Il macrocosmo nel microcosmo di una coppia di innamorati e di un film. Diversità, incontro, viaggio, difficoltà, religione, amore, gioia, tragedia, disperazione, rinascita: proprio come in un melodramma – che poi è un antenato del cinema – le vicende della vita si susseguono a ritmo di musica, con in più l'alternanza, tutta cinematografica, di presente e passato. Dopo Bouli Lanners un altro regista belga innamorato dell'America, ricambiato con una Nomination agli Oscar. scheda tecnica tit. orig.: durata: nazionalità: anno: regia: soggetto: sceneggiatura: fotografia: montaggio: musiche: scenografia: distribuzione: THE BROKEN CIRCLE BREAKDOWN 110 MINUTI BELGIO 2012 FELIX VAN GROENINGEN JOHAN HELDENBERGH, MIEKE DOBBELS JOHAN HELDENBERGH, FELIX VAN GROENINGEN, CARL JOOS RUBEN IMPENS NICO LEUNEN BJORN ERIKSSON JOHN PAINO SATINE FILM interpreti: JOHAN HELDENBERGH (Didier Bontnick/Monroe), VEERLE BAETENS (Elise Vandevelde/Alabama), NELL CATTRYSSE (Maybelle), GEERT VAN RAMPELBERG (William), NILS DE CASTER (Jock), ROBBY CLEIREN (Jimmy), BERT HUYSENTRUYT (Jef), JAN BIJVOET (Koen), BLANKA HEIRMAN (Denise). premi e riconoscimenti: 2014 Academy Awards, Nomination Miglior film straniero (Belgio); 2014, Premio César, Miglior film straniero; 2014 Satellite Awards, Miglior film straniero; 2014, Palm Springs IFF, Miglior Film Straniero; 2013 European Film Awards, Miglior attrice a Veerle Baetens e 5 Nomination (Miglior film, Miglior regia, Miglior attore, Miglior sceneggiatura, Premio del pubblico); 2013, European Parliament Film Prize, Premio Lux ; 2013 Tribeca Film Festival, Miglior Sceneggiatura, Miglior Attrice; 2013 - Berlin IFF, Premio del Pubblico Panorama, Europa Cinemas Label. Felix Van Groeningen Felix Van Groeningen (Gent, 1977) è un regista e sceneggiatore belga fiammingo. Dopo la laurea al KASK film Academy di Gent nel 2000, Van Groeningen ha realizzato alcuni cortometraggi e scritto e diretto diverse opere teatrali. Il suo film di debutto è Steve + Sky. Nel 2007 dirige Dagen Zonder Lief. Nel 2009 il suo film The Misfortunates (tit. orig. De helaasheid der dingen, 2008, adattamento di un libro di Dimitri Verhulst) è presentato alla Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes ed ottiene successo di critica e pubblico, ricevendo il Premio Art Cinéma - Menzione Speciale. Il film non è stato però distribuito in Italia, come tutte le opere di Van Groeningen ad eccezione del suo ultimo lavoro, Alabama Monroe - Una storia d'amore, che ha raggiunto ampia popolarità e distribuzione. L'autorevole rivista "Variety" ha indicato Felix Van Groeningen come uno dei 10 registi da tenere d'occhio. Sta lavorando a un nuovo lungometraggio, dal titolo Belgica. La parola ai protagonisti Intervista a Felix Van Groeningen Come nasce l'idea di adattare per il cinema la pièce teatrale "The Broken Circle Breakdown"? “Alabama Monroe - Una storia d'amore” nasce dall’adattamento di un opera teatrale di Johan Heldenbergh. Johan è un amico e ho lavorato con lui come attore in due dei miei film precedenti. Quando ho visto la sua opera sono rimasto completamente sbalordito. La combinazione di storia personale, musica e del tema ragione verso religione mi ha impressionato. Mi rendevo conto che tutto ciò era sublime ma impossibile da filmare. Era troppo stratificato. Sentivo di non poter essere capace di tradurli in un film. Sono tornato a rivedere lo spettacolo e ho accantonato l’idea per sei mesi. Poi, un giorno, con il mio produttore Dirk Impens abbiamo riletto l’opera. Pensavamo che era assolutamente troppo bella per lasciarla su uno scaffale. Così, abbiamo deciso di unire le forze e fare di tutto per creare qualcosa con essa. Ho iniziato così a lavorare sulla sceneggiatura, insieme con lo sceneggiatore Carl Joos. Per la complessità della storia abbiamo dovuto cominciare da capo un paio di volte, ma alla fine siamo riusciti a raccontarla. Didier e Elise, i protagonisti, sembrano essere due persone molto diverse... La storia tocca molte emozioni ed è narrata a più livelli. Parla dell’amore tra due persone che sono estremamente differenti, e di una perdita. Ovvero narra di come sia difficile per entrambi i nostri protagonisti accettare la malattia della figlia. Didier maschera il suo dolore dietro grandi principi e teorie, Elise si rifugia nel simbolismo, nella religione e nella superstizione. Finché le cose vanno per il meglio, questi opposti punti di vista sulla vita sono fonte di divertimento per Elise e Didier, e, al massimo, li conducono ad accese discussioni. Ma, una volta toccati nel profondo e sconvolti dagli eventi, Elise e Didier vedono sfociare in un drammatico conflitto le loro diametralmente opposte visioni sulla vita. Posso solo essere profondamente grato e felice che la straordinaria combinazione di questa storia così particolare, nonché il talento e la passione degli attori e di una squadra tecnica motivatissima abbiano portato alla realizzazione di un film che tre anni fa avrei potuto solo sognare. Perché hai scelto una formula narrativa così complessa per raccontare questa storia? La struttura di “Alabama Monroe - Una storia d'amore” si è creata durante il montaggio. C’è sempre stata l’idea di alternare momenti diversi della vita di Didier ed Elise, ma il concetto della sceneggiatura era diverso da come è poi risultato alla fine del film. Questo accade con quasi tutti i miei film. Il mio montatore e collaboratore di lunga data, Nico Leunen, è un vero mago con questo tipo di storytelling, e i miei film ne hanno sempre beneficiato. Deduco che ciò dipenda dal fatto che i miei film non sono costruiti intorno alla storia ma seguono le emozioni. E ci sono sempre molti aspetti che funzionano diversamente sullo schermo rispetto a come appaiono sulla carta. Il mettere tutto in discussione durante la fase di montaggio è diventata, di conseguenza, una parte inevitabile del mio processo di realizzazione dei film. Un'altra protagonista del film è la musica bluegrass Didier ed Elise suonano in una band che esegue bluegrass e questa non è una coincidenza. Il bluegrass è parte integrante del film, ne costituisce il filo che lega tutte le questioni chiave : la vita, la morte, la nascita, l'America, la maternità e la paternità, il trovare consolazione, la vita dopo la morte. Il bluegrass è ciò che unisce la coppia. Abbiamo provato a far sì che i brani musicali trovassero il loro posto nella scena in modo organizzato, cercando di dar loro l’impatto più drammatico possibile. Talvolta una canzone è puramente narrativa e aiuta a raccontare la storia oppure viene usata come un’ellissi. In altre situazioni invece, un certo brano viene scelto perché sostiene le emozioni. Durante la scrittura della sceneggiatura, ascoltavamo i brani eseguiti durante la rappresentazione teatrale. Man mano che conoscevo sempre più canzoni bluegrass, altri brani trovavano spazio nella sceneggiatura. Bjorn Eriksson ha composto alcune canzoni bluegrass e anche firmato la colonna sonora. Incontrare Bjorn è stato molto importante per il film, per tanti motivi. Dovete sapere che molti musicisti bluegrass sono un po’ imbranati, ma non è così che vedevo Didier ed Elise. Bjorn si è appassionato a questo genere musicale quando aveva sedici anni. Ma è anche un ragazzofantastico ed incontrarlo non ha influenzato solo il suono ma anche l’aspetto del film. Bjorn ha diretto le registrazioni e guidato Johan and Veerle (è stato cantato tutto da loro) a performance di altissimo livello. Bjorn stesso suona la chitarra. Elise ha una passione per i tatuaggi. Chi ha realizzato quelli che vediamo nel film? I tatuaggi di Elise sono disegnati da Emilie La Perla, una tatuatrice che vive a Bruxelles intervistata mentre facevo ricerche per la preparazione del film. È stato un incontro meraviglioso, ho imparato molto sui tatuaggi e ho amato il suo stile nel disegno, così le ho chiesto se li voleva disegnare. I tatuaggi erano solo menzionati nell’opera teatrale, ma sono diventati un leitmotiv nel film. Erano troppo belli per non vederli e utilizzarli pienamente nella storia. Recensioni Filmtv.it Il film che ha dato filo da torcere a La grande bellezza nella corsa agli Oscar 2014 viene dal Belgio e racconta la storia d'amore tra un musicista innamorato del bluegrass (Heldenbergh), la formula più radicale del country-folk americano, e una tatuatrice (interpretata da Veerle Baetens: che grinta, ragazzi!). L'innamoramento, la nascita della figlia, la malattia di quest'ultima a pochi anni di vita e la conseguente crisi di coppia sono le tappe attraverso le quali procede il racconto in un incessante gioco di flashback e flashforward, ma con un incastro narrativo mai cervellotico, nel quale amore e disamore (quasi inevitabile stare dalla parte di lui) si sovrappongono in un flusso senza strappi. Viene il sospetto che il regista belga, nonostante la realtà che fotografa sembra distante anni luce dai cliché che ritraggono l'Europa, abbia giocato d'astuzia (...). Ma se il dubbio permane fino all'ultimo minuto del film, al regista non si può negare l'enorme talento nella raffigurazione delle scene canore, con diverse sequenze da ovazione, né l'indubbia capacità di direzione degli attori, con due protagonisti a dir poco superbi o anche il coraggio nell'affrontare un discorso radicalmente laico sull'uso delle staminali e contro lo strapotere ottuso della religione. Simona Santoni. Panorama Ha fatto parte della cinquina per l'Oscar come miglior film straniero, temibile contendente de La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Ora il belga Alabama Monroe – Una storia d'amore (titolo originale The Broken Circle Breakdown) arriva nelle sale italiane distribuito da Satine Film (...). Diretto dal fiammingo Felix Van Groeningen, è un racconto passionale e struggente, che lentamente si dipana e cresce di intensità, tra continui salti temporali, per arrivare a un finale che devasta il cuore. Ecco 5 cose da sapere su Alabama Monroe – Una storia d'amore. 1) (…) Alabama Monroe – Una storia d'amore nasce dall'adattamento di un'opera teatrale dell'amico Johan Heldenbergh, che poi diventa il viscerale protagonista maschile del film. Johan aveva recitato già in due precedenti pellicole di Van Groeningen. La piéce teatrale si presentava però in maniera molto stratificata, difficile da rendere sul grande schermo. Per questo il progetto per un po' si è arenato, finché Van Groeningen ha deciso che non poteva lasciare sullo scaffale un'opera per lui così bella. E così ha iniziato a lavorare sulla sceneggiatura insieme a Carl Joos. 2) Più tematiche in scena: la musica, il dolore che spezza, la ragione contro la religione. Alabama Monroe non è una semplice storia d'amore. Attraverso i suoi personaggi sanguigni traccia la difficoltà di amarsi negli anni, che diventa ancor più distruttiva quando un grande dolore sovrasta i reciproci sentimenti. Elise (Veerle Baetens) è una tatuatrice che ama imprimere le emozioni sul suo corpo. Didier (Heldenbergh) suona il banjo e adora la musica bluegrass, è il ritmo della sua vita. I due hanno anime selvagge che si incrociano e si intrecciano inevitabilmente. La musica li unisce ancor di più, in un'armonia primitiva coinvolgente. Ma quando una grande perdita li travolgerà, la sofferenza sembra fare a pezzi il loro amore. Elise si rifugia nel simbolismo, Didier urla il suo malessere attraverso grandi principi e teorie, contro l'oscurantismo etico che rallenta la ricerca sulle staminali. I loro due mondi così in sintonia entrano in collisione. Dietro una storia personale intanto si muovono esibizioni country ora avvincenti, ora commoventi, e l'atavico dilemma tra ragione e religione. 3) Montaggio dinamico. Non aspettatevi una storia lineare sul filo del tempo. Alabama Monroe è un continuo salto temporale. Entriamo subito di petto nella storia e nel dolore che attanaglia Elise e Didier, e intanto scopriamo pian piano come i due si sono conosciuti e amati. Il montaggio dinamico è un ingrediente essenziale alla riuscita del film e alla crescita del pathos, che diventa struggente e devastante sul finale. (...) 4) Il bluegrass: i brani cantati interamente dagli attori. Il bluegrass è parte integrante del film, ne costituisce il filo che lega tutte le questioni chiave: la vita, la morte, la nascita, l'America, la maternità e la paternità, la consolazione, la vita dopo la morte. Il bluegrass è ciò che unisce la coppia. Per Didier è il country più puro. Genere musicale tipicamente statunitense, ha influenze irlandesi, scozzesi e inglesi. Il padre del bluegrass è stato Bill Monroe, che è infatti il musicista preferito da Didier. I brani eseguiti nel film sono stati cantati interamente dai due attori, in performance emozionanti, dove le riprese indugiano ora sui sorrisi e sulla vitalità pulsante, ora su espressività contratte, su mani diffidenti, sul disagio nel vivere. Bjorn Eriksson ha composto alcune canzoni bluegrass, ha firmato la colonna sonora, ha guidato Heldenbergh e Baetens nelle loro esibizioni e suonato la chitarra nel film. 5) Stupenda Veerle Baetens. Le interpretazioni di entrambi i protagonisti sono veraci ed energiche, ma lei, Veerle Baetens, rapisce i sensi. Ha un viso magnetico. Quando sorride cattura l'attenzione e quando è dilaniata e smarrita è inafferrabile e scava nel turbamento. È strepitosa. Non a caso ha vinto l'European Film Awards 2013 come migliore attrice. Sul suo corpo nervoso i tatuaggi sono una poesia, anche per chi normalmente non li ama. Sono stati disegnati da Emilie La Perla, una tatuatrice che vive a Bruxelles intervistata dal regista mentre faceva ricerche per la preparazione del film. I tatuaggi erano solo menzionati nell'opera teatrale, ma sono diventati un leitmotiv nel film. "Erano troppo belli per non vederli e utilizzarli pienamente nella storia", ha detto Van Groeningen. Paola Casella. Mymovies.it Elise è una tatuatrice che ha inciso sul corpo la propria storia (...). Didier è un cantante di musica bluegrass che suona il banjo in un gruppetto belga innamorato del mito dell'America rurale. Quando si incontrano, è amore a prima vista e il riconoscersi reciproco di due outsider nel Belgio conformista e ordinato. Ad unirli indissolubilmente, oltre all'attrazione profonda, è l'amore per la musica. E per la prima volta nella loro vita Elise e Didier, che si credevano destinati alla precarietà dei sentimenti, decidono di impegnarsi fino in fondo, mettendo al mondo la figlia Maybelle. Ma anche il più eterno dei vincoli può essere reversibile, e i due innamorati lo scopriranno a proprie spese. Felix Van Groeningen, il regista fiammingo di Alabama Monroe, sceglie inequivocabilmente la strada del melodramma e spinge la narrazione al di sopra delle righe, sia nel raccontare la storia d'amore assoluta e totalizzante fra i due protagonisti, sia nell'addentrarsi coraggiosamente nell'evoluzione tragica degli eventi. Perché come nelle canzoni bluegrass che Elise e Didier cantano insieme, il dolore va consumato fino in fondo, senza mai sottrarvisi. Alabama Monroe diventa dunque la storia di due esseri umani che maneggiano sentimenti forti e vivono fino all'estremo le proprie passioni, siano esse musicali, artistiche o sentimentali. Van Groeningen però ha l'accortezza di decostruire la narrazione in modo da inframmezzare il dolore del presente con il ricordo dolcissimo e straziante del passato, attraverso continui passaggi avanti e indietro nel tempo, fino alle ultime scene che invece procedono con la linearità inesorabile di una conclusione annunciata. Dunque vediamo Elise e Didier nei vari momenti della loro storia cogliendo l'intensità e l'immediatezza del loro rapporto tanto nella gioia quanto nel dolore. E riusciamo a gestire l'andamento melodrammatico grazie alle boccate d'ossigeno fornite dai momenti sereni ripercorsi dalla storia. I due attori protagonisti diventano Elise e Didier con un livello di autenticità e identificazione raramente visti nel cinema recente. Johan Heldenbergh, che è anche autore della pièce teatrale da lui diretta in palcoscenico su cui si basa Alabama Monroe, interpreta Didier come una creatura primordiale con un'inesauribile energia vitale e una dirompente carica rabbiosa quando la vita gli riserva il suo lato più oscuro e le politiche degli uomini non fanno nulla per aiutarlo. Veerle Baetens, vincitrice dell'European film award per il ruolo di Elise, ha una recitazione epidermica perfettamente consona ad una donna che usa la propria pelle per esprimere ogni suo sentimento. (…) Alabama Monroe è un film quintessenzialmente europeo nell'impianto narrativo e nella recitazione (in fiammingo), ma ispirato alla cultura folk americana e agli stilemi del cinema indipendente d'oltreoceano. Il risultato non è un'ibridazione senza carattere ma, al contrario, una testimonianza di quanto le due culture cinematografiche possano rivelarsi profondamente complementari. Valerio Caprara. Il Mattino Certo, la musica bluegrass e un film belga di lingua fiamminga sembrerebbero contraddizioni in termini. Eppure, acquisendo un merito importante, il regista van Groeningen riesce a fonderli credibilmente nello sviluppo di una storia durissima, esposta al rischio del collasso emotivo, sbilanciata sul piano drammaturgico, ma in ogni caso impossibile da relegare nel deposito del cinema di routine. (...) il nucleo forte del film – tratto da una pièce teatrale scritta dall’attore protagonista – sta, invece, nelle superbe recitazioni e nella formidabile presa di una colonna sonora che è parte integrante della trama. Detto questo occorre avvertire che la quota di sofferenza proposta allo spettatore è alta, tanto da indurre qualche cronista sbrigativo a includerlo tout court nella categoria dei “film sulla malattia dei bambini”. Non è così perché l’ambizione, come abbiamo detto, è molto più vasta, ma dall’angoscioso clou, tuttavia, non si scappa considerando che sin dalla prima sequenza c’è una bambina settenne sottoposta alle cure per una grave forma di tumore del sangue. L’ordine cronologico tradizionale viene, d’altra parte, continuamente scomposto facendo sì che il film prosegua in un ellittico, ardito e originale intreccio di passato, presente e futuro: Didier, allegro e irsuto suonatore di banjo in un gruppo country bluegrass (con il bonus di un omaggio al caposcuola Monroe la cui voce venne definita un “high lonesome sound”, cioè un suono caratterizzato da timbriche alte e solitarie) incontra la disinibita tatuatrice Elise, se n’innamora follemente e la porta a vivere nel suo scalcinato eden agreste. Nasce così l’incantevole Maybelle che sarà, purtroppo, colpita nel fiore degli anni dalla malattia destinata fatalmente a minare la chimica psicofisica fra i genitori e a precipitarli in un aspro dissidio mentale, morale e addirittura ideologico. A questo punto il copione induce la regia a esasperare i toni in un vero e proprio ‘overdrive’ melodrammatico, che non giustifica con una peculiare logica narrativa le scene madri del duello tra la depressione sfociante in una deriva para-mistica o, comunque, spirituale della donna e la nevrastenica, revanscistica rabbia anti-cattolica e antiamericana del musicista. I cui sproloqui in privato e in pubblico (per di più terribilmente datati al tempo di Bergoglio e Obama) attenuano un po’ la qualità, comunque notevole, della tragica ballata. Roy Menarini. Mymovies Da quando il cinema contemporaneo ha scoperto che le narrazioni dei film possono essere spezzettate, invertite, rimontate e costruite in forma di puzzle, abbiamo assistito a un numero sorprendente di melodrammi sentimentali raccontati in maniera inconsueta. Da Cinque per due di Ozon, dove un po' crudelmente veniva narrata una storia d'amore all'indietro, partendo dal divorzio e giungendo all'innamoramento, al poco ricordato (e struggente) Fine di una storia di Neil Jordan (dove l'incastro temporale è molto complesso), il rapporto sentimentale sembra stimolare la riflessione sulla caducità della passione e sulla difficoltà a mantenere salda la coppia di fronte alle avversità del destino. Aggiungiamo quei legami di attrazione lunghi una vita intera, rivelati magari attraverso alcuni momenti scelti e lasciando oscure tutte le zone intermedie: Un amore di Tavarelli, Dieci inverni di Mieli, One Day di Scherfig, etc. Il punto più alto del sotto-genere è rappresentato senza ombra di dubbio da Se mi lasci ti cancello, in cui l'essenza stessa del legame amoroso viene messa in relazione con la memoria e la capacità di dimenticare e ricominciare (ad amarsi), e mescolata con una vicenda fantascientifica dalla costruzione intricata e spiazzante. Evidentemente, attraverso gli schemi temporali che si utilizzano per raccontare una storia, la compresenza dei momenti migliori e di quelli più fragili e conflittuali permette di sistemare sullo stesso asse, e nel medesimo momento spettatoriale, i diversi periodi della nostra vita. Il lungo preambolo serve a contestualizzare il tentativo (per lo più rimasto sulla carta) di Alabama Monroe: un mélo fiammeggiante - ma infine solamente fiammingo - forse troppo imprigionato dalle griglie dei flashback e dei flashforward (con tanto di torsione cronologica a metà film, da uno all'altro) per colpire veramente a fondo. Non che l'opera di Van Groeningen lasci indifferenti, anzi. Le vicende rappresentate sono talmente tragiche e toccanti che sarebbe difficile dirsi apatici, eppure altri film recenti, in primis il formidabile La guerra è dichiarata, su temi simili hanno dimostrato talmente bene che cosa significa sperimentare forme cinematografiche inattese e contemporaneamente mettersi in gioco esistenzialmente, che ogni esempio anche vagamente analogo rischia di impallidire. Persino il ruolo della musica (giocato da Valérie Donzelli quasi come schema cognitivo in grado di esprimere i saliscendi di euforia e disperazione dei due protagonisti di fronte alla malattia del figlio), in Alabama Monroe, pur curioso - il country in Belgio! - finisce presto col percorrere le prevedibili retoriche del legame tra performance e momento emotivo. Tuttavia, se teniamo Alabama Monroe sullo sfondo e lo rubrichiamo soprattutto come nuovo tassello di quella filmografia "crono-amorosa" che tanto seduce i registi contemporanei, rimane lo stupore per una tendenza così ricca di titoli e cresce il desiderio di analizzare - con più calma e in futuro - le modalità con cui oggi il cinema mette in scena tutte le sfumature dell'amore. Federico Pontiggia. Il Fatto Quotidiano Un colpo di fulmine, e poi la tempesta. Tra Didier (Johan Heldenbergh) e Elise (Veerle Baetens) scoppia l'amore, quello che ti guardi negli occhi ed è fatta, si crede, per sempre. Ma Didier ed Elise sono diversi: lui è grunge post litteram, hipster suo malgrado, bifolco per necessità, ha il Belgio per residenza, l'America per sogno concesso, il bluegrass sullo spartito e nel cuore. Lei ha uno studio e il corpo pieno di tattoo: si tatua il nome del suo amore e, quando finisce, lo ricopre. Ma stavolta, forse, non succederà: si trovano, si amano, prima in roulotte, poi nella magione che ristrutturano alla meglio, con veranda sì/veranda no per dilemma. Adriano De Grandis. Il Gazzettino Bisogna andare cauti con le malattie letali nel cinema, specie se si tratta di bambini. Se nel recente "La guerra è dichiarata", Valérie Donzelli, vera mamma regista di una storia reale, la ricostruiva su una dose massiccia di autoironia scartando ogni patetismo e ricatto (certo il lieto fine forse ha aiutato), qui Felix Van Groeningen (siamo nella magnifica Gent, terra fiamminga) sceglie la strada esattamente opposta, assumendo il melò più lacrimevole come registro del racconto di una bambina di 6 anni, assalita da una grave forma tumorale senza speranza. La mamma Elise (Veerle Baetens) è una tatuatrice che ama scrivere i nomi dei propri amori sulla pelle e ha un corpo ricoperto da scritte e disegni; lui, Didier (Johan Heldenbergh) è un tipo sgangherato, che vive in una roulotte, fiero ateo e straordinario interprete (col banjo), assieme a un gruppo di altri 5 elementi, di bluegrass (il country più puro). Si amano con furore, la bambina non è troppo accettata dal padre, poi la malattia e la crisi matrimoniale, dopo il tragico evento (a metà film), che diventa pura battaglia, tra lampi d’odio e improvvise riappacificazioni. "Alabama Monroe" (titolo che tradisce l’originale, ma riassume una doppia identità fittizia dei personaggi) è stato il principale film antagonista nella corsa all’Oscar straniero di Sorrentino e si capisce perché: una storia folk belga, ma che sembra americana in tutto, non solo nella musica; e una vicenda terribile piena di pathos e angoscia. Ma tutta la prima parte poggia su una continua rappresentazione della via crucis della bambina (testa calva, occhioni tenerissimi in primo piano e a volte proposti all’improvviso, dentro altre sequenze), che è via via sempre più ricattatoria, perché è evidente che la sensibilità dello spettatore è messa a dura prova; mentre la seconda vira nell’elaborazione del lutto, dove lo scontro principale diventa tra fede e scienza, ma che Van Groeningen brucia soprattutto in un monologo antireligioso, troppo lungo e perfino troppo forzato (sarebbe bastato quello più breve, prima, davanti alla tivù), dove il padre, dopo aver tolto ogni frammento di consolazione alla madre, si scaglia contro le ottusità della Chiesa (e perfino di Bush, siamo agli inizi del nuovo millennio). Montato a intarsio, ma senza trovare una vera forza per questo, alla fine ci sono troppi pianti e troppe canzoni, per quanto belle. E il finale chiude un percorso già chiaro dall’inizio. Giona A. Nazzaro. Il Manifesto Nelle intenzioni dei produttori doveva essere una specie di risposta a La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli. Non in termini filmici, beninteso, ma in quanto atteggiamento, più o meno condiviso, nei confronti del melodramma familiare riveduto e corretto. Se nel film della Donzelli pubblico e privato s’intrecciano lungo traiettorie che da Jacques Demy conducono a Olivier Assayas, nel film di Felix Van Groenigen, cineasta festivaliero per eccellenza, simbolo stesso dell’autore di rappresentanza nazionale all’estero, ci si ritrova dalle parti di un racconto più convenzionale (…). Didier/Monroe (Johan Heldenbergh) è un amante della musica tradizionale statunitense. Facile dire «country». I cultori la chiamano bluegrass. Mandolini, banjo, chitarre resofoniche (dobro…), rullanti (snare) e autoharp. Roba che si utilizza soprattutto nella regione degli Appalachi, insomma, come ben sanno gli esperti in materia. Roba che poco ha a che vedere con la vulgata country radio a stelle e strisce fondamentaliste. Chiedete per conferma a quelli del Buscadero. Il titolo originale del film, The Broken Circle Breakdown, tanto per non dare adito ad alcun dubbio, cita espressamente Will the Circle be Unbroken dei The Nitty Gritty Dirt Band, capolavoro bluegrass che, nonostante i tentativi di pionieri del calibro dei Byrds e dei Flying Burrito Bros, ha sancito la prima vera collaborazione fra musicisti rock e country reciprocamente soddisfacente. Insomma senza le solite accuse di non rispettare la musica o di non capirla. Tanto è vero che nel disco figura Mother Maybelle Carter, suocera di Johnny Cash, e nomi enormi come Roy Acuff. Elise/Alabama (Veerle Baetens) è una tatuatrice. Tutto il contrario di lui. Lui è tranquillo, calmo, ascolta. Lei esuberante, con la solita corrente di follia sotterranea che la rende affascinante come un fulmine imbrigliato. Da un momento all’altro potrebbe esplodere e illuminare tutto a giorno. L’amore, si sa, attrae gli opposti, e per un po’ tutto sembra funzionare come se la loro storia fosse stata scritta nell’involucro di un Bacio Perugina. Ovviamente il destino cinico e baro s’accanisce con maggior perfidia e diletto sugli innocenti amanti colpendoli in quanto hanno di più caro. Rivelare di più sarebbe un atto di crudeltà nei confronti della commozione che a questo punto della vicenda coglie anche i cinici più disincantati. Van Groenigen, però, non pigia il piede sull’acceleratore mélo. Si sforza di tenere la vicenda all’interno di un ritratto di donna anticonvenzionale tentando di non schiacciarne la figura e le relative complessità sotto il peso delle inevitabili concessioni che un finale prevedibile ma non per questo meno coinvolgente sembrerebbe richiedere. Ed è proprio questa indecisione nell’abbracciare il delirio mélo a fare del film di Van Groeningen un oggetto curioso. Da un lato il regista conduce situazioni e corpi all’incandescenza, dall’altro sceglie di gestire la materia sentimentale con un approccio ragionato, lievemente distaccato. Motivo per cui la carica melodrammatica del film sembra trattenuta, come osservata dall’altra riva del mare in tempesta, al riparo fra gli alberi, col rumore e furore ridotto a un brusio indistinto. Una scelta, beninteso, estetica e politica che purtroppo non risulta mai del tutto convincente anche se il film di Van Groeningen riesce comunque a conservare una dignità formale che gli permette di tenersi a galla senza dovere scendere a troppi compromessi. Impossibile, in chiusura, non citare il finale, che non riveliamo, va da sé. Un momento di follia sui generis dove la commozione fatalmente si scontra con sentimenti diametralmente opposti. Come una impossibile chiusura del cerchio che probabilmente avrebbe soddisfatto pure quei rudi montanari dei The Nitty Gritty Dirt Band.