no, facciamo una cosa bellissima adesso per piacere. Leviamo le sedie e ci sdraiamo per terra. RR – Nooo. Uuuhhh. [Il rumore non cessa d’accompagnare le grandi manovre]. EC – Allora vogliamo togliere le sedie di mezzo per cortesia? RR – [Il rumore prosegue senza eccessivi aumenti d’intensità]. - EC – Ragazzi!!! [Ride] Sssccc! Ché nelle altre aule stanno facendo lezioni tradizionali; non vorrei poi essere sgridata dalla preside alla mia età. Allora, un poco di attenzione, ce la fate? Che curioso: vi siete messi esattamente come eravate messi con le sedie; non l’avrei mai detto. Allora il lavoro che voglio, [ride per correggersi] vorrei, che faceste sarebbe questo. - RP – Attenzione. - EC – Allora - MF – C’è qualcuno senza foglio ancora? - EC – C’è qualcuno senza foglio? Okay. Il lavoro che voglio che facciate oggi è un lavoro d’arte contemporanea, ragazzi [Conferisce, per scherzare, un’intonazione molto affettata all’ultimo vocabolo]. - RR – [Uno dice] Nooo - EC – Allora è proprio questo. Scegliete un’emozione - RR – [Uno dice] Ancora? - EC – e siete liberi di scrivere Fig. 3. Schema grafico del dipinto di Elena. sul foglio parole che definiscono quello stato d’animo e di fare dei gesti, di compiere dei gesti e di segnare dei tratti che riportino a quello stato d’animo. Esempio: se io scelgo d’interpretare ad esempio … Vi faccio vedere – va be’ 27 - - – graficamente uno dei miei quadri; ho fatto un’installazione. Un’installazione sapete che cos’è? RR – No. No. EC – Allora si sceglie un posto dove esporre e, a seconda del posto che si sceglie, si producono una serie di opere attinenti a un tema unico: è diversa da un’esposizione in questo. Allora io ho scelto in questo caso di parlare del bene cosmico, praticamente del fatto che il bene l’ho visto come un qualcosa che rende fertile la terra per cui ho disegnato questo. Allora immaginate che questo sia la terra (la terra intesa proprio come globo terrestre) e ho dato delle pennellate in questo modo di marrone in maniera da identificare questo come la terra. Poi cosa ho fatto? Il procedimento mentale mio è stato: tutto ciò che è bene sale verso l’alto, per cui ho disegnato delle esplosioni in questo modo (immaginate le pennellate di questo); poi ho pensato tutto ciò che sale, come le nuvole, è destinato a concentrarsi comunque, no? Questo lavoro qua è stato fatto col gesso; prima sulla tela ho messo il gesso con la colla di coniglio – una cosa terribile – e ho steso questa patina di materiale sulla tela. Queste esplosioni sono state fatte sia con le pennellate di colore che con le unghie (oh, molto bella questa cosa qua, vi consiglio di provare perché è liberatoria) con le unghie, con le unghie a graffio, togliere la materia. Poi allora ho reso l’idea delle nuvole prendendo dei pezzi di stoffa imbevendoli nel gesso a formare delle strutture di questo tipo, proprio come se fossero nuvole che rimangono a rilievo – giusto? – e ho dato con le dita l’idea del vento, per cui c’è stato anche questo lavoro in questo senso. Allora in questo caso cosa succede? Che abbiamo un lavoro che riproduce i quattro elementi: la terra, il fuoco (le esplosioni), l’aria – no? – e l’acqua, rappresentata dalle nuvole, attenzione [ride]; quindi è un quadro complesso. Allora questa è la mia rappresentazione del bene, però avrei potuto dire: aggiungo delle parole a questa cosa; aggiungo delle parole e che cosa si sarebbe potuto dire su una cosa del genere? Tutto ciò che sale è destinato a scendere per esempio, allora avrei potuto scrivere: Tutto ciò che si innalza (che è più elegante) è destinato a ricadere. Qual è il significato dell’oro che si riproduce in pioggia? È il significato che tutto ciò che è bene mentre prima si eleva ricade per rifertilizzare tutto ciò. Questa è un’idea così, no? Allora cos’è? Potrebbero essere delle gocce? E potrebbe essere: Torno fertile; torno fertile, per esempio, per cui questa è la mia rappresentazione del bene. Io non voglio che voi riproduciate qualche cosa del genere; voglio che decidiate un’emozione (abbiamo parlato prima delle emozioni, del bene, del male, dell’amicizia, anche quella è un’emozione; è un sentimento – no? – di, non so, uno shock, che ne so, le immagini che vediamo al telegiornale, non so se avete visto scene di guerre, cose così, non sono certo cose che ci lasciano indifferenti; comunque – no? – anche quelle sono emozioni e potete rappresentarle esattamente come vi aggrada e poi vorrei che formulaste dei pensieri su questa cosa qua. Proviamo a fare questa cosa? Dai, vediamo cosa fate in venti minuti. Che ora è? MF – [Rispondo]. EC – Mh, va bene, dai. RR – [Si sentono i ragazzi parlare e lavorare ora a voce alta (e si ode anche il richiamo degli insegnanti che ogni tanto invitano al silenzio) e ora sommessamente]. EC – Guardate che dopo dovrete raccontarmelo, eh; e sì eh. RR – [Prende piede una pacata confusione; uno si avvicina al registratore e dice] Ciao. [Poi ritorna e ripete] Ciao. EC – Ragazzi è incredibile ma io ho visto un casino di cuori. Alza la mano chi ha fatto un cuore. RR – Eeeeeeehhhhhh EC – No no, a mani alte, voglio vedervi, vi voglio contare. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, …, basta e no, sei sei. Okay. RR – [Ogni tanto si sentono frammenti di dialoghi che non riporto] EC – Se vi sentite di aver completato la vostra opera [pronuncia il tutto ad alta voce] 28 - - RR – No, no, no. EC – Non vi sentite ancora? RR – [Rispondono] EC – Okay, okay, okay, okay. Scusate, scrivete poi il nome, cognome, la data, sì, certo, no anonimo no. CS – Dove lo lascio? EC – Scrivi il nome CS – Camilla* EC – Camilla* okay CS – Dove lo metto? EC – Lascialo qua. Okay. Chi ha terminato l’opera può consegnarla; così vediamo di discuterla un po’. RR – [Un ragazzo prende il microfono e dice] Ciao! Ciao! EC – Allora avete finito? Ma daaai. Allora dai, consegnate per cortesia gli ultimi fogli e sedetevi per terra [ride], un lager. RR – Ma dammelo [dice un ragazzo ad un compagno]. EC – Non sottraete le prove. RR – Nooo è mio; non c’è scritto niente. - EC – Allora tutti seduti per cortesiaaa, oh! Non l’hai fatto? Vieni qua alla lavagna, [ride], vieni qua, vieni qua, dai, come ti chiami? Vieni Andrea, vieni qua, vieni, dai, non ti do mica n.c. [non classificato], dai. Allora bastaaa, vi ho lasciato sfogare un pochinoooo, adesso però voglio attenzione, okay? - RR – [Continuano a parlare anche se meno freneticamente]. - EC – Silenzio. Ordine e disciplina. Allora - RR – [Proseguono a parlare] - EC – seduti e in silenzio. No, levala quella sedia, dai. Okaaayyy. Allora volevo dirvi una cosa, mh, pronto? [infatti stanno disattenti e chiacchierano]. Dunque ho visto moltissimi cuori. Ho visto dei luoghi comuni che le persone usano per non dire in effetti nulla. Perché adoperare parole come bello e brutto? Perché non ci sono parole più vuote di bello e brutto! Lo sapete? Perché bello? Cosa Fig. 1. Tracce degli interventi grafici lasciate dagli allievi. vuol dire bello? Ma niente. Bello? - RR – [Rispondono]. EC – Chi è Paolo V*? Voglio saperlo. Ah [ride]. Cosa è bello? Cosa? Allora ragazzi ascoltate un attimo; bello non vuol dire assolutamente niente. Se vuol dire “mi è gradevole” è tutto altro discorso; la parola “bello” non mi dice assolutamente nulla, tanto meno “brutto”, eh. Sono quegli assolutismi come “sempre” o “mai” che sono delle menzogne, 29 - - perché non esiste “sempre” e non esiste “mai”, perché quello che voi potete dire (“non lo farò mai”) fra cinque minuti può essere cambiato. Avete capito? Vorrei che rifletteste, non importa che mi diciate qualcosa adesso. Però veramente analizzate. Ogniqualvolta che qualcuno ci dice: “bello” o “brutto” non sta dicendo nulla; cioè chiediamogli perché, e questo ci può dire qualcosa di più. Okay? E tu alzati in piedi [ride] Andrea. RR – Non è Andrea, è Salvatore. EC – Allora hai mentito? Aaah, ho capito. Allora – per esempio – massacriamo Salvatore, [ride], no, S* – No, non mi riprenda. EC – No, no no, ma nessuno ti riprende [ride]. Prendi un po’ questo. S* – Cosa devo fare? EC –Allora io ho visto moltissime rappresentazioni … soprattutto della parte positiva, no? Cioè tutto l’amooore, perché il mondo è cosììì? Voi siete cosììì? Siete tutto pace e tutto amore come dei piccoli buddha? No. Meno male. Perché se no non avremmo il nostro corpo. Il solo fatto che siamo fatti di carne e ossa ci dà già l’indicazione che siamo esseri imperfetti, evviva. CM – Vi ringrazio, ma devo andare in un’altra classe. EC – Salutiamo la professoressa d’Inglese che purtroppo ci deve abbandonare, okay. Allora, e invece no, adesso leggiamo le emozioni per piacere, perché è uscito soltanto l’amore. RR – Ah EC – Scriviamole, anzi scrivetele. RR – [Dicono qualcosa] No, no io EC – Non volete neanche scrivere. Una nota a caaasa, non fa i compiti. Allora: “amore”, scusate la scrittura, “odio”, poi? RR – Disperazione. EC – Bravissimo! Disperazione. RR – Pazzia [Altri parlano contemporaneamente] EC – E adesso tutti insieme, uno alla volta per piacere. Allora, disperazione ha un contrario come amore e odio? No, il contrario? RR – Felicità. EC – Felicità. Poi? Sincerità? Nooo, non è un’emozione, è uno status [ride]. RR – [Suggeriscono un altro sentimento]. EC – Prego? RR – Piacere. EC – Il piacere, sì, sì sì, è un’emozione fortissima, bravo, finalmente uno, aaah. Piacere. Piacere, il contrario? RR – Dispiacere. EC – Dispiacere; sofferenza, dispiacere. Cerchiamo di adoperare sempre le parole che più indicano; dispiacere, la sofferenza è qualcosa che ci toglie il fiato. Sofferenza [pronuncia il vocabolo mentre lo scrive alla lavagna]. RR – [Un ragazzo suggerisce] Dolore. EC – Non scrive più [il pennarello]. RR – Eh, l’ho detto io dolore [rivendica un altro]. EC – Sofferenza, dolore, certo. Qualcos’altro? RR – Pazzia, paura EC – La pazzia, la pazzia non è un sentimento, è una distorsione di una nostra parte, quale? Razionale. Eh, non venite a dirmi che la pazzia è un’emozione. La paura sì. Paura [mentre scrive pronuncia il vocabolo]. E il contrario? Coraggio. RR – Coraggioso. EC – Allora – dai – dimmi: è un’emozione? Sì, sì, certo. RR – [Dicono tante cose]. 30 - EC – [Sorridendo ripete il vocabolo proposto da uno] Schizzato. Il contrario di tranquillità. Oh, adesso mi piace. E adesso mi volete spiegare perché avete parlato dell’amore e basta? Perché è quello che ci riguarda di più? Perché è il sentimento più beeello. Ma che bella cosa che hai detto [ride], okay. [Termina qui il lato A della cassetta]. 31 TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO M A X Legenda: - MM - RR - LC - II - MF - - M A N F R E D I Max Manfredi Alunni Alunno di IIB Insegnanti di Lettere non identificati Mario Fancello MM – Io non so se vi hanno spiegato più o meno che cosa sono venuto a fare (così, al di là del viaggio in taxi che mi sono fatto con l’ingorgo e tutto quanto). So che avete avuto degli altri incontri: con la pittrice Elena Cretella e col diavolo Luigi Maio, col demone, col demonio Luigi Maio. Io penso che la motivazione di questi incontri, almeno per quanto mi riguarda, ma forse posso parlare anche a nome di Claudio Pozzani e degli altri, sia quella di mostrarvi in qualche modo, per quanto potete essere interessati adesso e nell’avvenire, quello che è (come si dice con una frase latina) in corpore vili, cioè proprio nella concretezza delle cose e nel corpo vile per l’appunto, cioè me in questo caso, il mio in questo caso, cioè la persona fisica vera; quella che è una sorta, una specie, di laboratorio artigianale di quello che fanno i cosiddetti artisti o artigiani o comunque quelli che producono forme che sono inerenti all’arte, allo spettacolo e alla cultura, ma in senso molto lato perché, specialmente oggi, è un po’ difficile dire che cosa è arte e che cosa non è arte, che cosa è solo spettacolo, che cosa è anche cultura e così via. Questo per tutta una serie di motivi di cui se volete possiamo tentare di parlare dopo; sono cose molto complesse che rivestono più le questioni della – diciamo così – sociologia, cioè le questioni di quello che è la società e come è organizzata la società, che non quello che poi facciamo individualmente noi produttori o propositori di forme artistiche. Si tratta (questo secondo me va detto subito 32 - - - - per onestà) – non necessariamente ma almeno nel caso nostro – di forme piuttosto marginali, cioè di cose che vengono proposte ai margini della grande produzione. In questo senso sono meno importanti – per un certo verso – delle cose proposte dalla grande produzione, quindi le cose con molta pubblicità, con gli sponsor che cacciano il grano per avere questo ritorno d’immagine, sapete, però dall’altro lato sono forse anche più importanti proprio perché rappresentano dei linguaggi che non sono standardizzati e che quindi non sono imposti, insomma, dai gruppi di potere economico – e non solo – della società, ma che vivono un po’ – diciamo così – per conto loro e certe volte quasi nonostante forme, quasi, di boicottaggio. Vi faccio un esempio: se io, che non sono nessuno, vado da un’industria, da una grande ditta, e dico: <<Voglio fare questo spettacolo di canzoni>> – mettiamo – e invito anche Luigi Maio, questo qui mi guarda e io gli chiedo: <<Dammi venti milioni>> (così per farlo, così ci pago anche le tasse, tutto a posto) questo mi dice: <<Ma scusa, tu e Luigi Maio? Io venti milioni non ve li do>>, se invece dico: <<Sì, come ospite ho Zucchero, Fornaciari, Pavarotti, Alex Britti e Milly Carlucci>> me ne dà duecento milioni, no? Questo perché? Questi personaggi che ho citato (al di là del loro valore, che può essere tanto o poco, lì è una questione di gusti) sono sul mercato – no? – come si dice, quindi sono persone su cui il mercato fa conto per avere un ritorno nel guadagno. Comunque sono questioni che attengono più all’organizzazione della società e dell’economia che non a quello che sono venuto a proporvi io. Che cosa faccio? Io faccio canzoni, cioè sono quello che con un termine un po’ strano, però molto in uso specialmente negli anni passati, si chiama un cantautore. Le canzoni sono una cosa antichissima; esistono probabilmente da quando esiste l’uomo. Un’altra cosa che può essere interessante, ma lì ci vorrebbe Claudio Pozzani che scrive invece poesie (al di là del fatto che poi fa tante altre cose che riguardano la musica e la distruzione di soprammobili e suppellettili); un altro problema interessante è la differenza e la somiglianza fra quello che è poesia (cioè quello che voi studiate come poesia) e quello che è il testo di una canzone. Sono due cose diverse, ma tocca vedere diverse in che senso. Anticamente comunque questa differenza non c’era. Cioè, anticamente non esisteva nemmeno la scrittura, mh; ma anche solo nel medioevo, nel medioevo cominciava. Gli egiziani avevano una forma di scrittura, però erano scritture che servivano soltanto proprio per le feste, cioè si scriveva proprio in relazione a cose importantissime e c’era moltissima cultura tramandata oralmente e la parola scritta – di per sé – non poteva essere una poesia, aveva bisogno anche di essere detta, di essere recitata. Voi avete sentito Luigi Maio – mettiamo – che non so che poesia abbia letto MF – Ricordo che ha fatto Pierino e il lupo, La storia de soldato, MM – Quindi c’era anche il pianista, c’era anche il pianista. Ecco, e quella è un’altra forma molto interessante, che è comunque sempre un connubio fra la musica e la parola, fra la musica e la poesia; e la canzone è forse la più semplice di queste unioni, la forma più semplice di unione fra la melodia e la parola. Lo so, adesso vorrei che ognuno di voi – così, a caso – dicesse il nome di qualche canzone che ha in mente, che gli piace e poi ne parliamo dopo. MF – Magari che la dica al microfono. MM – Se la vuole dire al microfono ancora meglio, diventa … Se no, se no, se non vuole venire al microfono la dice a me, io la ripeto e poi la scrivo anche sulla lavagna. Canzoni che vi piacciono, di qualsiasi tipo, belle, brutte, poi vediamo anche i motivi per cui una canzone può piacere o no. Scusate un attimo, io cedo il microfono al professor Fancello un momento, così scriverò alla lavagna il nome. MF – Io non m’intendo per niente di musica leggera, e soprattutto di quella recente – perlomeno – per cui, in conclusione, quando voi mi direte i titoli non li capirò e li ripeterò in maniera ancora più sbagliata. Però se li direte ad alta voce può darsi anche che sappia ripetere quello che direte. [Rivolgendomi ad un alunno] Dicevi? RR – Niente. 33 - MF – Niente? Va be’, ci hai ripensato. MM – Una canzone o un artista che fa canzoni o un cantante, chi volete … voglio riempire la lavagna di nomi, poi ne parliamo dopo. Max Manfredi in primo piano dinanzi al microfono. A destra la professoressa di Educazione Tecnica Patrizia Mancini. - RR – [Silenzio] MF – Pare che siano tutti studiosi e nessuno segua la musica leggera. RR – Rete quarta. MM – Rete quarta? RR – [Ridono] MM – Questo è il nome di un gruppo o della canzone? RR – Gruppo. MM – Dimmi una canzone … La canzone te la ricordi? La grande truffa del re. Adesso un’altra. MF – Eminem, sì; vieni qua e dicci il titolo della canzone. RR – Ma nooo MM – La canzone come si chiama? RR – Stan MM – Qualcuno che la scriva oppure RR – [Parlano tutti insieme] MM – Esse, ti, RR – a, enne MM – Star RR – Nooo MM – Enne? RR – Sì 34 - - - - - MM – Come Stanlio e Ollio senza Ollio. MF – Scusa un attimo Massimo, Max, secondo me siamo qua, almeno questa è la mia esperienza; parlare al microfono per tanto tempo per me è stato un problema, ho preso l’abitudine essendo qua a scuola, presentando, eccetera. Io penso che, se qualcuno di voi avesse vergogna di parlare al microfono, a maggior ragione – sì – qua sarebbe opportuno, perché qua non c’è un pubblico particolarmente esigente, per cui tutto sommato … MM – Potete fare un’altra cosa, se volete eh, vi pigliate un foglietto, una penna, ognuno scrive il nome (anche anonimo, non vogliamo sapere chi ha i gusti che ha) e poi alla fine mi portate i foglietti. Questa è una cosa che si può fare, no? Avete qui foglietti e penna? Ognuno scriva una canzone, un cantante, un gruppo, qualcosa che gli piace e poi vediamo chi l’ha scritto e perché. Adesso cominciamo con l’esemplificazione musicale appena finisce la cosa dei foglietti. [Max accorda la chitarra e regola l’attrezzatura di supporto mentre i ragazzi discutono fra di loro e pensano ai cantanti da segnalare]. RR – Quanti ne possiamo mettere? MM – Uno, due, tre. Non più di tre. Poi li scriviamo. Li scriviamo tutti. Volevo pregarvi di una cosa però, adesso scrivete, poi dopo bisogna ottenere di nuovo un momento di silenzio e di concentrazione, così vi faccio sentire qualche cosa. Quindi una volta che avete finito di scrivere mi portate i foglietti e poi si riprende da capo. RR – [Continuano nelle loro discussioni] MM – Mettiamo tutto qua [Si riferisce ai foglietti]. Si vede che siamo in periodo pre-elettorale, eh. E be’, giusto, il voto è segreto, giusto, giusto. Poi facciamo lo spoglio delle schede. Bueno. Sta per scadere il tempo della raccolta. Ci siete tutti? Avete tutti consegnato? Si può anche mettere scheda nulla eh. Si può anche non andare a votare, volendo. RR – [Continua il cicaleccio dei ragazzi che non hanno ancora terminato]. MM – Ce n’è ancora qualcuno. [Sono terminate le operazioni di voto]. Bene, questa è una forma. RR – [Fanno chiasso]. MM – Silenzio! Silenzio. Silenzio per un motivo, non per esercitare un diritto totalitario, ma perché effettivamente per comprendere quello che si sta facendo – no? – ci vuole una forma d’ascolto, per cui quando parlo io parlo io e quando parla ognuno di voi parla ognuno di voi; è come una sorta di regolamento, per cui uno chiede la parola, no? È come succede, come dovrebbe succedere anche – non so – nel Parlamento italiano. Questa è una forma di esercizio di quello che potremmo chiamare un diritto democratico, anche se poi in realtà non porterà a niente, però dal punto di vista di sapere i vostri gusti può sembrare insomma di esercitare un diritto democratico, cioè ognuno di voi dice: mi piace x, mi piace y. Poi c’è l’altra forma che (comunque deve andare di pari passo – no? – con questo tipo di esercizio che è la scelta) è la capacità d’ascolto. Quindi adesso state ad ascoltare un brano che invece è un brano che sicuramente non conoscete, che è una mia canzone, che io comunque devo fare perché ho portato la chitarra e, insomma, sono venuto a fare questo. Poi è bello comunque chiacchierare anche d’altro e poi vedere se i due discorsi si possono agganciare, quindi completo silenzio, un po’ di pazienza, un po’ d’attenzione, questo brano, sì. Scatta la multa a questo punto [ridacchia]. Va be’. Allora questo brano che vi faccio sentire si chiama Il fado del dilettante e poi vedremo. Il fado è un tipo di canzone, un tipo di canzone portoghese. Io ho semplicemente pensato che tra le città di Lisbona e la città di Genova c’è un tipo di somiglianza che riguarda la pendenza, la verticalità, il fatto che sono città ripide, città che cadono, diciamo così; non sono città di pianura come può essere Pavia mettiamo o Milano e quindi da questo pun… E poi c’è il mare in tutte e due e poi chissà che cos’altro e in questo caso ho parlato di questa cosa. Se volete sfogarvi cantate il lalalà con me; non commentate; commenti dopo. 35 - [Canta accompagnandosi con la chitarra] RR – [Battono le mani] MM – Grazie, grazie; scusate se rompo le scatole, cioè, io non sono un insegnante, gli insegnanti hanno il diritto e il dovere d’avere silenzio quando spiegano le cose – no? – io non sono un insegnante, sono un ospite, sono venuto a farvi sentire delle cose che ho fatto, quindi il silenzio è necessario, non è che sia una lezione; quando c’è una canzone o quando si recita una poesia, qualsiasi cosa, non si può parlare. Se voi andate a teatro non potete parlare, c’è subito il vicino che vi zittisce; purtroppo esistono delle forme un po’ ambigue adesso; mettiamo: se voi andate in una birreria o in un pub certo c’è il gruppo di sottofondo ma noi ce ne freghiamo e parliamo tranquillamente dall’inizio alla fine perché esiste questa musica che è di sottofondo; io le chiamo canzoni portacenere – no? – son quelle che si tengono lì, così come il portacenere si tiene perché parlando ci si spengono le sigarette, così parlando si beve la birra e così parlando si ascolta la musica; ma questo succede soltanto in certe circostanze, ci sono altre circostanze in cui invece le cose si ascoltano con grande silenzio; quindi dipende dalla situazione, la scuola fortunatamente per tutti è una situazione in cui le cose si ascoltano in silenzio, così come il teatro, così come è la sala da concerto. Adesso vediamo di cominciare perlomeno lo spoglio. Se a voi va bene io propongo questo tipo di scaletta del mio intervento, facciamo due chiacchiere intorno a queste cose qui – no? – insieme a voi che – va be’ – poi se c’è il problema del microfono, magari chi vuol parlare me lo chiede e gli dò il microfono perché se no non viene registrato sul registratore quello che dice e sarebbe un peccato anche per la posterità, insomma. E poi se vi va bene parliamo un po’ cinque minuti e poi vi faccio sentire un’altra cosa, parliamo e vi faccio sentire un’altra cosa. Però per fare questo è necessario che ci sia proprio lo stacco – no? – il momento in cui c’è la discussione, si parla, e il momento in cui c’è il silenzio, che è il momento in cui si canta, dove peraltro sono accettati i canti del motivetto o battiti di mani ritmici e cose del genere, quando è il caso, come succede in tutti …; non così con l’accendino [fa il gesto] perché se no c’è il rischio di dar fuoco a qualche cosa. Allora vediamo qua che cosa … Io probabilmente non conoscerò quasi nessuno di questi pezzi perché non è che vedo MTV proprio tutti i giorni, però è indicativo – secondo me – comunque vedere quali sono i vostri gusti e da che cosa dipendono anche perché per avere un gusto (questa è una cosa piuttosto importante che poi vedrete, insomma, nel corso della vita, proprio) per avere un gusto bisogna avere la possibilità di una scelta, per avere la possibilità di una scelta bisogna avere diverse possibilità, cioè in altre parole se io vi faccio scegliere tra un hamburger e un hot dog e un altro cibo preconfezionato diciamo, sì, voi avete tre possibilità di scelta, effettivamente, ma solo sul cibo preconfezionato; se vi faccio scegliere anche invece delle lasagne al forno fatte dalla nonna – mettiamo – allora a questo punto le possibilità di scelta sono quattro. Il problema è che l’offerta in questo tipo di mondo commerciale, di mercato, l’offerta è enorme, cioè tutti vogliono vendere il loro prodotto a quasi tutti – no? – Se qualcuno di voi già comincia – per esempio – a fare musica in qualche locale o per conto suo o a scrivere delle cose poi verrà probabilmente il momento in cui tenterà di venderle perché è umano questo, e allora l’offerta diventa veramente grande, cioè tutti vogliono vendere il loro prodotto. La selezione da che cosa è data? È data dalla pubblicità, cioè la pubblicità decide in pratica i prodotti che esistono e quelli che non esistono. Questa è una cosa piuttosto importante e interessante della quale si può parlare. Cominciamo a vedere, eh. Allora abbiamo … Voglio dire: ci saranno magari momenti di entusiasmo ma limitati perché appunto siamo in una scuola, non è proprio un hit – parade, anche perché non gli serve un tubo a questi artisti, serve a noi per conoscerci meglio. Gigi D’Agostino, Super; E fil 65, Back in time, questa è una delle diagnosi. Io confesso che non li conosco quindi sono abbastanza indietro. Ecco, Lunapop (questi li conosco), Un giorno migliore; Alex Britti, Sono contento; Piero Pelù, Bomba boomerang e Regina di cuori; R.H.C.P. (che sarebbero i – come si chiamano? – Red Hot Chili Peppers, fin lì ci arrivo) 36 - - - - Californication. Questi invece? Blink 182 (non li conosco) ng overboat, benissimo. Queste son cose, appunto, poi vediamo dove si vedono, dove le avete viste, … Eminem (che è appunto quello biondo grassottello che abbiamo visto alla lavagna) Real slimy shady; Madonna (va be’, è la zia di tutti noi) con Music; Lunapop con 50 specia[l] (qui manca una elle, questa me la ricordo, questa me la ricordo perché è quella della vespa, no?); Mauro Picciotto, che proprio invece non conosco, chi è? Un rapper? RR – No, no. MM – Piccotto; avete scritto Picciotto. Non contatemela, non me la contate; [imita la pronuncia e la cadenza siciliane] Picciotto avete scritto, ah. [Tornando a parlare normalmente] Che cos’è un picciotto? Chi è che sa che cosa è un picciotto? RR – [Rispondono qualcosa]. MM – Buoni! Chi è che mi dice che cosa vuol dire picciotto; se io dico … È vero, ma in che tipo di linguaggio si usa? RR – [Rispondono in molti. Fra le varie voci una più forte dice] Calabria MM – Siciliano. Della mafia, benissimo. Quindi il picciotto è quello che fa i piccoli lavori di mafia – no? – Invece allora … (i piccoli, sì, quelli meno importanti). Buoni. Allora Piccotto è questo? Però questo invece mi sento di correggerlo, allora c’è scritto Emegersy 911 immagino. Noi non sappiamo chi l’ha scritto, però ci sono degli errori su come è stato scritto, quindi bisogna correggerli. Adesso vi scrivo come è stato scritto RR – [Un ragazzo dice] No. MM – Eh, chi l’ha scritto non è importante, però bisogna correggere l’errore, no? Allora si scrive così Emergency. Vuol dire emergenza. Qui è stato scritto in modo un po’ diverso, è stato scritto così. Allora due cose fondamentalmente: qua manca la enne – buoni! – vedete? No manca la erre qua e c, vedete la c, perché in inglese la c così si pronuncia esse; mica tutte le lingue si pronunciano in modo uguale – no? – per cui si scrive così. Andiamo avanti. È interessante. Allora: Sottotono, Mezze verità (li conosco vagamente); Robbie Williams (chi non conosce Robbie Williams) Supreme. RR – [Parlicchiano] Ma no. È la tua? MM – Silenzio, silenzio, non siete interessati a sapere quali sono le vostre scelte? Anche se … ripeto … chi vuole può anche dire: <<Sì, questo l’ho scritto io>>, cioè si può benissimo fare avanti, non è un problema; se invece uno non desidera farsi avanti ci limitiamo a vedere quali sono proprio i vostri gusti, no? Elisa, Luce (Elisa è quella che ha vinto il festival di San Remo, prodotta da? Sapete chi la produce? RR – Zucchero MM – Caterina Caselli. Zucchero probabilmente sì, Caterina Caselli è quella che ci mette il grano, questa è una cosa molto importante. Ad esempio Caterina Caselli è una produttrice esecutiva, cioè colei che mette il grano, i soldi, nella pubblicità, nelle cose; lei è molto potente; se Caterina Caselli produce qualcuno molto spesso questo qualcuno riesce a venir fuori. Ora questo può dipendere da due cose: uno, che Caterina Caselli è molto brava a capire i gusti del pubblico; due, che Caterina Caselli è molto brava a proporre e imporre le sue cose ai gusti del pubblico. È questa la cosa che vorrei che venisse fuori da questa nostra breve chiacchierata, perché secondo me è proprio il punto importante su cui si deciderà anche quella che sarà la produzione di domani; cioè la differenza tra i gusti del pubblico, l’imposizione pubblicitaria di prodotti al pubblico stesso e il margine di decisione e quindi anche il margine operativo che ha il pubblico nello scegliere i suoi prodotti. Vorrà fuori molto spesso questa cosa, oggi. Poi c’è di nuovo [si riferisce alle scelte comunicate sui foglietti] Stan di Eminem, o è quello di prima che lo scrive di nuovo; e poi ci sono i Bluvertigo (che sono un po’ i Depìche mode dei poveri, diciamo la verità) con un brano che si chiama l’Assenzio. Voi sapete che cos’è l’assenzio? Questo invece è una cosa culturalmente molto importante. Io la canzone non la conosco, ma sapete che cos’è l’assenzio? 37 - - - - RR – [Al registratore si percepiscono i suoni di qualche voce non intelligibile]. MM – Eh, allora a questo punto però io voglio sapere chi è che la ha scritta, nel senso uno che ha scritto <<Mi piace questa canzone dei Bluvertigo>> avrà capito dalla canzone che cos’è l’assenzio. No, va be’, è lo stesso, non è un problema, ma è una canzone che parla di qualche cosa, l’assenzio è qualcosa che esiste – no? –. Ora sentite: una canzone è anche bella perché uno entra nel mondo della canzone – no? –. È quello che dicevo prima, le canzoni portacenere si sentono così, e chi se ne frega del testo, della musica, di quello che vuol dire, mi fa piacere sentirla mentre faccio dell’altro. Esiste un tipo di canzone (che viene chiamata canzone d’autore, tanto per chiamarla in qualche modo) che invece ha bisogno di essere ascoltata, approfondita, amata proprio con passione, e in questo caso succede come a me è successo molte volte sentendo delle canzoni che mi piacevano di voler sapere che cosa diceva il testo come quando si legge una bella poesia; non so se vi piace Giovanni Pascoli, se lo studiate, non so se vi piace. Che poeti studiano? I I – [Rispondono]. MM – Eh, Dante, Dante, Dante va benissimo. Ora nel momento in cui leggete non dico tutta la Divina Commedia (che effettivamente tutta insieme è un bel mattone) ma dei frammenti singoli della Divina Commedia, non so, il canto di Paolo e Francesca, che parla di amore a suo modo, il canto di Ulisse (avete presente?), c’è una caterva di parole che non conosciamo, che non conoscete RR – [Dicono qualcosa]. MM – Ulisse, il canto di Ulisse, ecco, quando dice Tante volte era acceso e tante casso non è una parolaccia insomma, vuol dire che cosa? Era il lume di sotto della luna poiché Entrati eravam nel regno basso eccetera eccetera quando la nave va a rovinarsi. Tante volte era acceso e tante casso, cioè spento; cassato si dice anche, che non è la cassata siciliana; è cassato nel senso cancellato come dire, no? Ecco, quello che voglio dire è questo: quando leggete una poesia ci sono molte parole che non capite, anch’io quando leggo una poesia ci sono molte parole che non capisco, specie se è di Claudio Pozzani …, ma non è presente, quindi non posso fare queste battute; niente; ci sono delle parole che non si capiscono perché non fanno parte del nostro lessico – no? -. Anch’io se sento magari una canzone di oggi probabilmente non colgo (in inglese di sicuro ma anche in italiano) non colgo delle parole, dei riferimenti, che sono proprio tipici del gergo, del lessico, giovanile, no? Allora se la poesia piace uno va a cercarsi che cosa vuol dire questa parola. Con la canzone succede lo stesso; cioè succede lo stesso con tutte le forme di proposta artistica che hanno bisogno di qualcosa di più di un ascolto distratto, quindi l’assenzio che cos’è? E lo ritroverete – eh – continuando a studiare, lo troverete in molti poeti. Esistono – per esempio – certi poeti francesi, non so se li avete già sfiorati, i poeti maledetti li chiamavano, li avete … li hanno già fatti? RR – [C’è qualcuno che risponde ma non è percepibile]. MM – Cosa succede? Cosa succede? Il tappino? [Ridacchia]. L’assenzio che cos’è? Non si sa. RR – [Dicono qualcosa]. MM – Cosa si fa … Sì dillo dai, cosa si fa con l’assenzio? RR – [Uno risponde]. MM – Una forma di poesia? No. È una cosa concreta. Si mette nei bicchieri. L’assenzio è un liquore, è un liquore fortissimo. C’è soltanto un liquore (noi non lo vendiamo in Italia purtroppo, dico purtroppo perché sono un alcolizzato). RR – [Qualcuno ride] MM – Ma se uno non beve non gliene frega niente, insomma. L’assenzio in Italia non si vende, è proibito. È un liquore fortissimo. Oggi si vende, o almeno si vende un liquore sotto questa denominazione. Esiste soltanto un altro liquore che si vende ogni tanto in Italia, al quale ho dedicato anzi una canzone, mi viene in mente, ve la faccio sentire, questo liquore è 38 - - - un infuso dell’Abruzzo e Molise, si chiama Centerbe e allora, appunto, adesso vi faccio sentire questa canzone qua e qui vi prego di nuovo di fare silenzio, magari accostare la porta se non fa troppo caldo; ci vuole concentrazione in queste cose, ecco, bravissimi, oh, vedete è tutta un’altra cosa così. Anche qui magari ci sarà qualche riferimento forse che non capirete perché questo liquore non lo conoscono in molti effettivamente; poi questa canzone non parla di questo liquore, sono diciamo stupidaggini (per dire un termine diverso da quello che direbbe Adriano Celentano) che uno così può dire quando ha bevuto troppo assenzio. Assenzio che in questo caso è Centerbe, che è questo liquore. Allora Centerbe. [Suona la chitarra e canta]. RR – [Battono le mani]. MM – C’è stata una risataccia alla fine che mi fa piacere perché una delle funzioni della canzone è anche quella di divertire, spero non si riferisca al fatto di vedere […] ‘sto pirla con l’età che ha che si metta a urlare così … perché qui ho visto citati i Red Hot Chili Peppers che quanto a età penso che mi sopravanzino di gran lunga eh; probabilmente non è vero oppure non so, cioè ci sono in realtà dei vecchi nel rock che sono molto più vecchi di me e del professor Fancello messi insieme, quindi se si riferisce all’età è fuori luogo come risata, se invece si riferisce così al fatto … se è una risata liberatoria allora va benissimo perché una delle funzioni delle canzoni è proprio quella di liberare e in effetti questi versacci, diciamo, che ho fatto alla fine della canzone li ho fatti sia perché mi piace moltissimo fare i versacci (anzi se compongo canzoni è perché posso metterci ogni tanto qualche versaccio) e anche perché finisce con una frase piuttosto impegnativa, dice a berti divento poeta perché queste sostanze alcoliche sono sempre molto legate alla poesia, specialmente in un certo tipo di poesia occidentale post-romantica, così non dico più niente, cioè divento poeta così non dico più niente, a questo punto l’urlo è l’unica cosa possibile, non potendo dire più niente in parole, rimane soltanto l’urlo. Proseguiamo con lo spoglio. Allora vediamo un po’. Cantanti: Dido che canta in coppia con Eneas, questa è una battuta veramente idiota. Didone, conoscete Didone? Sapete chi è Didone? Una regina che era innamorata di Enea. Qui c’è solo Dido (Dido Didonis, in latino), qui c’è solo Dido che ha preso il nome evidentemente da lei, poi c’è – ahi ahi ahi – un altro errorino eh RR [Uno ripete] Ahi ahi ahi MM – e solo d’inglese, e questo è preoccupante perché l’inglese è la lingua madre ormai eh.Allora music a meno che non siano voluti eh, perché potrebbero essere anche voluti, io dico soltanto quello che so io di inglese che non è molto, music box – no? – se è così e qui c’è scritto in un altro modo c’è scritto music con la [miusic] RR – Nooo [gran chiasso]. MM – Non penso che sia così. Bene.Ah, ecco, poi c’è il nome di un profumo: Céline Dion; no, Dior è il profumo; va be’, Céline Dion, ossia questa signora che effettivamente ha più anni di me sicuramente, anche questo è da vedersi, che canta … no, forse ha la stessa età diciamo, però li porta peggio, Céline Dion che cantava il Titanic e che qui canta My ear will go on. Finalmente qualcosa di italiano: Paola e Chiara, che sono le famose protagoniste di un canto di Dante che cantano Viva l’amor, viva l’amor, io non lo conosco, e poi c’è Madonna con American pie. Quindi è interessante una cosa, abbiamo già due Madonne. È interessante, vuol dire che il prodotto Madonna raggiunge tutti o comunque raggiunge più persone di quanto raggiunge per esempio il prodotto Bluvertigo, che per adesso ha avuto soltanto una chiama, no due, mi correggo; allora Robbie Williams e Madonna hanno già due chiamate; Bluvertigo – con l’assenzio – hanno anche loro due chiamate, Robbie Williams un’altra, tre chiamate, quindi vince Robbie Williams; Britney spears vediamo comparire, anzi lo dico come un dj e vediamo Britney spears che compare con la sua splendida Don’t let me be the last to know e Elisa la nostra la nostra italianissima Elisa con Luce, la canzone Luce che piace a tutti: ai grandi e ai piccini; ecco, questo è il dj. Fra l’altro vi voglio anche far pensare ad una cosa; ci sono dei manifesti in giro, ci sono molti manifesti elettorali – no? 39 - – in giro, in genere c’è la faccia di questa persona sconosciuta con queste promesse tipo – non so – meno temporali, meno criminalità, un impegno sicuro, una cosa concreta, con questa faccia di questo signore; ebbene ci sono state molte pubblicità fatte a imitazione di questa, ma la più sciagurata (secondo me), che bisognerebbe vietare, è una pubblicità – credo – di Radio Dimensione Suono, dove si vedono tutti i dj e si promettono cose tipo: più dj per ogni abitante, un impegno sicuro, le strade piene di dj. Cioè, neanche Hitler avrebbe proposto queste cose probabilmente; ma voi pensate che cosa succede ad avere un dj ogni sette abitanti; un commercialista potrebbe venire utile, ma un dj! Al limite un vigilie urbano, ma proprio un dj! Va be’, niente, guardatele queste pubblicità, ci sono tutti questi Albertino, tutti questi dj, che peraltro sono bravissimi eh, fanno benissimo il loro lavoro. Il problema è: qual è il loro lavoro? E qui comincia a essere un po’ più spinosa la questione perché il lavoro di un dj tutto sommato è quello di parlare bene – perché pagato – delle cose che gli passano; poi, nell’ambito di questo, lui può scegliere le cose che preferisce oppure no. Però quando dicono a un dj : <<Guarda dj c’è questo qui che deve venir fuor perché ci pagano>>, quindi pagano la radio per fare la pubblicità, lui deve parlarne bene anche se non gli piace. Quindi è un po’ diverso il dj da quello che in teoria dovrebbe essere un giornalista. Il giornalista in teoria dovrebbe essere uno che legge un libro e dice: “Mi piace, ne parlo bene”, “Non mi piace, ne parlo male”. In realtà non è così perché anche il giornalista eh, eh, deve vivere, quindi in realtà è pagato anche il giornalista per parlare bene di quello che gli danno. Questo determina appunto una forma – diciamo – un pochino di falsa democrazia nel mondo in cui viviamo, insomma bisogna starci un pochino all’occhio anche su queste cose. Qui abbiamo di nuovo Jennifer Lopez con Play; Elisa di nuovo con Luce, Bluvertigo … Abbiamo un altro Alex Britti: La vasca e un altro Robbie Williams: Supreme. Ecco adesso vi faccio sentire un’altra canzone, poi volevo parlare, sulla scorta delle altre cose che spoglieremo qui, di quello che è la differenza tra canzone (musica leggera quindi, ogni forma di canzone) e quel tipo strano di canzone, che è quasi parassita nell’ambito della musica leggera, che viene chiamata canzone d’autore, che è quella che sostanzialmente faccio io e molti altri, adesso vedremo chi, anche molto più famosi di me. Ora volevo farvi sentire un brano; questa volta voglio farvi sentire una canzone napoletana invece; io non so bene il napoletano, però la canzone napoletana è una delle forme probabilmente più belle della canzone d’autore. Questa non so se l’avete mai sentita, è molto bella, è dei primi del Novecento se non mi sbaglio, si chiama Reginella. È una storia d’amore molto bella. [Canta. Poi, a un certo punto chiede ai ragazzi d’intervenire] Possiamo fare tutti il mandolino con la bocca. [Riprende a cantare con gli allievi. A metà del tempo di durata della canzone s’interrompe e riprende gli studenti dicendo] Sì, zitti anche per la canzone napoletana però, perché c’è par condicio. Non posso farvi star zitti solo quando canto le mie perché ci tengo di più. Anche per la canzone napoletana bisogna star zitti. Poi ne facciamo una padana anche. [Riprende a cantare e dopo un po’ invita il pubblico ad imitare “con la bocca” il mandolino] Adesso c’è l’ultima strofa, non so se si capisce quello che succede in questa canzone perché il napoletano, va be’, è facile ma non facilissimo. Succede che c’è un tipo che è innamorato di una ragazza che si chiama Reginella che l’ha lasciato, quindi più o meno è il tema di tutte le canzoni di sempre, no? Questo qui, probabilmente ubriaco, si rivolge non a Voce amica per lamentarsi ma al cardillo, cioè cos’è? Il canarino – no? – che sta nella gabbia e si rivolge al cardillo, al cardellino (non al canarino, scusate). [Riprende a cantare e traduce e commenta i versi mentre canta intervallando le due cose]. RR – [Battono le mani] MM – Qualcuno di voi la conosceva? RR – No. MM – È una canzone insomma molto famosa. Tu [rivolgendosi ad un allievo] la conoscevi? Da chi l’hai sentita? Massimo Ranieri? Per via che la fa spesso. RR – [Risponde] 40 - - - - MM – Tua mamma, ecco. Una volta – come ti chiami? – RR – [Risponde] MM – una volta era come è successo a Francesca, cioè le canzoni non erano registrate; prima dell’avvento della registrazione, quindi dei dischi, neanche ancora dei registratori ma dei dischi, le canzoni si tramandavano oralmente oppure qualche volta qualcuno le scriveva e succedeva spesso come è successo a Francesca che la mamma le cantava la canzone e lei conosceva questa canzone. Questo causava ovviamente meno confusione, meno impatti, non c’era la pubblicità sostanzialmente, quindi c’era un tipo di mentalità proprio diversa. Ecco e qui vedo una cosa interessante. Per che motivo? Perché qui viene citato Fabrizio De André che effettivamente è uno di quelli che nell’ambito della musica leggera ha fatto canzoni d’autore e allora mi farebbe piacere sapere da voi, anzi, potrebbe anche scoprirsi quello che ha scritto La guerra di Piero di De André tra le sue canzoni preferite guadagnando punti nei miei confronti – per quanto può essergli utile – ma li perde immediatamente, perché ha citato dopo gli Otto Otto Tre e lì sì non mi piacciono, ma ognuno ha i suoi gusti. Vorrei che si facesse avanti chi ha citato La guerra di Piero di De André e vorrei chiedere a lui di venire qui al microfono e non gli saranno dati premi.. RR – [Chiacchierano e ridono]. MM – Come ti chiami? LC – [Dice il suo cognome] MM – È il cognome? E di fatto [gioca con i doppi sensi sul cognome]; C* anche di fatto. Luca benissimo. Allora vorrei che mi dicessi secondo te … , io penso che effettivamente le canzoni di De André, come quelle di tanti altri, … intanto lo conoscete tutti Fabrizio De André? RR – Sììì, è morto. MM – È morto poverino. Appunto in che cosa si differenziano secondo te nell’ambito della musica leggera? Perché l’hai citato? LC – Perché è poesia. MM – Ecco questa è una cosa interessante, discutibile ma interessante, cioè La guerra di Piero è più simile a una poesia, quindi ti fa piacere, se ho ben capito, il fatto che ci sia una canzone che si può ascoltare anche con gli amici, insomma, senza dover studiare, che ti dà delle emozioni simili a quelle che ti dà la poesia; è così come dico io o non c’entra niente? CL – [Silenzio] MM – Per che motivo? È lo stesso motivo o c’è un motivo diverso? CL – Perché mi piace MM – Ti piace e basta. Secondo voi gli Otto Otto Tre sono vicini alla poesia come linguaggio o sono vicini piuttosto a un altro tipo di linguaggio? Anche questo è discutibile eh. RR – [Le voci si sovrappongono] MM – Quale per esempio? Quale tipo? Quale tipo di linguaggio per esempio? Questo può essere interessante non solo per gli Otto Otto Tre ma per tutte le canzoni. Secondo voi a che tipo di linguaggio si rifanno gli Otto Otto Tre? MF – Max fai degli esempi perché forse non hanno capito la domanda. MM – Sì, allora abbiamo visto come si può dire in qualche modo che La guerra di Piero di De André ha delle cadenze simili a certa poesia e probabilmente può anche dare emozioni simili; il linguaggio degli Otto Otto Tre, cioè il tipo di parole che usano, di immagini che usano, si rifà a un linguaggio vicino a quello della poesia? Si è pensato di no perché è un linguaggio che secondo me è più attuale intanto di quello della poesia ed è più scarno, ha meno cose, è più semplice, è più semplificato. Secondo me il linguaggio degli Otto Otto Tre sta al linguaggio della poesia come appunto un hamburger può stare a un piatto molto elaborato della cucina francese – mettiamo – perché è semplificato, sono prodotti semplificati e quindi la domanda è “a quale tipo di linguaggio si rifaceva?” A chi si rivolge 41 - - per esempio la canzone degli Otto Otto Tre? A chi si rivolge secondo voi? A che tipo di pubblico? RR – [Rispondono] MM – Moderato? RR – Moderno. MM – Ah, moderno. Moderato sarebbe stato geniale, veramente. Moderno, sì. Quindi un linguaggio contemporaneo, un linguaggio che direi usate voi sostanzialmente, no? E questo tra l’altro vi può far osservare un’altra cosa, una piccola incongruenza, Max Pezzali, siamo sempre sull’anagrafico, se non ha quarant’anni poco ci manca e continua a usare il linguaggio vostro che avete tredici anni, dodici, quattordici RR – Eeehhh! Un’inquadratura di una parte degli allievi del laboratorio di poesia durante la performance di Max Manfredi. - MM – Ora i casi sono due, o è matto perché insomma non ha avuto uno sviluppo intellettuale e morale tale da passare a un linguaggio … io suppongo che voi a quarant’anni userete un linguaggio diverso da quello che usate adesso, e forse è giusto così. Alcune cose rimarranno le stesse, alcune parole, alcuni gusti, alcune passioni rimarranno le stesse, ma certe cose le acquisirete dopo e quindi ne eliminerete delle altre. È come il telefonino, la memoria del computer, non ci sta proprio tutto, qualcosa bisogna eliminare. Invece questo Max Pezzali degli Otto Otto Tre … i meccanismi sono due, o ha avuto la cosiddetta sindrome di Peter Pan, - no? – che vuol dire non crescere oltre un certo limite e quindi a trentotto anni, non so quanti ne abbia, è rimasto a un livello di quando aveva quindici anni o comunque di quelli che adesso hanno quindici anni; oppure lo fa perché gli conviene – no? Cioè lui lo fa così, per divismo; va benissimo, eh, non c’è niente di male, però dipende da quello che uno cerca nella canzone; se uno nella canzone cerca per esempio una verità, 42 - - molto dubbia peraltro, allora questa è già qualche cosa che ti fa un po’ insospettire: <<Ma come? Questo qui perché continua a parlarmi come se avesse la mia età?>> Non ce l’ha mica la mia età, no? Se io vi parlo, non vi parlo col gergo che usate voi, anche se probabilmente qualche parola in comune ce l’avremo, perché il linguaggio è qualcosa di molto ampio. Bene! Abbiamo quindi visto attraverso questa testimonianza della canzone di De André in questo caso come ci sia un lato, un tipo di canzone che è un po’ diversa, proprio come linguaggio; ed è quella che tanto per capirsi viene chiamata canzone d’autore. Ora voi potete dire: <<Ma! Canzone d’autore!>>, tutte le canzoni sono d’autore perché tutte le canzoni hanno un autore. Ci sono canzoni di cui non si conosce l’autore. Voi conoscete i canti alpini? Sentiamo. [Accenna a un canto di questo genere] “Era la notte che pioveva” … Oppure, che ne so, “La viola…”, anche i canti …, sì, tapùm tapùm tapùm; non so: tapùm tapùm tapùm tapùuum. Non cantate i cori alpini? RR – No. MM – Comunque ci sono canzoni che non hanno un autore preciso, il che non vuol dire che non ce l’abbiano, l’avevano ma non c’è stato tramandato. [Max parla mentre il pubblico chiacchiera e fa commenti]. Sono le canzoni della società popolare; si vede che quella di prima, napoletana, ce l’ha; ci sono altre canzoni che sono anonime, non hanno un autore nell’ambito della musica popolare. Però la canzone d’autore (tanto per chiarire un momento questo concetto perché è importante anche se può sembrare che non lo sia, ma è importante) … Facciamo un parallelo: il cinema d’autore. Voi avete sentito parlare di cinema d’autore? Se ne parla? No? No. Per cinema d’autore (comunque se ne parla e ne sentirete parlare) s’intende un tipo di film, di cinematografia, particolarmente interessante dal punto di vista espressivo, dal punto di vista dell’uso del linguaggio, insomma particolarmente importante o particolarmente bello, non lo so. In questo senso nessuno si sogna di dire che un film dei fratelli Vanzina, mettiamo, tipo Vacanze di Natale numero ventiquattro, questi film che escono sempre con Massimo Boldi e, non so, Cristian De Sica, … Ecco questo cinema può essere perfettissimo però nessuno si sogna di chiamarlo cinema d’autore perché è un cinema commerciale, una volta si usava questo termine, adesso non si usa più; non si usa più e c’è un motivo, una volta anche per le canzoni si usava un termine un po’ brutto che era canzone impegnata, cioè canzone che parla di cose importanti, di politica, di qualcosa impegnata; non so se qualcuno di voi conosce Francesco Guccini, RR – [Uno risponde] Sì. MM – e lui è uno che è stato un po’ accusato, diciamo così, (lui in realtà fa le canzoni come vuole, come tutti noi) però è stato accusato in qualche modo o comunque è stato applaudito per fare la canzone “impegnata” perché faceva canzoni schierate. Adesso non si usa più il termine canzone impegnata fortunatamente, però non si usa più nemmeno il termine canzone commerciale; oppure si usa in un altro senso. Cioè, veniva chiamata una volta canzone commerciale la canzone che veniva fatta per fare soldi e quindi è un termine spregiativo, pensate che stranezza, una cosa per fare soldi che veniva disprezzata , ma dove siamo? Erano tempi in cui c’erano questi pregiudizi, insomma. Adesso c’è il pregiudizio opposto però: qualsiasi cosa che fa soldi va bene e semmai può non andare bene per motivi morali ma mai per motivi estetici, cioè tutto quello che fa soldi, sapete – no? – la differenza fra estetica e etica? Estetica è quello che coinvolge la sensazione, una cosa mi piace o non mi piace; l’etica coinvolge il giudizio; lavorare è qualche cosa che io accetto o non accetto come essere umano che vive con gli altri esseri umani – no? – quindi se si vende della droga (mettiamo che possa essere contrario se non sono drogato e, quindi, mi conviene che qualcuno la venda) io posso essere contrario a questo fatto, che si vende la droga, contrario per motivi morali – no? Se invece vedo un film dei fratelli Vanzina e non mi piace o vedo un film di Lars Von Trier, che è un matto che fa i film con la telecamera che scivola, non so, avete mai visto …? Va be’, ci sono diversi tipi di film che non so se voi li vedete, ho dei dubbi, non mi piace sia che sia un film d’autore sia che non lo sia eccetera, non mi piace, 43 - - - - questo anche probabilmente per motivi estetici, cioè non mi piace quello che vedo, non mi diverte, non mi emoziona, non mi diverte non mi emoziona, queste sono le due cose essenziali che sono chieste in genere da sempre all’opera d’arte, cioè divertimento, emozione e un’altra cosa: la conoscenza. Ma questi sono argomenti un pochino più pesanti e più difficili; sospendiamo. Vi faccio sentire adesso una canzonaccia che ho scritto io; è una canzone impegnata invece, impegnatissima, una canzone impegnata che parla di un problema gravissimo che è a Genova, che è il problema dei topi. RR – [Parlottare di parecchi ragazzi] MM – voi avete mai visto un topo? RR – Sììì, sììì [affermano più persone]. MM – Gli avete parlato? RR – [Si accresce il numero di persone che rispondono e il volume delle voci è più elevato] Sììì [e molte altre parole non identificabili per via del chiasso generale]. MM – Gli avete parlato? RR – [Proseguono a far chiasso. Uno dice] Sì. MM – A volte si può, però molti topi sono stranieri, non capiscono la nostra lingua. Io ho fatto questa canzone che parla appunto di questo problema, il problema dei topi. Le parole sono sicuramente stupide, però, nella loro stupidità, si parla – se state bene a sentire – nella stupidità di queste parole, è un cartone animato questa canzone, però si parla proprio di questo problema, della differenza tra l’offerta dell’imposizione pubblicitaria e quello che può aspettare l’uomo-massa, cioè il topo; i topi sono tanti e sono anonimi, nessuno gli chiede come si chiamano, i topi si muovono in massa, ecco gli uomini nella società nostra vengono a volte considerati così, no? [Canta e suona la chitarra]. RR – [Battono le mani con convinzione] Era impegnata. MM – Sì, era impegnata per molte vie. Allora continuiamo con lo spoglio delle schede: Lunapop di nuovo Se ci sarai; Gilbert, Californication; Piero Pelù con […]; Peppers con due p, chi è che l’ha scritto con una p? Peppers, due p. Californication, che è un gioco di parole, no? Californication, California e fornication. Non fornicare dice il comandamento. Cosa vuol dire? Cosa vuol dire? Argomento scottante. I preti se devono spiegare i comandamenti (i preti sono quelle persone vestite di nero che stanno nelle chiese e alle volte anche vanno in giro) … Ci sono questi comandamenti, eh, i comandamenti della Chiesa – no? – che sono quelli che il Signore ha dato a Mosè sul monte Sinai, sapete? Sono le zone dove adesso si combatte tutti i giorni tra palestinesi ed ebrei eccetera. Va be’, Californication California e fornication, cioè fornicare, commettere atti impuri come si diceva una volta. Alex Britti nella vasca per esempio, che è un’altra canzone segnalata. C’è qualcosa di grande, Lunapop; La vasca, di nuovo Alex Britti, [prosegue l’elenco, che tralascio]. I casi sono due [Probabilmente si riferisce agli allievi che hanno espresso le medesime preferenze], mettersi d’accordo per dire le stesse cose o si è pagati o si è … No, scemi non è del tutto vero, la parola giusta, e ve la spiego, non è un’offesa, è imbecilli, perché, non è un’offesa, eh RR – [Uno ripete] Imbecilli. [Ridono]. MM – Cosa vuol dire imbecille? RR – Deficiente [risponde qualcuno] MM – Non vuol dire proprio deficiente, attenzione, viene dal latino, vuol dire senza bàculus, il bàculus è il bastone, imbecille è uno che non ha difese, non ha bastone, non ha la forza di difendersi, è questo quello che volevo dirvi; no, quello che voglio dire assolutamente senza offendere nessuno è che [chiacchierano in parecchi], buoni, buoni, II – Ssshhh MM – Buoni, se no poi vi canto tutte le canzoni di Lucio Battisti. RR – [Riprende il chiasso]. 44 - - MM – No, la cosa che volevo dire è questa, che se tutti quanti mettono le stesse preferenze – state attenti – vuol dire che tutti quanti conoscono le stesse cose, quindi scelgono in un [ambito] abbastanza limitato di canzoni. Nella canzone di prima si diceva: “lo zapping sostituisce la libertà di scelta”; cosa vuol dire? Una frase un po’ polemica; vuol dire quando fai lo zapping hai la libertà di scegliere tra un numero molto grande di canali, specialmente se hai la parabolica, però non puoi scegliere un canale che non c’è; allo stesso modo se uno sente la radio può scegliere tra queste canzoni qui, e voi avete scelto tra queste canzoni qui, non può scegliere una canzone che non trasmettono. È successa una cosa molto interessante, da un po’ su Internet è venuto fuori il Napster, lo conoscete? RR – Sì. MM – La possibilità di scaricare un po’ di tutto. RR – [Uno dice] Le canzoni. Manfredi durante una sua esibizione canora in auditorium. - - MM – Esatto. Sono state scaricate, attenzione che è importante questo, sono state scaricate canzoni che nessuno sentiva da anni, totalmente sconosciute, e però sono state scaricate, vuol dire che ad alcuni perlomeno erano interessate quelle canzoni lì, ora uno che vuole sentire una canzone di Georges Brassens, un cantautore antico, morto, un cantautore francese, bravissimo, che nessuno conosce ormai, se lo scarica dal programma, ci sono degli appassionati che scaricavano queste canzoni qui. Ora questo cosa vuol dire? Al di là della proposta ufficiale che riguarda i grandi numeri di ascoltatori esistono piccoli numeri, sono quelli che si chiamano i mercati di nicchia. Conoscete questo termine no? MF – [Intervengo per dire che il termine dell’incontro sta per scadere e gli chiedo di concludere]. RR – [Chiasso da parte dei ragazzi]. 45 - - - MM – Alzi la mano chi vuole lo spoglio delle schede. RR – Lo? Eh? MM – Lo spoglio delle schede. RR – O se no? Le canzoni? MM – Chi vuole una canzone invece? RR – [Chiasso generale. Più d’uno ad alta voce reclama] Quella dei topi. I topi. Quella dei topi. Quella dei topi. Quella dei topi. MM – O quella del professor Fancello? [Avevo richiesto il Fado del Dilettante]. Votate. Bene. RR – Quella dei topi, quella dei topi. MM – Allora adesso vi faccio una canzone [accenna alcune note sulla chitarra] che ho avuto il piacere di cantare in un … Ho fatto tre dischi anche se sono stati molto poco pubblicizzati. Ho fatto tre dischi. Nel secondo disco, uno di questi che avete citato qui ora ha cantato con me questa canzone che vi faccio sentire. Capirete subito chi è. [Canta] “Mi sono trovato sveglio” … [A un certo punto s’interrompe e dice], no, ecco vedete? Vedete? Ecco vedete che cos’è successo? Ho sentito …. Silenzio! Silenzio. Ho sentito parlare, mi son tagliato la strofa. Vedete il potere che ha il pubblico su chi suona; ovviamente chi suona non è un juke-box o una cosa elettronica automatica, ha una risposta. Quindi chi suona deve rispettare il pubblico, nel senso che deve proporgli ciò che per lui è il meglio. Il pubblico rispetta l’artista col silenzio perché se non sta in silenzio l’artista si distrae e allora gli dà un prodotto peggiore di quanto potrebbe, no? Quindi non ve la faccio dall’inizio ma dal punto in cui sono stato interrotto. Allora … [riprende a cantare]. RR – [Battono le mani al termine della canzone]. MM – Grazie. Abbiamo terminato l’incontro? MF – Direi di sì. MM – Allora se non avete richieste, domande, approfondimenti, che comunque potete fare dopo anche sulla scorta di queste schede, direi che possiamo salutarci. RR – [Salutano, ringraziano e sfollano l’aula vociando]. MM – Grazie a voi. 46 TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO C L A U D I O - CP RR R MF - P O Z Z A N I Claudio Pozzani Alunni di III B e III C Alunno imprecisato Mario Fancello CP - Ciao a tutti. Voi avete già sentito gli altri che sono venuti – no? – mi sembra d’aver capito. Siete le stesse classi che hanno visto Maio, Manfredi e la Cretella Elena. Dunque non me la sono preparata oggi, quindi volevo proporvi di fare insieme determinate cose, anche perché avevo pensato di fare una specie di premio con voi, un concorso, che poi verrò a fine maggio con dei premi per tutti quelli che poi collaboreranno. 3 Siccome la “lezione” (lezione tra virgolette) di poesia l’ho già fatta l’altra volta, adesso volevo fare una cosa, darvi alcuni esempi di poesia, performance o comunque poesia sperimentale dei primi anni del Novecento, soprattutto futurista, poi alcune cose che di solito faccio in pubblico con vari tipi di pubblico, quindi dalla vostra età – anche più anziani – eccetera … e poi proporvi di fare una specie di poesie che poi vedremo magari di leggerle insieme eccetera, magari di dividervi in gruppi e qua magari Mario potrebbe aiutarmi poi tecnicamente per vedere come si può fare dopo. Magari fare delle poesie insieme e poi vedere magari la prossima volta, quando tornerò, o se son pronte già questa volta, e vedere … Io ho dei libri, dei dischi che posso mettere a vostra disposizione (per tutti quelli che parteciperanno) quindi una specie di concorso ecco; poi magari con questo incentivo magari ci si diverte anche di più. Ebbene io 3 In realtà l’incontro ebbe luogo molto più tardi, venerdì 22 febbraio 2002, nella Stanza del Cinema e della Poesia a Palazzo Ducale alla presenza della sola III B, ossia di una parte degli allievi del laboratorio. Claudio, dopo aver letto a voce alta le esercitazioni poetiche degli studenti intervenuti ed averne apprezzate alcune, ha ritenuto più opportuno non stilare alcuna classifica di merito e premiare perciò, con libri e dischi, quasi tutti i partecipanti. 47 volevo iniziare così per darvi due o tre spunti. Volevo leggervi due o tre poesie giusto per non tediarvi eccessivamente. La prima poesia era uno dei primi esempi di rumore nella poesia. Filippo Tommaso Marinetti, il capo inventore del Futurismo ( a parte che era miliardario perché aveva ereditato i soldi da suo padre, quindi poteva spendere molto e viaggiare e fare tutte le tourné di poesia che voleva fare) è stato uno dei primi a pensare di mettere dei rumori della città, o comunque della vita normale, nella poesia. Questa che vi vado a leggere è l’ultima parte di una poesia su un bombardamento, quindi lui con dei rumori e con delle parole ha tentato di dare il senso di questo bombardamento, infatti si chiama Bombardamento su Adrianopoli. Il titolo di tutto il poema era Zang Tumb Tumb, quindi già da questo sono le bombe che cadono. Pensate che è del 1914, quasi novant’anni fa. [Effettua la lettura con interpretazione gestuale e sonora]. Questa per darvi una possibile idea di come scrivere un pezzo tenendo conto dei rumori, delle onomatopee. Un altro tipo di poesia (legato a un testo più semplice, cioè più “normale” – tra virgolette – però legato sempre al ritmo) potrebbe essere questo. Questa è quella che è stata chiamata un’invocazione per voce, cassa toracica e solitudine. Questa qua s’intitola Cerca in te la Voce che non senti, invocazione per voce, cassa toracica e solitudine. Questo è un altro esempio di utilizzare il corpo. Prima erano i rumori, con la voce attraverso i rumori, questo invece utilizzando il corpo come uno strumento musicale soprattutto percussivo. Qua il testo è praticamente una specie di paesaggio, una specie di dipinto dove vengono messe appunto queste refrain con il corpo eccetera. [Effettua la lettura con interpretazione gestuale e sonora]. Cerca in te la voce che non senti (invocazione per voce, cassa toracica e solitudine) Cerca in te la voce che non senti mangia l’universo se non la comprendi Basse case dai tetti spioventi lacrimanti pioggia da gronde ormai marce Profumo di terra, di foglie, di stagni e sinistri paesaggi di candido marmo Cerca in te la voce che non senti mangia l’universo se non la comprendi Vermi che giacciono sotto il fondo fangoso topi che nuotano in ruscelli d’acciaio Fumo di nebbia, auto veloci che brucano leste tagliatelle d’asfalto Cerca in te la voce che non senti mangia l’universo se non la comprendi Ombre di creta camminano stanche scuotendo bassa la conica testa Obliqui fantasmi stampati sul muro ricordano fughe e cavalli di frisia Il buio comincia a specchiarti la mente 48 mentre tutto diventa effervescente e verde … 4 - RR – [Applausi]. Claudio Pozzani e, a margine, alcuni allievi di II C. - CP – Questa era una mia composizione che avevo fatto appunto durante un festival, avevo incontrato alcuni poeti indiani d’America, avevo fatto una cosa dedicata soprattutto a loro, quindi c’era un po’ questo tipo di canto sciamanico, insomma era quella la cosa a cui tendevo. Io volevo chiedervi. Adesso magari continuo a darvi alcuni esempi; ne avete voglia poi di fare delle cose insieme magari divisi a gruppi eccetera? Ecco perché poi la mia idea, insieme anche a Mario e agli altri, sarebbe appunto (come spiegavo prima) di cominciare dalle poesie (scegliete voi i gruppi, i vostri amici più cari, decidete un po’ voi) e poi – non so – ci saranno dieci lavori e poi, quando a fine maggio, ritorno anche per vedere un po’ di annodare tutte le cose a cui avete assistito in questi giorni eccetera e vediamo queste poesie qua come tipo concorso; comunque vincono tutti; ci saranno dei libri, dei dischi, eccetera, ovviamente legati a quello che avete sentito; quindi – non so – dischi di cantautori o poesie di una determinata cosa o libri su arte. E poi potete continuarla come un gioco perché poi l’arte deve essere un gioco soprattutto, deve anzi insegnare alla gente a giocare per tutta la vita. Volevo darvi un altro esempio sempre di poesia che oltre alla voce utilizza il corpo. 4 CLAUDIO POZZANI, Saudade & Spleeen, Éditions F. Lanore, Parigi, 2000, p. 28. 49 - Questa qua di solito per farla richiederebbe dei microfoni e degli effetti sulla voce, però va be’ tentiamo lo stesso di farla qui. Di solito una cosa che consiglio sempre quando faccio degli incontri di poesia è quella di usare per fare la poesia dei temi non troppo sfruttati. Molto spesso mi accade, quando sono nella giuria di premi eccetera, di trovare su duemila poesie la stragrande maggioranza sempre su uno stesso tema come può essere – non so – il tramonto eccetera, e si trovano anche delle poesie quasi in fotocopia, cioè con sempre alcuni luoghi comuni. Io tendo sempre di dire: quando andate a fare un giro fuori anche la minima annotazione che vi viene in mente (un’idea anche stupida) se quando tornate a casa buttate giù una frase così tanto per fissarla sul foglio poi lavorarci sopra secondo me trovando magari anche dei temi che all’apparenza sembrano banali perché sono magari … Io mi ricordo una poesia su una vite, su un fazzoletto, questa addirittura (va be’ è una metafora) è su uno che cammina su una sfera fluorescente in mezzo al buio; questa stanza buia è tutta piena di valvole bruciate, di televisioni rotte, eccetera, quindi c’è anche questo tipo di pericolo di camminare su queste cose. Va bene, ve le faccio un attimo. [Recita] - RR – [Battimani]. - CP – Grazie. Questo è un altro tipo di suggerimento – di esempio – di utilizzare il corpo su ciò che concerne la dizione dal vivo perché alcuni poeti magari scrivono delle bellissime poesie però poi dal vivo hanno delle difficoltà a trasmettere quello che hanno scritto. Un altro esempio, questo è invece l’esempio un po’ meno fantasmagorico, però è come utilizzare l’ironia in poesia; un maestro che aveva avuto anche lui degli inizi nel movimento creato da Marinetti, cioè il Futurismo, e si chiamava Aldo Palazzeschi. Lo conoscete già? - RR – No. - CP – No. E lui ha fatto questa poesia, ne ha fatto due Claudio durante una sua veramente, le sue due più famose. Come quando parlavo performance al di fuori della prima di scegliere dei temi abbastanza inusuali. Lui ha Centurione. scelto come tema (è un po’ una metafora comunque) una fontana con … La conoscete già? RR – Abbiamo visto la videocassetta [dicono gli alunni di II C] 5 Noi no [dicono gli allievi di II B] CP – Allora la faccio per loro. La Fontana Malata si chiama. Basta la conoscete, allora non ve la faccio più. Volete che ve la faccia o no? RR – Sìììììììììììì CP – Va bene. Il fatto che l’abbiate già vista mi … Beh, un applauso al regista. 6 Come ti chiami? RR – [Applaudono]. R – Lorenzo. CP – Lorenzo. Questa poesia è del 1913, quindi anche questa più o meno novant’anni fa. Allora: La Fontana Malata. [Lettura mimata]. RR – [Applausi]. CP – Voi che cosa conoscete come poeti italiani o stranieri? R – Leopardi [risponde uno]. CP – Ti piace Leopardi? 5 Fanno riferimento alla videoregistrazione dell’incontro di Claudio con le classi terze dell’anno scorso sempre nella nostra scuola. 6 Si riferisce all’alunno che riprende la performance di Claudio. 50 - - - - R – [Probabilmente risponde a gesti]. CP – Abbastanza. Dei poeti proprio che vi siano piaciuti. Perché di solito succede (anche a me è successo) che, finché ero a scuola, i poeti era difficile che mi entusiasmassero, poi, una volta uscito, gli stessi poeti che prima non mi dicevano niente poco alla volta mi sono cominciati a piacere, poi li ho studiati soprattutto quando sono uscito da scuola. Tranne alcuni, che c’erano dei professori, ecco lì dipende dai professori, dai maestri, eccetera, tipo appunto Marinetti, il Futurismo, che io assolutamente non conoscevo, mi aveva prestato questo libro il professore, e io gli avevo detto: <<No, sinceramente non mi piace, non mi piace>>, <<No, tienilo, tienilo, che secondo il tuo carattere secondo me ti dovrebbe piacere>>. Poi l’ho tenuto, l’ho guardato un po’ meglio perché la prima volta uno dice <<Ma sì, va be’, lo prendo tanto per far felice il professore, poi lo metto lì>>. Però poi l’ho riletto e in effetti ho trovato una rispondenza con il mio carattere. Quindi magari è anche bello individuare un po’ il carattere di ciascuno di voi e poi darvi delle suggestioni, degli esempi da ascoltare o da leggere. E quindi volevo sapere se magari qualcuno di voi ha già un suo modello di poeta o comunque un poeta che gli è piaciuto, magari anche una sola poesia che gli è piaciuta di questo poeta senza … o qualcosa che avete sentito. [Attende, ma non giungendo risposta ne prende atto] No. Dunque di poeti (a parte quelli scolastici diciamo che vi insegnano a scuola) chi è che conoscete così come fama? RR – [Uno risponde] Edgar Lee Master. CP – Edgar Lee Master. RR – [Un altro dice] Chi? CP – Come mai lo conosci? L’hai letto o c’è stato RR – La prof. ci ha letto l’antologia di Spoon River CP – di Spoon River. Tra l’altro Fabrizio De André ne ha tratto anche un disco, infatti l’avete sentito. Ecco io direi, visto che il maestro [riferendosi a me che rientravo in aula] è venuto, MF – [ridacchio] CP – se avete voglia di fare quella cosa, …, tanto ormai il tempo non è molto. Potremmo innanzitutto dividerci a gruppi, non proprio fisicamente, e poi scegliere ogni gruppo un tema, e poi se li iniziamo a sviluppare adesso va bene; se no, quando la prossima volta vengo, vediamo un po’ se avete fatto qualcosa ( se ne avete avuto voglia, eccetera). Quindi non so se … MF – Se i colleghi sono d’accordo, io direi di farli dividere proprio fisicamente in piccoli gruppi; si spostano senza cambiare posto alle sedie, si spostano loro in base ai gruppi che vogliono formare, oppure i gruppi li formiamo noi. Io direi a un certo momento che queste poesie non devono essere seriose; anzi, più pazze sono – secondo me – più belle potrebbero essere; però pazze ma non forzate, perché – se c’è qualcosa d’orrendo – è sempre la forzatura sia nell’aspetto serio sia nell’aspetto ironico, comico e via di questo passo; cioè le cose che vi vengono in mente e che non avreste il coraggio di mettere le mettete. Sicuramente, siccome siamo a scuola, i linguaggi sono quelli che sono, non possiamo uscire da quei limiti perché altrimenti ci troviamo delle denunce direttamente per cui mettiamo questi paletti, tutto quello che a scuola può essere detto e fatto anche un po’ al di fuori del solito tran tran lo possiamo fare; quello che invece potrebbe essere – tanto per essere espliciti – un po’ pornografico lo evitiamo assolutamente. D’accordo? Facciamo i gruppi noi che facciamo prima. RR – No, no, nooo. CP – Hai detto non pornografico e hanno detto nooo MF – Perché poi, chissà perché, tutte le cose vanno a finire sempre lì, come se poi fosse oltretutto …, (qua mi permettete una piccola nota polemica perché io poi sono molto polemico anche perché ho accumulato parecchio veleno che mi è stato iniettato da altre persone) il discorso è questo che pare che si possa ammazzare, fare terrorismo, tutto, però la 51 - pornografia no, quella no, pare che sia il peccato più grave che esista al mondo, va be’, a me sembra invece che nella scala dei valori venga molto più in basso, però la mia impressione (spero sbagliata) è che invece poi sia questo. Io direi – scusate – sapete perché non è un’imposizione anche se purtroppo adesso lo sarà non voglio far fare a voi i gruppi per due motivi, uno perché verrebbe tra poco fuori il caos perché ognuno dovrebbe spostarsi e il tempo manca, e – seconda cosa – avvengono quelle cose incresciose; che cosa? Quel ragazzino che in genere (molto spesso, non sempre ma molto spesso) pensa con la propria testa e agisce di conseguenza rimarrebbe isolato e questo non è assolutamente bello. Allora facciamo così, i gruppi li facciamo noi in maniera fascista e nazista e praticamente voi subirete quest’imposizione così, quando sarete grandi, saprete anche per chi votare [ridacchio] CP – [Ridacchia] Una cosa che volevo aggiungere è che la mia intenzione era ovviamente di giocare con voi; non vorrei che la prendeste come un’imposizione; se non ne avete voglia non lo facciamo innanzitutto, ecco. MF – Poi finiamo perché tu dici una cosa e io ne voglio controbattere un’altra, tu controbatti, io controbatto. Il discorso è anche questo: niente partecipazione? Niente premio [ ridacchio]. È ovvio. RR – [Dicono qualcosa] MF – Sì, e anche un viaggio (come vi avevo promesso stamattina) alle Hawai, va bene? Accordato? Claudio interpreta alcune poesie durante un suo spettacolo. [Vengono formati i gruppi e si crea subito il caos. Il frastuono poi si attenua man mano che gli allievi entrano nella parte e cominciano a lavorare più seriamente]. - RR – [Ogni tanto si avvicina qualcuno al registratore per fare dei versi sonori] Boh, boh. Miao. MF – Allora – ragazzi – siccome ormai si approssima il momento del suono della campanella cerchiamo di concludere un minimo. Claudio stamattina ha cercato d’inviare degli stimoli perché voi cominciate a capire. Concludendo (perché dobbiamo concludere, non perché siamo arrivati a un punto di conclusione ma perché dobbiamo concludere per forza), vedete che cosa più o meno tutti questi incontri possono avere prodotto in voi. Non dovete dimostrarlo, semplicemente deve trasparire. <<È un gioco>> mi dice Claudio. Bene noi vorremmo terminare in questa maniera. Fra una ventina di giorni, verso la fine di maggio, chi vorrà (e io spero che siate in tanti) consegnerà a noi (perché lo faremo avere a Claudio; Claudio mi ha detto che è disposto verso la fine di maggio a effettuare un altro incontro) questo componimento che sarà o di gruppo oppure individuale, come preferirete voi. In che 52 - - - modo poi si strutturerà l’incontro prossimo ancora non è stato deciso. Vorremmo che consegnaste queste cose – ripetiamo – non obbligatoriamente; chi ha voglia, interesse, gli piace comunicare, magari può scrivere sopra il foglio: “Non desidero che venga letta in pubblico, desidero che sia qualcosa di personale, individuale; perché c’è qualcuno che aveva vergogna a consegnarla, per cui in conclusione direi che a questo punto verranno poi date a Claudio e le leggerà visto che è un poeta e fa parte anche di giurie di premi letterari (se non sbaglio, no?). Perché poi c’è stato Max Manfredi – ieri – che mi ha detto che tu non sei solo quello, sei un sacco di altre cose [ridacchio] e quindi in conclusione darà magari qualche premio senza poi volere questa giuria (che è impersonata da lui solo) essere tassativa; chiaramente esprimerà la sua opinione (di persona esperta certamente ma pur sempre un’opinione soggettiva). CP – Innanzitutto volevo ringraziarvi per stamattina; poi io ho visto delle cose al limite al livello ancora come un embrione come idea, però che erano molto interessanti, alcuni addirittura avevano già scritto delle poesie compiute. Io verrò appunto – come diceva Mario – a fine maggio; se voi avete avuto voglia di proseguire, di lavorarci sopra, secondo i vostri tempi, secondo le vostre ispirazioni, non è che le dovete fare per compito, non è assolutamente un compito, non è neanche una prova, è un gioco che si fa insieme. Comunque a fine maggio io o torno o comunque sarò in contatto coi professori e vediamo un po’ che cosa avete fatto; poi a partire da maggio io avrò La casa internazionale di poesia a Palazzo Ducale, mi hanno dato questo spazio, quindi sarà uno spazio dedicato a tutti quelli che sono interessati non soltanto a poesie ma anche alle canzoni d’autore, a musica; ci sono i testi di molti gruppi rock che sono molto belli ad esempio e anche romanzi eccetera. Quindi tutti quelli che hanno anche voglia nei loro giri, nelle loro vasche, al sabato eccetera passare allo spazio di Palazzo Ducale sono i benvenuti a partire da maggio. Magari poi lo dirò ai vostri insegnanti e ci potremmo vedere là magari a leggere le vostre poesie. Grazie comunque. RR – [Applausi]. MF – Io vorrei concludere l’incontro con una cattiveria rivolta agli insegnanti di Lettere: Non devono assolutamente (la professoressa Puppo e la professoressa Caiffi) intervenire nelle poesie, assolutamente, anche se scriveranno degli errori d’ortografia spaventosi questi devono restare. RR – [Applausi]. [La registrazione dell’incontro si conclude così]. 53 COMMENTI IMBERBI Luigi Maio & Enrico Grillotti Nell’ambito del primo appuntamento del laboratorio di poesia coordinato da Claudio Pozzani, mercoledì 18 aprile, il musicattore Luigi Maio ha intrattenuto, con l’ausilio del maestro Enrico Grillotti, gli alunni di II B e di II C della S. M. S. Centurione presentando loro alcuni brani di repertorio del teatro da camera. L’intervento è stato, come sempre, di livello altamente professionale e di efficace seduttività. Luigi Maio non si è risparmiato in alcun modo, tant’è che dai commenti dei colleghi e degli allievi sono emersi pieno apprezzamento e vivo entusiasmo. Un docente, al termine dell’esibizione, ci confidava di trovare Luigi Maio assai più capace e fresco di Gigi Proietti. Accludiamo una sintesi delle osservazioni e dei pareri espressi da alcuni studenti di II B: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. Mi è piaciuto molto perché quando si metteva a gridare diventava tutto rosso e aveva una voce splendida. (J.A.) È stato molto divertente e anche interessante. È stato molto bravo anche Enrico Grillotti. (F.B.) Mi ha fatto ridere molto. Luigi Maio sa intrattenere il pubblico molto bene; inoltre è molto bravo a recitare e ci ha fatto amare dei passi di poesia molto belli. Ho notato che s’impegna a fondo per farci ridere e scherzare. (A.B.) Ci ha spiegato la poesia con delle poesie recitate e non con la teoria, così è stato più divertente. (C.F.) Mi è piaciuto perché Maio era molto simpatico, ci faceva parlare e poi recitava bene le fiabe con la voce molto intonata; a seconda della persona o animale alzava la voce o la abbassava. (D.F.) Ha saputo divertire gli alunni per due ore e penso che si sia divertito anche lui. (A.G.) Mi ha fatto capire veramente come funziona il teatro. La cosa che mi è piaciuta di più è stata quando ha raccontato la fiaba di Pierino e il Lupo. Un’altra cosa che mi è piaciuta molto è stato il discorso sul rap. (S.L.P.) Mi è piaciuto perché faceva tutte quelle voci strane che ti sembrava che fossero tanti a parlare, non la stessa persona. Enrico Grillotti è stato bravo perché ha suonato veramente bene. (L.L.) Lo spettacolo di Luigi Maio mi ha divertito perché è stato originale ed ha saputo ininterrottamente intrattenere il pubblico. Mi ha trasmesso il significato di poesia cantata e ciò che significa usare “bene” i toni della voce e il coordinare la voce con il suono. (D.M.) Luigi Maio è stato molto bravo a cantare e inoltre ha spiegato molto bene l’argomento dello spettacolo, che era il “teatro da camera”. È un uomo molto spiritoso ed è stato molto bravo e capace a interpretare il ruolo di alcuni personaggi. (A.N.) Riusciva a immedesimarsi perfettamente nella parte che interpretava. Anche il suo pianista non era da meno. Mi ha interessato anche perché hanno fatto partecipare molto anche noi come pubblico. (E.O.) Di lui mi ha stupito la voce e il fiato anche perché riusciva a cantare e a cambiare la tonalità della voce per molte volte di seguito. (G.P.) Mi è piaciuto molto. È bravissimo nel cantare, nel recitare e nel saper intrattenere il pubblico. Mi è sembrato una persona in gamba, simpatico e molto vivace. (M.P.) 54 14. A me Luigi Maio è piaciuto molto perché innanzitutto aveva una bella voce che poteva cambiare passando dalla tenera donzella all’orco arrabbiato. Un’altra che ha fatto è stata quella di collegare la recitazione (il movimento delle braccia, delle gambe, della testa, eccetera) con le varie voci; in più sembrava un tutt’uno con la musica. Enrico Grillotti è stato molto bravo perché sapeva suonare il piano a occhi chiusi. (E.P.) 15. Luigi Maio è un uomo carismatico che riesce a coinvolgere il pubblico (anche i più giovani) con molta facilità. (E.P.) 16. Luigi Maio era abbastanza espressivo, talvolta anche troppo. Quando superava i limiti di espressività diventava un bambino pestifero che trasgredisce tutte le regole che gli vengono imposte. Mi è piaciuta l’affinità che c’era tra L.M. ed E.G.. Ad ogni accenno di L.M., E.G. suonava un pezzo, così a sorpresa. (M.P.) 17. Luigi Maio aveva una voce molto forte e da tenore. Sono stati molto bravi. (?) 18. Trasmette la poesia in modo molto divertente. (?) 19. Riusciva sempre a dare un tono alla voce che faceva già capire se le situazioni erano tragiche, felici o chissà che cosa. (M.S.) 20. Luigi Maio ha interpretato molti personaggi in maniera molto disinvolta. (C.U.) Elena Cretella Sottoponiamo al lettore una selezione dei giudizi espressi dagli alunni di II B sull’incontro del 21 aprile. 1. A me Elena Cretella non mi è piaciuto perche quando parlava non si capiva niente pero quando si e meso a cantare era peggio. (J.A.) 2. Elena Cretella ha voluto spiegare la poesia tramite il disegno e spiegandola più con la teoria. Lei ha voluto dire che certi termini nella poesia non significano nulla perché anche non si possono rappresentare tramite il disegno. (C.F.) 3. Elena Cretella mi è piaciuta meno [di Maio] perché anche se le sue due ore di spettacolo erano interessanti il modo in cui parlava mi dava fastidio. (A.G.) 4. Elena Cretella ci ha fatto capire cosa è la poesia emotiva. Del suo spettacolo mi è piaciuto molto l’idea di farci disegnare e descrivere delle emozioni. È stata anche gradevole la spiegazione del suo quadro: in basso aveva disegnato la terra e in alto le emozioni sottoforma di nuvole che poi erano destinate a scendere. Il momento più bello secondo il mio parere è stato quando ha spiegato alcuni disegni tra cui anche il mio. Questo spettacolo però mi è piaciuto di più del precedente [quello di Maio] perché c’è stato molto più movimento e i ragazzi hanno potuto dire la loro sull’argomento della poesia. (S.L.P.) 5. La visita di Elena Cretella mi è piaciuta perché l’artista ci ha fatto descrivere i nostri sentimenti positivi e negativi descrivendoli con disegni e con frasi che li spiegavano. Una cosa che non ho capito molto bene è la raffigurazione dei sentimenti positivi perché secondo me quel dipinto è complicato da capire se non lo spiega l’artista che l’ha dipinto. (L.M.) 6. Io penso che Elena Cretella sia stata una persona eccezionale che ha saputo collegare il disegno alla poesia. Mi ha insegnato a esprimere le mie emozioni e i miei sentimenti sotto forma di poesia e disegno. Io penso che sia stata un’idea originale di farci esprimere attraverso il disegno la nostra impressione sulla felicità e la tristezza. (D.M.) 7. Elena Cretella mi è apparsa un’artista molto brava è capace nel suo compito che è quello di occuparsi nel campo della scultura, pittura, canto e poesia. Il lavoro che abbiamo fatto con lei mi è molto piaciuto e mi è sembrato anche molto istruttivo. Mi ha colpito il fatto che si occupa di un’arte moderna e una pittura “new-age”. Spero di assistere a un altro dei suoi spettacoli, magari più in futuro. (A.N.) 8. A mio parere questo spettacolo è stato un po’ noioso, senza togliere nulla alla bravura dell’artista, però non mi è piaciuto tanto perché c’era un’atmosfera troppo seria per i miei gusti. Inoltre l’artista ci ha fatto anche disegnare le nostre idee su: amore, amicizia, odio, ecc.; dato che a me non piace molto disegnare io non ho apprezzato tanto questa iniziativa. (E. O.) 9. A me è sembrata una ragazza dolce e timida, era interessata a noi infatti tramite i disegni voleva capire i nostri sentimenti: rabbia, gioia, tristezza. (M. P.) 10. Elena Cretella ha fatto partecipare di più “il pubblico”, cioè noi, quindi ha voluto sapere come pensavamo e volevamo rappresentare le emozioni. Lei è una brava cantante,pittrice, ecc. almeno, da quello che ho potuto vedere io è stato così. Anche se, a dire la verità, mi è piaciuto di più l’incontro con Luigi Maio che con Elena Cretella. (E. P.) 11. Elena Cretella mi è apparsa come un’artista che si occupa di molte cose e quindi molto brava. Mi ha colpito il fatto che si occupa di un’arte moderna e una pittura “new-age”: i disegni e i ragionamenti che abbiamo fatto assieme a lei mi sono sembrati significativi ed interessanti, per i loro significati profondi e per la loro rappresentazione semplice. (E. P.) 12. Elena Crettella invece ci ha trasmesso la poesia attraverso l’immagine. La cosa che mi è piaciuta di più di lei è stata che ci ha coinvolto facendoci disegnare ciò che pensavamo in quel momento (non è stata una cosa facile) La cosa che invece mi è piaciuta di entrambi [fa riferimento a Luigi Maio e ad Elena Cretella] è che con il loro metodo uno in un modo uno in un altro (coinvolgendoci) il loro spettacolo non è stato pesante anzi piacevole. (M. S.) Max Manfredi Offriamo una cernita delle impressioni provocate negli allievi di II B dal confronto con Max (8 maggio). 55 1. 2. 3. Max Manf. È stato bravissimo e ha saputo farci ridere e “spaventarci” grazie ai suoi urli improvvisi nelle canzoni. Il giudizio è abbastanza buono. Ho visto che voleva in tutti i costi sfogliare i foglietti su cui c’erano i titoli delle canzoni che piacevano ai giovani per capire i nostri gusti musicali. (Anonimo) Io sono dell’idea che Max sia bravissimo solo che il suo tipo di musica non mi piace proprio. Comunque è molto bravo a suonare la sua chitarra e a cantare. (Anonimo) Mi è sembrata una persona simpatica e vivace è riuscito a farci divertire soprattutto a me. È stato impressionante quando suonava e muoveva le dita velocemente. Le canzoni che cantava erano bellissime, mi è piaciuta di più quella che parlava dei topi. (Anonimo) 4. 5. 6. Max Manfredi non mi è piaciuto perché le sue canzoni erano noiose perché preferisco altre canzoni moderne (J.A.) Questo artista è stato molto bravo a suonare la chitarra, la musica leggera a me piace e forse quella di Manfredi è stata interessante e un po’ diversa da quella che sento oggi. (F.B.) Secondo me questo spettacolo è stato interessante perche mi ha aiutato a capire i gusti della gente e le canzoni più ascoltate e preferite. Questo incontro è stato anche un po’ imbarazzante perche io sono andato al microfono a dire perché mi piace “la guerra di Piero” di Deandré. In oltre Manfredi mi ha fatto vedere e capire i diversi metodi per comporre una canzone, oltre tutto è riuscito a far rendere l’incontro più divertente mettendo dei “versi” nella canzone dicendoci che a lui piace mettere questi “versi” in ogni sua canzone probabilmente perché a lui piace e per far divertire la gente. (L.C.) 7. 8. 9. Mi è piaciuto questo artista, perché mi piace molto la poesia cantata. Sono molto belle le poesie dei cantautori perché non solo senti delle poesie ma senti anche l’accompagnamento con la musica, perché più si va avanti nel tempo più le canzoni hanno di molto bello la musica e non tanto le parole. (C.F.) Secondo me quest’altro spettacolo è stato un po’ noioso in confronto agli altri, che sono stati più animati e simpatici perché Manfredi ci ha suonato le sue canzoni abbastanza belle ma noiose. Manfredi in più ci ha fatto scrivere le canzoni e gli autori, che ci piacevano subito è stato divertente ma poi mi sono annoiato un pochettino e abbiamo visto che tutti noi ragazzi abbiamo gli stessi gusti sulla musica. Io comunque ho apprezzato abbastanza, ma poco le canzoni e lo stile di Manfredi. (F) Questo artistica di musica leggera è molto bravo e il suo genere di musica mi piace abbastanza perché io sono una persona che ama di + la musica moderna. Mentre leggeva le canzoni che avevamo scritto ce n’erano alcune che mi piacciono molto mentre altre non erano gradevoli secondo il mio parere. Il mio giudizio sulla musica leggera come ho detto prima è abbastanza positivo però la ascolto ogni tanto xché piacciono i ritmi molto veloci come il rap, pop, ecc. (S.L.P.) a me 10. Per me Max Manfredi è stato un po’ bravo e un po’ no. Sì perché ha suonato benissimo e ha inventato quella canzone degli otto topi che era bellissima ed anche perché ha cantato bene. No perché non è stato molto simpatico e ha parlato troppo e suonato poco. Però mi sembra una persona intelligente, una persona che pensa, e vuole attenzione nei suoi confronti. Ad esempio non voleva che noi parlassimo quando lui suonava perché non riusciva a concentrarsi. E poi la cosa più importante è che riesce a capire quando uno si vergogna o quando no, che è una cosa importantissima. (L.L.) 11. Max Manferdi il cantautore mi è piaciuto perché le sue canzoni hanno un testo originale con argomenti svariati e perché ha saputo alternare musica e discussioni. Ha saputo anche divertire con i suoni che componeva e ci ha fatto conoscere un tipo di musica diverso dal quotidiano. (D.M.) 12. Ieri, l’incontro con il cantautore Max Manfredi mi è piaciuto moltissimo perché Max sa cantare molto bene e ha composto anche molte canzoni piacevoli. Questo spettacolo di questo artista mi ha anche divertito perché mentre cantava le sue canzoni lui si immedesimava nel personaggio della canzone urlando. Lo spettacolo mi è piaciuto anche perché Max Manfredi si è dimostrato capace nel suo compito. Spero di assistere a un altro dei suoi spettacoli. (A.N.) 13. Secondo me questo spettacolo è stato un po’ noioso perché Manfredi ci ha cantato le sue canzoni; e dato che a me piace la musica, si leggera, ma più famosa o comunque di artisti famosi. In più lui ci ha fatto anche scrivere i nostri gusti musicali e si è visto che, più o meno abbiamo tutti gli stessi gusti, noi ragazzi. Io penso comunque che Manfredi abbia associato la poesia alla musica sotto forma di canzoni. In conclusione io non ho apprezzato moltissimo il suo stile. (E.O.) 14. Questo artista non mi è piaciuto anche perché io ascolto musica più moderna come: Piero Pelù, Subsonica, Sottotono, ecc. Comunque credo che per il suo genere ovvero musica leggera lui che è un cantautore riesca ad interpretare bene il suo ruolo (G.P.) 56 15. Il cantautore Max Manfredi è stato bravissimo, secondo me; perché arpeggiava e cantava chiudendo gli occhi come se gli altri non ci fossero. A me piacciono molto le canzoni scritte dalle persone stesse quindi, secondo me è stato molto bravo! (E.P.) 16. L’incontro di ieri con il cantautore Max Manfredi non mi è piaciuto perché, al contrario degli incontri precedenti, questo è stato noioso e, per di più, il genere di musica che faceva quest’artista non mi piace, perché preferisco altri generi di musica. Questo non vuol dire che mi piacciono solo canzoni da discoteca e rap (perché amo anche canzoni di Battisti, De André, ecc.), ma semplicemente perché le sue canzoni (soprattutto i testi) mi sono sembrati stupidi e insignificanti (E.P.) 17. Manfredi è un cantautore molto bravo però non mi è piaciuto perché io preferisco il rap di Luigi Maio alle canzoni di MM. (M.P.) 18. Il genere di musica che suonava non mi piaceva tanto. Forse per quelli che ascoltano il suo genere di musica, gli piacciono le canzoni e le parole delle canzoni di Max Manfredi. Solo una canzone mi è piaciuta, quella che si intitolava “Topi”. A me comunque piace la musica Rep. (S.P.) 19. L’incontro di ieri con l’artista Max Manfredi, mi è piaciuto abbastanza, anche se le musiche che produce non sono le mie preferite, perché preferisco la musica pop. (C.R.) 20. Per me Max Manfredi è stato bravissimo ha cantato e ha saputo farci ridere e spaventare è una persona troppo brava simpatica, intelligente, effervesciente, vivace, allegra. Quando ho detto canto vuol dire che qualcuno lo deve aiutare invece ha fatto tutto da solo suonava benissimo muoveva le dita come se fosse un robot telecomandato cantava musica leggera e cantava delle sue canzoni bellissime. (C.S.) Claudio Pozzani Ecco uno schematico resoconto dei pareri dei ragazzi di II B sulla performance di Claudio (9 maggio). 1. 2. Per me Claudio Pozzani è stato il più bravo tra i 4 artisti venuti a scuola dopo Luigi Maio. Le sue poesie sono state molto belle soprattutto quando le arricchiva con versi e suoni fatti con il corpo e con la voce (Anonimo) Claudio Pozzani per me è il più bravo dei 5. È simpatico, sa intrattenere il pubblico in un modo fantastico. Ha saputo cantare e scrivere poesie molto belle. La “fontana malata” è la sua interpretazione più orecchiabile e più valida. (Anonimo) 3. 4. 5. 6. Lo spettacolo di Claudio Pozzani mi è piaciuto. Lui è molto simpatico e poi ha molta esperienza. È molto bravo anche a rendere l’atmosfera adatta al libro che legge. (Anonimo) L’artista Claudio Pozzani mi è piaciuto molto più di tutti gli altri artisti perché sapeva recitare molto bene le sue poesie e, mi è piaciuto fare il lavoro di gruppo sulle poesie. (F.B.) Mi è piaciuto questo artista, anche se questo è il classico modo per esprimere la poesia. Mi è piaciuto soprattutto quando recitava faceva anche tutti i gesti e i rumori. (C.F Claudio Pozzani è un poeta che mi ha fatto capire il vero significato della poesia, cosa che sino ad ora avevo compreso poco. Poi ho potuto anche constatare che una poesia può essere accompagnata e espressa sottoforma di suoni e di intonazioni diverse. La poesia che mi è piaciuta di + è stata quella de “la fontana malata” xché grazie alle onomatopeie ha saputo ben intendere il caso in cui una fontana si è rotta (S.L.P.) 7. Lo spettacolo di Claudio mi è molto piaciuto perché è stato molto bravo, è simpatico, sa intrattenere il pubblico in un modo fantastico. Ci ha fatto sentire molte sue poesie che erano molto belle. Spero di ascoltare molte altre sue poesie. (A.N.) 8. Claudio Pozzani per me è il più bravo dei 5 artisti che sono venuti nella nostra scuola Poi ho potuto anche constatare che le poesie che di solito annoiano le persone che la ascoltano le sue erano simpatiche e divertenti (G.P.) 9. Claudio Pozzani è stato grandioso è stato bravissimo nel produrre quelli strani suoni. È una persona straordinaria simpatica estroversa. Voleva conoscere le nostre capacità facendoci produrre poesie. (M.P.) 10. L’artista Claudio Pozzani mi è piaciuto più di tutti gli altri artisti perché sapeva fare rumori e voci che erano strane ma anche un po’ simpatiche. Mi sono piaciuti anche i suoi consigli su come fare le poesie e devo dire che sono stata molto contenta di poterlo incontrare! (E.P.) 11. La vista di quest’artista mi è piaciuta molto perché Claudio Pozzani ha saputo dimostrare la sua bravura nell’interpretare alcune poesie e nell’offrirci degli ottimi spunti per la poesia contemporanea, anche se non penso che parteciperò al concorso da lui programmato. (E.P.) 57 “C o a g u l o” Corre all’abbraccio la bambina dalla vampa rossa. Sotto lo sguardo glauco l’abbraccio si consuma. Un profumo violetto fa dell’aria un merletto. Gianni Milano “Quando trapassa il tempo” In questo settembre che gioca all’estate ormai svigorita è prodigioso che crescano ancora i bambini, che saltino il varco ed ingoino aria. Nell’immobilità di questo tempo danno una spinta alla ruota: che il carro cigolando esca fuori dall’emarginazione e riprenda il suo corso, senza velleità. Gianni Milano LA SUPPLENTE SA DI ROSA Non è facile, proprio per niente, convincere i bambini che anche i maestri possono ammalarsi o avere dei guai, tanto che un giorno o l’altro non li vedi più a scuola! Influenza, raffreddori, gravidanze, possono capitare a tutti, senza che alcuno si stupisca. Ma se succedono ai maestri, allora il fatto acquista un particolare rilievo. Qualcuno brontola che tutte le scuse sono buone per non lavorare e che il mestiere di maestro è un cuccagna (“Poco fai e lo stipendio è assicurato. Neanche ti licenziano!”) ma quando proponi di gestire una classe per una mattinata allora si fa marcia indietro e si sparisce nella nebbia dei mugugni. Gli anonimi sembrano 58 il tale della barzelletta, quello che, seduto sulla spalletta di un ponte ad osservare un pescatore, dichiarava con aria schifata: “È proprio vero che c’è gente con il tempo da perdere! Sono tre ore che lo osservo e non ha ancora pescato un pesce!”. I bambini, invece, si sentono, di solito, mancare il terreno di sotto ai piedi. Come? Il maestro non viene! Ma che scherzo del cavolo combina? Qui deve stare: con il suo buono e il suo cattivo. Come un albero che protegge gli ubriachi ma non si ubriaca mai. Tossisca pure, dia pure molti calcoli da fare perché non riesce a combinare nulla, ma stia con i suoi bambini, altrimenti che barba doppia a scuola! La brutalità dell’esistenza non tiene conto di questi problemi. Un giorno l’insegnante è assente, non viene a scuola. La bidella entra in aula ed annuncia che ci sarà la supplente, quale non si sa, ed intanto stiano bravi e non facciano pasticci, poiché gli altri, le classi accanto, stanno già lavorando. La supplente no! Piuttosto dividere la classe, ma la supplente no! Non è facile convincere i bambini che la supplente è una maestra come le altre e che, anzi, bisognerebbe ringraziarla perché così la scuola continua. Altrimenti dovrebbero stare a casa e “Meglio!”, brontola Andrea. Meglio per chi può permetterselo, ma per quei bimbi o ragazzi con i genitori che lavorano entrambi? Andrea capisce il problema ma è un riccio. “Meglio per me che c’è mio fratello piccolo!”. Il fratello piccolo di Andrea è un bimbo rotondo, robusto, che trotterella sulle gambe corte e qualche volta viene a trovare l’Andrea a scuola. La classe lo conosce da prima che nascesse perché l’ha visto fotografato, all’ottavo mese, nell’utero materno. Quando la sua mamma era incinta si temette un parto podalico. Fecero, allora, alla mamma una radiografia e la lastra la mamma ce la portò. Era la prima classe, quella dei piccoli. La fotografia fu incollata alla finestra ed il fratello di Andrea fu visto seduto nell’utero della mamma. Una bella foto in primo piano! Non è da Andrea, e meno male!, che deve andare la supplente. Il suo maestro, a parte qualche mal di pancia per il nervoso, sta bene. La sua bambina ha il catarro ma va all’asilo e non piange più. Non dice, piena di lacrime, “Papà voglio stare con te. Non andare via, neh!”. Non lo dice più o altrimenti il maestro se la porterebbe a scuola e sarebbe anche bello per gli altri, per “i bimbi grandi tuoi”, come dice l’Alice, avere la figlia del maestro, perché così si gioca insieme, le si insegna a pitturare, la si porta a spasso dalla bidella o a fare pipì. Può stare tranquillo l’Andrea! Assente, questa volta, è il maestro siciliano, che soffre di mal di denti. Qui non siamo mica in Sicilia e ad ogni autunno arrivano gli ascessi. Così, dai e dai, alla fine il maestro del sud ci resta … a casa, la faccia gonfia, la sciarpona attorno alla testa, un berretto di lana calato fin sopra gli occhi, il pigiama a righe e le calze lunghe. Magari fra … un berretto di lana calato fin sopra gli occhi, il pigiama a righe … qualche giorno nevica di brutto! Ma oggi c’è un sole tiepido e le rose si (Disegno di DIMITRI COPPOLA). schiudono ancora. 59 Prima delle nove meno un quarto è difficile che arrivi la supplente e, nel frattempo, tocca agli insegnanti presenti gettare un occhio affinché non succeda niente. Poi, lentamente, ognuno riprende i suoi traffici, il suo gioco scolastico quotidiano. Come certi fiori alla sera, le porte si chiudono, il chiasso si attutisce e in qualche classe si sente, scandito e ritmato come una marcia, “Presente”. La grande vecchia scuola sorride compiaciuta. Anche oggi, nonostante tutto, nonostante gli analfabeti, i prepotenti, i maestri sindacalisti, i capelloni, i bambini handicappati, la baracca va avanti. Ci dev’essere un trucco, da qualche parte! La scuola è un burattinaio: tira i fili, li molla, riprende l’azione, punisce, riforma un poco, dà le schede al posto dei voti, rinvia le bocciature alle medie, ti tiene i bambini down, ti dà anche le vacanze, ma resta sempre lì e non si smuove. Come i giocattoli rotti dei bambini. Li togli da un posto perché ingombrano e te li ritrovi da un’altra parte. Ci dev’essere un trucco, dove non so! Per questo, come certi fiori alla sera, le porte delle aule si chiudono e la maestra chiede: “Cosa abbiamo spiegato ieri?”. L’assenza del maestro siciliano, quello che dice ‘figghi’ al posto di ‘figli’ e che oggi avrà probabilmente un ascesso in bocca e mal di gola, è coperta. Per questo, nonostante tutto, grazie anche alle supplenti, la scuola “va a tutta birra, tutututu …”, come dice Michele, che già pensa alla prossima battuta. In silenzio, come un ragno, prepara barzellette e frasi celebri. È un lord, piovuto qua per caso. Dà subito un tono di nobiltà al resto della banda. Peccato che le sue battute sono così ermetiche che la classe ci impiega un bel po’ prima di ridere e Aldo rimane sempre tagliato fuori. Il corridoio è sgombro. Ciò significa che la supplente è una di polso. Il maestro di Michele passa velocemente in rassegna le supplenti che conosce. Quella lì, no. O almeno così spera. È una che, come dice lui, sembra cammini sulle uova e poi si spaparanza sul tavolo facendo Mata Hari. “Fosse almeno bella!”, pensa il maestro, “La bellezza è meglio di un Cynar. Ma è più brutta della fame …”. Due anni prima il maestro si assentò tre giorni per un’influenza ma già dal secondo giorno gli avevano telefonato a casa ed aveva dovuto mollare il letto per andare a guardarsi la classe, perché la supplente, con la scusa che i bambini erano terribili, non disposti a fare il tema ed il riassunto, se ne andava in giro per la scuola. La bidella, saggia, aveva telefonato. Quella speriamo di no! Chi sarà? “Vado a vedere se stanno bravi, eh cicci!, bofonchia ed esce. Con la scusa che ha le tempie grigie, il maestro da un bel po’ d’anni va dicendo in giro che lui è vecchio, persino un po’ rimbambito, che non gli diano incarichi particolari, che non siano troppo seri con lui, che certamente è l’andropausa che lo spinge ad insegnare ancora e che non ha più memoria. L’unica verità è probabilmente questa della memoria. Ne ha sempre avuta poca. Dice che è meglio vivere il presente e sperare che domani non nevichi piuttosto che star lì a ricordarsi il passato. Perciò non fa alcuno sforzo per ricordare il nome delle persone . Da lì è nato il fatto che le maestre vengono tutte salutate con un “Ciao bella!”. I maestri sono interpellati con un “… bello!”, che, le prime volte, suscitava perplessità. I bambini, invece, sono ciccini, cicciotti, ciccioni, anche le gemelline che sembrano due grissini. Per meglio fingere, il maestro non bussa. Apre la porta di scatto, dicendo: “Siete tutti morti che non vi si sente?”. Ma poi sorride, anzi ride, anzi la sua faccia si riempie tutta di piegoline e rughine. Quella lì, placida come un uovo di Pasqua, è la Susanna. Come si fa a non essere contenti! Susanna, che quando parla pare il chiocciolio della gallina ed ha sempre l’aria di non sapere niente, lei, del collegio dei docenti, delle circolari, dei corsi di aggiornamento. Il suo sguardo parla veneto, stupito come un Bertoldo. Dolce e ironico pare dica: “Mi no so … sono straniera …”. Susanna è una di quelle rare persone che, per disgrazie assurde, continuerà a fare la supplente per tutta la vita. Meriterebbe più lei di entrare definitivamente nei ruoli della scuola che tante fanciulle di bella 60 presenza! Susanna, se la beatificheranno, diverrà la patrona delle supplenti, oppure, se cambierà la moda e non ci saranno beati, verrà ricordata in tutti i canti folk di protesta. La cosa non la consola. Afferma che, dopo tanti anni di servizio, la pagano sempre come se fosse la prima volta che mette piede nella scuola per insegnare. Non ha scatti di stipendio, ma le richiedono di partecipare a tutte le riunioni. Non ha anzianità di servizio, ma si prende le pastiglie contro la colite spastica. Susanna è la supplente del maestro siciliano. Che contrasto tra i due! Lui è lungo, secco e scuro, con i baffi ed i modi timidi. Lei è paffuta, rotonda, morbida e paciocchevole. Piace ai bambini, grazie al suo corpo ed al suo carattere. Non la si sente mai urlare ma, come la fata di Cenerentola nel film di Disney, è sempre indaffarata. Dalle sue mani escono le cose più strane, che fanno ridere, che riappacificano con il Dalle sue mani escono le cose più strane, che fanno ridere … mondo, non con la scuola. Susanna fa gli (Disegno di DIMITRI COPPOLA). intervalli lunghi, balla anche su un piede solo. Susanna ama il caffè: e questo è già un buon segno! Susanna non sa fare scuola: e questa è l’allegria. In cambio ha vissuto tante colonie, la Susanna. Ha imparato come intrattenere i bambini. Lavora la carta, il Pongo, il Das, la cartapesta. Conosce tante canzoni e sa costruire i tamburelli, le maracas, i flauti con i pettini e la carta velina. Non è una dottoressa. La Susanna è Susanna. Un monumento alla quiete, che le costa, magari la colite. I bambini, però, non lo sanno. È bello avere Susanna in classe. Come un sole domestico in una giornata di pioggia. Peccato che tante altre giovani maestre si comportino con i bambini come se fossero loro la causa del freddo, dell’inflazione, dello stipendio ridotto, dell’assurdità dei programmi … Come diceva il maestro: è meglio vivere il presente. Ed il presente è oggi. E oggi è un giorno con Susanna a scuola e quasi quasi puoi illuderti di non essere qua, tra i bambini e la bidella e Pippo … “È arrivata Susanna, di là”, comunica il maestro rientrando in aula. La classe è soddisfatta. Anche i cicciotti sono responsabili dell’esistenza del mondo ed oggi va meglio. Eppoi hanno ragione i bambini: le supplenti sono una cosa, che non si può mica definire … O camminano sulle uova o sono Susanna! Gianni Milano 61 PUNTASPILLI 1. Riportiamo diverse “sentenze” emesse da scolari di II A della elementare Embriaco di Genova. <<Un buon maestro deve accettare gli scherzi dei “loro” alunni>> (Michele, 7 anni) . <<Un buon maestro non dice mai “ora non parli perché devo parlare io”>> (Francesca, 7 anni). <<Fare il maestro è bello perché ti dà l’opportunità di stare assieme ai bambini>> (Giovanni, 8 anni). <<Un maestro deve essere felice>> (Elena). ANNALISA RIMASSA, Gli scolari insegnano ai grandi come diventare bravi maestri, in Il Secolo XIX, martedì 12 marzo 2002, p. 21. 2. Di un’intervista di W. Edwin Rosasco (WER) a Uto Ughi (UU) e a Bruno Canino (BC) proponiamo alcuni flash. […]. WER – Oggi le società di concerti devono fare i conti con un preoccupante calo di presenze. Cosa si può fare per invertire questa tendenza? UU - Il calo delle presenze è conseguenza della sostanziale mancanza di educazione musicale nella scuola. Ne parlerò personalmente con il ministro Moratti, per sottolineare l’urgenza di una vera educazione musicale. I giovani non conoscono la musica, non conoscono nemmeno i più grandi capolavori, che dovrebbero invece entrare nella loro vita e sarebbero certamente per loro fonte di gioia. I nostri giovani devono sapere che l’Italia è un paese dalle tradizioni musicali ricchissime e devono essere messi nelle condizioni di conoscerle. Se ciò non avviene, c’è il rischio che un immenso patrimonio artistico vada a poco a poco perduto, e ciò – sia chiaro – per colpa dell’insipienza e del colpevole disinteresse delle classi politiche che si sono succedute negli anni. L’educazione scolastica è fondamentale per far sì che anche l’Italia diventi un paese musicalmente colto e consapevole. In tal senso mi ero 62 espresso anche con l’ex-ministro Berlinguer, che era d’accordo; poi la riforma non è andata in porto. WER– A lei è appena stata conferita una laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione. Non crede che appropriate strategie comunicative siano essenziali anche per la diffusione della cultura musicale? UU – Certamente. Ma non c’è comunicazione se non ci sono ascoltatori. Oggi i giovani vengono bombardati da troppe sollecitazioni, spesso di pessimo gusto, che ostacolano il formarsi una vera sensibilità musicale. Per saper selezionare occorre possedere gli strumenti culturali che consentono di capire cosa vale e cosa no. Per questa ragione sono contrario ad operazioni pseudo-culturali “alla Pavarotti”, che mettono insieme Zucchero, Dalla e – per dire – Beethoven come se non fossero in gioco profonde differenze qualitative: questo confonde le idee e ostacola la formazione di una consapevolezza musicale. WER – In Italia ormai pochi sanno suonare uno strumento. È anche questo un segno di distacco dall’approfondimento dei valori della musica? UU – È un’altra conseguenza della mancanza di educazione musicale. L’alfabetizzazione musicale dovrebbe partire non dopo i 7-8 anni, dovrebbe interessare e divertire (non solfeggio o astratta teoria). L’insegnamento andrebbe affidato a chi ama veramente la musica. Ricorda le trasmissioni di Bernstein di molti anni fa? Quello dovrebbe essere un esempio. Se mi venisse affidata una trasmissione sul violino, credo che anch’io saprei comunicare il mio entusiasmo. Poi, ovviamente, si dovrebbe passare alla pratica di uno strumento: uno studio che educa il gusto e aiuta a creare una sensibilità percettiva. […]. WER – E per quanto riguarda il repertorio? BC – Il discorso è analogo. Si dovrebbe fare più musica nuova, e anche qui senza ghettizzarla: musica di giovani compositori di 30-40 anni, anche se, a dire il vero, non ne vedo poi molti. WER – Ma il problema della ricezione della musica nuova riguarda tuttora musiche composte addirittura 40-50 anni fa. BC – Certo, a volte c’è ancora un rifiuto aprioristico nei confronti della musica di quegli anni: si trattava spesso, è vero, di musica particolarmente tosta, con una carica polemica, a volte forse un po’ eccessiva. Ma anche lì ci sono capolavori che dovrebbero circolare, essere conosciuti. Importante sarebbe somministrare il “nuovo” con dosi giuste e continue. Gli stessi esecutori dovrebbero proporre qualcosa di diverso, in modo da incuriosire il pubblico e distoglierlo dalla ripetizione di un repertorio conosciuto. Alcuni interpreti lo hanno fatto – Pollini e Abbado, ad esempio – e in anni recenti Kremer. E se un musicista come Ughi, con il suo carisma, suonasse musica nuova, sarebbe davvero una cosa bella e utile. WER – Si tratta quindi di una responsabilità comune a società e interpreti? BC – Precisamente. Il punto è sempre lo stesso: basterebbe rischiare un po’. Purtroppo devo constatare, rispetto a qualche anno fa, il diffondersi di un certo generale provincialismo, una disattenzione verso quello che succede al di fuori del proprio ambito; e non solo in Italia, ma anche all’estero. Forse anche perché ci sono pochi soldi, ci si ripiega sul proprio orticello. WER – Il maestro Ughi ha posto l’accento sulla necessità di un’educazione musicale generalizzata. BC – È verissimo; ed è particolarmente importante che ciò riguardi la scuola di tutti, non solo i Conservatori. Ma anche la situazione nei Conservatori è per certi versi preoccupante: lo è (ma non da ora) il disamore per la musica di molti insegnanti: non 63 sono informati, non vanno ai concerti. E formano allievi a loro immagine e somiglianza: ci sono giovani pianisti che non conoscono Don Giovanni o Bohème! W. EDWIN ROSASCO, Ughi & Canino, così i maestri, in Il Secolo XIX, giovedì 14 marzo 2002, p. 23. 3. Di un’intervista a Rossana Campo (nelle vesti di pittrice) trascriviamo solo un minuscolo passaggio. [...] Comunque sono un’autodidatta e dipingo perché mi piace, non pensavo a fare delle mostre. Piuttosto è una rivincita con le prof di disegno che mi mazzolavano a scuola. SILVIA NEONATO, Io, autodidatta felice, in Il Secolo XIX, sabato 16 marzo 2002, p. 23. 4. Introduciamo brutalmente un frammento di un discorso di Sabino Acquaviva […] Dunque, i ragazzini, maschi e femmine, sono tendenzialmente soli (davanti a una Tv accesa) e pieni di problemi, più soli e più problematici dei loro coetanei delle generazioni precedenti, ma la situazione è aggravata dalla scarsa presenza della scuola. La scuola ha perduto di autorevolezza, di presenza psicologica. Già alle elementari, con la scomparsa del docente unico, la situazione si è aggravata, ma ancor più grave diventa nelle medie, quando l’informazione prevale purtroppo sulla formazione. Conclusione? Ovvia. Le bande giovanili, spesso così feroci, sono il prodotto dell’assenza o della presenza debole della famiglia, della crisi della scuola, della crisi delle istituzioni che, abbiamo visto, in precedenza gestivano la vita del bambino, del preadolescente e dell’adolescente, del fatto che il destino del ragazzo è troppo spesso affidato al caso. E tutto questo è molto triste. Dunque, che fare per evitare che la vita dei nostri ragazzi diventi sempre più spesso simile a quella dei coetanei americani che ormai a migliaia vanno a scuola con la pistola? Dobbiamo intervenire sui punti deboli dell’itinerario della maturazione del preadolescente e dell’adolescente: orientando le famiglie verso una maggiore presenza e un più alto senso di responsabilità; introducendo, come ho detto altre volte, uno psicologo capace di seguire i ragazzi uno per uno, aiutandoli a rafforzare gli aspetti più deboli della loro personalità; rinvigorendo, in parallelo, il prestigio dell’istituzione scolastica e rafforzando l’associazionismo. So bene che la crisi dell’adolescenza è il riflesso di una grande crisi epocale, dietro la quale c’è il difficile parto di una nuova civiltà, che quindi è difficile rimediare. Ma forse, nonostante tutto, la società e la famiglia qualcosa possono ancora fare. SABINO ACQUAVIVA, p. 11. Ecco 4 rimedi per domare le violenze dei piccoli bulli, in Oggi, 20 marzo 2002, n° 12, 5. Nella “Città dei bambini” a Genova (aprile ’02) è stato organizzato un corso dal titolo “Impara la tivù” aperto a genitori, insegnanti e operatori del settore. Prendendo spunto dall’evento, la giornalista Donata Bonometti intervista Marina D’Amato, ideatrice del programma televisivo “Imparare la televisione”. Stralciamo alcuni passi. - DB – [Riferendosi alla televisione] Che è solitamente demonizzata, a scuola come a casa. - MD’A – Sì, ma genitori e insegnanti hanno davvero un rapporto così profondo con la televisione da permettersi di demonizzarla? […] - DB – Un’ignoranza che è significativa del non rapporto [con la TV], della non condivisione. Anche dei personaggi del mondo mediatico. Quanto ai docenti che ha da dire? - MD’A – Tra le materie obbligatorie della scuola c’è l’educazione all’immagine, che dà luogo alle più diffuse, alle più strane interpretazioni, una materia intesa dagli insegnanti a volte anche nei modi più individuali. Dal ritagliare le figurine al 64 progettare artigianalmente cartoni animati. Questo corso può aiutarli ad avere una nozione più accurata dell’argomento. DONATA BONOMETTI, Bambini a scuola di Tv, in Il Secolo XIX, martedì 2 aprile 2002, p. 23. 6. Il cantante Alex Baroni, già insegnante a Vigevano in un istituto per geometri, rievoca, in un’intervista su Gente, alcuni particolari della sua attività didattica. Ci piace riportare qui sotto un piccolo brano del racconto. […] Cercavo innanzitutto di rendere interessante la mia materia [Chimica]: le parole chiare e il linguaggio accessibile a tutti sono indispensabili anche in una disciplina che a prima vista può sembrare arida. È indispensabile far capire agli studenti che l’insegnante, oltre ad avere una perfetta padronanza di quanto spiega, ama la sua materia. Non dico che occorra entusiasmarsi davanti alla combinazione delle molecole, però un minimo di passione bisogna pur mettercela. Bocciare? Non mi pare una grande scoperta. Quando un professore taglia metaforicamente le gambe ai suoi discepoli, significa che qualche sbaglio l’ha commesso anche lui. Se erano asini toccava a lui toglierli dall’ignoranza. Il dialogo con i ragazzi viene molto prima dell’insegnamento. Io mi considero sul loro stesso piano: sono uno come loro, che in più ha soltanto qualche anno e una laurea. MASSIMO BERTARELLI, n° 15, p.38 Mamma matematica, papà fisico, ma lui voleva cantare, in Gente, 11 aprile 2002, 7. Da un articolo giornalistico di Bruno Arpaia piratiamo queste frasi. […] Venerdì scorso, sull’autobus, due ragazzine, quattordici anni scarsi, chiacchierano fra di loro. <<Ma tu capisci?>>, dice stizzita quella più biondina, <<la s… della prof me l’ha sequestrato. Appena due chiamate e me l’ha sequestrato>>. <<Ma no, non è possibile!>> <<Ma sì. E meno male che la mattina dopo è venuta mia madre e gliene ha detto quattro, a quella s… Le ha detto che non si doveva più permettere, che sul telefonino c’era una scheda da 25 euro: e se la usava lei, la prof, per fare le sue telefonate? La s…ci è rimasta secca, con una faccia da cane bastonato>>. <<E ben gli sta>>. […]. BRUNO ARPAIA, Quei ragazzi allevati a squilli di telefonino, in Il Secolo XIX, lunedì 15 aprile 2002, pp. 1, 4. 8. Da un’intervista a Franco Bernabé, presidente della Biennale veneziana: - FB – […] Purtroppo i contributi statali sono diminuiti (14.350.000 euro contro i 16.400.000 del 2001), ma spingeremo per le coproduzioni di musica e teatro e penso di accompagnare alla danza una robusta attività didattica per fare della Biennale veneziana un riferimento nazionale forte, un messaggio per i giovani che nella scuola vedono tagliate fuori tutte le espressioni dell’arte contemporanea. […] SEGIO BUONADONNA, p. 19. Bernabè: <<Contamino dunque presiedo>>, in Il Secolo XIX, sabato 20 aprile 2002, 9. Susanna Agnelli in una lettera aperta (rivolta ai docenti): […]. Quando andavo al ginnasio a Torino, ormai mille anni fa, non amavo i miei insegnanti; li trovavo annoiati, noiosi e volgari. Ero una pessima alunna, la fine delle lezioni era una liberazione, il ritorno a scuola un incubo. Era per colpa mia o dei miei insegnanti? Ora, a così tanti anni di distanza, posso tentare di capirlo. A scuola non si parlava mai della vita, di quello che succedeva attorno a noi, dei problemi che ciascuno di noi portava nel cuore. Si insegnava a scrivere (come se si potesse insegnare a scrivere), a risolvere i problemi di matematica o algebra, a tradurre dal latino e dal greco, a conoscere, dai libri, il mondo. 65 Mai si insegnava ad amare la poesia, a far capire l’emozione che ti procura un verso o una frase, mai il divertimento di scoprire una sequenza matematica o la gioia di inventarsi un viaggio per un mondo sconosciuto. Su tutto aleggiava una noia infinita con l’aggravante di un dovere verso il mondo, la propria famiglia, se stessi. So che la scuola anche in Italia è molto cambiata, non al tempo dei miei figli, ma sì al tempo dei miei nipotini. Oggi si fanno ricerche, si disegnano fumetti, si vistano città diverse, musei e sedi di giornali. Ma mentre negli Stati Uniti i bambini nei musei siedono in circolo per terra e disegnano quello che vedono, la maestra siede in terra con loro e tutti hanno l’aria di divertirsi. Da noi invece le file di bambini che incontro sovente nei musei tendono a spintonarsi e a chiacchierare, totalmente disinteressati ai quadri o alle altre opere d’arte che stanno intorno. Quelli in visita da altre città si trascinano stancamente sperando in una sosta dal gelataio. […]. SUSANNA AGNELLI, 2002, pp. 1, 16. Nessuno insegna l’educazione il coraggio e l’umiltà, in Il Secolo XIX, domenica 21 aprile 10. Aggrediamo un altro articolo del Decimonono proponendovi questa barbara macedonia. Le ricerche scolastiche non si svecchiano mai. E non finiscono mai. Strumento obsoleto, sono di fatto un veicolo di conoscenza senza costrutto <<perché il bambino apre l’enciclopedia alla voce “cavallo” e copia, senza aver domande con sé. E quindi non cerca risposte. Insomma non si lavora sulla comprensione del testo perché, anche nelle scuole, si trascura l’importanza di far crescere tanti piccoli abili lettori>>. […]. <<Saper fare le ricerche vuol dire alla fine saper padroneggiare anche un libro>> ed è quell’esercizio, quella destrezza che manca ai nostri ragazzini. Perché a scuola questo metodo non è certo trasmesso. […]. Conclude la studiosa. <<I bambini di oggi risultano avidi lettori dalle materne alle medie, grazie ai maestri e alle biblioteche specializzate. Interesse che decresce alle medie e quasi si azzera nelle superiori. I perché? Tanti. Non ultimo una scuola che a volte opera al contrario, castrando la lettura>>. DONATA BONOMETTI, Paola Rodari alla Città dei bambini <<Come far crescere i piccoli lettori>>, in Il Secolo XIX, venerdì 31 maggio 2002, p. 23. 11. Relativamente a una ricerca condotta a Torino dalla sociologa Elisabetta Forni trascriviamo alcune battute di un dialogo della studiosa con la giornalista Antonella Viale. […] - EF – La violenza che io chiamo diretta, si presta molto bene a essere sbattuta in prima pagina e trasformata, da caso isolato, in fenomeno di dimensioni incontrollabili. Da qui la reazione: chiudersi in casa e chiedere un intervento massiccio della polizia, una sorta di militarizzazione del territorio. Quello che si tende a occultare è che questa violenza – innegabile – è in calo quasi ovunque nel mondo occidentale. Viene presentata come un fenomeno in crescita e fa pensare a campagne montate ad arte per chiedere una soluzione in senso poliziesco del problema della povertà, della marginalità, per non mettere in atto politiche di prevenzione. Così si occulta la violenza detta strutturale, che consiste nel negare agli individui il godimento di bisogni fondamentali. Chi ci nega la città ci sta facendo una grossa violenza. - AV – Come crescono i bambini nella città negata? - EF – Il panico crescente sulla sicurezza urbana provoca un effetto di segregazione, i bambini vengono tenuti il più possibile in casa o in ambienti ritenuti protetti. Sappiamo che la maggior parte dei casi di violenza sui minori avviene in casa, quindi non è una garanzia, anzi. Quando i bambini non sono in casa escono sotto scorta 66 continua. Questa segregazione sotto il controllo diretto, stringente di un adulto impedisce ai bambini di sviluppare capacità di autonomia. Non riescono neppure più a stare soli tra di loro, non riescono a sviluppare le capacità sociali di interazione, di risoluzione dei conflitti, fondamentali per la crescita e il benessere di un individuo. Molti studiosi hanno sottolineato come dalla segregazione derivi una deprivazione molto grave in termini di sviluppo di capacità sociali indispensabili da bambini e da adulti. Aggiungerò che segreghiamo i bambini perché abbiamo paura per loro e, a un certo punto della loro crescita – alle soglie dell’adolescenza – perché abbiamo paura di loro. Non li conosciamo più, neanche da piccoli, perché ormai non li vediamo più. Soltanto i parenti più stretti o il personale addetto alla loro custodia hanno a che fare con i bambini. Sono perfetti estranei, sconosciuti, come lo è l’immigrato, il marginale, e quindi rientrano facilmente nella categoria non solo dei fuori posto, anche delle persone pericolose. I loro comportamenti che spesso nell’adolescenza tendono a essere dimostrativi, esibizionisti, a volte aggressivi, vengono immediatamente percepiti con preoccupazione, disagio, paura dal mondo adulto. E quando i ragazzini delle periferie più emarginate, dopo un’infanzia segregata e deprivata, cominciano a farsi sentire, vengono etichettati come baby gang e diventano un problema nazionale, che richiede interventi di tipo poliziesco sempre più repressivo come il coprifuoco, che è una pratica gravemente lesiva della libertà fondamentale dell’individuo, ma che si sta diffondendo in modo preoccupante in tutto il mondo occidentale. ANTONELLA VIALE, Bambini sotto scorta, in Il Secolo XIX, domenica 9 giugno 2202, p.16. 67 FARFALLE METROPOLITANE 1. Venerdì 10 maggio ’02 ore 19.30, linea d’autobus 47: su uno zainetto nero di una ragazza delle superiori, fra le altre scritte in bianco, è ben leggibile anche questa Il futuro è di coloro che credono nella bellezza dei loro sogni 2. Genova. Palazzo Ducale. Stanza del Cinema e della Poesia. All’interno della sala è appeso questo cartello in duplice copia: DURANTE LE PERFORMANCES E LE LETTURE SI PREGA VIVAMENTE DI SPEGNERE I TELEFONI CELLULARI! 68 SCHELETRI NELL’ARMADIO GIANNI MILANO Nella scuola ci sono rituali che stimolano il sorgere di conformismi eterni. LUIGI BAIRO – GIANNI MILANO, Capitan Nuvola, Roma, Stampa Alternativa, 2001, p. 12. Non sempre e non in tutte le situazioni i genitori e gli insegnanti sono degli aiuti. Op. cit., p. 13. Il bambino inserito nella scuola diventa un allievo. Il suo ruolo nuovo, artificiale, è strettamente correlato a quello dell’insegnante. Costui dovrebbe far crescere il bambino, poiché questo è il significato implicito nel termine allievo. Troppo spesso, invece, il bambino-a-scuola diventa occasione per l’esercizio del potere adulto, della presunzione culturale, del moralismo mortifero. Nessun essere umano può essere visto in un rapporto di potere/subalternità: meno che mai un bambino. Togliere ai piccoli la loro stagione significa segare il ramo sul quale stiamo appollaiati. Op. cit., p. 16. Imponiamo la nostra autorità ai giovani e, contemporaneamente, temiamo quella che ci domina … Op. cit., p. 20. La scuola ha perso la sua funzione di compagna e sostegno per diventare fine e valore in sé, sottoponendo così insegnanti e allievi a una regressione continua. Op. cit., p. 21. L’attentato permanente contro la persona bambino si sostanzia nel rifiutarlo come desiderante. Op. cit., p. 29. Nella scuola antropofaga e onnivora il comandamento è “Apprendere il più possibile, il più velocemente possibile”. Sia nella richiesta di quantità, sia in quella di velocità, è implicita la frenesia, che è uno stato alterato della mente. Op. cit., p. 49. 69 La scuola ignora la magia della parola: se la conoscesse, eviterebbe di far precipitare le parole-elfi sui tavoli operatori per dissezionarle. Op. cit., p. 59. È importante che nella scuola si abbandoni il roboante igienismo architettonico, antibiotico e sterilizzante, per consentire a ogni bambino di trovare e realizzare i suoi posticini e i suoi aleph. Op. cit., p. 62. La scuola è una casa di carta che non può reggere all’assalto della realtà. Op. cit., p. 70. 70 71