SOMMARIO Crescita di un importante movimento sociale di Mauro Torelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Sorpresa elettorale in Francia di Bruno Della Sudda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Tabelle dei risultati elettorali francesi ................................................................ 10 Bernard, il mercenario invisibile al soldo di una guerra umanitaria di Paolo Odello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Contro le destre in Europa: quale alternativa a sinistra? ................................................................ 17 Organismi nazionali ARS ................................................................ 20 Proposte integrative al documento dei compagni francesi ................................................................ 21 Incontro sinistre italo-francesi: Comunicato conclusivo ................................................................ Incontro sinistre italo-francesi: Communiqué issu des travaux de la rencontre ................................................................ 24 25 Il fallimento delle politiche sociali del centro-destra di Luciana Zanetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Il rapporto della musica con le istituzioni imperiesi pubbliche di Vittorio Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Idee in astratto e in concreto: dalla storia alla situazione locale di Antonio Rostagno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Chiarezza di pensiero e di parola di Paolo Odello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 1 gennaio / aprile 2004 PAGINE NUOVE DEL PONENTE bimestrale di politica e cultura ANNO V n. 1 - 2 - gennaio / aprile 2004 (uscita n. 16) Direttore responsabile LUCIANA ZANETTA Autorizzazione Tribunale di Imperia n. 3/99 In redazione: PIERO DE NEGRI, FRANCA NATTA, CARLA NATTERO Sede presso SOMS (g. c.) - via Santa Lucia, 14 18100 Imperia Oneglia Tel. 0183 293643 Proprietà ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA - IMPERIA Impaginazione e stampa Centro Editoriale Imperiese Imperia Direttore politico - Presidente GIUSEPPE MAURO TORELLI Questo numero è stato chiuso Copertina ARMANDO SABATELLA il giorno 23 maggio 2004 2 gennaio / aprile 2004 Crescita di un importante movimento sociale di Mauro Torelli * Gli elettori sono stati chiamati alle urne in alcuni paesi europei per eleggere assemblee dalle diverse caratteristiche, dai parlamenti (Grecia e Spagna) ai consigli regionali francesi, alle amministrazioni locali tedesche, ma tutte accomunate da un risultato simile: contrario a tutte quelle maggioranze governative che, indipendentemente dal colore politico (centro-sinistra in Grecia e Germania, centro-destra in Spagna e Francia), non hanno saputo o voluto schierarsi contro la guerra preventiva (Spagna), o hanno operato, in tutti i quattro paesi, scelte di politica economica neo liberista, con duri colpi allo stato sociale. L’affermazione elettorale del PSOE , il notevole impatto esercitato dalla scelta di Zapatero, che ha mantenuto l’impegno preelettorale di far rientrare le truppe spagnole dall’Iraq, ha rafforzato in Italia le lotte contro la guerra, pur essendo il movimento per la pace nel nostro paese di robusta continuità. In Italia, inoltre, cresce un forte movimento sociale che si oppone alle politiche economiche del governo di centro-destra, sostenute dalla Confindustria, che mettono a rischio il futuro di molti e in special modo delle giovani generazioni. Le lotte degli autoferrotranvieri per migliori salari e stipendi, dei dipendenti dell’Alitalia, per salvare la compagnia di bandiera, la grande lotta dei lavoratori della Fiat di Melfi per la democrazia sindacale, per migliori condizioni di lavoro e salari più adeguati, per l’attuazione del principio a parità di lavoro, parità di retribuzione e la riuscita dello sciopero generale unitario in difesa delle pensioni e contro la politica economica berlusconiana, testimoniano la ricchezza e la crescita dell’opposizione sociale. Anche in provincia di Imperia la lotta è cresciuta, non solo con la corposa partecipazione a Roma alle manifestazioni nazionali (per la pace il 20 marzo e in difesa delle pensioni il 3 aprile), ma anche con la riuscita dello sciopero generale nazionale e la manifestazione a Imperia del 26 marzo scorso caratterizzata dalla presenza di un numero di rappresentanze aziendali dei lavoratori superiore rispetto alle precedenti occasioni,. L’insieme di codesti avvenimenti stimolano a riflettere su due questioni centrali: 1) i riflessi sulle politiche interne del dibattito sulla guerra; 2) la perdurante difficoltà dell’economia italiana e i rimedi possibili da un’ottica di sinistra. Quali sbocchi politici per le lotte sociali? Sulla guerra. Perché la lista unica riformista “Uniti per l’Ulivo”, contrariamente alle altre forze di centro-sinistra (esclusa la formazione presieduta da Mastella) che da lungo tempo hanno incalzato il governo con la richiesta del ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, è titubante ad assumere una posizione simile a quella dei suoi alleati? Le forze riformiste del centro-sinistra, pur avendo criticato l’avventura mediorientale di Bush, non vogliono apparire come oppositori frontali degli Stati Uniti, mettersi in rotta di collisione con la politica irachena ambigua del partito democratico e del suo candidato presidente Kerry. Le titubanze, però, non possono evitare che ci si esprima sul nodo strategico dei rapporti tra Stati Uniti e Unione europea e quindi sulla necessità di mettere in discussione il tenore di vita degli americani (e anche degli europei, per certi versi) nell’ambito del globale rivolgimento in atto. Gli statunitensi vivono al di sopra dei propri mezzi: il disavanzo delle partite correnti è giunto a 544 miliardi di dollari nel 2003, l’indebitamento delle famiglie americane ha toccato il 12 per cento delle loro entrate e il resto del mondo possiede attività patrimoniali Usa per un valore di oltre 7.600 miliardi di dollari. Le difficoltà strutturali degli Stati Uniti derivano dalla caduta del saggio di profitto dell’industria che si protrae da tempo e dalla finanziarizzazione dell’economia con relative bolle della Borsa e del settore edilizio. 3 gennaio / aprile 2004 L’autonomia dell’Unione europea si realizza solo con la messa in discussione del modello che affida all’economia americana la funzione di locomotiva globale cui l’Europa e il resto del mondo devono fornire il carburante finanziario. Gli Stati Uniti hanno adottato una sorta di keynesismo militare per finanziare la guerra preventiva permanente voluta dai neoconservatori del presidente Bush. Il nostro rifiuto della guerra irachena è anche la messa in discussione di un sistema che emblematicamente premia, per effetto della spesa militare decisa dopo l’11 settembre dal governo statunitense, i nove più grossi fornitori nazionali della difesa Usa (le loro azioni hanno realizzato un risultato del 30 per cento in più rispetto alla media delle cinquecento più grandi società quotate del mondo), rende economici i pozzi del Texas con il petrolio oltre i 40 dollari il barile e permette all’americano medio di fare il pieno di carburante a prezzi irrisori per alimentare vetture dal consumo facile e dalle dimensioni spropositate rispetto agli standard europei (emblematici gli sport utilities vehicles con cilindrate fino a seimila cc). Lo scontro è arduo. Aree di sofferenza permanente in diverse zone del mondo sono strutturali del sistema capitalistico finanziarizzato. Confronto aspro tra due linee antagoniste La lotta in Europa si svolge tra chi accetta la subalternità del continente all’unica potenza mondiale, cercando al più di limitarne gli aspetti negativi e i loro riflessi sulle nostre società (tale orientamento è proprio delle linee portanti del Trattato costituzionale approvato dalla Convenzione europea nel luglio 2003) e coloro che contrappongono un punto di vista di sinistra, che ha i suoi cardini portanti nell’autonomia dell’Ue, nel potenziamento dello stato sociale, in un modello di sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile, in una politica di pace e apertura verso i paesi terzi. La stagnazione economica dell’Italia non risulta solo dai dati statistici, ma dalla esperienza quotidiana delle famiglie che, in numero sempre più ampio, faticano ad arrivare alla fine del mese e a mantenere una dignitosa qualità di vita, una difficoltà che si manifesta con la precarietà e l’insicurezza per le giovani generazioni, nel sentimento di paura di molti cittadini per la messa in discussione delle conquiste sociali frutto di decenni di dure lotte. Il governo Berlusconi e il ministro Tremonti, malgrado la finanza creativa e le continue inaugurazioni, non riescono a presentare un credibile progetto di rilancio economico. La loro politica riflette limiti e ritardi di una borghesia decadente e clamorosamente inadeguata, giudizio rafforzato dalla vicenda di Melfi. La grande risposta dei lavoratori di quella fabbrica, guidati da una lucida Fiom-Cgil, ha imposto nell’agenda politica la questione operaia e quella del lavoro. La lotta dei lavoratori lucani è un contributo efficace alla definizione di una risposta di sinistra alla crisi sistemica della nostra economia; essa ha individuato nella difesa dei diritti fondamentali la centralità dell’iniziativa: salute, qualità della vita, giusto salario, titolarità delle decisioni. Il presidio di massa degli stabilimenti ha messo in luce antichi metodi repressivi, dall’uso della polizia contro i lavoratori in lotta, alla censura per mascherare le ragioni della mobilitazione operaia: in Italia è aperta una grande questione democratica e sociale. Il governo di centro-destra non può essere battuto solo con la sacrosanta denuncia delle sue scelte spudoratamente di classe, ma con la contemporanea realizzazione di un’ampia unità programmatica tra tutte le forze di centro-sinistra. L’ARS è nata come luogo idoneo a facilitare l’incontro di tutte le espressioni, singole e organizzate, in cui si configura la sinistra. Un vuoto politico si è aperto a sinistra che nessuna forza, singolarmente presa, può colmare: è il problema che dobbiamo affrontare. Nel centro-sinistra esiste attualmente uno svantaggio della sinistra, anche nella rappresentanza, rispetto agli orientamenti moderati. Siamo profondamente convinti, e l’esperienza dei governi ulivisti lo ha dimostrato, che le proposte dei riformisti non esprimono il punto di vista maggioritario del grande movimento di massa in atto nel Paese da circa tre anni. Non solo, ma siamo convinti che la lista unica riformista “Uniti nell’Ulivo” abbia affossato l’Ulivo stesso e aperto scenari politici nuovi a sinistra. Infatti, tutti coloro che non accettano che in Italia venga meno la presenza organizzata di un partito che si richiami all’esperienza storica socialista e comunista, sentono l’urgenza di un processo costituente per una forza autonoma e unitaria, che sappia coniugare l’essere alternativa e propensione di governo. I movimenti di lotta, l’esperienza del Forum per l’alternativa programmatica di gover4 gennaio / aprile 2004 no che ha formulato precise Proposte per un programma incardinato su lavoro e stato sociale, ambiente e qualità dello sviluppo, democrazia, istituzioni e cittadinanza, per un’Europa di pace, sociale e democratica, il diffondersi di esperienze associative sul territorio, sono la solida base su cui operare. A rafforzare queste convinzioni ce lo ricordano gli oltre dieci milioni e mezzo di italiani che, malgrado la campagna astensionista del centro-destra e dei partiti riformisti dell’Ulivo, hanno votato al referendum per l’abolizione dell’articolo 18 della legge 300, una legge che discrimina la maggior parte dei lavoratori. Lo scontro è tra modelli alternativi L’ARS di Imperia ha contribuito all’elaborazione programmatica non soltanto fornendo prezioso materiale per le prossime elezioni amministrative ma proseguendo la riflessione sul tema della democrazia diffusa, con la convinzione che tali problematiche siano la chiave di volta di una nuova visione teorica e pratica dell’essere di sinistra. La riflessione della sinistra deve concentrarsi sulle scelte basilari di un nuovo modello di sviluppo che poggi su consumi collettivi e non energivori, ambientalmente e socialmente sostenibili, dove la ricerca, la cultura e l’arte ne siano il volano. Un modello, pertanto, che individui nelle imposte dirette, e non nelle tasse, la priorità per l’accumulazione, come pure nell’impresa pubblica (europea, nazionale, locale) e in quella mista i perni produttivi. Solo se si realizzeranno tali presupposti, le aziende private potranno riesprimere le proprie potenzialità. Un modello pertanto che dia preminenza alla domanda interna per rispondere ai bisogni insoddisfatti dei ceti popolari. Il livello dello scontro è necessariamente quello europeo e pertanto la sinistra non può che opporsi a un progetto di costituzione dell’Unione Europea come quello tratteggiato dal Trattato costituzionale, definito dalla Convenzione Giscard, in quanto definito su presupposti che non prevedono il primato del lavoro e non escludono la guerra come mezzo risolutore dei conflitti internazionali. Ma soprattutto non sono stati coinvolti nel dibattito preparatorio milioni di europei. Il nuovo modello di sviluppo non può, inoltre, prescindere dall’aspetto costituzionale e istituzionale del nostro Paese. Se, come pensiamo, l’efficacia del modello preconizzato, deve poggiare sul consenso democratico delle scelte e nella loro gestione, appare in tutta la sua gravità l’operazione del centro-destra tesa a modificare regressivamente la nostra Carta costituzionale, un disegno che minaccia l’unità del Paese (in particolare su sanità, istruzione e sicurezza) e mette a repentaglio le libertà dei singoli e lo stato di diritto, evidenzia atti che vanno nella direzione di una dittatura della maggioranza, una fattispecie già denunciata nel XIX secolo da Tocqueville. L’allarme è tale da aver provocato anche un voto del Parlamento europeo di ammonimento per il regime di monopolio dell’informazione di Berlusconi e del centro-destra all’indomani dell’approvazione della sciagurata legge Gasparri. Nei prossimi mesi l’Ars continuerà a denunciare la deriva autoritaria del centro-destra e a lanciare appelli in difesa della nostra Carta, pur cosciente del grave errore ulivista, al termine della precedente legislatura, allorché impose una pasticciata riforma federale con una utilizzazione spregiudicata e discutibile dell’articolo 138 della Costituzione, con una risicata maggioranza di cinque voti e un centro-destra che lo ripaga con la stessa moneta. Nello stesso tempo, sul piano europeo la priorità degli interventi sarà incentrata sulla richiesta di una Costituzione democratica dell’Ue e quindi la più netta contestazione del Trattato costituzionale licenziato nel luglio del 2003. Non si trascurerà, perciò, sull’onda di tali impegni, la priorità a schierarsi contro la guerra, per un’informazione libera e plurale, per l’indipendenza della Magistratura (su cui incombe la spada di Damocle del progetto del governo per annullarne l’autonomia). Il lavoro è tanto, è vero; ma ciò deriva dalla necessità, ormai matura, di accelerare il processo costituente di una forza di sinistra che aggreghi e rappresenti esigenze ineludibili di riscatto delle più ampie masse popolari. * Presidente ARS - Imperia P.S. Il presente articolo è stato redatto sulla base della relazione tenuta in occasione dell’assemblea pubblica organizzata dall’Ars il 29 aprile scorso sul tema Contro la guerra in Iraq, per l’immediato ritiro del contingente italiano, per una nuova pratica politica partecipata, per dar corpo a una grande forza della sinistra autonoma e unitaria, 5 gennaio / aprile 2004 forte di un’analisi critica della realtà e capace di una propria proposta di governo. In queste tre settimane si sono avuti interessanti sviluppi e nuove vicende politiche si sono affacciate alla ribalta. In India, il partito del Congresso guidato da Sonia Gandhi, i partiti comunisti e di sinistra hanno ribaltato le previsioni della vigilia sconfiggendo la destra che ha governato il Paese negli ultimi anni. Anche in quella che viene denominata la più grande democrazia del mondo ha soffiato il vento del movimento no global (ricordiamo che il recente appuntamento annuale si è tenuto a Mumbay-Bombay). Su questo importante avvenimento occorrerà ritornare in modo approfondito per esaminare gli aspetti della controffensiva nazionalistico-razziale della destra, battuta alle elezioni, contro la Gandhi e dell’aggressività del mondo finanziario che paventa turbamenti ai propri affari, oltre che per il peso internazionale dell’India. A Melfi i lavoratori hanno vinto la loro battaglia obbligando la direzione della Fiat a trattare e a riconoscere il valore delle rivendicazioni operaie e soprattutto il peso politico dell’assemblea unica abilitata a sancire gli accordi (e in effetti si è espresso a favore oltre il 77 per cento dei lavoratori interessati). Per quel che riguarda la compagnia aerea di bandiera vi è da ricordare che la recentissima decisione del governo di raggruppare nella stessa persona le funzioni di presidente e di amministratore delegato ha posto momentaneamente fine alle agitazioni dei lavoratori, rimandando però lo scontro decisivo a quando il nuovo manager Cimoli presenterà ufficialmente il piano industriale che, dalle prime indiscrezioni, prevede un pesante taglio di maestranze. La vicenda irachena si è ulteriormente drammatizzata, altri feriti tra i militari italiani, e uno di loro è morto, negli ultimi combattimenti. Il governo Berlusconi ha inviato in guerra un contingente del nostro esercito, mascherato da forza di pace intervenuto in quel Paese per la ricostruzione del dopoguerra. In realtà la guerra non è mai terminata e risultano risibili i goffi tentativi del governo di negare la drammatica evidenza. Sono stati sconcertanti, perciò, i tira e molla della lista “Uniti nell’Ulivo” e la riluttanza a siglare una mozione con dispositivo unico. Le difformità strategiche restano pesanti; del resto, per riferirci solo agli ultimi anni, occor- re ricordare che Ds, Margherita e Sdi su tutti gli avvenimenti importanti, a partire dal G8 di Genova, hanno sempre rincorso, quando non osteggiato, il movimento no global. In questi partiti sono evidenti i segnali di opportunismo, relativismo programmatico, di attenzione morbosa ai voti, l’impegno di ristretti gruppi a difendere il potere, a prescindere. Tutto ciò accelera il processo di formazione di una nuova aggregazione di sinistra, autonoma, unitaria, alternativa e con propensione di governo, ad un tempo interprete e parte dei movimenti di lotta in atto. Ma la gravità della guerra irachena consiste soprattutto nell’aver messo in risalto le angoscianti motivazioni alla base della guerra preventiva. Lo shock procurato dalle immagini delle torture, espressione dei diversi fondamentalismi in campo, evidenzia come gli interessi materiali delle multinazionali del petrolio e dei grandi affari legati alla ricostruzione irachena, si intreccino con la coscienza diffusa negli Usa di difendere con ogni mezzo il loro tenore di vita: molti sentono in quel Paese tutto ciò come loro dovuto, in quanto popolo speciale cui è affidata una missione di civilizzazione del mondo; un’aggiornata forma di razzismo che molti avevano già denunciato all’epoca del Vietnam e quando si era venuti a conoscenza delle speciali scuole della Cia che allenavano i torturatori inviati nei paesi, in primis in quelli latinoamericani, che non dimostravano sudditanza allo zio Sam e anche fedeli applicatori in patria di canoni simili verso le minoranze ribelli. È patetico presentare i tentativi di timida autocritica come elemento di superiorità dell’occidente: hanno iniziato a far volare gli stracci, con l’aiuto di una corte marziale disponibile, per proteggere i veri responsabili che sono i vertici politici della classe dirigente americana. Tortura scientifica, discriminazioni verso i deboli: sono i diversi livelli attraverso cui si esprime il razzismo, forma sempre attuale per mantenere i privilegi di nazione, casta, ceto. Nessuno può tirarsi in disparte, dire io non ho nulla da spartire con tutto ciò: gli atti concreti di ciascuno, le prese di posizione, il rifiuto dei privilegi sono i migliori giudici. 6 gennaio / aprile 2004 Sorpresa elettorale in Francia di Bruno Della Sudda * Il doppio scrutinio elettorale (elezioni regionali ed elezioni cantonali per il rinnovamento della metà dei consigli generali, vale a dire le assemblee dipartimentali) del marzo 2004 ha costituito un’enorme sorpresa. Certo, un votosanzione contro il governo borghese ChiracRaffarin-Sarkozy era atteso, la base sociale ed elettorale della destra essendo più ridotta ancora che nel 2002 dove il carattere limitato di questa base era stato dissimulato dal fenomeno del 21 aprile (1). Ma si trattava di uno scrutinio locale, poco propizio a contestazioni di grande ampiezza. 1 Una forte partecipazione a sinistra Prima sorpresa ed è molto positiva: la partecipazione elettorale che continuava a calare da quindici anni si è rialzata in modo generale e incontestabile. E quelli e quelle tra gli astensionisti che sono andati a votare hanno scelto la sinistra. Lo stesso vale per le nuove elettrici e nuovi elettori. Si può formulare qualche ipotesi: una mobilitazione nella continuità dei movimenti sociali di questi ultimi mesi (ma questa di solito è lungi dall’essere meccanica nella storia francese se si ricorda l’esempio dell’episodio catastrofico delle elezioni del giugno ‘68 con un’ondata violenta di destra); una mobilitazione nella continuità di un profondo sentimento contro la guerra dell’ultimo anno (ma senza l’obiettivo di governo come in Spagna); una politicizzazione della gioventù probabilmente sottostimata (nella quale si combinano la drammatica esperienza della disoccupazione e della precarietà e lo sviluppo della coscienza contraria alla guerra e altromondista). Tuttavia se la partecipazione elettorale è aumentata, essa resta ancora insufficiente, in particolare nei quartieri popolari. Né la crisi della politica né quella della sua rappresentanza sono cancellate da questo scrutinio segnato da un aumento della partecipazione. le. Questo partito acchiappa elettori della borghesia che pretendeva di raccogliere nel suo seno tutte le tendenze della destra, non fa molto meglio delle candidature che si richiamano alle presidenziali del 2002. Ed esso è fiancheggiato da una UDF che, senza ottenere un reale sfondamento elettorale, è ormai inevitabilmente a destra. Una UDF che ha saputo occupare uno spazio: quello di una destra più centrista e meno brutale, meno sorda alla difficoltà sociale e più preoccupata delle aspirazioni al pluralismo che esistono anche nell’elettorato di destra. La disfatta della destra è tale da aprire la prospettiva di una crisi di regime e una crisi politica maggiore, tanto più che la proroga condizionale di Raffarin come primo ministro da parte di Chirac, esprime crudelmente l’assenza di una pur minima alternativa e il cinismo assoluto della destra attraverso il suo profondo disprezzo per l’espressione del suffragio universale. Il dominio di Sarkozy sull’apparato dell’UMP, un banco di pesci che affianca bruscamente colui che può salvare questo conglomerato di arrivisti e notabili, alimenta questa crisi a destra: il vero capo del governo, che è il sindaco di Neuilly, il comune più ricco di Francia, minaccia, sulla base di una popolarità artificiale e quindi estremamente fragile (2), le istituzioni politiche della Va Repubblica e lo stesso Chirac. 3 E l’estrema destra? I risultati del Fronte nazionale devono essere analizzati con prudenza. In effetti, esso ristagna, perfino regredisce nelle sue zone di forza e nei quartieri popolari, non in tutti, ma resta debole. La vigilanza si impone quindi sempre, anche se occorre compiacersi che esso non realizza un nuovo balzo in avanti che molti temevano, tanto appariva favorevole ad esso la situazione. Si può ipotizzare che il mantenimento di una attività molto importante, anche se sarebbe 2 Disfatta a destra irresponsabile magnificarla perché resta ampiaPer l’ UMP che aspirava all’egemonia mente al di qua delle poste in gioco dei movimenelettorale nel campo borghese, lo scacco è crude- ti sociali, contribuisce a bloccare la progressione 7 gennaio / aprile 2004 dell’estrema destra come movimento di opinione in particolare negli strati popolari. Ma questa ipotesi resta da verificare e solamente studi molto raffinati permetteranno di vedervi più chiaramente. Questa ipotesi non è contraddittoria con la tesi secondo la quale la riattivazione anche limitata di ciò che permetteva di distinguere la destra dalla sinistra contribuisce anche a rendere meno efficace l’influenza elettorale dell’estrema destra nei quartieri popolari. Ma ripetiamolo: il terreno resta propizio, alimentato continuamente dalla crisi della politica e dalla sua rappresentanza, l’affarismo, la miseria sociale, il ritardo dell’alternativa come seria prospettiva politica e la cristallizzazione disastrosa dei problemi sociali in problemi sedicenti etnici (3). Infine la scomparsa biologica a breve termine di Le Pen lascia aperta la questione della sua successione che può sfociare in un avvicinamento repentino con la destra la cui facilità di assorbimento della tematica dell’estrema destra non è mai stata così forte. Una ricomposizione all’italiana non è da escludere: il fatto che l’UMP passi sotto il controllo di Sarkozy, il quale mette insieme brutalità poliziesca e xenofoba e ultraliberismo economico e i cui debiti verso il Fronte nazionale sono considerevoli, deve incitare alla più grande attenzione. 4 A chi la vittoria: sinistra o sinistre? Il vincitore visibile di questo scrutinio è il Partito socialista, esso è il partner numero uno delle intese passate a sinistra e detiene la presidenza di tutte le regioni sottratte alla destra. Ed è il PS che pretende, adesso più che mai, condurre il gioco a sinistra. Il doppio episodio della regione parigina e di quella del Midi-Pyrénées è da questo punto di vista altamente significativo. A Parigi, il presidente socialista della regione si permette di escludere dall’esecutivo regionale Mouloud Aounit (4) che ha il torto di essere immigrato algerino di nascita e di sostenere la causa palestinese. A Tolosa, contro il parere della direzione nazionale del partito, il PS mena per il naso la lista Alternativa al momento della fusione tra i due turni e rifiuta anche la sinistra alternativa nel raggruppamento della sinistra (5). Ma a guardare da vicino la vittoria della sinistra si limita al PS? All’evidenza no: il successo totalmente insperato per i protagonisti delle liste verdi come di quelle comuniste, come anche la percentuale della lista Alternativa nel Midi-Pyrénées o la buona tenuta e sovente il progresso delle candi- dature della sinistra alternativa alle elezioni cantonali, mostrano il contrario. In realtà, è tutta la sinistra che nell’insieme progredisce con l’eccezione del duo LO-LCR i risultati regionali del quale sono assai vicini a quelli del 1998 e quindi apprezzabili ma molto al di qua da quello sperato ed essi non nascondevano la pretesa di soppiantare il PCF, prima di farlo a pezzi la tappa successiva. Questa irresponsabile pretesa non soddisfatta non avrà senza dubbio grandi conseguenze su quella setta che è Lotta Operaia. Ma lo scacco alimenta una crisi a breve termine in LCR, tanto più che è la Lega Comunista Rivoluzionaria che si è adoperata più attivamente in favore di questa alleanza, che l’elettorato non ha seguito a causa del suo settarismo che rimanda una contro l’altra la destra e la sinistra. 5 Dimenticato il 21 aprile 2002? È uno degli aspetti del dibattito a sinistra dopo questo doppio scrutinio. Per l’ala più a destra del PS, la buona sorpresa cancella il 21 aprile, la via è aperta ineluttabilmente all’alternanza più o meno tranquilla, senza rimessa in causa di alcun genere della linea social-liberale seguita dall’ex sinistra plurale. Ed è sicuramente intorno al PS che le future alleanze devono essere concluse, facendo assegnamento se possibile, sulla vittoria, o al peggio sulla forte pressione degli amici del socialisti all’interno dei Verdi (Voynet-Cochet) e del PCF (Hue-Gayssot). Tuttavia, il risultato stesso delle elezioni -il fatto che si tratti di una vittoria a sinistra che non si limita al PS - pone un problema ai social-liberali del partito socialista e loro satelliti dentro i Verdi e il PCF. La pressione dei movimenti sociali riduce il loro margine di manovra, come l’esistenza di sensibilità contestatrici nell’ambito del PS, ma più ancora il messaggio dell’elettorato stesso. Perché questo messaggio non è per nulla un voto di rassegnazione e di fiducia nel PS, esso non lo scagiona in nulla dall’esperienza dell’ex sinistra plurale. È un voto-sanzione, ma non solamente questo: è un voto portatore di esigenze, quelle espresse dai movimenti sociali, attraverso le multiformi mobilitazioni cittadine e il movimento altromondista. Bisogna anche comprendere il ritorno nelle settimane che hanno preceduto le elezioni, particolarmente nel PACA o nel Poitou-Charente, dei temi e degli slogan quali la democrazia partecipativa, un altro mondo è possibile, il rifiuto radicale dell’AGCS ecc., nei discorsi del PS e indipendentemente dal contenuto reale di tali formule o slogan. 8 gennaio / aprile 2004 6 Un voto sanzione? Questa espressione è stata sovente impiegata dopo le elezioni. Ricopre una realtà incontestabile, ma è anche troppo riduttiva e quindi pericolosa e non senza conseguenze. Sì, la destra è stata vittima d’un voto-sanzione. L’elettorato, come aveva parzialmente condannato il Partito Socialista a causa del social-liberismo alle presidenziali del 2002, ha confermato il suo voto due anni più tardi rigettandone nello slancio il liberismo duro e aggravato della destra. E vi è quindi continuità tra i due risultati, piaccia o meno a quelli che pretendono di dimenticare il 21 aprile. Ma se non si trattava che di un voto-sanzione, come spiegare che non si è prodotto nulla di quello che ci si immaginava, ossia una crescita supplementare dell’astensionismo combinata a una nuova avanzata del Fronte nazionale e una conferma del risultato di Lotta Operaia e della Lega Comunista Rivoluzionaria? Si ritorna quindi a sfumare fortemente la nozione del voto-sanzione e a dare un senso più preciso e più positivo all’utilizzo del voto di sinistra per fare barriera contro la destra, aspirando a una alternativa anche se rimane ancora largamente da definire. Il dibattito è dunque aperto a sinistra e deve essere condotto alla sola scala che vale: quella dell’Europa. Questo dibattito riguarda il progetto, come hanno ammesso i responsabili nazionali del PS nel momento culminante della vittoria elettorale, ma successivamente parlandone meno, al di là del rifiuto della destra. La discussione si riferisce alla scelta tra l’alternanza e l’alternativa. ma lontano dai loro obiettivi. Una incontestabile dinamica infine ha giocato tra i due turni con una partecipazione in rialzo e un eccellente aumento di voti, molto al di là delle due altre liste di sinistra, in favore della lista Vauzelle. E si concluderà sul fatto che la lista Vauzelle, tra tutte quelle equivalenti nelle altre regioni, ha condotto la campagna, più a sinistra, almeno nelle sue formule e nei suoi slogan, attirando nelle sue riunioni e incontri un pubblico sovente di donne e giovani, dopo aver organizzato dei forum relativamente aperti. Queste tendenze valgono su scala dipartimentale. Sono tuttavia rese relative dalla buona tenuta della destra nelle elezioni cantonali nel Var e nella Alpi Marittime, in modo particolare nelle zone rurali e montane. Questa osservazione deve essere completata da un avvenimento locale preciso: la città di Nizza registra alle elezioni cantonali (dove i cinque eletti di sinistra mantengono il loro seggio e mancano per poco il sesto: cose mai viste) come alle elezioni regionali (per la prima volta la lista di destra è dietro la lista Vauzelle), una spinta che conferma l’avanzata elettorale globale e continua della sinistra in questa città che si verifica da un decennio. 7 E nel PACA? Lo scrutinio nella regione PACA è stato sovra determinato dalle poste in gioco più generali già ricordate. Si traduce per quello che concerne lo scrutinio regionale in una disfatta della destra tanto più spettacolare per questa regione, malgrado la presidenza socialista uscente, luogo nello stesso tempo di un feudo della destra e laboratorio di congiunzione tra la destra e l’estrema destra da mezzo secolo. Una delle conseguenze più importanti del risultato regionale è la maggioranza assoluta della sinistra, nuovo dato rispetto al mandato precedente ed effetto del nuovo sistema elettorale. Si ricorderanno, peraltro, di queste elezioni i seguenti elementi: la destra ha molto sofferto anche nelle zone forti, l’estrema destra sembra bloccata nelle sue avanzate precedenti, le liste di sinistra critica e di estrema sinistra ottengono un risultato complessivo non trascurabile (2) - Per Emmanuel Todd, Sarkozy ha largamente contribuito, contrariamente alle apparenze, alla disfatta della destra come in altra occasione Pasqua anche lui popolare nei sondaggi prima della sua caduta. * Consigliere comunale di Nizza Liste Alternatifs (1) - Il voto massiccio per Chirac al secondo turno delle elezioni presidenziali per respingere la minaccia di Le Pen. (3) - È questa cristallizzazione che è stata voluta dalla destra in occasione della vicenda del velo e concretizzata in modo ipocrita con una legge antivelo approvata dal PS. (4) - Presidente del Movimento contro il Razzismo e per l’Amicizia tra i Popoli (MRAP) ed eletto nella lista BuffetVilliers (PCF-Alternativa cittadina, raggruppamento di una parte della sinistra alternativa), lista che aveva realizzato più dell’8% nella regione, più del 12% a Tolosa e che aveva unito membri di associazioni, sindacalisti, regionalisti, altromondisti, dissidenti socialisti e comunisti, oltre che Verdi e Alternativi. (5) - Questa elezione è municipalizzata: dà un primato in seggi alla lista vincitrice per garantire una maggioranza assoluta. 9 gennaio / aprile 2004 SIGLE DEI PARTITI E MOVIMENTI PS PC Verts PRG MRC UMP UDF FN CPNT MNR div. Écol. LCR LO MEI div. sinistra div. destra altri partito socialista partito comunista verdi partito radicale di sinistra movimento repubblicano e cittadino unione per il movimento popolare unione per la democrazia francese fronte nazionale caccia, pesca, natura e tradizioni movimento nazionale repubblicano ecologisti lega comunista rivoluzionaria lotta operaia movimento ecologista indipendente diversi di sinistra diversi di destra altri 10 gennaio / aprile 2004 ^ 11 gennaio / aprile 2004 12 gennaio / aprile 2004 13 gennaio / aprile 2004 14 gennaio / aprile 2004 Privatizzazione della guerra: una novità che parte da lontano Bernard, il mercenario invisibile al soldo di una guerra umanitaria di Paolo Odello* A fine primavera del 1999 il Kosovo si andava normalizzando, così dicevano i media occidentali alla affannosa ricerca di una legittimazione dell’attacco contro ciò che rimaneva della Federazione iugoslava. L’avevano anche definita una guerra umanitaria, e questo nonostante le troppe bombe intelligenti cadute sul bersaglio sbagliato. In quegli anni ancora non si parlava di body-guard privati, ma nei porti albanesi, mescolati con volontari e giornalisti al seguito della cosiddetta missione arcobaleno, cominciavano a circolare strani personaggi. Ufficialmente non esistevano, fantasmi arrivati segretamente fra le macerie di una guerra ancora da finire e che, in caso di morte sul campo, sarebbero stati rimpatriati con ancora maggiore segretezza. Ex soldati di eserciti in dissoluzione oppure veterani di operazioni in altre zone di guerra che sbarcavano nei Balcani in forma privata per annusare l’aria, per valutare se anche da quella guerra poteva venir fuori l’affare. La presenza di quei mercenari, epigoni di altri soldati di ventura, passò in silenzio. Già allora una parte della sinistra, tutta tesa a legittimarsi come alleato fedele dei vertici Nato, preferì non vedere. Di fatto erano, oggi appare evidente, l’avanguardia di un nuovo modo di intendere la guerra che proprio in quegli anni si andava delineando. Questo il racconto della conversazione con uno di questi personaggi. Registrata per conto dell’agenzia di stampa per cui lavoravo all’epoca. «Quella in Kosovo è una guerra con le pezze al…, non vale la pena di rischiare» esclama l'uomo seduto di fronte. «In Bosnia pagavano molto di più, 60 milioni in sei mesi più il premio contro i 36 d'oggi, eppure c'erano meno rischi.» Inizia così il racconto di Bernard. Non è il vero nome ma, gli piace farsi chiamare così. «In ricordo della Legione» dice. Una quarantina d’anni e un passato da guastatore al soldo della Francia, a pochi anni dal congedo si è riciclato come esperto di esplosivi. Ripulire, con discrezione, le zone infestate dalle mine è il suo lavoro. «Ho iniziato le missioni all'estero con la fine della guerra nella ex Jugoslavia. La Croazia orientale nel '95 e poi in Bosnia, l'anno dopo» racconta. «Una volta entrato nel giro è normale che ti ricontattino.» Fuma una sigaretta dietro l'altra mentre snocciola le parole del racconto. «Un lavoro come un altro» lo definisce e lo spiega entrando nei dettagli. «Normalmente sono tre le squadre che intervengono nel lavoro di bonifica. La prima, composta di tecnici esperti di rilevamenti elettronici, prepara la mappa della zona, quella che nessun esercito, regolare o guerrigliero che sia, ti fornirà mai. Con il loro padellone individuano e picchettano le mine: delimitano il terreno da bonificare stabilendo la traccia del primo intervento» dice Bernard. «Seguono gli sgrossatori, la seconda squadra, che ripuliscono il terreno dalle bombe rimaste in superficie; soltanto al termine di questa prima bonifica si può lavorare in profondità.» Dietro alle lenti scure degli occhiali da sole si può immaginare uno sguardo carico di passione. Bernard racconta della sua carriera di mercenario free lance come qualsiasi altro libero professionista o artista parlerebbe di un progetto appena approvato. «Si deve tenere conto che l'intervento riguarda ex zone di combattimento: non sono ordigni posizionati il giorno prima. Quando 15 gennaio / aprile 2004 tocca a noi, una vera legione straniera di professionisti, la guerra è già finita e puoi trovare di tutto, anche mine antiuomo sprofondate ad una profondità di oltre un metro grazie al fango.» Seduto al tavolo del bar, con la birra in mano e la t-shirt dei Simpson, tutto sembra fuorché un soldato di ventura. «L'ideologia non c'entra, la mia fede politica riguarda soltanto me» sbotta Bernard. «Chi contatta gente come noi non ha bandiere da difendere: fornisce un servizio a chi è in grado di pagarlo» chiarisce ancora Bernard. «E non chiamatemi mercenario. Io sono un professionista che, in modo molto discreto, presta la sua opera in zone di guerra.» Un sorso di birra e il racconto prosegue: «Siamo pagati per lavorare senza apparire: il lavoro deve essere svolto senza pubblicità, nessuno deve sapere della nostra esistenza». «Portare una squadra invisibile formata da professionisti come noi costa meno e non crea problemi politici e neppure diplomatici» insiste Bernard. «Muovere un esercito costa troppo e il rischio è maggiore. Se muore un soldato, per quanto volontario, si devono dare troppe spiegazioni a chi resta a casa. Come si dice il paese vuole sapere e allora veniamo contattati noi: costiamo meno e, in caso di incidente, nessuno verrà mai a chiedere spiegazioni. Quando il nostro lavoro è finito, e soltanto allora, arrivano quelli ufficiali con le troupe televisive al seguito, come dicevo il paese vuole sapere e allora niente di meglio di un bel filmato, senza rischi, da inviare al telegiornale.» Bernard ride compiaciuto. «Ad ogni chiamata la sequenza dei colloqui si ripete: ogni ingaggio è una storia a sé. Al primo incontro si arriva solo con la presentazione di chi ha già lavorato per l'organizzazione. Il reclutatore vaglia la tua reale disponibilità e, se fai al caso suo, ti richiamerà servendosi come tramite di chi ti ha presentato… Al secondo livello di incontri, un nuovo reclutatore è incaricato di sondare in modo più approfondito la tua preparazione nel campo specifico.» Bernard si addentra, per quanto gli è possibile, nei dettagli: «Devi rispondere a domande teoriche del tipo come intervieni su un terreno in cui ci sono bombe a grappolo e mine antiuomo interrate a diverse profondità? E poi vogliono avere da te informazioni che loro conoscono già. Ti fanno domande sui tuoi precedenti con la legge, se stai scappando da qualcosa e se hai qualcosa da nascondere. Non ti conviene bluffare perché, le risposte, il reclutatore le conosce già: è un modo per saggiare il tuo grado di affidabilità.» Bernard prende fiato e, con il tono di chi confida un segreto, dice: «Se arrivi al terzo livello, ti presenti sul luogo dell'appuntamento con il sacco già pronto perché potresti, in caso affermativo, partire subito». Altra birra e il racconto entra nel vivo. «Un container esternamente è il rimorchio di un bilico che però all'interno è arredato come un vero appartamento: letto, doccia e bar personale ti accompagnano per tutta la missione. Anche delle donne se ne occupa l'organizzazione. Si viaggia e si lavora quando non c'è il rischio di incontri imbarazzanti. Non devi esistere per nessuno così anche le signorine non sono mai le stesse: l'organizzazione non lascia niente al caso.» * Giornalista 16 gennaio / aprile 2004 Testo preparatorio per il 3° incontro franco-italiano - Nizza 8 maggio 2004 Contro le destre in Europa: quale alternativa a sinistra? Dopo il nostro ultimo incontro nell’ottobre 2003 la situazione politica europea ha conosciuto diversi importanti cambiamenti: il duplice scacco dei 15 sul piano economico e su quello istituzionale al summit di Bruxelles del 2003; la duplice disfatta elettorale della destra, a sorpresa, in Spagna e in Francia in marzo così come la disfatta elettorale della sinistra greca. Questi avvenimenti peseranno nella prospettiva delle elezioni europee del 13 giugno prossimo. Il contesto di tale scrutinio ha di particolare ed esplosivo che da una parte è la prima volta nella storia dell’UE che un’elezione europea sarà incentrata sul tema dell’avvenire dell’Europa stessa e che d’altra parte nessuno può negare la situazione di crisi profonda dell’UE. Il fiasco di Bruxelles Il duplice scacco della conferenza intergovernativa ha suggellato sia l’incapacità di due tra i protagonisti storici dell’UE, la Germania e la Francia, a rispettare gli obblighi del Patto di stabilità, definito stupido da Romano Prodi stesso, che il disaccordo sul progetto di trattato costituzionale elaborato dalla Convenzione Giscard. Lo scacco del Patto di stabilità potrebbe far sorridere, sapendo le pressioni esercitate in altre occasioni dai governi tedesco e francese per convincere gli altri esecutivi europei a seguirli negli obblighi che ne sono derivati, a cominciare dalle restrizioni di bilancio, la precarizzazione e la rarefazione dell’impiego e gli attacchi contro i pubblici servizi, i diritti e le conquiste sociali. Quelli che Germania e Francia considerano piccoli paesi hanno apprezzato col loro metro questa retromarcia cinica dei due elementi del motore UE, quelli che fanno lezione agli altri, allorché questi piccoli paesi hanno tutti condotto senza colpo ferire terribili politiche di austerità molto più drastiche di quelle di Berlino e Parigi. Per ciò che concerne lo scacco istituzionale, si è tradotto con il rifiuto dei piccoli paesi e del duo Madrid-Varsavia di accogliere pro tempore le scelte della Convenzione Giscard che propone, tra l’altro, per ciò che concerne la distribuzione dei poteri esistenti dell’UE, di rivedere a partire dal 2009 la ripartizione decisa al summit di Nizza nel 2000 sotto la guida del duo franco-tedesco. Il fiasco di Bruxelles non è congiunturale: esso segna lo scacco del processo stesso di costruzione europea, segnato dall’assenza di democrazia e dal primato delle concezioni economiche liberali. Un processo del quale bisogna ricordare che non è esterno, contrariamente a quello che tende a far credere una certa demagogia antieuropea, alle realtà nazionali dei paesi membri dell’UE. In effetti, se i paesi sono privati d’un numero crescente di prerogative in tutti i campi, sono i loro stessi governi che hanno adottato queste decisioni tendenti a spossessarli, sono ancora essi che prendono attualmente le principali decisioni - e non la commissione contrariamente a una tenace leggenda - tramite il Consiglio europeo… e sono le stesse che difendono queste concezioni non democratiche e liberali a livello nazionale. Sul piano politico si tratta della destra ma anche del centrosinistra sotto il dominio socialdemocratico e quindi social-liberale, su un fondo di atlantismo condiviso, e questo a partire dal trattato di Roma del 1957. Spagna, Francia: doppia sorpresa La cinica e grossolana manipolazione della destra di Aznar - modello dell’UMP francese (il partito di Chirac, ndt) - dopo l’attentato dell’11 marzo a Madrid non spiega da sola il ribaltamento elettorale spagnolo. Più profondamente, quella che è risorta è l’onda lunga contro la guerra in Iraq del 2003 e la politicizzazione della società, a cominciare dalla gioventù degli ambienti popolari come dei ceti medi: questa politicizzazione è cresciuta in questi ultimi anni contemporaneamente attraverso le mobilitazioni pacifiste dell’ultimo anno, col progresso del movimento altromondista 17 gennaio / aprile 2004 e nell’esperienza no future sul terreno della scarsità, incertezza e precarietà del lavoro e l’inserimento di conseguenza problematico nella società adulta. Si noterà che il rigetto massiccio della destra, sinonimo del rigetto della guerra e del liberalismo, si è avuto a vantaggio essenzialmente del PSOE (partito socialista spagnolo) e nella stessa misura a vantaggio delle forze politiche nazionaliste catalane, basche e galiziane; la sinistra critica rappresentata dalla sinistra unita (IU) è stata relativamente marginalizzata. Se la situazione francese è differente, tuttavia due punti comuni appaiono al termine di questo doppio appuntamento elettorale di marzo. Si tratta, innanzitutto, della forte partecipazione elettorale, rovesciando in Francia, in modo spettacolare, la progressione continua, dopo più di vent’anni, della curva dell’astensione. E si tratta egualmente, in questo quadro, di una polarizzazione della gioventù a sinistra che si può raccordare al posto avuto dalla gioventù in Spagna nel movimento altromondista e antiguerra in Iraq, e in Francia nella mobilitazione del dopo 21 aprile 2002 (momento alto della partecipazione politica). Per mancanza di studi seri, oggi è ancora troppo presto per misurare l’effetto spagnolo sull’elettorato francese. Ma si può sostenere senza difficoltà che questo effetto ha inciso. In Francia, due elementi di analisi l rigetto della guerra in Iraq non è stato così forte in termini di mobilitazione, stante le posizioni del governo francese, ma il rigetto del liberalismo ha giocato in pieno nell’ultimo scrutinio… E lo sviluppo di un movimento di opinione contro la guerra ultra maggioritario non pesa in definitiva, con la politicizzazione che spinge o alimenta, per la sinistra? Il rigetto del liberalismo ha giocato in favore di tutta la sinistra, contrariamente al caso spagnolo, poiché il partito socialista (PS) non è il solo ad aver vinto: il partito comunista (PCF) e i verdi escono rafforzati da queste elezioni anche se questo rafforzamento è segnato dall’ambiguità dei risultati dello scrutino cantonale - assai sfavorevole al PCF, il declino del quale prosegue. La sinistra alternativa non è stata presente in modo significativo che in una regione (Midi- Pyrénées), con successo, ma senza presenza nel Consiglio regionale per il mancato accordo con il partito socialista tra i due turni elettorali. La regione parigina ha costituito un caso a parte, per l’alleanza di una parte della sinistra alternativa con il PCF. Cancellato il 21 aprile? Senza dirlo sempre apertamente, la direzione del partito socialista (PS) considera che il successo elettorale di marzo cancella l’affronto del 21 aprile 2002, che vide l’esclusione della sinistra dal secondo turno delle elezioni presidenziali, considerando il tutto ridotto a un semplice incidente che spiega la dispersione della sinistra in quel momento. Riconoscendo che il loro partito non ha ancora un vero progetto, questi dirigenti socialisti, anche se si difendono, mantengono nei confronti di altre componenti di sinistra un comportamento egemonico, come si è visto nella regione Midi-Pyrénées, e non rimettono in discussione i loro orientamenti di fondo social-liberali. Vi è materia di dibattito a sinistra: le ambiguità socialiste si erano già espresse in occasione del grande movimento sociale del 2003 sulle pensioni, persistendo tali ambiguità sulla questione centrale dell’assicurazione malattia. Alternanza o alternativa? Per partecipare a questo dibattito cruciale, dibattito al quale il PS ha potuto sottrarsi fino ad ora, occorre pensare i luoghi dove attuarlo aprendolo il più largamente possibile: i protagonisti di questa discussione devono essere i milioni di uomini e donne interessati e non solamente gli apparati piccoli e grandi. Se è vero che il voto di marzo in Francia è stato un voto-sanzione, non è stato soltanto questo e ridurlo a ciò è sbagliato. Voto-sanzione significa che l’elettorato ha utilizzato il voto a sinistra per colpire la destra: è esatto e ciò significa che non è un voto di adesione al partito socialista (PS). Ma il fatto che la vittoria non è solo quella del PS ma anche quella di una sinistra critica e alternativa traduce altre aspirazioni e la ricerca di un’alternativa a sinistra. In questo senso è falso e pericoloso ridurre questo voto a un voto-sanzione. 18 gennaio / aprile 2004 Il ciclo politico aperto in Francia il 21 aprile non è terminato: la sinistra plurale era stata punita dall’elettorato popolare perché la sua politica era troppo poco di sinistra, questa volta è la destra che è colpita brutalmente senza che per questo ci sia stato un voto di adesione a sinistra. E nel 2002 come nel 2004 è il liberalismo che è stato respinto. E ora? Il doppio scacco spagnolo e francese della destra è stato eclissato dalla disfatta elettorale della sinistra greca. Tale voto colpisce in modo meno eclatante che il 21 aprile in Francia, ma è ugualmente dovuto alla differenza tra le aspirazioni dei movimenti sociali e delle mobilitazioni dei cittadini e l’orientamento social-liberale sul quale si è schierato il principale partito della sinistra greca (PASOK, partito socialista). Lo scrutinio europeo del 13 giugno si svolge in un contesto differente rispetto alla fine del 2003, anno segnato dalla frattura europea al momento della guerra in Iraq e dal successo del Forum sociale europeo di Parigi-Saint Denis. Le aspirazioni pacifiste espresse l’anno scorso non possono essere scollegate dai movimenti sociali: è stato il collegamento tra il pacifismo e le rivendicazioni sociali il centro del citato Forum. Tuttavia la pressione sociale e pacifista resta insufficiente: essa torce a sinistra certamente la problematica elettorale socialdemocratica in previsione del 13 giugno, ma non si traduce in fratture tra i governi dei 15. In effetti quello che ha condotto al fallimento della Conferenza intergovernativa (CIG) di Bruxelles è essenzialmente l’impossibilità di un accordo istituzionale tra gli uni e gli altri. Non sono stati rimessi in discussione né l’assenza di democrazia né il bellicismo che deriva dal collegamento con la Nato né le minacce ai diritti delle donne o alla laicità, in quanto l’ottica liberale è onnipresente nel Trattato costituzionale. L’accettazione della Carta dei diritti fondamentali continua a essere presentata dalla socialdemocrazia, come dalla CES (confederazione europea dei sindacati), come una avanzata sociale e della cittadinanza, mentre questa Carta regressiva era stata condannata senza appello dai componenti del contro-summit di Nizza nel 2002! Al parlamento di Strasburgo, questo Trattato costituzionale inaccettabile ha ricevuto l’approvazione non solo della destra, ma anche del gruppo socialista e del gruppo verde. Il gruppo delle sinistra unita-sinistra verde nordica è il solo che si è pronunciato contro, anche se questa posizione non è stata unanime nel suo seno. Il fatto che non ci sia stato accordo a Bruxelles rimette sul tappeto la discussione sul Trattato costituzionale al termine della presidenza irlandese per il dopo 13 giugno. La buona volontà del nuovo governo spagnolo e la marcia indietro polacca sull’Iraq lasciano presagire un nuovo compromesso. Indipendentemente dalla questione del referendum, le prossime settimane saranno l’occasione per i sostenitori di un’altra Europa, con il prolungamento dei movimenti sociali, delle mobilitazioni dei cittadini e del movimento altromondista, di precisare le loro concezioni, in particolare sui due punti principali: - le istituzioni e la democrazia: può essere limitata essa all’estensione dei poteri del parlamento di Strasburgo, pur tuttavia necessaria? - l’Europa sociale: ci si può accontentare dei pii desideri che accompagneranno, con correzioni marginali, la politica di regressione sociale che minaccia apertamente i diritti e le conquiste sociali come i anche i servizi pubblici? I diritti delle donne, lo sviluppo durevole e i rapporti Nord-Sud costituiscono un altro terreno molto importante: anch’essi richiedono delle proposte, oltre la denuncia. E, infine, come costruire i nuovi strumenti politici per una alternativa a sinistra, al solo livello che valga: quello dell’Europa? 1 maggio 2004 19 gennaio / aprile 2004 Organismi nazionali ARS COORDINAMENTO Franco ARGADA Marco BERLINGUER Luciana CASTELLINA Gianluca CERRINA Giuseppe CHIARANTE Piero DI SIENA Mario DOGLIANI Eugenio DONISE Donatella ESPOSTI Alfonso GIANNI Sergio GIOVAGNOLI Alfiero GRANDI Dino GRECO Massimo ILARDI Gianni MATTIOLI Giorgio MELE Adalberto MINUCCI Sandro MORELLI Valentino PARLATO Gianpaolo PATTA Luigi PEGOLO Luciano PETTINARI Carla RAVAIOLI Francesca RE DAVID Cesare SALVI Aldo TORTORELLA presidente ESECUTIVO Luciano PETTINARI coordinatore Piero DI SIENA vice presidente Franco ARGADA Aldo CARRA Sergio CASERTA Ruggero CINTI Giuliano COLAZZILLI Rocco CORDI’ Giuseppe DI FALCO Nino FERRAIUOLO Carla NESPOLO Costantino PACIONI Giuseppe PIERINO Annamaria RIVIELLO Antonello SECHI Pierlorenzo TASSELLI Mauro TORELLI 20 gennaio / aprile 2004 Incontro di Nizza del 8 maggio 2004 Proposte integrative al documento dei compagni francesi In Italia, negli ultimi mesi si sono sviluppate lotte ampie per la pace e per il ritiro immediato delle truppe dall’Iraq, lotte che hanno trovato il momento più eclatante nell’imponente manifestazione nazionale a Roma, il 20 marzo scorso. Il movimento per la pace è tuttora persistente. Anche in Liguria e nella provincia di Imperia la mobilitazione ha denotato continuità. Il 4 giugno in Italia giungerà il presidente degli Stati Uniti per incontrare Berlusconi, il suo più fedele alleato europeo insieme a Blair. Sono prevedibili iniziative di lotta, non solo per contestare il massimo rappresentante della guerra preventiva, ma anche per contrastare la decisione del presidente del Consiglio di far rimanere i militari italiani in Iraq, anche dopo il 30 giugno. Nell’ambito del centro-sinistra permane la divisione sull’opportunità del ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq. Mentre il partito della Rifondazione comunista (PRC), i Verdi, il Partito dei Comunisti italiani (PdCI), l’Italia dei valori (Di Pietro e Occhetto) e le minoranze interne dei Democratici di sinistra (DS) hanno dichiarato l’intenzione di intraprendere un’iniziativa parlamentare, come momento alto della mobilitazione, per richiedere l’immediato rientro in Patria dei militari, la lista unitaria dei riformisti (socialisti dello SDI, Margherita, DS), che si presenta alle elezioni europee, manifesta titubanza e si attesta sulla linea enunciata recentemente da Prodi: è sbagliata la guerra e l’intervento in Iraq, ma prudenza nel ritiro delle truppe. La diversità di orientamento tra le forze di sinistra e quelle moderate, oltre che la divisione all’interno delle singole forze, evidenzia la persistenza di giudizio divergente sulla fase politica e sul rapporto che deve intercorrere tra Unione Europea e Stati Uniti. A sinistra, e non solo, esiste la coscienza dei guasti provocati dal governo di centro-destra, diretto da Berlusconi, e delle crescenti difficoltà economiche e sociali soprattutto per gli strati popolari e, fatto recente, anche per settori sempre più ampi di ceto medio riflessivo. Recente è stata la denuncia del parlamento europeo sui limiti del pluralismo nell’informazione in Italia e i conseguenti rischi per la democrazia, fattore che preoccupa l’insieme dell’Ue. Le forze più avvertite, a sinistra, sanno che per battere il centro-destra occorre definire un comune denominatore dell’alleanza di centrosinistra, alternativa al governo Berlusconi. Nel 2001 il centro-destra ottenne la vittoria alle elezioni politiche poiché tre milioni di elettori di sinistra non si recarono alle urne o annullarono la propria scheda per protesta nei confronti dell’operato dei governi dell’Ulivo del quinquennio precedente. Il centro-sinistra può battere il governo del centro-destra, non ripetendo gli errori del passato, con la costruzione di un’alleanza tra moderati e sinistra che poggi su precisi capisaldi: 1) lotta per la pace e la legalità internazionale; 2) opposizione al neoliberismo, difesa dei diritti dei lavoratori e dell’occupazione in primo luogo; 3) diverso sviluppo, ambientalmente sostenibile; 4) estensione della democrazia, lotta alle discriminazioni e difesa dei valori costituzionali. Gli errori dei governi ulivisti furono causati dalla convinzione che in Italia fosse prevalente un’opinione pubblica moderata e conseguentemente gli esecutivi furono egemonizzati dal punto di vista dei moderati e della sinistra riformista. Dopo la sconfitta del 2001, si è aperto a sinistra un confronto molto duro sulle prospettive del paese, dibattito confortato dalle ampie lotte presenti nel mondo del lavoro: nel settore dei trasporti (su gomma e rotaia, Alitalia) e nella Fiat di Melfi (fabbrica strategica per l’intero gruppo), così come nel mondo della scuola e dell’università e tra i ricercatori, si sono avuti i momenti più significativi. 21 gennaio / aprile 2004 La Fiom-Cgil, il principale sindacato metalmeccanico, è l’organizzazione sindacale di punta nel rivendicare la centralità del lavoro e della sua qualità, nell’essere contro la precarietà, per l’aumento dei salari (tra i più bassi d’Europa), ma è soprattutto l’alfiere della richiesta di sancire contrattualmente e legislativamente il principio che siano i lavoratori a decidere con il loro voto su tutte le questioni contrattuali che li riguardano. La battaglia è aspra, le organizzazioni sindacali di categoria sono divise, ma, anche a livello confederale, malgrado i recenti tentativi di ricomposizione unitaria (positiva l’organizzazione dello sciopero generale del 26 marzo scorso in difesa delle pensioni e per una diversa politica economica), permangono punti di vista drammaticamente divergenti, come testimonia la firma di Cisl e Uil del Patto per l’Italia, una proposta neocorporativa voluta a suo tempo dal governo di centro-destra. L’esito dello scontro dipende anche dal confronto culturale: le nostre organizzazioni, come le tante similari esistenti, possono svolgere un ruolo prezioso per affermare un punto di vista di sinistra, ad un tempo antagonista e con la propensione a governare, non solo a livello istituzionale. Lo scorso 25 marzo il Senato italiano ha approvato in prima lettura, con la netta opposizione del centro-sinistra, una sconvolgente modifica della Costituzione antifascista del 1947. Il succitato disegno di legge costituzionale, presentato dalla maggioranza di centro-destra, assume una notevole gravità, perché, oltre a prefigurare un contesto che favorisce il premierato forte, mette in discussione anche la prima parte della Costituzione che ne contiene i valori e i principi fondamentali, isterilendone le difese previste. La scelta del centro-destra minaccia l’unità del Paese (si mettono a rischio i diritti all’istruzione, alla salute e alla sicurezza) e apre una grande questione democratica, per la tutela dei diritti e della libertà dei singoli, contro la dittatura della maggioranza. Il centro-destra si è opposto a tutte le proposte tendenti ad alzare i quorum necessari per modificare la Costituzione, per eleggere il Capo dello Stato e i presidenti delle due Camere: con l’esistenza del sistema elettorale maggioritario vigente tali presidenti e anche la Corte costituzionale saranno sostanzialmente eletti da una semplice maggioranza parlamentare. E ancora: leggi fondamentali in materia di libertà e diritti saranno decise da una sola Camera eletta con il sistema maggioritario e condizionata dai poteri di scioglimento del premier. Il percorso è ancora lungo, ma non infinito: tre letture del disegno di legge costituzionale con un intervallo di tre mesi tra la prossima lettura e le due successive e il finale referendum confermativo. Le sinistre e i democratici si giocheranno l’avvenire del Paese su tali questioni. La campagna elettorale per l’elezione del parlamento europeo fornisce alle sinistre l’opportunità di incentrare il dibattito sulla critica al Trattato costituzionale europeo che ha il grave limite di non essere espressione di un vero dibattito democratico. Tale inadeguatezza risulta eclatante ancor più in quanto la bozza di Costituzione per l’Europa non prevede il rifiuto della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti (l’articolo 11 della Costituzione italiana è particolarmente efficace in materia). Sugli aspetti più specifici rinviamo a quanto scritto nel documento preparatorio dell’incontro tra le nostre associazioni, tenutosi a Imperia il 25 ottobre 2003. Per riassumere, ci si dovrebbe impegnare prioritariamente a: • assumere iniziative di informazione e mobilitazione sui temi inerenti il Trattato costituzionale europeo; • formare gruppi di lavoro con l’obiettivo di formulare proposte per una democrazia diffusa sul territorio e colmare l’insufficienza degli esistenti organi istituzionali in ambito nazionale ed europeo; • elaborare proposte programmatiche per affermare nei nostri territori una diversa politica ambientale e culturale comune. Imperia, 4 maggio 2004 22 gennaio / aprile 2004 Nizza, 8 maggio 2004 - incontro italo-francese 23 gennaio / aprile 2004 INCONTRO SINISTRE ITALO-FRANCESI Nizza, 8 maggio 2004 Comunicato conclusivo L’odierno incontro, organizzato da Associazione per il Rinnovamento della Sinistra di Imperia, Ballon Rouge di Aubagne e Association pour une alternative à gauche delle Alpi Marittime sul tema «Dopo il loro scacco in Spagna e in Francia, combattere le destre in Europa: quale alternativa a sinistra?», si è svolto con la partecipazione dei compagni delle seguenti altre associazioni e partiti di Nizza: Nuovo mondo PSF, gli Alternativi, gli Amici della democrazia, PCF, che hanno accolto l’invito loro rivolto. Il dibattito, assai ampio, si è svolto sulla base di due testi preparatori ed ha informato l’assemblea dell’esistenza di ampi e articolati movimenti di lotta per la pace, in difesa dei diritti democratici e del mondo del lavoro. Molti intervenuti hanno sottolineato l’inadeguatezza delle sinistre operanti nei rispettivi paesi, sia sotto il profilo programmatico e culturale, quanto su quello organizzativo, avvertendo tutti la necessità di fornire una robusta sponda politica al mondo del lavoro che coniughi alternatività e propensione al governo. L’impegno delle associazioni organizzatrici dell’incontro è quello di proseguire le iniziative sottolineando le seguenti priorità: • sostenere il rafforzamento del movimento di lotta contro la guerra in Iraq, per il ritiro delle forze di occupazione, per l’isolamento dell’amministrazione Bush e di quelle ad essa alleate, per la pace, contro la guerra preventiva e per l’affermazione del diritto internazionale, ricordando inoltre l’importanza di risolvere la questione palestinese secondo il principio di due popoli, due stati e nel rispetto delle risoluzioni dell’Onu; • sviluppare l’informazione sul carattere totalmente inaccettabile del Trattato costituzionale adottato dalla Convenzione europea nel luglio 2003, al fine di permettere • la costruzione di un’Europa sociale e autonoma dagli Stati Uniti; • si conviene di nominare un coordinamento permanente italo-francese con il compito di dare continuità all’esperienza giunta al terzo incontro e per preparare il prossimo appuntamento autunnale incentrato sul rapporto partiti, movimenti sociali, democrazia diffusa. Nizza 8 maggio 2004 24 gennaio / aprile 2004 RENCONTRE FRANCO-ITALIENNE Nice, le 8 mai 2004 Communiqué issu des travaux de la rencontre La 3° Rencontre franco-italienne, co-organisée par l’Association pour la Rénovation de la Gauche (ARS, Imperia), Ballon Rouge (Aubagne) et l’Association Pour une Alternative à Gauche (Alpes-Maritimes), sur le thème «Après leur échec en Espagne et en France, combattre les droites en Europe: quelle alternative à gauche?», s’est déroulée avec la participation de plusieurs invités, parmi lesquels les Amis de la Démocratie, les Alternatifs, le PCF, le courant Nouveau Monde du PS. La discussion, assez ample, s’est organisée sur la base de deux textes préparatoires; elle a permis d’informer l’assemblée des mobilisations pour la paix et pour la défense des droits démocratiques et des acquis sociaux, et de l’articulation entre ces mobilisations, en France, en Italie et en Europe. De nombreux intervenants ont souligné l’inadéquation entre les gauches de chaque pays, que ce soit sur le plan programmatique ou culturel ou sur un plan organisationnel, et la nécessité d’élaborer une forte expression politique pour le monde du travail, conjuguant orientation politique alternative et participation institutionnelle. Le but des trois associations organisatrices est de prolonger l’initiative de cette 3° Rencontre franco-italienne et sur la base des priorités suivantes: • le renforcement de la mobilisation contre la guerre en Irak, pour le retrait des forces d’occupation, pour l’isolement de l’administration Bush et de ses alliés, pour la paix, contre la guerre préventive et pour l’affirmation du droit international, en particulier dans le cas de la question palestinienne selon le principe deux peuples, deux Etats et dans le respect des résolutions de l’ONU; • le développement de l’information sur le caractère inacceptable du projet de traité constitutionnel adopté par la Convention Giscard l’été 2003, afin de permettre la construction d’une Europe de la démocratie et de la citoyenneté de résidence, une Europe sociale et autonome des Etats-Unis; • la désignation d’une coordination permanente italo-française, avec comme première tache la préparation de la 4° Rencontre franco-italienne à l’automne 2004 sur le thème «Quels rapports entre mouvements sociaux , forces politiques et démocratie active?». Nizza 8 maggio 2004 25 gennaio / aprile 2004 Imperia, 26 marzo 2004 - Sciopero generale nazionale 26 gennaio / aprile 2004 Conversazione con il segretario dello Spi-Cgil di Imperia, Enrico Torelli Il fallimento delle politiche sociali del centro-destra a cura di Luciana Zanetta * Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, cui si aggiungono nuovi poveri provenienti dal ceto medio. Questa, in estrema sintesi, la situazione del nostro paese, dove, paradossalmente il tasso di inflazione rimane inchiodato a un 2,3 per cento, che poco si intona agli aumenti che siamo costretti a registrare giorno dopo giorno, specialmente su prodotti irrinunciabili quali, ad esempio, le medicine. In questo contesto risultano assolutamente risibili le affermazioni di Berlusconi sulle massaie che «non sanno fare la spesa» e sul taglio delle tasse che porterebbe vantaggi a tutti i ceti, pensionati compresi, una delle fasce sociali (il 27 per cento degli italiani) maggiormente colpite dal vorticoso aumento dei prezzi, e investite dall'ondata di povertà che sta piegando il nostro paese. La riflessione viene dal segretario provinciale dello Spi-Cgil, Enrico Torelli, il quale sottolinea che «quella dei pensionati è la categoria più povera». D - Sembra una situazione ormai destinata a deteriorarsi sempre più… R - Se non si prendono consistenti misure che invertano la tendenza, certamente sì. Il sindacato, come ha dimostrato con la manifestazione tenuta a Roma il 3 aprile, si sta battendo con tutte le sue forze per riportare le lancette dell'orologio sull'ora giusta. E i pensionati hanno risposto con decisione e determinazione al nostro appello. Un milione di persone in piazza per chiedere il recupero del potere d'acquisto delle pensioni, una politica di controllo dei prezzi e delle tariffe, l'approvazione della legge per le persone non auto sufficienti, uno stanziamento di risorse per garantire i livelli essenziali sanitari. D - E, però, l'inflazione non sembra denunciare gli aumenti siderali dei prezzi che i sindacati denunciano… R - Così si dimostra che i numeri possono essere anche un'opinione. Ma, al di là delle battute, resta il fatto, assodato, che i prodotti maggiormente usati dagli anziani sono i più inflazionati. La frutta e le verdure hanno avuto rialzi vertiginosi, mentre le medicine navigano verso aumenti sempre più alti e incontrollati. D - Secondo Berlusconi, la colpa di quanto sta accadendo è della conversione della lira in euro. R - Mi pare che sia stato ampiamente dimostrato che ciò non risponde alla realtà. Il problema è nato dall'incuria del governo che si è assolutamente disinteressato di controllare il passaggio dalla lira all'euro. Un confronto con gli altri Paesi europei ci fornisce subito il termine di paragone con i prezzi praticati in Italia. Prendiamo le medicine, quelle definite da banco e acquistabili senza ricetta quali l'aspirina, la novalgina, ecc. In Francia l’aspirina costa due euro, in Italia 3,95, esattamente il doppio; la tachipirina in Francia si acquista con 2,40 euro, in Italia con 4 euro, per non parlare del tavor che in Francia vale 1,20 euro, mentre in Italia le farmacie te lo fanno pagare 6 euro. D - Secondo il presidente del consiglio, portando l'aliquota dell'Irperf al 33 per cento per tutti, si risolveranno molti problemi. R - La demagogia è una merce molto usata dal nostro governo. Tagliare le tasse, portandole al 33 per cento per tutti, significa, ovviamente, favorire i più ricchi che ora pagano un'aliquota più alta, 27 gennaio / aprile 2004 mentre si penalizza il ceto medio che, per bene che vada, continuerà a pagare le aliquote che paga ora (il 27 per cento della popolazione italiana costituita da pensionati è esclusa dal beneficio del taglio delle tasse). Noi sindacati sosteniamo che il paese deve continuare a vivere sostenuto da un efficiente stato sociale, ciò vuol dire che i servizi sanitari, scolastici, ecc. devono essere a carico dello Stato. Ora se si tagliano le tasse, specialmente ai contribuenti più ricchi, lo Stato non avrà più denaro sufficiente per tutelare la salute dei suoi cittadini, o finanziare la scuola pubblica. Di conseguenza, il risultato sarà, ma ormai si può cominciare a parlare al presente, che la gente, nella fattispecie i pensionati, dovranno pagarsi le medicine, come in parte già fanno, le cure mediche e l'ospedale, perché è questo che vuole il governo, trasformare la salute in una merce che si vende e si compra, sempre guardando al guadagno del privato che la gestisce. D - E allora non si devono tagliare le tasse? R - Non dico no, per principio, al taglio delle tasse. Ma c'è modo e modo di farlo. Intanto ci deve essere un controllo capillare sulle denunce dei redditi. Tutti, dico tutti, le devono pagare, senza sconti a chi ha maggiori introiti. Smantellare lo stato sociale, come intende fare il governo, e si è già cominciato a farlo, significa spingere in condizioni di povertà famiglie che fino a poco tempo fa vivevano una vita dignitosa, tutelate, proprio grazie agli interventi dello Stato, da una redistribuzione del reddito tra tutti gli italiani. Ricordo che anni addietro Gianni Agnelli fu ricoverato per essere curato da un attacco al cuore nell'ospedale Molinette di Torino, finanziato con denaro pubblico. Quel ricovero dimostrò che lo Stato italiano era in grado di garantire un servizio efficiente, con équipe di prim'ordine, sia ai molto ricchi che ai più poveri e questa è stata una grande conquista fatta attraverso le lotte condotte negli anni 1960-1970 dal sindacato e dai partiti della sinistra. D - Come intendete recuperare il potere d'acquisto legate all'inflazione programmata che, come è stato ampiamente dimostrato, non risponde alla reale inflazione. Ci furono poi le riforme delle pensioni, che in Italia, sono già state fatte, anzi strafatte, con una contraddizione che si va facendo sempre più drammatica: da una parte l'industria licenzia lavoratori che hanno dai 50 ai 55 anni, mentre il pubblico impiego trattiene i propri dipendenti oltre i sessant'anni. Più che innalzare l'età pensionabile occorre, perciò, migliorare la capacità del mercato del lavoro di trattenere le persone non più giovani. Per recuperare il potere d'acquisto delle pensioni le si dovrà agganciare alla produttività del paese e calcolare l'inflazione su un paniere per gli anziani, formato dai generi di consumo che li investono maggiormente: frutta, verdure, medicine, fitti. Una proposta che deve essere discussa e valutata, ma che potrebbe dare dei buoni risultati. Calcolare per i pensionati l'inflazione su un paniere di spesa generale e omogeneo per tutti, fa sì che si abbattano gli aspetti più negativi dell'aumento di alcuni capitoli di spesa essenziali (generi alimentari). Bisogna tener conto che negli ultimi tre anni le pensioni hanno perso il 14 per cento della loro capacità d'acquisto. E che non si può restare a guardare. Inoltre tra qualche anno il 25 per cento della popolazione italiana sarà formato da ultra sessantacinquenni. D - C'è da ritenere che questo dato porti a un'altra considerazione: quella sulle condizioni di salute degli anziani… R - Questo è un fatto del quale si è molto discusso e si discute nel sindacato e che ci ha spinto a formulare la richiesta di un fondo adeguatamente rifornito per le persone non autosufficienti. Riteniamo che sia l'unica risposta ai bisogni delle persone totalmente o parzialmente inabili e alle loro famiglie. Il fondo deve avere un carattere universalistico, e il finanziamento va coperto dalla fiscalità generale, escludendo forme assicurative (selettive e costose). L'attuazione del fondo per la non autosufficienza metterebbe il nostro paese allo stesso livello di altri paesi europei, che da tempo hanno provveduto ad affrontare un prodelle pensioni? R - C'è intanto da dire che dal 1992, quando ci fu blema di primaria importanza. la gravosissima finanziaria del governo Amato, le * Giornalista pensioni persero potere d'acquisto perché furono sganciate dall'indice di produzione del paese e 28 gennaio / aprile 2004 Imperia, 26 marzo 2004 - Sciopero generale nazionale 29 gennaio / aprile 2004 30 gennaio / aprile 2004 MUSICA E POTERE Il rapporto della musica con le istituzioni imperiesi pubbliche Il Dams: una bella scommessa per l’ateneo ligure e per la provincia di Imperia di Vittorio Coletti * Il titolo è volutamente eccedente l'ambito in cui si circoscriverà il nostro dibattito, che avrà come punto di riferimento la situazione imperiese delle attività musicali in rapporto all'offerta scolastica e universitaria. Ma qualcosa si può pur dire a titolo di premessa generale. La musica è un'arte pubblica per eccellenza. Il suo consumo è stato esclusivamente pubblico fino all'avvento delle tecnologie di registrazione e ascolto moderne, e anche oggi continua ad essere fruita molto spesso in pubblico, in ambienti e situazioni collettive. Pubblica è la musica altrettanto spesso già al momento della sua produzione: commissionata da corti, principi, enti; composta per solennità, ricorrenze, eventi civili e sociali, essa nasce perlopiù in vista di un'esecuzione aperta al pubblico e quindi di un consumatore collettivo. Di qui gli stretti rapporti che, più di altre arti, più delle stesse arti figurative, la musica intrattiene con le istituzioni, che da sempre sono i suoi principali committenti, non di rado i suoi destinatari. C'è dunque una dimensione sociale e pubblica che fa sì che la musica abbia bisogno di un dialogo stretto con le istituzioni pubbliche, anche se, ovviamente, può svilupparsi pienamente anche a prescindere da esse. Ci si può chiedere allora: qual è il rapporto della musica con le istituzioni pubbliche imperiesi? Mi soffermerò su una di esse: il DAMS. Nel curriculum del DAMS ci sono ovviamente insegnamenti di musicologia; in teoria potrebbe esserci addirittura un indirizzo specificamente musicologico. Che cosa si richiede perché questi insegnamenti siano davvero efficaci? Si richiede che, usciti dalle aule, gli studenti possano facil- mente e ripetutamente incontrarsi con la musica (come con le altre forme di spettacolo, ovviamente). Ora, questo non avviene spesso, a Imperia. Ed è proprio questa difficoltà che mi lasciava perplesso al momento dell'attivazione del DAMS (di cui mi ero fatto promotore) e che ancora oggi mi lascia perplesso sulle sue sorti e sulla sua gestione. In effetti, non è pensabile uno studente del DAMS che non vada, direi con cadenza settimanale, a teatro, all'opera, al concerto, al cinema. A Imperia può trovare solo, e grazie al cineforum, un po' di cinema. Teatro poco, concerti e opera anche meno. Per la verità ci sono concerti di pregio d'estate (Cervo), cui gli studenti del DAMS dovrebbero essere obbligati ad assistere; ci sono occasionali appuntamenti con l'opera; un piccolo cartellone teatrale. Ma ci vorrebbe qualcosa di più. La città, le città, la provincia possono fare di più? Forse sì, anche se i costi di queste iniziative sono molto alti. Si potrebbe puntare all'ospitalità a compagnie e strutture giovani; il DAMS dovrebbe favorire gli spostamenti degli studenti almeno nei teatri genovesi, con i quali l'università è convenzionata e che offrono spettacoli a costo molto basso per gli universitari. Forse un pullman, un autista e un po' di organizzazione sarebbero già un buon inizio: poniamo tutti i martedì sera, o i giovedì, viaggio a Genova a teatro, all'opera, compreso nelle ore di lezione. La provincia, si sa, è restia a muoversi. Di recente, un importante convegno su Italiano e musica, tenutosi a Sanremo, con molti docenti dello stesso DAMS imperiese, è stato seguito da pochissimi studenti: i più non erano informati o 31 gennaio / aprile 2004 non hanno ritenuto di doversi spostare dalla sede del capoluogo o erano impegnati in lezioni. È l'università che dovrebbe affrontare questo problema, istituzionalizzando le trasferte nel programma del DAMS e chiedendo magari alla RT un sostegno all'iniziativa perché non comporti troppi costi aggiuntivi per gli studenti. La città a sua volta dovrebbe ampliare almeno un po' l'ambito e la qualità dell'offerta teatrale e musicale, consentendo incontri in sede col lavoro drammaturgico e musicale. Si sente, a questo riguardo, il bisogno di una politica che consorzi le città delle province vicine (un po' come è successo in Emilia Romagna), in modo che uno spettacolo possa circolare in tutte distribuendo i costi e allargando le possibilità dei ricavi. Inutile dire che, fermi restando gli spettacoli popolari e di cassetta, bisognerebbe articolare i cartelloni locali, inserendo appuntamenti diversificati per tipologia (prosa e lirica, recitazione e musica) e per livello culturale. Il DAMS è una bella scommessa che ateneo ligure e provincia di Imperia (con le sue città principali) debbono e possono provare a vincere. Ma occorrono fantasia, spirito di iniziativa, credito alla cultura. * Ordinario di storia della lingua italiana Università di Genova 32 gennaio / aprile 2004 MUSICA E POTERE Idee in astratto e in concreto: dalla storia alla situazione locale di Antonio Rostagno * I rapporti fra la musica e il potere politico costituiscono un campo d’indagine sterminato; le reciproche influenze testimoniate dalla storia mostrano una varietà di atteggiamenti difficilmente riducibile a poche parole. Si tratta di un rapporto solo apparentemente contraddittorio, poiché solo apparentemente queste due attività umane sembrano incomparabili; perciò riflettere su questo problema è ritenuto inutile solo da chi poco conosca la storia. Oggi, soprattutto in una zona povera di grandi istituzioni culturali com’è purtroppo la Liguria, il ruolo sociale della musica risulta del tutto marginale; la sua effettiva presenza nel quotidiano collettivo ne esce quindi pesantemente limitata. È vero che questo è un difetto radicato nella storia italiana che possiamo far risalire almeno al XVIII secolo: la musica non fa parte dell’idea di cultura in Italia a partire dai letterati settecenteschi come Alfieri, Muratori, Parini e tale rimarrà la situazione più tardi, con Leopardi e la letteratura italiana ottocentesca. In conseguenza, già i primi programmi scolastici dell’Italia unita, dopo il 1861, assegnavano un minimo interesse alla musica (eppure Giuseppe Verdi era stato chiamato in parlamento dallo stesso Cavour). Non stupisce quindi che Benedetto Croce abbia parlato di tutte le arti, abbia concepito un sistema estetico completo, ma abbia lasciato in posizione assolutamente marginale la musica (che invece il sistema dell’idealismo hegeliano, cui Croce si riferiva, poneva in una posizione predominante nella gerarchia delle arti). Insomma, la sordità della cultura italiana che si ritiene alta è un fenomeno storico di lontane origini; da esso scaturisce il radicato pregiudizio che la musica sia solo qualcosa di istintivo, qualcosa che accompagna alcuni felici momenti della vita, ma che, al momento delle cose importanti, si ritira con modestia e quasi vergognandosi della propria inutilità; dalla stessa origine deriva anche il totale disinteresse per la dimensione professionale della musica. In questo panorama ci sono per fortuna moltissime eccezioni nella storia come nell’oggi. Se il Ponente ligure potrebbe essere scelto come paradigma del disinteresse musicale tradizionale di cui sopra si parlava, per fortuna in Italia la situazione non è ovunque così irreversibilmente debole. Esiste una rete di grandi istituzioni, con una forza lavoro decisamente ampia, con un indotto che coinvolge migliaia di lavoratori raggiungendo bilanci elevatissimi, con un bacino di utenza che supera ampiamente numeri a sei cifre; e fortunatamente questa rete non include solo i grandi teatri (Roma, Milano, Napoli), ma si estende ad iniziative provinciali di altissimo livello (Ferrara, Altamura, Busseto, le reti teatrali dell’Emilia-Romagna e della Toscana che coinvolgono teatri di limitate dimensioni ecc.). Con questi presupposti si è formata una vera e propria categoria professionale musicale e un bacino di utenza tanto largo da rappresentare un concreto e visibile movimento d’opinione. In sostanza, a un lettore imperiese parrà inutile parlare del problematico rapporto musica/potere, poiché la musica è qui normalmente considerata solo svago in ore serali, per lo più per adolescenti, ma forse le cose non sono sempre andate così né così accade oggi dovunque. Visto che quanto detto fin qui potrebbe sembrare provocatorio, mi affretto a precisare che la principale colpa di questa situazione non è da attribuire né alla struttura sociale di una zona come il Ponente, né a una presunta pigrizia della classe dirigente verso la musica d’estrazione professionale (certo, un notevole disinteresse sta crescendo nella classe politica presa in generale, con luminose e fortunate eccezioni); purtroppo invece la maggior responsabilità dell’essere giunti a questo disastro culturale è da attribuire soprattutto ai musicisti stessi, di cui che scrive fa parte. 33 gennaio / aprile 2004 Ma parlare di colpe e meriti non sarebbe costruttivo senza adeguate premesse. Perciò passo ora a una sommaria panoramica che ci permetta di comprendere quanto ramificati e profondi debbano necessariamente essere i rapporti che legano la musica e la gestione del potere. In primo luogo il rapporto musica - potere politico va diviso in due ordini di considerazioni da cui scaturiscono diversi ordini di problemi: Da un lato il potere ha bisogno della musica. D’altro lato la musica ha bisogno del potere. A) L’organizzazione del potere politico ha bisogno della musica Un’aspirante consigliere di circoscrizione come un primo ministro avranno in mente un chiaro sistema di valori: chi gestisce la pubblica amministrazione ha il diritto di influenzare tutte le componenti sociali, anche naturalmente la produzione di musica dato il suo essenziale carattere pubblico. Il potere (politico, ma anche religioso) è convinto di gestire il piccolo e finanziariamente debole settore della musica dominandolo attraverso la dipendenza economica; ma al tempo stesso ne è dipendente in alcune situazioni particolarmente rilevanti dal punto di vista della sociabilità. Per spiegarmi ecco qualche esempio: tutte le grandi festività pubbliche, civili o religiose, prevedono momenti musicali, dalla liturgia ai comizi, dalle conventions oggi così di moda alle manifestazione popolari di piazza, dalle celebrazioni, commemorazioni, anniversari, alle guerre, fino a momenti di aggregazione di piccoli gruppi (e questo senza distinzioni di età). In tutte queste occasioni c’è colonna sonora. E lo stesso fenomeno è testimoniato in qualunque società e in qualunque epoca storica. È vero che ora occorrerebbe studiare come la parte musicale si inserisce nel contesto celebrativo, l’importanza che ad essa viene data, il prestigio che il musicista ha individualmente come creatore e intellettuale e il prestigio che ne riceve l’entità politica che si auto-celebra attraverso la solennità. Quando i Borboni a Napoli o gli austriaci a Milano volevano organizzare il consenso accordavano cifre considerevoli ai musicisti e questi ultimi rientravano nelle categorie più alte del panorama sociale cittadino. Se passiamo all’oggi, nel nostro quotidiano imperiese, noteremo che nessuno è disposto a riconoscere a un musicista né lo statuto di professionista (sarà piuttosto un eterno ragazzo che si diverte) né un ruolo sociale essenziale; quindi è ovvio che nessuna entità politica sarà disposta a investire congrue cifre per finanziare attività socialmente relegate nel limbo del puro divertimento. Tout se tien, non si uscirà mai da questo impasse a meno di radicali capovolgimenti non in termini strettamente economici (più soldi alla musica) ma in termini di qualità e riconoscimento professionale che i musicisti devono guadagnarsi. Nessuno può sapere se l’obiettivo della alta qualità artistica convincerà pubblico e amministrazioni a spendere di più per l’arte, ma vale la pena di tentare con convinzione questa carta, certo estremamente difficile. La reciprocità di musica e potere politico ha anche una ragione più radicata, direi costituzionale. Poniamoci la domanda: perché accade questo strano fenomeno di doppia influenza reciproca, di dipendenza dalla musica dal potere costituito e di dipendenza di questo dal bisogno di musica nelle cerimonie celebrative? Soprattutto per una particolare affinità che accomuna il tipo di discorso musicale e il tipo di uso del linguaggio verbale da parte dei poteri costituiti o aspiranti tali: in entrambi i casi non si usa un linguaggio dialogico, che implichi dialogo a proposta e risposta, scambio di quoziente d’informazione fra emittente e ricevente e risposta a sua volta ricca di contenuti. Al contrario il linguaggio musicale e quello verbale del potere sono monologanti, non richiedono né ammettono il dialogo immediato, lo scambio dialogico d’opinioni; sono in somma autosufficienti ed autoreferenziali, non propongono idee ma semplicemente le manifestano. B) La musica ha bisogno del potere Pronunciata così categoricamente quest’affermazione può sembrare qualche poco insultante verso i compositori, che sono poi i grandi professionisti della musica, quindi occorre precisare. Anzitutto per grandi professionisti intendo i compositori con una solida base di conoscenze storiche, non i canzonettisti né i più rispettabili esponenti della popular. Non si tratta di snobismo culturale, ma semplicemente della constatazione che oggi viviamo un’epoca talmente ricca di storia e di storicismo (conoscenza critica della storia, non assimilata per semplice tradizione diretta ma 34 gennaio / aprile 2004 consapevolizzata nella sua dimensione passata e spiegata sui suoi propri principi che un musicista non può più limitarsi a fare delle belle note: deve studiare, altrimenti produrrà merce di consumo ben fatta, forse redditizia, ma totalmente inutile al progresso storico e ingenuamente esposta invece alla strumentalizzazione più smaccata. La musica ha bisogno del potere? È indubitabile che senza appoggio politico nessuna musica arriva alla storia, se si è realistici non si può negarlo. Non dico che sia la giusta dinamica delle cose, ma oggettivamente è andata così, fin dai primissimi documenti musicali della nostra storia, ossia il corpus di melodie gregoriane fissate dagli scriptoria carolingi e poi imposti a tutto il Sacro Romano Impero. Occorrono però alcune attenuanti: quanto più la musica è semplice, usa un linguaggio semplificato, non ha ambizioni storiche ma solo consumistiche, è quindi di facile creazione ed esecuzione, tanto più il suo successo è legato ai fattori contingenti che nulla hanno da spartire con il puro valore musicale. Al contrario, quanto più una musica è complessa, scende quindi dentro se stessa e non si ferma a un tipo di comunicazione superficiale, tanto più è difficile da creare ed eseguire e tanto più è libera da condizionamenti eteronomi. Certo il suo successo non si misura né sul piano economico né sul piano sociale (ed ecco perché è più autonoma), ma piuttosto sul piano dell’influenza storica, su quello che gli storici chiamano efficacia artistica. È ovvio che qui si parla di un bene autonomo, non direttamente organico né alla società che lo ha prodotto ne a quelle successive che lo recepiscono, è un prodotto quindi a-storico nella sua essenza e per questo del tutto slegato, essenzialmente, da condizionamenti politici. Così considerata la musica non ha alcun bisogno del potere politico né economico né di qualunque alto genere, ma è una concezione dell’arte che direi anacoretica, che condanna l’artista a una strada difficilissima eppure unica vera via maestra. Tuttavia questa scala dalla completa autonomia alla completa funzionalità non deve essere ipso facto impiegata a scopo valutativo: non si può sempre concludere che Luciano Berio è in assoluto migliore di un cantante pop. Se anche esistesse una sola opinione contraria, sarebbe sufficiente a far ripensare il problema e non permet- terebbe di far finta di niente (non posso aprioristicamente e senza discussione affermare che il mio punto di vista non sopporta confronti e far finta che le diverse opinioni non esistano neppure: abbiamo già troppi bravi politici che ci dimostrano quest’atteggiamento quotidianamente dagli schermi televisivi e dovrebbe essere dovere dell’uomo di cultura dimostrare una apertura di segno assolutamente opposto). Posso però sostenere che l’atteggiamento creativo di Berio era meno legato a fattori extramusicali e che la sua opera vive nella storia, almeno nella cerchia professionale, del tutto indipendentemente da fattori extra-musicali; al contrario il gruppo rock per profonda che sia la sua musica non vive se non all’interno di un sistema economico ben preciso (il grande giro di concerti internazionali) e di una rete di gestione che con la musica non c’entra assolutamente nulla. A questo punto si può introdurre un nuovo elemento. Il rapporto fra musica e potere politico si manifesta in diversi settori: • rapporto del potere con la creazione di nuova musica; • rapporto con la socializzazione di questa nuova produzione, al cui interno si distinguono: - rapporto con gli esecutori; - rapporto con gli organizzatori di concerti e di reti pubblicitarie di diffusione; - rapporto con la critica. In sintesi si può generalizzare che: 1) ha a disposizione più campo d’autonomia, mentre 2) è quello più esposto al rischio di colonizzazione da parte di poteri extra-artistici (politico, religioso, economico). È facile qui ritornare subito alla situazione di Imperia: compositori ne abbiamo pochissimi, esecutori molti, quasi troppi verrebbe da dire. Questo dato non deve stupire: comporre musica storicamente valida, ricca di tutta la storia millenaria che la nostra cultura occidentale ha sviluppato, è l’attività più complessa e dovrebbe rappresentare il vertice di tutto il sistema musicale e non il fanalino di coda, appena tollerato e sempre frainteso com’è usuale qui, oggi. Perché? Le risposte sono troppo complesse e coinvolgerebbero troppe realtà locali. Ma basti riflettere che nella nostra zona si sono sviluppate quasi esclusivamente quelle attività musicali che più facilmente si stringono ai poteri politici e 35 gennaio / aprile 2004 sono state quasi interamente annullate le attività musicali creative, quelle che conservano invece maggior autonomia. Molti esecutori-organizzatori hanno possibilità di sopravvivere contando su appoggi momentanei di varie parti politiche nelle amministrazioni; ne risulta una facile colonizzazione del campo musicale locale da parte di interessi che nulla hanno a che vedere con la musica. Ma questo stato di cose annulla la possibilità di vero dialogo con la società, porta a azzerare le capacità critiche dei musicisti e dell’uditorio, porta a svuotare la musica di qualunque suo valore sociale, in modo che il concerto stesso diviene un rito del tutto inutile. È quindi ovvio che il potere politico, qualunque esso sia, consideri la musica come cosa del tutto inutile, proprio perché la può prendere o lasciare a piacimento, con minime critiche da parte di una classe professionale inesistente, critiche che dovrebbero fondarsi su una preparazione tecnica superiore (ovviamente non sto parlando di critiche d’ordine politico, sebbene il musicista non dovrebbe essere uno sprovveduto e avere una sua chiara personalità politica, visto che la sua dimensione naturale è appunto quella sociale). L’amarezza viene dalla constatazione che questa preparazione nella nostra zona c’è, esiste e ne possiamo avere oggettiva esperienza in diverse occasioni; ma purtroppo viene subordinata ad altri criteri non certo artistici. I grandi professionisti, i compositori, coloro che dovrebbero orientare prevalentemente l’andamento della vita musicale, coloro che potrebbero con un chiaro giudizio professionale superiore artisticamente e storicamente a quello degli esecutori, vengono così relegati a posizione del tutto marginale con l’effetto che quel poco di autonomia della musica dal potere politico viene vanificato e perduto. L’altra figura che, anch’essa inserita nel campo della socializzazione della musica, potrebbe avere proficui contatti con i poteri politici è quella del critico musicale. Ma a Imperia questa figura non è mai esistita. Conseguenza: sulla triste fotografia che si è data sopra, si inserisce la mancanza di una figura che, saltando il rapporto con il potere, potrebbe direttamente dialogare con i lettori-ascoltatori e contribuire a orientare consensi su elementi artisticamente e culturalmente validi, garantendo una qualità professionale che giocherebbe a favore dall’autonomia delle migliori iniziative da una dipendenza troppo stretta dalla fonte di finanziamento. La panoramica potrà a questo punto sembrare pessimista, quasi senza speranza; e forse a una società come quella del Ponente potrà sembrare inutile impegnarsi per una rivalutazione della musica di livello professionale. Non ho risposte a questi scetticismi, ma ricordo che solo venti-trenta anni fa passavano nei nostri teatri direttori come il giovane Claudio Abbado, o che negli anni Cinquanta cantavano a Sanremo nomi come Maria Callas. Certo, oggi viene Mariella Devia, e non ci sono parole per ringraziare lei e chi riesce a portarla a Imperia. Tuttavia si tratta di un evento altamente eccezionale, laddove la Callas era inserita in una stagione di livello internazionale e circondata da artisti di gran nome; inoltre se la Devia non fosse imperiese, difficilmente potremmo averla qui. In conclusione: il potere politico, di qualunque parte sia, impiega la musica a suo utile e solo uno sciocco potrebbe meravigliarsi o lamentarsi di questo. Non mi sogno neppure di criticare un amministratore che dicesse se offro 100 lire, voglio sapere come vengono spese; sarebbe piuttosto da criticare il contrario. Sta ai musicisti, quelli che veramente sono convinti di aver scelto la professione giusta per sé, sviluppare il giusto rapporto con il potere politico, appoggiarsi ad esso per quanto è necessario. Ma al momento di fare arte, il rapporto deve essere chiaro: le scelte artistiche saranno autonome. Precisamente in questo momento la preparazione di un compositore tornerebbe necessaria per l’intero indirizzo da dare a un’istituzione musicale e la critica giornalistica offrirebbe la prova del valore (o disvalore, perché no?) E già che siamo in tema di istituzioni: a Imperia non esiste alcuna vera grande istituzione musicale: non un conservatorio, non un’università che alla musica dedichi spazi e tempi adeguati, non un teatro che faccia un’autonoma stagione d’opera e concerti. La conseguenza è che non esiste una figura professionale di musicista che rappresenti la propria categoria alla pari con le altre. Altra conseguenza è che un bambino o un adolescente che studi musica non ha davanti a sé alcun modello su cui immaginare cosa potrà essere la sua vita: in questo contesto le famiglie faran36 gennaio / aprile 2004 no studiare musica ai figli perché abbiano qualche elemento di cultura in più (che cultura sarà poi quella di leggere la musica, laddove non esistano scuole che facciano comprendere alcunché dell’importanza storica e delle connessioni culturali che legano per esempio Beethoven a Kant, Wagner a Schopenhauer, Verdi a Manzoni, Stravinskij a Picasso, etc? È come leggere Manzoni e non capire neppure la trama del romanzo, perché è stato scritto nella prima metà dell’Ottocento, che cosa rappresentava nella cultura italiana del periodo. Quelle famiglie illuminate, e spesso gli stessi ragazzi arrivati alla maggiore età, demoralizzati abbandonano la musica e si volgono ad altri studi più aperti al mondo lavorativo, più redditizi, e certo non li si può criticare per questa scelta. A questo punto: come concludere con un po’ d’ottimismo? Non ho risposte: semplicemente costato che esistono nel Ponente diverse realtà musicali che hanno lunghe tradizioni e che non sono, nonostante il momento di turbolenza generalizzata della musica in Italia, in situazioni irrecuperabili. A lato di queste che potrebbero rappresentare i centri maggiori, fare le funzioni di organi di rappresentanza professionale, vivono numerose altre realtà spesso molto attive nell’organizzazione di eventi. Quel che manca quasi del tutto è la creazione di nuova musica e la apertura verso di essa da parte del pubblico; inoltre ciò che manca in toto è la mediazione critica giornalistica. Questo, ci si chiederà, cos’ha a che fare con il rapporto fra musica e potere? Purtroppo ha a che fare eccome, ed è una conseguenza di un rapporto sghembo, per cui qualunque amministrazione ha sempre pensato e ancora pensa di prendere e lasciare, di usare e gettar via senza minimi scrupoli tutto quanto riguarda la musica. Se quest’ultima rimane nella sua interezza considerata come puro svago e divertimento, mai un amministratore si farà scrupoli nel comportarsi così. Laddove invece si formi una classe professionale, rappresentata da uno o due figure di pubblica visibilità, di cui i giornali parlino come parlano degli sportivi e dei politici (per rimanere nel campo delle figure pubbliche), ecco che tutta la considerazione verso il campo musicale dovrà mutare. Un amministratore non potrà considerare tutti i musicisti come eterni ragazzi che può prendere e mollare come vuole, con due soldini distribuiti a seconda dell’utilità del momento; un’amministrazione che reggesse una scuola statale, con una categoria di professionisti stabilmente attivi, con un’attività esterna florida e costantemente in contatto con la società e le altre cerchie professionali, o un’istituzione lirico-concertistica con normali canali di contatto con la società cittadina (abbonamenti, conferenze, giornali), svilupperebbe un dialogo fra musica e potere molto più continuo, attento e utile per tutti. Il primo e semplicissimo passo da compiere è quello che, come ho chiarito in un mio recente libro, nella grandi città italiane è stato compito all’indomani dell’Unità, negli anni settanta dell’Ottocento: le maggiori istituzioni musicali sono allora passate da una gestione politica, finanziata e supervisionata rigidamente dal potere dei governi locali, a una gestione basata anzitutto su criteri artistici. Ad esempio, la Scala di Milano venne gestita prima del 1859 esclusivamente da impresari graditi al governo austriaco, da cui proveniva la maggior parte dei finanziamenti. Dalla fine degli anni Sessanta entrano nella gestione artistica del teatro personaggi come Giulio Ricordi, Arrigo Boito, Franco Faccio, dietro a cui era sempre vigile il controllo di Giuseppe Verdi. E finalmente, con l’entrata dei socialisti in consiglio comunale, la Scala venne affidata ad Arturo Toscanini che la tenne con varie interruzioni fino al 1929 facendone il faro musicale per tutti i teatri del mondo. Certo, qui non siamo alla Scala, ma sono anche passati 150 anni; forse ora potremmo, forti di questi grandi insegnamenti, comprendere che dovunque si applichi questa dinamica, le cose funzionano meglio: il potere politico controllerà sempre anche la gestione della musica (non la sua creazione), sta però ai musicisti trovare la via per affermare la loro autonomia relativa. Se uso la locuzione autonomia relativa, di origine materialista, è perché di autonomia assoluta non si può parlare neppure da un punto di vista filosofico il più astratto pensabile: il rapporto musica e potere è inevitabile, il musicista non deve farsene sopraffare come fosse l’unica via per esprimersi e per avere una propria autonoma visibilità sociale. * Docente drammaturgia musicale Università “La Sapienza” Roma 37 gennaio / aprile 2004 Iscriviti alla ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA - Imperia Versa € 35,00 (trentacinque euro) sul conto postale N° 23607419 intestato all’Associazione Gli iscritti riceveranno il bimestrale Pagine Nuove del Ponente 38 gennaio / aprile 2004 La sinistra sempre in bilico fra contenuti e voglia di consenso Chiarezza di pensiero e di parola Un appello alla sinistra che verrà di Paolo Odello * Trasparenza, efficienza, rassicurazioni. Alla politica si chiede tutto, anche ciò che normalmente dovrebbe estirpare e certamente non garantire. Nella ormai lunga teoria di richieste più o meno confessabili brilla però, per assenza, la chiarezza. Non quella di esposizione, questa non manca. Si usa anzi, sempre più spesso, un linguaggio forbito e asettico per mascherare la miserevole povertà di contenuti. Personaggi delle più svariate provenienze e colore ci raccontano con cadenza quotidiana una realtà che si fatica a riconoscere. Stampa e televisione di regime si affannano a cercare parole soft per descrivere, nascondendola, la rapida corsa verso il disastro. E i partiti della sinistra tradizionale troppo spesso si adeguano. Premettendo a scusante del nuovo metodo il bisogno - intrinseco secondo loro ad una forza che si prepara a tornare al governo - di utilizzare i termini e le parole proprie di una forza di governo, si limitano a registrare la realtà con i modi di chi ha già deciso che è inutile tentare di modificarla. L’alibi di una destra da battere copre e congela ogni discussione, il confronto con quella parte di società in cerca di risposte concrete subisce rinvii quotidiani. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Quando i linguaggi si aggrovigliano fino al punto di fondersi in un unico politichese privo di contenuto, diventa difficile comunicare con chi chiede a gran voce chiarezza di parola e di significato. Assistiamo ogni giorno a questo strano esercizio di stile. Nella pratica quotidiana della comunicazione politica, così come in quella dell’informazione declassata al rango di claque, la sinistra tradizionale annaspa, si agita cercando spazi e platee inesistenti nei talk show di Vespa o Costanzo. Fiato sprecato chiedere ai vari esponenti della sinistra tradizionale di starne fuori, di non legittimare con la loro presenza lo scempio quotidiano. Anche loro sembrano preferire la ricerca del facile consenso all’interpretazione della realtà. Prime vittime di un tale appiattimento di linguaggio, logica e inevitabile conseguenza, sono significati e contenuti di fatti che fino a ieri si davano per scontati. La Carta costituzionale presentata come impedimento all’espansione del potere di un singolo, il diritto diventa magnanima concessione e le regole democratiche lacci e lacciuoli da aggirare con disinvoltura e furbizia. E la sinistra tradizionale che fa? Poco, se non addirittura niente. Immersa in un silenzio colpevole e reticente, si affida ai talk show di regime per inviare all’etere parole che sempre meno cittadini riescono a percepire come reali. Volutamente si dimentica che in quei talk show soltanto la destra, anche la più becera e arrogante, è in grado di cercare, e trovare, consensi e platea. Tutto si può imputare alla destra, certamente non la mancanza di chiarezza di progetti e strategie. A ogni nuovo problema è già pronta, a mo’ di risposta e rassicurazione, una nuova mistificazione. Paura, la richiesta di maggiore sicurezza, bisogno di uscire da una sempre maggiore precarietà di lavoro e di vita trovano nelle parole della destra spazio e finta comprensione. A tutto si può rispondere, in questo la destra è maestra, costringendo la realtà nei confini di una realtà preventivamente descritta. Alla paura e alla voglia di sicurezza corrisponde la sicura ricetta di un inasprimento delle misure di polizia, al legittimo bisogno di certezza del lavoro si risponde con la favola della migliore gestione del tempo libero, a quella di un mercato in crisi con il protezionismo e il libero mercato. Concetti e soluzioni da sbandierare alternativamente infischiandosene allegramente della palese contraddizione. E la sinistra tradizionale, che fa? 39 gennaio / aprile 2004 Si adegua, rincorre, non decide. Al massimo dell’impegno può spuntare un distinguo da buttare controvoglia sul tavolo, tanto per sottolineare che la realtà non si può cambiare. Che fare? Riconquistare l’uso della parola, riappropriarsi del pensiero. Questa mi pare l’unica risposta accettabile. Praticabile se il fine ultimo è incidere sulla realtà fino a modificarla. Quasi una rivoluzione copernicana se vista con il filtro accondiscendente dello spettatore passivo. Di estrema facilità se messa in pratica da cittadini consapevoli di diritti e doveri. A volte ricordo con rimpianto, e di questo me ne scuso con qualche professore progressista e nonostante ciò sensibile, alcuni insegnanti dichiaratamente di destra. Altri erano preti e si limitavano a perpetuare e diffondere, per quanto possibile, la loro fede e la loro morale. A tutti loro però devo la consapevolezza e la conoscenza delle regole e del sistema sociale che ho ritenuto giusto mettere in discussione aderendo ad una parte piuttosto che all’altra. Altri compagni di scuola di quel liceo hanno accettato e aderito alla loro morale. Per tutti è valsa la consapevolezza di quanto si accettava o si rifiutava. Oggi, invece, a scuola come nella quotidianità, il prevalere del politicamente corretto anestetizza coscienze e programmi. Troppo spesso questa locuzione nasconde la voglia di prendere tempo. Al riparo del non detto si rimane in attesa che le insegne del vincitore risultino più chiare. Allora sì che potremo, ma solo allora non prima mi raccomando perché questo potrebbe costarci una emorragia di consensi - potremo gridare nelle piazze la nostra lungimiranza politica. Rifondare la sinistra, da qualche tempo non si sente parlare di altro. Al mio modo di pensare non appartiene né la fede nel sol dell’avvenire né, tanto meno, quella in una ricompensa futura dei patimenti terreni. Credo però che nel nostro piccolo una rivoluzione potremmo metterla in pratica: usare senza reticenze e alibi il verbo pensare coniugato al presente indicativo in prima persona. Io penso, premessa fondamentale di ogni confronto. Pratica possibile da mettere in atto soltanto, è bene ricordarlo, infischiandosene del facile consenso. * Giornalista Imperia, 23 maggio 2004 Nel cimitero di Oneglia una delegazione dell’ARS ha deposto una composizione di rose rosse sulla tomba di Alessandro Natta, in occasione del 3° anniversario della scomparsa. 40 gennaio / aprile 2004