SOMMARIO
3 Mario
Fancello
RL
4 Mario
Fancello
Note informative
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Profili biografici: E. Cretella, E. Grillotti, L. Maio, M. Manfredi, C. Pozzani
7 Luigi
Maio
Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello)
22 Elena
Cretella
Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello)
32 Max
Manfredi
Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello)
Pozzani
Trascrizione dell’ intervento: (a c. di M. Fancello)
47 Claudio
54 -----------59 Gianni
-------------Milano
Commenti imberbi: classe II B
La supplente che sa di rosa
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Puntaspilli (a c. di M. Fancello)
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Farfalle metropolitane (a c. di M. Fancello)
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Scheletri nell’armadio (a c. di M. Fancello)
Cantarena
Anno V – Numero 18
Giugno 2002
Periodicità trimestrale
Direzione e redazione
Mario Fancello
Silvana Masnata
Rosangela Piccardo
Mirella Tornatore
Realizzazione grafica
Mario Canepa
Mauro Grasso
Rosangela Piccardo
Produzione e distribuzione in proprio
Per contatti ed informazioni
Scuola Media Statale V. Centurione
Salita inferiore Cataldi, 5
16154 Genova
Fax 010 / 6011225
Posta elettronica
[email protected]
In copertina:
P. MÖNNIG, Panik
et circenses
Rosa Leonardi nella sua galleria, 19-03-‘92
Fotografia: Fabian Knorr
Courtesy Galleria Leonardi V-Idea
In quarta di copertina:
Logo del Festival Internazionale di Poesia
Le fotografie raffiguranti gli incontri del
laboratorio di poesia sono di M. Fancello
COMUNICATO:
Ringraziamo per la collaborazione
La Federazione Democratici di Sinistra
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RL
La tua, nella mia valutazione, più che una galleria era un alveare, una metafisica casa del viandante,
una galassia di giovani e adulti senza età. Qui ti muovevi con scioltezza e disinvoltura intessendo
con chiunque ti frequentasse lunghi e severi colloqui d’ordine prettamente etico e culturale. Non
misuravi con il bilancino il tempo speso e non lesinavi aiuti a chi si avvicinava all’arte con umiltà.
Amo quel divano nero di Sabatino sul quale, seduti, si discorreva affrontando molteplici argomenti
che ci vedevano quasi sempre concordi e rare volte in impetuoso dissidio. Ho cara l’atmosfera in
cui prendevano vita i progetti didattici e mi pare di vedere ancora adesso l’agenda nera consunta e
fitta di nomi d’artisti e di numeri telefonici da cui traevi quello adatto allo scopo.
Credevi con fermezza nel valore educativo della scuola, manifestavi inquietudine per i tempi
presenti e per lo sbando a cui venivano spesso condannati i giovani. Ti accaloravi per l’insensibilità
dimostrata da certe istituzioni preposte alla diffusione dell’arte e non cedevi le armi di fronte alle
difficoltà. Nutrivi fiducia e diffidenza ad un tempo nei confronti del futuro e ci confidavi spesso –
tra il serio e il faceto – d’avere intenzione di vivere almeno centocinquant’anni per assistere e
partecipare al movimento di idee e alle relative conquiste civili.
Avevi trasmesso al tuo spazio vitalità culturale, accoglienza, attenzione ai più svariati indirizzi di
pensiero, anticonformismo e molto altro. Sei stata per Genova una profonda e salutare boccata
d’ossigeno.
Ora che non ti ritrovo tutto questo mi manca.
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NOTE INFORMATIVE
Con il contributo della
Provincia di Genova
Relazioniamo, in questo numero di Cantarena, su una parte del progetto educativo denominato
“Interazioni 1”, promosso dalla Media Centurione e sostenuto finanziariamente (nell’anno 20002001) dal Servizio della Pubblica Istruzione della Provincia di Genova. Ci riferiamo espressamente
al Laboratorio di poesia curato da Claudio Pozzani (nella prima sezione) e dalla professoressa
Emilia Marasco (nella seconda).
Hanno partecipato all’esperimento due classi (II B e II C) radunate nell’auditorium della sede.
Nell’ambito del primo segmento del laboratorio sono intervenuti il musicattore Luigi Maio
(mercoledì 18 aprile 2001), l’artista Elena Cretella (sabato 21 aprile), il cantautore Max Manfredi
(martedì 8 maggio) e il poeta Claudio Pozzani (mercoledì 9 maggio 2001 e venerdì 22 febbraio
2002).
All’area della seconda fase (di cui daremo notizie più articolate in un successivo numero di
Cantarena) hanno preso parte la docente Emilia Marasco, l’artista Franca Zarcone e le studentesse
dell’Accademia Ligustica di Belle Arti: Nicla Bozzano, Chiara Cimenti, Stefania Dalla Noce. Il
piano didattico (avente per tema riflessioni personali sulla guerra) si è articolato in cinque incontri:
una presentazione introduttiva (tenuta in sala video giovedì 21 marzo 2002), quattro giornate di
esercitazioni pratiche svolte, quest’ultime, nello spazio della biblioteca scolastica (sabato 23 marzo,
giovedì 4 aprile, lunedì 15 aprile) e un appuntamento propedeutico al gioco degli scacchi. Lo stadio
conclusivo ha contemplato l’allestimento di una mostra dei lavori realizzati.
Gli allievi della III B e della III C (cinquanta complessivamente) sono stati suddivisi in sei gruppi:
quattro di otto e due di nove membri. I criteri distributivi hanno fatto in modo che ogni sottoinsieme
fosse omogeneo all’esterno ed eterogeneo all’interno e comprendesse (equamente mescolati fra
loro) studenti dei due differenti corsi.
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PROFILI BIOGRAFICI
Elena Cretella
È nata a Genova il 23.1.’65. Ha frequentato le medie sperimentali, dove si tenevano corsi d’arte
ceramica, drammatizzazione, etc. Diplomata alle Magistrali, ha lavorato come Head liner e layouter
per un’agenzia di pubblicità. Avendo seguito corsi di uso delle voci di risonanza per il teatro si è
dedicata al canto jazz e ha dato concerti con varie band – per dieci anni – in molti club in giro per
l’Italia. Contemporaneamente ha frequentato (senza diplomarsi) i corsi dell’Accademia Ligustica di
Belle Arti di Genova e ha lavorato nella bottega dello scultore Alfieri. Ritiratasi dall’accademia, ha
cominciato ad insegnare nelle scuole dell’infanzia e ad esporre le sue opere.
Con Claudio Pozzani e Alessandro Fiorini crea performance musico-poetico-pittoriche e – con loro
due – ha fondato il movimento Psicoinformale.
Enrico Grillotti
È diplomato in pianoforte presso il Conservatorio N. Paganini di Genova. Ha partecipato a corsi di
perfezionamento in musica da camera, pianoforte, direzione d’orchestra. La sua intensa attività
concertistica come solista, in duo e in varie formazioni, si svolge in Italia e all’estero, dove ha
partecipato, tra gli altri, al Helgenaes Kultur Festival in Danimarca. È inoltre maestro
accompagnatore in varie accademie e corsi e svolge un’importante attività di relatore-esecutore in
numerosi convegni.
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Luigi Maio
Nato a Genova nel 1965, è un personaggio poliedrico. Musicista, attore e compositore, esponente di
quel genere di espressione da lui stesso definito Teatro Sinfonico, Maio ha collaborato con il Carlo
Felice Ensemble, Milano Classica, I Solisti della Scala e con prestigiosi direttori d’orchestra. Tra i
suoi spettacoli più importanti vi sono alcune rivisitazioni quali l’Histoire du soldat, I musicanti di
Brema, Pierino e il lupo, Babar l’elefantino che hanno imposto Maio all’attenzione della critica.
Attento alle tematiche ed alla letteratura del Novecento, ha scritto Vespe d’artificio, sul teatro
futurista, e Le canzoni di Mefisto, prodotto dal Carlo Felice di Genova e trasmesso su TELE+. Il
musicattore Maio è stato anche oggetto di una tesi di laurea.
Max Manfredi
Autore, musicista e interprete del tutto originale dei suoi pezzi. Le sue radici sono innumerevoli:
fado, tango, chanson francese, influssi mitteleuropei, nostalgie mediterranee, senza dimenticare la
sua città natale, Genova: il tutto filtrato da una sensibilità dall’autonomia a tratti allarmante. Ha
partecipato varie volte al Premio Tenco, ottenendo il riconoscimento per il miglior debutto nel
1990. ha realizzato tre CD, Le parole del gatto (1990), Cantare in italiano (1994) e L’intagliatore
di santi (2001).
Claudio Pozzani
Claudio Pozzani è nato a Genova nel 1961.
Poeta, narratore e musicista, è apprezzato in Italia e all'estero per le sue performance poetiche che
ha effettuato nei più importanti festival letterari a livello internazionale come quelli di Medellin
(Colombia), Rosario (Argentina), Struga (Macedonia), Montreal (Canada), Vienna, Parigi,
Barcellona, Zurigo, Bratislava, Ljubliana, Pietroburgo, Zagabria e in Saloni del Libro importanti
quali Torino, Parigi e Francoforte.
Le sue poesie sono tradotte in oltre 10 lingue e sono comparse in importanti antologie e riviste di
poesia internazionale contemporanea. Claudio Pozzani è nella Commissione Poesia dell'Unesco.
L'ultima raccolta di versi è un'edizione bilingue (italiano-francese) dal titolo Saudade & Spleen,
edita nel 2001 dalle Editions Lanore di Parigi. Come narratore, ha pubblicato i romanzi Angolazioni
Temporali, Kate ed Io e la raccolta Racconti dai Piedi Freddi. Nel 2002 è uscito in Francia per le
edizioni La Passe du Vent il romanzo Kate et Moi.
Nel 1983 ha fondato il Circolo dei Viaggiatori nel Tempo, un'associazione culturale che dirige
tuttora e che si occupa di arte e in particolare di poesia e letteratura, organizzando manifestazioni
internazionali in Italia e all'estero. Tra queste, il Festival Internazionale di Poesia di Genova, la
Semaine Poétique di Parigi, l’Helsinki Runo Festival, Brugge Poésie e il Lago delle Muse sul Lago
di Garda.
Nel 2001 ha creato la Casa Internazionale di Poesia sita a Palazzo Ducale a Genova
Come musicista ha fondato nel 1986 il gruppo rock Cinano, con il quale ha realizzato due LP e
numerose tournée in Italia ed Europa, e che fu inserito nell'Enciclopedia della Musica Italiana
curata da Renzo Arbore. Dal 1990 è il direttore e compositore dell’Orchestra Eczema, un ensemble
di musica rumorsinfonica che ha effettuato numerosi concerti in Europa e prodotto 4 videoclip.
Per le sue attività culturali e le sue performance artistiche, il grande poeta e drammaturgo Fernando
Arrabal l'ha definito "maestro dell'invisibile, aizzatore di sogni, ladro di fuoco: il suo cuore danza
nell'alcova festante".
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TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO
L U I G I
M A I O
Legenda
LM
EG
CP
RR
CA
FA
MP
II
MF
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Luigi Maio
Enrico Grillotti
Claudio Pozzani
Alunni appartenenti alle classi II B e II C
Carlo, allievo della II C
Francesca, allieva della II C
Mirko, allievo della II B
Insegnanti coinvolti nell’attività di laboratorio
Mario Fancello, insegnante di Artistica in II B
[Mancano alcune battute iniziali non documentate in registrazione audio].
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LM – […] applaudire gli altri. Fatemi un applauso! Oh!
RR – [Applaudono].
LM – Ebbene oggi parleremo di un qualcosa collegato alla musica, collegato alla poesia,
collegato al teatro, collegato al Teatro Musicale da Camera. A quanti di voi piace il rap?
RR – [Risponde uno degli allievi che effettuano la videoripresa] A me.
LM – Ecco il cameraman ha già espresso il suo parere. Voi alzate la mano. Vedo
praticamente tutti, qualcuno no. Ma non siete obbligati ad amare il rap. Dimmi tu, vieni
qui [vicino al microfono], fate un applauso al vostro collega.
RR – [Applaudono e si mettono subito a gridare per tifare ironicamente].
LM – Allora spiega ai tuoi compagni … Innanzitutto come ti chiami?
CA – Carlo* [Omettiamo il cognome dell’alunno].
LM – Come?
CA – Carlo*.
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Alunni di II B e II C in auditorium. A destra B*, uno degli allievi che effettuano la ripresa video.
-
-
LM – Carlo*. Allora caro Carlo dimmi cos’è che ti piace del rap? Qual è la prima cosa
che ti viene in mente pensando al rap?
CA – La musica.
LM – Sì, ma è una musica alquanto particolare. Di solito la musica può essere eseguita
da più strumenti, da un pianoforte, da un’orchestra, da un cantante assieme all’orchestra.
In questo caso si canta?
CA – Sì.
RR – [Uno dice] No.
LM – Sììì? Chi è che ha detto no? Aaah! Vieni vieni vieni. Ecco. Applauso.
RR – [Applaudono].
LM – Un applauso anche per la professoressa Giusi e le nostre due bellissime
professoresse laggiù in fondo,
RR – [Battono le mani].
LM – che peraltro, Giuseppina, Giusi come Giuseppina – giusto? – ecco, un nome non fu
mai così appropriato, soprattutto nel 2001, perché Giuseppina Strepponi è un nome
legato a quello di Giuseppe Verdi; be’, qualcuno di voi sa chi è? Chi conosce Giuseppe
Verdi?
RR – [Uno dice] Chi è?
LM – Nessuno conosce Giuseppe Verdi!
RR – [Parlano].
LM – Alzi la mano chi lo conosce. Non interrogo, eh! Ah, bene. Qualcuno, uno o due.
Chi era Giuseppe Verdi? Era un musicista, un compositore. Ecco, bravo, bravissimo. Un
applauso perché ha risposto.
RR – [Applaudono e gridano].
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Il maestro Enrico Grillotti (a sinistra) e il musicattore Luigi Maio (a destra).
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LM – Bene, tu sai che nel 2001 Genova celebra Giuseppe Verdi proprio perché nel 1901
Giuseppe Verdi – ahimè – morì, lasciandoci in eredità opere, arie e marce celebri; una di
queste (be’, la conoscete senz’altro) … [Si mette a cantarla]. Questa era l’Aida, va be’,
l’ho cantata a modo mio (da come l’ho cantata, più che l’Aida era laida …), dopo questa
scemata passiamo la parola alla vostra amica che si chiama?
FA – Francesca*
LM – Francesca?
FA – [Ripete il cognome].
LM – [Ripete il cognome], ecco, allora la nostra Francesca vuole ovviamente chiarire al
nostro amico – qui – Carlo, ecco, che cosa?
FA – Eh, che praticamente non è che cantano; parlano.
LM – Parlano, esatto; allora quale relazione può esserci con la musica?
RR – [Alcuni “sogghignano”rumorosamente. Poi uno dice] Eccolo!
LM – Eccolo! Ecco che Carlo ha avuto un guizzo negli occhi!
CA – L’espressione.
LM – L’espressione, nonché il …?
RR – [Uno dice il ritmo].
FA – Il rap.
LM – Il rap, lei ha detto il rap. Chi ha detto ritmo? Giusto, giustissimo, un applauso al
nostro amico.
RR – [Applausi e grida].
LM – Allora, mi state applaudendo (accidenti): questo è un modo di essere protagonisti!
Effettivamente il pubblico, quando va ad assistere a un concerto, a uno spettacolo, spesso
non si rende conto di essere un protagonista importante, perché, mentre la platea è
formata da un insieme di persone che osservano sulla scena pochi attori esibirsi (in certi
casi uno solo sul palco se abbiamo un monologo), viceversa l’attore, il cantante, il
musicista, sul palcoscenico, diventa anch’esso pubblico, perché a sua volta guarda la
platea e spesso riesce a vedere quello che sbadiglia, quello che sorride, quello che si
scaccola, ehem, volevo dire …
RR – [Ridono].
LM – va be’, no, niente, scusate, mi è sfuggita; ormai siamo abituati talmente al cinema
e a vedere un film sapendo che Mel Gibson non ci potrà vedere mentre siamo lì che ci
grattiamo; invece l’attore, il cantante, il musicista – be’ – sono personaggi reali, in carne
ed ossa, e si divertono assieme a voi; quindi la bellezza del teatro è vivere un
protagonismo duplice da parte di chi sta sul palcoscenico ma anche da parte di chi sta
seduto creando a sua volta uno spettacolo sempre diverso per l’attore; quest’ultimo non
vede l’ora di osservare gente nuova e divertirsi. Ma torniamo adesso – senza divagare –
ai nostri amici; abbiamo visto che nel rap c’è espressione, interpretazione, ritmo e
musica e secondo voi è un’espressione moderna, contemporanea (perché poi con
moderno bisognerebbe approfondire il discorso). É il rap una creazione recente alquanto
trendy – come si dice adesso – ?
FA – Sì.
LM – E certo, apparentemente sì, e secondo te invece?
CA – Boh.
LM – Boh. La risposta giusta secondo voi qual è?
RR – [Parlano].
LM – [Indicando] La sua risposta o la sua in questo momento?
RR – [Rispondono].
LM – Di Francesca? E invece credo che la risposta più giusta l’abbia data Carlo.
RR – Eeehhh!
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LM – Sì, perché effettivamente il rap non ha tirato fuori nulla di nuovo, in quanto la
recitazione ritmata, e quindi non più il canto [si mette a cantare per fornirne un
esempio], la parola detta, in questo caso diventa musica e ora vi spiego perché. Il rap è
stato inventato in un certo qual modo da un signore con un nome difficilissimo, io riesco
a dirlo, in generale i nomi difficili non mi vengono in mente e non riesco nemmeno a
dirli però si chiamava Igor Sravinskij, alla faccia! Un nome che riempie la bocca
alquanto. Be’, Igor Stravinskij è stato colui che nel 1918, quindi ai tempi dei nostri nonni
e bisnonni, in piena prima guerra mondiale, concepì una specie di teatro fatto con poche
cose e con pochi soldi e che potesse divertire tutti, che parlasse di favole, che potesse
piacere quindi ai bambini, ai ragazzi, ai giovani un po’ più grandicelli, agli adulti e –
perché no? – anche ai vecchietti; questa è una cosa importantissima, in genere adesso si
tende sempre a fare degli spettacoli che possano piacere soltanto ai ragazzini, agli adulti
e non si pensa mai che uno spettacolo solo possa parlare a tutte le età. Quindi intanto
mandiamo a posto i nostri due grandi interpreti, hanno vinto forse un sacco di soldi, io
non lo so, questo poi bisogna chiederlo alla Centurione. Bene, adesso vi presento il
maestro Enrico Grillotti.
RR – [Applaudono].
LM – Alzati, alzati.
RR – [Continuano gli applausi].
LM – Ora stai seduto che mi fai sembrare più basso di quello che sono! Allora, perché
maestro? Qua siamo alle medie – è giusto? – e quindi alle medie dovrebbero esserci dei
professori, e che ci fa qui un maestro? Ma perché è un maestro di piano! E perché un
certo tipo di teatro che può aver anticipato il rap (un genere teatrale che io porto in
scena) si chiama Teatro da Camera? Guardate quante domande che vi faccio adesso;
direte: <<Maledetto! Pensavamo di venire qua a non far più lezione, a vedere qualche
cosa di interessante e invece questo ci fa tante domande!>> Allora l’ultima domanda che
vi faccio è questa: Si chiama Teatro da Camera perché si fa in camera?
RR – [Uno azzarda un no] No.
LM – Perché è trasmesso in TV? Perché ripreso dalla videocamera? Eccola la
videocamera [indica la strumentazione installata per videoregistrare l’evento didattico],
vedete che bella? Fa vedere, fa vedere bene, torna indietro, [risata sonora di Luigi], ciao.
Eh, son sciocco, non fateci caso. Come mai si chiama da “camera”? perché per la prima
volta Igor Stravinskij si accorge che la gente non riusciva più a percepire un dramma
attraverso il canto lirico dove le parole sono difficili da capire, bisognava che la musica
fosse unita alla parola recitata, come un rap, quindi in realtà la musica diventa
espressione del rumore dei passi del cattivo che si avvicina con un coltellaccio
[interpreta con la mimica, con la postura del corpo e voce “femminile” la paura del
personaggio in oggetto] alla vittima, una bella signorina che ha tanta paura, ed ecco che
un bel flauto comincia a fare piripì piripì piripì per dire che la bella ha la tremarella
oppure potrebbe essere uno squillo di tromba [voce reboante] perché l’eroe arriva con
tanto di spada a sconfiggere il malvagio. Ma [torna alla sua intonazione normale] nel
teatro da camera il buono e il cattivo non sempre sono distinguibili in quanto uno diventa
a volte buono e l’altro, viceversa, diventa malvagio come nel caso del Dottor Jekyll e
Mister Hyde. Chi conosce questa storia? Chi conosce la vicenda del Dottor Jekyll?
Laggiù, alzati, alzati amico mio, di’ il tuo nome e cognome e anche un soprannome,
quello che vuoi. Come ti chiami?
MP – Mirko
LM – Mirko. Di cognome?
MP – [Risponde].
LM – E di soprannome?
MP – Parigi.
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LM – Parigi. Un applauso per Parigi. Io sono Luigi. Vieni Parigi, vieni verso
Luigi.[Mirko dal fondo dell’aula si avvicina al microfono da cui Maio dilata e diffonde
la sua voce].
RR – [Applaudono].
LM – Dimmi, caro Parigi, avete la mensa scolastica?
MF – No.
LM – Allora, Parigi non vale una mensa. Va bene, va be’, questa è una scemata, va bene,
d’accordo. Senti, caro il mio Parigi, di che cosa parla il Dottor Jekyll e Mister Hyde?
Raccontalo un attimo ai tuoi amici.
MP – Parla di uno scienziato che fa esperimenti strani con formule magiche. A un certo
punto ne inventa una, la beve e diventa un mostro schizofrenico.
RR - [Ridono].
LM – Ecco la parola giusta: schizofrenia, no? Abbiamo trovato un’altra parola chiave, il
dualismo, – no? – lo sdoppiamento. Anche il teatro musicale da camera è un teatro in un
certo qual modo schizofrenico, perché abbiamo due realtà: quella della recitazione e
quella musicale, anche pianistica. Ma adesso ho parlato troppo. Tu rimani qui e ascolta il
nostro maestro che ci fa sentire qualcosa, una cosa qualsiasi a memoria; esegua maestro
qualche cosa per i nostri amici. Non mi guardi con odio: “qualsiasi” cosa.
EG – [Inizia a suonare un pezzo al pianoforte].
LM – No, quello lo sentiamo un’altra volta. Non lo so; un pezzo classico.
EG – [Fa dei cenni d’intesa].
LM – E va bene, d’accordo, sì.
EG – [Comincia a suonare].
LM – Ma non con me, da solo.
EG – [Continua a suonare].
LM – Ecco, facci sentire Grieg un attimo; non subito Stravinskij perché è già un po’ più
complesso. Tatàtira tatatà … [Canticchia il tema di Grieg: “Nell’Antro del Re della
Montagna”].
EG – [Suona].
LM – Esatto.
EG – [Suona].
LM – Voi avete già sentito questa musica ultimamente perché qualcuno l’ha anche
adattata come brano tipo disco-music, rock o qualcosa del genere; io non me ne intendo.
Comunque questo è un brano classico. Questo per dimostrarvi come la musica rock e la
musica leggera dipendano anche dalla musica classica. Questo è L’Antro del Re della
Montagna, cioè, praticamente, la musica legata ai Troll. Chi li conosce questi esseri
strani? Ahhh! [Ghigna]. Carlo sa tutto. Anche tu? Perché il Dottor Jekyll, in un certo
qual modo, bevendo quell’intruglio, tira fuori il lato bestiale e malvagio dell’essere
umano, quindi schizofrenicamente il Dottor Jekyll, che è l’uomo più buono di questa
terra perché è un dottore, perché aiuta il prossimo, perché ti assiste anche quando non hai
diritto alla mutua, lui, inglesi, stranieri, lui fa del bene a tutti, eppure, dentro di sé, questo
dottore sa che per essere rispettato dalla collettività, da tutti gli altri, lui non può
permettersi – ad esempio – di andarsene la sera in discoteca, in un night, a vedere uno
spettacolo un po’ scollacciato, a vedere uno spogliarello, e va be’, è un uomo anche lui,
anche lui potrebbe farlo perché è a posto con se stesso, sa che fa del bene agli altri; ma la
morale pubblica glielo impedisce, allora dentro di sé il Dottor Jekyll continua a
rimuovere, rimuovere, rimuovere l’aspetto mostruoso di sé, quello che in origine poteva
essere semplicemente il suo aspetto fanciullesco e piano piano diventa un mostro, un
Troll, e questo mostro esce fuori attraverso una pozione, questa pozione fatta con delle
polverine particolari; queste polverine sono diventate particolari attraverso una serie di
impurità, di elementi che per errore erano caduti nella polvere. Quando il Dottor Jekyll
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ha esaurito la scorta della polvere impura, scopre che non può più ritornare umano, e il
Dottor Jekyll è costretto a scegliere <<devo rimanere in vita come mostro o uccidermi e
quindi pagarla una volta per sempre?>> anche perché Mister Hyde (da to hide –
nascondere – quindi ecco la parola, l’importanza della parola, il gioco di parole, hide:
nascondere – dall’inglese – e Mister Hyde è colui che Jekyll ha nascosto dentro di sé per
tanto tempo) – be’ – Mister Hyde esce fuori, ruggisce e uccide tutti quelli che incontra
sul suo cammino. Bene, però è difficile poi dire se Mister Hyde sia stato vittima del
Dottor Jekyll o Jekyll vittima di Mister Hyde. Con questo racconto si aprono il romanzo,
la poesia e il teatro del Novecento, dove non esistono più il bene e il male assoluti, esiste
soltanto una miscela delle due simile alla polvere impura. Bene, mandiamo a posto il
nostro Mirko, mandiamolo a Parigi, caro Parigi; un applauso.
Luigi dietro al leggio e dietro a Luigi un disegno di sua mano – alla lavagna – che simbolizza il Teatro da
Camera.
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RR – [Applaudono].
LM – Sei un appassionato del genere horror?
MP – Sììì.
LM – Quali altri generi ti piacciono?
MP – Avventura, comici.
LM – E parlando dell’horror, all’interno dell’horror-or-or-or, quale altro film ti piace
oltre a Jekyll e Hyde?
MP – Nightmare, démoni, vampiri
LM – Diavoli soprattutto. Ecco. Be’, quasi tutto il Teatro da Camera è incentrato sulla
figura del Diavolo [risata diabolica]. A posto, grazie. E quindi [ride] adesso, dopo
questa lunga introduzione, passiamo all’esempio pratico. In che cosa consiste allora
questo Teatro Musicale da Camera? Ebbene un esempio molto semplice ce lo dà
un’opera importantissima e conosciutissima Pierino e il lupo. Voi conoscerete di certo
questa favola musicale. Chi mai l’ha vista a teatro? Chi è mai andato a vedere e a sentire
questa fiaba? Nessuno? Allora è interessante poter adesso averne un piccolo assaggio. I
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bambini, i ragazzi della vostra età, nel 1936 avevano una certa difficoltà a poter assistere
a un’opera, un’opera sinfonica, orchestrale ad esempio; adesso invece la TV trasmette –
anche a volte all’impazzata – concerti rock, concerti di musica leggera e pochi,
pochissimi, concerti sinfonici, però quei pochi concerti sinfonici sono sempre una buona
occasione per farvi un’idea. Ogni tanto vi può capitare di vedere un direttore – con la
bacchetta – che dirige, perché voi avete la televisione in casa, ma nel 1936 in Russia la
povertà era estrema. Figuriamoci avere la TV! Prokof’ev decide di scrivere per le scuole
una fiaba musicale, dove appunto un bambino riesce a catturare con l’aiuto di qualche
animale (quale un gatto, un uccellino e un’anatra) il terribile lupo. Il personaggio che si
oppone a tutto questo è il nonno di Pierino. Il tentativo è quello di dimostrare che ogni
strumento dell’orchestra, ogni strumento musicale, esprime un personaggio. Da lì è
molto facile arrivare a pensare che ogni strumento orchestrale attraverso il suo colore
particolare, il suo timbro, possa esprimere anche un sentimento, il sentimento del
compositore. Quindi, con questa favola, i bambini hanno avuto la visione di che cosa
poteva essere il fagotto, il clarinetto; il fagotto per il nonno perché è uno strumento che
borbotta, il clarinetto per il gatto ché è uno strumento già più insinuante, il flauto per
l’uccellino, il lupo addirittura viene espresso da tre corni, e ovviamente Pierino da tutti
gli archi. Ora, in questo caso, abbiamo l’ausilio del pianoforte e per farvi capire
l’importanza della interazione tra voce e musica arriveremo proprio a recitare una
piccola parte di un testo che ho scritto volutamente in rima perché la favola di Pierino e
il Lupo ora la conoscono quasi tutti ed è una favola che in origine non aveva l’esigenza
di divertire i bambini, il testo era concepito come un supporto per far conoscere
l’orchestra, ma ormai i ragazzi vogliono un testo completo. La rima è importantissima.
La rima è espressione poetica e virtuosistica, solo che a volte può essere anche
disarcionata da una metrica regolare. Ma arriveremo dopo a questo anche facendovi
delle domande, eh, state attenti – eh – che adesso vi interrogo tutti, eh; sono sadico
[risata malvagia], be’, faccio il Diavolo … Adesso parliamo però di questo Pierino e il
Lupo, quindi cominciamo. La favola è iniziata, Pierino sta chiacchierando con un
uccellino, l’uccellino a un certo punto litiga con l’anitra perché dice <<Saresti un uccello?
Ché non sai volare?>> e l’anitra invece gli risponde <<Saresti un uccello? Ché non sai
nuotare?>> e i due cominciano a litigare e la musica esprime lo svolazzare dell’uccellino
e il litigio – qua qua qua – della papera. [Grillotti prende a suonare e Maio a recitare. Al
termine Luigi Precisa] Ecco questo è Pierino e il Lupo; un bell’applauso per il nostro
pianista.
RR – [Applaudono ammirati].
LM – Allora – come vedete – la relazione, anzi, scusate un attimo, bevo un goccio
d’acqua, eh, scusate.
RR – [Si crea una sorta d’intervallo].
LM – Bene, bene, bene, cari ragazzi abbiamo fatto un attimo di pausa anche perché mi
sono accorto che non avevo pile nel registratore. Lì era tutto sciancato il cavalletto [che
sosteneva la videocamera]. Ah, ma adesso i nostri operatori, bravissimi e capaci, hanno
risolto il problema. Ora sembra che sia sbilenca dall’altra parte, va be’, fa lo stesso, e va
be’, è sbilenca, che ci possiamo fare? Altro esempio di Teatro Musicale da Camera è
stato dato da uno dei più grandi comici italiani che si chiamava Ettore Petrolini. Ettore
Petrolini lo si può anche associare a un personaggio che voi conoscerete sicuramente,
divenuto un personaggio dei fumetti anche se originariamente era uno dei comici più
irresistibili del cinema americano: Groucho. Chi conosce Groucho? Ma possibile? Non
avete mai letto Dylan Dog?
RR – [Rispondono senza che si senta in registrazione. Si ode la voce di uno che dice] Io
no.
LM – E tu leggevi Dylan Dog? Ah, adesso no, sei grande. Tu lo leggi ancora invece.
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Luigi Maio interpreta uno dei suoi pezzi di bravura dinanzi agli studenti della Centurione.
-
RR – No.
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LM – No! Basta! Eh [ride]. Era l’aiutante di Dylan Dog. Comunque Groucho Marx è
stato uno dei più grandi comici americani. Petrolini invece è il grande comico che
sbeffeggiava il Futurismo. Il Futurismo era un modo per rivoluzionare la poesia, la
musica, facendo ricorso anche a questa sorta di rap in quanto distruggeva la metrica. Che
cos’è la metrica poetica? Che cosa vi fa pensare la parola “metrica”? a che cosa la
potreste associare?
[Termina il nastro dal lato A].
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LM – … nella Histoire du Soldat, il diavolo dona un libro magico a un soldato, il quale
comincia a leggere questo volume che parla delle quotazioni di borsa. Sapete che cosa
sono? Le quotazioni di borsa sono quelle che vi fanno diventare ricchi. Se tu sai che le
azioni saliranno, investi su quelle azioni con del denaro; se tu sai che le azioni caleranno,
non investi denaro ovviamente perché se no perdi e allora devi vendere tutto. Ebbene il
libro del soldato parla delle quotazioni di borsa tre giorni in anticipo e il soldato diventa
l’uomo più ricco del mondo grazie al libro che “parla” tutte le lingue; può leggere “a
termine, a vista, borsa valori di sabato 31”, può leggere anche in francese “à terme, à
vue, cote du change, bourse valeur de samedì trente et un”, oppure può anche leggere in
greco moderno ΤΟ ΜΑΤΙΚΟ ΒΙΒΛΙΟ ΤΟΥ ΑΠΟΚΑΛΙΠΤΕΙ ΤΑ ΜΙΣΤΙΚΑ ΤΟΥ ΧΡΗΜΑΤΙΣΤΗΡΕΙΟΥ. Certo
avete capito che effettivamente con un’altra lingua forse è difficile comprendere il
significato globale, ma la musicalità è la stessa. Che cos’è cambiato? Sono cambiate le
parole, ma il ritmo e le assonanze sono suppergiù le stesse; questo è il potere della
metrica, questo è il potere della musicalità insita nel verso; se a questa aggiungiamo la
musica stessa, il Teatro Musicale da Camera può diventare un concerto spettacolare o
uno spettacolo concertistico. Possiamo vedere ad esempio – grazie alla musica della
Marcia del Soldato – questi che si dirige verso il Diavolo, senza ovviamente
comprendere che il vecchietto che gli ha dato il libro al posto del violino sia proprio il
Demonio in persona.
EG – [Suona al pianoforte].
LM – [Recita un pezzo]. Questa musica particolare, quasi violenta, è stata ora eseguita
col pianoforte, immaginatevi: con sette strumenti musicali esprime la stanchezza del
Soldato e la sua gioia nel ritornare a casa. Il Soldato che cosa fa? Passa tre giorni in casa
del Vecchio e diventa ricchissimo. Torna a casa dopo tre giorni e nessuno lo riconosce
più. Accidentaccio, lui rimane sconvolto. Erano passati tre anni! [Riprende a recitare, a
cantare e a riassumere pezzi de L’Histoire du Soldat. A un certo punto interrompe il
racconto per dire] Sennonché il Diavolo lancia una maledizione. Ma prima di sentire la
canzone del Diavolo vediamo un attimo che cosa ci può dire in questo caso il nostro
Claudio Pozzani che è qui presente tra noi. Vieni. Vieni Claudio. Vieni un attimo.
Soltanto un applauso. Vieni qui, vieni qui. [Claudio era arrivato proprio allora].
RR – [Applaudono].
LM – Sì, aspetta, Claudio parla un attimo ai nostri amici e vieni anche tu qua Enrico.
Eccoci qua.
CP – Bene. Io ringrazio tutti voi di essere qui. Grazie al professor Fancello e agli altri
suoi colleghi. Maio e il suo pianista sono venuti qua nell’ambito di un esperimento anche
che stiamo facendo con questa Scuola, ossia riuscire a dimostrare che la poesia è
comunque una forma d’arte che può essere sposata a molte altre forme artistiche. Oggi
avete visto musica e teatro; la prossima volta vedrete anche poesia e arti visive e poi
infine poesia e canzoni d’autore. Quindi questo qua è il primo di questi appuntamenti.
Mi sembra che sta riuscendo bene visto che lui è un vecchio gaglioffo de… [sta per
avvicinarsi a lui]
LM – Attento, ché son sudato fradicio.
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CP – E lo so. Comunque questo personaggio – che è piccolo – in effetti è un grande
artista; lo conoscono ormai in tutta Europa, perché lui viaggia anche col Teatro della
Scala, il Teatro Carlo Felice, e quindi anche se piccolino nasconde un grande artista.
LM – Grazie. Allora un applauso invece a lui che è alto e grande ugualmente. E con il
grande Claudio siamo riusciti a creare una sorta di miracolo; ad esempio, l’ultima volta,
quando abbiamo dovuto allestire uno spettacolo teatrale in uno spazio legato al teatro
(pur non essendo il teatro vero e proprio in quanto lo spazio era quello del foyer del
Teatro della Corte e il foyer è come l’ingresso della vostra scuola, non è per di se stesso
un teatro) siamo riusciti ad avere pianista, pianoforte, palcoscenico, musicattore sul
palcoscenico e Claudio Pozzani che aveva presentato la serata con la sua solita ed
elegante verve. E questi miracoli si possono fare nel momento in cui il Teatro da Camera
è costituito da pochi elementi, costa poco, basta un pianoforte, basta un pianista, basta un
vero musicattore e tanta voglia di divertimento e di divertirci assieme, ma ci vuole
principalmente il pubblico e il pubblico deve essere sempre tanto e numeroso.
Chiediamo invece al nostro Maestro quali sono le caratteristiche principali di un
musicista che debba però avere a che fare con il teatro e con il Musicattore, cioè un
attore che sia anche musicista tanto da poter amalgamare i due momenti, quelli
drammaturgici e quelli concertistici.
EG – Beh, bisogna avere un grande senso del teatro, cioè sapere qual è la situazione e
trovarla subito, cioè rispondere con la musica, quindi con quella che è la nostra arma, e
sapersi inserire in questo discorso che porta avanti invece la voce recitante e cantante;
quindi praticamente bisogna azzeccare sempre i tempi giusti, è molto difficile perché
basta un millesimo di secondo fuori e salta tutto; infatti è una carogna e nelle prove mi
distrugge sempre, perché [sogghigna] … No, non è vero. Non è vero, è bravissimo.
Bisogna essere molto attenti al momento, al momento giusto, l’intensità giusta, il suono
giusto. È difficile, però è bellissimo.
LM – Allora un bell’applauso anche al fondamentale Maestro Enrico Grillotti e adesso
passiamo alla Maledizione del Diavolo di cui vi avevo detto. Il Diavolo viene gettato
fuori dal castello … [Prosegue il riassunto e poi precisa] Quello che sentiamo ora è il
primo esempio di rap nella storia della musica in quanto nasce nel 1918 con La Storia
del Soldato. [Riprende a cantare]. Questa è la canzone del Diavolo. L’elemento ritmico
ossessivo è apparentemente regolare, ma abbiamo diverse battute, una battuta è di due
ottavi, quindi un due; quella dopo: cinque quarti, un due tre tre quattro cinque. Quindi è
particolare questo ritmo; è stato definito Cubismo Musicale. Chi conosce il Cubismo
pittorico di Picasso ad esempio?
MF – [Intervengo per dire che le classi sono di seconda media e in questo anno non
affrontano lo studio del Novecento].
LM – Ah, allora bene; se siete di seconda media non è detto però che non possiate
comprendere l’essenza divertente del Cubismo che fra qualche anno conoscerete di
persona. Alcuni di voi avranno forse visto sfogliando un giornale qualche quadro dove
c’è un naso qui, un occhio lì, la bocca là, la narice destra là a sinistra e quella di sinistra
là a destra, il piede sinistro nella scapola destra, insomma tutto un problema – diciamo –
ortopedico, ecco. Questo è il Cubismo. Perché? Perché il senso del Cubismo era questo:
il naso è qui e l’occhio è lì perché nel frattempo il soggetto che viene ritratto nel quadro
ha compiuto un movimento, quindi noi abbiamo fissato l’immagine del naso di profilo e
abbiamo fissato l’occhio frontalmente attraverso uno spostamento, quindi oltre alla terza
dimensione abbiamo anche la quarta dimensione, quella temporale, quella del tempo.
Nella musica succede altrettanto. Se cambiamo ogni volta la battuta, il tempo della
battuta, avremo un continuo rovesciamento di piani come quando marciavo e recitavo
cantando la Marcia del Soldato che a un certo punto TÀ mi son messo di profilo, quasi
fossi stato un egiziano, per suggerire questo ribaltamento costante dal punto di vista
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figurativo, dal punto di vista musicale, ma anche dal punto di vista testuale; ormai voi
non siete più obbligati, scrivendo una poesia, a fare tatà tatà tatatà e quello dopo deve
essere altrettanto tatatì tatìta tatà. Non è detto. Voi potreste non essere legati a costanti
endecasillabi o altro, nooo, voi potete scombinare tutto. L’importante è che tutto segua –
abbia – un senso logico; ad esempio Façade, il primo esempio di Teatro da Camera
inglese era composto da una serie di poesie di una grande poetessa: Edith Sitwell, la
quale aveva per esempio concepito una serie di poesie di questo tipo: la “Tarantella”
[Riprende a recitare]. Una corsa velocissima, spasmodica, all’interno della musica e
all’interno del testo. Qualcuno di voi avrà visto L’Attimo Fuggente, quello con Roby
Williams, non so quanti di voi possano averlo visto. Qualcuno di voi l’ha visto?
RR – [Rispondono].
LM – Ecco, quello è un film abbastanza particolare perché l’entusiasmo dell’insegnante
era plausibile in quanto aveva una classe di ragazzi svegli, come voi; anzi
originariamente i ragazzi erano alquanto apatici, il professore doveva risvegliare
l’interesse per la poesia; beh, nel vostro caso mi sembra invece proprio il contrario, qua
bisogna anche trattenervi perché siete entusiasti e siete una potenza, quindi penso che i
vostri insegnanti debbano con voi sgobbare molto, però devono essere anche molto
contenti perché date loro molta soddisfazione, perché avete … l’entusiasmo …
I I – [Dicono qualcosa].
LM – Nooo? E no, io penso di sì. Date soddisfazione?
I I – Sììì.
LM – Aaah, danno soddisfazione. Vedete come sono modesti. Loro dicono eeehhh e
invece poi no no. Da adesso dieci e lode a tutti perché l’hanno ammesso, eh. Un
applauso ai vostri professori, diteglielo che alzino la “media” alle “medie”. Allora
comunque l’istinto di creare voi l’avete. Anche la cosa più sciocca. Quanti di voi
avranno creato delle frasi piene di doppi sensi, alquanto birichine, e ci sarà stata anche
qualche parolaccia qua e là. Beh, cari ragazzi, sappiate che anche Dante Alighieri, se è
per questo, certe frasi colorite, saporite, all’Inferno le aveva messe, perché lui utilizzava
proprio la parola “volgare” (a parte che lui scriveva in volgare, ma questo è un altro
discorso, perché nel De Vulgari Eloquentia propone l’uso del volgare quale lingua
comprensibile e appannaggio di tutto il popolo italiano), bene, però l’uso anche delle
parole col significato molto forte, le cosiddette parolacce, che allora non si potevano
ancora definire tali, be’, Dante le collezionava addirittura andando nelle osterie (gli
attuali pub, per intenderci) chiedendo all’oste:<<Dimmi qualche frase che possa avere un
effetto terribile>> e tiravano fuori le parolacce che comunque tutti noi conosciamo; non
sempre, ma alcune erano particolari; alcune sono andate in disuso, perché? Perché l’uso
di queste parole ti dava il senso della pesantezza, della materia all’interno dell’Inferno;
mano mano che Dante si affranca dall’Inferno arrivando in Purgatorio piano piano il
linguaggio si fa sempre più aulico, sempre più leggero fino ad arrivare al Paradiso dove
il linguaggio acquista un senso sempre più astratto fino ad arrivare a vere e proprie
astrazioni simboliche, insomma non ci si capisce niente … No, non è vero; ci si capisce;
ovviamente abbiamo la possibilità di studiare tutto questo attraverso le note a piè pagina
o grazie al ricorso della parola degli esperti. Ma quello che voglio dire è un’altra cosa,
nel momento in cui voi pensate di aver perso tempo giocherellando con le rime, – ebbé –
comunque voi avete messo in moto dei principi creativi con lo stesso spirito con cui si
vuole a volte fare uno scherzo o offendere qualcuno in senso ritmico. Paradossalmente
anche quando si vuole creare una grande poesia, il principio (e il divertimento) è lo
stesso. Avete sentito prima Petrolini; Petrolini ha detto anche delle frasi che per l’epoca
erano alquanto colorite, ora si sente anche di peggio in un film per ragazzi; ma quello
che vi voglio dire è che se volete creare qualcosa anche d’importante fatelo col senso del
gioco; anche quando dovete scrivere un tema, non mettetevi lì <<Adesso io faccio il
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tema!!! …>> ma giocate con lo stesso insegnante, l’insegnante (e loro lo sanno, è per
questo che mi hanno chiamato qua a fare il folle, perché questo è già l’indizio del senso
giocoso che gli insegnanti mettono nel loro lavoro e nell’intento d’insegnarvi e di
inculcarvi giocosamente nozioni difficili e complesse. È tutto un gioco. Noi siamo
persone legate alla civiltà occidentale e lo siamo perché vogliamo divertirci col sapere,
perché vivere da esseri bestiali alla maniera di Mister Hyde non è sempre così divertente.
Si può essere molto più trasgressivi – ad esempio – con la cultura: quando si parla del
cosiddetto secchione in una classe di gente che non studia niente, il vero trasgressivo è il
secchione, non coloro che sono lì a non far niente. Essere pigri e non studiare – beh –
questo quasi tutti i ragazzi lo fanno, ma la vera pecora nera, la persona veramente
originale può essere il secchione. Non vi si chiede questo! Perché c’è un’altra figura più
originale ancora e trasgressiva del secchione: quello che studia e si diverte
contemporaneamente. Se state attenti in classe studierete un po’ meno a casa [ridacchia],
comunque divertitevi e quando siete in classe esigete da voi stessi un interesse per
capire: là dove c’è la cultura c’è sempre quel qualcosa che interessa a noi. A quanti di
voi piace – che so? – l’horror? Ne ho già visto qualcuno, ma alzino la mano quelli che
vogliono vedere dei film horror o comunque interessanti d’avventura. Non vergognatevi,
tutti i ragazzi, qua la maggior parte dei maschietti, credo che Nightmare l’abbiano visto.
Chi l’ha visto Nightmare? Su, avanti; su, su le mani, su su su, su, ebbene
RR – [Parlano].
LM – sappiate che anche l’horror fa parte della cultura occidentale. Bene, ragazzi,
ragazzi, ragazzi, ragazzi, ragazzi. Questo è uno degli aspetti della nostra cultura; la
cultura occidentale si dibatte sempre tra il problema del bene e il problema del male. È
un po’ difficile, parlo da un punto di vista dello storico in quanto il Novecento è stato un
secolo terribile e allora noi non possiamo incorrere, incappare, in giudizi moraleggianti
che non è il caso di trattare in questa sede; però dal punto di vista invece poetico e
artistico la nostra letteratura dal Medioevo fino ad adesso, tutta l’epoca moderna, ci ha
dato degli esempi incredibili, affascinanti, di storia, che se uno Spielberg li dovesse
mettere in scena in un film, sui grandi schermi e sui piccoli schermi, altro che Guerre
Stellari! Ad esempio (e torniamo al teatro) Tarantella a Sorpresa. Dovete sapere che i
futuristi amavano fare degli scherzi terrificanti al pubblico; ad esempio: mettevano la
colla sul sedile; sì sì; no no, non è il vostro caso, non è il vostro caso, non statevi a
guardare, stanno guardando se sulla sedia c’è la colla; no, ormai si sono ricomposti tutti;
peccato, sarebbe stato uno scoop incredibile. Comunque mettevano la colla su sedile e
potete immaginarvi le persone che allora andavano in giro con la bombetta, il cilindro e
il frac, o le signore tutte vestite, azzimate, con la gonna lunga, le loro paillette, con tutte
quelle belle cianfrusaglie che mettevano sulla stoffa, che non potevano più alzarsi dalla
sedia perché “incollate”; mettevano polvere – per far starnutire – vicino ai braccioli delle
poltrone; vendevano lo stesso posto a dieci persone diverse, così tutte arrivavano con lo
stesso biglietto: <<No, è mio>>, <<È mio>>, << È mio >>, si pestavano tutti. Sì sì. Oppure
mettevano anche dei matti, invitavano dei matti, davano il biglietto gratis ai matti, li
mettevano vicino alle persone ben vestite e questi cominciavano a dar pizzicotti, a dir
parolacce, addirittura a bestemmiare; facevano delle cose allucinanti. Perché? Perché
questo era un modo di provocare un pubblico che era troppo serioso, voleva sul
palcoscenico amore, cuore, uuuhhh, romanticherie di questo tipo: <<Ma mi ami?>>, <<Ma
quanto mi ami?>>, <<Ma perché non mi ami?>> Ma va a quel paese! In sostanza i futuristi
riuscivano (e il nostro Claudio lo sa) anche a ottenere questo aspetto allucinante,
arrivando addirittura a mettere il sapone sul palcoscenico in modo che gli attori
prendessero una bella capocciata per terra. Infatti io, in un mio spettacolo che si chiama
Vespe d’Artificio, dove all’interno c’è anche Petrolini, ho composto questa Tarantella a
Sorpresa che spiega quali scherzi questi futuristi combinavano al pubblico. Prego [dice
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al Maestro e subito canta accompagnato dal pianoforte; al termine aggiunge] Ecco,
questo in platea; potete immaginare quel che facevano sul palcoscenico: entrare in scena
all’alzar del sipario e suonare Beethoven [il pianista esegue] tutto al contrario, oppure
allestire un’opera muta ficcando i cantanti nei sacchi di iuta [eccetera]. Ecco, altre cose
allucinanti, ecco un altro personaggio, un altro grande protagonista della letteratura
dell’Ottocento che si affaccia già però al Novecento è il Peer Gynt, parlavamo prima dei
Troll, chi sono i Troll? Eccolo, Carlo, vieni qui, vieni qui, vieni qui, vieeeni qui; un altro
applauso al nostro Carlo.
RR – [Applaudono].
LM – Allora spiegaci un attimo come sono i Troll, prendi il microfono e parla facendo
finta di essere me, che comunque – va be’ – tu sei più bello.
CA – Sono folletti malefici, gialli e verde, un po’ brutti.
LM – Gialli e verde? Oooh, ha detto una cosa giusta; cosa leggi qui?
CA – La donna verde.
LM – La donna verde. Infatti ha detto la parola giusta. Questo ragazzo è incredibile. Hai
sbirciato? No. I Troll hanno la pelle verde, hanno anche
CA – la coda
LM – la coda, e possono avere quante teste?
CA – Più di due, mi sembra.
LM – Bravissimo; ma dove l’hai letto? L’hai studiato? Ti interessa?
CA – No. Così; tanto per …
LM – Ma perché forse forse io e lui siamo due Troll. Potreste esserlo tutti voi perché c’è
un modo per diventare Troll e pochi lo sanno.
CA – Essere folli.
LM – Essere folli; ma non solo. Peer Gynt è questo ragazzo che desidera diventare un
Troll per sposarsi una principessa Troll e diventare ricco a sua volta e quindi deve
mettere la coda, ovviamente deve diventare un essere diabolico, e beh, il buon Peer Gynt
scopre così che per essere un Troll è semplice; gli esseri umani dicono <<Uomo sii te
stesso>> i Troll invece dicono <<Troll servi te stesso>>, ciò vuol dire che i Troll sono
simbolo dell’egoismo e a volte un po’ egoisti lo siamo tutti; ma c’è egoismo e egoismo e
l’egoismo nella creatività può divenire competitività, ma in senso buono, creativo. <<Io
ho scritto una poesia meglio di te>>. <<No! Io ne ho scritta una migliore!>> e via così. La
creatività umana si stimola attraverso il confronto. Sì, un applauso per il Troll Carlo,
RR – [Applaudono].
LM – che ormai è un Troll a tutti gli effetti e gli è spuntata anche la coda: guardate,
guardate, guardate, alzati un attimo, fa’ vedere che t’è spuntata la coda. No, non è vero,
non è vero, non è vero. Non c’è bisogno d’avere la coda per essere un Troll. Bene, allora
cominciamo quindi con una scena. La cosa importantissima a proposito della
schizofrenia è che col Teatro da Camera abbiamo un attore solo in scena che interpreta
tutti i personaggi come se fosse un pazzo, un folle – come dice lui – che
schizofrenicamente diventa un uomo, una donna, il Diavolo, il Soldato, Peer Gynt, il Re
dei Troll, qualsiasi personaggio. E quindi adesso immaginatevi che possa io avere i
costumi di scena e cominciamo proprio con un pezzo del Peer Gynt per fornirvi un
ulteriore esempio; non sempre il Teatro da Camera è in rima. Ad esempio, nella mia
versione ispirata a Ibsen, il Re dei Troll quando narra di Peer Gynt parla in rima, ma
quando dalla narrazione si passa all’azione vera e propria allora, come in un film, tutto
diventa prosa, e infatti il pezzo che adesso andrò a recitarvi è in prosa. [Interpreta il
brano scelto e riprende poi la conversazione] Per concludere una domanda ancora,
quanti di voi hanno desiderato scrivere una poesia, hanno scritto una poesia o un testo
teatrale o vorrebbero diventare poeti? Alzate la mano.
RR – [Ridono].
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LM – Se c’è qualcuno tra voi …
CP – Si guadagna troppo poco.
LM – <<Si guadagna troppo poco>> mi dice Claudio [Pozzani]. Chi di voi vuole diventare
un morto di fame? Ecco, facciamo prima: io [Maio si candida]. C’è qualcuno?
RR – [Rispondono, ma non si riesce a percepire – dalla registrazione – cosa dicano].
LM – Lui! Lui ha l’animo del poeta, non del morto di fame, ma del poeta ricco. Ti
piacerebbe? E quanti di voi vorrebbero fare gli spettatori? Quanti di voi fare gli spettatori
comunque in TV, al cinema? Voi non avete mai assistito a uno spettacolo? Quanti di voi
hanno assistito a uno spettacolo? Lui? Ma io non credo, vi ci avranno portato i genitori
almeno una volta. Quest’oggi è stata una lezione legata allo spettacolo. Be’, io credo che
quasi tutti, eh …, e allora – ragazzi – vi chiedo questo: il desiderio di scrivere anche una
scemata, inventarvi una barzelletta, far ridere il vostro compagno o la vostra compagna
di banco c’è mai stato in voi?
RR – [Rispondono a bassa voce].
LM – Desiderio di giocare, di dire anche sciocchezzuole – perché no? – ma comunque di
stupire l’altro.
RR – [Proseguono nel dare riposte che non sono nitide nella banda registrata].
LM – Non credo che voi non abbiate creato una filastrocca o una battuta contro qualcuno
che vi stava sull’anima. Quanti di voi hanno fatto uno scherzo poetico al compagno?
RR – [Non sono udibili le risposte che danno].
LM – Eeeh – ragazzi – non vi si giudica, eh! Qua i professori non ce l’hanno mica con
voi se fate questo, perché l’hanno fatto anche loooro quando erano studenti, non è vero?
[Rivolge lo sguardo verso di me].
MF – [Scuoto la testa per indicare – falsamente scandalizzato – di no].
LM – Nooo! Mica! Eeeh, è proprio il desiderio di rimanere a scuola che ha spinto molte
persone a lavorare all’interno della stessa [ridacchia con molto sarcasmo]. Vedere il
sottoscritto, ché, collaborando con i docenti e lavorando con gli studenti, questa attività è
per lui il massimo del paradiso, di ciò che è paradisiaco, anche se oggi abbiamo parlato
molto del Diavolo. Ebbene, ragazzi, non voglio sapere quanti di voi abbiano provato,
perché sono sicuro che dentro di voi molti abbiano pensato di inventare una storia, di
scrivere qualcosa, di diventare protagonisti di un racconto, o di un finzione teatrale, o –
perché no? – addirittura di un film, o di finire in TV. Ma qualsiasi cosa vogliate fare,
l’elemento della creatività è fondamentale, tanto più che questo corso è legato proprio
all’aspetto delle avanguardie e quindi di tutto ciò che di creativo è stato fatto nel
Novecento, ma anche se voi doveste fare il lavoro meno divertente di questa terra (e mi
auguro che non sia così) Comunque dovrete mettere qualche cosa di creativo all’interno,
perché l’unica “Pietra Filosofale”, quella che trasforma il piombo in oro, è l’arte, la
vostra creatività, il vostro senso dell’umorismo, che bisogna conservarlo tanto nel
quotidiano quanto al momento di scrivere … che so? … una tragedia! L’unica cosa che
vi dico, spero che questo piccolo scherzo, questa lezione giocosa, possa ulteriormente
suscitare quello che già le lezioni dei vostri insegnati fanno: appunto il desiderio di
creare, di scherzare, di giocare, di mettervi gioiosamente in discussione con la realtà o
con quello che voi credete possa essere la realtà. Ragazzi, giocate, prendete pure in giro
tutti, ma fatelo, fatelo bene, fatelo con gusto [pronuncia il vocabolo ‘gusto’ in modo
succulento], col divertimento, siate voi stessi veri Trolls, ma siatelo nella più bella
forma. Grazie e a presto.
RR – [Battono le mani con convinzione e serietà].
[Si conclude così la trascrizione dell’intervento].
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ESTRATTO DELL’INTERVENTO
E L E NA C R E T E L L A
Legenda:
-
EC
RR
CS
R1
R2
S*
CM
RP
MF
-
-
-
Elena Cretella
Alunni della Centurione
Alunna di II B
Prima ragazza
Seconda ragazza
Alunno di II C
Claudia Meschinelli, docente di Lingua Inglese
Rosangela Piccardo, docente di Educazione Artistica
Mario Fancello, docente di Educazione Artistica
EC – Allora, io sono Elena Cretella, sono un’insegnante, sono una pittrice, una cantante di
jazz, compositrice di musica e quant’altro. Ho lavorato in uno studio di scultura. Ho fatto un
po’ di cose nella vita. E soprattutto mi interessa l’aspetto umano dell’apprendimento, questo
moltissimo, perché è mia opinione che la vita sia proprio data da questo, dallo sperimentare
le proprie emozioni in riferimento a quello che ci circonda. E questo è anche il senso
dell’arte; l’artista produce arte perché rimanga qualcosa in chi guarda la propria opera:
questo il senso dell’arte. Allora, prima di tutto volevo dirvi se sapete definire uomo, volevo
chiedervi se siete in grado di dirmi qual è il significato della parola uomo. C’è qualcuno che
ha questo coraggio? Dai. Che cos’è l’uomo? È una parte di fisico, no? Questo l’avete
sperimentato dal primo giorno di vita. È una parte emotiva, perché proviamo delle emozioni,
giusto? Qualsiasi cosa accada non c’è un istante della nostra vita che sia privo di emozioni.
Ha una parte mentale, razionale, che ci permette di formulare dei pensieri e una parte
spirituale che ci collega col tutto, con l’infinito, per chi crede e per chi non crede, non
importa, e comunque tutto questo è energia, okay? Quali sono le emozioni che un uomo può
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-
-
provare? Qualcuno può dirmele? Devo interrogarvi io? [Ride]. Chi è la più socievole?
Francesca? Francesca. E beh, allora tutte e due venite qua. Forza.
RR – Eeehhh.
EC – Ci riprendono [fa riferimento alla videocamera]; facciamo anche gli attori. Allora,
emozioni ce ne sono di due tipi: positive e negative; pare; perché la vita comunque è fatta di
queste due antitesi; giusto? Okay. Un’emozione positiva?
R1– Essere felice.
EC – La felicità?
R1 – Sì.
EC – Okay. Un’emozione negativa?
R2 – L’odio.
EC – Brava. L’odio. L’odio è l’emozione negativa più grande che un uomo, o una donna
ovviamente, possano provare. L’antitesi dell’odio? L’opposto?
R1 – Amare una persona.
EC – È l’amore. Bravissima. Okay. Potete tornare a posto. Ce l’avete fatta. Esatto: l’odio e
l’amore. Lo yin e lo yang. C’è un simbolo molto bello. Potrei avere una penna? Brava,
grazie. Un pennarello. Un
pennarellone. Qualcuno ha un
pennarello grosso?
- RP – Qualcuno ha un
pennarello grosso?
- RR – [Dicono qualcosa].
- EC – [Rivolgendosi a me
perché le ho fatto un cenno]
Dimmi.
- MF – Vado a vedere in
segreteria.
- EC – Sììì, sì, sì, sì. [Pausa].
[Elogia un allievo] Bravo! Sai
come si chiama quello? Si
chiama Tao. Adesso lo
facciamo. Alla fine della
lezione vorrei che voi mi
lasciaste un ricordo. Ora il
professore va a prendere dei
fogli. L’ultima mezz’ora la
dedicheremo
a
una
produzione, nel senso vorrei –
bravissima, grazie – che voi
riproduceste
sul
foglio
un’emozione.
- RR – No, no.
- EC – Ma andiamo per gradi.
Intanto
preparatevi
spiritualmente.
Fig. 1. Elenco dei sentimenti opposti.
- RR
–
[Chiacchierano
nell’attesa].
EC – Allora questo si chiama? E tu lo sai.
RR – Boh! Tao.
23
-
-
-
Fig. 2. Il simbolo del Tao disegnato da Elena.
-
EC – Tao, Tao, Tao, Tao. Ed è il senso
di molto, perché vuol dire: niente è
mai del tutto buono ma mai nulla è
mai tutto cattivo e sempre c’è da
imparare qualcosa. E quindi qua cosa
possiamo vedere? Le emozioni
positive e negative. Di solito la
negatività è vista come una cosa nera
perché anche il riferimento del colore
dice molto sull’emozione, no? Se vi
parlo di rosso cosa vi viene in mente?
RR – L’amore.
EC – L’amore? Il sangue [ridacchia].
Chi ha detto il sangue?
RR – [Qualcuno risponde, ma non si
percepisce cosa dica].
EC – E be’, è vero; può venire in
mente anche questa cosa qua. Se vi
parlo di giallo?
RR – Il sole, il sole.
EC – Il sole. Però – vediamo un po’ –
se il rosso fosse una città che città
potrebbe essere?
RR – [Intervengono diverse persone
contemporaneamente dando corpo alle
loro intuizioni] Milano, Roma,
Venezia
EC – Venezia?
RR – Venezia, Milano.
EC – Il rosso?
RR – Milano, Roma, Milano, Milano
EC – Roma?
RR – Milano
EC – Ma andiamo oltre i confini dell’Italia. Guardate un po’ tutto il mondo, tutto il mondo.
RR – [Dicono qualcosa].
EC – Pariiigi, ma sei romantico tu [ridacchia]. Abbiamo un romanticone. È vero: Parigi, la
città dell’amore, una cosa pazzesca. Allora, dunque, tutto questo comunque per arrivare a
che cosa? Questo discorso introduttivo? Perché vorrei leggervi, proprio perché le emozioni
si possono esprimere ai livelli di cui abbiamo parlato prima, cioè a livello fisico, a livello
spirituale, a livello emotivo, a livello razionale, e questa è la tendenza dell’arte moderna. Ho
portato qualcuno che fa poesia senza metterla in versi, perché non è necessario che le poesie
siano scritte in versi. Ci sono delle cose molto poetiche che non sono neanche scritte. Questo
signore si chiama, si chiamava perché è mancato, Kahlil Gibran. Kahlil Gibran è un autore
che ha origini libanesi, che però è vissuto a New York e, molto prima che arrivasse la New
Age (non so se conoscete questo nuovo tipo di filosofia, che ormai è già superata peraltro,
che è il ritorno appunto allo spirituale e tutte queste cose così), nel 1923 ha pubblicato
questo libro che si chiama Il profeta e trovo che sia molto bello e parla di cose che sono
molto semplici in realtà, però sono quelle ovvietà che, se vengono ricordate ogni tanto, ci
arricchiscono. Allora la storia di questo libro è la presenza di questo profeta in un paese;
questo profeta a un certo punto deve lasciare questa zona per andare via e tornare nelle sue
terre, per cui la gente del paese si riunisce e gli fa delle domande nella speranza che lui
24
possa dare delle risposte cosmiche (vuol dire che servono a tutto) sulle tematiche importanti
della vita. Quello che volevo leggervi erano due cose che secondo me vi possono
interessare, perché si parla di amore e si parla di amicizia. Lui usa molte metafore, per cui
cerchiamo di ascoltare bene; scusate se la mia voce non è abbastanza pronta. Allora:
E. Cretella mentre legge il brano di Gibran. Sulla lavagnetta (nella foto, a sinistra) campeggia – non visibile –
l’immagine del Tao.
Disse allora Almitra: Parlaci dell’Amore.
Ed egli sollevò la testa e alzò gli occhi sulla folla, e su di essi scese il silenzio.
E a gran voce egli disse:
Quando l’amore vi chiama, seguitelo,
Benché le sue vie siano faticose e ripide. 1
E questa è la prima metafora, perché la vita è una salita e una discesa – no? – si può dire
questo perché la vita non è sempre facile, non è mai facile, lo yin e lo yang, salire e
scendere.
E quando le sue ali vi avvolgono, abbandonatevi a esso,
Quantunque la spada nascosta tra le sue piume vi possa ferire.
E quand’esso vi parla, credetegli,
Sebbene la sua voce possa frantumare i vostri sogni come il vento del nord devasta il
giardino.
Poiché proprio come l’amore vi incorona, così vi crocefiggerà. Come è per la vostra
crescita, così favorisce la vostra potatura.
1
KAHLIL GIBRAN, Il
Profeta, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 13.
25
Proprio come sale fino alla vostra altezza per accarezzare i vostri più teneri rami che
tremano nel sole,
Così esso scenderà alle vostre radici per scuoterle
dov’esse sono più fortemente attaccate alla terra.
Come covoni di grano vi raccoglie a sé.
Vi trebbia per mettervi a nudo.
Vi setaccia per liberarvi dalle vostre pellicole.
Vi macina sino a rendervi candidi.
Vi impasta sino a quando non sarete flessibili,
E poi vi cede al suo sacro fuoco, affinché voi possiate diventare pane sacro per la santa mensa di
Dio.
Tutte queste cose farà a voi l’amore affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore, e in
quella conoscenza diventare così un frammento del cuore della Vita.
Ma se per paura cercherete dell’amore soltanto la pace e il piacere,
Meglio sarebbe allora per voi coprire la vostra nudità,
uscire dall’aia dell’amore,
Ed entrare nel mondo senza stagioni dove voi riderete, però non tutto il vostro riso, e
piangerete, ma non tutte le vostre lacrime.
L’amore non dà nient’altro che se stesso e non prende nulla se non da se stesso.
L’amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto,
Perché l’amore basta all’amore.
Quando amate non dovreste dire: “Dio è nel mio cuore”, ma piuttosto “Sono nel cuore di
Dio”.
E non pensiate di poter dirigere il corso dell’amore, perché è l’amore, se vi trova degni, a
dirigere il vostro corso.
L’amore non ha nessun altro desiderio che quello di adempiersi.
Ma se nel vostro amore non potete fare a meno di desiderare, fate che questi siano i vostri
desideri:
Sciogliersi ed essere come un ruscello che canta la sua melodia alla notte.
Conoscere la pena di troppa tenerezza.
Essere feriti dalla comprensione stessa dell’amore.
E sanguinare volentieri e con gioia.
Destarsi all’alba con un cuore alato e render grazie per un altro giorno d’amore;
Riposare nell’ora del meriggio e meditare l’estasi dell’amore;
Rincasare la sera con gratitudine,
E addormentarsi con una preghiera in cuore per l’amato e un canto di lode sulle labbra. 2
Cosa ne pensate? Vi è sembrata abbastanza interessante? Questo uomo nel 1923 aveva delle
idee molte rivoluzionarie perché è nato in un periodo in cui c’era una morale molte serrata,
dove non c’erano le famiglie allargate, per esempio; ma le scelte non erano date dalle
proprie emozioni ma dalla forma dello stato delle cose sociali – giusto? – quindi se una
donna, per esempio, decideva di rimanere sola era considerata una zitella, una cosa scartata,
non una persona per esempio. Ora le cose sono cambiate nel senso che (per quanto questa
società non sia la società perfetta, che ovviamente ha i suoi yin e yang) però abbiamo più
libertà di espressione e questo lo vediamo anche nell’arte. Se fino all’Ottocento venivano
2
KAHLIL GIBRAN, Op.
cit., Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 13-15.
26
-
raffigurate le scene reali – [rivolgendosi alla Piccardo] vero professoressa? – [ride] e molto
schematiche e molto precise di quello che poteva essere una natura oppure una partita di
caccia, ora noi possiamo vedere che l’arte contemporanea si dà invece all’emozione che esce
fuori da questa cosa, è per questo che è potuto nascere l’astrattismo, ha un suo senso, il
senso dell’arte a quello che riusciamo a percepire guardando un’opera, okay? Ora, se il
professore ha portato i fogli, facciamo una cosa che spero vi piaccia.
MF – Li distribuiamo?
EC – Sì, distribuiamo i fogli.
RR – [Cominciano a fare un po’ di chiasso].
EC – Procuratevi una penna.
RR – [Si riaccende il rumore di prima, ma per ragioni organizzative].
EC – No, no, no, no, facciamo una cosa bellissima adesso per piacere. Leviamo le sedie e ci
sdraiamo per terra.
RR – Nooo. Uuuhhh. [Il rumore non cessa d’accompagnare le grandi manovre].
EC – Allora vogliamo togliere le sedie di mezzo per cortesia?
RR – [Il rumore prosegue senza eccessivi aumenti d’intensità].
- EC – Ragazzi!!! [Ride]
Sssccc! Ché nelle altre aule
stanno
facendo
lezioni
tradizionali; non vorrei poi
essere sgridata dalla preside
alla mia età. Allora, un poco di
attenzione, ce la fate? Che
curioso:
vi
siete
messi
esattamente come eravate
messi con le sedie; non l’avrei
mai detto. Allora il lavoro che
voglio, [ride per correggersi]
vorrei, che faceste sarebbe
questo.
- RP – Attenzione.
- EC – Allora
- MF – C’è qualcuno senza
foglio ancora?
- EC – C’è qualcuno senza
foglio? Okay. Il lavoro che
voglio che facciate oggi è un
lavoro d’arte contemporanea,
ragazzi
[Conferisce,
per
scherzare,
un’intonazione
molto
affettata
all’ultimo
vocabolo].
- RR – [Uno dice] Nooo
- EC – Allora è proprio questo.
Scegliete un’emozione
- RR – [Uno dice] Ancora?
- EC – e siete liberi di scrivere
Fig. 3. Schema grafico del dipinto di Elena.
sul
foglio
parole
che
definiscono
quello
stato
d’animo e di fare dei gesti, di compiere dei gesti e di segnare dei tratti che riportino a quello
stato d’animo. Esempio: se io scelgo d’interpretare ad esempio … Vi faccio vedere – va be’
27
-
-
– graficamente uno dei miei quadri; ho fatto un’installazione. Un’installazione sapete che
cos’è?
RR – No. No.
EC – Allora si sceglie un posto dove esporre e, a seconda del posto che si sceglie, si
producono una serie di opere attinenti a un tema unico: è diversa da un’esposizione in
questo. Allora io ho scelto in questo caso di parlare del bene cosmico, praticamente del fatto
che il bene l’ho visto come un qualcosa che rende fertile la terra per cui ho disegnato
questo. Allora immaginate che questo sia la terra (la terra intesa proprio come globo
terrestre) e ho dato delle pennellate in questo modo di marrone in maniera da identificare
questo come la terra. Poi cosa ho fatto? Il procedimento mentale mio è stato: tutto ciò che è
bene sale verso l’alto, per cui ho disegnato delle esplosioni in questo modo (immaginate le
pennellate di questo); poi ho pensato tutto ciò che sale, come le nuvole, è destinato a
concentrarsi comunque, no? Questo lavoro qua è stato fatto col gesso; prima sulla tela ho
messo il gesso con la colla di coniglio – una cosa terribile – e ho steso questa patina di
materiale sulla tela. Queste esplosioni sono state fatte sia con le pennellate di colore che con
le unghie (oh, molto bella questa cosa qua, vi consiglio di provare perché è liberatoria) con
le unghie, con le unghie a graffio, togliere la materia. Poi allora ho reso l’idea delle nuvole
prendendo dei pezzi di stoffa imbevendoli nel gesso a formare delle strutture di questo tipo,
proprio come se fossero nuvole che rimangono a rilievo – giusto? – e ho dato con le dita
l’idea del vento, per cui c’è stato anche questo lavoro in questo senso. Allora in questo caso
cosa succede? Che abbiamo un lavoro che riproduce i quattro elementi: la terra, il fuoco (le
esplosioni), l’aria – no? – e l’acqua, rappresentata dalle nuvole, attenzione [ride]; quindi è
un quadro complesso. Allora questa è la mia rappresentazione del bene, però avrei potuto
dire: aggiungo delle parole a questa cosa; aggiungo delle parole e che cosa si sarebbe potuto
dire su una cosa del genere? Tutto ciò che sale è destinato a scendere per esempio, allora
avrei potuto scrivere: Tutto ciò che si innalza (che è più elegante) è destinato a ricadere.
Qual è il significato dell’oro che si riproduce in pioggia? È il significato che tutto ciò che è
bene mentre prima si eleva ricade per rifertilizzare tutto ciò. Questa è un’idea così, no?
Allora cos’è? Potrebbero essere delle gocce? E potrebbe essere: Torno fertile; torno fertile,
per esempio, per cui questa è la mia rappresentazione del bene. Io non voglio che voi
riproduciate qualche cosa del genere; voglio che decidiate un’emozione (abbiamo parlato
prima delle emozioni, del bene, del male, dell’amicizia, anche quella è un’emozione; è un
sentimento – no? – di, non so, uno shock, che ne so, le immagini che vediamo al
telegiornale, non so se avete visto scene di guerre, cose così, non sono certo cose che ci
lasciano indifferenti; comunque – no? – anche quelle sono emozioni e potete rappresentarle
esattamente come vi aggrada e poi vorrei che formulaste dei pensieri su questa cosa qua.
Proviamo a fare questa cosa? Dai, vediamo cosa fate in venti minuti. Che ora è?
MF – [Rispondo].
EC – Mh, va bene, dai.
RR – [Si sentono i ragazzi parlare e lavorare ora a voce alta (e si ode anche il richiamo
degli insegnanti che ogni tanto invitano al silenzio) e ora sommessamente].
EC – Guardate che dopo dovrete raccontarmelo, eh; e sì eh.
RR – [Prende piede una pacata confusione; uno si avvicina al registratore e dice] Ciao.
[Poi ritorna e ripete] Ciao.
EC – Ragazzi è incredibile ma io ho visto un casino di cuori. Alza la mano chi ha fatto un
cuore.
RR – Eeeeeeehhhhhh
EC – No no, a mani alte, voglio vedervi, vi voglio contare. Uno, due, tre, quattro, cinque,
sei, …, basta e no, sei sei. Okay.
RR – [Ogni tanto si sentono frammenti di dialoghi che non riporto]
EC – Se vi sentite di aver completato la vostra opera [pronuncia il tutto ad alta voce]
28
-
-
RR – No, no, no.
EC – Non vi sentite ancora?
RR – [Rispondono]
EC – Okay, okay, okay, okay. Scusate, scrivete poi il nome, cognome, la data, sì, certo, no
anonimo no.
CS – Dove lo lascio?
EC – Scrivi il nome
CS – Camilla*
EC – Camilla* okay
CS – Dove lo metto?
EC – Lascialo qua. Okay. Chi ha terminato l’opera può consegnarla; così vediamo di
discuterla un po’.
RR – [Un ragazzo prende il microfono e dice] Ciao! Ciao!
EC – Allora avete finito? Ma daaai. Allora dai, consegnate per cortesia gli ultimi fogli e
sedetevi per terra [ride], un lager.
RR – Ma dammelo [dice un ragazzo ad un compagno].
EC – Non sottraete le prove.
RR – Nooo è mio; non c’è scritto niente.
- EC – Allora tutti seduti per
cortesiaaa, oh! Non l’hai fatto?
Vieni qua alla lavagna, [ride],
vieni qua, vieni qua, dai, come ti
chiami? Vieni Andrea, vieni qua,
vieni, dai, non ti do mica n.c. [non
classificato], dai. Allora bastaaa, vi
ho lasciato sfogare un pochinoooo,
adesso però voglio attenzione,
okay?
- RR – [Continuano a parlare anche
se meno freneticamente].
- EC – Silenzio. Ordine e disciplina.
Allora
- RR – [Proseguono a parlare]
- EC – seduti e in silenzio. No,
levala quella sedia, dai. Okaaayyy.
Allora volevo dirvi una cosa, mh,
pronto? [infatti stanno disattenti e
chiacchierano]. Dunque ho visto
moltissimi cuori. Ho visto dei
luoghi comuni che le persone
usano per non dire in effetti nulla.
Perché adoperare parole come
bello e brutto? Perché non ci sono
parole più vuote di bello e brutto!
Lo sapete? Perché bello? Cosa
Fig. 1. Tracce degli interventi grafici lasciate dagli allievi.
vuol dire bello? Ma niente. Bello?
- RR – [Rispondono].
EC – Chi è Paolo V*? Voglio saperlo. Ah [ride]. Cosa è bello? Cosa? Allora ragazzi
ascoltate un attimo; bello non vuol dire assolutamente niente. Se vuol dire “mi è gradevole”
è tutto altro discorso; la parola “bello” non mi dice assolutamente nulla, tanto meno
“brutto”, eh. Sono quegli assolutismi come “sempre” o “mai” che sono delle menzogne,
29
-
-
perché non esiste “sempre” e non esiste “mai”, perché quello che voi potete dire (“non lo
farò mai”) fra cinque minuti può essere cambiato. Avete capito? Vorrei che rifletteste, non
importa che mi diciate qualcosa adesso. Però veramente analizzate. Ogniqualvolta che
qualcuno ci dice: “bello” o “brutto” non sta dicendo nulla; cioè chiediamogli perché, e
questo ci può dire qualcosa di più. Okay? E tu alzati in piedi [ride] Andrea.
RR – Non è Andrea, è Salvatore.
EC – Allora hai mentito? Aaah, ho capito. Allora – per esempio – massacriamo Salvatore,
[ride], no,
S* – No, non mi riprenda.
EC – No, no no, ma nessuno ti riprende [ride]. Prendi un po’ questo.
S* – Cosa devo fare?
EC –Allora io ho visto moltissime rappresentazioni … soprattutto della parte positiva, no?
Cioè tutto l’amooore, perché il mondo è cosììì? Voi siete cosììì? Siete tutto pace e tutto
amore come dei piccoli buddha? No. Meno male. Perché se no non avremmo il nostro corpo.
Il solo fatto che siamo fatti di carne e ossa ci dà già l’indicazione che siamo esseri
imperfetti, evviva.
CM – Vi ringrazio, ma devo andare in un’altra classe.
EC – Salutiamo la professoressa d’Inglese che purtroppo ci deve abbandonare, okay. Allora,
e invece no, adesso leggiamo le emozioni per piacere, perché è uscito soltanto l’amore.
RR – Ah
EC – Scriviamole, anzi scrivetele.
RR – [Dicono qualcosa] No, no io
EC – Non volete neanche scrivere. Una nota a caaasa, non fa i compiti. Allora: “amore”,
scusate la scrittura, “odio”, poi?
RR – Disperazione.
EC – Bravissimo! Disperazione.
RR – Pazzia [Altri parlano contemporaneamente]
EC – E adesso tutti insieme, uno alla volta per piacere. Allora, disperazione ha un contrario
come amore e odio? No, il contrario?
RR – Felicità.
EC – Felicità. Poi? Sincerità? Nooo, non è un’emozione, è uno status [ride].
RR – [Suggeriscono un altro sentimento].
EC – Prego?
RR – Piacere.
EC – Il piacere, sì, sì sì, è un’emozione fortissima, bravo, finalmente uno, aaah. Piacere.
Piacere, il contrario?
RR – Dispiacere.
EC – Dispiacere; sofferenza, dispiacere. Cerchiamo di adoperare sempre le parole che più
indicano; dispiacere, la sofferenza è qualcosa che ci toglie il fiato. Sofferenza [pronuncia il
vocabolo mentre lo scrive alla lavagna].
RR – [Un ragazzo suggerisce] Dolore.
EC – Non scrive più [il pennarello].
RR – Eh, l’ho detto io dolore [rivendica un altro].
EC – Sofferenza, dolore, certo. Qualcos’altro?
RR – Pazzia, paura
EC – La pazzia, la pazzia non è un sentimento, è una distorsione di una nostra parte, quale?
Razionale. Eh, non venite a dirmi che la pazzia è un’emozione. La paura sì. Paura [mentre
scrive pronuncia il vocabolo]. E il contrario? Coraggio.
RR – Coraggioso.
EC – Allora – dai – dimmi: è un’emozione? Sì, sì, certo.
RR – [Dicono tante cose].
30
-
EC – [Sorridendo ripete il vocabolo proposto da uno] Schizzato. Il contrario di tranquillità.
Oh, adesso mi piace. E adesso mi volete spiegare perché avete parlato dell’amore e basta?
Perché è quello che ci riguarda di più? Perché è il sentimento più beeello. Ma che bella cosa
che hai detto [ride], okay.
[Termina qui il lato A della cassetta].
31
TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO
M A X
Legenda:
- MM
- RR
- LC
- II
- MF
-
-
M A N F R E D I
Max Manfredi
Alunni
Alunno di IIB
Insegnanti di Lettere non identificati
Mario Fancello
MM – Io non so se vi hanno spiegato più o meno che cosa sono venuto a fare (così, al di là
del viaggio in taxi che mi sono fatto con l’ingorgo e tutto quanto). So che avete avuto degli
altri incontri: con la pittrice Elena Cretella e col diavolo Luigi Maio, col demone, col
demonio Luigi Maio. Io penso che la motivazione di questi incontri, almeno per quanto mi
riguarda, ma forse posso parlare anche a nome di Claudio Pozzani e degli altri, sia quella di
mostrarvi in qualche modo, per quanto potete essere interessati adesso e nell’avvenire,
quello che è (come si dice con una frase latina) in corpore vili, cioè proprio nella
concretezza delle cose e nel corpo vile per l’appunto, cioè me in questo caso, il mio in
questo caso, cioè la persona fisica vera; quella che è una sorta, una specie, di laboratorio
artigianale di quello che fanno i cosiddetti artisti o artigiani o comunque quelli che
producono forme che sono inerenti all’arte, allo spettacolo e alla cultura, ma in senso molto
lato perché, specialmente oggi, è un po’ difficile dire che cosa è arte e che cosa non è arte,
che cosa è solo spettacolo, che cosa è anche cultura e così via. Questo per tutta una serie di
motivi di cui se volete possiamo tentare di parlare dopo; sono cose molto complesse che
rivestono più le questioni della – diciamo così – sociologia, cioè le questioni di quello che è
la società e come è organizzata la società, che non quello che poi facciamo individualmente
noi produttori o propositori di forme artistiche. Si tratta (questo secondo me va detto subito
32
-
-
-
-
per onestà) – non necessariamente ma almeno nel caso nostro – di forme piuttosto marginali,
cioè di cose che vengono proposte ai margini della grande produzione. In questo senso sono
meno importanti – per un certo verso – delle cose proposte dalla grande produzione, quindi
le cose con molta pubblicità, con gli sponsor che cacciano il grano per avere questo ritorno
d’immagine, sapete, però dall’altro lato sono forse anche più importanti proprio perché
rappresentano dei linguaggi che non sono standardizzati e che quindi non sono imposti,
insomma, dai gruppi di potere economico – e non solo – della società, ma che vivono un po’
– diciamo così – per conto loro e certe volte quasi nonostante forme, quasi, di boicottaggio.
Vi faccio un esempio: se io, che non sono nessuno, vado da un’industria, da una grande
ditta, e dico: <<Voglio fare questo spettacolo di canzoni>> – mettiamo – e invito anche Luigi
Maio, questo qui mi guarda e io gli chiedo: <<Dammi venti milioni>> (così per farlo, così ci
pago anche le tasse, tutto a posto) questo mi dice: <<Ma scusa, tu e Luigi Maio? Io venti
milioni non ve li do>>, se invece dico: <<Sì, come ospite ho Zucchero, Fornaciari, Pavarotti,
Alex Britti e Milly Carlucci>> me ne dà duecento milioni, no? Questo perché? Questi
personaggi che ho citato (al di là del loro valore, che può essere tanto o poco, lì è una
questione di gusti) sono sul mercato – no? – come si dice, quindi sono persone su cui il
mercato fa conto per avere un ritorno nel guadagno. Comunque sono questioni che
attengono più all’organizzazione della società e dell’economia che non a quello che sono
venuto a proporvi io. Che cosa faccio? Io faccio canzoni, cioè sono quello che con un
termine un po’ strano, però molto in uso specialmente negli anni passati, si chiama un
cantautore. Le canzoni sono una cosa antichissima; esistono probabilmente da quando esiste
l’uomo. Un’altra cosa che può essere interessante, ma lì ci vorrebbe Claudio Pozzani che
scrive invece poesie (al di là del fatto che poi fa tante altre cose che riguardano la musica e
la distruzione di soprammobili e suppellettili); un altro problema interessante è la differenza
e la somiglianza fra quello che è poesia (cioè quello che voi studiate come poesia) e quello
che è il testo di una canzone. Sono due cose diverse, ma tocca vedere diverse in che senso.
Anticamente comunque questa differenza non c’era. Cioè, anticamente non esisteva
nemmeno la scrittura, mh; ma anche solo nel medioevo, nel medioevo cominciava. Gli
egiziani avevano una forma di scrittura, però erano scritture che servivano soltanto proprio
per le feste, cioè si scriveva proprio in relazione a cose importantissime e c’era moltissima
cultura tramandata oralmente e la parola scritta – di per sé – non poteva essere una poesia,
aveva bisogno anche di essere detta, di essere recitata. Voi avete sentito Luigi Maio –
mettiamo – che non so che poesia abbia letto
MF – Ricordo che ha fatto Pierino e il lupo, La storia de soldato,
MM – Quindi c’era anche il pianista, c’era anche il pianista. Ecco, e quella è un’altra forma
molto interessante, che è comunque sempre un connubio fra la musica e la parola, fra la
musica e la poesia; e la canzone è forse la più semplice di queste unioni, la forma più
semplice di unione fra la melodia e la parola. Lo so, adesso vorrei che ognuno di voi – così,
a caso – dicesse il nome di qualche canzone che ha in mente, che gli piace e poi ne parliamo
dopo.
MF – Magari che la dica al microfono.
MM – Se la vuole dire al microfono ancora meglio, diventa … Se no, se no, se non vuole
venire al microfono la dice a me, io la ripeto e poi la scrivo anche sulla lavagna. Canzoni
che vi piacciono, di qualsiasi tipo, belle, brutte, poi vediamo anche i motivi per cui una
canzone può piacere o no. Scusate un attimo, io cedo il microfono al professor Fancello un
momento, così scriverò alla lavagna il nome.
MF – Io non m’intendo per niente di musica leggera, e soprattutto di quella recente –
perlomeno – per cui, in conclusione, quando voi mi direte i titoli non li capirò e li ripeterò in
maniera ancora più sbagliata. Però se li direte ad alta voce può darsi anche che sappia
ripetere quello che direte. [Rivolgendomi ad un alunno] Dicevi?
RR – Niente.
33
-
MF – Niente? Va be’, ci hai ripensato.
MM – Una canzone o un artista che fa canzoni o un cantante, chi volete … voglio riempire
la lavagna di nomi, poi ne parliamo dopo.
Max Manfredi in primo piano dinanzi al microfono. A destra la professoressa di Educazione Tecnica Patrizia Mancini.
-
RR – [Silenzio]
MF – Pare che siano tutti studiosi e nessuno segua la musica leggera.
RR – Rete quarta.
MM – Rete quarta?
RR – [Ridono]
MM – Questo è il nome di un gruppo o della canzone?
RR – Gruppo.
MM – Dimmi una canzone … La canzone te la ricordi? La grande truffa del re. Adesso
un’altra.
MF – Eminem, sì; vieni qua e dicci il titolo della canzone.
RR – Ma nooo
MM – La canzone come si chiama?
RR – Stan
MM – Qualcuno che la scriva oppure
RR – [Parlano tutti insieme]
MM – Esse, ti,
RR – a, enne
MM – Star
RR – Nooo
MM – Enne?
RR – Sì
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-
-
-
-
-
MM – Come Stanlio e Ollio senza Ollio.
MF – Scusa un attimo Massimo, Max, secondo me siamo qua, almeno questa è la mia
esperienza; parlare al microfono per tanto tempo per me è stato un problema, ho preso
l’abitudine essendo qua a scuola, presentando, eccetera. Io penso che, se qualcuno di voi
avesse vergogna di parlare al microfono, a maggior ragione – sì – qua sarebbe opportuno,
perché qua non c’è un pubblico particolarmente esigente, per cui tutto sommato …
MM – Potete fare un’altra cosa, se volete eh, vi pigliate un foglietto, una penna, ognuno
scrive il nome (anche anonimo, non vogliamo sapere chi ha i gusti che ha) e poi alla fine mi
portate i foglietti. Questa è una cosa che si può fare, no? Avete qui foglietti e penna?
Ognuno scriva una canzone, un cantante, un gruppo, qualcosa che gli piace e poi vediamo
chi l’ha scritto e perché. Adesso cominciamo con l’esemplificazione musicale appena finisce
la cosa dei foglietti.
[Max accorda la chitarra e regola l’attrezzatura di supporto mentre i ragazzi discutono fra
di loro e pensano ai cantanti da segnalare].
RR – Quanti ne possiamo mettere?
MM – Uno, due, tre. Non più di tre. Poi li scriviamo. Li scriviamo tutti. Volevo pregarvi di
una cosa però, adesso scrivete, poi dopo bisogna ottenere di nuovo un momento di silenzio e
di concentrazione, così vi faccio sentire qualche cosa. Quindi una volta che avete finito di
scrivere mi portate i foglietti e poi si riprende da capo.
RR – [Continuano nelle loro discussioni]
MM – Mettiamo tutto qua [Si riferisce ai foglietti]. Si vede che siamo in periodo
pre-elettorale, eh. E be’, giusto, il voto è segreto, giusto, giusto. Poi facciamo lo spoglio
delle schede. Bueno. Sta per scadere il tempo della raccolta. Ci siete tutti? Avete tutti
consegnato? Si può anche mettere scheda nulla eh. Si può anche non andare a votare,
volendo.
RR – [Continua il cicaleccio dei ragazzi che non hanno ancora terminato].
MM – Ce n’è ancora qualcuno. [Sono terminate le operazioni di voto]. Bene, questa è una
forma.
RR – [Fanno chiasso].
MM – Silenzio! Silenzio. Silenzio per un motivo, non per esercitare un diritto totalitario, ma
perché effettivamente per comprendere quello che si sta facendo – no? – ci vuole una forma
d’ascolto, per cui quando parlo io parlo io e quando parla ognuno di voi parla ognuno di voi;
è come una sorta di regolamento, per cui uno chiede la parola, no? È come succede, come
dovrebbe succedere anche – non so – nel Parlamento italiano. Questa è una forma di
esercizio di quello che potremmo chiamare un diritto democratico, anche se poi in realtà non
porterà a niente, però dal punto di vista di sapere i vostri gusti può sembrare insomma di
esercitare un diritto democratico, cioè ognuno di voi dice: mi piace x, mi piace y. Poi c’è
l’altra forma che (comunque deve andare di pari passo – no? – con questo tipo di esercizio
che è la scelta) è la capacità d’ascolto. Quindi adesso state ad ascoltare un brano che invece
è un brano che sicuramente non conoscete, che è una mia canzone, che io comunque devo
fare perché ho portato la chitarra e, insomma, sono venuto a fare questo. Poi è bello
comunque chiacchierare anche d’altro e poi vedere se i due discorsi si possono agganciare,
quindi completo silenzio, un po’ di pazienza, un po’ d’attenzione, questo brano, sì. Scatta la
multa a questo punto [ridacchia]. Va be’. Allora questo brano che vi faccio sentire si chiama
Il fado del dilettante e poi vedremo. Il fado è un tipo di canzone, un tipo di canzone
portoghese. Io ho semplicemente pensato che tra le città di Lisbona e la città di Genova c’è
un tipo di somiglianza che riguarda la pendenza, la verticalità, il fatto che sono città ripide,
città che cadono, diciamo così; non sono città di pianura come può essere Pavia mettiamo o
Milano e quindi da questo pun… E poi c’è il mare in tutte e due e poi chissà che cos’altro e
in questo caso ho parlato di questa cosa. Se volete sfogarvi cantate il lalalà con me; non
commentate; commenti dopo.
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[Canta accompagnandosi con la chitarra]
RR – [Battono le mani]
MM – Grazie, grazie; scusate se rompo le scatole, cioè, io non sono un insegnante, gli
insegnanti hanno il diritto e il dovere d’avere silenzio quando spiegano le cose – no? – io
non sono un insegnante, sono un ospite, sono venuto a farvi sentire delle cose che ho fatto,
quindi il silenzio è necessario, non è che sia una lezione; quando c’è una canzone o quando
si recita una poesia, qualsiasi cosa, non si può parlare. Se voi andate a teatro non potete
parlare, c’è subito il vicino che vi zittisce; purtroppo esistono delle forme un po’ ambigue
adesso; mettiamo: se voi andate in una birreria o in un pub certo c’è il gruppo di sottofondo
ma noi ce ne freghiamo e parliamo tranquillamente dall’inizio alla fine perché esiste questa
musica che è di sottofondo; io le chiamo canzoni portacenere – no? – son quelle che si
tengono lì, così come il portacenere si tiene perché parlando ci si spengono le sigarette, così
parlando si beve la birra e così parlando si ascolta la musica; ma questo succede soltanto in
certe circostanze, ci sono altre circostanze in cui invece le cose si ascoltano con grande
silenzio; quindi dipende dalla situazione, la scuola fortunatamente per tutti è una situazione
in cui le cose si ascoltano in silenzio, così come il teatro, così come è la sala da concerto.
Adesso vediamo di cominciare perlomeno lo spoglio. Se a voi va bene io propongo questo
tipo di scaletta del mio intervento, facciamo due chiacchiere intorno a queste cose qui – no?
– insieme a voi che – va be’ – poi se c’è il problema del microfono, magari chi vuol parlare
me lo chiede e gli dò il microfono perché se no non viene registrato sul registratore quello
che dice e sarebbe un peccato anche per la posterità, insomma. E poi se vi va bene parliamo
un po’ cinque minuti e poi vi faccio sentire un’altra cosa, parliamo e vi faccio sentire
un’altra cosa. Però per fare questo è necessario che ci sia proprio lo stacco – no? – il
momento in cui c’è la discussione, si parla, e il momento in cui c’è il silenzio, che è il
momento in cui si canta, dove peraltro sono accettati i canti del motivetto o battiti di mani
ritmici e cose del genere, quando è il caso, come succede in tutti …; non così con
l’accendino [fa il gesto] perché se no c’è il rischio di dar fuoco a qualche cosa. Allora
vediamo qua che cosa … Io probabilmente non conoscerò quasi nessuno di questi pezzi
perché non è che vedo MTV proprio tutti i giorni, però è indicativo – secondo me –
comunque vedere quali sono i vostri gusti e da che cosa dipendono anche perché per avere
un gusto (questa è una cosa piuttosto importante che poi vedrete, insomma, nel corso della
vita, proprio) per avere un gusto bisogna avere la possibilità di una scelta, per avere la
possibilità di una scelta bisogna avere diverse possibilità, cioè in altre parole se io vi faccio
scegliere tra un hamburger e un hot dog e un altro cibo preconfezionato diciamo, sì, voi
avete tre possibilità di scelta, effettivamente, ma solo sul cibo preconfezionato; se vi faccio
scegliere anche invece delle lasagne al forno fatte dalla nonna – mettiamo – allora a questo
punto le possibilità di scelta sono quattro. Il problema è che l’offerta in questo tipo di mondo
commerciale, di mercato, l’offerta è enorme, cioè tutti vogliono vendere il loro prodotto a
quasi tutti – no? – Se qualcuno di voi già comincia – per esempio – a fare musica in qualche
locale o per conto suo o a scrivere delle cose poi verrà probabilmente il momento in cui
tenterà di venderle perché è umano questo, e allora l’offerta diventa veramente grande, cioè
tutti vogliono vendere il loro prodotto. La selezione da che cosa è data? È data dalla
pubblicità, cioè la pubblicità decide in pratica i prodotti che esistono e quelli che non
esistono. Questa è una cosa piuttosto importante e interessante della quale si può parlare.
Cominciamo a vedere, eh. Allora abbiamo … Voglio dire: ci saranno magari momenti di
entusiasmo ma limitati perché appunto siamo in una scuola, non è proprio un hit – parade,
anche perché non gli serve un tubo a questi artisti, serve a noi per conoscerci meglio. Gigi
D’Agostino, Super; E fil 65, Back in time, questa è una delle diagnosi. Io confesso che non
li conosco quindi sono abbastanza indietro. Ecco, Lunapop (questi li conosco), Un giorno
migliore; Alex Britti, Sono contento; Piero Pelù, Bomba boomerang e Regina di cuori;
R.H.C.P. (che sarebbero i – come si chiamano? – Red Hot Chili Peppers, fin lì ci arrivo)
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Californication. Questi invece? Blink 182 (non li conosco) ng overboat, benissimo. Queste
son cose, appunto, poi vediamo dove si vedono, dove le avete viste, … Eminem (che è
appunto quello biondo grassottello che abbiamo visto alla lavagna) Real slimy shady;
Madonna (va be’, è la zia di tutti noi) con Music; Lunapop con 50 specia[l] (qui manca una
elle, questa me la ricordo, questa me la ricordo perché è quella della vespa, no?); Mauro
Picciotto, che proprio invece non conosco, chi è? Un rapper?
RR – No, no.
MM – Piccotto; avete scritto Picciotto. Non contatemela, non me la contate; [imita la
pronuncia e la cadenza siciliane] Picciotto avete scritto, ah. [Tornando a parlare
normalmente] Che cos’è un picciotto? Chi è che sa che cosa è un picciotto?
RR – [Rispondono qualcosa].
MM – Buoni! Chi è che mi dice che cosa vuol dire picciotto; se io dico … È vero, ma in che
tipo di linguaggio si usa?
RR – [Rispondono in molti. Fra le varie voci una più forte dice] Calabria
MM – Siciliano. Della mafia, benissimo. Quindi il picciotto è quello che fa i piccoli lavori di
mafia – no? – Invece allora … (i piccoli, sì, quelli meno importanti). Buoni. Allora Piccotto
è questo? Però questo invece mi sento di correggerlo, allora c’è scritto Emegersy 911
immagino. Noi non sappiamo chi l’ha scritto, però ci sono degli errori su come è stato
scritto, quindi bisogna correggerli. Adesso vi scrivo come è stato scritto
RR – [Un ragazzo dice] No.
MM – Eh, chi l’ha scritto non è importante, però bisogna correggere l’errore, no? Allora si
scrive così Emergency. Vuol dire emergenza. Qui è stato scritto in modo un po’ diverso, è
stato scritto così. Allora due cose fondamentalmente: qua manca la enne – buoni! – vedete?
No manca la erre qua e c, vedete la c, perché in inglese la c così si pronuncia esse; mica tutte
le lingue si pronunciano in modo uguale – no? – per cui si scrive così. Andiamo avanti. È
interessante. Allora: Sottotono, Mezze verità (li conosco vagamente); Robbie Williams (chi
non conosce Robbie Williams) Supreme.
RR – [Parlicchiano] Ma no. È la tua?
MM – Silenzio, silenzio, non siete interessati a sapere quali sono le vostre scelte? Anche se
… ripeto … chi vuole può anche dire: <<Sì, questo l’ho scritto io>>, cioè si può benissimo
fare avanti, non è un problema; se invece uno non desidera farsi avanti ci limitiamo a vedere
quali sono proprio i vostri gusti, no? Elisa, Luce (Elisa è quella che ha vinto il festival di San
Remo, prodotta da? Sapete chi la produce?
RR – Zucchero
MM – Caterina Caselli. Zucchero probabilmente sì, Caterina Caselli è quella che ci mette il
grano, questa è una cosa molto importante. Ad esempio Caterina Caselli è una produttrice
esecutiva, cioè colei che mette il grano, i soldi, nella pubblicità, nelle cose; lei è molto
potente; se Caterina Caselli produce qualcuno molto spesso questo qualcuno riesce a venir
fuori. Ora questo può dipendere da due cose: uno, che Caterina Caselli è molto brava a
capire i gusti del pubblico; due, che Caterina Caselli è molto brava a proporre e imporre le
sue cose ai gusti del pubblico. È questa la cosa che vorrei che venisse fuori da questa nostra
breve chiacchierata, perché secondo me è proprio il punto importante su cui si deciderà
anche quella che sarà la produzione di domani; cioè la differenza tra i gusti del pubblico,
l’imposizione pubblicitaria di prodotti al pubblico stesso e il margine di decisione e quindi
anche il margine operativo che ha il pubblico nello scegliere i suoi prodotti. Vorrà fuori
molto spesso questa cosa, oggi. Poi c’è di nuovo [si riferisce alle scelte comunicate sui
foglietti] Stan di Eminem, o è quello di prima che lo scrive di nuovo; e poi ci sono i
Bluvertigo (che sono un po’ i Depìche mode dei poveri, diciamo la verità) con un brano che
si chiama l’Assenzio. Voi sapete che cos’è l’assenzio? Questo invece è una cosa
culturalmente molto importante. Io la canzone non la conosco, ma sapete che cos’è
l’assenzio?
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RR – [Al registratore si percepiscono i suoni di qualche voce non intelligibile].
MM – Eh, allora a questo punto però io voglio sapere chi è che la ha scritta, nel senso uno
che ha scritto <<Mi piace questa canzone dei Bluvertigo>> avrà capito dalla canzone che
cos’è l’assenzio. No, va be’, è lo stesso, non è un problema, ma è una canzone che parla di
qualche cosa, l’assenzio è qualcosa che esiste – no? –. Ora sentite: una canzone è anche
bella perché uno entra nel mondo della canzone – no? –. È quello che dicevo prima, le
canzoni portacenere si sentono così, e chi se ne frega del testo, della musica, di quello che
vuol dire, mi fa piacere sentirla mentre faccio dell’altro. Esiste un tipo di canzone (che viene
chiamata canzone d’autore, tanto per chiamarla in qualche modo) che invece ha bisogno di
essere ascoltata, approfondita, amata proprio con passione, e in questo caso succede come a
me è successo molte volte sentendo delle canzoni che mi piacevano di voler sapere che cosa
diceva il testo come quando si legge una bella poesia; non so se vi piace Giovanni Pascoli,
se lo studiate, non so se vi piace. Che poeti studiano?
I I – [Rispondono].
MM – Eh, Dante, Dante, Dante va benissimo. Ora nel momento in cui leggete non dico tutta
la Divina Commedia (che effettivamente tutta insieme è un bel mattone) ma dei frammenti
singoli della Divina Commedia, non so, il canto di Paolo e Francesca, che parla di amore a
suo modo, il canto di Ulisse (avete presente?), c’è una caterva di parole che non
conosciamo, che non conoscete
RR – [Dicono qualcosa].
MM – Ulisse, il canto di Ulisse, ecco, quando dice Tante volte era acceso e tante casso non
è una parolaccia insomma, vuol dire che cosa? Era il lume di sotto della luna poiché Entrati
eravam nel regno basso eccetera eccetera quando la nave va a rovinarsi. Tante volte era
acceso e tante casso, cioè spento; cassato si dice anche, che non è la cassata siciliana; è
cassato nel senso cancellato come dire, no? Ecco, quello che voglio dire è questo: quando
leggete una poesia ci sono molte parole che non capite, anch’io quando leggo una poesia ci
sono molte parole che non capisco, specie se è di Claudio Pozzani …, ma non è presente,
quindi non posso fare queste battute; niente; ci sono delle parole che non si capiscono
perché non fanno parte del nostro lessico – no? -. Anch’io se sento magari una canzone di
oggi probabilmente non colgo (in inglese di sicuro ma anche in italiano) non colgo delle
parole, dei riferimenti, che sono proprio tipici del gergo, del lessico, giovanile, no? Allora se
la poesia piace uno va a cercarsi che cosa vuol dire questa parola. Con la canzone succede lo
stesso; cioè succede lo stesso con tutte le forme di proposta artistica che hanno bisogno di
qualcosa di più di un ascolto distratto, quindi l’assenzio che cos’è? E lo ritroverete – eh –
continuando a studiare, lo troverete in molti poeti. Esistono – per esempio – certi poeti
francesi, non so se li avete già sfiorati, i poeti maledetti li chiamavano, li avete … li hanno
già fatti?
RR – [C’è qualcuno che risponde ma non è percepibile].
MM – Cosa succede? Cosa succede? Il tappino? [Ridacchia]. L’assenzio che cos’è? Non si
sa.
RR – [Dicono qualcosa].
MM – Cosa si fa … Sì dillo dai, cosa si fa con l’assenzio?
RR – [Uno risponde].
MM – Una forma di poesia? No. È una cosa concreta. Si mette nei bicchieri. L’assenzio è un
liquore, è un liquore fortissimo. C’è soltanto un liquore (noi non lo vendiamo in Italia
purtroppo, dico purtroppo perché sono un alcolizzato).
RR – [Qualcuno ride]
MM – Ma se uno non beve non gliene frega niente, insomma. L’assenzio in Italia non si
vende, è proibito. È un liquore fortissimo. Oggi si vende, o almeno si vende un liquore sotto
questa denominazione. Esiste soltanto un altro liquore che si vende ogni tanto in Italia, al
quale ho dedicato anzi una canzone, mi viene in mente, ve la faccio sentire, questo liquore è
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un infuso dell’Abruzzo e Molise, si chiama Centerbe e allora, appunto, adesso vi faccio
sentire questa canzone qua e qui vi prego di nuovo di fare silenzio, magari accostare la porta
se non fa troppo caldo; ci vuole concentrazione in queste cose, ecco, bravissimi, oh, vedete è
tutta un’altra cosa così. Anche qui magari ci sarà qualche riferimento forse che non capirete
perché questo liquore non lo conoscono in molti effettivamente; poi questa canzone non
parla di questo liquore, sono diciamo stupidaggini (per dire un termine diverso da quello che
direbbe Adriano Celentano) che uno così può dire quando ha bevuto troppo assenzio.
Assenzio che in questo caso è Centerbe, che è questo liquore. Allora Centerbe.
[Suona la chitarra e canta].
RR – [Battono le mani].
MM – C’è stata una risataccia alla fine che mi fa piacere perché una delle funzioni della
canzone è anche quella di divertire, spero non si riferisca al fatto di vedere […] ‘sto pirla
con l’età che ha che si metta a urlare così … perché qui ho visto citati i Red Hot Chili
Peppers che quanto a età penso che mi sopravanzino di gran lunga eh; probabilmente non è
vero oppure non so, cioè ci sono in realtà dei vecchi nel rock che sono molto più vecchi di
me e del professor Fancello messi insieme, quindi se si riferisce all’età è fuori luogo come
risata, se invece si riferisce così al fatto … se è una risata liberatoria allora va benissimo
perché una delle funzioni delle canzoni è proprio quella di liberare e in effetti questi
versacci, diciamo, che ho fatto alla fine della canzone li ho fatti sia perché mi piace
moltissimo fare i versacci (anzi se compongo canzoni è perché posso metterci ogni tanto
qualche versaccio) e anche perché finisce con una frase piuttosto impegnativa, dice a berti
divento poeta perché queste sostanze alcoliche sono sempre molto legate alla poesia,
specialmente in un certo tipo di poesia occidentale post-romantica, così non dico più niente,
cioè divento poeta così non dico più niente, a questo punto l’urlo è l’unica cosa possibile,
non potendo dire più niente in parole, rimane soltanto l’urlo. Proseguiamo con lo spoglio.
Allora vediamo un po’. Cantanti: Dido che canta in coppia con Eneas, questa è una battuta
veramente idiota. Didone, conoscete Didone? Sapete chi è Didone? Una regina che era
innamorata di Enea. Qui c’è solo Dido (Dido Didonis, in latino), qui c’è solo Dido che ha
preso il nome evidentemente da lei, poi c’è – ahi ahi ahi – un altro errorino eh
RR [Uno ripete] Ahi ahi ahi
MM – e solo d’inglese, e questo è preoccupante perché l’inglese è la lingua madre ormai
eh.Allora music a meno che non siano voluti eh, perché potrebbero essere anche voluti, io
dico soltanto quello che so io di inglese che non è molto, music box – no? – se è così e qui
c’è scritto in un altro modo c’è scritto music con la [miusic]
RR – Nooo [gran chiasso].
MM – Non penso che sia così. Bene.Ah, ecco, poi c’è il nome di un profumo: Céline Dion;
no, Dior è il profumo; va be’, Céline Dion, ossia questa signora che effettivamente ha più
anni di me sicuramente, anche questo è da vedersi, che canta … no, forse ha la stessa età
diciamo, però li porta peggio, Céline Dion che cantava il Titanic e che qui canta My ear will
go on. Finalmente qualcosa di italiano: Paola e Chiara, che sono le famose protagoniste di
un canto di Dante che cantano Viva l’amor, viva l’amor, io non lo conosco, e poi c’è
Madonna con American pie. Quindi è interessante una cosa, abbiamo già due Madonne. È
interessante, vuol dire che il prodotto Madonna raggiunge tutti o comunque raggiunge più
persone di quanto raggiunge per esempio il prodotto Bluvertigo, che per adesso ha avuto
soltanto una chiama, no due, mi correggo; allora Robbie Williams e Madonna hanno già due
chiamate; Bluvertigo – con l’assenzio – hanno anche loro due chiamate, Robbie Williams
un’altra, tre chiamate, quindi vince Robbie Williams; Britney spears vediamo comparire,
anzi lo dico come un dj e vediamo Britney spears che compare con la sua splendida Don’t
let me be the last to know e Elisa la nostra la nostra italianissima Elisa con Luce, la canzone
Luce che piace a tutti: ai grandi e ai piccini; ecco, questo è il dj. Fra l’altro vi voglio anche
far pensare ad una cosa; ci sono dei manifesti in giro, ci sono molti manifesti elettorali – no?
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– in giro, in genere c’è la faccia di questa persona sconosciuta con queste promesse tipo –
non so – meno temporali, meno criminalità, un impegno sicuro, una cosa concreta, con
questa faccia di questo signore; ebbene ci sono state molte pubblicità fatte a imitazione di
questa, ma la più sciagurata (secondo me), che bisognerebbe vietare, è una pubblicità –
credo – di Radio Dimensione Suono, dove si vedono tutti i dj e si promettono cose tipo: più
dj per ogni abitante, un impegno sicuro, le strade piene di dj. Cioè, neanche Hitler avrebbe
proposto queste cose probabilmente; ma voi pensate che cosa succede ad avere un dj ogni
sette abitanti; un commercialista potrebbe venire utile, ma un dj! Al limite un vigilie urbano,
ma proprio un dj! Va be’, niente, guardatele queste pubblicità, ci sono tutti questi Albertino,
tutti questi dj, che peraltro sono bravissimi eh, fanno benissimo il loro lavoro. Il problema è:
qual è il loro lavoro? E qui comincia a essere un po’ più spinosa la questione perché il
lavoro di un dj tutto sommato è quello di parlare bene – perché pagato – delle cose che gli
passano; poi, nell’ambito di questo, lui può scegliere le cose che preferisce oppure no. Però
quando dicono a un dj : <<Guarda dj c’è questo qui che deve venir fuor perché ci pagano>>,
quindi pagano la radio per fare la pubblicità, lui deve parlarne bene anche se non gli piace.
Quindi è un po’ diverso il dj da quello che in teoria dovrebbe essere un giornalista. Il
giornalista in teoria dovrebbe essere uno che legge un libro e dice: “Mi piace, ne parlo
bene”, “Non mi piace, ne parlo male”. In realtà non è così perché anche il giornalista eh, eh,
deve vivere, quindi in realtà è pagato anche il giornalista per parlare bene di quello che gli
danno. Questo determina appunto una forma – diciamo – un pochino di falsa democrazia nel
mondo in cui viviamo, insomma bisogna starci un pochino all’occhio anche su queste cose.
Qui abbiamo di nuovo Jennifer Lopez con Play; Elisa di nuovo con Luce, Bluvertigo …
Abbiamo un altro Alex Britti: La vasca e un altro Robbie Williams: Supreme. Ecco adesso
vi faccio sentire un’altra canzone, poi volevo parlare, sulla scorta delle altre cose che
spoglieremo qui, di quello che è la differenza tra canzone (musica leggera quindi, ogni
forma di canzone) e quel tipo strano di canzone, che è quasi parassita nell’ambito della
musica leggera, che viene chiamata canzone d’autore, che è quella che sostanzialmente
faccio io e molti altri, adesso vedremo chi, anche molto più famosi di me. Ora volevo farvi
sentire un brano; questa volta voglio farvi sentire una canzone napoletana invece; io non so
bene il napoletano, però la canzone napoletana è una delle forme probabilmente più belle
della canzone d’autore. Questa non so se l’avete mai sentita, è molto bella, è dei primi del
Novecento se non mi sbaglio, si chiama Reginella. È una storia d’amore molto bella. [Canta.
Poi, a un certo punto chiede ai ragazzi d’intervenire] Possiamo fare tutti il mandolino con la
bocca. [Riprende a cantare con gli allievi. A metà del tempo di durata della canzone
s’interrompe e riprende gli studenti dicendo] Sì, zitti anche per la canzone napoletana però,
perché c’è par condicio. Non posso farvi star zitti solo quando canto le mie perché ci tengo
di più. Anche per la canzone napoletana bisogna star zitti. Poi ne facciamo una padana
anche. [Riprende a cantare e dopo un po’ invita il pubblico ad imitare “con la bocca” il
mandolino] Adesso c’è l’ultima strofa, non so se si capisce quello che succede in questa
canzone perché il napoletano, va be’, è facile ma non facilissimo. Succede che c’è un tipo
che è innamorato di una ragazza che si chiama Reginella che l’ha lasciato, quindi più o
meno è il tema di tutte le canzoni di sempre, no? Questo qui, probabilmente ubriaco, si
rivolge non a Voce amica per lamentarsi ma al cardillo, cioè cos’è? Il canarino – no? – che
sta nella gabbia e si rivolge al cardillo, al cardellino (non al canarino, scusate). [Riprende a
cantare e traduce e commenta i versi mentre canta intervallando le due cose].
RR – [Battono le mani]
MM – Qualcuno di voi la conosceva?
RR – No.
MM – È una canzone insomma molto famosa. Tu [rivolgendosi ad un allievo] la conoscevi?
Da chi l’hai sentita? Massimo Ranieri? Per via che la fa spesso.
RR – [Risponde]
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MM – Tua mamma, ecco. Una volta – come ti chiami? –
RR – [Risponde]
MM – una volta era come è successo a Francesca, cioè le canzoni non erano registrate;
prima dell’avvento della registrazione, quindi dei dischi, neanche ancora dei registratori ma
dei dischi, le canzoni si tramandavano oralmente oppure qualche volta qualcuno le scriveva
e succedeva spesso come è successo a Francesca che la mamma le cantava la canzone e lei
conosceva questa canzone. Questo causava ovviamente meno confusione, meno impatti, non
c’era la pubblicità sostanzialmente, quindi c’era un tipo di mentalità proprio diversa. Ecco e
qui vedo una cosa interessante. Per che motivo? Perché qui viene citato Fabrizio De André
che effettivamente è uno di quelli che nell’ambito della musica leggera ha fatto canzoni
d’autore e allora mi farebbe piacere sapere da voi, anzi, potrebbe anche scoprirsi quello che
ha scritto La guerra di Piero di De André tra le sue canzoni preferite guadagnando punti nei
miei confronti – per quanto può essergli utile – ma li perde immediatamente, perché ha
citato dopo gli Otto Otto Tre e lì sì non mi piacciono, ma ognuno ha i suoi gusti. Vorrei che
si facesse avanti chi ha citato La guerra di Piero di De André e vorrei chiedere a lui di
venire qui al microfono e non gli saranno dati premi..
RR – [Chiacchierano e ridono].
MM – Come ti chiami?
LC – [Dice il suo cognome]
MM – È il cognome? E di fatto [gioca con i doppi sensi sul cognome]; C* anche di fatto.
Luca benissimo. Allora vorrei che mi dicessi secondo te … , io penso che effettivamente le
canzoni di De André, come quelle di tanti altri, … intanto lo conoscete tutti Fabrizio De
André?
RR – Sììì, è morto.
MM – È morto poverino. Appunto in che cosa si differenziano secondo te nell’ambito della
musica leggera? Perché l’hai citato?
LC – Perché è poesia.
MM – Ecco questa è una cosa interessante, discutibile ma interessante, cioè La guerra di
Piero è più simile a una poesia, quindi ti fa piacere, se ho ben capito, il fatto che ci sia una
canzone che si può ascoltare anche con gli amici, insomma, senza dover studiare, che ti dà
delle emozioni simili a quelle che ti dà la poesia; è così come dico io o non c’entra niente?
CL – [Silenzio]
MM – Per che motivo? È lo stesso motivo o c’è un motivo diverso?
CL – Perché mi piace
MM – Ti piace e basta. Secondo voi gli Otto Otto Tre sono vicini alla poesia come
linguaggio o sono vicini piuttosto a un altro tipo di linguaggio? Anche questo è discutibile
eh.
RR – [Le voci si sovrappongono]
MM – Quale per esempio? Quale tipo? Quale tipo di linguaggio per esempio? Questo può
essere interessante non solo per gli Otto Otto Tre ma per tutte le canzoni. Secondo voi a che
tipo di linguaggio si rifanno gli Otto Otto Tre?
MF – Max fai degli esempi perché forse non hanno capito la domanda.
MM – Sì, allora abbiamo visto come si può dire in qualche modo che La guerra di Piero di
De André ha delle cadenze simili a certa poesia e probabilmente può anche dare emozioni
simili; il linguaggio degli Otto Otto Tre, cioè il tipo di parole che usano, di immagini che
usano, si rifà a un linguaggio vicino a quello della poesia? Si è pensato di no perché è un
linguaggio che secondo me è più attuale intanto di quello della poesia ed è più scarno, ha
meno cose, è più semplice, è più semplificato. Secondo me il linguaggio degli Otto Otto Tre
sta al linguaggio della poesia come appunto un hamburger può stare a un piatto molto
elaborato della cucina francese – mettiamo – perché è semplificato, sono prodotti
semplificati e quindi la domanda è “a quale tipo di linguaggio si rifaceva?” A chi si rivolge
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per esempio la canzone degli Otto Otto Tre? A chi si rivolge secondo voi? A che tipo di
pubblico?
RR – [Rispondono]
MM – Moderato?
RR – Moderno.
MM – Ah, moderno. Moderato sarebbe stato geniale, veramente. Moderno, sì. Quindi un
linguaggio contemporaneo, un linguaggio che direi usate voi sostanzialmente, no? E questo
tra l’altro vi può far osservare un’altra cosa, una piccola incongruenza, Max Pezzali, siamo
sempre sull’anagrafico, se non ha quarant’anni poco ci manca e continua a usare il
linguaggio vostro che avete tredici anni, dodici, quattordici
RR – Eeehhh!
Un’inquadratura di una parte degli allievi del laboratorio di poesia durante la performance di Max Manfredi.
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MM – Ora i casi sono due, o è matto perché insomma non ha avuto uno sviluppo
intellettuale e morale tale da passare a un linguaggio … io suppongo che voi a quarant’anni
userete un linguaggio diverso da quello che usate adesso, e forse è giusto così. Alcune cose
rimarranno le stesse, alcune parole, alcuni gusti, alcune passioni rimarranno le stesse, ma
certe cose le acquisirete dopo e quindi ne eliminerete delle altre. È come il telefonino, la
memoria del computer, non ci sta proprio tutto, qualcosa bisogna eliminare. Invece questo
Max Pezzali degli Otto Otto Tre … i meccanismi sono due, o ha avuto la cosiddetta
sindrome di Peter Pan, - no? – che vuol dire non crescere oltre un certo limite e quindi a
trentotto anni, non so quanti ne abbia, è rimasto a un livello di quando aveva quindici anni o
comunque di quelli che adesso hanno quindici anni; oppure lo fa perché gli conviene – no?
Cioè lui lo fa così, per divismo; va benissimo, eh, non c’è niente di male, però dipende da
quello che uno cerca nella canzone; se uno nella canzone cerca per esempio una verità,
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molto dubbia peraltro, allora questa è già qualche cosa che ti fa un po’ insospettire: <<Ma
come? Questo qui perché continua a parlarmi come se avesse la mia età?>> Non ce l’ha mica
la mia età, no? Se io vi parlo, non vi parlo col gergo che usate voi, anche se probabilmente
qualche parola in comune ce l’avremo, perché il linguaggio è qualcosa di molto ampio.
Bene! Abbiamo quindi visto attraverso questa testimonianza della canzone di De André in
questo caso come ci sia un lato, un tipo di canzone che è un po’ diversa, proprio come
linguaggio; ed è quella che tanto per capirsi viene chiamata canzone d’autore. Ora voi potete
dire: <<Ma! Canzone d’autore!>>, tutte le canzoni sono d’autore perché tutte le canzoni hanno
un autore. Ci sono canzoni di cui non si conosce l’autore. Voi conoscete i canti alpini?
Sentiamo. [Accenna a un canto di questo genere] “Era la notte che pioveva” … Oppure, che
ne so, “La viola…”, anche i canti …, sì, tapùm tapùm tapùm; non so: tapùm tapùm tapùm
tapùuum. Non cantate i cori alpini?
RR – No.
MM – Comunque ci sono canzoni che non hanno un autore preciso, il che non vuol dire che
non ce l’abbiano, l’avevano ma non c’è stato tramandato. [Max parla mentre il pubblico
chiacchiera e fa commenti]. Sono le canzoni della società popolare; si vede che quella di
prima, napoletana, ce l’ha; ci sono altre canzoni che sono anonime, non hanno un autore
nell’ambito della musica popolare. Però la canzone d’autore (tanto per chiarire un momento
questo concetto perché è importante anche se può sembrare che non lo sia, ma è importante)
… Facciamo un parallelo: il cinema d’autore. Voi avete sentito parlare di cinema d’autore?
Se ne parla? No? No. Per cinema d’autore (comunque se ne parla e ne sentirete parlare)
s’intende un tipo di film, di cinematografia, particolarmente interessante dal punto di vista
espressivo, dal punto di vista dell’uso del linguaggio, insomma particolarmente importante o
particolarmente bello, non lo so. In questo senso nessuno si sogna di dire che un film dei
fratelli Vanzina, mettiamo, tipo Vacanze di Natale numero ventiquattro, questi film che
escono sempre con Massimo Boldi e, non so, Cristian De Sica, … Ecco questo cinema può
essere perfettissimo però nessuno si sogna di chiamarlo cinema d’autore perché è un cinema
commerciale, una volta si usava questo termine, adesso non si usa più; non si usa più e c’è
un motivo, una volta anche per le canzoni si usava un termine un po’ brutto che era canzone
impegnata, cioè canzone che parla di cose importanti, di politica, di qualcosa impegnata;
non so se qualcuno di voi conosce Francesco Guccini,
RR – [Uno risponde] Sì.
MM – e lui è uno che è stato un po’ accusato, diciamo così, (lui in realtà fa le canzoni come
vuole, come tutti noi) però è stato accusato in qualche modo o comunque è stato applaudito
per fare la canzone “impegnata” perché faceva canzoni schierate. Adesso non si usa più il
termine canzone impegnata fortunatamente, però non si usa più nemmeno il termine
canzone commerciale; oppure si usa in un altro senso. Cioè, veniva chiamata una volta
canzone commerciale la canzone che veniva fatta per fare soldi e quindi è un termine
spregiativo, pensate che stranezza, una cosa per fare soldi che veniva disprezzata , ma dove
siamo? Erano tempi in cui c’erano questi pregiudizi, insomma. Adesso c’è il pregiudizio
opposto però: qualsiasi cosa che fa soldi va bene e semmai può non andare bene per motivi
morali ma mai per motivi estetici, cioè tutto quello che fa soldi, sapete – no? – la differenza
fra estetica e etica? Estetica è quello che coinvolge la sensazione, una cosa mi piace o non
mi piace; l’etica coinvolge il giudizio; lavorare è qualche cosa che io accetto o non accetto
come essere umano che vive con gli altri esseri umani – no? – quindi se si vende della droga
(mettiamo che possa essere contrario se non sono drogato e, quindi, mi conviene che
qualcuno la venda) io posso essere contrario a questo fatto, che si vende la droga, contrario
per motivi morali – no? Se invece vedo un film dei fratelli Vanzina e non mi piace o vedo
un film di Lars Von Trier, che è un matto che fa i film con la telecamera che scivola, non so,
avete mai visto …? Va be’, ci sono diversi tipi di film che non so se voi li vedete, ho dei
dubbi, non mi piace sia che sia un film d’autore sia che non lo sia eccetera, non mi piace,
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-
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-
questo anche probabilmente per motivi estetici, cioè non mi piace quello che vedo, non mi
diverte, non mi emoziona, non mi diverte non mi emoziona, queste sono le due cose
essenziali che sono chieste in genere da sempre all’opera d’arte, cioè divertimento,
emozione e un’altra cosa: la conoscenza. Ma questi sono argomenti un pochino più pesanti e
più difficili; sospendiamo. Vi faccio sentire adesso una canzonaccia che ho scritto io; è una
canzone impegnata invece, impegnatissima, una canzone impegnata che parla di un
problema gravissimo che è a Genova, che è il problema dei topi.
RR – [Parlottare di parecchi ragazzi]
MM – voi avete mai visto un topo?
RR – Sììì, sììì [affermano più persone].
MM – Gli avete parlato?
RR – [Si accresce il numero di persone che rispondono e il volume delle voci è più elevato]
Sììì [e molte altre parole non identificabili per via del chiasso generale].
MM – Gli avete parlato?
RR – [Proseguono a far chiasso. Uno dice] Sì.
MM – A volte si può, però molti topi sono stranieri, non capiscono la nostra lingua. Io ho
fatto questa canzone che parla appunto di questo problema, il problema dei topi. Le parole
sono sicuramente stupide, però, nella loro stupidità, si parla – se state bene a sentire – nella
stupidità di queste parole, è un cartone animato questa canzone, però si parla proprio di
questo problema, della differenza tra l’offerta dell’imposizione pubblicitaria e quello che
può aspettare l’uomo-massa, cioè il topo; i topi sono tanti e sono anonimi, nessuno gli
chiede come si chiamano, i topi si muovono in massa, ecco gli uomini nella società nostra
vengono a volte considerati così, no? [Canta e suona la chitarra].
RR – [Battono le mani con convinzione] Era impegnata.
MM – Sì, era impegnata per molte vie. Allora continuiamo con lo spoglio delle schede:
Lunapop di nuovo Se ci sarai; Gilbert, Californication; Piero Pelù con […]; Peppers con
due p, chi è che l’ha scritto con una p? Peppers, due p. Californication, che è un gioco di
parole, no? Californication, California e fornication. Non fornicare dice il comandamento.
Cosa vuol dire? Cosa vuol dire? Argomento scottante. I preti se devono spiegare i
comandamenti (i preti sono quelle persone vestite di nero che stanno nelle chiese e alle volte
anche vanno in giro) … Ci sono questi comandamenti, eh, i comandamenti della Chiesa –
no? – che sono quelli che il Signore ha dato a Mosè sul monte Sinai, sapete? Sono le zone
dove adesso si combatte tutti i giorni tra palestinesi ed ebrei eccetera. Va be’,
Californication California e fornication, cioè fornicare, commettere atti impuri come si
diceva una volta. Alex Britti nella vasca per esempio, che è un’altra canzone segnalata. C’è
qualcosa di grande, Lunapop; La vasca, di nuovo Alex Britti, [prosegue l’elenco, che
tralascio]. I casi sono due [Probabilmente si riferisce agli allievi che hanno espresso le
medesime preferenze], mettersi d’accordo per dire le stesse cose o si è pagati o si è … No,
scemi non è del tutto vero, la parola giusta, e ve la spiego, non è un’offesa, è imbecilli,
perché, non è un’offesa, eh
RR – [Uno ripete] Imbecilli. [Ridono].
MM – Cosa vuol dire imbecille?
RR – Deficiente [risponde qualcuno]
MM – Non vuol dire proprio deficiente, attenzione, viene dal latino, vuol dire senza bàculus,
il bàculus è il bastone, imbecille è uno che non ha difese, non ha bastone, non ha la forza di
difendersi, è questo quello che volevo dirvi; no, quello che voglio dire assolutamente senza
offendere nessuno è che [chiacchierano in parecchi], buoni, buoni,
II – Ssshhh
MM – Buoni, se no poi vi canto tutte le canzoni di Lucio Battisti.
RR – [Riprende il chiasso].
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MM – No, la cosa che volevo dire è questa, che se tutti quanti mettono le stesse preferenze –
state attenti – vuol dire che tutti quanti conoscono le stesse cose, quindi scelgono in un
[ambito] abbastanza limitato di canzoni. Nella canzone di prima si diceva: “lo zapping
sostituisce la libertà di scelta”; cosa vuol dire? Una frase un po’ polemica; vuol dire quando
fai lo zapping hai la libertà di scegliere tra un numero molto grande di canali, specialmente
se hai la parabolica, però non puoi scegliere un canale che non c’è; allo stesso modo se uno
sente la radio può scegliere tra queste canzoni qui, e voi avete scelto tra queste canzoni qui,
non può scegliere una canzone che non trasmettono. È successa una cosa molto interessante,
da un po’ su Internet è venuto fuori il Napster, lo conoscete?
RR – Sì.
MM – La possibilità di scaricare un po’ di tutto.
RR – [Uno dice] Le canzoni.
Manfredi durante una sua esibizione canora in auditorium.
-
-
MM – Esatto. Sono state scaricate, attenzione che è importante questo, sono state scaricate
canzoni che nessuno sentiva da anni, totalmente sconosciute, e però sono state scaricate,
vuol dire che ad alcuni perlomeno erano interessate quelle canzoni lì, ora uno che vuole
sentire una canzone di Georges Brassens, un cantautore antico, morto, un cantautore
francese, bravissimo, che nessuno conosce ormai, se lo scarica dal programma, ci sono degli
appassionati che scaricavano queste canzoni qui. Ora questo cosa vuol dire? Al di là della
proposta ufficiale che riguarda i grandi numeri di ascoltatori esistono piccoli numeri, sono
quelli che si chiamano i mercati di nicchia. Conoscete questo termine no?
MF – [Intervengo per dire che il termine dell’incontro sta per scadere e gli chiedo di
concludere].
RR – [Chiasso da parte dei ragazzi].
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MM – Alzi la mano chi vuole lo spoglio delle schede.
RR – Lo? Eh?
MM – Lo spoglio delle schede.
RR – O se no? Le canzoni?
MM – Chi vuole una canzone invece?
RR – [Chiasso generale. Più d’uno ad alta voce reclama] Quella dei topi. I topi. Quella dei
topi. Quella dei topi. Quella dei topi.
MM – O quella del professor Fancello? [Avevo richiesto il Fado del Dilettante]. Votate.
Bene.
RR – Quella dei topi, quella dei topi.
MM – Allora adesso vi faccio una canzone [accenna alcune note sulla chitarra] che ho
avuto il piacere di cantare in un … Ho fatto tre dischi anche se sono stati molto poco
pubblicizzati. Ho fatto tre dischi. Nel secondo disco, uno di questi che avete citato qui ora ha
cantato con me questa canzone che vi faccio sentire. Capirete subito chi è.
[Canta] “Mi sono trovato sveglio” … [A un certo punto s’interrompe e dice], no, ecco
vedete? Vedete? Ecco vedete che cos’è successo? Ho sentito …. Silenzio! Silenzio. Ho
sentito parlare, mi son tagliato la strofa. Vedete il potere che ha il pubblico su chi suona;
ovviamente chi suona non è un juke-box o una cosa elettronica automatica, ha una risposta.
Quindi chi suona deve rispettare il pubblico, nel senso che deve proporgli ciò che per lui è il
meglio. Il pubblico rispetta l’artista col silenzio perché se non sta in silenzio l’artista si
distrae e allora gli dà un prodotto peggiore di quanto potrebbe, no? Quindi non ve la faccio
dall’inizio ma dal punto in cui sono stato interrotto. Allora … [riprende a cantare].
RR – [Battono le mani al termine della canzone].
MM – Grazie. Abbiamo terminato l’incontro?
MF – Direi di sì.
MM – Allora se non avete richieste, domande, approfondimenti, che comunque potete fare
dopo anche sulla scorta di queste schede, direi che possiamo salutarci.
RR – [Salutano, ringraziano e sfollano l’aula vociando].
MM – Grazie a voi.
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TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO
C L A U D I O
-
CP
RR
R
MF
-
P O Z Z A N I
Claudio Pozzani
Alunni di III B e III C
Alunno imprecisato
Mario Fancello
CP - Ciao a tutti. Voi avete già sentito gli altri che sono venuti – no? – mi sembra d’aver
capito. Siete le stesse classi che hanno visto Maio, Manfredi e la Cretella Elena. Dunque non
me la sono preparata oggi, quindi volevo proporvi di fare insieme determinate cose, anche
perché avevo pensato di fare una specie di premio con voi, un concorso, che poi verrò a fine
maggio con dei premi per tutti quelli che poi collaboreranno. 3 Siccome la “lezione” (lezione
tra virgolette) di poesia l’ho già fatta l’altra volta, adesso volevo fare una cosa, darvi alcuni
esempi di poesia, performance o comunque poesia sperimentale dei primi anni del
Novecento, soprattutto futurista, poi alcune cose che di solito faccio in pubblico con vari tipi
di pubblico, quindi dalla vostra età – anche più anziani – eccetera … e poi proporvi di fare
una specie di poesie che poi vedremo magari di leggerle insieme eccetera, magari di
dividervi in gruppi e qua magari Mario potrebbe aiutarmi poi tecnicamente per vedere come
si può fare dopo. Magari fare delle poesie insieme e poi vedere magari la prossima volta,
quando tornerò, o se son pronte già questa volta, e vedere … Io ho dei libri, dei dischi che
posso mettere a vostra disposizione (per tutti quelli che parteciperanno) quindi una specie di
concorso ecco; poi magari con questo incentivo magari ci si diverte anche di più. Ebbene io
3
In realtà l’incontro ebbe luogo molto più tardi, venerdì 22 febbraio 2002, nella Stanza del Cinema e della Poesia a
Palazzo Ducale alla presenza della sola III B, ossia di una parte degli allievi del laboratorio.
Claudio, dopo aver letto a voce alta le esercitazioni poetiche degli studenti intervenuti ed averne apprezzate alcune, ha
ritenuto più opportuno non stilare alcuna classifica di merito e premiare perciò, con libri e dischi, quasi tutti i
partecipanti.
47
volevo iniziare così per darvi due o tre spunti. Volevo leggervi due o tre poesie giusto per
non tediarvi eccessivamente. La prima poesia era uno dei primi esempi di rumore nella
poesia. Filippo Tommaso Marinetti, il capo inventore del Futurismo ( a parte che era
miliardario perché aveva ereditato i soldi da suo padre, quindi poteva spendere molto e
viaggiare e fare tutte le tourné di poesia che voleva fare) è stato uno dei primi a pensare di
mettere dei rumori della città, o comunque della vita normale, nella poesia. Questa che vi
vado a leggere è l’ultima parte di una poesia su un bombardamento, quindi lui con dei
rumori e con delle parole ha tentato di dare il senso di questo bombardamento, infatti si
chiama Bombardamento su Adrianopoli. Il titolo di tutto il poema era Zang Tumb Tumb,
quindi già da questo sono le bombe che cadono. Pensate che è del 1914, quasi novant’anni
fa.
[Effettua la lettura con interpretazione gestuale e sonora].
Questa per darvi una possibile idea di come scrivere un pezzo tenendo conto dei rumori,
delle onomatopee. Un altro tipo di poesia (legato a un testo più semplice, cioè più “normale”
– tra virgolette – però legato sempre al ritmo) potrebbe essere questo. Questa è quella che è
stata chiamata un’invocazione per voce, cassa toracica e solitudine. Questa qua s’intitola
Cerca in te la Voce che non senti, invocazione per voce, cassa toracica e solitudine. Questo è
un altro esempio di utilizzare il corpo. Prima erano i rumori, con la voce attraverso i rumori,
questo invece utilizzando il corpo come uno strumento musicale soprattutto percussivo. Qua
il testo è praticamente una specie di paesaggio, una specie di dipinto dove vengono messe
appunto queste refrain con il corpo eccetera.
[Effettua la lettura con interpretazione gestuale e sonora].
Cerca in te la voce che non senti
(invocazione per voce, cassa toracica e solitudine)
Cerca in te la voce che non senti
mangia l’universo se non la comprendi
Basse case dai tetti spioventi
lacrimanti pioggia da gronde ormai marce
Profumo di terra, di foglie, di stagni
e sinistri paesaggi di candido marmo
Cerca in te la voce che non senti
mangia l’universo se non la comprendi
Vermi che giacciono sotto il fondo fangoso
topi che nuotano in ruscelli d’acciaio
Fumo di nebbia, auto veloci
che brucano leste tagliatelle d’asfalto
Cerca in te la voce che non senti
mangia l’universo se non la comprendi
Ombre di creta camminano stanche
scuotendo bassa la conica testa
Obliqui fantasmi stampati sul muro
ricordano fughe e cavalli di frisia
Il buio comincia a specchiarti la mente
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mentre tutto diventa effervescente e verde … 4
-
RR – [Applausi].
Claudio Pozzani e, a margine, alcuni allievi di II C.
- CP – Questa era una mia composizione che avevo fatto appunto durante un festival, avevo
incontrato alcuni poeti indiani d’America, avevo fatto una cosa dedicata soprattutto a loro,
quindi c’era un po’ questo tipo di canto sciamanico, insomma era quella la cosa a cui
tendevo. Io volevo chiedervi. Adesso magari continuo a darvi alcuni esempi; ne avete voglia
poi di fare delle cose insieme magari divisi a gruppi eccetera? Ecco perché poi la mia idea,
insieme anche a Mario e agli altri, sarebbe appunto (come spiegavo prima) di cominciare
dalle poesie (scegliete voi i gruppi, i vostri amici più cari, decidete un po’ voi) e poi – non
so – ci saranno dieci lavori e poi, quando a fine maggio, ritorno anche per vedere un po’ di
annodare tutte le cose a cui avete assistito in questi giorni eccetera e vediamo queste poesie
qua come tipo concorso; comunque vincono tutti; ci saranno dei libri, dei dischi, eccetera,
ovviamente legati a quello che avete sentito; quindi – non so – dischi di cantautori o poesie
di una determinata cosa o libri su arte. E poi potete continuarla come un gioco perché poi
l’arte deve essere un gioco soprattutto, deve anzi insegnare alla gente a giocare per tutta la
vita. Volevo darvi un altro esempio sempre di poesia che oltre alla voce utilizza il corpo.
4
CLAUDIO POZZANI,
Saudade & Spleeen, Éditions F. Lanore, Parigi, 2000, p. 28.
49
-
Questa qua di solito per farla richiederebbe dei microfoni e degli effetti sulla voce, però va
be’ tentiamo lo stesso di farla qui. Di solito una cosa che consiglio sempre quando faccio
degli incontri di poesia è quella di usare per fare la poesia dei temi non troppo sfruttati.
Molto spesso mi accade, quando sono nella giuria di premi eccetera, di trovare su duemila
poesie la stragrande maggioranza sempre su uno stesso tema come può essere – non so – il
tramonto eccetera, e si trovano anche delle poesie quasi in fotocopia, cioè con sempre alcuni
luoghi comuni. Io tendo sempre di dire: quando andate a fare un giro fuori anche la minima
annotazione che vi viene in mente (un’idea anche stupida) se quando tornate a casa buttate
giù una frase così tanto per fissarla sul foglio poi lavorarci sopra secondo me trovando
magari anche dei temi che all’apparenza sembrano banali perché sono magari … Io mi
ricordo una poesia su una vite, su un fazzoletto, questa addirittura (va be’ è una metafora) è
su uno che cammina su una sfera fluorescente in mezzo al buio; questa stanza buia è tutta
piena di valvole bruciate, di televisioni rotte, eccetera, quindi c’è anche questo tipo di
pericolo di camminare su queste cose. Va bene, ve le faccio un attimo.
[Recita]
- RR – [Battimani].
- CP – Grazie. Questo è un altro tipo di suggerimento – di
esempio – di utilizzare il corpo su ciò che concerne la
dizione dal vivo perché alcuni poeti magari scrivono delle
bellissime poesie però poi dal vivo hanno delle difficoltà a
trasmettere quello che hanno scritto. Un altro esempio,
questo è invece l’esempio un po’ meno fantasmagorico,
però è come utilizzare l’ironia in poesia; un maestro che
aveva avuto anche lui degli inizi nel movimento creato da
Marinetti, cioè il Futurismo, e si chiamava Aldo
Palazzeschi. Lo conoscete già?
- RR – No.
- CP – No. E lui ha fatto questa poesia, ne ha fatto due
Claudio durante una sua
veramente, le sue due più famose. Come quando parlavo
performance al di fuori della
prima di scegliere dei temi abbastanza inusuali. Lui ha
Centurione.
scelto come tema (è un po’ una metafora comunque) una
fontana con … La conoscete già?
RR – Abbiamo visto la videocassetta [dicono gli alunni di II C] 5 Noi no [dicono gli allievi di
II B]
CP – Allora la faccio per loro. La Fontana Malata si chiama. Basta la conoscete, allora non
ve la faccio più. Volete che ve la faccia o no?
RR – Sìììììììììììì
CP – Va bene. Il fatto che l’abbiate già vista mi … Beh, un applauso al regista. 6 Come ti
chiami?
RR – [Applaudono].
R – Lorenzo.
CP – Lorenzo. Questa poesia è del 1913, quindi anche questa più o meno novant’anni fa.
Allora: La Fontana Malata.
[Lettura mimata].
RR – [Applausi].
CP – Voi che cosa conoscete come poeti italiani o stranieri?
R – Leopardi [risponde uno].
CP – Ti piace Leopardi?
5
Fanno riferimento alla videoregistrazione dell’incontro di Claudio con le classi terze dell’anno scorso sempre nella
nostra scuola.
6
Si riferisce all’alunno che riprende la performance di Claudio.
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-
-
R – [Probabilmente risponde a gesti].
CP – Abbastanza. Dei poeti proprio che vi siano piaciuti. Perché di solito succede (anche a
me è successo) che, finché ero a scuola, i poeti era difficile che mi entusiasmassero, poi, una
volta uscito, gli stessi poeti che prima non mi dicevano niente poco alla volta mi sono
cominciati a piacere, poi li ho studiati soprattutto quando sono uscito da scuola. Tranne
alcuni, che c’erano dei professori, ecco lì dipende dai professori, dai maestri, eccetera, tipo
appunto Marinetti, il Futurismo, che io assolutamente non conoscevo, mi aveva prestato
questo libro il professore, e io gli avevo detto: <<No, sinceramente non mi piace, non mi
piace>>, <<No, tienilo, tienilo, che secondo il tuo carattere secondo me ti dovrebbe piacere>>.
Poi l’ho tenuto, l’ho guardato un po’ meglio perché la prima volta uno dice <<Ma sì, va be’,
lo prendo tanto per far felice il professore, poi lo metto lì>>. Però poi l’ho riletto e in effetti
ho trovato una rispondenza con il mio carattere. Quindi magari è anche bello individuare un
po’ il carattere di ciascuno di voi e poi darvi delle suggestioni, degli esempi da ascoltare o da
leggere. E quindi volevo sapere se magari qualcuno di voi ha già un suo modello di poeta o
comunque un poeta che gli è piaciuto, magari anche una sola poesia che gli è piaciuta di
questo poeta senza … o qualcosa che avete sentito. [Attende, ma non giungendo risposta ne
prende atto] No. Dunque di poeti (a parte quelli scolastici diciamo che vi insegnano a scuola)
chi è che conoscete così come fama?
RR – [Uno risponde] Edgar Lee Master.
CP – Edgar Lee Master.
RR – [Un altro dice] Chi?
CP – Come mai lo conosci? L’hai letto o c’è stato
RR – La prof. ci ha letto l’antologia di Spoon River
CP – di Spoon River. Tra l’altro Fabrizio De André ne ha tratto anche un disco, infatti
l’avete sentito. Ecco io direi, visto che il maestro [riferendosi a me che rientravo in aula] è
venuto,
MF – [ridacchio]
CP – se avete voglia di fare quella cosa, …, tanto ormai il tempo non è molto. Potremmo
innanzitutto dividerci a gruppi, non proprio fisicamente, e poi scegliere ogni gruppo un tema,
e poi se li iniziamo a sviluppare adesso va bene; se no, quando la prossima volta vengo,
vediamo un po’ se avete fatto qualcosa ( se ne avete avuto voglia, eccetera). Quindi non so
se …
MF – Se i colleghi sono d’accordo, io direi di farli dividere proprio fisicamente in piccoli
gruppi; si spostano senza cambiare posto alle sedie, si spostano loro in base ai gruppi che
vogliono formare, oppure i gruppi li formiamo noi. Io direi a un certo momento che queste
poesie non devono essere seriose; anzi, più pazze sono – secondo me – più belle potrebbero
essere; però pazze ma non forzate, perché – se c’è qualcosa d’orrendo – è sempre la
forzatura sia nell’aspetto serio sia nell’aspetto ironico, comico e via di questo passo; cioè le
cose che vi vengono in mente e che non avreste il coraggio di mettere le mettete.
Sicuramente, siccome siamo a scuola, i linguaggi sono quelli che sono, non possiamo uscire
da quei limiti perché altrimenti ci troviamo delle denunce direttamente per cui mettiamo
questi paletti, tutto quello che a scuola può essere detto e fatto anche un po’ al di fuori del
solito tran tran lo possiamo fare; quello che invece potrebbe essere – tanto per essere espliciti
– un po’ pornografico lo evitiamo assolutamente. D’accordo? Facciamo i gruppi noi che
facciamo prima.
RR – No, no, nooo.
CP – Hai detto non pornografico e hanno detto nooo
MF – Perché poi, chissà perché, tutte le cose vanno a finire sempre lì, come se poi fosse
oltretutto …, (qua mi permettete una piccola nota polemica perché io poi sono molto
polemico anche perché ho accumulato parecchio veleno che mi è stato iniettato da altre
persone) il discorso è questo che pare che si possa ammazzare, fare terrorismo, tutto, però la
51
-
pornografia no, quella no, pare che sia il peccato più grave che esista al mondo, va be’, a me
sembra invece che nella scala dei valori venga molto più in basso, però la mia impressione
(spero sbagliata) è che invece poi sia questo. Io direi – scusate – sapete perché non è
un’imposizione anche se purtroppo adesso lo sarà non voglio far fare a voi i gruppi per due
motivi, uno perché verrebbe tra poco fuori il caos perché ognuno dovrebbe spostarsi e il
tempo manca, e – seconda cosa – avvengono quelle cose incresciose; che cosa? Quel
ragazzino che in genere (molto spesso, non sempre ma molto spesso) pensa con la propria
testa e agisce di conseguenza rimarrebbe isolato e questo non è assolutamente bello. Allora
facciamo così, i gruppi li facciamo noi in maniera fascista e nazista e praticamente voi
subirete quest’imposizione così, quando sarete grandi, saprete anche per chi votare
[ridacchio]
CP – [Ridacchia] Una cosa che volevo aggiungere è che la mia intenzione era ovviamente di
giocare con voi; non vorrei che la prendeste come un’imposizione; se non ne avete voglia
non lo facciamo innanzitutto, ecco.
MF – Poi finiamo perché tu dici una cosa e io ne voglio controbattere un’altra, tu controbatti,
io controbatto. Il discorso è anche questo: niente partecipazione? Niente premio [ ridacchio].
È ovvio.
RR – [Dicono qualcosa]
MF – Sì, e anche un viaggio (come vi avevo promesso stamattina) alle Hawai, va bene?
Accordato?
Claudio interpreta alcune poesie durante un suo spettacolo.
[Vengono formati i gruppi e si crea subito il caos. Il frastuono poi si attenua man mano che gli
allievi entrano nella parte e cominciano a lavorare più seriamente].
-
RR – [Ogni tanto si avvicina qualcuno al registratore per fare dei versi sonori] Boh, boh.
Miao.
MF – Allora – ragazzi – siccome ormai si approssima il momento del suono della
campanella cerchiamo di concludere un minimo. Claudio stamattina ha cercato d’inviare
degli stimoli perché voi cominciate a capire. Concludendo (perché dobbiamo concludere,
non perché siamo arrivati a un punto di conclusione ma perché dobbiamo concludere per
forza), vedete che cosa più o meno tutti questi incontri possono avere prodotto in voi. Non
dovete dimostrarlo, semplicemente deve trasparire. <<È un gioco>> mi dice Claudio. Bene noi
vorremmo terminare in questa maniera. Fra una ventina di giorni, verso la fine di maggio,
chi vorrà (e io spero che siate in tanti) consegnerà a noi (perché lo faremo avere a Claudio;
Claudio mi ha detto che è disposto verso la fine di maggio a effettuare un altro incontro)
questo componimento che sarà o di gruppo oppure individuale, come preferirete voi. In che
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-
-
modo poi si strutturerà l’incontro prossimo ancora non è stato deciso. Vorremmo che
consegnaste queste cose – ripetiamo – non obbligatoriamente; chi ha voglia, interesse, gli
piace comunicare, magari può scrivere sopra il foglio: “Non desidero che venga letta in
pubblico, desidero che sia qualcosa di personale, individuale; perché c’è qualcuno che aveva
vergogna a consegnarla, per cui in conclusione direi che a questo punto verranno poi date a
Claudio e le leggerà visto che è un poeta e fa parte anche di giurie di premi letterari (se non
sbaglio, no?). Perché poi c’è stato Max Manfredi – ieri – che mi ha detto che tu non sei solo
quello, sei un sacco di altre cose [ridacchio] e quindi in conclusione darà magari qualche
premio senza poi volere questa giuria (che è impersonata da lui solo) essere tassativa;
chiaramente esprimerà la sua opinione (di persona esperta certamente ma pur sempre
un’opinione soggettiva).
CP – Innanzitutto volevo ringraziarvi per stamattina; poi io ho visto delle cose al limite al
livello ancora come un embrione come idea, però che erano molto interessanti, alcuni
addirittura avevano già scritto delle poesie compiute. Io verrò appunto – come diceva Mario
– a fine maggio; se voi avete avuto voglia di proseguire, di lavorarci sopra, secondo i vostri
tempi, secondo le vostre ispirazioni, non è che le dovete fare per compito, non è
assolutamente un compito, non è neanche una prova, è un gioco che si fa insieme.
Comunque a fine maggio io o torno o comunque sarò in contatto coi professori e vediamo un
po’ che cosa avete fatto; poi a partire da maggio io avrò La casa internazionale di poesia a
Palazzo Ducale, mi hanno dato questo spazio, quindi sarà uno spazio dedicato a tutti quelli
che sono interessati non soltanto a poesie ma anche alle canzoni d’autore, a musica; ci sono i
testi di molti gruppi rock che sono molto belli ad esempio e anche romanzi eccetera. Quindi
tutti quelli che hanno anche voglia nei loro giri, nelle loro vasche, al sabato eccetera passare
allo spazio di Palazzo Ducale sono i benvenuti a partire da maggio. Magari poi lo dirò ai
vostri insegnanti e ci potremmo vedere là magari a leggere le vostre poesie. Grazie
comunque.
RR – [Applausi].
MF – Io vorrei concludere l’incontro con una cattiveria rivolta agli insegnanti di Lettere:
Non devono assolutamente (la professoressa Puppo e la professoressa Caiffi) intervenire
nelle poesie, assolutamente, anche se scriveranno degli errori d’ortografia spaventosi questi
devono restare.
RR – [Applausi].
[La registrazione dell’incontro si conclude così].
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COMMENTI IMBERBI
Luigi Maio & Enrico Grillotti
Nell’ambito del primo appuntamento del laboratorio di poesia coordinato da Claudio Pozzani, mercoledì 18 aprile, il musicattore
Luigi Maio ha intrattenuto, con l’ausilio del maestro Enrico Grillotti, gli alunni di II B e di II C della S. M. S. Centurione
presentando loro alcuni brani di repertorio del teatro da camera.
L’intervento è stato, come sempre, di livello altamente professionale e di efficace seduttività. Luigi Maio non si è risparmiato in
alcun modo, tant’è che dai commenti dei colleghi e degli allievi sono emersi pieno apprezzamento e vivo entusiasmo. Un docente, al
termine dell’esibizione, ci confidava di trovare Luigi Maio assai più capace e fresco di Gigi Proietti.
Accludiamo una sintesi delle osservazioni e dei pareri espressi da alcuni studenti di II B:
1.
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Mi è piaciuto molto perché quando si metteva a gridare diventava tutto rosso e aveva una voce splendida. (J.A.)
È stato molto divertente e anche interessante. È stato molto bravo anche Enrico Grillotti. (F.B.)
Mi ha fatto ridere molto. Luigi Maio sa intrattenere il pubblico molto bene; inoltre è molto bravo a recitare e ci ha fatto
amare dei passi di poesia molto belli. Ho notato che s’impegna a fondo per farci ridere e scherzare. (A.B.)
Ci ha spiegato la poesia con delle poesie recitate e non con la teoria, così è stato più divertente. (C.F.)
Mi è piaciuto perché Maio era molto simpatico, ci faceva parlare e poi recitava bene le fiabe con la voce molto intonata; a
seconda della persona o animale alzava la voce o la abbassava. (D.F.)
Ha saputo divertire gli alunni per due ore e penso che si sia divertito anche lui. (A.G.)
Mi ha fatto capire veramente come funziona il teatro.
La cosa che mi è piaciuta di più è stata quando ha raccontato la fiaba di Pierino e il Lupo. Un’altra cosa che mi è piaciuta
molto è stato il discorso sul rap. (S.L.P.)
Mi è piaciuto perché faceva tutte quelle voci strane che ti sembrava che fossero tanti a parlare, non la stessa persona.
Enrico Grillotti è stato bravo perché ha suonato veramente bene. (L.L.)
Lo spettacolo di Luigi Maio mi ha divertito perché è stato originale ed ha saputo ininterrottamente intrattenere il pubblico.
Mi ha trasmesso il significato di poesia cantata e ciò che significa usare “bene” i toni della voce e il coordinare la voce con
il suono. (D.M.)
Luigi Maio è stato molto bravo a cantare e inoltre ha spiegato molto bene l’argomento dello spettacolo, che era il “teatro da
camera”. È un uomo molto spiritoso ed è stato molto bravo e capace a interpretare il ruolo di alcuni personaggi. (A.N.)
Riusciva a immedesimarsi perfettamente nella parte che interpretava. Anche il suo pianista non era da meno. Mi ha
interessato anche perché hanno fatto partecipare molto anche noi come pubblico. (E.O.)
Di lui mi ha stupito la voce e il fiato anche perché riusciva a cantare e a cambiare la tonalità della voce per molte volte di
seguito. (G.P.)
Mi è piaciuto molto. È bravissimo nel cantare, nel recitare e nel saper intrattenere il pubblico. Mi è sembrato una persona in
gamba, simpatico e molto vivace. (M.P.)
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14. A me Luigi Maio è piaciuto molto perché innanzitutto aveva una bella voce che poteva cambiare passando dalla tenera
donzella all’orco arrabbiato.
Un’altra che ha fatto è stata quella di collegare la recitazione (il movimento delle braccia, delle gambe, della testa, eccetera)
con le varie voci; in più sembrava un tutt’uno con la musica.
Enrico Grillotti è stato molto bravo perché sapeva suonare il piano a occhi chiusi. (E.P.)
15. Luigi Maio è un uomo carismatico che riesce a coinvolgere il pubblico (anche i più giovani) con molta facilità. (E.P.)
16. Luigi Maio era abbastanza espressivo, talvolta anche troppo. Quando superava i limiti di espressività diventava un bambino
pestifero che trasgredisce tutte le regole che gli vengono imposte.
Mi è piaciuta l’affinità che c’era tra L.M. ed E.G.. Ad ogni accenno di L.M., E.G. suonava un pezzo, così a sorpresa. (M.P.)
17. Luigi Maio aveva una voce molto forte e da tenore. Sono stati molto bravi. (?)
18. Trasmette la poesia in modo molto divertente. (?)
19. Riusciva sempre a dare un tono alla voce che faceva già capire se le situazioni erano tragiche, felici o chissà che cosa.
(M.S.)
20. Luigi Maio ha interpretato molti personaggi in maniera molto disinvolta. (C.U.)
Elena Cretella
Sottoponiamo al lettore una selezione dei giudizi espressi dagli alunni di II B sull’incontro del 21 aprile.
1.
A me Elena Cretella non mi è piaciuto perche quando parlava non si capiva niente pero quando si e meso a cantare era
peggio. (J.A.)
2. Elena Cretella ha voluto spiegare la poesia tramite il disegno e spiegandola più con la teoria. Lei ha voluto dire che certi
termini nella poesia non significano nulla perché anche non si possono rappresentare tramite il disegno. (C.F.)
3. Elena Cretella mi è piaciuta meno [di Maio] perché anche se le sue due ore di spettacolo erano interessanti il modo in cui
parlava mi dava fastidio. (A.G.)
4. Elena Cretella ci ha fatto capire cosa è la poesia emotiva. Del suo spettacolo mi è piaciuto molto l’idea di farci disegnare e
descrivere delle emozioni.
È stata anche gradevole la spiegazione del suo quadro: in basso aveva disegnato la terra e in alto le emozioni sottoforma di
nuvole che poi erano destinate a scendere.
Il momento più bello secondo il mio parere è stato quando ha spiegato alcuni disegni tra cui anche il mio. Questo spettacolo
però mi è piaciuto di più del precedente [quello di Maio] perché c’è stato molto più movimento e i ragazzi hanno potuto
dire la loro sull’argomento della poesia. (S.L.P.)
5. La visita di Elena Cretella mi è piaciuta perché l’artista ci ha fatto descrivere i nostri sentimenti positivi e negativi
descrivendoli con disegni e con frasi che li spiegavano.
Una cosa che non ho capito molto bene è la raffigurazione dei sentimenti positivi perché secondo me quel dipinto è
complicato da capire se non lo spiega l’artista che l’ha dipinto. (L.M.)
6. Io penso che Elena Cretella sia stata una persona eccezionale che ha saputo collegare il disegno alla poesia. Mi ha
insegnato a esprimere le mie emozioni e i miei sentimenti sotto forma di poesia e disegno. Io penso che sia stata un’idea
originale di farci esprimere attraverso il disegno la nostra impressione sulla felicità e la tristezza. (D.M.)
7. Elena Cretella mi è apparsa un’artista molto brava è capace nel suo compito che è quello di occuparsi nel campo della
scultura, pittura, canto e poesia. Il lavoro che abbiamo fatto con lei mi è molto piaciuto e mi è sembrato anche molto
istruttivo. Mi ha colpito il fatto che si occupa di un’arte moderna e una pittura “new-age”. Spero di assistere a un altro dei
suoi spettacoli, magari più in futuro. (A.N.)
8. A mio parere questo spettacolo è stato un po’ noioso, senza togliere nulla alla bravura dell’artista, però non mi è piaciuto
tanto perché c’era un’atmosfera troppo seria per i miei gusti. Inoltre l’artista ci ha fatto anche disegnare le nostre idee su:
amore, amicizia, odio, ecc.; dato che a me non piace molto disegnare io non ho apprezzato tanto questa iniziativa. (E. O.)
9. A me è sembrata una ragazza dolce e timida, era interessata a noi infatti tramite i disegni voleva capire i nostri sentimenti:
rabbia, gioia, tristezza. (M. P.)
10. Elena Cretella ha fatto partecipare di più “il pubblico”, cioè noi, quindi ha voluto sapere come pensavamo e volevamo
rappresentare le emozioni. Lei è una brava cantante,pittrice, ecc. almeno, da quello che ho potuto vedere io è stato così.
Anche se, a dire la verità, mi è piaciuto di più l’incontro con Luigi Maio che con Elena Cretella. (E. P.)
11. Elena Cretella mi è apparsa come un’artista che si occupa di molte cose e quindi molto brava.
Mi ha colpito il fatto che si occupa di un’arte moderna e una pittura “new-age”: i disegni e i ragionamenti che abbiamo
fatto assieme a lei mi sono sembrati significativi ed interessanti, per i loro significati profondi e per la loro rappresentazione
semplice. (E. P.)
12. Elena Crettella invece ci ha trasmesso la poesia attraverso l’immagine. La cosa che mi è piaciuta di più di lei è stata che ci
ha coinvolto facendoci disegnare ciò che pensavamo in quel momento (non è stata una cosa facile)
La cosa che invece mi è piaciuta di entrambi [fa riferimento a Luigi Maio e ad Elena Cretella] è che con il loro
metodo uno in un modo uno in un altro (coinvolgendoci) il loro spettacolo non è stato pesante anzi piacevole.
(M. S.)
Max Manfredi
Offriamo una cernita delle impressioni provocate negli allievi di II B dal confronto con Max (8 maggio).
55
1.
2.
3.
Max Manf. È stato bravissimo e ha saputo farci ridere e “spaventarci” grazie ai suoi urli improvvisi nelle canzoni.
Il giudizio è abbastanza buono. Ho visto che voleva in tutti i costi sfogliare i foglietti su cui c’erano i titoli delle canzoni
che piacevano ai giovani per capire i nostri gusti musicali. (Anonimo)
Io sono dell’idea che Max sia bravissimo solo che il suo tipo di musica non mi piace proprio. Comunque è molto bravo a
suonare la sua chitarra e a cantare. (Anonimo)
Mi è sembrata una persona simpatica e vivace è riuscito a farci divertire soprattutto a me.
È stato impressionante quando suonava e muoveva le dita velocemente.
Le canzoni che cantava erano bellissime, mi è piaciuta di più quella che parlava dei topi. (Anonimo)
4.
5.
6.
Max Manfredi non mi è piaciuto perché le sue canzoni erano noiose perché preferisco altre canzoni moderne (J.A.)
Questo artista è stato molto bravo a suonare la chitarra, la musica leggera a me piace e forse quella di Manfredi è stata
interessante e un po’ diversa da quella che sento oggi. (F.B.)
Secondo me questo spettacolo è stato interessante perche mi ha aiutato a capire i gusti della gente e le canzoni più ascoltate
e preferite.
Questo incontro è stato anche un po’ imbarazzante perche io sono andato al microfono a dire perché mi piace “la guerra di
Piero” di Deandré.
In oltre Manfredi mi ha fatto vedere e capire i diversi metodi per comporre una canzone, oltre tutto è riuscito a far rendere
l’incontro più divertente mettendo dei “versi” nella canzone dicendoci che a lui piace mettere questi “versi” in ogni sua
canzone probabilmente perché a lui piace e per far divertire la gente. (L.C.)
7.
8.
9.
Mi è piaciuto questo artista, perché mi piace molto la poesia cantata. Sono molto belle le poesie dei cantautori perché non
solo senti delle poesie ma senti anche l’accompagnamento con la musica, perché più si va avanti nel tempo più le canzoni
hanno di molto bello la musica e non tanto le parole. (C.F.)
Secondo me quest’altro spettacolo è stato un po’ noioso in confronto agli altri, che sono stati più animati e simpatici perché
Manfredi ci ha suonato le sue canzoni abbastanza belle ma noiose. Manfredi in più ci ha fatto scrivere le canzoni e gli
autori, che ci piacevano subito è stato divertente ma poi mi sono annoiato un pochettino e abbiamo visto che tutti noi
ragazzi abbiamo gli stessi gusti sulla musica. Io comunque ho apprezzato abbastanza, ma poco le canzoni e lo stile di
Manfredi. (F)
Questo artistica di musica leggera è molto bravo e il suo genere di musica mi piace abbastanza perché io sono una persona
che ama di + la musica moderna.
Mentre leggeva le canzoni che avevamo scritto ce n’erano alcune che mi piacciono molto mentre altre non erano gradevoli
secondo il mio parere.
Il mio giudizio sulla musica leggera come ho detto prima è abbastanza positivo però la ascolto ogni tanto xché
piacciono i ritmi molto veloci come il rap, pop, ecc. (S.L.P.)
a me
10. Per me Max Manfredi è stato un po’ bravo e un po’ no. Sì perché ha suonato benissimo e ha inventato quella canzone degli
otto topi che era bellissima ed anche perché ha cantato bene. No perché non è stato molto simpatico e ha parlato troppo e
suonato poco.
Però mi sembra una persona intelligente, una persona che pensa, e vuole attenzione nei suoi confronti. Ad esempio non
voleva che noi parlassimo quando lui suonava perché non riusciva a concentrarsi.
E poi la cosa più importante è che riesce a capire quando uno si vergogna o quando no, che è una cosa importantissima.
(L.L.)
11. Max Manferdi il cantautore mi è piaciuto perché le sue canzoni hanno un testo originale con argomenti svariati e perché ha
saputo alternare musica e discussioni. Ha saputo anche divertire con i suoni che componeva e ci ha fatto conoscere un tipo
di musica diverso dal quotidiano. (D.M.)
12. Ieri, l’incontro con il cantautore Max Manfredi mi è piaciuto moltissimo perché Max sa cantare molto bene e ha composto
anche molte canzoni piacevoli.
Questo spettacolo di questo artista mi ha anche divertito perché mentre cantava le sue canzoni lui si immedesimava nel
personaggio della canzone urlando.
Lo spettacolo mi è piaciuto anche perché Max Manfredi si è dimostrato capace nel suo compito.
Spero di assistere a un altro dei suoi spettacoli. (A.N.)
13. Secondo me questo spettacolo è stato un po’ noioso perché Manfredi ci ha cantato le sue canzoni;
e dato che a me piace la musica, si leggera, ma più famosa o comunque di artisti famosi.
In più lui ci ha fatto anche scrivere i nostri gusti musicali e si è visto che, più o meno abbiamo tutti gli stessi gusti, noi
ragazzi.
Io penso comunque che Manfredi abbia associato la poesia alla musica sotto forma di canzoni.
In conclusione io non ho apprezzato moltissimo il suo stile. (E.O.)
14. Questo artista non mi è piaciuto anche perché io ascolto musica più moderna come: Piero Pelù, Subsonica,
Sottotono, ecc.
Comunque credo che per il suo genere ovvero musica leggera lui che è un cantautore riesca ad interpretare
bene il suo ruolo (G.P.)
56
15. Il cantautore Max Manfredi è stato bravissimo, secondo me; perché arpeggiava e cantava chiudendo gli occhi come se gli
altri non ci fossero.
A me piacciono molto le canzoni scritte dalle persone stesse quindi, secondo me è stato molto bravo! (E.P.)
16. L’incontro di ieri con il cantautore Max Manfredi non mi è piaciuto perché, al contrario degli incontri precedenti, questo è
stato noioso e, per di più, il genere di musica che faceva quest’artista non mi piace, perché preferisco altri generi di musica.
Questo non vuol dire che mi piacciono solo canzoni da discoteca e rap (perché amo anche canzoni di Battisti, De André,
ecc.), ma semplicemente perché le sue canzoni (soprattutto i testi) mi sono sembrati stupidi e insignificanti (E.P.)
17. Manfredi è un cantautore molto bravo però non mi è piaciuto perché io preferisco il rap di Luigi Maio alle canzoni di MM.
(M.P.)
18. Il genere di musica che suonava non mi piaceva tanto. Forse per quelli che ascoltano il suo genere di musica, gli piacciono
le canzoni e le parole delle canzoni di Max Manfredi. Solo una canzone mi è piaciuta, quella che si intitolava “Topi”. A me
comunque piace la musica Rep. (S.P.)
19. L’incontro di ieri con l’artista Max Manfredi, mi è piaciuto abbastanza, anche se le musiche che produce non sono le mie
preferite, perché preferisco la musica pop. (C.R.)
20. Per me Max Manfredi è stato bravissimo ha cantato e ha saputo farci ridere e spaventare è una persona troppo brava
simpatica, intelligente, effervesciente, vivace, allegra. Quando ho detto canto vuol dire che qualcuno lo deve aiutare invece
ha fatto tutto da solo suonava benissimo muoveva le dita come se fosse un robot telecomandato cantava musica leggera e
cantava delle sue canzoni bellissime. (C.S.)
Claudio Pozzani
Ecco uno schematico resoconto dei pareri dei ragazzi di II B sulla performance di Claudio (9 maggio).
1.
2.
Per me Claudio Pozzani è stato il più bravo tra i 4 artisti venuti a scuola dopo Luigi Maio. Le sue poesie sono state molto
belle soprattutto quando le arricchiva con versi e suoni fatti con il corpo e con la voce (Anonimo)
Claudio Pozzani per me è il più bravo dei 5.
È simpatico, sa intrattenere il pubblico in un modo fantastico.
Ha saputo cantare e scrivere poesie molto belle.
La “fontana malata” è la sua interpretazione più orecchiabile e più valida. (Anonimo)
3.
4.
5.
6.
Lo spettacolo di Claudio Pozzani mi è piaciuto. Lui è molto simpatico e poi ha molta esperienza. È molto bravo anche a
rendere l’atmosfera adatta al libro che legge. (Anonimo)
L’artista Claudio Pozzani mi è piaciuto molto più di tutti gli altri artisti perché sapeva recitare molto bene le sue poesie e,
mi è piaciuto fare il lavoro di gruppo sulle poesie. (F.B.)
Mi è piaciuto questo artista, anche se questo è il classico modo per esprimere la poesia. Mi è piaciuto soprattutto quando
recitava faceva anche tutti i gesti e i rumori. (C.F
Claudio Pozzani è un poeta che mi ha fatto capire il vero significato della poesia, cosa che sino ad ora avevo compreso
poco.
Poi ho potuto anche constatare che una poesia può essere accompagnata e espressa sottoforma di suoni e di intonazioni
diverse.
La poesia che mi è piaciuta di + è stata quella de “la fontana malata” xché grazie alle onomatopeie ha saputo ben intendere
il caso in cui una fontana si è rotta (S.L.P.)
7.
Lo spettacolo di Claudio mi è molto piaciuto perché è stato molto bravo, è simpatico, sa intrattenere il pubblico in un modo
fantastico.
Ci ha fatto sentire molte sue poesie che erano molto belle. Spero di ascoltare molte altre sue poesie. (A.N.)
8.
Claudio Pozzani per me è il più bravo dei 5 artisti che sono venuti nella nostra scuola
Poi ho potuto anche constatare che le poesie che di solito annoiano le persone che la ascoltano le sue erano simpatiche e
divertenti (G.P.)
9.
Claudio Pozzani è stato grandioso è stato bravissimo nel produrre quelli strani suoni.
È una persona straordinaria simpatica estroversa.
Voleva conoscere le nostre capacità facendoci produrre poesie. (M.P.)
10. L’artista Claudio Pozzani mi è piaciuto più di tutti gli altri artisti perché sapeva fare rumori e voci che erano strane ma
anche un po’ simpatiche. Mi sono piaciuti anche i suoi consigli su come fare le poesie e devo dire che sono stata molto
contenta di poterlo incontrare! (E.P.)
11. La vista di quest’artista mi è piaciuta molto perché Claudio Pozzani ha saputo dimostrare la sua bravura nell’interpretare
alcune poesie e nell’offrirci degli ottimi spunti per la poesia contemporanea, anche se non penso che parteciperò al
concorso da lui programmato. (E.P.)
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“C o a g u l o”
Corre all’abbraccio
la bambina dalla vampa rossa.
Sotto lo sguardo glauco
l’abbraccio si consuma.
Un profumo violetto
fa dell’aria un merletto.
Gianni Milano
“Quando trapassa il tempo”
In questo settembre che gioca all’estate
ormai svigorita
è prodigioso che crescano ancora i bambini,
che saltino il varco ed ingoino aria.
Nell’immobilità di questo tempo
danno una spinta alla ruota: che il carro
cigolando esca fuori dall’emarginazione
e riprenda il suo corso, senza velleità.
Gianni Milano
LA SUPPLENTE SA DI ROSA
Non è facile, proprio per niente, convincere i bambini che anche i maestri possono ammalarsi o
avere dei guai, tanto che un giorno o l’altro non li vedi più a scuola!
Influenza, raffreddori, gravidanze, possono capitare a tutti, senza che alcuno si stupisca. Ma se
succedono ai maestri, allora il fatto acquista un particolare rilievo. Qualcuno brontola che tutte le
scuse sono buone per non lavorare e che il mestiere di maestro è un cuccagna (“Poco fai e lo
stipendio è assicurato. Neanche ti licenziano!”) ma quando proponi di gestire una classe per una
mattinata allora si fa marcia indietro e si sparisce nella nebbia dei mugugni. Gli anonimi sembrano
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il tale della barzelletta, quello che, seduto sulla spalletta di un ponte ad osservare un pescatore,
dichiarava con aria schifata: “È proprio vero che c’è gente con il tempo da perdere! Sono tre ore che
lo osservo e non ha ancora pescato un pesce!”.
I bambini, invece, si sentono, di solito, mancare il terreno di sotto ai piedi. Come? Il maestro non
viene! Ma che scherzo del cavolo combina? Qui deve stare: con il suo buono e il suo cattivo. Come
un albero che protegge gli ubriachi ma non si ubriaca mai. Tossisca pure, dia pure molti calcoli da
fare perché non riesce a combinare nulla, ma stia con i suoi bambini, altrimenti che barba doppia a
scuola! La brutalità dell’esistenza non tiene conto di questi problemi.
Un giorno l’insegnante è assente, non viene a scuola. La bidella entra in aula ed annuncia che ci
sarà la supplente, quale non si sa, ed intanto stiano bravi e non facciano pasticci, poiché gli altri, le
classi accanto, stanno già lavorando.
La supplente no! Piuttosto dividere la classe, ma la supplente no!
Non è facile convincere i bambini che la supplente è una maestra come le altre e che, anzi,
bisognerebbe ringraziarla perché così la scuola continua. Altrimenti dovrebbero stare a casa e
“Meglio!”, brontola Andrea. Meglio per chi può permetterselo, ma per quei bimbi o ragazzi con i
genitori che lavorano entrambi? Andrea capisce il problema ma è un riccio. “Meglio per me che c’è
mio fratello piccolo!”.
Il fratello piccolo di Andrea è un bimbo rotondo, robusto, che trotterella sulle gambe corte e qualche
volta viene a trovare l’Andrea a scuola. La classe lo conosce da prima che nascesse perché l’ha
visto fotografato, all’ottavo mese, nell’utero materno. Quando la sua mamma era incinta si temette
un parto podalico. Fecero, allora, alla mamma una radiografia e la lastra la mamma ce la portò. Era
la prima classe, quella dei piccoli. La fotografia fu incollata alla finestra ed il fratello di Andrea fu
visto seduto nell’utero della mamma. Una bella foto in primo piano!
Non è da Andrea, e meno male!, che
deve andare la supplente. Il suo
maestro, a parte qualche mal di pancia
per il nervoso, sta bene. La sua
bambina ha il catarro ma va all’asilo e
non piange più. Non dice, piena di
lacrime, “Papà voglio stare con te.
Non andare via, neh!”. Non lo dice più
o altrimenti il maestro se la porterebbe
a scuola e sarebbe anche bello per gli
altri, per “i bimbi grandi tuoi”, come
dice l’Alice, avere la figlia del
maestro, perché così si gioca insieme,
le si insegna a pitturare, la si porta a
spasso dalla bidella o a fare pipì. Può
stare tranquillo l’Andrea! Assente,
questa volta, è il maestro siciliano, che
soffre di mal di denti. Qui non siamo
mica in Sicilia e ad ogni autunno
arrivano gli ascessi. Così, dai e dai,
alla fine il maestro del sud ci resta …
a casa, la faccia gonfia, la sciarpona
attorno alla testa, un berretto di lana
calato fin sopra gli occhi, il pigiama a
righe e le calze lunghe. Magari fra
… un berretto di lana calato fin sopra gli occhi, il pigiama a righe …
qualche giorno nevica di brutto! Ma
oggi c’è un sole tiepido e le rose si
(Disegno di DIMITRI COPPOLA).
schiudono ancora.
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Prima delle nove meno un quarto è difficile che arrivi la supplente e, nel frattempo, tocca agli
insegnanti presenti gettare un occhio affinché non succeda niente. Poi, lentamente, ognuno
riprende i suoi traffici, il suo gioco scolastico quotidiano. Come certi fiori alla sera, le porte si
chiudono, il chiasso si attutisce e in qualche classe si sente, scandito e ritmato come una marcia,
“Presente”.
La grande vecchia scuola sorride compiaciuta. Anche oggi, nonostante tutto, nonostante gli
analfabeti, i prepotenti, i maestri sindacalisti, i capelloni, i bambini handicappati, la baracca va
avanti. Ci dev’essere un trucco, da qualche parte! La scuola è un burattinaio: tira i fili, li molla,
riprende l’azione, punisce, riforma un poco, dà le schede al posto dei voti, rinvia le bocciature alle
medie, ti tiene i bambini down, ti dà anche le vacanze, ma resta sempre lì e non si smuove. Come i
giocattoli rotti dei bambini. Li togli da un posto perché ingombrano e te li ritrovi da un’altra parte.
Ci dev’essere un trucco, dove non so!
Per questo, come certi fiori alla sera, le porte delle aule si chiudono e la maestra chiede: “Cosa
abbiamo spiegato ieri?”.
L’assenza del maestro siciliano, quello che dice ‘figghi’ al posto di ‘figli’ e che oggi avrà
probabilmente un ascesso in bocca e mal di gola, è coperta. Per questo, nonostante tutto, grazie
anche alle supplenti, la scuola “va a tutta birra, tutututu …”, come dice Michele, che già pensa alla
prossima battuta. In silenzio, come un ragno, prepara barzellette e frasi celebri. È un lord, piovuto
qua per caso. Dà subito un tono di nobiltà al resto della banda. Peccato che le sue battute sono così
ermetiche che la classe ci impiega un bel po’ prima di ridere e Aldo rimane sempre tagliato fuori.
Il corridoio è sgombro. Ciò significa che la supplente è una di polso. Il maestro di Michele passa
velocemente in rassegna le supplenti che conosce. Quella lì, no. O almeno così spera. È una che,
come dice lui, sembra cammini sulle uova e poi si spaparanza sul tavolo facendo Mata Hari.
“Fosse almeno bella!”, pensa il maestro, “La bellezza è meglio di un Cynar. Ma è più brutta della
fame …”. Due anni prima il maestro si assentò tre giorni per un’influenza ma già dal secondo
giorno gli avevano telefonato a casa ed aveva dovuto mollare il letto per andare a guardarsi la
classe, perché la supplente, con la scusa che i bambini erano terribili, non disposti a fare il tema ed
il riassunto, se ne andava in giro per la scuola. La bidella, saggia, aveva telefonato. Quella
speriamo di no!
Chi sarà?
“Vado a vedere se stanno bravi, eh cicci!, bofonchia ed esce.
Con la scusa che ha le tempie grigie, il maestro da un bel po’ d’anni va dicendo in giro che lui è
vecchio, persino un po’ rimbambito, che non gli diano incarichi particolari, che non siano troppo
seri con lui, che certamente è l’andropausa che lo spinge ad insegnare ancora e che non ha più
memoria. L’unica verità è probabilmente questa della memoria. Ne ha sempre avuta poca. Dice
che è meglio vivere il presente e sperare che domani non nevichi piuttosto che star lì a ricordarsi il
passato. Perciò non fa alcuno sforzo per ricordare il nome delle persone . Da lì è nato il fatto che le
maestre vengono tutte salutate con un “Ciao bella!”. I maestri sono interpellati con un “… bello!”,
che, le prime volte, suscitava perplessità. I bambini, invece, sono ciccini, cicciotti, ciccioni, anche
le gemelline che sembrano due grissini.
Per meglio fingere, il maestro non bussa. Apre la porta di scatto, dicendo: “Siete tutti morti che
non vi si sente?”. Ma poi sorride, anzi ride, anzi la sua faccia si riempie tutta di piegoline e
rughine. Quella lì, placida come un uovo di Pasqua, è la Susanna. Come si fa a non essere contenti!
Susanna, che quando parla pare il chiocciolio della gallina ed ha sempre l’aria di non sapere niente,
lei, del collegio dei docenti, delle circolari, dei corsi di aggiornamento. Il suo sguardo parla veneto,
stupito come un Bertoldo. Dolce e ironico pare dica: “Mi no so … sono straniera …”. Susanna è
una di quelle rare persone che, per disgrazie assurde, continuerà a fare la supplente per tutta la vita.
Meriterebbe più lei di entrare definitivamente nei ruoli della scuola che tante fanciulle di bella
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presenza! Susanna, se la beatificheranno, diverrà la patrona delle supplenti, oppure, se cambierà la
moda e non ci saranno beati, verrà ricordata in tutti i canti folk di protesta. La cosa non la consola.
Afferma che, dopo tanti anni di servizio,
la pagano sempre come se fosse la prima
volta che mette piede nella scuola per
insegnare. Non ha scatti di stipendio, ma
le richiedono di partecipare a tutte le
riunioni. Non ha anzianità di servizio,
ma si prende le pastiglie contro la colite
spastica.
Susanna è la supplente del maestro
siciliano. Che contrasto tra i due!
Lui è lungo, secco e scuro, con i baffi ed
i modi timidi. Lei è paffuta, rotonda,
morbida e paciocchevole. Piace ai
bambini, grazie al suo corpo ed al suo
carattere. Non la si sente mai urlare ma,
come la fata di Cenerentola nel film di
Disney, è sempre indaffarata. Dalle sue
mani escono le cose più strane, che
fanno ridere, che riappacificano con il
Dalle sue mani escono le cose più strane, che fanno ridere …
mondo, non con la scuola. Susanna fa gli
(Disegno di DIMITRI COPPOLA).
intervalli lunghi, balla anche su un piede
solo. Susanna ama il caffè: e questo è
già un buon segno!
Susanna non sa fare scuola: e questa è l’allegria. In cambio ha vissuto tante colonie, la Susanna. Ha
imparato come intrattenere i bambini. Lavora la carta, il Pongo, il Das, la cartapesta. Conosce tante
canzoni e sa costruire i tamburelli, le maracas, i flauti con i pettini e la carta velina. Non è una
dottoressa. La Susanna è Susanna. Un monumento alla quiete, che le costa, magari la colite. I bambini,
però, non lo sanno. È bello avere Susanna in classe. Come un sole domestico in una giornata di
pioggia. Peccato che tante altre giovani maestre si comportino con i bambini come se fossero loro la
causa del freddo, dell’inflazione, dello stipendio ridotto, dell’assurdità dei programmi …
Come diceva il maestro: è meglio vivere il presente. Ed il presente è oggi. E oggi è un giorno con
Susanna a scuola e quasi quasi puoi illuderti di non essere qua, tra i bambini e la bidella e Pippo … “È
arrivata Susanna, di là”, comunica il maestro rientrando in aula. La classe è soddisfatta. Anche i
cicciotti sono responsabili dell’esistenza del mondo ed oggi va meglio. Eppoi hanno ragione i
bambini: le supplenti sono una cosa, che non si può mica definire … O camminano sulle uova o sono
Susanna!
Gianni Milano
61
PUNTASPILLI
1. Riportiamo diverse “sentenze” emesse da scolari di II A della elementare Embriaco di
Genova.
<<Un buon maestro deve accettare gli scherzi dei “loro” alunni>> (Michele, 7 anni) .
<<Un buon maestro non dice mai “ora non parli perché devo parlare io”>> (Francesca, 7
anni).
<<Fare il maestro è bello perché ti dà l’opportunità di stare assieme ai bambini>> (Giovanni,
8 anni).
<<Un maestro deve essere felice>> (Elena).
ANNALISA RIMASSA, Gli scolari insegnano ai grandi come diventare bravi maestri, in Il Secolo XIX, martedì
12 marzo 2002, p. 21.
2. Di un’intervista di W. Edwin Rosasco (WER) a Uto Ughi (UU) e a Bruno Canino (BC)
proponiamo alcuni flash.
[…].
WER – Oggi le società di concerti devono fare i conti con un preoccupante calo di presenze.
Cosa si può fare per invertire questa tendenza?
UU -
Il calo delle presenze è conseguenza della sostanziale mancanza di educazione
musicale nella scuola. Ne parlerò personalmente con il ministro Moratti, per
sottolineare l’urgenza di una vera educazione musicale. I giovani non conoscono la
musica, non conoscono nemmeno i più grandi capolavori, che dovrebbero invece
entrare nella loro vita e sarebbero certamente per loro fonte di gioia. I nostri giovani
devono sapere che l’Italia è un paese dalle tradizioni musicali ricchissime e devono
essere messi nelle condizioni di conoscerle. Se ciò non avviene, c’è il rischio che un
immenso patrimonio artistico vada a poco a poco perduto, e ciò – sia chiaro – per
colpa dell’insipienza e del colpevole disinteresse delle classi politiche che si sono
succedute negli anni. L’educazione scolastica è fondamentale per far sì che anche
l’Italia diventi un paese musicalmente colto e consapevole. In tal senso mi ero
62
espresso anche con l’ex-ministro Berlinguer, che era d’accordo; poi la riforma non è
andata in porto.
WER– A lei è appena stata conferita una laurea honoris causa in Scienze della
Comunicazione. Non crede che appropriate strategie comunicative siano essenziali
anche per la diffusione della cultura musicale?
UU – Certamente. Ma non c’è comunicazione se non ci sono ascoltatori. Oggi i giovani
vengono bombardati da troppe sollecitazioni, spesso di pessimo gusto, che
ostacolano il formarsi una vera sensibilità musicale. Per saper selezionare occorre
possedere gli strumenti culturali che consentono di capire cosa vale e cosa no. Per
questa ragione sono contrario ad operazioni pseudo-culturali “alla Pavarotti”, che
mettono insieme Zucchero, Dalla e – per dire – Beethoven come se non fossero in
gioco profonde differenze qualitative: questo confonde le idee e ostacola la
formazione di una consapevolezza musicale.
WER – In Italia ormai pochi sanno suonare uno strumento. È anche questo un segno di
distacco dall’approfondimento dei valori della musica?
UU – È un’altra conseguenza della mancanza di educazione musicale. L’alfabetizzazione
musicale dovrebbe partire non dopo i 7-8 anni, dovrebbe interessare e divertire (non
solfeggio o astratta teoria). L’insegnamento andrebbe affidato a chi ama veramente
la musica. Ricorda le trasmissioni di Bernstein di molti anni fa? Quello dovrebbe
essere un esempio. Se mi venisse affidata una trasmissione sul violino, credo che
anch’io saprei comunicare il mio entusiasmo. Poi, ovviamente, si dovrebbe passare
alla pratica di uno strumento: uno studio che educa il gusto e aiuta a creare una
sensibilità percettiva.
[…].
WER – E per quanto riguarda il repertorio?
BC – Il discorso è analogo. Si dovrebbe fare più musica nuova, e anche qui senza
ghettizzarla: musica di giovani compositori di 30-40 anni, anche se, a dire il vero,
non ne vedo poi molti.
WER – Ma il problema della ricezione della musica nuova riguarda tuttora musiche
composte addirittura 40-50 anni fa.
BC – Certo, a volte c’è ancora un rifiuto aprioristico nei confronti della musica di quegli
anni: si trattava spesso, è vero, di musica particolarmente tosta, con una carica
polemica, a volte forse un po’ eccessiva. Ma anche lì ci sono capolavori che
dovrebbero circolare, essere conosciuti. Importante sarebbe somministrare il
“nuovo” con dosi giuste e continue. Gli stessi esecutori dovrebbero proporre
qualcosa di diverso, in modo da incuriosire il pubblico e distoglierlo dalla ripetizione
di un repertorio conosciuto. Alcuni interpreti lo hanno fatto – Pollini e Abbado, ad
esempio – e in anni recenti Kremer. E se un musicista come Ughi, con il suo
carisma, suonasse musica nuova, sarebbe davvero una cosa bella e utile.
WER – Si tratta quindi di una responsabilità comune a società e interpreti?
BC – Precisamente. Il punto è sempre lo stesso: basterebbe rischiare un po’. Purtroppo
devo constatare, rispetto a qualche anno fa, il diffondersi di un certo generale
provincialismo, una disattenzione verso quello che succede al di fuori del proprio
ambito; e non solo in Italia, ma anche all’estero. Forse anche perché ci sono pochi
soldi, ci si ripiega sul proprio orticello.
WER – Il maestro Ughi ha posto l’accento sulla necessità di un’educazione musicale
generalizzata.
BC – È verissimo; ed è particolarmente importante che ciò riguardi la scuola di tutti, non
solo i Conservatori. Ma anche la situazione nei Conservatori è per certi versi
preoccupante: lo è (ma non da ora) il disamore per la musica di molti insegnanti: non
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sono informati, non vanno ai concerti. E formano allievi a loro immagine e
somiglianza: ci sono giovani pianisti che non conoscono Don Giovanni o Bohème!
W. EDWIN ROSASCO, Ughi
& Canino, così i maestri, in Il Secolo XIX, giovedì 14 marzo 2002, p. 23.
3. Di un’intervista a Rossana Campo (nelle vesti di pittrice) trascriviamo solo un minuscolo
passaggio.
[...] Comunque sono un’autodidatta e dipingo perché mi piace, non pensavo a fare delle
mostre. Piuttosto è una rivincita con le prof di disegno che mi mazzolavano a scuola.
SILVIA NEONATO,
Io, autodidatta felice, in Il Secolo XIX, sabato 16 marzo 2002, p. 23.
4. Introduciamo brutalmente un frammento di un discorso di Sabino Acquaviva
[…]
Dunque, i ragazzini, maschi e femmine, sono tendenzialmente soli (davanti a una Tv accesa)
e pieni di problemi, più soli e più problematici dei loro coetanei delle generazioni
precedenti, ma la situazione è aggravata dalla scarsa presenza della scuola. La scuola ha
perduto di autorevolezza, di presenza psicologica. Già alle elementari, con la scomparsa del
docente unico, la situazione si è aggravata, ma ancor più grave diventa nelle medie, quando
l’informazione prevale purtroppo sulla formazione.
Conclusione? Ovvia. Le bande giovanili, spesso così feroci, sono il prodotto dell’assenza o
della presenza debole della famiglia, della crisi della scuola, della crisi delle istituzioni che,
abbiamo visto, in precedenza gestivano la vita del bambino, del preadolescente e
dell’adolescente, del fatto che il destino del ragazzo è troppo spesso affidato al caso. E tutto
questo è molto triste.
Dunque, che fare per evitare che la vita dei nostri ragazzi diventi sempre più spesso simile a
quella dei coetanei americani che ormai a migliaia vanno a scuola con la pistola? Dobbiamo
intervenire sui punti deboli dell’itinerario della maturazione del preadolescente e
dell’adolescente: orientando le famiglie verso una maggiore presenza e un più alto senso di
responsabilità; introducendo, come ho detto altre volte, uno psicologo capace di seguire i
ragazzi uno per uno, aiutandoli a rafforzare gli aspetti più deboli della loro personalità;
rinvigorendo, in parallelo, il prestigio dell’istituzione scolastica e rafforzando
l’associazionismo.
So bene che la crisi dell’adolescenza è il riflesso di una grande crisi epocale, dietro la quale
c’è il difficile parto di una nuova civiltà, che quindi è difficile rimediare. Ma forse,
nonostante tutto, la società e la famiglia qualcosa possono ancora fare.
SABINO ACQUAVIVA,
p. 11.
Ecco 4 rimedi per domare le violenze dei piccoli bulli, in Oggi, 20 marzo 2002, n° 12,
5. Nella “Città dei bambini” a Genova (aprile ’02) è stato organizzato un corso dal titolo
“Impara la tivù” aperto a genitori, insegnanti e operatori del settore. Prendendo spunto
dall’evento, la giornalista Donata Bonometti intervista Marina D’Amato, ideatrice del
programma televisivo “Imparare la televisione”. Stralciamo alcuni passi.
- DB – [Riferendosi alla televisione] Che è solitamente demonizzata, a scuola come a
casa.
- MD’A – Sì, ma genitori e insegnanti hanno davvero un rapporto così profondo con la
televisione da permettersi di demonizzarla?
[…]
- DB – Un’ignoranza che è significativa del non rapporto [con la TV], della non
condivisione. Anche dei personaggi del mondo mediatico. Quanto ai docenti che ha
da dire?
- MD’A – Tra le materie obbligatorie della scuola c’è l’educazione all’immagine, che
dà luogo alle più diffuse, alle più strane interpretazioni, una materia intesa dagli
insegnanti a volte anche nei modi più individuali. Dal ritagliare le figurine al
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progettare artigianalmente cartoni animati. Questo corso può aiutarli ad avere una
nozione più accurata dell’argomento.
DONATA BONOMETTI, Bambini
a scuola di Tv, in Il Secolo XIX, martedì 2 aprile 2002, p. 23.
6. Il cantante Alex Baroni, già insegnante a Vigevano in un istituto per geometri, rievoca, in
un’intervista su Gente, alcuni particolari della sua attività didattica. Ci piace riportare qui
sotto un piccolo brano del racconto.
[…]
Cercavo innanzitutto di rendere interessante la mia materia [Chimica]: le parole chiare e il
linguaggio accessibile a tutti sono indispensabili anche in una disciplina che a prima vista
può sembrare arida. È indispensabile far capire agli studenti che l’insegnante, oltre ad avere
una perfetta padronanza di quanto spiega, ama la sua materia. Non dico che occorra
entusiasmarsi davanti alla combinazione delle molecole, però un minimo di passione
bisogna pur mettercela.
Bocciare? Non mi pare una grande scoperta. Quando un professore taglia metaforicamente
le gambe ai suoi discepoli, significa che qualche sbaglio l’ha commesso anche lui. Se erano
asini toccava a lui toglierli dall’ignoranza. Il dialogo con i ragazzi viene molto prima
dell’insegnamento. Io mi considero sul loro stesso piano: sono uno come loro, che in più ha
soltanto qualche anno e una laurea.
MASSIMO BERTARELLI,
n° 15, p.38
Mamma matematica, papà fisico, ma lui voleva cantare, in Gente, 11 aprile 2002,
7. Da un articolo giornalistico di Bruno Arpaia piratiamo queste frasi.
[…] Venerdì scorso, sull’autobus, due ragazzine, quattordici anni scarsi, chiacchierano fra di
loro.
<<Ma tu capisci?>>, dice stizzita quella più biondina, <<la s… della prof me l’ha sequestrato.
Appena due chiamate e me l’ha sequestrato>>. <<Ma no, non è possibile!>> <<Ma sì. E meno
male che la mattina dopo è venuta mia madre e gliene ha detto quattro, a quella s… Le ha
detto che non si doveva più permettere, che sul telefonino c’era una scheda da 25 euro: e se
la usava lei, la prof, per fare le sue telefonate? La s…ci è rimasta secca, con una faccia da
cane bastonato>>. <<E ben gli sta>>. […].
BRUNO ARPAIA, Quei
ragazzi allevati a squilli di telefonino, in Il Secolo XIX, lunedì 15 aprile 2002, pp. 1, 4.
8. Da un’intervista a Franco Bernabé, presidente della Biennale veneziana:
- FB – […] Purtroppo i contributi statali sono diminuiti (14.350.000 euro contro i
16.400.000 del 2001), ma spingeremo per le coproduzioni di musica e teatro e penso
di accompagnare alla danza una robusta attività didattica per fare della Biennale
veneziana un riferimento nazionale forte, un messaggio per i giovani che nella scuola
vedono tagliate fuori tutte le espressioni dell’arte contemporanea. […]
SEGIO BUONADONNA,
p. 19.
Bernabè: <<Contamino dunque presiedo>>, in Il Secolo XIX, sabato 20 aprile 2002,
9. Susanna Agnelli in una lettera aperta (rivolta ai docenti):
[…]. Quando andavo al ginnasio a Torino, ormai mille anni fa, non amavo i miei insegnanti;
li trovavo annoiati, noiosi e volgari. Ero una pessima alunna, la fine delle lezioni era una
liberazione, il ritorno a scuola un incubo. Era per colpa mia o dei miei insegnanti? Ora, a
così tanti anni di distanza, posso tentare di capirlo.
A scuola non si parlava mai della vita, di quello che succedeva attorno a noi, dei problemi
che ciascuno di noi portava nel cuore. Si insegnava a scrivere (come se si potesse insegnare
a scrivere), a risolvere i problemi di matematica o algebra, a tradurre dal latino e dal greco, a
conoscere, dai libri, il mondo.
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Mai si insegnava ad amare la poesia, a far capire l’emozione che ti procura un verso o una
frase, mai il divertimento di scoprire una sequenza matematica o la gioia di inventarsi un
viaggio per un mondo sconosciuto. Su tutto aleggiava una noia infinita con l’aggravante di
un dovere verso il mondo, la propria famiglia, se stessi. So che la scuola anche in Italia è
molto cambiata, non al tempo dei miei figli, ma sì al tempo dei miei nipotini. Oggi si fanno
ricerche, si disegnano fumetti, si vistano città diverse, musei e sedi di giornali. Ma mentre
negli Stati Uniti i bambini nei musei siedono in circolo per terra e disegnano quello che
vedono, la maestra siede in terra con loro e tutti hanno l’aria di divertirsi.
Da noi invece le file di bambini che incontro sovente nei musei tendono a spintonarsi e a
chiacchierare, totalmente disinteressati ai quadri o alle altre opere d’arte che stanno intorno.
Quelli in visita da altre città si trascinano stancamente sperando in una sosta dal gelataio.
[…].
SUSANNA AGNELLI,
2002, pp. 1, 16.
Nessuno insegna l’educazione il coraggio e l’umiltà, in Il Secolo XIX, domenica 21 aprile
10. Aggrediamo un altro articolo del Decimonono proponendovi questa barbara macedonia.
Le ricerche scolastiche non si svecchiano mai. E non finiscono mai. Strumento obsoleto,
sono di fatto un veicolo di conoscenza senza costrutto <<perché il bambino apre
l’enciclopedia alla voce “cavallo” e copia, senza aver domande con sé. E quindi non cerca
risposte. Insomma non si lavora sulla comprensione del testo perché, anche nelle scuole, si
trascura l’importanza di far crescere tanti piccoli abili lettori>>.
[…].
<<Saper fare le ricerche vuol dire alla fine saper padroneggiare anche un libro>> ed è
quell’esercizio, quella destrezza che manca ai nostri ragazzini. Perché a scuola questo
metodo non è certo trasmesso.
[…].
Conclude la studiosa. <<I bambini di oggi risultano avidi lettori dalle materne alle medie,
grazie ai maestri e alle biblioteche specializzate. Interesse che decresce alle medie e quasi si
azzera nelle superiori. I perché? Tanti. Non ultimo una scuola che a volte opera al contrario,
castrando la lettura>>.
DONATA BONOMETTI, Paola Rodari alla Città dei bambini <<Come far crescere i piccoli lettori>>, in Il
Secolo XIX, venerdì 31 maggio 2002, p. 23.
11. Relativamente a una ricerca condotta a Torino dalla sociologa Elisabetta Forni
trascriviamo alcune battute di un dialogo della studiosa con la giornalista Antonella Viale.
[…]
- EF – La violenza che io chiamo diretta, si presta molto bene a essere sbattuta in
prima pagina e trasformata, da caso isolato, in fenomeno di dimensioni
incontrollabili. Da qui la reazione: chiudersi in casa e chiedere un intervento
massiccio della polizia, una sorta di militarizzazione del territorio. Quello che si
tende a occultare è che questa violenza – innegabile – è in calo quasi ovunque nel
mondo occidentale. Viene presentata come un fenomeno in crescita e fa pensare a
campagne montate ad arte per chiedere una soluzione in senso poliziesco del
problema della povertà, della marginalità, per non mettere in atto politiche di
prevenzione. Così si occulta la violenza detta strutturale, che consiste nel negare agli
individui il godimento di bisogni fondamentali. Chi ci nega la città ci sta facendo una
grossa violenza.
- AV – Come crescono i bambini nella città negata?
- EF – Il panico crescente sulla sicurezza urbana provoca un effetto di segregazione, i
bambini vengono tenuti il più possibile in casa o in ambienti ritenuti protetti.
Sappiamo che la maggior parte dei casi di violenza sui minori avviene in casa, quindi
non è una garanzia, anzi. Quando i bambini non sono in casa escono sotto scorta
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continua. Questa segregazione sotto il controllo diretto, stringente di un adulto
impedisce ai bambini di sviluppare capacità di autonomia. Non riescono neppure più
a stare soli tra di loro, non riescono a sviluppare le capacità sociali di interazione, di
risoluzione dei conflitti, fondamentali per la crescita e il benessere di un individuo.
Molti studiosi hanno sottolineato come dalla segregazione derivi una deprivazione
molto grave in termini di sviluppo di capacità sociali indispensabili da bambini e da
adulti. Aggiungerò che segreghiamo i bambini perché abbiamo paura per loro e, a un
certo punto della loro crescita – alle soglie dell’adolescenza – perché abbiamo paura
di loro. Non li conosciamo più, neanche da piccoli, perché ormai non li vediamo più.
Soltanto i parenti più stretti o il personale addetto alla loro custodia hanno a che fare
con i bambini. Sono perfetti estranei, sconosciuti, come lo è l’immigrato, il
marginale, e quindi rientrano facilmente nella categoria non solo dei fuori posto,
anche delle persone pericolose.
I loro comportamenti che spesso nell’adolescenza tendono a essere dimostrativi,
esibizionisti, a volte aggressivi, vengono immediatamente percepiti con
preoccupazione, disagio, paura dal mondo adulto. E quando i ragazzini delle periferie
più emarginate, dopo un’infanzia segregata e deprivata, cominciano a farsi sentire,
vengono etichettati come baby gang e diventano un problema nazionale, che richiede
interventi di tipo poliziesco sempre più repressivo come il coprifuoco, che è una
pratica gravemente lesiva della libertà fondamentale dell’individuo, ma che si sta
diffondendo in modo preoccupante in tutto il mondo occidentale.
ANTONELLA VIALE, Bambini
sotto scorta, in Il Secolo XIX, domenica 9 giugno 2202, p.16.
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FARFALLE METROPOLITANE
1. Venerdì 10 maggio ’02 ore 19.30, linea d’autobus 47: su uno zainetto nero di una ragazza
delle superiori, fra le altre scritte in bianco, è ben leggibile anche questa
Il futuro è di coloro che
credono nella bellezza
dei loro sogni
2. Genova. Palazzo Ducale. Stanza del Cinema e della Poesia. All’interno della sala è appeso
questo cartello in duplice copia:
DURANTE LE
PERFORMANCES E LE
LETTURE
SI PREGA VIVAMENTE DI
SPEGNERE I TELEFONI
CELLULARI!
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SCHELETRI NELL’ARMADIO
GIANNI MILANO
Nella scuola ci sono rituali che stimolano il sorgere di conformismi eterni.
LUIGI BAIRO – GIANNI MILANO, Capitan Nuvola, Roma, Stampa Alternativa, 2001, p. 12.
Non sempre e non in tutte le situazioni i genitori e gli insegnanti sono degli aiuti.
Op. cit., p. 13.
Il bambino inserito nella scuola diventa un allievo. Il suo ruolo nuovo, artificiale, è strettamente
correlato a quello dell’insegnante. Costui dovrebbe far crescere il bambino, poiché questo è il
significato implicito nel termine allievo. Troppo spesso, invece, il bambino-a-scuola diventa
occasione per l’esercizio del potere adulto, della presunzione culturale, del moralismo mortifero.
Nessun essere umano può essere visto in un rapporto di potere/subalternità: meno che mai un
bambino. Togliere ai piccoli la loro stagione significa segare il ramo sul quale stiamo appollaiati.
Op. cit., p. 16.
Imponiamo la nostra autorità ai giovani e, contemporaneamente, temiamo quella che ci domina …
Op. cit., p. 20.
La scuola ha perso la sua funzione di compagna e sostegno per diventare fine e valore in sé,
sottoponendo così insegnanti e allievi a una regressione continua.
Op. cit., p. 21.
L’attentato permanente contro la persona bambino si sostanzia nel rifiutarlo come desiderante.
Op. cit., p. 29.
Nella scuola antropofaga e onnivora il comandamento è “Apprendere il più possibile, il più
velocemente possibile”. Sia nella richiesta di quantità, sia in quella di velocità, è implicita la
frenesia, che è uno stato alterato della mente.
Op. cit., p. 49.
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La scuola ignora la magia della parola: se la conoscesse, eviterebbe di far precipitare le parole-elfi
sui tavoli operatori per dissezionarle.
Op. cit., p. 59.
È importante che nella scuola si abbandoni il roboante igienismo architettonico, antibiotico e
sterilizzante, per consentire a ogni bambino di trovare e realizzare i suoi posticini e i suoi aleph.
Op. cit., p. 62.
La scuola è una casa di carta che non può reggere all’assalto della realtà.
Op. cit., p. 70.
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