SOMMARIO Crescita di un importante movimento sociale di Mauro

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SOMMARIO
Crescita di un importante movimento sociale
di Mauro Torelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
Sorpresa elettorale in Francia
di Bruno Della Sudda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
Tabelle dei risultati elettorali francesi
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10
Bernard, il mercenario invisibile al soldo di una guerra umanitaria
di Paolo Odello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15
Contro le destre in Europa: quale alternativa a sinistra?
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17
Organismi nazionali ARS
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20
Proposte integrative al documento dei compagni francesi
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21
Incontro sinistre italo-francesi: Comunicato conclusivo
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Incontro sinistre italo-francesi: Communiqué issu des travaux de la rencontre
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25
Il fallimento delle politiche sociali del centro-destra
di Luciana Zanetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
Il rapporto della musica con le istituzioni imperiesi pubbliche
di Vittorio Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Idee in astratto e in concreto: dalla storia alla situazione locale
di Antonio Rostagno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
Chiarezza di pensiero e di parola
di Paolo Odello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
1 gennaio / aprile 2004
PAGINE NUOVE DEL PONENTE
bimestrale di politica e cultura
ANNO V n. 1 - 2 - gennaio / aprile 2004
(uscita n. 16)
Direttore responsabile
LUCIANA ZANETTA
Autorizzazione Tribunale
di Imperia n. 3/99
In redazione:
PIERO DE NEGRI, FRANCA NATTA,
CARLA NATTERO
Sede
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18100 Imperia Oneglia
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Proprietà
ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO
DELLA SINISTRA - IMPERIA
Impaginazione e stampa
Centro Editoriale Imperiese
Imperia
Direttore politico - Presidente
GIUSEPPE MAURO TORELLI
Questo numero è stato chiuso
Copertina
ARMANDO SABATELLA
il giorno 23 maggio 2004
2 gennaio / aprile 2004
Crescita di un importante
movimento sociale
di Mauro Torelli *
Gli elettori sono stati chiamati alle urne
in alcuni paesi europei per eleggere assemblee
dalle diverse caratteristiche, dai parlamenti
(Grecia e Spagna) ai consigli regionali francesi,
alle amministrazioni locali tedesche, ma tutte
accomunate da un risultato simile: contrario a
tutte quelle maggioranze governative che, indipendentemente dal colore politico (centro-sinistra
in Grecia e Germania, centro-destra in Spagna e
Francia), non hanno saputo o voluto schierarsi
contro la guerra preventiva (Spagna), o hanno
operato, in tutti i quattro paesi, scelte di politica
economica neo liberista, con duri colpi allo stato
sociale.
L’affermazione elettorale del PSOE , il
notevole impatto esercitato dalla scelta di
Zapatero, che ha mantenuto l’impegno preelettorale di far rientrare le truppe spagnole dall’Iraq,
ha rafforzato in Italia le lotte contro la guerra, pur
essendo il movimento per la pace nel nostro paese
di robusta continuità. In Italia, inoltre, cresce un
forte movimento sociale che si oppone alle politiche economiche del governo di centro-destra,
sostenute dalla Confindustria, che mettono a
rischio il futuro di molti e in special modo delle
giovani generazioni.
Le lotte degli autoferrotranvieri per
migliori salari e stipendi, dei dipendenti
dell’Alitalia, per salvare la compagnia di bandiera, la grande lotta dei lavoratori della Fiat di
Melfi per la democrazia sindacale, per migliori
condizioni di lavoro e salari più adeguati, per l’attuazione del principio a parità di lavoro, parità di
retribuzione e la riuscita dello sciopero generale
unitario in difesa delle pensioni e contro la politica economica berlusconiana, testimoniano la ricchezza e la crescita dell’opposizione sociale.
Anche in provincia di Imperia la lotta è
cresciuta, non solo con la corposa partecipazione
a Roma alle manifestazioni nazionali (per la pace
il 20 marzo e in difesa delle pensioni il 3 aprile),
ma anche con la riuscita dello sciopero generale
nazionale e la manifestazione a Imperia del 26
marzo scorso caratterizzata dalla presenza di un
numero di rappresentanze aziendali dei lavoratori
superiore rispetto alle precedenti occasioni,.
L’insieme di codesti avvenimenti stimolano a
riflettere su due questioni centrali:
1) i riflessi sulle politiche interne del dibattito
sulla guerra;
2) la perdurante difficoltà dell’economia italiana
e i rimedi possibili da un’ottica di sinistra.
Quali sbocchi politici per le lotte sociali?
Sulla guerra. Perché la lista unica riformista “Uniti per l’Ulivo”, contrariamente alle
altre forze di centro-sinistra (esclusa la formazione presieduta da Mastella) che da lungo tempo
hanno incalzato il governo con la richiesta del
ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, è titubante ad
assumere una posizione simile a quella dei suoi
alleati?
Le forze riformiste del centro-sinistra,
pur avendo criticato l’avventura mediorientale di
Bush, non vogliono apparire come oppositori
frontali degli Stati Uniti, mettersi in rotta di collisione con la politica irachena ambigua del partito
democratico e del suo candidato presidente Kerry.
Le titubanze, però, non possono evitare
che ci si esprima sul nodo strategico dei rapporti
tra Stati Uniti e Unione europea e quindi sulla
necessità di mettere in discussione il tenore di
vita degli americani (e anche degli europei, per
certi versi) nell’ambito del globale rivolgimento
in atto.
Gli statunitensi vivono al di sopra dei
propri mezzi: il disavanzo delle partite correnti è
giunto a 544 miliardi di dollari nel 2003, l’indebitamento delle famiglie americane ha toccato il 12
per cento delle loro entrate e il resto del mondo
possiede attività patrimoniali Usa per un valore di
oltre 7.600 miliardi di dollari.
Le difficoltà strutturali degli Stati Uniti
derivano dalla caduta del saggio di profitto dell’industria che si protrae da tempo e dalla finanziarizzazione dell’economia con relative bolle
della Borsa e del settore edilizio.
3 gennaio / aprile 2004
L’autonomia dell’Unione europea si realizza solo con la messa in discussione del modello
che affida all’economia americana la funzione di
locomotiva globale cui l’Europa e il resto del
mondo devono fornire il carburante finanziario.
Gli Stati Uniti hanno adottato una sorta di
keynesismo militare per finanziare la guerra preventiva permanente voluta dai neoconservatori
del presidente Bush.
Il nostro rifiuto della guerra irachena è
anche la messa in discussione di un sistema che
emblematicamente premia, per effetto della spesa
militare decisa dopo l’11 settembre dal governo
statunitense, i nove più grossi fornitori nazionali
della difesa Usa (le loro azioni hanno realizzato
un risultato del 30 per cento in più rispetto alla
media delle cinquecento più grandi società quotate del mondo), rende economici i pozzi del Texas
con il petrolio oltre i 40 dollari il barile e permette all’americano medio di fare il pieno di carburante a prezzi irrisori per alimentare vetture dal
consumo facile e dalle dimensioni spropositate
rispetto agli standard europei (emblematici gli
sport utilities vehicles con cilindrate fino a seimila cc).
Lo scontro è arduo. Aree di sofferenza
permanente in diverse zone del mondo sono strutturali del sistema capitalistico finanziarizzato.
Confronto aspro tra due linee antagoniste
La lotta in Europa si svolge tra chi accetta la subalternità del continente all’unica potenza
mondiale, cercando al più di limitarne gli aspetti
negativi e i loro riflessi sulle nostre società (tale
orientamento è proprio delle linee portanti del
Trattato costituzionale approvato dalla
Convenzione europea nel luglio 2003) e coloro
che contrappongono un punto di vista di sinistra,
che ha i suoi cardini portanti nell’autonomia
dell’Ue, nel potenziamento dello stato sociale, in
un modello di sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile, in una politica di pace e apertura verso i paesi terzi.
La stagnazione economica dell’Italia non
risulta solo dai dati statistici, ma dalla esperienza
quotidiana delle famiglie che, in numero sempre
più ampio, faticano ad arrivare alla fine del mese
e a mantenere una dignitosa qualità di vita, una
difficoltà che si manifesta con la precarietà e l’insicurezza per le giovani generazioni, nel sentimento di paura di molti cittadini per la messa in
discussione delle conquiste sociali frutto di
decenni di dure lotte.
Il governo Berlusconi e il ministro
Tremonti, malgrado la finanza creativa e le continue inaugurazioni, non riescono a presentare un
credibile progetto di rilancio economico. La loro
politica riflette limiti e ritardi di una borghesia
decadente e clamorosamente inadeguata, giudizio
rafforzato dalla vicenda di Melfi.
La grande risposta dei lavoratori di quella
fabbrica, guidati da una lucida Fiom-Cgil, ha
imposto nell’agenda politica la questione operaia
e quella del lavoro.
La lotta dei lavoratori lucani è un contributo efficace alla definizione di una risposta di
sinistra alla crisi sistemica della nostra economia;
essa ha individuato nella difesa dei diritti fondamentali la centralità dell’iniziativa: salute, qualità
della vita, giusto salario, titolarità delle decisioni.
Il presidio di massa degli stabilimenti ha
messo in luce antichi metodi repressivi, dall’uso
della polizia contro i lavoratori in lotta, alla censura per mascherare le ragioni della mobilitazione
operaia: in Italia è aperta una grande questione
democratica e sociale.
Il governo di centro-destra non può essere battuto solo con la sacrosanta denuncia delle
sue scelte spudoratamente di classe, ma con la
contemporanea realizzazione di un’ampia unità
programmatica tra tutte le forze di centro-sinistra.
L’ARS è nata come luogo idoneo a facilitare l’incontro di tutte le espressioni, singole e
organizzate, in cui si configura la sinistra.
Un vuoto politico si è aperto a sinistra
che nessuna forza, singolarmente presa, può colmare: è il problema che dobbiamo affrontare.
Nel centro-sinistra esiste attualmente uno
svantaggio della sinistra, anche nella rappresentanza, rispetto agli orientamenti moderati.
Siamo profondamente convinti, e l’esperienza dei governi ulivisti lo ha dimostrato, che le
proposte dei riformisti non esprimono il punto di
vista maggioritario del grande movimento di
massa in atto nel Paese da circa tre anni.
Non solo, ma siamo convinti che la lista
unica riformista “Uniti nell’Ulivo” abbia affossato l’Ulivo stesso e aperto scenari politici nuovi a
sinistra. Infatti, tutti coloro che non accettano che
in Italia venga meno la presenza organizzata di un
partito che si richiami all’esperienza storica
socialista e comunista, sentono l’urgenza di un
processo costituente per una forza autonoma e
unitaria, che sappia coniugare l’essere alternativa
e propensione di governo.
I movimenti di lotta, l’esperienza del
Forum per l’alternativa programmatica di gover4 gennaio / aprile 2004
no che ha formulato precise Proposte per un programma incardinato su lavoro e stato sociale,
ambiente e qualità dello sviluppo, democrazia,
istituzioni e cittadinanza, per un’Europa di pace,
sociale e democratica, il diffondersi di esperienze
associative sul territorio, sono la solida base su
cui operare.
A rafforzare queste convinzioni ce lo
ricordano gli oltre dieci milioni e mezzo di italiani che, malgrado la campagna astensionista del
centro-destra e dei partiti riformisti dell’Ulivo,
hanno votato al referendum per l’abolizione dell’articolo 18 della legge 300, una legge che
discrimina la maggior parte dei lavoratori.
Lo scontro è tra modelli alternativi
L’ARS di Imperia ha contribuito all’elaborazione programmatica non soltanto fornendo
prezioso materiale per le prossime elezioni amministrative ma proseguendo la riflessione sul tema
della democrazia diffusa, con la convinzione che
tali problematiche siano la chiave di volta di una
nuova visione teorica e pratica dell’essere di sinistra.
La riflessione della sinistra deve concentrarsi sulle scelte basilari di un nuovo modello di
sviluppo che poggi su consumi collettivi e non
energivori, ambientalmente e socialmente sostenibili, dove la ricerca, la cultura e l’arte ne siano il
volano.
Un modello, pertanto, che individui nelle
imposte dirette, e non nelle tasse, la priorità per
l’accumulazione, come pure nell’impresa pubblica (europea, nazionale, locale) e in quella mista i
perni produttivi. Solo se si realizzeranno tali presupposti, le aziende private potranno riesprimere
le proprie potenzialità.
Un modello pertanto che dia preminenza
alla domanda interna per rispondere ai bisogni
insoddisfatti dei ceti popolari.
Il livello dello scontro è necessariamente
quello europeo e pertanto la sinistra non può che
opporsi a un progetto di costituzione dell’Unione
Europea come quello tratteggiato dal Trattato
costituzionale, definito dalla Convenzione
Giscard, in quanto definito su presupposti che
non prevedono il primato del lavoro e non escludono la guerra come mezzo risolutore dei conflitti
internazionali. Ma soprattutto non sono stati coinvolti nel dibattito preparatorio milioni di europei.
Il nuovo modello di sviluppo non può,
inoltre, prescindere dall’aspetto costituzionale e
istituzionale del nostro Paese.
Se, come pensiamo, l’efficacia del
modello preconizzato, deve poggiare sul consenso democratico delle scelte e nella loro gestione,
appare in tutta la sua gravità l’operazione del centro-destra tesa a modificare regressivamente la
nostra Carta costituzionale, un disegno che
minaccia l’unità del Paese (in particolare su
sanità, istruzione e sicurezza) e mette a repentaglio le libertà dei singoli e lo stato di diritto, evidenzia atti che vanno nella direzione di una dittatura della maggioranza, una fattispecie già
denunciata nel XIX secolo da Tocqueville.
L’allarme è tale da aver provocato anche
un voto del Parlamento europeo di ammonimento
per il regime di monopolio dell’informazione di
Berlusconi e del centro-destra all’indomani dell’approvazione della sciagurata legge Gasparri.
Nei prossimi mesi l’Ars continuerà a
denunciare la deriva autoritaria del centro-destra
e a lanciare appelli in difesa della nostra Carta,
pur cosciente del grave errore ulivista, al termine
della precedente legislatura, allorché impose una
pasticciata riforma federale con una utilizzazione
spregiudicata e discutibile dell’articolo 138 della
Costituzione, con una risicata maggioranza di
cinque voti e un centro-destra che lo ripaga con la
stessa moneta.
Nello stesso tempo, sul piano europeo la
priorità degli interventi sarà incentrata sulla
richiesta di una Costituzione democratica dell’Ue
e quindi la più netta contestazione del Trattato
costituzionale licenziato nel luglio del 2003.
Non si trascurerà, perciò, sull’onda di tali
impegni, la priorità a schierarsi contro la guerra,
per un’informazione libera e plurale, per l’indipendenza della Magistratura (su cui incombe la
spada di Damocle del progetto del governo per
annullarne l’autonomia).
Il lavoro è tanto, è vero; ma ciò deriva
dalla necessità, ormai matura, di accelerare il processo costituente di una forza di sinistra che
aggreghi e rappresenti esigenze ineludibili di
riscatto delle più ampie masse popolari.
* Presidente ARS - Imperia
P.S.
Il presente articolo è stato redatto sulla base della
relazione tenuta in occasione dell’assemblea pubblica organizzata dall’Ars il 29 aprile scorso sul
tema Contro la guerra in Iraq, per l’immediato
ritiro del contingente italiano, per una nuova
pratica politica partecipata, per dar corpo a una
grande forza della sinistra autonoma e unitaria,
5 gennaio / aprile 2004
forte di un’analisi critica della realtà e capace di
una propria proposta di governo.
In queste tre settimane si sono avuti interessanti sviluppi e nuove vicende politiche si
sono affacciate alla ribalta.
In India, il partito del Congresso guidato
da Sonia Gandhi, i partiti comunisti e di sinistra
hanno ribaltato le previsioni della vigilia sconfiggendo la destra che ha governato il Paese negli
ultimi anni.
Anche in quella che viene denominata la
più grande democrazia del mondo ha soffiato il
vento del movimento no global (ricordiamo che il
recente appuntamento annuale si è tenuto a
Mumbay-Bombay).
Su questo importante avvenimento occorrerà ritornare in modo approfondito per esaminare
gli aspetti della controffensiva nazionalistico-razziale della destra, battuta alle elezioni, contro la
Gandhi e dell’aggressività del mondo finanziario
che paventa turbamenti ai propri affari, oltre che
per il peso internazionale dell’India.
A Melfi i lavoratori hanno vinto la loro
battaglia obbligando la direzione della Fiat a trattare e a riconoscere il valore delle rivendicazioni
operaie e soprattutto il peso politico dell’assemblea unica abilitata a sancire gli accordi (e in
effetti si è espresso a favore oltre il 77 per cento
dei lavoratori interessati).
Per quel che riguarda la compagnia aerea
di bandiera vi è da ricordare che la recentissima
decisione del governo di raggruppare nella stessa
persona le funzioni di presidente e di amministratore delegato ha posto momentaneamente fine
alle agitazioni dei lavoratori, rimandando però lo
scontro decisivo a quando il nuovo manager
Cimoli presenterà ufficialmente il piano industriale che, dalle prime indiscrezioni, prevede un
pesante taglio di maestranze.
La vicenda irachena si è ulteriormente
drammatizzata, altri feriti tra i militari italiani, e
uno di loro è morto, negli ultimi combattimenti.
Il governo Berlusconi ha inviato in guerra
un contingente del nostro esercito, mascherato da
forza di pace intervenuto in quel Paese per la
ricostruzione del dopoguerra.
In realtà la guerra non è mai terminata e
risultano risibili i goffi tentativi del governo di
negare la drammatica evidenza.
Sono stati sconcertanti, perciò, i tira e
molla della lista “Uniti nell’Ulivo” e la riluttanza
a siglare una mozione con dispositivo unico.
Le difformità strategiche restano pesanti;
del resto, per riferirci solo agli ultimi anni, occor-
re ricordare che Ds, Margherita e Sdi su tutti gli
avvenimenti importanti, a partire dal G8 di
Genova, hanno sempre rincorso, quando non
osteggiato, il movimento no global.
In questi partiti sono evidenti i segnali di
opportunismo, relativismo programmatico, di
attenzione morbosa ai voti, l’impegno di ristretti
gruppi a difendere il potere, a prescindere.
Tutto ciò accelera il processo di formazione di una nuova aggregazione di sinistra, autonoma, unitaria, alternativa e con propensione di
governo, ad un tempo interprete e parte dei movimenti di lotta in atto.
Ma la gravità della guerra irachena consiste soprattutto nell’aver messo in risalto le angoscianti motivazioni alla base della guerra preventiva.
Lo shock procurato dalle immagini delle
torture, espressione dei diversi fondamentalismi
in campo, evidenzia come gli interessi materiali
delle multinazionali del petrolio e dei grandi affari legati alla ricostruzione irachena, si intreccino
con la coscienza diffusa negli Usa di difendere
con ogni mezzo il loro tenore di vita: molti sentono in quel Paese tutto ciò come loro dovuto, in
quanto popolo speciale cui è affidata una missione di civilizzazione del mondo; un’aggiornata
forma di razzismo che molti avevano già denunciato all’epoca del Vietnam e quando si era venuti
a conoscenza delle speciali scuole della Cia che
allenavano i torturatori inviati nei paesi, in primis
in quelli latinoamericani, che non dimostravano
sudditanza allo zio Sam e anche fedeli applicatori
in patria di canoni simili verso le minoranze ribelli.
È patetico presentare i tentativi di timida
autocritica come elemento di superiorità dell’occidente: hanno iniziato a far volare gli stracci,
con l’aiuto di una corte marziale disponibile, per
proteggere i veri responsabili che sono i vertici
politici della classe dirigente americana.
Tortura scientifica, discriminazioni verso
i deboli: sono i diversi livelli attraverso cui si
esprime il razzismo, forma sempre attuale per
mantenere i privilegi di nazione, casta, ceto.
Nessuno può tirarsi in disparte, dire io non ho
nulla da spartire con tutto ciò: gli atti concreti di
ciascuno, le prese di posizione, il rifiuto dei privilegi sono i migliori giudici.
6 gennaio / aprile 2004
Sorpresa elettorale
in Francia
di Bruno Della Sudda *
Il doppio scrutinio elettorale (elezioni
regionali ed elezioni cantonali per il rinnovamento della metà dei consigli generali, vale a dire le
assemblee dipartimentali) del marzo 2004 ha
costituito un’enorme sorpresa. Certo, un votosanzione contro il governo borghese ChiracRaffarin-Sarkozy era atteso, la base sociale ed
elettorale della destra essendo più ridotta ancora
che nel 2002 dove il carattere limitato di questa
base era stato dissimulato dal fenomeno del 21
aprile (1). Ma si trattava di uno scrutinio locale,
poco propizio a contestazioni di grande ampiezza.
1 Una forte partecipazione a sinistra
Prima sorpresa ed è molto positiva: la
partecipazione elettorale che continuava a calare
da quindici anni si è rialzata in modo generale e
incontestabile.
E quelli e quelle tra gli astensionisti che
sono andati a votare hanno scelto la sinistra. Lo
stesso vale per le nuove elettrici e nuovi elettori.
Si può formulare qualche ipotesi: una
mobilitazione nella continuità dei movimenti
sociali di questi ultimi mesi (ma questa di solito è
lungi dall’essere meccanica nella storia francese
se si ricorda l’esempio dell’episodio catastrofico
delle elezioni del giugno ‘68 con un’ondata violenta di destra); una mobilitazione nella continuità di un profondo sentimento contro la guerra
dell’ultimo anno (ma senza l’obiettivo di governo
come in Spagna); una politicizzazione della gioventù probabilmente sottostimata (nella quale si
combinano la drammatica esperienza della disoccupazione e della precarietà e lo sviluppo della
coscienza contraria alla guerra e altromondista).
Tuttavia se la partecipazione elettorale è
aumentata, essa resta ancora insufficiente, in particolare nei quartieri popolari. Né la crisi della
politica né quella della sua rappresentanza sono
cancellate da questo scrutinio segnato da un
aumento della partecipazione.
le. Questo partito acchiappa elettori della borghesia che pretendeva di raccogliere nel suo seno
tutte le tendenze della destra, non fa molto meglio
delle candidature che si richiamano alle presidenziali del 2002. Ed esso è fiancheggiato da una
UDF che, senza ottenere un reale sfondamento
elettorale, è ormai inevitabilmente a destra.
Una UDF che ha saputo occupare uno
spazio: quello di una destra più centrista e meno
brutale, meno sorda alla difficoltà sociale e più
preoccupata delle aspirazioni al pluralismo che
esistono anche nell’elettorato di destra.
La disfatta della destra è tale da aprire la
prospettiva di una crisi di regime e una crisi politica maggiore, tanto più che la proroga condizionale di Raffarin come primo ministro da parte di
Chirac, esprime crudelmente l’assenza di una pur
minima alternativa e il cinismo assoluto della
destra attraverso il suo profondo disprezzo per
l’espressione del suffragio universale. Il dominio
di Sarkozy sull’apparato dell’UMP, un banco di
pesci che affianca bruscamente colui che può salvare questo conglomerato di arrivisti e notabili,
alimenta questa crisi a destra: il vero capo del
governo, che è il sindaco di Neuilly, il comune
più ricco di Francia, minaccia, sulla base di una
popolarità artificiale e quindi estremamente fragile (2), le istituzioni politiche della Va Repubblica e
lo stesso Chirac.
3 E l’estrema destra?
I risultati del Fronte nazionale devono
essere analizzati con prudenza. In effetti, esso
ristagna, perfino regredisce nelle sue zone di
forza e nei quartieri popolari, non in tutti, ma
resta debole.
La vigilanza si impone quindi sempre,
anche se occorre compiacersi che esso non realizza un nuovo balzo in avanti che molti temevano,
tanto appariva favorevole ad esso la situazione.
Si può ipotizzare che il mantenimento di
una attività molto importante, anche se sarebbe
2 Disfatta a destra
irresponsabile magnificarla perché resta ampiaPer l’ UMP che aspirava all’egemonia mente al di qua delle poste in gioco dei movimenelettorale nel campo borghese, lo scacco è crude- ti sociali, contribuisce a bloccare la progressione
7 gennaio / aprile 2004
dell’estrema destra come movimento di opinione
in particolare negli strati popolari.
Ma questa ipotesi resta da verificare e
solamente studi molto raffinati permetteranno di
vedervi più chiaramente. Questa ipotesi non è
contraddittoria con la tesi secondo la quale la riattivazione anche limitata di ciò che permetteva di
distinguere la destra dalla sinistra contribuisce
anche a rendere meno efficace l’influenza elettorale dell’estrema destra nei quartieri popolari. Ma
ripetiamolo: il terreno resta propizio, alimentato
continuamente dalla crisi della politica e dalla sua
rappresentanza, l’affarismo, la miseria sociale, il
ritardo dell’alternativa come seria prospettiva
politica e la cristallizzazione disastrosa dei problemi sociali in problemi sedicenti etnici (3).
Infine la scomparsa biologica a breve termine di Le Pen lascia aperta la questione della
sua successione che può sfociare in un avvicinamento repentino con la destra la cui facilità di
assorbimento della tematica dell’estrema destra
non è mai stata così forte. Una ricomposizione
all’italiana non è da escludere: il fatto che l’UMP
passi sotto il controllo di Sarkozy, il quale mette
insieme brutalità poliziesca e xenofoba e ultraliberismo economico e i cui debiti verso il Fronte
nazionale sono considerevoli, deve incitare alla
più grande attenzione.
4 A chi la vittoria: sinistra o sinistre?
Il vincitore visibile di questo scrutinio è il
Partito socialista, esso è il partner numero uno
delle intese passate a sinistra e detiene la presidenza di tutte le regioni sottratte alla destra. Ed è
il PS che pretende, adesso più che mai, condurre
il gioco a sinistra. Il doppio episodio della regione parigina e di quella del Midi-Pyrénées è da
questo punto di vista altamente significativo.
A Parigi, il presidente socialista della
regione si permette di escludere dall’esecutivo
regionale Mouloud Aounit (4) che ha il torto di
essere immigrato algerino di nascita e di sostenere la causa palestinese.
A Tolosa, contro il parere della direzione
nazionale del partito, il PS mena per il naso la
lista Alternativa al momento della fusione tra i
due turni e rifiuta anche la sinistra alternativa nel
raggruppamento della sinistra (5).
Ma a guardare da vicino la vittoria della sinistra
si limita al PS? All’evidenza no: il successo totalmente insperato per i protagonisti delle liste verdi
come di quelle comuniste, come anche la percentuale della lista Alternativa nel Midi-Pyrénées o
la buona tenuta e sovente il progresso delle candi-
dature della sinistra alternativa alle elezioni cantonali, mostrano il contrario. In realtà, è tutta la
sinistra che nell’insieme progredisce con l’eccezione del duo LO-LCR i risultati regionali del
quale sono assai vicini a quelli del 1998 e quindi
apprezzabili ma molto al di qua da quello sperato
ed essi non nascondevano la pretesa di soppiantare il PCF, prima di farlo a pezzi la tappa successiva. Questa irresponsabile pretesa non soddisfatta
non avrà senza dubbio grandi conseguenze su
quella setta che è Lotta Operaia. Ma lo scacco alimenta una crisi a breve termine in LCR, tanto più
che è la Lega Comunista Rivoluzionaria che si è
adoperata più attivamente in favore di questa
alleanza, che l’elettorato non ha seguito a causa
del suo settarismo che rimanda una contro l’altra
la destra e la sinistra.
5 Dimenticato il 21 aprile 2002?
È uno degli aspetti del dibattito a sinistra
dopo questo doppio scrutinio. Per l’ala più a
destra del PS, la buona sorpresa cancella il 21
aprile, la via è aperta ineluttabilmente all’alternanza più o meno tranquilla, senza rimessa in
causa di alcun genere della linea social-liberale
seguita dall’ex sinistra plurale.
Ed è sicuramente intorno al PS che le
future alleanze devono essere concluse, facendo
assegnamento se possibile, sulla vittoria, o al peggio sulla forte pressione degli amici del socialisti
all’interno dei Verdi (Voynet-Cochet) e del PCF
(Hue-Gayssot). Tuttavia, il risultato stesso delle
elezioni -il fatto che si tratti di una vittoria a sinistra che non si limita al PS - pone un problema ai
social-liberali del partito socialista e loro satelliti
dentro i Verdi e il PCF. La pressione dei movimenti sociali riduce il loro margine di manovra,
come l’esistenza di sensibilità contestatrici nell’ambito del PS, ma più ancora il messaggio dell’elettorato stesso. Perché questo messaggio non è
per nulla un voto di rassegnazione e di fiducia nel
PS, esso non lo scagiona in nulla dall’esperienza
dell’ex sinistra plurale. È un voto-sanzione, ma
non solamente questo: è un voto portatore di esigenze, quelle espresse dai movimenti sociali,
attraverso le multiformi mobilitazioni cittadine e
il movimento altromondista. Bisogna anche comprendere il ritorno nelle settimane che hanno preceduto le elezioni, particolarmente nel PACA o
nel Poitou-Charente, dei temi e degli slogan quali
la democrazia partecipativa, un altro mondo è
possibile, il rifiuto radicale dell’AGCS ecc., nei
discorsi del PS e indipendentemente dal contenuto
reale di tali formule o slogan.
8 gennaio / aprile 2004
6 Un voto sanzione?
Questa espressione è stata sovente impiegata dopo le elezioni. Ricopre una realtà incontestabile, ma è anche troppo riduttiva e quindi pericolosa e non senza conseguenze. Sì, la destra è
stata vittima d’un voto-sanzione. L’elettorato,
come aveva parzialmente condannato il Partito
Socialista a causa del social-liberismo alle presidenziali del 2002, ha confermato il suo voto due
anni più tardi rigettandone nello slancio il liberismo duro e aggravato della destra. E vi è quindi
continuità tra i due risultati, piaccia o meno a
quelli che pretendono di dimenticare il 21 aprile.
Ma se non si trattava che di un voto-sanzione, come spiegare che non si è prodotto nulla
di quello che ci si immaginava, ossia una crescita
supplementare dell’astensionismo combinata a
una nuova avanzata del Fronte nazionale e una
conferma del risultato di Lotta Operaia e della
Lega Comunista Rivoluzionaria?
Si ritorna quindi a sfumare fortemente la
nozione del voto-sanzione e a dare un senso più
preciso e più positivo all’utilizzo del voto di sinistra per fare barriera contro la destra, aspirando a
una alternativa anche se rimane ancora largamente da definire. Il dibattito è dunque aperto a sinistra e deve essere condotto alla sola scala che
vale: quella dell’Europa. Questo dibattito riguarda il progetto, come hanno ammesso i responsabili nazionali del PS nel momento culminante della
vittoria elettorale, ma successivamente parlandone meno, al di là del rifiuto della destra.
La discussione si riferisce alla scelta tra
l’alternanza e l’alternativa.
ma lontano dai loro obiettivi. Una incontestabile
dinamica infine ha giocato tra i due turni con una
partecipazione in rialzo e un eccellente aumento
di voti, molto al di là delle due altre liste di sinistra, in favore della lista Vauzelle.
E si concluderà sul fatto che la lista
Vauzelle, tra tutte quelle equivalenti nelle altre
regioni, ha condotto la campagna, più a sinistra,
almeno nelle sue formule e nei suoi slogan, attirando nelle sue riunioni e incontri un pubblico
sovente di donne e giovani, dopo aver organizzato dei forum relativamente aperti. Queste tendenze valgono su scala dipartimentale. Sono tuttavia
rese relative dalla buona tenuta della destra nelle
elezioni cantonali nel Var e nella Alpi Marittime,
in modo particolare nelle zone rurali e montane.
Questa osservazione deve essere completata da un avvenimento locale preciso: la città di
Nizza registra alle elezioni cantonali (dove i cinque eletti di sinistra mantengono il loro seggio e
mancano per poco il sesto: cose mai viste) come
alle elezioni regionali (per la prima volta la lista
di destra è dietro la lista Vauzelle), una spinta che
conferma l’avanzata elettorale globale e continua
della sinistra in questa città che si verifica da un
decennio.
7 E nel PACA?
Lo scrutinio nella regione PACA è stato
sovra determinato dalle poste in gioco più generali già ricordate. Si traduce per quello che concerne lo scrutinio regionale in una disfatta della
destra tanto più spettacolare per questa regione,
malgrado la presidenza socialista uscente, luogo
nello stesso tempo di un feudo della destra e laboratorio di congiunzione tra la destra e l’estrema
destra da mezzo secolo. Una delle conseguenze
più importanti del risultato regionale è la maggioranza assoluta della sinistra, nuovo dato rispetto
al mandato precedente ed effetto del nuovo sistema elettorale. Si ricorderanno, peraltro, di queste
elezioni i seguenti elementi: la destra ha molto
sofferto anche nelle zone forti, l’estrema destra
sembra bloccata nelle sue avanzate precedenti, le
liste di sinistra critica e di estrema sinistra ottengono un risultato complessivo non trascurabile
(2) - Per Emmanuel Todd, Sarkozy ha largamente contribuito, contrariamente alle apparenze, alla disfatta della destra
come in altra occasione Pasqua anche lui popolare nei sondaggi prima della sua caduta.
* Consigliere comunale di Nizza
Liste Alternatifs
(1) - Il voto massiccio per Chirac al secondo turno delle elezioni presidenziali per respingere la minaccia di Le Pen.
(3) - È questa cristallizzazione che è stata voluta dalla destra
in occasione della vicenda del velo e concretizzata in modo
ipocrita con una legge antivelo approvata dal PS.
(4) - Presidente del Movimento contro il Razzismo e per
l’Amicizia tra i Popoli (MRAP) ed eletto nella lista BuffetVilliers (PCF-Alternativa cittadina, raggruppamento di una
parte della sinistra alternativa), lista che aveva realizzato più
dell’8% nella regione, più del 12% a Tolosa e che aveva
unito membri di associazioni, sindacalisti, regionalisti, altromondisti, dissidenti socialisti e comunisti, oltre che Verdi e
Alternativi.
(5) - Questa elezione è municipalizzata: dà un primato in
seggi alla lista vincitrice per garantire una maggioranza assoluta.
9 gennaio / aprile 2004
SIGLE DEI PARTITI E MOVIMENTI
PS
PC
Verts
PRG
MRC
UMP
UDF
FN
CPNT
MNR
div. Écol.
LCR
LO
MEI
div. sinistra
div. destra
altri
partito socialista
partito comunista
verdi
partito radicale di sinistra
movimento repubblicano e cittadino
unione per il movimento popolare
unione per la democrazia francese
fronte nazionale
caccia, pesca, natura e tradizioni
movimento nazionale repubblicano
ecologisti
lega comunista rivoluzionaria
lotta operaia
movimento ecologista indipendente
diversi di sinistra
diversi di destra
altri
10 gennaio / aprile 2004
^
11 gennaio / aprile 2004
12 gennaio / aprile 2004
13 gennaio / aprile 2004
14 gennaio / aprile 2004
Privatizzazione della guerra: una novità che parte da lontano
Bernard, il mercenario invisibile
al soldo di una guerra umanitaria
di Paolo Odello*
A fine primavera del 1999 il Kosovo si
andava normalizzando, così dicevano i media
occidentali alla affannosa ricerca di una legittimazione dell’attacco contro ciò che rimaneva della
Federazione iugoslava. L’avevano anche definita
una guerra umanitaria, e questo nonostante le
troppe bombe intelligenti cadute sul bersaglio
sbagliato. In quegli anni ancora non si parlava di
body-guard privati, ma nei porti albanesi, mescolati con volontari e giornalisti al seguito della
cosiddetta missione arcobaleno, cominciavano a
circolare strani personaggi. Ufficialmente non
esistevano, fantasmi arrivati segretamente fra le
macerie di una guerra ancora da finire e che, in
caso di morte sul campo, sarebbero stati rimpatriati con ancora maggiore segretezza. Ex soldati
di eserciti in dissoluzione oppure veterani di operazioni in altre zone di guerra che sbarcavano nei
Balcani in forma privata per annusare l’aria, per
valutare se anche da quella guerra poteva venir
fuori l’affare. La presenza di quei mercenari, epigoni di altri soldati di ventura, passò in silenzio.
Già allora una parte della sinistra, tutta
tesa a legittimarsi come alleato fedele dei vertici
Nato, preferì non vedere. Di fatto erano, oggi
appare evidente, l’avanguardia di un nuovo modo
di intendere la guerra che proprio in quegli anni si
andava delineando.
Questo il racconto della conversazione
con uno di questi personaggi. Registrata per conto
dell’agenzia di stampa per cui lavoravo all’epoca.
«Quella in Kosovo è una guerra con le
pezze al…, non vale la pena di rischiare» esclama
l'uomo seduto di fronte. «In Bosnia pagavano
molto di più, 60 milioni in sei mesi più il premio
contro i 36 d'oggi, eppure c'erano meno rischi.»
Inizia così il racconto di Bernard. Non è
il vero nome ma, gli piace farsi chiamare così.
«In ricordo della Legione» dice. Una quarantina
d’anni e un passato da guastatore al soldo della
Francia, a pochi anni dal congedo si è riciclato
come esperto di esplosivi. Ripulire, con discrezione, le zone infestate dalle mine è il suo lavoro.
«Ho iniziato le missioni all'estero con la fine della
guerra nella ex Jugoslavia. La Croazia orientale
nel '95 e poi in Bosnia, l'anno dopo» racconta.
«Una volta entrato nel giro è normale che ti
ricontattino.»
Fuma una sigaretta dietro l'altra mentre
snocciola le parole del racconto. «Un lavoro
come un altro» lo definisce e lo spiega entrando
nei dettagli. «Normalmente sono tre le squadre
che intervengono nel lavoro di bonifica. La
prima, composta di tecnici esperti di rilevamenti
elettronici, prepara la mappa della zona, quella
che nessun esercito, regolare o guerrigliero che
sia, ti fornirà mai. Con il loro padellone individuano e picchettano le mine: delimitano il terreno
da bonificare stabilendo la traccia del primo intervento» dice Bernard. «Seguono gli sgrossatori, la
seconda squadra, che ripuliscono il terreno dalle
bombe rimaste in superficie; soltanto al termine
di questa prima bonifica si può lavorare in
profondità.»
Dietro alle lenti scure degli occhiali da
sole si può immaginare uno sguardo carico di
passione. Bernard racconta della sua carriera di
mercenario free lance come qualsiasi altro libero
professionista o artista parlerebbe di un progetto
appena approvato. «Si deve tenere conto che l'intervento riguarda ex zone di combattimento: non
sono ordigni posizionati il giorno prima. Quando
15 gennaio / aprile 2004
tocca a noi, una vera legione straniera di professionisti, la guerra è già finita e puoi trovare di
tutto, anche mine antiuomo sprofondate ad una
profondità di oltre un metro grazie al fango.»
Seduto al tavolo del bar, con la birra in
mano e la t-shirt dei Simpson, tutto sembra fuorché un soldato di ventura. «L'ideologia non c'entra, la mia fede politica riguarda soltanto me»
sbotta Bernard. «Chi contatta gente come noi non
ha bandiere da difendere: fornisce un servizio a
chi è in grado di pagarlo» chiarisce ancora
Bernard. «E non chiamatemi mercenario. Io sono
un professionista che, in modo molto discreto,
presta la sua opera in zone di guerra.»
Un sorso di birra e il racconto prosegue:
«Siamo pagati per lavorare senza apparire: il
lavoro deve essere svolto senza pubblicità, nessuno deve sapere della nostra esistenza». «Portare
una squadra invisibile formata da professionisti
come noi costa meno e non crea problemi politici
e neppure diplomatici» insiste Bernard.
«Muovere un esercito costa troppo e il rischio è
maggiore. Se muore un soldato, per quanto
volontario, si devono dare troppe spiegazioni a
chi resta a casa. Come si dice il paese vuole sapere e allora veniamo contattati noi: costiamo meno
e, in caso di incidente, nessuno verrà mai a chiedere spiegazioni. Quando il nostro lavoro è finito,
e soltanto allora, arrivano quelli ufficiali con le
troupe televisive al seguito, come dicevo il paese
vuole sapere e allora niente di meglio di un bel
filmato, senza rischi, da inviare al telegiornale.»
Bernard ride compiaciuto. «Ad ogni chiamata la sequenza dei colloqui si ripete: ogni
ingaggio è una storia a sé. Al primo incontro si
arriva solo con la presentazione di chi ha già
lavorato per l'organizzazione. Il reclutatore vaglia
la tua reale disponibilità e, se fai al caso suo, ti
richiamerà servendosi come tramite di chi ti ha
presentato… Al secondo livello di incontri, un
nuovo reclutatore è incaricato di sondare in modo
più approfondito la tua preparazione nel campo
specifico.»
Bernard si addentra, per quanto gli è possibile, nei dettagli: «Devi rispondere a domande
teoriche del tipo come intervieni su un terreno in
cui ci sono bombe a grappolo e mine antiuomo
interrate a diverse profondità? E poi vogliono
avere da te informazioni che loro conoscono già.
Ti fanno domande sui tuoi precedenti con la
legge, se stai scappando da qualcosa e se hai
qualcosa da nascondere. Non ti conviene bluffare
perché, le risposte, il reclutatore le conosce già: è
un modo per saggiare il tuo grado di affidabilità.»
Bernard prende fiato e, con il tono di chi
confida un segreto, dice: «Se arrivi al terzo livello, ti presenti sul luogo dell'appuntamento con il
sacco già pronto perché potresti, in caso affermativo, partire subito».
Altra birra e il racconto entra nel vivo.
«Un container esternamente è il rimorchio di un
bilico che però all'interno è arredato come un
vero appartamento: letto, doccia e bar personale ti
accompagnano per tutta la missione. Anche delle
donne se ne occupa l'organizzazione. Si viaggia e
si lavora quando non c'è il rischio di incontri
imbarazzanti. Non devi esistere per nessuno così
anche le signorine non sono mai le stesse: l'organizzazione non lascia niente al caso.»
* Giornalista
16 gennaio / aprile 2004
Testo preparatorio per il 3° incontro franco-italiano - Nizza 8 maggio 2004
Contro le destre in Europa:
quale alternativa a sinistra?
Dopo il nostro ultimo incontro nell’ottobre 2003 la situazione politica europea ha conosciuto diversi importanti cambiamenti: il duplice
scacco dei 15 sul piano economico e su quello
istituzionale al summit di Bruxelles del 2003; la
duplice disfatta elettorale della destra, a sorpresa,
in Spagna e in Francia in marzo così come la
disfatta elettorale della sinistra greca. Questi
avvenimenti peseranno nella prospettiva delle
elezioni europee del 13 giugno prossimo.
Il contesto di tale scrutinio ha di particolare ed esplosivo che da una parte è la prima volta
nella storia dell’UE che un’elezione europea sarà
incentrata sul tema dell’avvenire dell’Europa
stessa e che d’altra parte nessuno può negare la
situazione di crisi profonda dell’UE.
Il fiasco di Bruxelles
Il duplice scacco della conferenza intergovernativa ha suggellato sia l’incapacità di due
tra i protagonisti storici dell’UE, la Germania e la
Francia, a rispettare gli obblighi del Patto di stabilità, definito stupido da Romano Prodi stesso,
che il disaccordo sul progetto di trattato costituzionale elaborato dalla Convenzione Giscard.
Lo scacco del Patto di stabilità potrebbe
far sorridere, sapendo le pressioni esercitate in
altre occasioni dai governi tedesco e francese per
convincere gli altri esecutivi europei a seguirli
negli obblighi che ne sono derivati, a cominciare
dalle restrizioni di bilancio, la precarizzazione e
la rarefazione dell’impiego e gli attacchi contro i
pubblici servizi, i diritti e le conquiste sociali.
Quelli che Germania e Francia considerano piccoli paesi hanno apprezzato col loro metro
questa retromarcia cinica dei due elementi del
motore UE, quelli che fanno lezione agli altri,
allorché questi piccoli paesi hanno tutti condotto
senza colpo ferire terribili politiche di austerità
molto più drastiche di quelle di Berlino e Parigi.
Per ciò che concerne lo scacco istituzionale, si è tradotto con il rifiuto dei piccoli paesi e
del duo Madrid-Varsavia di accogliere pro tempore le scelte della Convenzione Giscard che propone, tra l’altro, per ciò che concerne la distribuzione dei poteri esistenti dell’UE, di rivedere a partire dal 2009 la ripartizione decisa al summit di
Nizza nel 2000 sotto la guida del duo franco-tedesco. Il fiasco di Bruxelles non è congiunturale:
esso segna lo scacco del processo stesso di
costruzione europea, segnato dall’assenza di
democrazia e dal primato delle concezioni economiche liberali. Un processo del quale bisogna
ricordare che non è esterno, contrariamente a
quello che tende a far credere una certa demagogia antieuropea, alle realtà nazionali dei paesi
membri dell’UE. In effetti, se i paesi sono privati
d’un numero crescente di prerogative in tutti i
campi, sono i loro stessi governi che hanno adottato queste decisioni tendenti a spossessarli, sono
ancora essi che prendono attualmente le principali
decisioni - e non la commissione contrariamente
a una tenace leggenda - tramite il Consiglio europeo… e sono le stesse che difendono queste concezioni non democratiche e liberali a livello
nazionale. Sul piano politico si tratta della destra
ma anche del centrosinistra sotto il dominio
socialdemocratico e quindi social-liberale, su un
fondo di atlantismo condiviso, e questo a partire
dal trattato di Roma del 1957.
Spagna, Francia: doppia sorpresa
La cinica e grossolana manipolazione
della destra di Aznar - modello dell’UMP francese
(il partito di Chirac, ndt) - dopo l’attentato dell’11
marzo a Madrid non spiega da sola il ribaltamento elettorale spagnolo. Più profondamente, quella
che è risorta è l’onda lunga contro la guerra in
Iraq del 2003 e la politicizzazione della società, a
cominciare dalla gioventù degli ambienti popolari
come dei ceti medi: questa politicizzazione è cresciuta in questi ultimi anni contemporaneamente
attraverso le mobilitazioni pacifiste dell’ultimo
anno, col progresso del movimento altromondista
17 gennaio / aprile 2004
e nell’esperienza no future sul terreno della scarsità, incertezza e precarietà del lavoro e l’inserimento di conseguenza problematico nella società
adulta.
Si noterà che il rigetto massiccio della
destra, sinonimo del rigetto della guerra e del
liberalismo, si è avuto a vantaggio essenzialmente del PSOE (partito socialista spagnolo) e nella
stessa misura a vantaggio delle forze politiche
nazionaliste catalane, basche e galiziane; la sinistra critica rappresentata dalla sinistra unita (IU)
è stata relativamente marginalizzata.
Se la situazione francese è differente, tuttavia due punti comuni appaiono al termine di
questo doppio appuntamento elettorale di marzo.
Si tratta, innanzitutto, della forte partecipazione elettorale, rovesciando in Francia, in
modo spettacolare, la progressione continua,
dopo più di vent’anni, della curva dell’astensione.
E si tratta egualmente, in questo quadro,
di una polarizzazione della gioventù a sinistra che
si può raccordare al posto avuto dalla gioventù in
Spagna nel movimento altromondista e antiguerra
in Iraq, e in Francia nella mobilitazione del dopo
21 aprile 2002 (momento alto della partecipazione politica).
Per mancanza di studi seri, oggi è ancora
troppo presto per misurare l’effetto spagnolo sull’elettorato francese. Ma si può sostenere senza
difficoltà che questo effetto ha inciso.
In Francia, due elementi di analisi
l rigetto della guerra in Iraq non è stato
così forte in termini di mobilitazione, stante le
posizioni del governo francese, ma il rigetto del
liberalismo ha giocato in pieno nell’ultimo scrutinio… E lo sviluppo di un movimento di opinione
contro la guerra ultra maggioritario non pesa in
definitiva, con la politicizzazione che spinge o
alimenta, per la sinistra?
Il rigetto del liberalismo ha giocato in
favore di tutta la sinistra, contrariamente al caso
spagnolo, poiché il partito socialista (PS) non è il
solo ad aver vinto: il partito comunista (PCF) e i
verdi escono rafforzati da queste elezioni anche
se questo rafforzamento è segnato dall’ambiguità
dei risultati dello scrutino cantonale - assai sfavorevole al PCF, il declino del quale prosegue.
La sinistra alternativa non è stata presente
in modo significativo che in una regione (Midi-
Pyrénées), con successo, ma senza presenza nel
Consiglio regionale per il mancato accordo con il
partito socialista tra i due turni elettorali.
La regione parigina ha costituito un caso
a parte, per l’alleanza di una parte della sinistra
alternativa con il PCF.
Cancellato il 21 aprile?
Senza dirlo sempre apertamente, la direzione del partito socialista (PS) considera che il
successo elettorale di marzo cancella l’affronto
del 21 aprile 2002, che vide l’esclusione della
sinistra dal secondo turno delle elezioni presidenziali, considerando il tutto ridotto a un semplice
incidente che spiega la dispersione della sinistra
in quel momento.
Riconoscendo che il loro partito non ha
ancora un vero progetto, questi dirigenti socialisti, anche se si difendono, mantengono nei confronti di altre componenti di sinistra un comportamento egemonico, come si è visto nella regione
Midi-Pyrénées, e non rimettono in discussione i
loro orientamenti di fondo social-liberali.
Vi è materia di dibattito a sinistra: le
ambiguità socialiste si erano già espresse in occasione del grande movimento sociale del 2003
sulle pensioni, persistendo tali ambiguità sulla
questione centrale dell’assicurazione malattia.
Alternanza o alternativa?
Per partecipare a questo dibattito cruciale, dibattito al quale il PS ha potuto sottrarsi fino
ad ora, occorre pensare i luoghi dove attuarlo
aprendolo il più largamente possibile: i protagonisti di questa discussione devono essere i milioni
di uomini e donne interessati e non solamente gli
apparati piccoli e grandi.
Se è vero che il voto di marzo in Francia
è stato un voto-sanzione, non è stato soltanto questo e ridurlo a ciò è sbagliato.
Voto-sanzione significa che l’elettorato
ha utilizzato il voto a sinistra per colpire la destra:
è esatto e ciò significa che non è un voto di adesione al partito socialista (PS).
Ma il fatto che la vittoria non è solo quella del PS ma anche quella di una sinistra critica e
alternativa traduce altre aspirazioni e la ricerca di
un’alternativa a sinistra.
In questo senso è falso e pericoloso ridurre questo voto a un voto-sanzione.
18 gennaio / aprile 2004
Il ciclo politico aperto in Francia il 21
aprile non è terminato: la sinistra plurale era stata
punita dall’elettorato popolare perché la sua politica era troppo poco di sinistra, questa volta è la
destra che è colpita brutalmente senza che per
questo ci sia stato un voto di adesione a sinistra.
E nel 2002 come nel 2004 è il liberalismo che è
stato respinto.
E ora?
Il doppio scacco spagnolo e francese
della destra è stato eclissato dalla disfatta elettorale della sinistra greca. Tale voto colpisce in
modo meno eclatante che il 21 aprile in Francia,
ma è ugualmente dovuto alla differenza tra le
aspirazioni dei movimenti sociali e delle mobilitazioni dei cittadini e l’orientamento social-liberale sul quale si è schierato il principale partito
della sinistra greca (PASOK, partito socialista).
Lo scrutinio europeo del 13 giugno si
svolge in un contesto differente rispetto alla fine
del 2003, anno segnato dalla frattura europea al
momento della guerra in Iraq e dal successo del
Forum sociale europeo di Parigi-Saint Denis.
Le aspirazioni pacifiste espresse l’anno
scorso non possono essere scollegate dai movimenti sociali: è stato il collegamento tra il pacifismo e le rivendicazioni sociali il centro del citato
Forum.
Tuttavia la pressione sociale e pacifista
resta insufficiente: essa torce a sinistra certamente la problematica elettorale socialdemocratica in
previsione del 13 giugno, ma non si traduce in
fratture tra i governi dei 15.
In effetti quello che ha condotto al fallimento della Conferenza intergovernativa (CIG) di
Bruxelles è essenzialmente l’impossibilità di un
accordo istituzionale tra gli uni e gli altri.
Non sono stati rimessi in discussione né
l’assenza di democrazia né il bellicismo che deriva dal collegamento con la Nato né le minacce ai
diritti delle donne o alla laicità, in quanto l’ottica
liberale è onnipresente nel Trattato costituzionale.
L’accettazione della Carta dei diritti fondamentali continua a essere presentata dalla
socialdemocrazia, come dalla CES (confederazione europea dei sindacati), come una avanzata
sociale e della cittadinanza, mentre questa Carta
regressiva era stata condannata senza appello dai
componenti del contro-summit di Nizza nel 2002!
Al parlamento di Strasburgo, questo
Trattato costituzionale inaccettabile ha ricevuto
l’approvazione non solo della destra, ma anche
del gruppo socialista e del gruppo verde. Il gruppo delle sinistra unita-sinistra verde nordica è il
solo che si è pronunciato contro, anche se questa
posizione non è stata unanime nel suo seno.
Il fatto che non ci sia stato accordo a
Bruxelles rimette sul tappeto la discussione sul
Trattato costituzionale al termine della presidenza
irlandese per il dopo 13 giugno.
La buona volontà del nuovo governo spagnolo e la marcia indietro polacca sull’Iraq
lasciano presagire un nuovo compromesso.
Indipendentemente dalla questione del
referendum, le prossime settimane saranno l’occasione per i sostenitori di un’altra Europa, con il
prolungamento dei movimenti sociali, delle mobilitazioni dei cittadini e del movimento altromondista, di precisare le loro concezioni, in particolare sui due punti principali:
- le istituzioni e la democrazia: può essere limitata essa all’estensione dei poteri del parlamento di
Strasburgo, pur tuttavia necessaria?
- l’Europa sociale: ci si può accontentare dei pii
desideri che accompagneranno, con correzioni
marginali, la politica di regressione sociale che
minaccia apertamente i diritti e le conquiste
sociali come i anche i servizi pubblici?
I diritti delle donne, lo sviluppo durevole
e i rapporti Nord-Sud costituiscono un altro terreno molto importante: anch’essi richiedono delle
proposte, oltre la denuncia.
E, infine, come costruire i nuovi strumenti politici per una alternativa a sinistra, al solo
livello che valga: quello dell’Europa?
1 maggio 2004
19 gennaio / aprile 2004
Organismi nazionali ARS
COORDINAMENTO
Franco ARGADA
Marco BERLINGUER
Luciana CASTELLINA
Gianluca CERRINA
Giuseppe CHIARANTE
Piero DI SIENA
Mario DOGLIANI
Eugenio DONISE
Donatella ESPOSTI
Alfonso GIANNI
Sergio GIOVAGNOLI
Alfiero GRANDI
Dino GRECO
Massimo ILARDI
Gianni MATTIOLI
Giorgio MELE
Adalberto MINUCCI
Sandro MORELLI
Valentino PARLATO
Gianpaolo PATTA
Luigi PEGOLO
Luciano PETTINARI
Carla RAVAIOLI
Francesca RE DAVID
Cesare SALVI
Aldo TORTORELLA presidente
ESECUTIVO
Luciano PETTINARI coordinatore
Piero DI SIENA vice presidente
Franco ARGADA
Aldo CARRA
Sergio CASERTA
Ruggero CINTI
Giuliano COLAZZILLI
Rocco CORDI’
Giuseppe DI FALCO
Nino FERRAIUOLO
Carla NESPOLO
Costantino PACIONI
Giuseppe PIERINO
Annamaria RIVIELLO
Antonello SECHI
Pierlorenzo TASSELLI
Mauro TORELLI
20 gennaio / aprile 2004
Incontro di Nizza del 8 maggio 2004
Proposte integrative al documento
dei compagni francesi
In Italia, negli ultimi mesi si sono sviluppate lotte ampie per la pace e per il ritiro immediato delle truppe dall’Iraq, lotte che hanno trovato il momento più eclatante nell’imponente manifestazione nazionale a Roma, il 20 marzo scorso.
Il movimento per la pace è tuttora persistente. Anche in Liguria e nella provincia di
Imperia la mobilitazione ha denotato continuità.
Il 4 giugno in Italia giungerà il presidente
degli Stati Uniti per incontrare Berlusconi, il suo
più fedele alleato europeo insieme a Blair. Sono
prevedibili iniziative di lotta, non solo per contestare il massimo rappresentante della guerra preventiva, ma anche per contrastare la decisione del
presidente del Consiglio di far rimanere i militari
italiani in Iraq, anche dopo il 30 giugno.
Nell’ambito del centro-sinistra permane
la divisione sull’opportunità del ritiro immediato
delle truppe italiane dall’Iraq. Mentre il partito
della Rifondazione comunista (PRC), i Verdi, il
Partito dei Comunisti italiani (PdCI), l’Italia dei
valori (Di Pietro e Occhetto) e le minoranze interne dei Democratici di sinistra (DS) hanno dichiarato l’intenzione di intraprendere un’iniziativa
parlamentare, come momento alto della mobilitazione, per richiedere l’immediato rientro in Patria
dei militari, la lista unitaria dei riformisti (socialisti dello SDI, Margherita, DS), che si presenta alle
elezioni europee, manifesta titubanza e si attesta
sulla linea enunciata recentemente da Prodi: è
sbagliata la guerra e l’intervento in Iraq, ma prudenza nel ritiro delle truppe.
La diversità di orientamento tra le forze
di sinistra e quelle moderate, oltre che la divisione all’interno delle singole forze, evidenzia la
persistenza di giudizio divergente sulla fase politica e sul rapporto che deve intercorrere tra
Unione Europea e Stati Uniti.
A sinistra, e non solo, esiste la coscienza
dei guasti provocati dal governo di centro-destra,
diretto da Berlusconi, e delle crescenti difficoltà
economiche e sociali soprattutto per gli strati
popolari e, fatto recente, anche per settori sempre
più ampi di ceto medio riflessivo.
Recente è stata la denuncia del parlamento europeo sui limiti del pluralismo nell’informazione in Italia e i conseguenti rischi per la democrazia, fattore che preoccupa l’insieme dell’Ue.
Le forze più avvertite, a sinistra, sanno
che per battere il centro-destra occorre definire un
comune denominatore dell’alleanza di centrosinistra, alternativa al governo Berlusconi.
Nel 2001 il centro-destra ottenne la vittoria alle elezioni politiche poiché tre milioni di
elettori di sinistra non si recarono alle urne o
annullarono la propria scheda per protesta nei
confronti dell’operato dei governi dell’Ulivo del
quinquennio precedente.
Il centro-sinistra può battere il governo
del centro-destra, non ripetendo gli errori del passato, con la costruzione di un’alleanza tra moderati e sinistra che poggi su precisi capisaldi:
1) lotta per la pace e la legalità internazionale;
2) opposizione al neoliberismo, difesa dei diritti
dei lavoratori e dell’occupazione in primo luogo;
3) diverso sviluppo, ambientalmente sostenibile;
4) estensione della democrazia, lotta alle discriminazioni e difesa dei valori costituzionali.
Gli errori dei governi ulivisti furono causati dalla convinzione che in Italia fosse prevalente un’opinione pubblica moderata e conseguentemente gli esecutivi furono egemonizzati dal punto
di vista dei moderati e della sinistra riformista.
Dopo la sconfitta del 2001, si è aperto a
sinistra un confronto molto duro sulle prospettive
del paese, dibattito confortato dalle ampie lotte
presenti nel mondo del lavoro: nel settore dei trasporti (su gomma e rotaia, Alitalia) e nella Fiat di
Melfi (fabbrica strategica per l’intero gruppo),
così come nel mondo della scuola e dell’università e tra i ricercatori, si sono avuti i momenti più
significativi.
21 gennaio / aprile 2004
La Fiom-Cgil, il principale sindacato
metalmeccanico, è l’organizzazione sindacale di
punta nel rivendicare la centralità del lavoro e
della sua qualità, nell’essere contro la precarietà,
per l’aumento dei salari (tra i più bassi d’Europa),
ma è soprattutto l’alfiere della richiesta di sancire
contrattualmente e legislativamente il principio
che siano i lavoratori a decidere con il loro voto
su tutte le questioni contrattuali che li riguardano.
La battaglia è aspra, le organizzazioni
sindacali di categoria sono divise, ma, anche a
livello confederale, malgrado i recenti tentativi di
ricomposizione unitaria (positiva l’organizzazione dello sciopero generale del 26 marzo scorso in
difesa delle pensioni e per una diversa politica
economica), permangono punti di vista drammaticamente divergenti, come testimonia la firma di
Cisl e Uil del Patto per l’Italia, una proposta neocorporativa voluta a suo tempo dal governo di
centro-destra.
L’esito dello scontro dipende anche dal
confronto culturale: le nostre organizzazioni,
come le tante similari esistenti, possono svolgere
un ruolo prezioso per affermare un punto di vista
di sinistra, ad un tempo antagonista e con la propensione a governare, non solo a livello istituzionale.
Lo scorso 25 marzo il Senato italiano ha
approvato in prima lettura, con la netta opposizione del centro-sinistra, una sconvolgente modifica
della Costituzione antifascista del 1947. Il succitato disegno di legge costituzionale, presentato
dalla maggioranza di centro-destra, assume una
notevole gravità, perché, oltre a prefigurare un
contesto che favorisce il premierato forte, mette
in discussione anche la prima parte della
Costituzione che ne contiene i valori e i principi
fondamentali, isterilendone le difese previste.
La scelta del centro-destra minaccia l’unità del Paese (si mettono a rischio i diritti all’istruzione, alla salute e alla sicurezza) e apre una
grande questione democratica, per la tutela dei
diritti e della libertà dei singoli, contro la dittatura
della maggioranza.
Il centro-destra si è opposto a tutte le proposte tendenti ad alzare i quorum necessari per
modificare la Costituzione, per eleggere il Capo
dello Stato e i presidenti delle due Camere: con
l’esistenza del sistema elettorale maggioritario
vigente tali presidenti e anche la Corte costituzionale saranno sostanzialmente eletti da una semplice maggioranza parlamentare. E ancora: leggi
fondamentali in materia di libertà e diritti saranno
decise da una sola Camera eletta con il sistema
maggioritario e condizionata dai poteri di scioglimento del premier.
Il percorso è ancora lungo, ma non infinito: tre letture del disegno di legge costituzionale
con un intervallo di tre mesi tra la prossima lettura e le due successive e il finale referendum confermativo. Le sinistre e i democratici si giocheranno l’avvenire del Paese su tali questioni.
La campagna elettorale per l’elezione del
parlamento europeo fornisce alle sinistre l’opportunità di incentrare il dibattito sulla critica al
Trattato costituzionale europeo che ha il grave
limite di non essere espressione di un vero dibattito democratico. Tale inadeguatezza risulta eclatante ancor più in quanto la bozza di Costituzione
per l’Europa non prevede il rifiuto della guerra
come strumento di risoluzione dei conflitti (l’articolo 11 della Costituzione italiana è particolarmente efficace in materia).
Sugli aspetti più specifici rinviamo a
quanto scritto nel documento preparatorio dell’incontro tra le nostre associazioni, tenutosi a
Imperia il 25 ottobre 2003.
Per riassumere, ci si dovrebbe impegnare
prioritariamente a:
• assumere iniziative di informazione e mobilitazione sui temi inerenti il Trattato costituzionale
europeo;
• formare gruppi di lavoro con l’obiettivo di formulare proposte per una democrazia diffusa sul
territorio e colmare l’insufficienza degli esistenti
organi istituzionali in ambito nazionale ed europeo;
• elaborare proposte programmatiche per affermare nei nostri territori una diversa politica ambientale e culturale comune.
Imperia, 4 maggio 2004
22 gennaio / aprile 2004
Nizza, 8 maggio 2004 - incontro italo-francese
23 gennaio / aprile 2004
INCONTRO SINISTRE ITALO-FRANCESI
Nizza, 8 maggio 2004
Comunicato conclusivo
L’odierno incontro, organizzato da Associazione per il Rinnovamento della Sinistra
di Imperia, Ballon Rouge di Aubagne e Association pour une alternative à gauche
delle Alpi Marittime sul tema «Dopo il loro scacco in Spagna e in Francia, combattere le destre in Europa: quale alternativa a sinistra?», si è svolto con la partecipazione dei compagni delle seguenti altre associazioni e partiti di Nizza: Nuovo
mondo PSF, gli Alternativi, gli Amici della democrazia, PCF, che hanno accolto
l’invito loro rivolto.
Il dibattito, assai ampio, si è svolto sulla base di due testi preparatori ed ha informato l’assemblea dell’esistenza di ampi e articolati movimenti di lotta per la pace,
in difesa dei diritti democratici e del mondo del lavoro.
Molti intervenuti hanno sottolineato l’inadeguatezza delle sinistre operanti nei
rispettivi paesi, sia sotto il profilo programmatico e culturale, quanto su quello
organizzativo, avvertendo tutti la necessità di fornire una robusta sponda politica al
mondo del lavoro che coniughi alternatività e propensione al governo.
L’impegno delle associazioni organizzatrici dell’incontro è quello di proseguire le
iniziative sottolineando le seguenti priorità:
• sostenere il rafforzamento del movimento di lotta contro la guerra in Iraq, per il
ritiro delle forze di occupazione, per l’isolamento dell’amministrazione Bush e di
quelle ad essa alleate, per la pace, contro la guerra preventiva e per l’affermazione
del diritto internazionale, ricordando inoltre l’importanza di risolvere la questione
palestinese secondo il principio di due popoli, due stati e nel rispetto delle risoluzioni dell’Onu;
• sviluppare l’informazione sul carattere totalmente inaccettabile del Trattato costituzionale adottato dalla Convenzione europea nel luglio 2003, al fine di permettere
• la costruzione di un’Europa sociale e autonoma dagli Stati Uniti;
• si conviene di nominare un coordinamento permanente italo-francese con il compito di dare continuità all’esperienza giunta al terzo incontro e per preparare il
prossimo appuntamento autunnale incentrato sul rapporto partiti, movimenti sociali, democrazia diffusa.
Nizza 8 maggio 2004
24 gennaio / aprile 2004
RENCONTRE FRANCO-ITALIENNE
Nice, le 8 mai 2004
Communiqué issu des travaux de la rencontre
La 3° Rencontre franco-italienne, co-organisée par l’Association pour la
Rénovation de la Gauche (ARS, Imperia), Ballon Rouge (Aubagne) et
l’Association Pour une Alternative à Gauche (Alpes-Maritimes), sur le thème
«Après leur échec en Espagne et en France, combattre les droites en Europe: quelle
alternative à gauche?», s’est déroulée avec la participation de plusieurs invités,
parmi lesquels les Amis de la Démocratie, les Alternatifs, le PCF, le courant
Nouveau Monde du PS.
La discussion, assez ample, s’est organisée sur la base de deux textes préparatoires;
elle a permis d’informer l’assemblée des mobilisations pour la paix et pour la
défense des droits démocratiques et des acquis sociaux, et de l’articulation entre
ces mobilisations, en France, en Italie et en Europe.
De nombreux intervenants ont souligné l’inadéquation entre les gauches de chaque
pays, que ce soit sur le plan programmatique ou culturel ou sur un plan organisationnel, et la nécessité d’élaborer une forte expression politique pour le monde du
travail, conjuguant orientation politique alternative et participation institutionnelle.
Le but des trois associations organisatrices est de prolonger l’initiative de cette 3°
Rencontre franco-italienne et sur la base des priorités suivantes:
• le renforcement de la mobilisation contre la guerre en Irak, pour le retrait des forces d’occupation, pour l’isolement de l’administration Bush et de ses alliés, pour la
paix, contre la guerre préventive et pour l’affirmation du droit international, en particulier dans le cas de la question palestinienne selon le principe deux peuples, deux
Etats et dans le respect des résolutions de l’ONU;
• le développement de l’information sur le caractère inacceptable du projet de traité
constitutionnel adopté par la Convention Giscard l’été 2003, afin de permettre la
construction d’une Europe de la démocratie et de la citoyenneté de résidence, une
Europe sociale et autonome des Etats-Unis;
• la désignation d’une coordination permanente italo-française, avec comme première tache la préparation de la 4° Rencontre franco-italienne à l’automne 2004 sur
le thème «Quels rapports entre mouvements sociaux , forces politiques et démocratie active?».
Nizza 8 maggio 2004
25 gennaio / aprile 2004
Imperia, 26 marzo 2004 - Sciopero generale nazionale
26 gennaio / aprile 2004
Conversazione con il segretario dello Spi-Cgil di Imperia, Enrico Torelli
Il fallimento delle politiche sociali
del centro-destra
a cura di Luciana Zanetta *
Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre
più poveri, cui si aggiungono nuovi poveri provenienti dal ceto medio.
Questa, in estrema sintesi, la situazione
del nostro paese, dove, paradossalmente il tasso
di inflazione rimane inchiodato a un 2,3 per
cento, che poco si intona agli aumenti che siamo
costretti a registrare giorno dopo giorno, specialmente su prodotti irrinunciabili quali, ad esempio,
le medicine.
In questo contesto risultano assolutamente risibili le affermazioni di Berlusconi sulle massaie che «non sanno fare la spesa» e sul taglio
delle tasse che porterebbe vantaggi a tutti i ceti,
pensionati compresi, una delle fasce sociali (il 27
per cento degli italiani) maggiormente colpite dal
vorticoso aumento dei prezzi, e investite dall'ondata di povertà che sta piegando il nostro paese.
La riflessione viene dal segretario provinciale dello Spi-Cgil, Enrico Torelli, il quale sottolinea che «quella dei pensionati è la categoria più
povera».
D - Sembra una situazione ormai destinata a deteriorarsi sempre più…
R - Se non si prendono consistenti misure che
invertano la tendenza, certamente sì. Il sindacato,
come ha dimostrato con la manifestazione tenuta
a Roma il 3 aprile, si sta battendo con tutte le sue
forze per riportare le lancette dell'orologio sull'ora giusta. E i pensionati hanno risposto con decisione e determinazione al nostro appello. Un
milione di persone in piazza per chiedere il recupero del potere d'acquisto delle pensioni, una
politica di controllo dei prezzi e delle tariffe, l'approvazione della legge per le persone non auto
sufficienti, uno stanziamento di risorse per garantire i livelli essenziali sanitari.
D - E, però, l'inflazione non sembra denunciare gli
aumenti siderali dei prezzi che i sindacati denunciano…
R - Così si dimostra che i numeri possono essere
anche un'opinione. Ma, al di là delle battute, resta
il fatto, assodato, che i prodotti maggiormente
usati dagli anziani sono i più inflazionati. La frutta e le verdure hanno avuto rialzi vertiginosi,
mentre le medicine navigano verso aumenti sempre più alti e incontrollati.
D - Secondo Berlusconi, la colpa di quanto sta
accadendo è della conversione della lira in euro.
R - Mi pare che sia stato ampiamente dimostrato
che ciò non risponde alla realtà. Il problema è
nato dall'incuria del governo che si è assolutamente disinteressato di controllare il passaggio
dalla lira all'euro. Un confronto con gli altri Paesi
europei ci fornisce subito il termine di paragone
con i prezzi praticati in Italia. Prendiamo le medicine, quelle definite da banco e acquistabili senza
ricetta quali l'aspirina, la novalgina, ecc. In
Francia l’aspirina costa due euro, in Italia 3,95,
esattamente il doppio; la tachipirina in Francia si
acquista con 2,40 euro, in Italia con 4 euro, per
non parlare del tavor che in Francia vale 1,20
euro, mentre in Italia le farmacie te lo fanno
pagare 6 euro.
D - Secondo il presidente del consiglio, portando
l'aliquota dell'Irperf al 33 per cento per tutti, si
risolveranno molti problemi.
R - La demagogia è una merce molto usata dal
nostro governo. Tagliare le tasse, portandole al 33
per cento per tutti, significa, ovviamente, favorire
i più ricchi che ora pagano un'aliquota più alta,
27 gennaio / aprile 2004
mentre si penalizza il ceto medio che, per bene
che vada, continuerà a pagare le aliquote che
paga ora (il 27 per cento della popolazione italiana costituita da pensionati è esclusa dal beneficio
del taglio delle tasse). Noi sindacati sosteniamo
che il paese deve continuare a vivere sostenuto da
un efficiente stato sociale, ciò vuol dire che i servizi sanitari, scolastici, ecc. devono essere a carico dello Stato. Ora se si tagliano le tasse, specialmente ai contribuenti più ricchi, lo Stato non avrà
più denaro sufficiente per tutelare la salute dei
suoi cittadini, o finanziare la scuola pubblica. Di
conseguenza, il risultato sarà, ma ormai si può
cominciare a parlare al presente, che la gente,
nella fattispecie i pensionati, dovranno pagarsi le
medicine, come in parte già fanno, le cure mediche e l'ospedale, perché è questo che vuole il
governo, trasformare la salute in una merce che si
vende e si compra, sempre guardando al guadagno del privato che la gestisce.
D - E allora non si devono tagliare le tasse?
R - Non dico no, per principio, al taglio delle
tasse. Ma c'è modo e modo di farlo. Intanto ci
deve essere un controllo capillare sulle denunce
dei redditi. Tutti, dico tutti, le devono pagare,
senza sconti a chi ha maggiori introiti.
Smantellare lo stato sociale, come intende fare il
governo, e si è già cominciato a farlo, significa
spingere in condizioni di povertà famiglie che
fino a poco tempo fa vivevano una vita dignitosa,
tutelate, proprio grazie agli interventi dello Stato,
da una redistribuzione del reddito tra tutti gli italiani. Ricordo che anni addietro Gianni Agnelli fu
ricoverato per essere curato da un attacco al cuore
nell'ospedale Molinette di Torino, finanziato con
denaro pubblico. Quel ricovero dimostrò che lo
Stato italiano era in grado di garantire un servizio
efficiente, con équipe di prim'ordine, sia ai molto
ricchi che ai più poveri e questa è stata una grande conquista fatta attraverso le lotte condotte
negli anni 1960-1970 dal sindacato e dai partiti
della sinistra.
D - Come intendete recuperare il potere d'acquisto
legate all'inflazione programmata che, come è
stato ampiamente dimostrato, non risponde alla
reale inflazione. Ci furono poi le riforme delle
pensioni, che in Italia, sono già state fatte, anzi
strafatte, con una contraddizione che si va facendo sempre più drammatica: da una parte l'industria licenzia lavoratori che hanno dai 50 ai 55
anni, mentre il pubblico impiego trattiene i propri
dipendenti oltre i sessant'anni. Più che innalzare
l'età pensionabile occorre, perciò, migliorare la
capacità del mercato del lavoro di trattenere le
persone non più giovani. Per recuperare il potere
d'acquisto delle pensioni le si dovrà agganciare
alla produttività del paese e calcolare l'inflazione
su un paniere per gli anziani, formato dai generi
di consumo che li investono maggiormente: frutta, verdure, medicine, fitti. Una proposta che deve
essere discussa e valutata, ma che potrebbe dare
dei buoni risultati. Calcolare per i pensionati l'inflazione su un paniere di spesa generale e omogeneo per tutti, fa sì che si abbattano gli aspetti più
negativi dell'aumento di alcuni capitoli di spesa
essenziali (generi alimentari). Bisogna tener
conto che negli ultimi tre anni le pensioni hanno
perso il 14 per cento della loro capacità d'acquisto. E che non si può restare a guardare. Inoltre
tra qualche anno il 25 per cento della popolazione
italiana sarà formato da ultra sessantacinquenni.
D - C'è da ritenere che questo dato porti a un'altra
considerazione: quella sulle condizioni di salute
degli anziani…
R - Questo è un fatto del quale si è molto discusso e si discute nel sindacato e che ci ha spinto a
formulare la richiesta di un fondo adeguatamente
rifornito per le persone non autosufficienti.
Riteniamo che sia l'unica risposta ai bisogni delle
persone totalmente o parzialmente inabili e alle
loro famiglie. Il fondo deve avere un carattere
universalistico, e il finanziamento va coperto
dalla fiscalità generale, escludendo forme assicurative (selettive e costose). L'attuazione del fondo
per la non autosufficienza metterebbe il nostro
paese allo stesso livello di altri paesi europei, che
da tempo hanno provveduto ad affrontare un prodelle pensioni?
R - C'è intanto da dire che dal 1992, quando ci fu blema di primaria importanza.
la gravosissima finanziaria del governo Amato, le
* Giornalista
pensioni persero potere d'acquisto perché furono
sganciate dall'indice di produzione del paese e
28 gennaio / aprile 2004
Imperia, 26 marzo 2004 - Sciopero generale nazionale
29 gennaio / aprile 2004
30 gennaio / aprile 2004
MUSICA E POTERE
Il rapporto della musica
con le istituzioni imperiesi pubbliche
Il Dams: una bella scommessa per l’ateneo ligure e per la provincia di Imperia
di Vittorio Coletti *
Il titolo è volutamente eccedente l'ambito
in cui si circoscriverà il nostro dibattito, che avrà
come punto di riferimento la situazione imperiese
delle attività musicali in rapporto all'offerta scolastica e universitaria. Ma qualcosa si può pur dire
a titolo di premessa generale. La musica è un'arte
pubblica per eccellenza. Il suo consumo è stato
esclusivamente pubblico fino all'avvento delle
tecnologie di registrazione e ascolto moderne, e
anche oggi continua ad essere fruita molto spesso
in pubblico, in ambienti e situazioni collettive.
Pubblica è la musica altrettanto spesso già al
momento della sua produzione: commissionata da
corti, principi, enti; composta per solennità, ricorrenze, eventi civili e sociali, essa nasce perlopiù
in vista di un'esecuzione aperta al pubblico e
quindi di un consumatore collettivo.
Di qui gli stretti rapporti che, più di altre
arti, più delle stesse arti figurative, la musica
intrattiene con le istituzioni, che da sempre sono i
suoi principali committenti, non di rado i suoi
destinatari.
C'è dunque una dimensione sociale e
pubblica che fa sì che la musica abbia bisogno di
un dialogo stretto con le istituzioni pubbliche,
anche se, ovviamente, può svilupparsi pienamente anche a prescindere da esse.
Ci si può chiedere allora: qual è il rapporto della musica con le istituzioni pubbliche imperiesi? Mi soffermerò su una di esse: il DAMS.
Nel curriculum del DAMS ci sono ovviamente
insegnamenti di musicologia; in teoria potrebbe
esserci addirittura un indirizzo specificamente
musicologico. Che cosa si richiede perché questi
insegnamenti siano davvero efficaci? Si richiede
che, usciti dalle aule, gli studenti possano facil-
mente e ripetutamente incontrarsi con la musica
(come con le altre forme di spettacolo, ovviamente). Ora, questo non avviene spesso, a Imperia.
Ed è proprio questa difficoltà che mi
lasciava perplesso al momento dell'attivazione del
DAMS (di cui mi ero fatto promotore) e che
ancora oggi mi lascia perplesso sulle sue sorti e
sulla sua gestione. In effetti, non è pensabile uno
studente del DAMS che non vada, direi con
cadenza settimanale, a teatro, all'opera, al concerto, al cinema.
A Imperia può trovare solo, e grazie al
cineforum, un po' di cinema. Teatro poco, concerti e opera anche meno. Per la verità ci sono concerti di pregio d'estate (Cervo), cui gli studenti
del DAMS dovrebbero essere obbligati ad assistere; ci sono occasionali appuntamenti con l'opera;
un piccolo cartellone teatrale.
Ma ci vorrebbe qualcosa di più. La città,
le città, la provincia possono fare di più?
Forse sì, anche se i costi di queste iniziative sono molto alti. Si potrebbe puntare all'ospitalità a compagnie e strutture giovani; il DAMS
dovrebbe favorire gli spostamenti degli studenti
almeno nei teatri genovesi, con i quali l'università
è convenzionata e che offrono spettacoli a costo
molto basso per gli universitari. Forse un pullman, un autista e un po' di organizzazione sarebbero già un buon inizio: poniamo tutti i martedì
sera, o i giovedì, viaggio a Genova a teatro, all'opera, compreso nelle ore di lezione.
La provincia, si sa, è restia a muoversi.
Di recente, un importante convegno su Italiano e
musica, tenutosi a Sanremo, con molti docenti
dello stesso DAMS imperiese, è stato seguito da
pochissimi studenti: i più non erano informati o
31 gennaio / aprile 2004
non hanno ritenuto di doversi spostare dalla sede
del capoluogo o erano impegnati in lezioni. È l'università che dovrebbe affrontare questo problema, istituzionalizzando le trasferte nel programma del DAMS e chiedendo magari alla RT un
sostegno all'iniziativa perché non comporti troppi
costi aggiuntivi per gli studenti.
La città a sua volta dovrebbe ampliare
almeno un po' l'ambito e la qualità dell'offerta teatrale e musicale, consentendo incontri in sede col
lavoro drammaturgico e musicale. Si sente, a questo riguardo, il bisogno di una politica che consorzi le città delle province vicine (un po' come è
successo in Emilia Romagna), in modo che uno
spettacolo possa circolare in tutte distribuendo i
costi e allargando le possibilità dei ricavi.
Inutile dire che, fermi restando gli spettacoli popolari e di cassetta, bisognerebbe articolare
i cartelloni locali, inserendo appuntamenti diversificati per tipologia (prosa e lirica, recitazione e
musica) e per livello culturale. Il DAMS è una
bella scommessa che ateneo ligure e provincia di
Imperia (con le sue città principali) debbono e
possono provare a vincere. Ma occorrono fantasia, spirito di iniziativa, credito alla cultura.
* Ordinario di storia della lingua italiana
Università di Genova
32 gennaio / aprile 2004
MUSICA E POTERE
Idee in astratto e in concreto:
dalla storia alla situazione locale
di Antonio Rostagno *
I rapporti fra la musica e il potere politico
costituiscono un campo d’indagine sterminato; le
reciproche influenze testimoniate dalla storia
mostrano una varietà di atteggiamenti difficilmente riducibile a poche parole.
Si tratta di un rapporto solo apparentemente contraddittorio, poiché solo apparentemente queste due attività umane sembrano incomparabili; perciò riflettere su questo problema è ritenuto inutile solo da chi poco conosca la storia.
Oggi, soprattutto in una zona povera di
grandi istituzioni culturali com’è purtroppo la
Liguria, il ruolo sociale della musica risulta del
tutto marginale; la sua effettiva presenza nel quotidiano collettivo ne esce quindi pesantemente
limitata. È vero che questo è un difetto radicato
nella storia italiana che possiamo far risalire
almeno al XVIII secolo: la musica non fa parte
dell’idea di cultura in Italia a partire dai letterati
settecenteschi come Alfieri, Muratori, Parini e
tale rimarrà la situazione più tardi, con Leopardi e
la letteratura italiana ottocentesca.
In conseguenza, già i primi programmi
scolastici dell’Italia unita, dopo il 1861, assegnavano un minimo interesse alla musica (eppure
Giuseppe Verdi era stato chiamato in parlamento
dallo stesso Cavour). Non stupisce quindi che
Benedetto Croce abbia parlato di tutte le arti,
abbia concepito un sistema estetico completo, ma
abbia lasciato in posizione assolutamente marginale la musica (che invece il sistema dell’idealismo hegeliano, cui Croce si riferiva, poneva in
una posizione predominante nella gerarchia delle
arti). Insomma, la sordità della cultura italiana
che si ritiene alta è un fenomeno storico di lontane origini; da esso scaturisce il radicato pregiudizio che la musica sia solo qualcosa di istintivo,
qualcosa che accompagna alcuni felici momenti
della vita, ma che, al momento delle cose importanti, si ritira con modestia e quasi vergognandosi
della propria inutilità; dalla stessa origine deriva
anche il totale disinteresse per la dimensione professionale della musica.
In questo panorama ci sono per fortuna
moltissime eccezioni nella storia come nell’oggi.
Se il Ponente ligure potrebbe essere scelto come
paradigma del disinteresse musicale tradizionale
di cui sopra si parlava, per fortuna in Italia la
situazione non è ovunque così irreversibilmente
debole. Esiste una rete di grandi istituzioni, con
una forza lavoro decisamente ampia, con un
indotto che coinvolge migliaia di lavoratori raggiungendo bilanci elevatissimi, con un bacino di
utenza che supera ampiamente numeri a sei cifre;
e fortunatamente questa rete non include solo i
grandi teatri (Roma, Milano, Napoli), ma si estende ad iniziative provinciali di altissimo livello
(Ferrara, Altamura, Busseto, le reti teatrali
dell’Emilia-Romagna e della Toscana che coinvolgono teatri di limitate dimensioni ecc.).
Con questi presupposti si è formata una
vera e propria categoria professionale musicale e
un bacino di utenza tanto largo da rappresentare
un concreto e visibile movimento d’opinione.
In sostanza, a un lettore imperiese parrà
inutile parlare del problematico rapporto musica/potere, poiché la musica è qui normalmente
considerata solo svago in ore serali, per lo più per
adolescenti, ma forse le cose non sono sempre
andate così né così accade oggi dovunque.
Visto che quanto detto fin qui potrebbe sembrare
provocatorio, mi affretto a precisare che la principale colpa di questa situazione non è da attribuire
né alla struttura sociale di una zona come il
Ponente, né a una presunta pigrizia della classe
dirigente verso la musica d’estrazione professionale (certo, un notevole disinteresse sta crescendo
nella classe politica presa in generale, con luminose e fortunate eccezioni); purtroppo invece la
maggior responsabilità dell’essere giunti a questo
disastro culturale è da attribuire soprattutto ai
musicisti stessi, di cui che scrive fa parte.
33 gennaio / aprile 2004
Ma parlare di colpe e meriti non sarebbe
costruttivo senza adeguate premesse. Perciò passo
ora a una sommaria panoramica che ci permetta
di comprendere quanto ramificati e profondi debbano necessariamente essere i rapporti che legano
la musica e la gestione del potere.
In primo luogo il rapporto musica - potere politico va diviso in due ordini di considerazioni da cui scaturiscono diversi ordini di problemi:
Da un lato il potere ha bisogno della musica.
D’altro lato la musica ha bisogno del potere.
A) L’organizzazione del potere politico
ha bisogno della musica
Un’aspirante consigliere di circoscrizione
come un primo ministro avranno in mente un
chiaro sistema di valori: chi gestisce la pubblica
amministrazione ha il diritto di influenzare tutte
le componenti sociali, anche naturalmente la produzione di musica dato il suo essenziale carattere
pubblico. Il potere (politico, ma anche religioso)
è convinto di gestire il piccolo e finanziariamente
debole settore della musica dominandolo attraverso la dipendenza economica; ma al tempo stesso
ne è dipendente in alcune situazioni particolarmente rilevanti dal punto di vista della
sociabilità. Per spiegarmi ecco qualche esempio:
tutte le grandi festività pubbliche, civili o religiose, prevedono momenti musicali, dalla liturgia ai
comizi, dalle conventions oggi così di moda alle
manifestazione popolari di piazza, dalle celebrazioni, commemorazioni, anniversari, alle guerre,
fino a momenti di aggregazione di piccoli gruppi
(e questo senza distinzioni di età). In tutte queste
occasioni c’è colonna sonora. E lo stesso fenomeno è testimoniato in qualunque società e in
qualunque epoca storica. È vero che ora occorrerebbe studiare come la parte musicale si inserisce
nel contesto celebrativo, l’importanza che ad essa
viene data, il prestigio che il musicista ha individualmente come creatore e intellettuale e il prestigio che ne riceve l’entità politica che si auto-celebra attraverso la solennità. Quando i Borboni a
Napoli o gli austriaci a Milano volevano organizzare il consenso accordavano cifre considerevoli
ai musicisti e questi ultimi rientravano nelle categorie più alte del panorama sociale cittadino. Se
passiamo all’oggi, nel nostro quotidiano imperiese, noteremo che nessuno è disposto a riconoscere
a un musicista né lo statuto di professionista (sarà
piuttosto un eterno ragazzo che si diverte) né un
ruolo sociale essenziale; quindi è ovvio che nessuna entità politica sarà disposta a investire congrue cifre per finanziare attività socialmente relegate nel limbo del puro divertimento.
Tout se tien, non si uscirà mai da questo
impasse a meno di radicali capovolgimenti non in
termini strettamente economici (più soldi alla
musica) ma in termini di qualità e riconoscimento
professionale che i musicisti devono guadagnarsi.
Nessuno può sapere se l’obiettivo della
alta qualità artistica convincerà pubblico e amministrazioni a spendere di più per l’arte, ma vale la
pena di tentare con convinzione questa carta,
certo estremamente difficile.
La reciprocità di musica e potere politico
ha anche una ragione più radicata, direi costituzionale. Poniamoci la domanda: perché accade
questo strano fenomeno di doppia influenza reciproca, di dipendenza dalla musica dal potere
costituito e di dipendenza di questo dal bisogno di
musica nelle cerimonie celebrative? Soprattutto
per una particolare affinità che accomuna il tipo
di discorso musicale e il tipo di uso del linguaggio verbale da parte dei poteri costituiti o aspiranti tali: in entrambi i casi non si usa un linguaggio
dialogico, che implichi dialogo a proposta e
risposta, scambio di quoziente d’informazione fra
emittente e ricevente e risposta a sua volta ricca
di contenuti. Al contrario il linguaggio musicale e
quello verbale del potere sono monologanti, non
richiedono né ammettono il dialogo immediato,
lo scambio dialogico d’opinioni; sono in somma
autosufficienti ed autoreferenziali, non propongono idee ma semplicemente le manifestano.
B) La musica ha bisogno del potere
Pronunciata così categoricamente quest’affermazione può sembrare qualche poco insultante verso i compositori, che sono poi i grandi
professionisti della musica, quindi occorre precisare. Anzitutto per grandi professionisti intendo i
compositori con una solida base di conoscenze
storiche, non i canzonettisti né i più rispettabili
esponenti della popular. Non si tratta di snobismo
culturale, ma semplicemente della constatazione
che oggi viviamo un’epoca talmente ricca di storia e di storicismo (conoscenza critica della storia,
non assimilata per semplice tradizione diretta ma
34 gennaio / aprile 2004
consapevolizzata nella sua dimensione passata e
spiegata sui suoi propri principi che un musicista
non può più limitarsi a fare delle belle note: deve
studiare, altrimenti produrrà merce di consumo
ben fatta, forse redditizia, ma totalmente inutile al
progresso storico e ingenuamente esposta invece
alla strumentalizzazione più smaccata.
La musica ha bisogno del potere? È indubitabile che senza appoggio politico nessuna
musica arriva alla storia, se si è realistici non si
può negarlo. Non dico che sia la giusta dinamica
delle cose, ma oggettivamente è andata così, fin
dai primissimi documenti musicali della nostra
storia, ossia il corpus di melodie gregoriane fissate dagli scriptoria carolingi e poi imposti a tutto il
Sacro Romano Impero.
Occorrono però alcune attenuanti: quanto
più la musica è semplice, usa un linguaggio semplificato, non ha ambizioni storiche ma solo consumistiche, è quindi di facile creazione ed esecuzione, tanto più il suo successo è legato ai fattori
contingenti che nulla hanno da spartire con il
puro valore musicale. Al contrario, quanto più
una musica è complessa, scende quindi dentro se
stessa e non si ferma a un tipo di comunicazione
superficiale, tanto più è difficile da creare ed eseguire e tanto più è libera da condizionamenti eteronomi. Certo il suo successo non si misura né sul
piano economico né sul piano sociale (ed ecco
perché è più autonoma), ma piuttosto sul piano
dell’influenza storica, su quello che gli storici
chiamano efficacia artistica.
È ovvio che qui si parla di un bene autonomo, non direttamente organico né alla società
che lo ha prodotto ne a quelle successive che lo
recepiscono, è un prodotto quindi a-storico nella
sua essenza e per questo del tutto slegato, essenzialmente, da condizionamenti politici. Così considerata la musica non ha alcun bisogno del potere politico né economico né di qualunque alto
genere, ma è una concezione dell’arte che direi
anacoretica, che condanna l’artista a una strada
difficilissima eppure unica vera via maestra.
Tuttavia questa scala dalla completa autonomia alla completa funzionalità non deve essere
ipso facto impiegata a scopo valutativo: non si
può sempre concludere che Luciano Berio è in
assoluto migliore di un cantante pop. Se anche
esistesse una sola opinione contraria, sarebbe sufficiente a far ripensare il problema e non permet-
terebbe di far finta di niente (non posso aprioristicamente e senza discussione affermare che il mio
punto di vista non sopporta confronti e far finta
che le diverse opinioni non esistano neppure:
abbiamo già troppi bravi politici che ci dimostrano quest’atteggiamento quotidianamente dagli
schermi televisivi e dovrebbe essere dovere dell’uomo di cultura dimostrare una apertura di
segno assolutamente opposto).
Posso però sostenere che l’atteggiamento
creativo di Berio era meno legato a fattori extramusicali e che la sua opera vive nella storia,
almeno nella cerchia professionale, del tutto indipendentemente da fattori extra-musicali; al contrario il gruppo rock per profonda che sia la sua
musica non vive se non all’interno di un sistema
economico ben preciso (il grande giro di concerti
internazionali) e di una rete di gestione che con la
musica non c’entra assolutamente nulla.
A questo punto si può introdurre un
nuovo elemento. Il rapporto fra musica e potere
politico si manifesta in diversi settori:
• rapporto del potere con la creazione di nuova
musica;
• rapporto con la socializzazione di questa nuova
produzione, al cui interno si distinguono:
- rapporto con gli esecutori;
- rapporto con gli organizzatori di concerti e di
reti pubblicitarie di diffusione;
- rapporto con la critica.
In sintesi si può generalizzare che:
1) ha a disposizione più campo d’autonomia, mentre 2) è quello più esposto al rischio di
colonizzazione da parte di poteri extra-artistici
(politico, religioso, economico).
È facile qui ritornare subito alla situazione di Imperia: compositori ne abbiamo pochissimi, esecutori molti, quasi troppi verrebbe da dire.
Questo dato non deve stupire: comporre
musica storicamente valida, ricca di tutta la storia
millenaria che la nostra cultura occidentale ha
sviluppato, è l’attività più complessa e dovrebbe
rappresentare il vertice di tutto il sistema musicale e non il fanalino di coda, appena tollerato e
sempre frainteso com’è usuale qui, oggi. Perché?
Le risposte sono troppo complesse e
coinvolgerebbero troppe realtà locali. Ma basti
riflettere che nella nostra zona si sono sviluppate
quasi esclusivamente quelle attività musicali che
più facilmente si stringono ai poteri politici e
35 gennaio / aprile 2004
sono state quasi interamente annullate le attività
musicali creative, quelle che conservano invece
maggior autonomia.
Molti esecutori-organizzatori hanno possibilità di sopravvivere contando su appoggi
momentanei di varie parti politiche nelle amministrazioni; ne risulta una facile colonizzazione del
campo musicale locale da parte di interessi che
nulla hanno a che vedere con la musica.
Ma questo stato di cose annulla la possibilità di vero dialogo con la società, porta a azzerare le capacità critiche dei musicisti e dell’uditorio, porta a svuotare la musica di qualunque suo
valore sociale, in modo che il concerto stesso
diviene un rito del tutto inutile.
È quindi ovvio che il potere politico, qualunque esso sia, consideri la musica come cosa
del tutto inutile, proprio perché la può prendere o
lasciare a piacimento, con minime critiche da
parte di una classe professionale inesistente, critiche che dovrebbero fondarsi su una preparazione
tecnica superiore (ovviamente non sto parlando di
critiche d’ordine politico, sebbene il musicista
non dovrebbe essere uno sprovveduto e avere una
sua chiara personalità politica, visto che la sua
dimensione naturale è appunto quella sociale).
L’amarezza viene dalla constatazione che questa
preparazione nella nostra zona c’è, esiste e ne
possiamo avere oggettiva esperienza in diverse
occasioni; ma purtroppo viene subordinata ad
altri criteri non certo artistici. I grandi professionisti, i compositori, coloro che dovrebbero orientare prevalentemente l’andamento della vita
musicale, coloro che potrebbero con un chiaro
giudizio professionale superiore artisticamente e
storicamente a quello degli esecutori, vengono
così relegati a posizione del tutto marginale con
l’effetto che quel poco di autonomia della musica
dal potere politico viene vanificato e perduto.
L’altra figura che, anch’essa inserita nel
campo della socializzazione della musica, potrebbe avere proficui contatti con i poteri politici è
quella del critico musicale. Ma a Imperia questa
figura non è mai esistita. Conseguenza: sulla triste fotografia che si è data sopra, si inserisce la
mancanza di una figura che, saltando il rapporto
con il potere, potrebbe direttamente dialogare con
i lettori-ascoltatori e contribuire a orientare consensi su elementi artisticamente e culturalmente
validi, garantendo una qualità professionale che
giocherebbe a favore dall’autonomia delle
migliori iniziative da una dipendenza troppo stretta dalla fonte di finanziamento.
La panoramica potrà a questo punto sembrare pessimista, quasi senza speranza; e forse a
una società come quella del Ponente potrà sembrare inutile impegnarsi per una rivalutazione
della musica di livello professionale.
Non ho risposte a questi scetticismi, ma
ricordo che solo venti-trenta anni fa passavano
nei nostri teatri direttori come il giovane Claudio
Abbado, o che negli anni Cinquanta cantavano a
Sanremo nomi come Maria Callas. Certo, oggi
viene Mariella Devia, e non ci sono parole per
ringraziare lei e chi riesce a portarla a Imperia.
Tuttavia si tratta di un evento altamente
eccezionale, laddove la Callas era inserita in una
stagione di livello internazionale e circondata da
artisti di gran nome; inoltre se la Devia non fosse
imperiese, difficilmente potremmo averla qui.
In conclusione: il potere politico, di qualunque parte sia, impiega la musica a suo utile e
solo uno sciocco potrebbe meravigliarsi o lamentarsi di questo. Non mi sogno neppure di criticare
un amministratore che dicesse se offro 100 lire,
voglio sapere come vengono spese; sarebbe piuttosto da criticare il contrario. Sta ai musicisti,
quelli che veramente sono convinti di aver scelto
la professione giusta per sé, sviluppare il giusto
rapporto con il potere politico, appoggiarsi ad
esso per quanto è necessario.
Ma al momento di fare arte, il rapporto
deve essere chiaro: le scelte artistiche saranno
autonome. Precisamente in questo momento la
preparazione di un compositore tornerebbe necessaria per l’intero indirizzo da dare a un’istituzione
musicale e la critica giornalistica offrirebbe la
prova del valore (o disvalore, perché no?)
E già che siamo in tema di istituzioni: a
Imperia non esiste alcuna vera grande istituzione
musicale: non un conservatorio, non un’università
che alla musica dedichi spazi e tempi adeguati,
non un teatro che faccia un’autonoma stagione
d’opera e concerti. La conseguenza è che non esiste una figura professionale di musicista che rappresenti la propria categoria alla pari con le altre.
Altra conseguenza è che un bambino o un
adolescente che studi musica non ha davanti a sé
alcun modello su cui immaginare cosa potrà essere la sua vita: in questo contesto le famiglie faran36 gennaio / aprile 2004
no studiare musica ai figli perché abbiano qualche elemento di cultura in più (che cultura sarà
poi quella di leggere la musica, laddove non esistano scuole che facciano comprendere alcunché
dell’importanza storica e delle connessioni culturali che legano per esempio Beethoven a Kant,
Wagner a Schopenhauer, Verdi a Manzoni,
Stravinskij a Picasso, etc? È come leggere
Manzoni e non capire neppure la trama del
romanzo, perché è stato scritto nella prima metà
dell’Ottocento, che cosa rappresentava nella cultura italiana del periodo. Quelle famiglie illuminate, e spesso gli stessi ragazzi arrivati alla maggiore età, demoralizzati abbandonano la musica e
si volgono ad altri studi più aperti al mondo lavorativo, più redditizi, e certo non li si può criticare
per questa scelta.
A questo punto: come concludere con un
po’ d’ottimismo? Non ho risposte: semplicemente
costato che esistono nel Ponente diverse realtà
musicali che hanno lunghe tradizioni e che non
sono, nonostante il momento di turbolenza generalizzata della musica in Italia, in situazioni irrecuperabili. A lato di queste che potrebbero rappresentare i centri maggiori, fare le funzioni di organi di rappresentanza professionale, vivono numerose altre realtà spesso molto attive nell’organizzazione di eventi. Quel che manca quasi del tutto
è la creazione di nuova musica e la apertura verso
di essa da parte del pubblico; inoltre ciò che
manca in toto è la mediazione critica giornalistica. Questo, ci si chiederà, cos’ha a che fare con il
rapporto fra musica e potere? Purtroppo ha a che
fare eccome, ed è una conseguenza di un rapporto
sghembo, per cui qualunque amministrazione ha
sempre pensato e ancora pensa di prendere e
lasciare, di usare e gettar via senza minimi scrupoli tutto quanto riguarda la musica. Se quest’ultima rimane nella sua interezza considerata come
puro svago e divertimento, mai un amministratore
si farà scrupoli nel comportarsi così. Laddove
invece si formi una classe professionale, rappresentata da uno o due figure di pubblica visibilità,
di cui i giornali parlino come parlano degli sportivi e dei politici (per rimanere nel campo delle
figure pubbliche), ecco che tutta la considerazione verso il campo musicale dovrà mutare. Un
amministratore non potrà considerare tutti i musicisti come eterni ragazzi che può prendere e mollare come vuole, con due soldini distribuiti a
seconda dell’utilità del momento; un’amministrazione che reggesse una scuola statale, con una
categoria di professionisti stabilmente attivi, con
un’attività esterna florida e costantemente in contatto con la società e le altre cerchie professionali,
o un’istituzione lirico-concertistica con normali
canali di contatto con la società cittadina (abbonamenti, conferenze, giornali), svilupperebbe un
dialogo fra musica e potere molto più continuo,
attento e utile per tutti.
Il primo e semplicissimo passo da compiere è quello che, come ho chiarito in un mio
recente libro, nella grandi città italiane è stato
compito all’indomani dell’Unità, negli anni settanta dell’Ottocento: le maggiori istituzioni musicali sono allora passate da una gestione politica,
finanziata e supervisionata rigidamente dal potere
dei governi locali, a una gestione basata anzitutto
su criteri artistici. Ad esempio, la Scala di Milano
venne gestita prima del 1859 esclusivamente da
impresari graditi al governo austriaco, da cui proveniva la maggior parte dei finanziamenti.
Dalla fine degli anni Sessanta entrano
nella gestione artistica del teatro personaggi come
Giulio Ricordi, Arrigo Boito, Franco Faccio, dietro a cui era sempre vigile il controllo di
Giuseppe Verdi. E finalmente, con l’entrata dei
socialisti in consiglio comunale, la Scala venne
affidata ad Arturo Toscanini che la tenne con
varie interruzioni fino al 1929 facendone il faro
musicale per tutti i teatri del mondo.
Certo, qui non siamo alla Scala, ma sono
anche passati 150 anni; forse ora potremmo, forti
di questi grandi insegnamenti, comprendere che
dovunque si applichi questa dinamica, le cose
funzionano meglio: il potere politico controllerà
sempre anche la gestione della musica (non la sua
creazione), sta però ai musicisti trovare la via per
affermare la loro autonomia relativa. Se uso la
locuzione autonomia relativa, di origine materialista, è perché di autonomia assoluta non si può
parlare neppure da un punto di vista filosofico il
più astratto pensabile: il rapporto musica e potere
è inevitabile, il musicista non deve farsene
sopraffare come fosse l’unica via per esprimersi e
per avere una propria autonoma visibilità sociale.
* Docente drammaturgia musicale
Università “La Sapienza” Roma
37 gennaio / aprile 2004
Iscriviti alla
ASSOCIAZIONE PER IL
RINNOVAMENTO DELLA
SINISTRA - Imperia
Versa
€ 35,00 (trentacinque euro)
sul conto postale N° 23607419
intestato all’Associazione
Gli iscritti riceveranno
il bimestrale Pagine Nuove del Ponente
38 gennaio / aprile 2004
La sinistra sempre in bilico fra contenuti e voglia di consenso
Chiarezza di pensiero e di parola
Un appello alla sinistra che verrà
di Paolo Odello *
Trasparenza, efficienza, rassicurazioni.
Alla politica si chiede tutto, anche ciò che normalmente dovrebbe estirpare e certamente non
garantire. Nella ormai lunga teoria di richieste più
o meno confessabili brilla però, per assenza, la
chiarezza. Non quella di esposizione, questa non
manca. Si usa anzi, sempre più spesso, un linguaggio forbito e asettico per mascherare la miserevole povertà di contenuti.
Personaggi delle più svariate provenienze
e colore ci raccontano con cadenza quotidiana
una realtà che si fatica a riconoscere. Stampa e
televisione di regime si affannano a cercare parole soft per descrivere, nascondendola, la rapida
corsa verso il disastro. E i partiti della sinistra tradizionale troppo spesso si adeguano.
Premettendo a scusante del nuovo metodo il bisogno - intrinseco secondo loro ad una
forza che si prepara a tornare al governo - di utilizzare i termini e le parole proprie di una forza di
governo, si limitano a registrare la realtà con i
modi di chi ha già deciso che è inutile tentare di
modificarla. L’alibi di una destra da battere copre
e congela ogni discussione, il confronto con quella parte di società in cerca di risposte concrete
subisce rinvii quotidiani.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Quando i linguaggi si aggrovigliano fino al punto
di fondersi in un unico politichese privo di contenuto, diventa difficile comunicare con chi chiede
a gran voce chiarezza di parola e di significato.
Assistiamo ogni giorno a questo strano
esercizio di stile. Nella pratica quotidiana della
comunicazione politica, così come in quella dell’informazione declassata al rango di claque, la
sinistra tradizionale annaspa, si agita cercando
spazi e platee inesistenti nei talk show di Vespa o
Costanzo. Fiato sprecato chiedere ai vari esponenti della sinistra tradizionale di starne fuori, di
non legittimare con la loro presenza lo scempio
quotidiano. Anche loro sembrano preferire la
ricerca del facile consenso all’interpretazione
della realtà. Prime vittime di un tale appiattimento di linguaggio, logica e inevitabile conseguenza,
sono significati e contenuti di fatti che fino a ieri
si davano per scontati. La Carta costituzionale
presentata come impedimento all’espansione del
potere di un singolo, il diritto diventa magnanima
concessione e le regole democratiche lacci e lacciuoli da aggirare con disinvoltura e furbizia.
E la sinistra tradizionale che fa? Poco, se
non addirittura niente. Immersa in un silenzio colpevole e reticente, si affida ai talk show di regime
per inviare all’etere parole che sempre meno cittadini riescono a percepire come reali.
Volutamente si dimentica che in quei talk show
soltanto la destra, anche la più becera e arrogante,
è in grado di cercare, e trovare, consensi e platea.
Tutto si può imputare alla destra, certamente non la mancanza di chiarezza di progetti e
strategie. A ogni nuovo problema è già pronta, a
mo’ di risposta e rassicurazione, una nuova mistificazione. Paura, la richiesta di maggiore sicurezza, bisogno di uscire da una sempre maggiore
precarietà di lavoro e di vita trovano nelle parole
della destra spazio e finta comprensione. A tutto
si può rispondere, in questo la destra è maestra,
costringendo la realtà nei confini di una realtà
preventivamente descritta. Alla paura e alla
voglia di sicurezza corrisponde la sicura ricetta di
un inasprimento delle misure di polizia, al legittimo bisogno di certezza del lavoro si risponde con
la favola della migliore gestione del tempo libero,
a quella di un mercato in crisi con il protezionismo e il libero mercato. Concetti e soluzioni da
sbandierare alternativamente infischiandosene
allegramente della palese contraddizione.
E la sinistra tradizionale, che fa?
39 gennaio / aprile 2004
Si adegua, rincorre, non decide. Al massimo dell’impegno può spuntare un distinguo da
buttare controvoglia sul tavolo, tanto per sottolineare che la realtà non si può cambiare. Che fare?
Riconquistare l’uso della parola, riappropriarsi
del pensiero. Questa mi pare l’unica risposta
accettabile. Praticabile se il fine ultimo è incidere
sulla realtà fino a modificarla. Quasi una rivoluzione copernicana se vista con il filtro accondiscendente dello spettatore passivo. Di estrema
facilità se messa in pratica da cittadini consapevoli di diritti e doveri. A volte ricordo con rimpianto, e di questo me ne scuso con qualche professore progressista e nonostante ciò sensibile,
alcuni insegnanti dichiaratamente di destra. Altri
erano preti e si limitavano a perpetuare e diffondere, per quanto possibile, la loro fede e la loro
morale. A tutti loro però devo la consapevolezza e
la conoscenza delle regole e del sistema sociale
che ho ritenuto giusto mettere in discussione aderendo ad una parte piuttosto che all’altra. Altri
compagni di scuola di quel liceo hanno accettato
e aderito alla loro morale. Per tutti è valsa la consapevolezza di quanto si accettava o si rifiutava.
Oggi, invece, a scuola come nella quotidianità, il prevalere del politicamente corretto
anestetizza coscienze e programmi. Troppo spesso questa locuzione nasconde la voglia di prendere tempo. Al riparo del non detto si rimane in
attesa che le insegne del vincitore risultino più
chiare. Allora sì che potremo, ma solo allora non prima mi raccomando perché questo potrebbe
costarci una emorragia di consensi - potremo gridare nelle piazze la nostra lungimiranza politica.
Rifondare la sinistra, da qualche tempo
non si sente parlare di altro. Al mio modo di pensare non appartiene né la fede nel sol dell’avvenire né, tanto meno, quella in una ricompensa futura dei patimenti terreni. Credo però che nel nostro
piccolo una rivoluzione potremmo metterla in
pratica: usare senza reticenze e alibi il verbo pensare coniugato al presente indicativo in prima
persona. Io penso, premessa fondamentale di ogni
confronto. Pratica possibile da mettere in atto soltanto, è bene ricordarlo, infischiandosene del facile consenso.
* Giornalista
Imperia, 23 maggio 2004
Nel cimitero di Oneglia una delegazione
dell’ARS ha deposto una composizione
di rose rosse sulla tomba di Alessandro
Natta, in occasione del 3° anniversario
della scomparsa.
40 gennaio / aprile 2004
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