Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 1 Musicoterapie in ascolto Archivio 2010 A cura di Giangiuseppe Bonardi articoli http://www.musicoterapieinascolto.com/archivio/85-archivio/86-2010-archivio-mia Gli articoli sono archiviati mensilmente, dal più recente al più datato Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Indice 4 Converso Astrid, Giorgia ed io: emozioni e sentimenti… vissuti sulla propria pelle 9 Delogu Chiara, Silenzio 13 Bonardi Giangiuseppe, (a cura di), "Aforismi"... schneideriani! 14 Cavallini Daria, Epilogo dell’esperienza musicoterapica con gli adolescenti 16 Bonardi Giangiuseppe, Il tempo, lo spazio e... la musica 17 Esse Hermann, La via verso l'interiorità 18 Cavallini Daria, Diario di un'esperienza di musicoterapia di gruppo con gli adolescenti 27 Converso Astrid, Dialoghi ‘silenziosi’ in musicoterapia tra me ed Anna 32 Postacchini Pier Luigi, Spaccazocchi Maurizio, MUSICOTERAPIA: Scientifica o Umana? 39 Delogu Chiara, Michele predilige la zeta 44 Converso Astrid, Emozioni vissute e condivise nel tempo dell’incontro con Marcello 49 Converso Astrid, Relazioni sonoro-musicali con Matteo ed Emma in… musicoterapia 58 Bonardi Giangiuseppe, L’umano e lo scientifico in musicoterapia forse… possono coabitare in un perfetto equilibrio dinamico 62 Delogu Chiara, Puzze ed emozioni 65 Musica più classe 3 66 Musica più classe 5 66 Musica più classe 4 67 Neri Simona, Ascoltando la musica ‘dolce e amara’ delle mie tonalità emotive 71 Delogu Chiara, Puzza, pazzo, pizza, t’ammazzo, ovvero le parole dell’amore. 73 Converso Astrid, Considerazioni conclusive dell’esperienza musicoterapica con Giorgia, Marcello, Anna, Emma, Matteo. 76 Bonardi Giangiuseppe, Simboli, musica, terapia... 77 Bonomi Carla, Io, Costantina e la realtà psichiatrica 78 Greco Marina, L’ascolto agli albori del pensiero occidentale 82 Andrello Roberta, Uomo, musica e terapia. 90 Bonomi Carla, Io e Costantina: diario di un’esperienza musicoterapica in ambito psichiatrico. 92 Bonardi Giangiuseppe, Io sono come ascolto. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 2 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 94 Delogu Chiara, La bellezza nascosta: epilogo dell’esperienza musicoterapica con Michele. 101 Andrello Roberta, Mentre osservo Luca, imparo ad ascoltare me stessa 104 Bonomi Carla, Come è difficile poter osservare il “mondo sonoro” di Costantina 107 Greco Marina, Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta 112 Andrello Roberta, Dalla teoria alla prassi: l’intervento musicoterapico con Luca 116 Greco Marina, Il valore dell’ascolto e del silenzio nella società attuale 119 Bonardi Giangiuseppe, Breve lessico dei concetti emotivi 121 Greco Marina, In ascolto... del silenzio 123 Bonardi Giangiuseppe, In ascolto della mia identità... 126 Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Maria Clotilde Sieni e le Sonate di Galuppi per clavicembalo 127 Andrello Roberta, L’osservazione musicoterapica di... Luca 131 Bonomi Carla, Intonare... emozioni 134 Andrello Roberta, Alla ricerca degli “elementi” appartenenti alla dimensione sonoro musicale di Luca 137 Bonomi Carla, Dal silenzio al risveglio acustico di Costantina 139 Bonardi Giangiuseppe, Dimmi che prassi musico ... terapica fai, ti dirò chi sei... professionalmente 141 Giangiuseppe (a cura di), La parola, l’opera del M° Boris Porena 143 Le dimensioni sollecitate dall'ascolto: seminario 144 Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Il suono, il grido, il lamento... nel pensiero schnederiano 145 Andrello Roberta, Dall’osservazione di Luca al progetto d’intervento musicoterapico 147 Bonomi Carla, “L’incantesimo della chitarra” 149 Bonardi Giangiuseppe, In ascolto della dimensione acustica delle... emozioni 150 Andrello Roberta, La lotta dei fantasmi di Luca 153 Greco Marina, La relazionalità come essenza dell’ascolto 158 Andrello Roberta, I dolorosi vissuti di Luca 163 Bonomi Carla, Io e Costantina: l’epilogo dell’esperienza... musicoterapica 164 Bonardi Giangiuseppe, Alla ricerca della dimensione sonoro-musicale della persona 166 Andrello Roberta, “Io sono una casa senza pareti” 169 Neri Simona, Dalla musicoterapia al ciclone Ali Blu: storia di un strana avventura 173 Deodato Rosaria, Io, Walter e il mondo dell’autismo Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 3 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Gennaio Converso Astrid, Giorgia ed io: emozioni e sentimenti… vissuti sulla propria pelle Pubblicato il 30 gennaio 2010 da http://musicoterapie.over-blog.com/ Con “i miei ragazzi”, per tutto il periodo del trattamento musicoterapico, ho vissuto stati emotivi molto intensi che non si fermavano al singolo momento della terapia, ma che mi accompagnavano durante tutto l’arco della giornata, a volte, fino alla seduta settimanale successiva. Sembra paradossale, ma grazie a loro ho imparato molto e mi hanno insegnato qualcosa di prezioso: ascoltarmi, ascoltare, percepire gli stati emotivi dell’altro, ma nello stesso tempo a capire anche i miei stati emozionali con l’altro. Teoricamente conoscevo il significato della parola “emozione” e del vocabolo “sentimento”. Ciò che non sapevo era quanto sia difficile ascoltare, ossia accogliere le proprie emozioni e i propri sentimenti. È grazie a Giorgia[1] che ho avuto l’occasione di vivere e riflettere, in modo approfondito, in merito a questo tema. Giorgia Giorgia è una donna di quarant’anni. Piccola di statura, robusta, occhi nerissimi dallo sguardo molto intenso e movimenti corporei ripetitivi, stereotipati, precisi, perfetti come se fosse un’esperta contorsionista. Primogenita di una famiglia di origini umili, il padre è deceduto e la madre (a detta della psicologa del centro) vive un intenso conflitto, un attaccamento simbiotico: si lascia manipolare, la circonda di attenzioni per poi disinteressarsi completamente della vita “comunitaria” della figlia, si rende disponibile ai colloqui con la psicologa, ma poi non si presenta. La cartella clinica riporta: “Trisomia 21, con medio ritardo cognitivo, non parla (se non è arrabbiata),psicosi simbiotica autistica.” Fin dalle prime sedute capisco che con Giorgia non sarebbe stato un incontro facile, per portarla nel contesto musicoterapico dovevo escogitare sempre qualcosa. Non mi porgeva la mano, girava la testa dalla parte opposta alla mia e non si faceva toccare. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 4 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Con l’incitamento da parte degli educatori e la mia insistenza nel chiamarla e nel spiegarle che doveva venire con me, alla fine Giorgia si alzava dalla sedia e mi seguiva sempre con sguardo sfuggente con la testa piegata da un lato. Solamente, dopo un lungo periodo durato sei mesi, sentito da me come interminabile, Giorgia mi permise di toccarla, di darle la mano e di salire nell’ ”habitat” musicoterapico senza indugi. Per tutto il primo ciclo di sedute (ventiquattro incontri a cadenza settimanale) ero oppressa dall’idea di dover fare subito qualcosa per lei, dovevo in qualche modo aiutarla e sentivo che dovevo farlo subito. Lei invece rimaneva imperturbabile, in quel suo continuo dondolamento stereotipato, mi guardava come se fossi io la persona bisognosa di cure. Ho suonato, cantato, dondolato con lei, parlato, scelto e profuso musiche di ogni sorta ma, proseguendo gli incontri, più mi accorgevo che ero io a voler riempire i silenzi, a colmare il vuoto, a voler in qualche modo smuovere la sua “stasi”. Lei, al contrario, continuava a rimanere zitta, all’apparenza imperturbabile, sapeva solo fissarmi e dondolarsi, contorcendosi ogni tanto sulla sedia, assumendo, con le gambe, posizioni impossibili, non interrompendo mai, il suo ossessivo ricorso alla toilette. Tutto questo si protrasse nel tempo, per più di dieci mesi. Non sapevo cosa stavo facendo e dove stavo andando. Dopo le vacanze natalizie ripresi il secondo ciclo di trattamento formato anch’esso da ventiquattro sedute. Con il ritorno dalla pausa natalizia trovai Giorgia diversa. Nell’ambiente musicoterapico saliva spontaneamente, e per la prima volta, da quando avevo iniziato a lavorare nella struttura, Giorgia parlò. Per tutta la seduta parlò sottovoce, raccontando fatti presumibilmente inventati, riportando frasi e ridendo. Com’era possibile che Giorgia, la quale non aveva mai pronunciato parole se non per proferire bestemmie, parlasse con me? Ero in panico più di prima. Cos’era stato l’elemento scatenante? E perché solo per una seduta? Non potevo lasciare che fosse un caso isolato dovevo subito agire in modo che ci fosse un prosieguo. Decisi di smettere tutto quello che stavo facendo, come strategia d’intervento, e stabilii una nuova linea d’azione. Era rischioso, ma decisi di tentare, mi limitai a copiarla a specchio, concentrandomi sui suoni ambientali e su quelli da lei prodotti, eliminando l’ascolto di brani musicali. L’attività era spossante. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 5 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Giorgia non comunicava e continuava il suo maniacale dondolamento corporeo, inoltre come meccanismo difensivo continuava ad usare il pretesto della toilette, anche se non rifiutava mai l’ambiente musicoterapico. Mi sentivo inadeguata per il mio compito, alla fine delle sedute oltre ad avere dolore fisico mi sentivo debilitata nel mio profondo, ma dovevo in qualche modo continuare non potevo e non volevo “gettare la spugna”. Mi ritrovavo a non parlare più, riproducevo tutto quello che faceva lei senza, apparentemente, ottenere un qualche minino risultato. Finché un giorno Giorgia decise di parlare, di ridere e di guardarmi mentre emetteva, delicatamente alcune parole: “… DORMIRE, DORMIRE, DORMIRE”. “… PARLARE, PARLARE, PARLARE”. “MANGIARE, MANGIARE, MANGIARE”. Quelle parole erano l’eccezionale comunicazione, il portato del suo mondo interiore. Risuonavano nella mia mente come fossero tante terzine. Le cadenze che usava, in modo bisbigliato, mi ricordavano un maestro d’orchestra che dirige, in silenzio, il passare del tempo delle sue azioni quotidiane. Mi stava ripetendo parole ascoltate chissà dove o erano uno spiraglio di comunicazione? Le emozioni che ho provato sono state molteplici e contrastanti tra loro. Da allora, nell’arco delle ventiquattro sedute, Giorgia parlò solamente in sei incontri, ma per gli educatori, per la psicologa coordinatrice e per la sottoscritta è stato veramente un punto di arrivo, un contatto emotivo importantissimo. In questa prospettiva Giorgia mi ha permesso di compiere alcune riflessioni inerenti, in particolare, i miei vissuti. Le emozioni, per me, sono stati dell’anima. Improvvise fin che vogliamo rispetto ai sentimenti, ma sempre espressivi della nostra interiorità e che, come tali, collimano con la vita stessa, ci accompagnano fin dal nostro primo stare al mondo. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 6 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Le emozioni si configurano, dunque, come stati affettivi intensi, fondamentalmente transitori, ma specchio fedele della nostra parte più intima e, quindi, più fragile, vulnerabile. Le emozioni e i sentimenti come esseri umani li percepiamo sempre, in continuazione, ci siamo abituati. Il cuore che pulsa, le mani sudate, il respiro affannato, il tremore degli arti che accompagna, ad esempio, sensazioni di intensa paura, sono correlati fisiologici molto evidenti dell’emozione. L’emozione, specialmente se intensa, può infatti provocare alterazioni somatiche diffuse, sono quindi eloquenti ma parziali traduzioni esterne di un "dentro" nascosto, segreto, appunto intimo. Prima del trattamento avevo qualche difficoltà a percepire e discriminare i miei sentimenti e le mie emozioni, forse perché non mi sono mai soffermata a distinguere ciò che provavo. Ho sempre fatto fatica a raccontare ad altri ciò che sentivo. Descrivevo con dovizia di particolari ciò che mi succedeva, ma poi era molto difficile parlare delle emozioni che provavo di fronte ad un particolare avvenimento. In questi due anni di trattamento con Giorgia ho imparato veramente cosa vuol dire provare un’emozione, capirla, analizzarla e… accettarla. Grazie ai silenzi di Giorgia, ai suoi sguardi, alle sue stereotipie, sono entrata in un “altro” mondo, nel suo mondo, dove le regole e le logiche erano dettate da lei e tutto sembrava alterato. Io ero lì per lei, ero lì per accogliere e migliorare il suo disagio, ma i miei stati d’animo i miei disagi da chi erano “presi in consegna”?. Sempre, secondo la metodica Bonardi[2], dovevo riportare su alcune griglie i miei vissuti ed è stato molto faticoso. Ho imparato a concentrarmi su ciò che provavo per poter capire, anche se lontanamente, cosa provasse chi avevo di fronte. Non a caso mi sono chiesta se io come terapista provassi paura, per esempio, per l’inizio di un nuovo lavoro o per l’inizio di un trattamento con una “nuova” persona e mi rendessi conto e accettassi il mio stato d’animo, la persona che ha bisogno di cure come vivrà e quale sarà il suo stato d’animo? Se capisco e accetto il mio stato d’animo forse posso pensare che la persona possa provare un sentimento altrettanto spiacevole. Quando suonavo, cantavo, e inondavo la stanza di suoni e musiche, lo facevo per coprire il mio disagio non quello di Giorgia. Quando Giorgia scappava dalla stanza e si rifugiava in bagno, provavo mille e più emozioni: inadeguatezza, disorientamento, impotenza, perplessità, paura, tensione, rabbia, perché pensavo di non essere all’altezza del compito. Quando però al ritorno dalla pausa natalizia Giorgia ha parlato, le mie emozioni sono state di: adeguatezza, benessere, intesa, gioia, sorpresa, soddisfazione. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 7 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Emozioni molto intense, per poi tornare ad uno stato agitato e confuso quando si è richiusa a riccio e ho dovuto imitarla a “specchio”. Scrivere su un foglio i miei sentimenti e le mie emozioni però mi ha aiutata. Tutto questo mi ha portato a riflettere su quello che ho vissuto e rielaborato. Non riesco a fare una distinzione netta tra sentimenti ed emozioni, a capire quali siano sentimenti e quali invece siano emozioni, forse perché credo che non si possa fare una distinzione. Sono tuttavia rimasta piacevolmente stupita, di come in una seduta si possano vivere più stati d’animo contemporaneamente e in contrasto tra loro. Come ho già esplicato, penso che le emozioni siano istantanee, ciò nonostante, fugaci. I sentimenti all’opposto, mutano, cambiano, ma permangono; una volta ancorati non se ne vanno, rimangono all’interno, nell’animo della persona e diventano un tutt’uno con essa. Sono arrivata alla conclusione che poche emozioni si tramutano in sentimenti. Dopo aver riflettuto ampiamente su tutto il mio percorso svolto con Giorgia, le definizioni teoriche, riportate da Devoto/Oli (1989) di emozione, intesa come “… vivo ed intenso turbamento, provocato da commozione o da apprensione”[3] e di sentimento considerato come “… momento della vita interiore pertinente al mondo degli affetti e delle emozioni”[4], mi sono sembrati poco esaustivi. Grazie all’esperienza musicoterapica, presa in esame, sono riuscita a capire, ciò che P. E . Ricci Bitti (1998) afferma in merito all’emozione e al sentimento. “... la tradizione filosofica da Platone in poi ha sottolineato l’importanza dell’esperienza e del vissuto emotivo, di come cioè le emozioni siano elaborate mentalmente e trasformate in affetti, sentimenti,…” “… si è cercato di evidenziare come nel rapporto interattivo tra l’essere umano, i suoi simili e, in generale, il mondo esterno vi sia un flusso continuo di emozioni, anche contrastanti fra loro, che danno vita a passioni, sentimenti i quali segnano in maniera duratura l’esistenza individuale; dall’altro, si è tentato di isolare i singoli episodi emotivi, analizzandone soprattutto le manifestazioni espressivo - motorie… ”[5] Quanto sopra riportato si avvicina molto a quello che ho provato e ho “toccato con mano”. La teoria serve per capire alcuni concetti, ma credo che anche la teoria abbia dei limiti poiché “se non provi… non potrai mai capire” e questo è successo a me, rapportandomi con Giorgia. Lei che, con il suo strano modo di interagire con l’ambiente e gli altri, mi ha aiutata in una sorta di “lettura interiore”. Tutti i sentimenti che ho vissuto, provato e cercato di analizzare, alla fine del percorso si sono tramutati in un sentimento sicuramente di positivo benessere. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 8 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 In due anni di trattamento con una persona con gravi difficoltà comunicative e relazionali, sono riuscita a “regolare” i miei disagi e i miei entusiasmi. Un risultato finale, quest’ultimo, certamente per me, soddisfacente e di fondamentale importanza. Astrid Converso [email protected] [1] Nome di fantasia; in ottemperanza della legge della privacy. [2] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 40-42. [3] G. Devoto G. C. Oli “Vocabolario della lingua Italiana” Edizione Euroclub Italia 1989 pag. 395 [4] Op. cit. Pag. 1073 [5] P. E. Ricci Bitti “Regolazione delle emozioni e arti-terapie” ed. Carocci, Roma 1998 pag. 15. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Converso Astrid Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Delogu Chiara, Silenzio Pubblicato il 29 gennaio 2010 “Il silenzio è un incantesimo.”. *Cecilia Dart-Thornton Una pagina bianca. La forma visiva del silenzio che mi ha accompagnato nei lunghi mesi di questo viaggio[1]. L’incantesimo si rompe ogni volta che i pensieri fanno rumore, risuonano in me. Una pagina bianca come la pagina su cui scrivere ciò che verrà. Keith Jarrett[2] sostiene che dobbiamo essere aperti alle pause (silenzi) in modo da poterle riempire. Dobbiamo vedere le pause, abitarci dentro, viverle. Allora sarà chiaro quale nota suonare dopo, perché sarà quella necessaria. È all’interno delle pause che c’è la musica, all’interno di quelle pause pulsanti. Il silenzio altro non è che un ‘tra’, una parentesi tra quello che c’è stato e ciò che sarà. È il qui ed ora. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 9 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 10 È il modo per riconnettersi a sé. Nel contesto terapeutico è stato per me un contenitore. Un modo per vivere l’altro, entrare nell’altro. Sentirlo. Respirarlo. Impossibilitata ad agire, ho sofferto per ore, dei famosi ‘perché?’… I perché sono stati la declinazione del mio silenzio e nessuna certezza. Dal caos è nato il mondo e dal silenzio sono nati un modo nuovo di osservare, un modo di accettare, un modo nuovo di sentire l’altro, un modo di sentire me. E quando tutto tace, la musica che sento è quella del mio cuore, del mio essere che pulsa, che vive. E allora scopro che non sono mai sola. E che quel silenzio, silenzio non è. È pace. È armonia dei sensi, è consapevolezza di sé. Se all’inizio del mio viaggio ho sofferto del silenzio nel silenzio, ora lo ringrazio. Perché senza di esso non avrei potuto capire molte cose. E quando Michele[3] si è presentato a me, senza pause mi sono sentita spaventata, intimorita… Una nuova condizione si presentava a me, alle mie orecchie, a tutto il mio essere. Una condizione di saturazione dei suoni e dei rumori. Nessuna pausa, nessun respiro, nessuna attesa. Tutto pieno, tutto confuso, tutto saturo. Soffocante. La sfida è stata cercare di dilatare i tempi di produzione del suono e del non suono. Questo è avvenuto tramite l’utilizzo delle musiche preferite di Michele e di alcuni mediatori strumentali. I primi mesi sono trascorsi con tutti i sensi allertati tranne uno: la parola. Ho dovuto contenere, mai parlare. È difficile. Solo occhi a scrutare. Solo orecchie per ascoltare, pelle per sentire. La pelle-sonora: un massaggio fono-vibratorio-tattile. Ho capito cosa significa sentirsi con il proprio corpo-mente e con la propria pelle-assorbente.[4] Il termine sinestesia ( sun-aistesis) significa sentire insieme, i sensi sono intrecciati fra di loro e allora la musica diventa un profumo, un colore, un gusto. La pelle, il tatto prende forma in musica. Il silenzio diventa una armonia sensoriale: i sensi fanno pace fra di loro per un po’. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 11 Nel silenzio, all'inizio di questa esperienza, la mente raziocinante non ha trovato un vero riposo e nell’assenza di un metodo particolare di autocontrollo, i sentimenti sono stati agitati e confusi. Una folla di parole si è presentata in libertà sullo schermo dell’immaginazione, che solo io ho potuto contemplare e sentire come una colonna sonora in una cuffia: le leggi e le ascolti, e di solito non ti piacciono. Suonano vuote e persino false. Ma proprio perché taci, e non sei tenuto a parlare, ti rendi conto che è bene non pronunciarle, non esporle, e, più che in altre occasioni, le parole non vanno messe in circolo senza consapevolezza. Ciascuno deve aderire fino in fondo a ciò che è vero dentro, come il sorriso alla letizia e alla simpatia, il bacio alla tenerezza e all’amore, il pianto al dolore e alla compassione. E a poco a poco mi libero dal fiume traboccante di parole vane, bugiarde, fuorvianti, demagogiche, interessate, altisonanti, autocompiacenti, lasciandole cadere come foglie morte, e mi distendo. Ma è un distendersi difficile, costellato dall’azione. Ogni bambino che ho incontrato ha un particolare modo di vivere il silenzio. Dorian[5] riempie lo spazio; Betty[6] sorride e guarda al suo mondo immaginario; Manuel[7] si avvicina a me e si inchina mimando la scena di un cavaliere che invita la dama al ballo. Rita[8] dà le spalle al musicoterapista e si chiude in se stessa. Osservo come ognuno di loro declina il silenzio a modo suo e lo vive intimamente, come un tempo per sé, come un tempo di ricostruzione del sé, come una pausa nel dialogo interiore. Michele è un bimbo di nove anni, affetto da ritardo mentale medio grave, con disturbo dello sviluppo ed epilessia mioclonica. È minuto, magro, ossuto e due occhioni marroni brillano su un dolcissimo viso. Il sorriso e un profumo di pulito lo accompagnano sempre. Michele riempie tutti i buchi di silenzio o con la voce, o con gli strumenti, oppure con il CD. Perché? Cosa c’è ‘dentro’ un silenzio? Il rumore dell’anima? La difficoltà di non farsi capire? Cosa lo spinge a non fermarsi mai? I suoi occhi mi guardano curiosi e intelligenti. Conservano una brillantezza ballerina e il suo sorriso preannuncia la voglia di farmi scoprire chi è. Cerco di entrare in empatia, (dal greco empateia, ossia passione) intesa come comprensione dell’altro che si realizza immergendosi nella sua soggettività, senza sconfinare nell’identificazione. Cerco di capire in modo empatico la sua struttura di riferimento interna. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 12 Ma mi scontro inesorabilmente con le mie strutture interne. Il mio silenzio lo vivo serenamente; è la saturazione degli spazi che mi crea qualche problema. La mia attenzione è costantemente stimolata. Nel corso delle prime sedute mi sono ritrovata esausta proprio perché Michele non aveva tempi di pausa, aveva bisogno di riempire in maniera caotica e rumorosissima ogni istante della seduta. La mia dimensione sonoro-musicale mi porta a restare in ascolto del mio silenzio ma, nell’incontrare Michele, questo spazio è venuto meno, e ciò è, stato frustrante sebbene decisivo per imparare a dilatare i tempi dell’altro, a vivere uno spazio saturo, a contenere e modellare i suoni. Michele mi insegna che è necessario accettare l’altro, la parte logorroica dell’altro, il fiume in piena, la tempesta, perché poi arriva sempre il sereno. Jerry, un paziente autistico di Ginger Clarkson[9], scrive una poesia alla sua amica musicoterapeuta. Una poesia che parla di un silenzio forzato, di un’ anima imprigionata in un corpo che fatica a parlare. La ‘quieta contemplazione’, a cui fa riferimento, è quella a cui tento di arrivare ogni volta che faccio silenzio, che ascolto, che tendo l’orecchio e tutto il mio essere, verso l’altro e verso di me. E la verità che incontro parla di luce, parla d’amore, parla di rispetto. Amici di anima Torniamo a una vita Senza sapere bene Cosa ci aspetta. Sappiamo che dobbiamo imparare a crescere E cercare le verità Della nostra stessa esistenza La quieta contemplazione rivela segreti Che ardono nella nostra anima. Ogni aspetto della nostra vita anela a insegnare. Profondi legami con le nostre guide spirituali Ci mostrano il cammino per trovare amici Che condividano un sentiero d’amore, verità e luce. Dov’è la vita che mi aspettavo di vedere? Dov’è la conoscenza che pensavo di acquisire? Cerca la verità, tienila vicino al cuore E fanne partecipe quel tuo speciale compagno d’anima. Allora la luce della comprensione brillerà. Per sempre mia, amica della mia anima. Jerry Chiara Delogu Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 13 [email protected] *http://it.wikiquote.org/wiki/Cecilia_Dart-Thornton [1] L’autrice si riferisce all’esperienza musicoterapica vissuta in un centro riabilitativo. [2] Keith Jarrett, Il mio desiderio feroce, Socrates, Roma, 1994. [3] Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy. [4] Maurizio Spaccazocchi, La musica e la pelle, FrancoAngeli, 2004 p. 58. [5] Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy. [6] Nome di fantasia; in ottemperanza della legge della privacy. [7] Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy. [8] Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy. [9] Ginger Clarkson, Ho sognato di essere normale, Cittadella editrice, p.131. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Delogu Chiara Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonardi Giangiuseppe, (a cura di), "Aforismi"... schneideriani! Pubblicato il 19 gennaio 2010 “Il suono è la sostanza originaria di tutte le cose, anche là dove non è più percepibile per l’uomo rdinario1.”. Marius Schneider “… il grido o la risata rappresentano la musica primordiale che partorisce il cosmo2.”. Marius Schneider “Dalla nota originaria delle acque si alzarono in virtù delle frequenze crescenti del suono il calore, la luce e infine tutto il mondo materiale3.”. Marius Schneider Con tag Il senso del musicale in musicoterapia Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento 1 Schneider Marius, Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970, p. 33. Schneider Marius, Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970, p. 23. 3 Schneider Marius, Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970, p. 59 2 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 14 Cavallini Daria, Epilogo dell’esperienza musicoterapica con gli adolescenti Pubblicato il 15 gennaio 2010 Il musicoterapista - che sia tale attraverso la musica permette allo spettatore di se stesso di ri-conoscere e ri-appropriarsi di quel sé negato attraverso quello stesso linguaggio musicale che sul pentagramma delle emozioni simboleggia i percorsi della nostra vita. Daria Cavallini Attraverso la musica, senza saperlo, interpretiamo e raccontiamo noi stessi e, come un sensibile e preparato direttore d’orchestra riesce a far emergere l’essenza di un’opera attraverso un linguaggio che ha una sua struttura fatta di metro, timbro accenti, pause ecc., così il musicoterapista - che sia tale attraverso la musica permette allo spettatore di se stesso di ri-conoscere e riappropriarsi di quel sé negato attraverso quello stesso linguaggio musicale che sul pentagramma delle emozioni simboleggia i percorsi della nostra vita. E spettatrice di me stessa sono stata anch’io nell’osservarmi, nel pormi domande, nell’imparare a ri-conoscere quali emozioni si agitassero dentro di me, quali fossero autenticamente mie. È stato un percorso difficile, ricco di emozioni che lottavano tra il desiderio di fuggire e quello di andare a fondo, tra il bisogno di piangere e quello di sorridere… Momenti in cui mi sono chiesta se mai sarei riuscita a prendere contatto con la mia parte più oscura, se mai sarei riuscita ad “accogliere”, ma so… so di averlo fatto, o almeno di aver iniziato a percorrere quella strada che più scenderà verso di me, più verso l’altro mi porterà. Infine vorrei concludere questo lavoro dando la parola a Viola, una delle ragazze del gruppo che, un giorno, mi inviò questo messaggio1: “Posso ritenermi orgogliosa di me stessa. Ho finalmente messo il primo mattone per costruire le fondamenta della mia vita. È nata una nuova Viola. Grazie.”. Approfondimenti bibliografici Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 15 BERTI A. E., BOMBI A.S., “Psicologia del bambino”, Il Mulino, Bologna 1985. 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Kant Lo spazio “… è (la) manifestazione esterna della vita interna5…”. “La musica è l’espressione acustica (spazio) del proprio mondo interno (tempo).”. Bonardi G. 2010 4 Citazione tratta da Bonardi G., Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU) 2007, p. 18. 5 Citazione tratta da Bonardi G., Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU) 2007, p. 18. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 17 Giangiuseppe Bonardi Con tag Il senso del musicale in musicoterapia Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonardi Giangiuseppe, La musica è... Pubblicato il 8 gennaio 2010 da http://musicoterapie.over-blog.com/ “La musica è l’espressione acustica (spazio) del proprio mondo interno (tempo).”. Bonardi G. 2010 Giangiuseppe Bonardi Con tag Riflessioni... Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Esse Hermann, La via verso l'interiorità Pubblicato il 3 gennaio 2010 da Musicoterapie in...ascolto La via verso l'interiorità Chi ha trovato la via verso l'interiorità chi nell'ardore dell'introspezione ha intuito il nucleo della verità, sa che ognuno si sceglie Dio e creato come immagine e parabola soltanto: per lui ogni agire, ogni pensare non è che dialogo con la propria anima che Dio e creato in sé racchiude. Hermann Esse Esse Hermann, Sull'anima, Newton & Compton, Roma 1996, pag.61 Con tag Riflessioni..., Hesse Hermann Condividi post inCondividi0 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 18 Repost 0 1 commento Cavallini Daria, Diario di un'esperienza di musicoterapia di gruppo con gli adolescenti Pubblicato il 2 gennaio 2010 Lo spazio musicoterapico... vissuto Gli incontri, a cadenza settimanale, si sono svolti nell’aula del C.I.C. (Centro di Informazione e Consulenza) che non è molto confortevole per dimensioni e arredamento, ma è posizionata distante dal cuore dell’edificio per cui il volume della musica o delle improvvisazioni non disturbavano eventuali lezioni pomeridiane. Lo strumentario era composto da conga, jambè, bonghi, metallofono, xilofono, maracas, bastone della pioggia, bastoncini, cabaza, tamburello, ghirò e altri piccoli strumenti che mi hanno riportato dal Brasile, tra cui un birimbao, posizionati al centro del circolo formato dalla disposizione delle sedie. Patrizia, Bibiana, Viola Il gruppo, di cui si tratterà in questo lavoro, era formato da tre ragazze frequentanti l’ultimo anno di scuola e appartenenti alla stessa classe e per le quali, nel rispetto della privacy, saranno utilizzati altri nomi: Patrizia, diciottenne, ha rivelato di aver iniziato a mostrare la sua sofferenza (rabbia) in famiglia, con annessi sensi di colpa, a causa di tensioni familiari aggravate dalle precarie condizioni del padre. Patrizia tollera malvolentieri la presenza di Viola in classe. Bibiana, diciottenne, condivide l’appartamento con una ragazza più anziana di lei. Ha rapporti sporadici e conflittuali con la famiglia d’origine e frequenta gruppi sociali “decisamente disinibiti”. Vive continui sensi di colpa per cui si era decisa ad entrare nel gruppo dopo i colloqui avuti all’interno del C.I.C., perché voleva capire qualcosa di più su se stessa. Viola, ventenne, ripetente e nuova compagna di Patrizia e Bibiana. Ha dichiarato di voler capire un po’ meglio le sue dinamiche perché tendeva Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 19 facilmente ad arrabbiarsi e, per questa ragione, ha chiesto di entrare nel gruppo. È una ragazza piuttosto diffidente e mostra difficoltà relazionali con coetanei e adulti. Tutte e tre le ragazze avevano frequentato il C.I.C. e, venute a conoscenza della possibilità di seguire un percorso musicoterapico, avevano deciso di aderire alla proposta mia e della dottoressa formando un piccolo gruppo. Gli incontri prevedevano un’accoglienza sorridente da parte nostra, che aspettavamo le ragazze nella stanza già predisposta nell’arredamento; era importante creare un ambiente accogliente che non fosse percepito come giudicante ma, al contrario, rassicurante nel totale rispetto del segreto professionale, in particolare per Bibiana – la più problematica delle tre – da come si evincerà in seguito. Io conduttore del gruppo: consegne e accoglienza Il primo incontro fu caratterizzato – in prima istanza – dalla conoscenza del gruppo con la presentazione di ognuno e la motivazione alla partecipazione e dall’osservazione, da parte mia, dell’approccio allo strumento, alle sonorità emergenti e alla loro eventuale integrazione. Dopo questo primo momento spiegai loro che ci sarebbe stata una prima parte dedicata ad una piccola improvvisazione e una seconda dedicata alla verbalizzazione di quanto avvenuto nel rispetto dei tempi e del desiderio di ognuno di parlarne, dopodiché le invitai a cercare lo strumento che le attirava di più. La conclusione della produzione musicale sarebbe avvenuta con un gesto di chiusura a cerchio delle mani da parte mia. La “corazza” musicale di Bibiana Bibiana si alzò per prima e prese la conga mettendosela tra le gambe, si curvò su di essa e, girando il volto verso la sua sinistra con lo sguardo rivolto a terra, diede il via proponendo un ritmo binario ad altissima intensità e velocità media. Questa posizione e questa modalità sonora caratterizzò tutto il momento musicale – e tutti gli altri incontri – senza mai permettere a nessuno di incrociare il suo sguardo fino al decimo incontro. L’unica variazione era data dalla scelta dello strumento alternata tra la conga e lo jambé. La dolcezza musicale di Patrizia Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 20 Patrizia scelse il metallofono, come era già avvenuto nel precedente gruppo di cui aveva fatto parte, e iniziò a fare accordi di terze e di quarte alternati al battere tre, quattro volte sul sol e glissati che andavano dai registri gravi a quelli acuti e viceversa imprimendo una forza centrifuga al movimento. Ogni glissato terminava con il battente che veniva levato lateralmente verso l’alto quasi che dal glissato partisse qualcosa spinto verso l’esterno. Rispetto al percorso precedente manteneva la stessa modalità sonora, ma diversa era l’intensità che da forte costante era diventata mezzo forte fino a sfiorare il piano e l’energia investita sullo strumento; i battenti venivano calati sui tasti con meno forza rispetto a prima, anzi in alcuni momenti, coincidenti con il piano, sembravano quasi accarezzarli. Diversa era anche la postura e la mimica del viso: Patrizia non più piegata verso lo strumento con il volto accigliato e lo sguardo cupo e fisso sui tasti, si appoggiava rilassata alla spalliera con un lieve sorriso che le aleggiava sul viso e cercava spesso le altre con lo sguardo, allargandolo quando incrociava il mio. Il desiderio musicale di Viola: interagire con Bibiana Viola si guardò intorno, cominciò ad osservare e toccare alcuni strumenti che, forse, non aveva mai visto (birimbao, cabaza e ghirò) scegliendo infine lo jambè. Lo posizionò tra le gambe appoggiandosi con la schiena alla spalliera della sedia e iniziò a sfiorarlo con le dita, sembrava quasi accarezzarlo… e, vagando con lo sguardo su ognuno di noi fino a fermarsi su Bibiana, iniziò a produrre un piccolo ritmo di quattro quarti a bassissima intensità che riuscii a rilevare in quanto ero posizionata al suo fianco. Io, Patrizia, Bibiana e Viola: emozioni musicate ed espresse Questa produzione durò all’incirca venti minuti durante i quali cercai di rispecchiare sia la produzione di Bibiana che quella di Viola. Provai ad entrare in contatto con loro (avevo i bonghi) inserendomi con un piano – tempo due quarti -ma la prima non me lo permise dato che non alzava mai lo sguardo, né notai spostamenti anche lievi della postura che Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 21 indicassero comunque un ascolto di altre sonorità, mentre la seconda se ne accorse e sorridendomi iniziò a rispecchiarmi con un pianissimo aumentando poi l’intensità. Patrizia ci ascoltò per qualche secondo, sospendendo la sua produzione, dopodichè si inserì tra noi. Era difficile capire quanto emergeva in quanto Bibiana continuava con la sua altissima intensità però, ad un certo punto ebbi la sensazione che l’aria fosse carica di suoni ad alta intensità, ma armonici tra loro, sensazione poi confermata anche dalle altre nella fase verbale. Al termine ognuna di loro disse di essere stata bene e di aver avvertito quel momento di produzione comune. Riflessioni in équipe Questa modalità si ripeteva incontro dopo incontro e lentamente iniziai ad avere la sensazione che quei piccoli e brevi attimi di armonie fossero in una qualche maniera dominate da Bibiana, infatti lei non volgeva mai lo sguardo verso di noi e continuava a suonare come sempre, per cui pur senza volerlo eravamo noi che, ad un certo punto, entravamo nel suo ritmo ossessivamente costante. Era come se il suo sé si fosse, nel tempo, costituito circondato da cancelli che racchiudevano la sua sofferenza emotiva disconoscendo il suo esistere con gli altri. Quella sofferenza e quella rabbia – probabilmente originatesi nell’infanzia – emergevano in tutto il loro urlo sonoro attraverso lo strumento che, non più un mediatore sonoro, diventava prolungamento di se stessa non permettendo quindi a nessuno di accoglierla, per poi aiutarla ad accogliersi. Avevo la sensazione di trovarmi in un vicolo cieco, di aver anche noi dato vita ad una circolarità ripetendo ogni volta le stesse modalità comportamentali e sonore. Mi interrogavo su ciò che provavo e se quanto provavo, in termini di impotenza, stesse ulteriormente bloccando lo sviluppo di una relazione. Nel frattempo però, nonostante questa modalità si presentasse sistematicamente, la relazione tra Patrizia e Viola stava lentamente prendendo vita. Infatti avevo notato, più di una volta, che le due ragazze si erano offerte rispettivamente il proprio strumento e che verso il quarto, quinto incontro avevano iniziato a guardarsi, ad osservare e ad ascoltare l’una quello che faceva l’altra cercando di sintonizzarsi. Vi erano piccoli momenti in cui Viola, ad esempio, sospendendo la sua improvvisazione si volgeva verso Patrizia - chinandosi leggermente verso di lei - e si poneva al suo ascolto, quindi riprendeva a suonare provando ad accompagnarla. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 22 Spesso insieme mi guardavano e guardavano Bibiana intenta a fissare il pavimento. È difficile descrivere cosa esprimessero i loro volti… è quell’ineffabile non traducibile in parole, ma avevo la sensazione che per un attimo sorgesse la speranza di vedere la compagna incrociare il loro sguardo, speranza che, se tale era, rimaneva puntualmente delusa ed ecco allora nascere quel momento di armonia comune a tutte e tre… forse un inconsapevole desiderio di sentirsi unica cellula? Parallelamente però le due ragazze, unite in un rifiuto inconsapevole di Bibiana, si stavano forse trovando. Guardare e sentire con la pelle! Quando si lavora con un gruppo capita che un movimento, un lampo negli occhi di qualcuno, sfugga all’osservazione, ma a volte accade che l’invisibile agli occhi diventi un “guardare ed un sentire con la pelle” per cui, quasi richiamati da una forza ci si giri e si colga quell’attimo che ti fa nascere domande o trovare risposte (ed io me ne ponevo in continuazione di domande!). Tutto questo fino al decimo incontro! Quel giorno Bibiana arrivò e come sempre prese la conga posizionandola tra le gambe e… non la toccò. Questo mi lasciò un attimo sorpresa, ma rivolgendomi con lo sguardo verso le altre ragazze attesi che attaccassero, per poi entrare anche io. Viola prese lo xilofono e iniziò a dar vita ad una piccola melodia in quattro quarti su cui Patrizia si inserì con il metallofono partendo dal sol e muovendosi con la sua modalità sonora sintonizzandosi con Viola e infine io con lo jambè creavo l’armonia. Ci guardavamo e i loro sguardi manifestavano piacere per quella improvvisazione. Il battente sul naso Mi posi la prima domanda: “ Sta avvenendo perché Bibiana non suona?” e mentre stavo cercando una ipotetica risposta volsi lo sguardo verso quest’ultima che ci fissava con il viso contratto e le braccia strette al petto. Presi allora un battente e glielo porsi invitandola, lei mi guardò un attimo, lo prese e con forza me lo diede sul naso! Provai un forte dolore e d’istinto presi un altro battente calandolo sulla sua testa o meglio mimando tale gesto perché, in realtà, non impressi forza e accompagnai il gesto con un sorriso. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 23 In seguito mi chiesi come mai avessi risposto con quella modalità e credo di aver, in un certo senso, cercato di rispecchiare il suo gesto (naturalmente spogliato della violenza), visto che per la prima volta era accaduto qualcosa di diverso. Ebbi la netta sensazione che mi avesse scaricato addosso una forte aggressività, forse per averla invitata, comunque si scusò immediatamente ma rifiutò categoricamente di unirsi a noi rimanendo ad osservarci fino alla fine. Credo inoltre che le altre due ragazze abbiano per qualche secondo sospeso l’esecuzione, per poi ricominciare come niente fosse nel momento in cui le ho di nuovo guardate cercando di rassicurarle con lo sguardo e la mimica del viso. Durante la verbalizzazione Bibiana prese immediatamente la parola e mi appellò severamente accusandomi di essere sempre disponibile ed accogliente. Le risposi che questo, oltre ad essere una mia modalità relazionale, era anche il mio ruolo in quel contesto. Non le andò bene e continuò a perseverare nella sua idea pur non trovando sostegno da parte delle altre. Dopo quell’incontro cominciò a non venire più adducendo motivazioni, all’apparenza valide, tipo impegni di studio, di lavoro ecc. Avevo la certezza che la stavamo perdendo e consultandomi con la dottoressa decisi, in un certo senso, di stravolgere la dinamica degli incontri. Musiche ascoltate: emozioni espresse e condivise... Proposi alle altre, pregandole di comunicarlo anche a Bibiana, di utilizzare al posto degli strumenti l’ascolto di brani, alcuni proposti da me altri portati dalle ragazze stesse, chiedendo poi loro di segnare, immediatamente dopo l’ascolto, su di una scheda – ideata dal prof. Bonardi – le emozioni provate ed eventualmente aggiungere qualcosa di personale su un altro foglio. Al termine di questa operazione si sarebbe dovuto riportare verbalmente quanto esperito e l’incontro si sarebbe poi concluso con un brano di saluto proposto dalla sottoscritta; in genere si trattava di pezzi formali melodici con metro lento a medio-basse intensità, lo strumento prevalente era il pianoforte. L’intento era quello di contenere quanto emerso precedentemente restituendo, laddove necessario, una carezza musicale. Accolsero con piacere l’idea e di nuovo si ricompose il piccolo gruppo di partenza. “ Les tambours du Bronx ” Partii facendo ascoltare un pezzo dal titolo “ Les tambours du Bronx ” che, nelle sonorità e nel ritmo richiamava la modalità espressiva di Bibiana. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 24 Al termine, dopo aver compilato la scheda, fu proprio lei la prima a prendere la parola affermando che le era piaciuto perché le aveva dato grinta ed energia, ma aggiunse anche che le era venuta l’immagine di un’impiccagione senza che quest’ultima le suscitasse fastidio o tristezza e concluse dicendo che era contenta perché questa nuova modalità le piaceva molto. Patrizia e Viola, invece, non apprezzarono l’evento musicale a causa della ripetitività del ritmo e, in particolare a Viola, dava un senso di angoscia. Mi tornarono in mente gli incontri precedenti e il mettersi in sintonia con Bibiana… forse era quello il motivo per cui ci si sintonizzava con lei? Forse per non sentire l’angoscia di quel ritmo circolare e dominante? Forse. Ad ogni incontro ognuna portava il suo brano da ascoltare e di cui dialogare e piano cominciò ad emergere un piccolo contatto con il proprio mondo emozionale, con il proprio senso di inadeguatezza rispetto alle figure genitoriali, con i propri sensi di colpa per situazioni di vita vissuta che non venivano raccontate, ma di cui venivano messi in luce ed elaborati i contenuti emotivi. Biagio Antonacci “Le cose che hai amato di più” (Patrizia) Elisa e Ligabue “Gli ostacoli del cuore” (Bibiana) Vasco Rossi “Sally” (Viola) Paolo Meneguzzi “Ti amo ti odio” (Bibiana) Gianna Nannini “Grazie” (Viola) Braveheart “Tema principale” (Viola) Kundalini raccolta “Les tambours du Bronx” (Daria) Mia Martini “Gli uomini non cambiano” (Daria) Enya “Watermark” (Daria) Sakamoto R. “Forbidden colors” (Daria) Ennio Morricone “La leggenda del pianista Sull’oceano” Playing love (Daria) Kundalini III “Music to dissapear” (Daria) Ora, avevo la sensazione che la relazione stesse prendendo forma, che le ragazze lentamente cominciassero ad accogliere il proprio lato oscuro mentre anche io, insieme a loro, facevo il mio percorso di musicoterapista e di persona, ma… dopo sei, sette incontri Bibiana cominciò a manifestare una ’… forma di condotta agita, nota come “acting out”, considerata una condotta di fuga di fronte all’affetto (o alla sua rappresentazione), che risulta sgradevole alla coscienza del soggetto… agendo ci si oppone alla presa di coscienza evitando così l’insight, l’essere dentro.’1 Di nuovo si riproponeva uno scenario conosciuto: con i suoi ‘agiti’ improvvisi e forti Bibiana ‘dominava’ tutto il gruppo condizionando il comportamento di Patrizia e Viola che, probabilmente per celarsi anche a se stesse, tendevano ad assecondare i suoi atteggiamenti per cui, se Bibiana si addormentava Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 25 parlavano a bassa voce; se improvvisamente si alzava simulando una danza l’accompagnavano con le mani; se lei diceva che ci voleva una bella sbronza, mimandone gli effetti, si sbellicavano dalle risate supportando così tutte le sue azioni. Pur non reagendo con rimproveri cercavo di riportare l’attenzione su quanto stavamo facendo con una certa autorevolezza, non scevra di fatica, ma ci sono stati momenti in cui ho pensato di essere in un vicolo cieco, in cui mi sono sentita stanca e frustrata. La mia fantasia era che ci fosse in atto una battaglia tra lei e me, tra lei e ciò che investiva su di me: una battaglia in cui si contrapponevano strategie di attacco e di difesa; probabilmente cioè ogni qualvolta Bibiana sentiva che stava rischiando di entrare troppo dentro se stessa, di contattare quel lato celato alla sua coscienza emotiva. In équipe: riflessioni e... scelte Mi consultai nuovamente con la psicologa, la quale mi consigliò di sfidarla, di metterla di fronte a qualcosa che parlasse del suo malessere, delle sue relazioni falsate con gli uomini e con il padre in particolare. Cominciai così a cercare un evento musicale che contenesse queste caratteristiche e scelsi “Gli uomini non cambiano “ di Mia Martini… Il brano, dal metro lento, tratta temi legati al rapporto con il sesso opposto a cominciare da quello paterno; la voce della cantante roca e sofferente dal mio punto di vista evidenzia, con maestria, quanto lei stessa sia stata invischiata in questa dinamica affettiva e relazionale. Per ultimo, ma non per questo meno importante, ho compreso che è vero che quando si sceglie un brano si deve cercare di essere obiettivi, ma è altrettanto vero che in ogni scelta c’è sempre un po’ di noi, come ci ricorda il professor Bonardi: “ Non si può accogliere l’altro se non si impara prima ad accogliere se stessi ”. Sapevo che Viola e Bibiana sarebbero mancate ad un incontro di lì a poco e scelsi proprio quel giorno per proporre il brano, così Bibiana non si sarebbe sentita supportata dalle compagne qualora avesse messo in atto un “acting out”, però ero anche un po’ preoccupata in quanto non potevo ipotizzare la sua reazione nel trovarsi da sola. Arrivò invece tranquilla e serena, non so spiegarlo, ma avevo la sensazione che essere, in un certo senso, al centro dell’attenzione le facesse piacere. Misi il pezzo e attesi. Gli uomini non cambiano... All’attacco della voce della cantante, Bibiana spalancò gli occhi e mi guardò, non fece un gesto, sembrava inchiodata alla sedia. Sul suo viso si alternarono espressioni che mi parlavano di lotta tra il desiderio di scappare e quello di rimanere poi, piano le si inumidirono gli occhi e lentamente una lacrima iniziò a scendere. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 26 Non diceva nulla, non si muoveva, solo i suoi occhi nei miei e quelle lacrime. Percepii la sua sofferenza e me ne dolsi mentre mi risuonava dentro ma speravo - e ne avevo timore - che forse così avrebbe cominciato a prendersi per mano. Trascrivere l’ineffabile a volte è arduo compito, non sempre riuscendo la parola a trasmettere quel tuo contenuto o quella tua sensazione e forse solo la musica, che con l’ineffabile dialoga, può farlo. Al termine non fece nulla, non si mosse, non scrisse…, rimase ancora un po’ in silenzio ed infine un fiume di parole la travolse. Raccontò della sua solitudine, del rapporto difficile con il padre di cui aveva paura, della madre che amava e odiava perché sottomessa al marito, delle punizioni ingiuste, della sua dipendenza dell’amica Liana che adorava e di come cominciasse a capire che se da un lato era succube, dall’altro faceva in modo che gli altri, i ragazzi in particolare, esaudissero le sue aspettative quando lo desiderava perché questo la faceva sentire forte. Raccontò del bisogno di bere, di come sotto l’effetto dell’alcol si sentisse libera di fare ciò che voleva senza condizionamento alcuno…, raccontò, raccontò, raccontò. La lasciai “sfogare” fino a quando si calmò e solo in quel momento le feci una carezza cercando di trasmetterle tutta la tenerezza e la comprensione di cui ero capace. Avrei voluto dirle: “ Benvenuta…”, ma tacqui, lasciando che tutto parlasse tranne… la parola. Epilogo Dal quel momento il gruppo si evolse e parallelamente migliorarono anche i percorsi didattici e le relazioni delle tre ragazze con i compagni e con gli insegnanti. L’ultimo incontro fu molto toccante, avevamo la consapevolezza di una strada percorsa insieme, di aver lasciato qualcosa di noi e di aver preso qualcosa da ognuno, ma soprattutto di aver iniziato – chi più e chi meno – a percorrere quella via che porta dentro di noi e che dà senso al nostro esistere. Patrizia è diventata una ragazza molto più serena, che ha compreso di non dover sempre sorridere o urlare, ha capito che si può imparare ad esprimere ciò che si ha dentro affrontando la paura di sbagliare o di non obbedire. Viola ha imparato a dominarsi, ha ammesso la sua paura di non valere nulla, di essere gelosa del rapporto del padre con il fratello e di aver avuto determinati comportamenti perché dietro quelle azioni c’era solo il bisogno di urlare la propria esistenza e che aveva voglia di essere amata per quello che era. Questa consapevolezza l’ha portata a relazionarsi meglio con se stessa e con gli altri ricevendo gratificazioni sul suo percorso maturativo e scolastico. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 27 Vorrei anche aggiungere che l’antipatia iniziale di Patrizia verso Viola si è trasformata in sincero affetto e le due ragazze sono molto unite; questo mi dà la conferma di come l’altro viene investito di ciò che, in realtà appartiene solo al nostro vissuto e solo imparando ad accogliere il nostro sé siamo in grado di accogliere l’altro da sé. Bibiana ha ancora tanta strada da percorrere, ha appena iniziato, ma qualche piccolo atteggiamento è cambiato. Mi rimane la consapevolezza che per lei sarà difficile, ma non impossibile. A me rimane la certezza di dover sempre più entrare in contatto con il mio lato oscuro, per accoglierlo ed amarlo così com’è senza dover interpretare ruoli che, probabilmente, non mi appartengono fino in fondo, perché solo così posso essere in grado di saper accogliere e rispettare gli altri per ciò che loro stessi si concedono di esprimere. Daria Cavallini [email protected] 1 Marcelli D., Bracconier A. “Adolescence et psychopathologie”, Masson, Paris 1983, trad. It., “Adolescenza e psicopatologia”, Masson, Milano 1996, pag. 95. Con tag Musicoterapia e adolescenza, Cavallini Daria Condividi post Febbraio Converso Astrid, Dialoghi ‘silenziosi’ in musicoterapia tra me ed Anna Pubblicato il 23 febbraio 2010 "E se fosse nella pausa e non nel fischio che i merli si parlano? Parlarsi tacendo o fischiando è sempre possibile; il problema è capirsi"[1] Il silenzio è un segnale indicatore che mostra la via di una realtà profonda, diversa ed esterna che, il suo contrario, il chiasso, ignora e copre. Il silenzio può portare sollievo o depressione, e a seconda dei casi, può essere ricercato o volontario, o può essere subìto contro voglia. Nel silenzio la mente pensante non trova un vero riposo e nell’assenza di una maniera particolare di autocontrollo, i sentimenti sono agitati e confusi. Con Anna (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy)[2] è capitato proprio questo: IL SILENZIO. Davanti a questa caratteristica che Anna usava nel rapportarsi con l’altro da sé, mi ha posto di fronte ad una serie di domande. Il silenzio è difficile interpretarlo, è difficile spiegarlo, dice tante cose profonde e sincere ma allora come ascoltarlo? Che fare? Che cosa significano questi momenti di silenzio? E, cos’è in fondo, il silenzio? Anna lo usava come meccanismo di difesa o era un suo modo per comunicarmi qualcosa? Voleva comunicare disagio, rilassamento, o bisogno? Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 28 Anna Alta, occhi profondi e molto grandi, Anna era una ragazza di 26 anni, l’ospite più giovane della comunità. I genitori le tagliavano i capelli molto corti per evitare che lei li strappasse dalla cute. Leggendo la cartella clinica ho scoperto la sua diagnosi patologica: “Ritardo mentale da cerebropatia perinatale, anomalie del comportamento, problemi di respirazione”. Fin nel primo periodo d’osservazione, Anna mi incuriosiva. Occhi quasi sempre e apparentemente persi nel vuoto, varie e molteplici stereotipie quali: pulirsi la bocca con le dita della mano tese passando per il naso, tirando fuori la lingua; cercare di strapparsi i capelli; accavallare, con scatti agitati, le gambe. Cercava sempre di intervenire nei discorsi altrui, parlando di tutt’altro, ma considerato il fatto che aveva difficoltà a parlare, poiché non riusciva a pronunciare in modo corretto le parole, veniva zittita e lasciata in disparte. Anna, in quelle occasioni, parlava da sola, sperando che qualcuno le prestasse attenzione, oppure cadeva in un silenzio che poteva durare tutta la giornata. Osservandola, ciò che mi trasmetteva era un bisogno particolare di attenzioni che evidentemente non riceveva dagli altri ospiti. Perplessa e intimorita, iniziai il mio percorso con Anna, chiedendomi se mi avesse sommerso di parole o se preferisse parlare anziché suonare gli strumenti proposti. La prima volta che Anna entrò nell’habitat musicoterapico apparve disorientata, si sedette guardandosi attorno e attese istruzioni. Le dissi che poteva suonare tutti gli strumenti, senza chiedere il permesso. Iniziò subito a parlare, balbettando contenuti senza senso, raccontando della carota che portava al suo cavallo... dei lavori di taglio e cucito o di strani racconti riguardanti un corvo nero che si appoggiava su una tomba. Lo strano eloquio era intervallato dal suono di un piccolo sonaglio verde, formato da cinque campanelle, che teneva gelosamente tra le mani. All’inizio rimasi sconcertata, ma avendola gia osservata all’interno della vita collettiva della comunità ed essendo consapevole del suo modo di agire, mi posi in ascolto, sebbene, il più delle volte, la sua comunicazione fosse rivolta verso la finestra. Questo “modus operandi” si protrasse per circa metà anno, continuando ad usare molto il linguaggio verbale, e poco gli sguardi diretti, il tutto intervallato dall’incessante suono dei campanellini, suo strumento preferito. In seguito iniziò a diminuire il tempo delle conversazioni, ma permaneva la voglia di suonare, servendosi dello stesso strumento suonandolo continuamente, ad eccezione di quando articolava parole. Perdurava lo sguardo evasivo, stando molto attenta a dirigerlo nel modo giusto, ossia rivolgendolo verso sé. Progressivamente iniziò a diminuire il tempo destinato alle comunicazioni verbali e iniziò “il lungo inverno”. Il lungo inverno di... Anna Anna cessò di parlare, di suonare, e seduta sulla sedia, iniziò a guardarmi, tenendo la testa inclinata su un lato. In un secondo momento, si allontana di scatto o accavalla le gambe in modo agitato a volte ridendo sommessamente, Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 29 altre volte con lo sguardo adirato come se avesse appena ricevuto un rimprovero. La chiamavo, provavo a suonare qualche strumento, ma lei non dava alcun tipo di risposta. Quel silenzio era fastidioso, non riuscivo a sopportarlo, e non capivo il perché di tanto malessere. Forse avevo paura di non essere all’altezza del compito? Pensavo di non voler ammettere, a me stessa, che il cambiamento di Anna lo stavo vivendo come un fallimento professionale ed emotivo? Se Anna era cambiata era per il mio intervento erroneo. Se il silenzio mi dava tanto fastidio era perché non riuscivo a sopportare emotivamente lo stato di disagio di chi mi trovavo di fronte? Più cercavo di capire il vero perché di tanto fastidio, più provavo irritazione per Anna che continuava a stare in silenzio, dondolandosi o guardandosi attentamente le mani, i piedi o qualsiasi altra parte del corpo. Qualche volta, quando andavo a prenderla, la trovavo con i compagni intenta a ridere, sorrideva anche a me ma, appena saliva nella stanza, iniziava il mutismo. Anna continuava a non rispondere agli stimoli esterni; rimaneva seduta con le sue piccole stereotipie e non comunicava. Quando la interpellavo, cantilenando il suo nome, si girava, mi guardava per pochi istanti e poi sorrideva, strizzando gli occhi, in caso contrario continuava a fissarmi con occhi spenti e con aria interrogativa. Non era abbastanza, non potevo accontentarmi solo di questo. Il cambiamento importante arrivò dopo circa due settimane di autoanalisi introspettiva personale e di “penose” sedute di supervisione. Ormai non sapevo da che parte iniziare; ero troppo concentrata su me stessa, sui miei limiti e i miei bisogni, per poter concentrarmi su Anna. Quel giorno Anna arrivò arrabbiata e scontrosa... era di pessimo umore. Gli stati d’animo di Anna erano altalenanti ogni giorno, ma erano sempre presenti sia la rabbia che la gioia. Prima di allora non aveva mai manifestato un solo stato emotivo, oltretutto, così ben marcato. Pensai che potevo lavorare ben poco con una persona scontrosa e arrabbiata; in ogni modo ero troppo concentrata sul mio stato emotivo per poter riuscire a capire i suoi stati d’animo. Sempre più sconfortata decisi di rimanere anch’io in silenzio; non avevo voglia di fare niente, mi sentivo sconfitta, senza forze. Rimanemmo per quarantacinque minuti in silenzio, guardandoci reciprocamente. Anna era molto incuriosita dal mio silenzio. Nonostante tutto quel silenzio mi giovò. Non sapevo darmene una ragione ma, al termine della seduta, mi sentivo meglio. Decisi di continuare su questa linea fino alla chiusura della comunità, prima delle vacanze estive. Ormai mancavano poche sedute ma mi permisero di capire, Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 30 anche se lontanamente, il mondo di Anna. In silenzio era più facile osservare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti e i suoi sguardi. In silenzio si percepisce il respiro dell’altro, il battito cardiaco, i ritmi corporei. Continuavo ad osservarla e, per quanto mi fosse stato possibile, cercavo di eseguire le stesse sonorità che produceva, per farle capire che ero con lei, che la stavo ascoltando. Il suo sguardo mutò, iniziò a guardarmi più spesso, e a reggere il mio sguardo. Il silenzio era il nostro mezzo comunicativo, riuscivamo a “comunicare” guardandoci o riproducendo gli stessi suoni o gesti. Al termine delle sedute con Anna mi sentivo sempre rilassata: mi sentivo bene. Lentamente comprendevo che ero riuscita ad entrare in sintonia con lei. Poco alla volta, tornando dalle vacanze estive, Anna cominciò nuovamente a suonare e a parlare, non come prima in modo continuo, ma usando la parola per formulare frasi che avessero senso e iniziando a rispondere a domande che le ponevo su quello che mi raccontava. In un’occasione riuscii a capire che il corvo nero di cui mi parlava tanto era il protagonista di un film che soleva guardare spesso. Inoltre iniziò a pronunciare: “… Guarda che io ho il cuore fragile…” “… Sono fragile…”. Ero forse riuscita a raggiungere in qualche modo il suo intimo desiderio di essere protetta e salvata? In una delle riunione d’èquipe l’educatrice di riferimento mi fece notare quanto fosse cambiato il modo di relazionare di Anna; appariva più rilassata nei rapporti con gli altri e iniziava ad aspettare il proprio turno per prendere parola. Dovendo fare un bilancio finale, allo stato attuale delle cose c’è ancora molto lavoro da fare, ha ancora “ricadute silenziose” e, a volte, non vuole proprio suonare. Utilizza per pochi secondi il primo strumento che le capita vicino, per poi abbandonarlo, ma sono contenta di essere riuscita a capire in parte il suo mondo e di aver accettato il silenzio come mezzo di comunicazione speciale. In ogni seduta con Anna è come se ascoltassi le note del mio e del suo silenzio… forse è musica? Dovendo riflettere su tutto il caso, in verità ritengo che il silenzio sia, per l’appunto, silenzio e diviene positivo solo quando lo si vuole, ossia quando si ha voglia di rivolgere l’ascolto nei riguardi di se stessi. Dipende dal valore che gli si dà: da qui dipende la contentezza o l’assillo che proviamo. Quando nella sala regna quel silenzio che, in fondo, é la cosa più bella di tutte, l’emozione di chi sta in ascolto si espande e ciò è bello e veramente importante. Così è per me. Bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio, allora lo si ha. Chi non ha sperimentato almeno una volta il valore del silenzio non può comprendere come se ne possa star senza. Tuttavia il silenzio non deve essere unicamente esteriore, come luogo dove nessuno parli e nessuno si muova. Tutto ciò, infatti, si può benissimo avere con il rumore nell’animo. Il reale silenzio implica che i pensieri, i sentimenti e il cuore siano in pace. Il reale silenzio deve dominare lo spirito e penetrare sempre più nel profondo dell’animo, rispecchiandolo. Se poi si cerca di creare questo silenzio interiore, s’intravede subito che non è impresa immediata. Non basta quindi volerlo ma, lo si deve esercitare. Penso Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 31 che il silenzio sia essenzialmente l’altra faccia della medaglia, non solo nella comunicazione, ma più in generale rappresenta un elemento indispensabile nella percezione sensoriale poiché, nel silenzio, i sensi si acuiscono maggiormente. Se è vero che il suono fa parte della vita ed è indispensabile, esso si oppone con forza al silenzio. Ma è anche vero che quest’ultimo è la base su cui esso si dispone. Sia le parole sia il silenzio trasportano informazioni precise, realizzate con l’ausilio della comunicazione non verbale, vale a dire con quel vasto bagaglio di movimenti, gesti ed espressioni di cui il corpo umano dispone. La postura, l’atteggiamento e i movimenti integrano il silenzio con tutta una serie di messaggi secondari. A volte, come nel caso di Anna, il silenzio rappresenta, una strategia comunicativa che, dal punto di vista di chi la impiega, comporta una controllo quasi inconscio ed impulsivo, mentre, dal punto di vista di chi la rileva od osserva, richiede uno sforzo impegnativo per evitare di mal interpretarla. Penso che il silenzio sia uno strumento che, se mal gestito e mal controllato, può produrre effetti negativi. Esso rappresenta una comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata e, saperla usare nel modo corretto, non è da tutti. Il silenzio rappresenta quindi, paradossalmente, una grande comunicazione. Nel silenzio, i nostri sensi sono concentrati su quello che esprime il corpo, quando fa affiorare l’anima e non la parola. Si può comunicare col nostro silenzio, quando rispecchiamo col nostro corpo la comunicazione corporea che l’altro esprime in modo non verbale. Questo ho fatto con Anna e penso mi abbia aiutato molto nella relazione. Sicuramente sono ancora lontana dal saper usare bene questo “strumento di comunicazione”, ma credo di aver acquisito che, a volte, si dicono molte più cose con il silenzio che non in un mondo inondato da suoni. Astrid Converso [email protected] [1] Padovani A., Bottero E., Pedagogia della musica: orientamenti e proposte didattiche per la formazione di base, Guerrini e associati, Milano, 2000. [2] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Converso Astrid Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Postacchini Pier Luigi, Spaccazocchi Maurizio, *MUSICOTERAPIA: Scientifica o Umana? Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 32 Pubblicato il 17 febbraio 2010 Con questo scritto ci permettiamo di esprimere alcune considerazioni, maturate nel lungo corso degli anni che ci hanno visti coinvolti come docenti formatori nel mondo professionale della musicoterapia. I tanti anni di lavoro nel settore, i costanti interscambi fra docenti e allievi, i tanti testi, articoli e saggi scritti e letti, i tanti convegni nazionali e internazionali presenziati, le tante tesi sostenute come relatori e le altrettante criticate come contro relatori, ci hanno portato a credere che, forse, la “postura” teorico-scientifica, o meglio ancora sarebbe dire: i vari modelli scientifici che le tante scuole di musicoterapia italiane e straniere, che le varie teorie scientifiche indicate da isolati gruppi di lavoro o addirittura da singoli operatori (musicoterapisti e musicoterapeuti), sono teorie che, crediamo, stiano sempre più rischiando di apparire altisonanti, appesantite, cariche di un sapere che spesso, invece di sintonizzarsi con le prassi, si allontana da queste, si trasforma in costrutto teorico incoerente, in un sapere che molto spesso impoverisce le stesse pratiche che dovrebbe, logicamente e con coerenza, sostenere. In queste nostre osservazioni e considerazioni non c’è assolutamente nessuna intenzione di offendere nessuno (scuole, docenti, operatori, ecc.), c’è solo un grande e appassionato invito ad una vera e propria importante riflessione sulla base di questo che crediamo possa essere un principio di base: per dimostrare valore, ogni vita, come ogni azione quotidiana o professionale, ha bisogno di praticare coerenza, e la coerenza è visibile in tante cose e quindi anche nel rapporto fra prassi e teoria. Siamo convinti che questo rapporto, in musicoterapia, nelle musicoterapie, abbia sempre mostrato un certo conflitto, poca linearità, quasi a voler far emergere, speriamo involontariamente, un’azione teorica limitata o a volte forse troppo ingigantita. Ecco quindi di seguito il nostro pensiero, le nostre riflessioni, sbagliate o corrette che siano per il lettore. Il problema Da anni il mondo della musicoterapia si sta impegnando per disegnarsi addosso un abito sempre più scientifico. È il bisogno di rivestire le sue tante e diverse prassi con modelli o criteri scientifici che purtroppo, molto spesso, non le sono propri e forse nemmeno pertinenti, poiché le sue molte e variegate pratiche non sempre e non obbligatoriamente riescono a trovarsi in sintonia con teorie che cercano di contenerle e sostenerle e che, di frequente, sono riprese o interamente condivise da paradigmi esterni al mondo della musicoterapia stessa. A volte si potrebbe pure parlare di una vera e propria condotta schizofrenica fra il fare e il sapere in musicoterapia, in cui il sapere viene molto spesso indicato come un lineare tracciato teorico collegato alle prassi, come un leitmotiv è collegato intrinsecamente alla sua opera. No, non è sempre e nemmeno così evidente! Questa intrinseca relazione fra prassi e condotta scientifica, si potrebbe esasperare ancor di più se poi si tratta di un Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 33 fare che è davvero intrinseco all’umano, al bisogno umano, alle relazioni umane che, appunto, proprio perché umane non possiamo pretendere che siano, di conseguenza, obbligatoriamente scientifiche, cioè nel senso che comunemente diamo alla parola scienza. E la musicoterapia è una di queste, è prima di tutto una prassi, una buona prassi almeno giudicando le operatività più diffuse e note. In breve ci sentiamo di proporre una serie di domande che mettono in evidenza il problema fra teoria e prassi nell’esperienza in musicoterapia e che, anche se non troveranno delle vere risposte in questo scritto, speriamo almeno che possano funzionare come stimolo per un dibattito, per uno scambio di idee sulle reali possibilità che la terapia musicale ha di essere o di attribuirsi il valore di pratica scientifica: Quanta coerenza esiste fra l’impianto teorico e l’applicazione pratica della musicoterapia nei suoi vari settori di applicazione (neurologia, neuropsichiatria, psichiatria, età evolutiva, terza età, gravidanza, oncologia, malattia terminale, gestione del dolore, ecc.)? In termini più specifici, tanto per indicare alcune note scuole, sulla base di quale criterio scientifico è possibile sostenere il concetto di ISO musicale benenzoniano? Sulla base di quale criterio scientifico è possibile parlare di musicoterapia creativa nel metodo Nordoff-Robbins? La musicoterapia è scientifica come prassi o diventa tale solo sulla base della formulazione di criteri applicativi che si rifanno più a teorie che, a volte, non le sono nemmeno proprie? La musicoterapia, visto che esiste in modo tangibile come buona prassi, ha bisogno di scientificità per se stessa o piuttosto perché ha l’ardire di essere riconosciuta in alcuni ambiti della sfera ufficiale della medicina? E ancora, perché attribuire anche forzatamente un principio di scientificità quando le prassi in musicoterapia risultano essere umanamente corrette? Se lo scopo della musicoterapia consiste nella ricerca del bene della persona e se le sue buone prassi sono utili all’uomo, perché spingere il suo saper fare verso una sapere teorico che di frequente non gli si addice? E infine, ma è così impensabile una musicoterapia che si attesta semplicemente su un fare e sulla formulazione di un sapere umanamente corretti? Ecc. Con queste e altre possibili domande che sono semplici per quanto coerenti e motivate, vorremmo tentare di promuovere una visione delle prassi in musicoterapia come un insieme di tanti modi di fare che piuttosto di essere sostenuti da principi teorico-scientifici “forzati” o “imposti”, siano sorretti da una corretta applicazione secondo i più comuni criteri di umanità, secondo i Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 34 più semplici ed onesti mezzi e modi che la conoscenza, rac-colta dal cumulo di prassi, mette a disposizione dell’operatore, sia esso musicoterapista o musicoterapeuta. In altri termini, se la scienza si avvale di una forte credenza dei principi generali di un determinato campo del sapere, la prassi in musicoterapia si avvale della sua esperienza, della sua conoscenza, del suo stile relazionale, della applicazione di uno stretto rapporto fra qualitàquantità della materia sonoro-musicale e qualità-quantità dello specifico e ben determinato bisogno umano. La correttezza applicativa del fare in musicoterapia non ha bisogno di una teoria forzata, quanto piuttosto di una costante com-prensione e re-visione del rapporto fra il cliente, il terapeuta e il mezzo sonoro-musicale utile in quella sola, unica e umana relazione. È umano È un bisogno dell’uomo tentare di tradurre in criteri logici, in pensieri coerenti le proprie esperienze, le proprie pratiche, il proprio saper fare in sapere più o meno teorizzabile, definibile come un ragionato insieme di espressioni che possano dimostrare un’avvenuta riflessione, una accurata meditazione, un’attenta analisi utile per valutare quanto e come quel fare sia o no passato attraverso il filtro del dire, del definire, del com-prendere. È insito in ogni uomo, in ogni cultura, il passaggio o meglio ancora la traduzione di una condotta del fare in condotta del capire, sintetica, riflessiva, raccoglitrice, analitica, modellatrice, che a diversi gradi, quantitativi e qualitativi, può anche definirsi pensiero teorico, corpus teorico. Metodo scientifico VS Buone prassi Crediamo però che ci siano dei distinguo da fare tra il bisogno di riflettere e di sintetizzare in scientia (termine latino per dire conoscenza) e il brutto costume di applicare anche a buone prassi l’etichetta di metodologie scientifiche, di paradigmi scientifici che avrebbero il compito di sostenere il valore di prassi e che, essendo già buone prassi, non avrebbero proprio alcun bisogno di essere marchiate come azioni scientificamente corrette. Senza addentrarci negli studi sulla scientificità della scienza (es. quelli di Thomas Kuhn[1] ed altri) che ci confermerebbero, tanto per citare qualche aspetto: la labilità stessa del paradigma come concetto di base, la forte credenza di una comunità in una matrice disciplinare che non sempre può definirsi storicamente e geograficamente scientifica, gli strumenti e mezzi scientifici da utilizzare, i principi filosofici e metodologici, ecc; possiamo dire che esistono delle pratiche umane che, proprio perché umane, vivono della loro pertinente caratteristica: unicità, varietà di bisogni, di modalità, di mezzi e di modi di fare e che, proprio per questa natura umana, non possono affidarsi ad una metodologia unica, standardizzata, ripetibile in più occasioni, quasi come una ricetta medica o, se vogliamo, di cucina. Infatti, Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 35 tanto per fare un esempio banale, la stessa aspirina non fa gli stessi effetti a due diverse persone che accusano lo stesso male, come la stessa ricetta di cucina preparata in due diverse case non offre lo stesso identico risultato sia in termini di gusto che in termini di appagamento della fame a due persone se pur ugualmente affamate. Alcune volte abbiamo la netta impressione che certi principi metodologici applicati dalle tante scuole di musicoterapia siano quasi più scorretti e meno coerenti delle tante culture sciamaniche che da secoli hanno applicato la musica per curare i loro simili in stato di sofferenza. Se si pensa che la parola sciamano deriva dal tunguso-mancese (Russia, lago Bajkal) saman, originata dal verbo sa (che vuol dire sapere come nel francese savoir, nello spagnolo saber) e che dunque ci si affida ad una antica conoscenza o scientia, ci viene da pensare che a volte la musicoterapia non voglia avvalersi proprio del suo sapere, di una sua conoscenza motivata da buone prassi e che, al contrario, preferisca appellarsi a saperi extra, purché ritenuti o creduti come forti principi metodologico-scientifici. E inoltre giusto sapere che pure le parole inglesi witch e wizard (strega, stregone e maga, mago) derivano da una radice indoeuropea che significa vedere o sapere (che ritroviamo anche nel latino videre, nel tedesco wissen che vuol dire sapere) e che dunque alla base di queste pratiche popolari si intravedeva il senso di saggezza, di pratica condotta da un uomo saggio, da una donna saggia. Che la musicoterapia manchi di saggezza, in questo non affidarsi alla formulazione di teorie e conoscenze proprie? Che la musicoterapia abbia forse paura delle sue conoscenze acquisite negli anni? Che ci sia forse, da parte della musicoterapia, il timore di affidarsi alle proprie conoscenze acquisite dal momento che si appella alla credenza scientifica? Leo Rutheford definisce lo sciamanesimo come un sistema di non credenze che si avvale della profondità della valorizzazione della conoscenza acquisita nel superamento delle prove: “La conoscenza funziona, supera le prove e resiste al tempo, si rivela dall’interno, diversamente dalle credenze che si acquisiscono dall’esterno, dagli altri. Le guerre si combattono per affermare credenze, dogmi e dottrine, mai per la conoscenza.” [2] Perché allora non dare più fiducia alle proprie conoscenze, perché non modellizzare[3] le proprie prassi, perché non credere alle buone prassi che maturano nel tempo e con il tempo, piuttosto che “ammalare” il proprio fare con credenze scientifiche non proprie, con l’applicazione di criteri teorici che molto spesso non sono in sintonia con quello che ha di per sé una scientia, ovvero una conoscenza che si preferisce occultare piuttosto che farla emergere nella più sincera, onesta e umana chiarezza? Alla ricerca forzata di un paradigma Una cosa è riflettere nel tentativo di ordinare al meglio le proprie prassi, e un’altra è forzare il proprio saper fare per costringerlo ad incanalarsi dentro un paradigma scientifico che ben poco ha in comune con quelle prassi e che, Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 36 di conseguenza, si dà forma ad una falsa relazione che sta in piedi solo nella mente di chi l’ha promossa o all’interno del gruppo dei “credenti”. Questa falsa relazione, nel momento in cui si attesta come base teorico-scientifica, marchia l’operatore musicale terapeutico di un falso saper essere che può quindi rendere critica e criticabile la sua stessa figura professionale globale. Nella nostra cultura occidentale europea sembra manifestarsi, sempre con più frequenza, un vizio che potremmo definire con il termine di patologia della mentalità scientifica: tutto quello che si pratica ha ragion d’essere solo se si appoggia ad un modello scientifico pre-costituito, che funzioni come un vero e proprio sostegno teorico, pensiero giustificante di un determinato insieme di prassi, comportamenti, osservazioni, relazioni, redazioni, mezzi, materiali, setting, ecc. È anche vero, purtroppo, che sembrano “vendersi” meglio le proprie prassi all’interno di un pacchetto teorico-scientifico che, più di altri, si avvale di una forte credenza da parte di una determinata comunità o del gruppo di addetti ai lavori.[4] Come è altrettanto vero che ogni forma di prassi, ha bisogno di tradursi pure in una riflessione, in un pensiero che tenta di ordinare, almeno coerentemente e con dignità umana, un modello comportamentale, un insieme di mezzi e di materiali, uno stile operativo e relazionale, ecc. Quindi tentare di raccogliere in criteri onesti e lineari il nostro fare è cosa utile purché non sia azione forzata, costretta, che serva solo a “vestire” chissà di quale scientificità ciò che umanamente avrebbe comunque lo stesso valore, senza per altro “sporcarsi” di teorie e paradigmi inutili, poco coerenti e corretti, dunque dis-umani. Una cosa è cercare di rendere sempre più corrette le nostre prassi e un’altra cosa ancora è “colorare” il nostro fare con assunti teorici, con finte coerenze che non provengono, non emergono realmente dal nostro reale operato. Secondo noi ogni scuola di musicoterapia, oggi che è ancora in tempo, dovrebbe rileggere con assoluta libertà e semplicità d’animo, i suoi basamenti teorici, le sue modellizzazioni, le sue teorizzazioni e chiedersi davvero, a mente sgombra e non colta da “falsa credenza”, quanto la sua “architettura teorizzante” sia in accordo con le sue prassi. Indossare abiti che non sono stati tagliati su misura, anche se questi sono belli e ricchi, è comunque mostrarsi per quelli che non siamo. E se a volte il corpus, il saper fare risulta povero non lo è perché è povera la sua prassi, ma perché lo impoverisce il suo abbigliamento teorico, quell’aurea che “colora” troppo ma che, nello stesso istante, “sporca” pure troppo la coerenza, l’umana sanità mentale che deve intercorrere fra il sapere teorico e il fare pratico. È questo il momento, crediamo, anche coraggioso ma altrettanto bello e liberatorio, per “scrollarsi” di tutti gli apparati teorici e metodologici che non sono palesemente in accordo con la nostre prassi in musicoterapia. È questo il momento di far “evaporare” quel pro-fumo teorico che rischia di far “puzzare”, nel tempo, la credibilità di una professione così difficile per quanto così umana (il nostro saper essere). È questo il momento di darsi una teoria, se pur semplice, se pur elementare, ma Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 37 corretta, in sintonia, dedotta veramente dal fare e non dalle più ufficiali scuole di credenza e nemmeno da teorie esterne che possono sostenere un angolo o un sol punto di una ben più articolata pratica musicale terapeutica. Continuare a “sporcare” le prassi musicoterapeutiche con teorie improprie, con modellizzazioni iper-articolate, con schemi osservativi iper-minuziosi (su tematiche a volte marginali), con teorie o analisi del sonoro-musicale a volte banali e altre volte cariche di astruse e inutili complessità, ecc…, significa continuare a dare una idea irreale e impropria delle professionalità in musicoterapia, a mostrare incoerenze che prima o poi, come un boomerang, si rivolgeranno contro il mondo musicale terapeutico. La correttezza, la sanità professionale e mentale di una scuola (intesa sia come mentalità che come una vera e propria istituzione di formazione) si reggono sulla coerenza, sulla sincerità, e quindi, anche inevitabilmente, sulla giusta e interconnessa relazione fra prassi e teoria. Scientia descendit in mores Se è vero il detto latino che dice: la conoscenza si traduce in consuetudini e che ora possiamo anche riformulare con il pensiero si manifesta attraverso i suoi prodotti, attraverso le sue prassi, è dunque altrettanto vero che le prassi, i prodotti del fare umano contengono un pensiero, sono espressioni di conoscenza. Una conoscenza che a volte, alcuni non sanno estrarre, ma che di fatto è lì presente, implicita, da esternare. Ecco allora perché un insieme di comportamenti non può venir giustificato attraverso una forzatura teorica, attraverso una costrizione che impone di interpretare un determinato saper fare come prassi sostenuta da un modello scientifico precostituito. Ogni pratica, ogni condotta attiva, se analizzata con coerenza e pulizia mentale, nasconde i suoi principi, i suoi criteri, le sue metodiche, la sua ragion d’essere. E una volta analizzata una prassi, e giunti pure ad una sua definizione di scientia (di conoscenza), non per ciò, abbiamo il diritto o l’obbligo di definirla come condotta che può avvalersi del marchio di scientificità. Quindi superando la patologia della mentalità scientifica, anche se non abbiamo l’obbligo di definire il nostro fare un fare scientifico, sapremo comunque con sicurezza di essere, sul piano professionale, molto più corretti nel nominare quel fare per quello che è, e cioè: quell’insieme di prassi che, nella loro applicazione, permette di ottenere un determinato risultato, in quel determinato contesto e con quei determinati soggetti. Poi, come abbiamo già detto, se si tratta di una prassi che lavora con la diversità, che è tra l’altro insita nell’uomo e tanto più nell’uomo diversamente abile, se si lavora con una materia aperta e vibrante come il suono e la musica, se si opera sulla base di prassi musicali che possono mutare di soggetto in soggetto a seconda delle sue dot-azioni, si comprende pure come una veste di rigida scientificità possa addirittura risultare umanamente e logicamente “antiscientifica”. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 38 Musicoterapia umanamente corretta È dunque umano ed è corretto cercare di interpretare il proprio fare, le proprie condotte, ma è altrettanto disumano e scorretto volerle “vendere” per quelle che non sono. Le buone prassi sono efficaci e giuste anche senza quel patologico marchio di falsa scientificità, impressa come una griffe sull’habitus professionale che indossiamo. Intendendo per habitus, l’habĕo, cioè quello che è stato da noi acquisito grazie all’esperienza. Da tutto ciò possiamo e vogliamo sperare che il rapporto fra il buon saper fare e buon saper essere della professionalità terapeutica possa, prima possibile, ri-formarsi con coscienza, dal latino conscièntia, formato da cum e scìre che significano essere consapevoli, cònsci. Si tratta di avere coscienza, di affrontare il rapporto prassi-teoria con una forte presa di coscienza e di conoscenza, che poi si traduce in quella reale consapevolezza di ciò che stiamo facendo, di ciò che sta avvenendo in noi e negli altri. La musicoterapia non ha alcun bisogno di appellarsi a scuole di scienza tout-court, ma ai tratti pertinenti di una conscièntia, cosciente e consapevole, dunque logica e coerente. La terapia musicale non può far altro che affidarsi a quel cognòscere che permette di far emergere dall’esperienza cosciente la dote di selezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del sano e dell’insano, del fare e del dire. Non può esistere al mondo una terapia musicale che si affida ad una cultura che vuol rendersi occulta, tendente cioè ad occùlere, a sottrarre con un velo agli occhi altrui, a nascondere! Un incoerente rapporto fra prassi e teoria porta, nel tempo e inevitabilmente, ad occultare la stessa coscienza professionale degli operatori, dei formatori, rendendoli in-coscienti, i-gnari, mancanti di quella consapevolezza che invece richiede una umana professione come quella di cui stiamo trattando. È un obbligo di tutte le figure professionali di questo settore: fare in modo che la musicoterapia non sia ignobile (dal lat. in privativo e gnòbilem, nòbilem, conosciuto e nobile) e che quindi s’avvicini sempre più ad acquisire una nobile conoscenza, cioè ad assumere quella consapevolezza e quella coscienza che possono renderla sempre più coerente, più logica, più sana, quindi più gnòbile e nobile. Ecco perché è giusto scendere dal piedistallo di una falsa o pesante scientificità, per salire su quello, ancora più alto, di una corretta umanità. Pier Luigi Postacchini, Maurizio Spaccazocchi *Contributo pubblicato in: http://www.progettisonori.it/spaccazocchi/Musicoterapia/index.htm [1] Cfr. Kuhn T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1999; Le rivoluzioni scientifiche, Il Mulino, Bologna, 2008, ecc. [2] Rutheford L., Sciamanesimo, Ed. Armenia, Milano, 1996, p. 16. [3] Noto fu il tentativo di modelizzazione svolto da Mauro Scardovelli sulle prassi della musicoterapeuti Giulia Cremaschi, le cui prime riflessioni sono Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 39 presenti in Scardovelli M., Il dialogo sonoro, Cappelli, Bologna, 1992, pp. 125136. [4] In questi casi, quando la credenza è solo forte credenza senza rapporti con una buona prassi, la distinzione fra musicoterapia e setta musicoterapeutica è davvero labile. Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Postacchini Pier Luigi, Spaccazocchi Maurizio Condividi post inCondividi0 Repost 0 4 commenti Delogu Chiara, Michele predilige la zeta Pubblicato il 13 febbraio 2010 Michele[1] predilige le parole che vibrano con la “z”. La “z” rientra nel gruppo delle consonanti fricative alveolari sonore, ciò, da un punto di vista puramente articolatorio, significa che l’aria deve passare attraverso una fessura piuttosto stretta producendo una certa ‘frizione’. Sono consonanti che si possono prolungare nel tempo e per questo si chiamano anche ‘continue’. La qualità alveolare, invece, descrive la posizione della lingua che si avvicina appunto agli alveoli. Mi domando come e cosa questo suono in particolare possa suscitare in Michele. Siamo entrati più in confidenza. Spesso Michele mi dice “t’ammazzo” “pazzo” “puzzo” “pizza”. È attratto dalle “z”. Comincia ad articolare meglio le parole. Si fa strada nella comunicazione verbale. Non è più così interessato al sottofondo sonoro. Sembra più attivo, più vispo, più felice, meno addormentato. Canta, cerca di parlare. Si è instaurato tra noi il ‘dialogo-gioco sulle puzze’. Mi annuso e annuso alcuni oggetti: lui ride, di gusto. Il suo divertimento lo porta a trovare un mediatore sonoro che è direttamente il suo corpo. Michele è consapevole del ritmo, è molto attento, riesce ad articolare bene le cellule ritmiche e le contestualizza nel metro. Ma non riesce ad applicarle nel parlato. Si vergogna? Abbassa lo sguardo, cambia direzione. Evita il confronto. Perché? Perché non parla? Cosa lo trattiene? Perché conosce il turpiloquio e invece il bel parlare non lo stimola affatto? Nell’ultimo ciclo di sedute (18-27) sceglie, decide cosa fare, come fare. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 40 Sono piena di interrogativi irrisolti: cosa lo spinge a emettere suoni e rumori con il suo corpo? È il primordiale che risuona in lui? Non è forse anche questa una musica? Non sono forse le nostre prime musiche che ci accompagnano sin dalla gestazione? I gorgoglii, il battito del cuore, i movimenti tellurici dell’intestino, la vita. Sin dalle prime sedute Michele esprime questa particolare attenzione per la consonante “Z” messa in relazione con le puzze da lui prodotte. A volte questi peti sono sonori, soprattutto quando è felice, mentre se sono reiterati diventano sibilanti e infine sordi. Difficoltosi. Si sforza, diventa paonazzo. E non smette fino a quando non si è liberato. A volte sono addirittura immaginari e sono quelli che lo divertono meno. Mi mostra il suo ventre, quello che c’è dentro. Solleva la maglietta. Si avvicina e indica la mia pancia. Mi invita a seguire questo ‘modus musicandi’. Michele durante tutte le nostre ventisette sedute ha trovato il modo di trovarsi sempre a contatto del mobile dove è posto il lettore CD. Mi sono sempre domandata il perché di questo interesse. Un giorno, spinta dalla curiosità, mi sono seduta accanto a lui e finalmente ho capito: le vibrazioni della musica toccavano tutto il mio corpo. Lo stesso mobile diventava un mediatore del suono. Leggendo l’affascinate libro di Ginger Clarkson[2], ho scoperto che una delle pazienti della musicoterapeuta provava piacere stando vicina al registratore, perché sentiva gli strumenti vicini. Il corpo fragile, nervoso e magrissimo di Michele si rilassa a contatto del mobile dove è poggiato il lettore CD. Così il mio tentare di portare l’attenzione di Michele verso i mediatori sonoromusicali da lui scelti (una conga, un piatto, due maracas) era forse già avvenuta, inserendo le musiche preferite nel lettore CD, che è diventato parte integrante della seduta. Michele mi regala qualcosa che ha dentro di sé, che è dentro di sé, che gli appartiene. E forse consciamente o inconsciamente sa che posso conoscere. Perché ne ho esperienza. Anche io vivo con i miei linguaggi del corpo. Convivo con i miei battiti. Dove finisco io e dove inizia il mio cuore? Non c’è confine. E se i suoi rifiuti, i suoi dentro fossero metafore di ciò che vive emotivamente? O forse mi piace pensare che questa è una lettura poetica di qualcosa che è all’ordine del giorno, della quotidianità di tutti noi esseri viventi? Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 41 Ma la vita non è forse poesia? Mi chiedo se questo linguaggio sia così diverso e scontato. Non esistono differenze anche nell’emissione di un rutto, di un peto, e non è differente a seconda di ciò che si pensa, di chi ci sta ascoltando, di chi pensiamo non ascolti? E Michele cosa mi vuole comunicare? Felicità? Tensione? Ansia? Ma in questo gioco di risate, di condivisione, di ilarità c’è un messaggio per me: un messaggio che parla di semplicità, di purezza, di gioco, di unione. Chi ha deciso che quelli non sono suoni? L’uomo con i suoi dogmi. Esiste un dentro colmo di immagini sonore che abbiamo raccolto e raccogliamo durante la nostra esistenza e che ci dimentichiamo di assecondare e di ascoltare, come spesso capita con le emozioni… emo-azioni: azioni che ci portano verso qualcosa, qualcuno. Forse che quel qualcosa che tanto cerchiamo fuori non sia già dentro di noi e reclami di uscire con tutta allegria e semplicità? Che l’insegnamento di Michele sia quello di liberarsi, ascoltarsi, viversi senza giudizi? Chi ha deciso che ciò che produciamo dall’interno è così sconveniente? Ma non è forse naturale? E allora che bisogno ha di essere nascosto? Che esca e si liberi e ci liberi. In fondo liberandoci facciamo posto ad altro nella ruota della vita che conserva il suo significato più bello: tutto scorre (panta rei). Le mie percezioni allora cambiano: un altro regalo di Michele è quello di vivere sinceramente le mie puzze. Espressione del mio interno che si manifesta nell’esterno. Un simbolo ne è il derivato. Che è anche il mio punto di arrivo e di partenza. Mettere insieme il mio dentro con il mio fuori. La parola d’ordine diventa accettare. Tutti cerchiamo di fondere il corpo con l’evento musicale e se fosse il contrario? Cioè desiderare di fondere il musicale che c’è in noi? Il piacere di vibrare con tutto il corpo. E se l’essere umano tendesse a musicare ciò che sente dentro e la musica non fosse altro che la traduzione di movimenti interni dei pensieri e degli organi? E gli organi non sono altro che i pensieri in forma di prosa e la loro musica poesia? La musica come estensione del divino che permea l’umano, per ricordarci la connessione con un tutto più grande, infinito. Se i bimbi desiderano fin da piccoli incorporare gli oggetti, per conoscerli, forse che Michele fa fuoriuscire per farsi conoscere? Se l’incorporazione fosse un modo per trasferire conoscenza, forse la de-corporazione diventa altrettanto nobile per far emergere il proprio io. Se mangiamo i suoni, perché Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 42 non potremmo anche defecarli? Renderli qualcosa di aereo o liquido o corposo, materico, provandone un immenso piacere. Perché il processo è quello dell’attraversamento all’interno del nostro sé. Che attraversi per fuoriuscire o per entrare, sempre attraverso è. E se la paziente autistica di Ginger Clarkson [3] afferma che gli starnuti fanno fuoriuscire i sentimenti tristi, i peti non potrebbero assumere lo stesso senso catartico? Lo stesso desiderio di far uscire sentimenti pesanti o fastidiosi potrebbe essere la spiegazione di quei sonori, sordi, fruscianti e difficoltosi peti. I suoni possono acquisire valenze simboliche dalla loro connessione con la gestualità fonatoria e con la mimica articolatoria. Il campo privilegiato della manifestazione del fonosimbolismo è quello delle esperienze sensoriali. Il simbolismo fisionomico si appoggia costantemente su quello sinestesico, utilizzando processi di trasformazione metaforica o sintomatica. I suoni prelinguistici hanno sempre valenze espressive, valenze che generalmente perdono, una volta inseriti nel sistema linguistico, che ha adottato il principio dell’arbitrarietà, ma che sono pronte ad emergere quando il significato e la funzione della parola lo consentono. Anche il singolo fonema è una costellazione di tratti e il privilegiamento dell’uno o dell’altro può dar luogo ad esiti espressivi differenti e talvolta opposti. Ciò che caratterizza il fonosimbolismo è il modo di funzionamento. Sia esso a servizio dell’espressione emotiva o della denotazione o conazione. Il fonosimbolismo si identifica per il ricorso al modo analogico di utilizzare il mezzo linguistico rispetto a quello digitale o arbitrario. Dumas[4] ha esaminato quali mutamenti le varie emozioni provocano nella voce umana, mostrando come esse influiscano sul volume, sull’altezza, sull’allungamento o accorciamento dei suoni, sulla posizione degli accenti. Trojan[5] classifica le varie forme di emozione con due principali tipi di funzioni organistiche: “ergotrope”, attività rivolte verso l’esterno, “trofotrope”, connesse con il riposo, il godimento e la rigenerazione delle energie. A questi tipi di funzioni sono associate tonalità emotive diverse. Gli indicatori acustico-articolatori del contenuto emotivo che ci interessano sono: pressione espiatoria e tensione della muscolatura articolatoria. le vocali vengono accorciate e le consonanti allungate, l’intonazione assume l’andamento dello staccato, cioè durezza e aggressività rivolta all’esterno; il registro di petto appare legato all’autoaffermazione, all’imposizione, al dominio sull’altro; quando la qualità di fiato è elevata segnala una forte eccitazione psichica nel parlante o il suo essere sopraffatto dall’emozione. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 43 I sentimenti ostili possono tradursi in manifestazioni in forma più sottile, tagliente, punzecchiante. Il disgusto, la ripugnanza, il ribrezzo, appaiono modellati sui tipici gesti eversivi e sulle mimiche espressive che accompagnano la percezione di odori e sapori cattivi. C’è riferimento all’attività olfattiva (rifiuto di ciò che puzza, che è maleodorante) e a quella gustativa (rifiuto di ciò che ha cattivo sapore). Un ulteriore gesto mimico nel quale trovano espressione i vissuti negativi di rifiuto, condanna, insofferenza, disprezzo è quello consistente nell’espulsione del fiato, come nelle onomatopee “uffa”, “fu”. Tale gesto può esprimere simbolicamente un atto aggressivo. Soffiare addosso all’oggetto del disprezzo, può essere letto come desiderio di proiettare all’esterno un contenuto interno penoso e rifiutato. E nel viaggio con Michele gli sbuffi sono stati oggetto di quotidiani incontri, la sua tensione nel petto, il suo percuotere fortemente con il battente sulla conga, accompagnando il ritmo con un urlo che viene dalla gola e dal petto. Nel dantesco canto XXI tutto diventa carne, sangue, sofferenza, materia, tatto e odore, voglia di scappare, pericolo fisicamente incombente. Un esempio assoluto di traduzione in termini poetici di ciò che ci spaventa ed è sgradevole. Dante ha paura, Virgilio appare più tranquillo, tende a fidarsi. I lessi dolentici riportano all’immagine dei cuochi, brutale e triviale immagine. Preludio del più sconcio segnale di partenza che sia possibile udire. Preparato dalla lingua stretta tra i denti dei diavoli a simulare il rumore del peto. Poi nessuna simulazione, peto vero. Michele, come Dante, vive il suo personale inferno puzzolente e lo esprime con i suoni duri della “z” e con sonori peti diabolici, che dividono ciò che è da scartare, per armonizzare, forse, un caos interiore. Chiara Delogu [email protected] [1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [2] Ginger Clarkson, (1998), Ho sognato di essere normale, Cittadella editrice Assisi, p. 100. [3] Ginger Clarkson, (1998), Ho sognato di essere normale, Cittadella editrice Assisi, p. 138. [4] Dumas, La vie affective, Presses Universitaires de France, Paris 1948. [5] Trojan, Der ausdruuck von stimme und sprache. Eine phonestische laustilistik, Verlag W. Maudrich, Wien 1948. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Delogu Chiara Condividi post inCondividi0 Repost 0 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 44 0 commento Converso Astrid, Emozioni vissute e condivise nel tempo dell’incontro con Marcello Pubblicato il 9 febbraio 2010 Nonostante che all’apparenza sembrasse una persona gentile e sorridente, Marcello[1] non si lasciava avvicinare da nessuno. Per tutto il primo ciclo dei trattamenti musicoterapici (un anno), Marcello si manteneva lontano dagli strumenti e da me in modo tale che non lo potessi toccare nemmeno accidentalmente. Se durante i trattamenti lo sfioravo casualmente, lui immediatamente si ritraeva, si girava dall’altra parte o si allontanava dalla sedia, come se volesse scappare. Suonava alcuni strumenti musicali, variandoli in continuazione, scegliendo ora i tamburi, ora i sonagli con anelli, oppure percuoteva le piastre dello xilofono. Gli strumenti li prendeva con una tale rapidità che a fatica riuscivo a osservare il suo spostamento. Non mi guardava mai in volto. Se provavo a guardarlo alzava gli occhi al cielo sbuffando, ridendo, guardandomi di sbieco come per farmi capire che non era pronto, non in quel momento. Probabilmente il contatto visivo, per lui, era ancora troppo intenso. Chiaramente mi sentivo angosciata per il suo comportamento, non riuscivo ad entrare nel suo “guscio”. Se stavamo suonando o ascoltando musica, o “accompagnando” un brano musicale che avevo deciso di far ascoltare, Marcello interrompeva continuamente l’attività, parlando di tutt’altro, raccontandomi cosa aveva mangiato a pranzo o dove doveva andare al termine della giornata “comunitaria”. Io non sapevo che fare. Mi sembrava, “tutto”, una grande perdita di tempo. Marcello era fin troppo loquace. Ero sempre più in allerta, ormai era passato un anno e la situazione non accennava a migliorare, sentivo il mio lavoro un completo fallimento, e più continuavano queste sedute di “vuoto terapeutico e vuoto musicale”, più il tempo con lui diventava insostenibile, e mi ritrovavo a guardare l’orologio ogni dieci minuti. Non ero ancora riuscita a “comprenderlo”, c’erano molti aspetti di lui che mi erano oscuri. Sapevo che in lui c’era molto, ma non sapevo qualitativamente determinarlo. Non c’era nessuna “scintilla d’intesa”, nessuna “lampadina accesa”. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 45 Se non c’era la musica come supporto, iniziava a parlare incessantemente, di tutto ciò che aveva fatto; che faceva e che avrebbe fatto nel corso della giornata. Anche se c’era musica agiva in uguale maniera, ma la frequenza dell’eloquio si riduceva. Talvolta, con il capo chino, percuoteva due tamburi, suonandoli con tanta veemenza che avevo timore che si facesse male. Non riuscivo a farlo smettere nemmeno, catturandolo con il suono di qualche strumento. Mi sentivo inadeguata. Ero arrivata alla conclusione che sicuramente alla base del mio intervento ci fosse qualcosa che non andava. Sapevo che Marcello aveva una sua musica preferita, un cantautore preferito, ma lui non se lo ricordava. Tramite la psicologa, chiesi alla famiglia, non molto collaborante, informazioni inerenti i gusti musicali di Marcello. Dopo un interminabile tempo ottenni ciò che per me in seguito si trasformò in “oro colato” . A Marcello piaceva moltissimo Adriano Celentano, ma non sapevo quale fosse la sua canzone preferita. Provai subito a proporgli numerosi ascolti e vidi subito che il suo interesse iniziò a mutare, a crescere. Mi guardava in modo differente, come se avessi trovato la prima di una lunga serie di “serrature d’accesso” per mettermi in comunicazione con lui. Tutto questo non bastava, finiva la canzone, e lui tornava nel suo stato di ombrosa diffidenza. Pensavo che fosse tutto tempo sprecato, lui non collaborava, io non riuscivo, se non attraverso minime cose, ad entrare in contatto con lui. Non mi sentivo all’altezza del compito, l’attesa era snervante, soprattutto nei confronti del personale comunitario. In sede d’équipe ogni volta che si presentava il “caso” clinico di Marcello, mi sentivo a disagio, potevo dire che da quando avevo iniziato era rimasto tutto immutato? Che non ero riuscita ad aprire una “piccola breccia” nella sua dura corazza? Che dopo tutto questo tempo non si riscontrava nessun tipo di risultato? Nel frattempo continuavo a provare con innumerevoli proposte musicali inerenti Celentano, fino a quando trovai la fatidica canzone: il brano che avrebbe cambiato il processo musicoterapico: “Quello che non ti ho detto mai” (di Celentano A., Mogol e Bella G.). Durante l’audizione, per la prima volta, Marcello iniziò a canticchiare qualcosa guardandomi negli occhi. Furono piccoli, brevi momenti, ma molto intensi. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 46 La cosa che mi incuriosì più di tutte fu il testo, così particolare e anche leggermente ambiguo. Nella canzone si parla dell’amore tra un uomo e una donna, certo, ma quando la cantava Marcello, sembrava che la cantasse al fratello morto. Così, per la prima volta si confidò e mi parlò di suo fratello; di come era morto e di quando sarebbe andato al cimitero con la madre a trovarlo. Rimasi allibita, Marcello si stava confidando con me? “Avevo il cuore che batteva a mille”. Non solo, ma Marcello aveva paura. In particolare era terrorizzato che il tempo potesse scorrere inesorabilmente, giungendo verso la morte. Ogni volta che si avvicina il suo compleanno manifestava uno stato di profondo malessere: si incupiva e ripeteva incessantemente, quasi fosse una stereotipia: “… sono vecchio… il tempo passa, … arriverà la morte… tutti invecchiano prima o poi vero?” Prima non c’era alcun modo di rassicurarlo. Lentamente, con dolcezza e pazienza, sono riuscita a stabilire anche un minino dialogo dove riuscivamo a parlare non solo del fratello, ma anche di altre tematiche a lui particolarmente care e, in particolare, il tempo e la morte. Sono riuscita a rassicurarlo e penso che mi abbia ascoltato poiché le sedute successive si prospettarono in modo molto diverso. Non si alzava continuamente per raggiungere la finestra, ma rimaneva più vicino a me senza allontanarsi di scatto e usava gli strumenti in maniera costruttiva. La paura di invecchiare era sempre presente, ma in modo maggiormente più contenuto. In una incontro d’équipe, la psicologa manifestò la sua soddisfazione, rivelando come le sedute di musicoterapia fossero state d’aiuto a Marcello. Era nota a tutti l’irruenza di Marcello, ma da quando aveva iniziato il trattamento con me la sua aggressività era diminuita. La Psicologa mi disse che aveva notato che Marcello aveva imparato a riversare la sua collera non più sulle persone, ma sugli oggetti. Al riguardo, la collega raccontò un episodio da lei vissuto in prima persona. In uno scatto d’ira, Marcello aveva cercato di colpire la psicologa e alcuni ragazzi della comunità, ma, all’ultimo momento, scaricò la sua collera colpendo gli armadietti. Il fatto in sé poteva essere letto come un episodio accidentale, ma il fatto eccezionale e “nuovo” era la canalizzazione della scarica aggressiva di Marcello. Mi venne subito in mente l’attività che avevo cercato di fare con lui. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 47 Suonavamo tamburi, bonghi e cembali, cercando, quando Marcello li percuoteva, di imitare la sua forza, per poi incanalarla e riportarla da un livello meno intenso. Quindi tutto questo tempo non era andato perso? Quindi in tutto questo tempo lui mi aveva seguito? Io avevo avuto forse troppa poca pazienza; non avevo saputo aspettare i suoi tempi? Doveva essere andata così, perché nonostante fossi poco paziente e l’attesa ogni volta era pesante da sopportare, non mi sono mai stancata di stargli vicino, ho sempre cercato di dare il massimo, e non mi sono mai arresa. Le sedute finirono poco prima della pausa estiva e, all’ultimo incontro, Marcello mi fece un regalo davvero prezioso, che mi lasciò senza parole… una cosa che penso non facesse da molto tempo soprattutto nell’ambiente della comunità…: mi abbracciò. Riflettendo sul mio percorso a fianco di Marcello, mi sono giunti in mente i mille dubbi, i mille interrogativi sul tempo, sull’ attesa e sulla pazienza. La percezione che abbiamo del tempo determina profondamente il nostro modo di agire. A volte si percepisce il passare del tempo come più rapido per cui "il tempo vola", significando che la durata appare inferiore a quanto è in realtà; al contrario accade anche di percepire il passare del tempo come più lento "non finisce mai". Il primo caso viene associato a situazioni piacevoli, o di grande occupazione, mentre il secondo si applica a situazioni meno interessanti o di attesa (noia), quest’ultimo mi ricorda molto il mio incessante guardare l’orologio per constatare la fine dell’incontro. A volte avvertiamo in modo più o meno rapido il passaggio del tempo, ma il tempo non può essere toccato, e ovviamente non emette né suoni né odori. Del tempo si può parlare in molti modi, il tempo ci trasforma continuamente. Mutano le nostre fattezze e anche dentro di noi avvengono continui cambiamenti. Forse la vera saggezza sta nel porsi dalla parte del bisogno, che muta di continuo, cercando di risolverlo in modo adeguato alle esigenze umane, dando per scontato che ad ogni bisogno risolto se ne porrà un altro. In tal senso il tempo che bisogna vivere è solo il presente. È proprio nel “qui” ed “ora”, nel “presente”, dell’incontro musicoterapico che vivevamo, nella lunga fase iniziale, la nostra dimensione temporale. Paradossalmente, io e Marcello eravamo intenti a cercare il nostro tempo: “… la forma del senso interno, ossia l'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno…”[2](E. Kant). Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 48 Solo nella seconda fase del trattamento con Marcello quando, grazie all’adozione della canzone di A. Celentano “Quello che non ti ho detto mai”, abbiamo condiviso il tempo, e Marcello ha comunicato i suoi sentimenti. Ciò è stato raggiunto poiché “… nessuna delle cose più grandi si realizza di colpo, non più di quanto accada per un grappolo d’uva o un fico. Se mi dici che desideri un fico, ti rispondo che bisogna dargli tempo. Lasciare che l’albero fiorisca, poi che faccia il frutto, e poi che questo maturi.”[3] (Epitteto) Quando alla fine l’albero matura, ottieni i frutti, non importa se la stagione è stata dura, se l’inverno è stato rigido; se il terreno è buono e fertile basta avere pazienza e alla fine il frutto lo ottieni, e devo dire che il mio frutto è maturato. Con Marcello ho imparato ad avere pazienza, a saper aspettare, a dare un po’ di tempo alle persone che mi circondano, perché ho capito che non tutti hanno gli stessi archi temporali determinati. A volte bisogna sedersi e aspettare poiché “… Il tempo spiegherà tutto. È un chiacchierone, e non ha bisogno di essere interrogato per parlare.”[4] (Euripide) Ripensando al processo terapeutico intrapreso con Marcello, posso affermare che è stata un’esperienza difficile. Per me che mi baso molto sul contatto fisico, trovarmi di fronte ad una persona che non tollera il contatto, mi ha subito destabilizzata. Lavorare con una persona che si allontana fisicamente o mentalmente e non é più presente, ma si colloca in un altro luogo, mi ha fatto rivalutare tutto il mio lavoro sin dal principio. È stato bello constatare come una persona cresce e matura anche grazie a te, che si apre, si confida e in qualche modo riesce a incanalare i suoi problemi attraverso strumenti che tu hai fornito. In tutto questo le tre parole chiave sono: TEMPO, ATTESA e PAZIENZA. Non tutte le attese sono angoscianti, e molte non lo sono affatto, ma la semplice consapevolezza della necessità della conclusione ci mette in uno stato di tensione, ogni volta che la conclusione tarda rispetto alle nostre aspettative. Riuscire a capire quando è il momento di fermarsi, di attendere, e invece quando è il momento di ripartire, non è semplice. Capire i propri bisogni e quelli dell’altro, capire quando entrare in gioco, e quando starsene in “panchina”. Professionalmente sono cresciuta molto a fianco di Marcello, non credevo di riuscire ad ottenere questi risultati. Bisogna tuttavia saper ascoltare, registrare ogni passo, ogni piccolo, malgrado apparentemente inutile, segno, solo così si potrà disporre di tutti gli strumenti necessari per aiutare l’altro. Astrid Converso Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 49 [email protected] [1] Nome di fantasia; in ottemperanza alla legge della privacy. [2] Kant E. “Critica della Ragion pura”, sesta edizione, Laterza, Bari, 1977, pag. 77. [3] Epitteto “Massime di saggezza per la vita di tutti i giorni” Newton & Compton Editori, 2003, pag. 67/68 [4] Euripide “Massime di saggezza per la vita di tutti i giorni” Newton & Compton Editori, 2003, pag. 76 Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Converso Astrid Condividi post Marzo Converso Astrid, Relazioni sonoro-musicali con Matteo ed Emma in… musicoterapia Pubblicato il 23 marzo 2010 “È impossibile non comunicare, perché ogni comportamento è comunicazione, invia un messaggio agli altri, che lo si voglia oppure no. Nella comunicazione si stende la relazione, vale a dire che la relazione con l'altro è già implicita nella stessa realtà umana.” [1] L’idea che abbiamo di noi stessi, la nostra identità, ciò che consideriamo che gli altri pensino di noi si organizzano, pezzo dopo pezzo, in tutti gli scambi di parole e azioni che abbiamo con gli altri esseri umani. È di fondamentale importanza saper ascoltare i propri interlocutori per poter dare risposta in modo appropriato altrimenti l'altro non risponde, non c’è un feedback adeguato alla sua comunicazione. Quando si comunica, soprattutto se si comunica in modo personale e profondo, è molto importante ricevere una reazione adatta. Se ciò non accade, l’altro può ritrarsi e cessare di comunicare. Tuttavia, trovare una via di comunicazione che faciliti la sintonia, che permetta di relazionarsi “sulla stessa lunghezza d’onda” non è semplice, soprattutto, se interagiamo con persone che hanno problemi a livello di relazione. Matteo ed Emma[2] mi hanno ‘insegnato’ il vero significato della relazione con l’altro da sé e cosa comporta una relazione: offrendo, accogliendo e, nel medesimo istante, ascoltando. È forse “l’insegnamento” più importante che ho acquisito da questa esperienza, sebbene i risultati che vorremmo ottenere, a volte, non Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 50 pervengono o non giungono subito ed è proprio in quei momenti che si deve cercare di insistere. Matteo, io e la relazione... musicale Matteo, all’inizio dell’intervento musicoterapico, aveva 38 anni e presentava questa diagnosi patologica: “Insufficienza Mentale di Grado medio – grave. Dislessico”. Matteo appariva molto agitato, incapace di stare fermo, in perenne movimento, con scatti delle gambe quasi stereotipati che muoveva incessantemente. Manifestava molta aggressività che “sfogava” sui compagni, qualora venisse provocato o offeso. Dall’aspetto piacevole, Matteo sapeva di essere attraente e, per questo motivo, capita spesso che si pavoneggiasse all’interno della comunità. Nonostante esercitasse un certo fascino sulle compagne, Matteo manifestava problemi relazionali con gli ospiti della comunità. Gli ospiti maschili, gelosi, molte volte lo insultavano, chiamandolo:“Borghese”. In quei frangenti Matteo diventa molto aggressivo e oltre ad offendere minacciava gestualmente i suoi “offensori”. Durante l’osservazione scopro che Matteo gradiva esclusivamente solo musica da discoteca e non sopportava la musica classica che definiva: “Musica da suore”. Quindi non avevo indicazioni precise sulla “sua musica del cuore[3]”. Matteo viveva solo con i genitori, i fratelli erano felicemente coniugati. Viveva un rapporto di amore odio con la madre , la quale lo dominava, lo controllava e non tollerava che Matteo potesse avere relazioni di tipo sentimentale. La stessa, agli inizi dell’anno passato, richiese dall’ASL una progressione dell’invalidità del figlio, facendo sprofondare il morale di Matteo e creando in lui una forte depressione. La prima volta che Matteo entrò nell’ ”habitat” musicoterapico era disorientato; si guardava attorno e rimaneva in piedi avvicinandosi agli strumenti. Gli faccio presente che non doveva sentirsi obbligato a fare alcunché oppure, se avesse voluto, poteva suonare gli strumenti che erano posizionati in terra. Dopo un’iniziale incertezza Matteo decise di sedersi e iniziare a suonare. Come primo strumento scelse il tamburo, e io, adattandomi, presi un tamburello con i sonagli ma, in cuor mio, sentivo che qualcosa non “funzionava”. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 51 Avendolo osservato attentamente ero consapevole della sua forte aggressività ma non avrei mai pensato che arrivasse ad esprimerla, in modo quasi lacerante, sugli strumenti. Fin dalla prima seduta iniziò a percuotere in modo assordante il tamburo ma, essendo appunto la prima seduta, si fermò solo a quello strumento. Successivamente dà inizio ad una sorta di “concerto solistico” stridente, completo di tutti gli strumenti presenti. Non riuscivo a contenerlo, l’intensità era talmente forte che gli strumenti volano via, danneggiandoli come il battente in ferro del triangolo che si spezza a metà. Lui sembrava apparentemente calmissimo sorrideva e sembrava che si divertisse. Come se non bastasse, se si stancava di suonare, lasciava gli strumenti a terra e iniziava a parlare, raccontandomi la sua giornata in ogni minimo dettaglio, bloccando anche la mia esecuzione sonora. Provavo a fargli ascoltare musica da discoteca, sapendo che era il suo genere preferito, ma il clima peggiorava. Rimanevo sconcertata, impaurita e mi sentivo inadeguata al compito. “Cosa faccio?” “Come mi comporto?” “Devo bloccare il suo bisogno di sfogo o devo permettergli di liberare la propria energia.” “Gli strumenti che danneggia e rompe li devo riparare o devo sostituirli con strumenti nuovi per evitare che si rispecchi in qualcosa di “spezzato, e riparato?” È stato un anno molto faticoso sia dal punto di vista emotivo che da quello fisico. Verso la fine delle sedute, Matteo è giunto a suonare in atteggiamento aggressivo anche nei miei confronti. In quel momento, nonostante Matteo mi provocasse dolore e lividi, rimasi calma e cercai di accogliere la sua aggressività, facendogli capire che gli strumenti che stava suonando non erano esclusivamente a sua disposizione, ma anche altri ragazzi ne facevano uso e, per questo motivo, non avrebbe dovuto danneggiarli. Matteo rispose sorridendo e balbettando:”Tanto li aggiusti con i tuoi soldi, a me non interessa, io sono ospite della comunità e a me non li fanno pagare”. La mia calma stava per esaurirsi, non solo per come si atteggiava e rispondeva ma anche perché capivo di non essere in grado di fermarlo. Le domande che subissavano la mia mente erano molteplici: “Come posso essere una brava terapista se provo rabbia nei confronti di un ragazzo con così tanti problemi?” “Perché non riesco a provare tenerezza per un ragazzo così disagiato?” Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 52 In riunione d’équipe la psicologa mi suggerii che se Matteo avesse continuato a spezzare gli strumenti potevo comunicarlo alla famiglia che avrebbe provveduto a risolvere la situazione. In cuor mio sapevo che gli stati di disagio vissuti da Matteo in famiglia erano, per lui, insostenibili. Decisi di gestire la situazione a modo mio, “lasciandomi guidare dal mio istinto”. Nella seduta successiva Matteo si presentò con il telefonino acceso e si mise a parlare con una ragazza. Lo richiamai e successivamente Matteo si accomodò sulla sedia, iniziando a suonare ossessivamente tutto ciò che trovava nella stanza. Ero arrabbiata, stanca e demoralizzata, sentivo che in qualche modo dovevo esprimere, paradossalmente, i miei sentimenti e, quasi senza rendermene conto, iniziai ad imitarlo, coprendo i suoi effetti acustici, colpendo ripetutamente un bongo di legno. Matteo iniziò a calmarsi, quasi spaventato dalla mia veemenza, si ritrasse e ridusse l’intensità della sua produzione di sonora. Cosciente di quello che stava accadendo, iniziai anch’io a diminuire l’intensità d’esecuzione, variando anche l’agogica, ora decisamente più lenta. Così, gradualmente iniziammo a suonare insieme, guardandoci negli occhi. Al termine dell’interazione sonoro – musicale chiesi a Matteo di chiudere gli occhi e, contemporaneamente, gli proposi l’ascolto di una musica di Vangelis: “Main theme from “Missing” per rilassarlo e concludere così la seduta. In quel mentre Matteo si fermò; mi guardò e si mise a ridere con una risata quasi isterica. Ad un tratto diventò rosso e con un filo di voce pronunciò una parola che alle mie orecchie risuonò come un ringraziamento. Durante gli incontri successivi Matteo era più tranquillo; rispettava i tempi d’esecuzione strumentale. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 53 A termine di ogni incontro proponevo sempre l’ascolto di qualche brano “rilassante”, per placare la sua energia così “scalpitante” (Vangelis: Main theme from “Missing”; Ennio Morricone “The legend of the Pianist;, Carla Bruni “Quelqu'un m'a dit”; Enya “The memory of trees”). Ora riusciamo ad avere un’interazione musicale condivisibile che presenta ancora una marcata aggressività ma, in qualche modo, riusciamo a rielaborala. Matteo mi ha insegnato a liberarmi da tutti quegli gli schemi mentali che generalmente, in quanto normodotati, utilizziamo nelle relazioni altrui, dove se ci sentiamo provocati e attaccati, tendiamo a creare uno scudo per salvaguardarci da quello che ci rigetta l’altro. Matteo aveva bisogno solo di qualcuno che fosse in grado di accogliere il suo “rabbioso” dolore. Un dolore suonato e risuonato in me e, finalmente, compreso placato. Solo allora abbiamo potuto interagire musicalmente, stabilendo così una relazione molto delicata e coinvolgente, dal momento che è sempre, prima di tutto, una relazione tra due universi emozionali. Ho imparato che Matteo, è un “sensibilissimo radar” delle emozioni, degli stati d’animo, molto bravo nel leggere con chiarezza dentro l’altro da sé. Matteo è in grado di cogliere ogni mia reazione emotiva, leggendo il “linguaggio del corpo”, cogliendo le variazioni di tonalità e d’intensità della voce. Matteo cercava disperatamente di agganciarmi e provocarmi al fine che io potessi ascoltare accogliere il suo malessere conflittuale. Comprendere e superare un conflitto, spesso, permette di rinnovare e migliorare una relazione. Il conflitto ci interpella sulla capacità che abbiamo di relazionarci con gli altri e ci svela insieme l’autenticità o la falsità, la profondità o la superficialità del rapporto con noi stessi. Crescere nella competenza relazionale ed emotiva significa potenziare la nostra capacità di modulare, di sviluppare tale rapporto in vista del nostro e dell’altrui benessere. Relazioni musicali con… Emma Emma era una donna di 41 anni. La cartella clinica riportava: “Cerebropatia di probabile origine dismetabolica”. Emma parlava e si vestiva come una bimba, adorava i cartoni animati e, ogni piccolo o grande oggetto, che in qualche modo riporti disegni o frasi di cartoni animati, doveva essere suo. Proveniva da una famiglia difficile. Si riscontravano problemi con la madre che trascurava l’igiene della figlia. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 54 Questo fatto, a volte, allontanava i compagni per l’odoraccio che Emma emanava. Emma aveva anche un fratello disabile, ricoverato in un altro istituto. La psicologa mi rese noto che, probabilmente, Emma ha vissuto in famiglia violenze sessuali. Durante l’osservazione non avevo colto particolari problematiche, e nonostante l’aspetto e il linguaggio infantile, mi incuriosii subito il suo passatempo preferito: leggere riviste di enigmistica e risolvere i cruciverba. All’apparenza sembrava una ragazza tranquilla, che, molto diligentemente, ascoltava le istruzioni che arrivavano dagli educatori. Con tutte queste premesse, la accolsi nell’habitat musicoterapico. Nonostante l’organizzazione accogliente dell’ambiente musicoterapico, Emma mostrò una tensione emotiva. Iniziò da subito a girare intorno allo spazio sonoro-relazionale in maniera ossessiva: raccoglieva qualche strumento da terra e poi iniziava, strimpellandolo, a ruotare attorno alla stanza. Io rimanevo seduta sulla sedia, seguendola con lo sguardo e cercando di suonare qualcosa con lei ma i miei sforzi sembravano vani. Inoltre le sedute erano caratterizzate da una pressante richiesta, da parte di Emma, di ascoltare musiche poiché dimostrava di non sopportare il silenzio o comunque, il solo suono prodotto dagli strumenti musicali presenti non le era sufficiente. Se tardavo ad accendere il registratore Emma mi chiedeva: “Dov’è la musica?” e poi ancora: “La radio è rotta?”. Gli stati emotivi che provavo erano molteplici, mi sentivo inadeguata e non sapevo cosa fare. “Se il tempo della seduta era caratterizzato dalla presenza di musica emessa continuamente, con Emma che suonava, estraniandosi, come potevo gestire la terapia?”. Mi ritrovavo con una ragazza che non solo non rimaneva seduta, ma che non volgeva neanche lo sguardo nella mia direzione. Riflettei: “Se Emma voleva musica come “sottofondo rassicurante”, potevo creare una cassetta a tempo.” Preparai una musicassetta al cui interno, le tracce sonore erano intervallate da uno spazio di silenzio, della durata di circa un minuto. Emma dopo un iniziale rifiuto, si adattò e iniziò a suonare anche durante i silenzi ‘emessi’ dalla cassetta. Nonostante questo però, Emma continuava a relazionarsi con una grossa quantità di strumentini musicali quasi a sottolineare la difficoltà di trovare il giusto mediatore attraverso il quale “raccontarsi” e rapportarsi con me. Per quasi sei mesi proposi all’ascolto sempre la stessa cassetta “spaziotempo”. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 55 Le musiche da me scelte, che avrebbero portato ad alcuni miglioramenti, erano racchiuse nel lato a ed erano: Piove (Jovanotti); Tshiribim (Crescere con il canto 2. ,pag. 74, 75.); Il cielo è sempre più blu (Rino Gaetano); Gli uccelli volano (Franco Battiato); Cleptomania (Sugar Free); I bambini fanno Oh (Povia); Che Idea (Flaminio Maphia). In principio pareva che Emma non provasse interesse per le musiche che avevo deciso di proporre all’ascolto, ma poco alla volta iniziò a sedersi sulla sedia di fronte a me e a suonare canticchiando. Un giorno Emma mi disse che la sua musica preferita era: “Gli uccelli volano” di Franco Battiato, così cercavo di proporla all’ascolto. Iniziò a prendere confidenza con la stanza e con me. Quando aveva il tamburo in mano lo avvicinava agli occhi e cercava di guardarmi attraverso la membrana così da stabilire, seppur in modo passeggero, un contatto visivo. Mi sentivo adeguata al compito, poiché ero riuscita a fare sedere Emma sulla sedia di fronte alla mia e perché ora Emma stava cercando di relazionarsi. Mi sentivo sulla strada giusta, tuttavia non era abbastanza. In qualche modo Emma stava cercando un contatto, ma era discontinuo e capitava ancora che si mettesse a girare attorno allo spazio sonororelazionale. Il passo successivo arrivò verso la fine del secondo ciclo di sedute. Avevo acceso la cassetta Emma stava cercando di relazionarsi con me, guardandomi attraverso il tamburo quando, all’improvviso, sulle note della canzone “Cleptomania” abbassò lo strumento; mi guardò dritta negli occhi e ad alta voce ripeté alcune frasi della canzone, suscitando in me un grande interesse “relazionale”. “Cleptomania” Sono affetto da un morbo incurabile il mio difetto è un istinto incontrollabile se ti vedo devo averti fra le mie mani Liquidato da ogni dottore "no rimedio" queste le parole ma la mia cura potresti essere tu prima o dopo i pasti non importa due tre volte al giorno si mi bastano per sperare aiutami a guarire da questa mia malattia Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 affetto da una strana forma di cleptomania voglio averti mia solamente mia 56 Ora che non ho più via d'uscita ora che ogni porta è stata chiusa apri almeno le tue gambe verso me prima o dopo i pasti non importa due tre volte al giorno si mi bastano per volare aiutami a guarire da questa mia malattia affetto da una strana forma di cleptomania voglio averti mia solamente mia già sto meglio se ti tengo fra le mie mani sto guarendo se ti tengo tra queste mani aiutami a guarire da questa mia malattia affetto da una strana forma di cleptomania voglio averti mia solamente mia Rimasi molto sorpresa, finalmente il contatto c’era stato, mi aveva guardato negli occhi e aveva chiesto aiuto. Mi sentii al settimo cielo, ma subito mi porsi alcune domande:” E ora che faccio?” “Si aspetta il mio aiuto, cosa posso fare di più per aiutarla, per non deludere la fiducia che ha riposto in me?” Continuai ad insistere sulla cassetta tempo-spazio, cambiando alcune canzoni per variare il repertorio. Trovammo nella musica per bambini Tshiribim[4]: un legame di costruzione per una relazione positiva. Mediante questo brano Emma riusciva a guardarmi e a ballare sulle note ascoltate. Emma, a livello relazionale, è migliorata, tuttavia permane ancora la pressante richiesta di musica come sottofondo e, per quanto ora ci sia il contatto visivo, esso è discontinuo. Al di là delle definizioni scientifiche delle parole e degli scritti sull’argomento, relazione e comunicazione sono gli elementi principali nella nostra vita quotidiana. La relazione è un legame, un vincolo tra due o più persone. La relazione è qualcosa che in se stessa possiede finalità migliorative dei rapporti. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 57 Con Emma e Matteo, ho avuto due differenti tipi di relazione, in genere proiettiamo sugli altri ciò che non vediamo di noi stessi, o ciò che rappresenta il nostro punto debole. È stato difficile, entrare in relazione con due persone con difficoltà e, contemporaneamente, cercare di leggere dentro se stessi per riuscire a capire l’altro e poterlo aiutare. “Non camminare davanti a me, potrei non seguirti; non camminare dietro di me, non saprei dove condurti; cammina al mio fianco e saremo sempre amici”[5] Questa citazione, credo, sia un’altra espressione che ben definisce un modo di relazionarsi, la parità. Non solo, quindi, il riconoscimento e il rispetto dell’altro, ma anche della sua natura, della sua unicità, della sua libertà. Una cosa che ho imparato è che rapportarsi, significa essere in grado di accettare quella dose di incertezza associata all’evolversi, lasciare che le cose scorrano, vivere nel presente quel che esso è in grado di offrire, mettendo da parte la paura che l’insicurezza, l’impossibilità di tenere tutto sotto controllo comportano. Sapersi relazionare adeguatamente implica la capacità di stare soli con se stessi. Molti, come Emma e Matteo, per sfuggire a se stessi hanno bisogno dell’altro. Il bisogno, al contrario, del desiderio, provoca dipendenza, che induce un vissuto di insicurezza, nei confronti di se stessi, e di dipendenza nei riguardi degli altri. La cosa più importante di tutte però è riuscire a comunicare con e attraverso la musica, riuscire a capire attraverso i suoni prodotti, cosa l’altro ci vuole comunicare, e agire di conseguenza, stando attenti a non prevaricare, con le proprie necessità, l’altro. Attraverso la musica può nascere di tutto, è un “adesivo relazionale”, che aiuta a stringere e sviluppare rapporti. Quando la parola è di troppo, la musica diventa protagonista! Astrid Converso [email protected] [1] Paul Watzlawick “Pragmatica della Comunicazione Umana, studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi”, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1971. [2] Nomi di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [3] Gaita D. “Il pensiero del cuore”, Milano, Bompiani, 1991. [4] M. Spaccazocchi, Crescere con il canto 2. Progetti Sonori. Pesaro Urbino. 2004, pag. 74, 75. “Il brano è un canto Yiddish, più precisamente un canto ebraico appartenente al movimento mistico Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 popolare del Chassidismo che ebbe una vasta diffusione nel 1700 in Polonia e Ucraina per poi scomparire quasi del tutto agli inizi del secolo XIX.” [5] Anonimo cinese. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Converso Astrid Condividi post inCondividi0 Repost 0 58 0 commento Bonardi Giangiuseppe, L’umano e lo scientifico in musicoterapia forse… possono coabitare in un perfetto equilibrio dinamico Pubblicato il 14 marzo 2010 da Musicoterapie in... ascolto http://musicoterapie.overblog.com/ Il contributo in merito allo scientifico e all’umano in musicoterapia[1] mi ha sollecitato una profonda riflessione sul mio modo di farla. Dopo innumerevoli anni di prassi musicoterapica con adulti, adolescenti e bimbi, perlopiù compromessi dal punto di vista relazionale, ripenso con piacere al percorso intrapreso. Vent’anni fa, in Italia, il termine musicoterapia evocava in noi, speranzosi neofiti, innumerevoli quesiti cui non trovavamo risposte. Assisi era il fulcro in cui le idee di alcuni pensatori confluivano in un corso di studi che si prefiggeva di dare un volto disciplinare a questa prassi. Rammento con piacere le interminabili discussioni, anche accese, che facevano da sottofondo alle torride e scanzonate serate assisane di noi studenti. Così di giorno ascoltavo le lezioni dei docenti, ora colleghi, nel pomeriggio frequentavo i laboratori e la sera…, tra frizzi e lazzi, ci chiedevamo, rumorosamente, che cosa fosse la musicoterapia. Non ci ponevamo il problema se la musicoterapia fosse scientifica o umana perché in realtà nessuno sapeva che cosa fosse. Così arrivai alla conclusione che per comprendere la musicoterapia dovevo semplicemente… farla. Iniziò in quel modo la mia avventura musicoterapica che mi dischiuse le porte della disabilità gravissima e grave. Conobbi un mondo insolito, forse parallelo, dove le poche teorie psicologiche che avevo faticosamente acquisito andavano in frantumi perché, lì, non funzionavano e, le acquisizioni musicali, così duramente apprese in anni di conservatorio, vacillavano allorché mi trovavo ad ascoltare una musica fatta non con regole tonali ma con altre che non conoscevo. Ero contento perché finalmente mi trovavo in una realtà in cui le certezze si infrangevano, ma, ben presto, mi resi conto che quelle persone, gravemente compromesse, ponevano quotidianamente domande alle quali dovevo dare almeno una risposta. Come? In che modo? Ovviamente elaborando un nuovo percorso. Così dalla felicità iniziale passai ben presto alla preoccupazione poiché ero ben consapevole che nessuno aveva le idee chiare al riguardo, tantomeno io. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 59 Spinto dall’empirismo titubante, mi lanciai in quell’avventura che generò la mia prassi musicoterapica, ora pubblicata[2]. Sì, la musicoterapia che faccio è una prassi che utilizza la musica[3], che appartiene alla persona, per riattivare il processo relazionale ridotto o interrotto. Nella definizione riportata dichiaro apertamente la dimensione umana del mio operare allorquando sottolineo che non interagisco con pazienti o utenti ma con persone che hanno una loro irrinunciabile dimensione sonoro-musicale. Per relazionarmi con loro debbo quindi conoscere la loro essenza acustica al fine di trovare quegli aspetti musicali che permettano a entrambe di poter interagire. Rivolta a persone che hanno una diagnosi patologica ben precisa di ritardo mentale gravissimo o grave, la realizzazione della prassi musicoterapica promana, sostanzialmente, dal citato orientamento teorico di riferimento, dal quale derivano le fasi di realizzazione della stessa: il colloquio (conoscenza della dimensione sonoro-musicale della persona); l’osservazione ambientale (conoscenza della dimensione sonoromusicale abitualmente vissuta dalla persona); l’osservazione musicoterapica (conoscenza dei problemi: temporale, spaziale, relazionale eventualmente vissuti dalla persona e individuazione dei mezzi musicali atti ad affrontarli); il trattamento individuale (intervento specifico sul/i problema/i rilevato/i in osservazione musicoterapica unitamente ai mezzi musicali individuati ritenuti idonei ad affrontare il problema/i); il trattamento di gruppo (intervento specifico volto a migliorare le capacità relazionali nel contesto del piccolo gruppo mediante il medium musicale). Lentamente, articolando la mia prassi di lavoro in fasi, ho elaborato un metodo corredato da strumenti (schede di rilevazione, ecc.) creati ad hoc. Pertanto a ben guardare, la mia prassi musicoterapica assume ora una dimensione scientifica poiché è formata dall’unione di un metodo e degli strumenti per raggiungere il fine prefissato (la relazione) e, per questa ragione, la posso considerare, a tutti gli effetti, una metodica[4]. È una metodica, non una metodologia, poiché è un percorso specifico elaborato appositamente per le persone che hanno quel tipo di diagnosi patologica. Riflettendo ulteriormente mi sento di affermare che, nella mia prassi, entrambe le dimensioni, l’umana e la scientifica, coabitano. Umana perché l’espressività e la relazione musicale[5] sono dimensioni essenzialmente connaturate alle persone che le vivono; scientifica perché il modo di procedere non è casuale ma ben delineato in fasi consequenziali documentate in schede di rilevazione quantitative e qualitative che testimoniano l’evoluzione storica del processo terapeutico intrapreso. In questa prospettiva l’umano e lo scientifico convivono perché la musicoterapia è una realtà dinamica complessa, ossia un ritmo che scaturisce dal dualismo dei fenomeni Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 60 contrastanti che la caratterizzano: la dimensione dell’incontro (l’umano) e la sua rappresentazione oggettivabile (lo scientifico). La prassi musicoterapica è, e vive, solamente se la dimensione umana (realmente vissuta) e quella scientifica (testimonianza oggettiva dell’incontro) rimangono in equilibrio dinamico stabilendo una vitale osmosi. È chiaro che se uno dei fenomeni soverchia l’altro, la realtà musicoterapica cessa di essere tale e diventa un’altra cosa ma non è più musicoterapia: può diventare attività musicale che fa bene o si trasforma in una perfetta ricerca scientifica fine a se stessa. Il dualismo apparente (soggettivo/oggettivo) lo ritroviamo non solo nel termine musicoterapia ma anche nei parametri fondamentali che la caratterizzano: il tempo, lo spazio, la relazione che dischiudono la dimensione emotiva che le appartiene. Possiamo oggettivare il tempo, lo spazio e la relazione ma non possiamo nasconderci il fatto che queste dimensioni sono da noi, essenzialmente, vissute[6], dischiudendo quindi la soggettività dell’incontro così intriso di sensazioni, emozioni, sentimenti, tonalità emotive, affetti categoriali e vitali, ecc. che volenti o nolenti dobbiamo, per poterla fare, ascoltare[7]. Il mio argomentare mi porta inevitabilmente a pensare che debba accettare la presenza simultanea e dinamica delle due dimensioni, sapendo bene che qualcosa è scientificamente oggettivabile ma qualcos’altro non lo è, però, stranamente, la musicoterapia funziona, anche se non utilizzo modelli teorici di riferimento ufficialmente riconosciuti, mentre rimango sempre alla ricerca di contributi disciplinari altri (il pensiero schneideriano[8] in particolare), nella convinzione che mi siano d’aiuto a ricercare le chiavi di lettura dei fenomeni complessi che vivo ogni giorno in mancanza di una conoscenza musicoterapica specifica che me li chiarisca meglio. Giangiuseppe Bonardi [email protected] [1] Postacchini P. L., Spaccazocchi M., (2010), MUSICOTERAPIA: Scientifica o Umana?, http://musicoterapie.over-blog.com/article-pier-luigipostacchini-maurizio-spaccazocchi-musicoterapia-scientifica-o-umana45160123.html [2] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). [3] Bonardi G., (2008), Le pratiche che utilizzano la musica: analogie e differenze, http://musicoterapie.over-blog.com/article-22299545.html [4] “Gli specifici modi di procedere e i relativi strumenti di indagine vengono definiti metodiche.”, in: Porzionato G., (1993), Lineamenti di metodologia della ricerca scientifica in ambito musicale, Quaderni della SIEM n 4, Ricordi, Milano, Pag. 82. Bonardi G., (2009), Modelli o metodiche musicoterapiche? http://musicoterapie.over-blog.com/article-36638712.html Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 61 [5] Bonardi G., (2009), La musica è tempo-spazio vissuto e oggettivo, http://musicoterapie.over-blog.com/article-la-musica-e-tempo-spaziovissuto-e-oggettivo-di-giangiuseppe-bonardi-39135897.html [6] Bonardi G., (2009), La prassi musicoterapica è essenzialmente tempospazio vissuto, http://musicoterapie.over-blog.com/article-bonardigiangiuseppe-la-prassi-musicoterapica-e-essenzialmente-tempo-spaziovissuto-40367964.html [7] Bonardi G., (2009), Tempo, spazio, vissuti, http://musicoterapie.overblog.com/article-tempo-spazio-vissuti-di-giangiuseppe-bonardi38872899.html [8]Bonardi G., (2008), Marius Schneider e la... Musicoterapia!, http://musicoterapie.over-blog.com/article-24493424.html Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe Condividi post inCondividi0 Repost 0 3 commenti Delogu Chiara, Puzze ed emozioni Pubblicato il 10 marzo 2010 “Le emozioni sono in rapporto con gli organi di evacuazione, perché le emozioni sono rifiuti.”. Aristotele[1] Michele[2] percuote lievemente la conga. E inizia il nostro gioco di sguardi. Mi provoca, vuole vedere dove voglio arrivare. E poi d’improvviso un peto. Sonoro. Una risata maliziosa e negli occhi un guizzo di magia. Michele c’è. È lì mi sta regalando un pezzo aereo di sé. Quel suo essere così minuto, fragile, magro e ossuto, parla di sé, quel bimbo è capace di decidere come, quando e perché. Mi destabilizza e dentro di me, quel suono rompe il silenzio che ci divide. Di fronte a lui mi sento piccola e uguale. Vibriamo per simpatia come due viole d’amore, perché ci riconosciamo, perché riconosco l’umano e l’ironico che c’è in lui. Non siamo tanto dissimili. Mi sta comunicando simpatia, (sun-patere), patire con, partecipo con lui di lui e di un noi. Le sue puzze, sono i suoi suoni sonori e triviali. Leggo il grottesco che mi abita e partecipo con tutta la mia umanità, con tutto il mio essere materia. Ad oggi sono divertita ripensando a quanto mi accade. Divertita perché il messaggio è Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 62 fuori dagli schemi, clownesco e irriverente. Gli occhi che brillano di furbizia e un sorriso sdentato mi accompagnano. Quanto è meraviglioso il volto dell’intelligenza e il volto del cuore. Senza regole, senza schemi, senza costrizioni. “Fra tutte le cose generate da questo mondo, non ve n’è alcuna che sia di per sé impura: ditevi soltanto che il vostro cuore dispone della libertà di accettare o respingere tutte le manifestazioni della vita a seconda delle sue capacità di sublimazione. Persino gli escrementi generati da ogni cibo denso non meritano disprezzo alcuno, non appena se ne comprende la funzione: essi non sono sporcizia ma trasformazione, non sono decadenza ma piuttosto un potenziale di rigenerazione. Essi sono il supporto di ciò che consente alla natura fisica di perpetuarsi e di trovare, in seguito, un certo equilibrio. Lo stato di marcescenza e di decomposizione è una fase necessaria nella meravigliosa avventura della Vita che viene offerta, ma non appena la prossimità fisica di questo evento sfiora la vostra vista, vi sentite in imbarazzo. Se la materia in decomposizione, di per se stessa, non è affatto vile, essa non va comunque mischiata da vicino a ciò che vive alla luce del sole; vedete infatti che una pianta muore se le sue radici conoscono un contatto diretto con il letame. Il giusto atteggiamento è quello della corda, che da sempre vi viene tesa fra due cime.”[3] In questo senso vivo e ascolto le puzze-suoni di Michele. Come qualcosa che attraversa, che lascia, fuoriesce, perché fa parte di un’emozione. Esse stesse sono emozioni. Dogana[4] sostiene che una teoria proposta per chiarire l’origine del linguaggio è quella mimico-gestuale. Secondo tale teoria esisterebbe un rapporto naturale tra i suoni emessi e lo stato organistico attivato da particolari vissuti emotivi: il suono sarebbe una specie di traduzione vocale del gesto e le sue qualità acustiche sarebbero in qualche modo isomorfe con le qualità mimiche in cui si esprime l’azione. Osservo Michele e scopro che è sempre in tensione. L’esercizio mentale che mi impongo è quello di immedesimarmi in lui per cercare di capirlo meglio e scopro che entrano in gioco le sinestesie. Il corpo percepisce i suoni, i suoni avvengono per parlare di una tensione, del coraggio di dire in maniera differente. L’odio e l’aggressività, caratterizzate da una mimica contratta, tesa, spasmodica, si traducono in espressioni verbali in cui predominano i suoni “duri”, quali le occlusive sorde e le fricative. Secondo Platone, nel Cratilo, i fonemi S, PS, F, Z equivalgono a aspetti specifici dei referenti, ciò vale a dire, che i fonemi in questione equivalgono a sensazioni di soffio e moto, mentre per Court de Gebelin, le sibilanti S/Z richiamano a fischi e sibili. Grammont coniuga le due riflessioni e definisce una fonetica impressiva caratterizzata da rumori di soffio, sibilo e ronzio e una fonetica espressiva, caratterizzata da velocità e levigatezza. Se per i Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 63 cratiliani il fonosimbolismo sarebbe un fenomeno primario, autoctono, insito per natura nelle caratteristiche della sostanza fonica, quindi universale e necessario, per Saussure il fonosimbolismo è un fenomeno secondario, dipendente dal senso. È il significato a creare i valori espressivi e così ne deriva la teoria secondo cui uno stesso suono può assumere simbolismi differenti a seconda del contesto semantico in cui è inserito. Dogana, inoltre, propone una classificazione dei fatti fonosimbolici: prelinguistico o fonetico , a cui attribuiamo valori espressivi a singoli fonemi o gruppi di fonemi non ancora strutturati in un significante linguistico; linguistico o fonologico, che riguarda le onomatopee e le parole espressive; poetico o fonoestetico, dove i fenomeni espressivi sono spesso creati autonomamente dal poeta, mediante l’orchestrazione e il gioco delle allitterazioni. Secondo questa lettura Michele privilegia fatti fonosimbolici prelinguistici, sottolineando con suoni duri e peti le tensioni emotive. La prospettiva gestaltica sostiene che i caratteri espressivi sono fin dall’inizio e autoctonamente presenti nelle configurazioni percettive al pari delle qualità primarie e secondarie. I fatti espressivi vengono dunque percepiti come qualsiasi altro dato percettivo e lo scambio tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo, che in essi viene alla luce e da cui traggono il significato, si fonda non su una estrinseca ed arbitraria aggiunta di senso, ma su un intimo e strutturale isomorfismo tra i due livelli dell’esperienza. Le corrispondenze sinestesiche derivano quindi da analogie strutturali o isomorfiche, che vengono colte in forma immediata. Ciò ci porta a definire le differenti forme di espressività fonetica: simbolismo ecoico, il suono richiama a qualche aspetto sonoro del designato, come le onomatopee; simbolismo sinestesico, quando il suono evoca caratteristiche dei designati pertinenti ad altre modalità sensoriali; simbolismo fisionomico, quando il suono evoca caratteristiche emotive e psicologiche. È proprio nel simbolismo fisionomico, che secondo me, Michele dimostra tutta la sua voglia di esprimere il non verbale e forse anche il verbale. Le qualità di un suono hanno diverse polarità quali acuto grave, forte debole, dolce aspro, vivo morto, leggero pesante, pungente soffice, sordo risonante… secondo tale prospettiva, le qualità acustiche dei fonemi possiedono in se stesse certe qualità espressive, e se tali qualità venissero applicate anche alle puzze di Michele, cosa ne verrebbe fuori? Su questo simbolismo primario si innestano altre traduzioni sinestesiche: piccolo è isomorfo a leggero, sottile… E a livello fisionomico ciò che è piccolo, leggero e luminoso è percepito come delicato, grazioso, gentile, fine. “La reazione emozionale corporea resta in ogni caso una traccia ineludibile inscritta nel vissuto corporeo del paziente e comunque comunicata nella relazione empatica.” [5] Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 64 Secondo quanto proposto da vari autori il rapporto tra struttura musicale ed emozioni evocate si può classificare secondo alcuni parametri musicali. A noi interessano le espressioni di rabbia, che vedono protagonisti questi parametri musicali: metro rapido; livello sonoro alto; contrasti relativamente aspri tra note lunghe e corte; assenza di rallentando finale; articolazione per lo più non legata; attacchi molto secchi; timbro brusco; note distorte. Michele nelle sue espressioni tipicamente musicali dimostra di far parte di questa categoria. Le sue puzze assumono caratteristiche differenti a seconda delle giornate. Se per la produzione musicale, il leit motiv è la rabbia, manifestata attraverso i parametri musicali sopraccitati, per quanto riguarda i peti, questi assumono caratteristiche diverse di volta in volta: possono essere fragorosi se iniziali e spontanei; silenziosi quando ci guardiamo negli occhi; improvvisi per farmi uno scherzo; sibilanti per raccontare l’ansia, faticosi se indotti volontariamente. E l’intensità del forte e del debole varia in prossimità del desiderio di comunicare con me. È il processo dinamico delle emozioni, che si coniuga in modi diversi ogni volta. Chiara Delogu [email protected] [1] Aristotele, Sull’anima, Adelphi, Milano 1992. [2] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [3] Anne e Daniel Meurois-Givaudan, L’incontro con lui, Amrita, p. 98. [4] Dogana F., Suono e senso, Franco Angeli, Milano, 1998. [5] Postacchini P. L., Postfazione a Ginger Clarkson, “Ho sognato di essere normale”, Cittadella Editrice, Assisi 2006, p. 166. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Delogu Chiara Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Musica più classe 3 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Pubblicato il 4 marzo 2010 Con tag Letture e ascolti consigliati Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Musica più classe 5 Pubblicato il 4 marzo 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 65 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Con tag Letture e ascolti consigliati Condividi post inCondividi0 Repost 0 66 0 commento Musica più classe 4 Pubblicato il 4 marzo 2010 Condividi post Aprile Neri Simona, Ascoltando la musica ‘dolce e amara’ delle mie tonalità emotive Pubblicato il 26 aprile 2010 “ Il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo […] costringe […] a discendere nelle nostre ultime profondità […]. Dubito che un tal dolore “renda migliori”; eppure so che esso ci scava in profondo […]. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 67 Non vorrei alla fine che passasse sotto silenzio la cosa più importante: da tali abissi, da tale grave malanno […] si torna indietro rinati, con la pelle cambiata […] con i sensi più giocondi con una seconda più pericolosa innocenza nella gioia, più fanciulli e al tempo stesso cento volte più raffinati di quanto mai per l’innanzi ci fosse accaduto. [1](F. NIETZSCHE, la gaia scienza) Torno a casa alla sera dal lavoro, tutto il giorno la musica di altri ha volteggiato e suonato intorno a me, dentro di me. Mi sento impoverita, svuotata, sfinita; mi sento arricchita, felice… sfinita. Le emozioni contrastano in un vortice senza fine. Entro in macchina e accendo la mia musica ma poi la spengo subito, voglio gustare l’odore, il sapore, il suono del silenzio, voglio sentire risuonare dentro me i ricordi, le voci, i visi di chi oggi è passato e dar spazio alle domande che lentamente dal cuore salgono su fino alla ragione. Sento che ho dato tanto ma non basta, o forse basta perché non posso dare tutto… nessuno ci chiede di dare tutto e ogni cosa ci chiede di assaporarne il limite e sapere “che il limite è fondamentale perché la vita degli altri non è nelle nostre mani soltanto, non siamo artefici del loro destino, non è mai del tutto nelle nostre mani la soluzione di una situazione difficile. Ma occorre fare attenzione a non scambiare questa accettazione del limite con la rassegnazione o il fatalismo. Al contrario è corretta l’accettazione del limite solo quando si accompagna all’assunzione della responsabilità di fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità.”[2] (V. Iori 2009). È così che questa esperienza da terapista comincia a farsi largo nella mia vita e le sue sfumature prendono i colori e i suoni di tutte le tonalità emotive. Sto davanti ai volti di chi ogni giorno viene da me e da me si aspetta qualcosa… cosa? Tutto chiede, tutto domanda e so che non posso essere indifferente a questo. “Lo sguardo del cuore è irrinunciabile nelle esperienze d’aiuto, perché solo dalla risonanza emotiva scaturisce la responsabilità del “farsi prossimi” e del prendersi cura.”[3] (V. Iori 2009). Osservo la mia crescita, osservo il mio cuore e cerco di dare una definizione a quanto mi accade e mi accorgo che per vedere è necessario togliere il velo dei tanti pregiudizi che mi circondano e Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 68 degli stereotipi che offuscano il senso e il significato delle cose. Lo sguardo di chi incontro ogni giorno e ogni giorno chiede aiuto da me e dal mio lavoro di musicoterapista mi provoca non mi lascia indifferente verso ciò che appare o verso ciò che viene alla luce, non mi lascia indifferente di fronte al FENOMENO (dal greco phainomenon) dandomi la possibilità di guardare alla realtà per come mi appare togliendo tutto ciò che è per scontato, vano, inutile lasciando che il sentire non sia intrappolato dai pregiudizi. “Vedere è allora accorgersi dell’altro la cui presenza (da sein) non è insignificante, ma costantemente ci interpella a corrispondere e condividere le responsabilità della relazione. Così si presentano infatti le esperienze professionali dell’aver cura: sempre nuove e sempre da inventare “(Iori 2009) [4]. Non possiamo essere indifferenti di fronte al fatto che l’essere umano vive costantemente in qualche stato emotivo, ma non sempre ne è consapevole, cerchiamo di dominare le tonalità emotive ma non ci riusciamo e il come rimane misterioso, anche quando cerchiamo di dominarle con la ragione. Ripenso al volto di Franca[5], non mi chiede altro che ridare dignità alle sue emozioni e la sua modalità per farlo passa attraverso il canto, attraverso la sua poesia, mi chiede di ascoltarla, mi chiede di accoglierla, come lei cita in una delle sue innumerevoli poesie… ASCOLTAMI Ti parlo e tu mi guardi Ti sento e tu mi parli Io ascolto nel tuo sorriso Una luce dentro me sussurra Ascoltami perché fai parte di me, perché ogni volta che ti penso è come se vivessi dentro un sogno. Ascoltami o musa, perché del tuo fardello pesante, io possa diventare cieca. Ti vedo e tu mi ascolti, ti parlo e non rispondi io ascolto nel tuo sorriso una luce dentro me sussurra ascoltami perché fai parte di me, perché ogni volta che ti penso è come se vivessi dentro un sogno. [6](Franca, poesie, edizione inedita) Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 69 Mi vengono in mente le parole di Borgna quando sottolinea che “non c’è cura se non si sa cogliere cosa ci sia in un volto, in uno sguardo, in una semplice stretta di mano, e infondo se non si sia capaci di sentire il destino dell’altro come il nostro proprio destino” (Borgna 2001) [7]. A volte mi sembra che sia Franca, e tutti gli altri ragazzi che curo, ad accogliere me e così l’esperienza dell’empatia diventa quotidianità ma ha il suo prezzo. Sono esposta alle emozioni che la quotidianità del mio lavoro impone: commozione, rabbia, frustrazione, gioia, tenerezza, insofferenza, disgusto e l’infinita gamma delle tonalità emotive. “Possiamo comprendere la risonanza del sentimento dell’altro in noi e condividere la sua umanità soltanto se abbiamo compreso la nostra umanità. Stare presso l’altro implica, quale condizione necessaria e in un certo qual modo inevitabile, imparare a stare presso di sé. (Iori 2009) [8]. Edith Stein afferma che “comprendere empaticamente significa “rivivere” (Nach-erleben) il vissuto dell’altro: lasciar risuonare in sé qualcosa che originariamente non è proprio ma altrui. L’empatia è un’esperienza “ non originaria” (in quanto il dolore o la gioia appartengono originariamente all’altro) che si può tuttavia conoscere dall’interno attraverso un processo di immedesimazione nella situazioni dell’altro (Stein 1998) [9]. L’ascolto empatico ci rinvia a noi stessi perché si tratta di una comprensione “dal di dentro” e, attraverso l’immedesimazione, rende comprensibili i vissuti degli altri solo grazie all’esperienza vissuta comune (Miterleben), alla partecipazione affettiva e non attraverso il pensare” (Jasper) [10]. Continuo il mio viaggio ripenso a quanto ho dato a quanto ho ricevuto; le emozioni dei miei assistiti risuonano in me, sento il bisogno di fermarmi per non essere travolta dal fluire delle cose, per cercare le risposte giuste, per esercitare una scelta per andare verso una consapevolezza emotiva indispensabile nel mio, nel nostro lavoro. Posso fare di più… ho fatto tutto quanto era nelle mie possibilità, ecco il dubbio, allora occorre riconoscersi poveri di certezze e tuttavia aperti al poter-essere, anche nel rischio del fallimento, “significa essere bisognosi di apprendere ed abitare anche il negativo, ad accettare e comprendere anche i lati oscuri della propria vita” (Rossi 2006) [11]. Anziché tacere le parole della vita emotiva come ostacolo alla professionalità, “è necessario coltivarle come “cuore” della relazione per “sentire” la prossimità dell’altro e rispettarne la dignità. Diventare cuori pensanti, secondo l’espressione di Etty Hillesum [12]. Il “cuore pensante” assume la responsabilità nei confronti dell’Altro che non può essere accolto con la ragione ma con l’etica. Attraverso la decisione e la scelta, ascolta l’appello che viene dall’altro per richiamarmi alla mia responsabilità” (Lévinas) [13]. Tutto risuona tutto parla, sono arrivata, spengo la macchina entro in casa cosciente che nulla passa inosservato e che il mio limite è anche la mia forza è Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 70 lo slancio vitale verso il futuro che ci “svela l’esistenza dell’avvenire, che gli dà un senso, che l’apre o lo crea davanti a noi” (E. Minkowski) [14]. Simona Neri [email protected] [1] Iori V., Il sapere dei sentimenti, Franco Angeli, Milano 2009, pag. 67. [2] Iori V., Op. cit, pag. 29. [3] Iori V., Op. cit, pag. 12. [4] Iori V., Op. cit, pag 9. [5] Nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy [6] Dalle poesie di Franca (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) poesia inedita. [7] Borgna E., L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano 2001, pag. 190. [8] Iori V., Op. cit, pag. 31. [9] Stein E., Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma 1998, pag. 89. [10] Iori V., Op. cit., pag. 32. [11] Rossi B. , Avere cura del cuore, Vita e Pensiero, Milano 2006, pag. 109. [12] Hillesum Etty, Diario 1941-43, Adelphi, Milano 2002. [13] Lévinas E., Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1980, pag. 218. [14]Minkowski E., Il tempo vissuto, Einaudi, Torino 1971, pag. 38. Con tag Neri Simona, Riflessioni... Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Delogu Chiara, Puzza, pazzo, pizza, t’ammazzo, ovvero le parole dell’amore. Pubblicato il 22 aprile 2010 È pacifico che tutte le passioni ricadono sotto il dominio della pazzia. Infatti il contrassegno per cui il pazzo si distingue dal savio è che l’uno si lascia governare dalle passioni, l’altro dalla ragione. Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia.[1] Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti. Quotidianamente abbiamo a che fare con le parole, ma ciò che vale per una lingua non necessariamente vale per un’altra. La linguistica, a tutt’oggi, non è riuscita a definire la nozione di parola una Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 71 volta per tutte. Così la nozione di parola fonologica, non coincide con quella morfologica o sintattica. Verrebbe da pensare che, anche nel caso di Michele, che continua a ripetere le stesse parole che presentano una similitudine fonetica, ci siano diversi gradi di nozione delle parole reiterate. Le parole sorgono primariamente per la designazione delle cose fisiche e concrete e solo successivamente sono portati a significare le cose della mente e dell’anima. Ed è qui che entra in gioco l’isomorfismo tra suono e senso: il significante può rivelarsi come una trasposizione fonosimbolica di certe configurazioni visive o motorie, che accompagnano un determinato contenuto emotivo. Per esempio Michele[2] dice “t’ammazzo”, espressione di odio e aggressività, in concomitanza con l’irrigidimento dell’intero organismo nell’atteggiamento che si predispone all’attacco. Le consonanti fricative e affricate riproducono i vari rumori sibilanti di fischio, sibilo, ronzio, nonché quelli aerei, che mi portano a riflettere sul desiderio di eliminare anche fisicamente, matericamente le parole. La componente sibilante, tipica dei suoni percepiti come penetranti e taglienti, nella cui produzione sono spesso implicate azioni molto veloci, assorbe la mia attenzione. Dumas[3] è uno dei pochi psicologi che ha trattato dell’espressione fonetica delle emozioni. Ha infatti esaminato quali mutamenti le varie emozioni provocano nella voce umana, mostrando come esse influiscano sul volume, sull’altezza, sull’allungamento o accorciamento dei suoni, sulla posizione degli accenti. Rifletto: Michele utilizza parole con toni acuto e grave, sono presenti rotture e percussioni, rimbombi e risonanze, vibrazioni e attriti, sibili e ronzii, di altezze, timbro e intensità diverse, con una predominanza di spigolosità, velocità e durezza. Forse Michele rimuove simbolicamente da sé, con le parole, i concetti di “t’ammazzo”, riferiti a se stesso in terza persona e a me, di “pazzo”, di “pizza” (suo cibo preferito) e di “puzza”. Forse che le puzze lo liberano dalla pazzia? Non è dato sapere. Ciò che è certo è che l’universo delle “Z” è una costellazione affascinante che cattura la mia attenzione e l’oralità di Michele. Ciò che dà piacere e/o fastidio non sono le cose ma le parole, le parole insite in queste. Come suggerì Zarathustra, ciò che rende le cose rigeneranti sono i nomi e i suoni loro conferiti. Basta una sola parola a trasformare il principe in un ranocchio. Non sono necessarie streghe. Il corpo ha una filosofia sua propria. Per il corpo la realtà non è esattamente ciò che noi in genere indichiamo con questo nome. Non è qualcosa di dato. È piuttosto il risultato di un’operazione alchemica, in cui alle parole si aggiunge una materia senza nome. Così si crea il suo mondo. Questo e solo questo è ciò che si dà al corpo da mangiare. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 72 Guimaraes Rosa[4] rivelò di avere grande dimestichezza con la saggezza del corpo dicendo che tutto è reale, perché tutto è inventato. E Norman O. Brown[5] sostiene che “siamo fatti di sogni…” e allora quello che vomitiamo, facciamo fuoriuscire dal nostro corpo non è una cosa, ma i brutti sogni, gli incubi evocati dalla parola stregata. Chiara Delogu [email protected] [1] Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia, Bur, Milano 2004. [2] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [3] Dumas, La vie affective, Presses Universitaires de France, Paris 1948. [4] Guimaraes Rosa, Grande sertao, Feltrinelli, Milano 1988. [5] Norman Brown, Love’s Body, Vintage Books, New York 1966. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Delogu Chiara Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Converso Astrid, Considerazioni conclusive dell’esperienza musicoterapica con Giorgia, Marcello, Anna, Emma, Matteo*. Pubblicato il 18 aprile 2010 L’esperienza vissuta mi ha consentito di poter riflettere in merito ad alcune tematiche particolari che caratterizzano qualsiasi azione musicoterapica, ossia vivere, ascoltare le emozioni, le relazioni sonoro-musicali, le attese e i silenzi. Il lavoro svolto in circa due anni non può sicuramente dirsi concluso, mi ha comunque indicato la strada da seguire. Credo che questo percorso, non dovrebbe mai finire in quanto il senso del mio lavoro è quello di cercare di migliorare e di aiutare (terapia) le persone disabili, bisognose di cure per “l’anima”. Un aspetto molto interessante del mio lavoro è stata la necessità di dovermi confrontare con una realtà difficile e non alla portata di tutti. In questa situazione l’intervento musicoterapico doveva coordinarsi con altre persone con professionalità diverse cercando di collaborare al meglio (équipe), imparando anche nel concreto, a lavorare per progetti e obiettivi. Non da ultimo ho potuto constatare che tutti i cambiamenti, per poter essere attuati, e non rimanere dei bei progetti teorici, necessitano di un forte coinvolgimento emotivo: non si può imporre a nessuno il cambiamento: deve essere il singolo a crederci. Il cambiamento deve arrivare, innanzitutto, da noi. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 73 Se noi stessi, come terapisti non ci crediamo, e ciò implica intanto un forte coinvolgimento, è impossibile riuscire ad attuarlo. Sono stati due anni particolarmente difficili, dove però sono riuscita a comprendermi e a comprendere meglio gli altri. La scoperta paradossale è avvenuta al termine dell’esperienza quando mi sono resa conto che sono stati “i miei ragazzi” ad avermi insegnato qualcosa e, forse, qualcosa ho insegnato io a loro. Nello specifico con: Giorgia ho imparato a riconoscere e a gestire le mie emozioni per poi poter supportare, gestire e aiutare quelle altrui; Marcello ho imparato ad aspettare, ad avere pazienza, a prendere coscienza delle tempistiche del prossimo, e a non pretendere niente subito, a trasmetter sicurezza in modo da far sentire l’altro a proprio agio; Anna ho appreso il vero significato del silenzio, e mi ha fornito gli strumenti per saperlo usare e saperne trarre mezzi di comunicazione adeguata; Emma ho capito l’importanza di una relazione sonora, fatta di sguardi di intesa, di “musica d’insieme” per creare e comunicare. Se un ritmo si produce contemporaneamente, ma, manca lo sguardo reciproco, non si può affermare di avere una interazione sonora; Matteo ho avuto più difficoltà. L’aggressività latente di Matteo dovrebbe essere analizzata a fondo. Posso considerarlo quasi come il mio primo insuccesso, dove per arrivare a delle conclusioni ci sono voluti due anni pieni e, non sono ancora del tutto risolti i suoi “atteggiamenti” aggressivi. Sicuramente, come in tutti i casi, ci sono componenti esterne che influiscono su questi ragazzi “problematici”, ma con Matteo ci sono difficoltà di relazione molto profonde, non solo all’interno dell’habitat musicoterapico o comunitario, ma anche nella vita di tutti i giorni. Attualmente sto collaborando con l’équipe per migliorare le condizioni di Matteo, aiutandolo a sentirsi partecipe e indispensabile per la vita comunitaria. Guardandomi indietro e, ripensando ai due intensi anni di lavoro che ho compiuto, posso affermare di essere soddisfatta. Ero partita con tante paure e incertezze, che la sola teoria non può eliminare e, alla fine del percorso, mi riscopro piena di entusiasmo e carica di buoni insegnamenti che non avrei mai pensato potessero arrivare proprio da chi necessita di cure. Approfondimenti bibliografici Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 74 Bruscia, Kenneth, (1989), Defining Music Therapy, Phoenixville, Barcelona Publishers, trad. it. Definire la Musicoterapia, Roma, ISMEZ,1993. Wigram Tony, Pedersen Inge Nigaard, Bonde Lars Ole, (2002) “A comprehensive guide to music therapy. Theory, clinical practice, research and training”, J. Kingsley Publisher Ltd, trad. It. “Guida generale alla musicoterapia. Teoria, pratica clinica ricerca e formazione, Roma, ISMEZ, 2003. Bonardi Giangiuseppe,(2002) Dispensa Laboratorio “Osservazione e Prassi in Musicoterapia”. Corso quadriennale di Musicoterapia Centro Educazione Permanente sezione Musica Assisi. Devoto G., Oli C. “Vocabolario della lingua Italiana” Edizione Euroclub Italia, 1989. Cannao M., Moretti G. (1983) “Il grave handicappato mentale”, Roma, Armando Armando Editore. Gaita D. “Il pensiero del cuore”, Milano, Bompiani, 1991. Postacchini P.L., Ricciotti A., Borghesi M. “Lineamenti di musicoterapia”, Roma, Carocci, 1998. Ricci Bitti P. E. “Regolazione delle emozioni e arti-terapie”, Roma, Carocci, 1998. Kant E. “Critica della Ragion pura”, Vol I, sesta edizione, Laterza, Bari, 1977. “Massime di saggezza per la vita di tutti i giorni” Newton & Compton Editori, 2003. Padovani A., E. Bottero E. Pedagogia della musica: orientamenti e proposte didattiche per la formazione di base, Guerrini e Associati, Milano, 2000. Watzlawick Paul “Pragmatica della Comunicazione Umana, studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi”, Ed. Astrolabio Ubaldini, 1971. M. Spaccazocchi, Crescere con il canto 2. Progetti Sonori. Pesaro Urbino. 2004, pag. 74, 75. Approfondimenti discografici Celentano “Quello che non ti ho detto mai”. Vangelis “ Main theme from “Missing” ”. Ennio Morricone “The legend of the Pianist”. Carla Bruni “Quelqu'un m'a dit”. Enya “The memory of trees”. Jovanotti “Piove”. Tshiribim. Rino Gaetano “Il cielo è sempre più blu”. Franco Battiato “Gli Uccelli”. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 75 Sugar Free “Cleptomania”. Povia “I bambini fanno Oh”. Flaminio Maphia “Che idea”. Astrid Converso [email protected] *Nomi di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Converso Astrid Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonardi Giangiuseppe, Simboli, musica, terapia... Pubblicato il 11 aprile 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 76 Con tag Corsi convegni seminari ecc Condividi post Maggio Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 77 Bonomi Carla, Io, Costantina e la realtà psichiatrica Pubblicato il 31 maggio 2010 Dove vive Costantina? L’iniziale conoscenza di Costantina é avvenuta nella stanza del refettorio del reparto, situata in fondo al lungo corridoio, durante l’osservazione ambientale. L’osservazione ambientale avveniva con cadenza settimanale, della durata di un’ora, precisamente dalle ore 10,15 alle ore 11,15. Scelsi il refettorio come luogo d’osservazione, perché era l’unica stanza dove Costantina trascorreva la maggior parte della giornata. Nel locale piuttosto disadorno c’erano otto tavoli con relative sedie (quattro per ogni tavolo). Ogni ospite aveva il suo posto fisso. Sette tavoli con sedie al centro della stanza ed uno con la sedia, un po’ più in là dalle altre ospiti. Sotto il televisore, posizionato in alto sulla parete, si sedeva Costantina. La stanza era ben illuminata da luce naturale, grazie alla presenza di numerose finestre (otto). Precedentemente, il personale del reparto era stato avvertito del mio arrivo e del lavoro che avrei svolto all’interno della stanza. Era la prima volta che entravo nel reparto, ma, soprattutto, era la prima volta che mi trovavo nel refettorio. Ricordo perfettamente l’immagine del mio primo incontro con Costantina, ad indicarmela fu l’infermiera. Costantina era seduta al suo posto, sola. La ragazza era piuttosto massiccia; aveva i capelli corti neri e scompigliati, mentre le labbra sporgenti formavano un “tragico” broncio. Aveva le braccia incrociate sul petto, strette l’una contro l’altra. Il capo chino ed i suoi occhi fissavano le sue gambe. Era la prima volta che entravo nel refettorio e sentivo il mio cuore battere forte. No, non era paura, ero emozionata. Finalmente era giunta l’ora da me tanto attesa. Non potevo nascondermi le mie iniziali preoccupazioni. Le domande che mi ponevo erano diverse. Fra le tante, una in modo particolare occupava la mia mente… “È giusto far qualcosa, quando la persona non lo chiede?”. Quando vidi Costantina, molte delle mie preoccupazioni svanirono. Ai miei occhi apparve una ragazzina straordinariamente timida e triste, aveva un’innocente espressione d’intensa dolcezza. Il mio arrivo nel refettorio non passò inosservato, le ospiti presenti si avvicinavano chiedendomi il nome, alcune mi porgevano la mano per salutarmi ed altre ancora mi guardavano, o mi toccavano. All’interno della stanza scelsi, come punto d’osservazione, lo spazio vicino all’ingresso. Potevo osservare tutto, senza essere invadente né per le ospiti, né per il personale infermieristico. Lo scenario che mi si presentava ogni volta davanti ai miei occhi non era fra i più felici: si sentiva un leggero e persistente odore sgradevole, si udiva un brusio di fondo, dove però era possibile distinguere il chiacchiericcio delle ospiti, del personale infermieristico, pianti, grida, risate, scricchiolii di sedie e l’audio del televisore sintonizzato sulla replica di un programma televisivo. Costantina non si accorse subito del mio arrivo. Era lì seduta… assorta nei suoi pensieri. Io ero seduta non molto distante da lei. Pian piano Costantina si accorse della mia presenza e, sebbene chiusa in sé stessa, mi lanciava sguardi occasionali e Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 78 furtivi. Ad un tratto vidi Costantina alzarsi e dirigersi verso me con la sua andatura lenta e dai movimenti goffi. Si avvicinò e mi chiese, con voce tenera ed un marcato accento dialettale: “Che fai, perché sei venuta?”. Sentivo il mio cuore arrivare in gola, mentre nel frattempo le rispondevo, dicendole: “Sono venuta a trovarvi, sei contenta?”. Costantina, che nel frattempo fissava il mio viso, accennando un sorriso, appoggiò la sua mano sulla mia spalla e rispose: “Sì”. Nel corso delle tre sedute Costantina è apparsa d’umore estremamente instabile. C’erano momenti in cui si mostrava calma e sorridente, mentre, un attimo dopo, era triste ed intrattabile. Nei miei confronti però si dimostrava sempre "ben disposta". Alla fine delle tre sedute mi resi conto che cominciavo a voler bene a quella ragazza. Provavo un affetto spontaneo, eppure tanto intenso. Costantina, sia pur per brevi momenti, si relazionava con le altre ospiti, con me e con il personale, a livello: verbale, visivo e tattile. Le sue richieste erano soprattutto volte al soddisfacimento di bisogni personali. Chiunque incontrasse, Costantina chiedeva: la pizza, il caffè, oppure bracciali, orecchini, collane... Alle domande che le erano poste, la fanciulla rispondeva in modo generalmente pertinente ed eseguiva le richieste fatte. In altre circostanze si opponeva verbalmente. Costantina, all’interno del refettorio, preferiva rimanere eretta vicino all’ingresso, mentre i suoi occhi fissavano la porta del reparto sita in fondo al lungo corridoio… Carla Bonomi [email protected] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Greco Marina, L’ascolto agli albori del pensiero occidentale Pubblicato il 24 maggio 2010 Socrate, precursore dell’ascolto Una riflessione sull’ascolto posto in relazione con l’origine del pensiero occidentale impone un doveroso punto di partenza: Socrate. Il filosofo greco, infatti, rappresenta una sorta di spartiacque rispetto al passato: la rivoluzione da lui compiuta nel campo della conoscenza è tale che il periodo che lo precede è generalmente indicato nella storia della filosofia come pensiero presocratico. In cosa consiste questa sorta di “rivoluzione gnoseologica”? L’indagine filosofica fino ad allora si era occupata e preoccupata della ricerca della verità. Socrate persegue lo stesso obiettivo, ma ciò che lo contraddistingue e che fa sì che egli sia posto all’origine del pensiero Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 79 occidentale, basato sulla razionalità e sull’astrazione[1], sono i due capisaldi del suo peculiare modo di filosofare: il dialogo e la professione di ignoranza. Il dialogo socratico (da dialéghesthai, conversare, ragionare con) è un innovativo strumento/metodo per arrivare all’intuizione della verità, basato su quella che il filosofo definisce maieutiké tèchne, ovvero la maieutica che, nell’antica Grecia, era l’arte esercitata dalle levatrici, le odierne ostetriche: “La mia arte di maieutico in tutto è simile a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a far partorire uomini e non donne e provvede alle anime generanti e non ai corpi. Non solo, ma il significato più grande di questa mia arte è ch’io riesco, mediante di essa, a discernere, con la maggior sicurezza, se la mente del giovane partorisce fantasticheria e menzogna, oppure cosa vitale e vera. E proprio questo io ho in comune colle levatrici: anche io sono sterile, sterile in sapienza; e il rimprovero che già molti mi hanno fatto che io interrogo gli altri, ma non manifesto mai, su nulla, il mio pensiero, è verissimo rimprovero. Io stesso, dunque, non sono affatto sapiente né si è generata in me alcuna scoperta che sia frutto dell’anima mia. Quelli, invece, che entrano in relazione con me, anche se da principio alcuni d’essi si rivelano assolutamente ignoranti, tutti, poi, seguitando a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro, meravigliosamente progrediscono, com’essi stessi e gli altri”[2]. Socrate, figlio dell’abilissima levatrice Fenarete, utilizza il termine maieutica in senso traslato per meglio descrivere la tipologia di relazione che intercorre nei suoi dialoghi fra lui e il suo interlocutore: “quelli che conversano con me … assomigliano alle partorienti … passano notti e giorni pieni di inquietudine e di angoscia ... Questa sofferenza la mia arte sa placare ...”[3]. Per quale motivo gli interlocutori di Socrate sono pieni di inquietudine e di angoscia? In quale modo il filosofo si prende cura di loro e soprattutto come fa cessare la loro sofferenza? Chiunque dialoghi con Socrate è all’oscuro di due fondamentali verità che lo riguardano: è inconsapevole di essere ignorante; è inconsapevole di possedere in potenza la capacità di giungere all’intuizione della sua verità, ovvero di capire in cosa consista per lui il méghiston agathón, il sommo bene[4]. La genialità della maieutica socratica consiste nel fatto che Socrate non impone il suo punto di vista ai suoi interlocutori né consegna loro una verità data e precostituita come fino ad allora avevano fatto i filosofi suoi predecessori, primi fra tutti i sofisti. Socrate si prende cura di colui che dialoga con lui attraverso l’ascolto; il suo, però, è un ascolto attivo; i suoi interventi nel dialogo sono puntuali, dimostrano la fallacia dell’altrui ragionamento (élenchos, confutazione), sottolineando ogni più piccolo e apparentemente insignificante vuoto logico (aporìa) nel discorso dell’interlocutore; questi viene incalzato con piccole e brevi frasi a cui deve necessariamente rispondere in modo altrettanto breve (katà brachù dialéghestai) ed è disorientato dall’ironia del maestro, ovvero dall’apprendere che Socrate stesso si professa ignorante[5]. Questo modo di procedere nei Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 80 dialoghi da parte del filosofo greco attiva nel suo interlocutore una riflessione, una sorta di trasformazione che lo indurrà a mettere fuori da sé un suo pensiero, una sua verità: solo in questo modo egli ne potrà essere consapevole e potrà dunque interiorizzarli. Così Socrate dice a Teeteto: “Sospetto che tu sia interiormente gravido; affidati, dunque, a me che sono figlio di una levatrice e ostetrico io stesso, e impegnati a rispondere a quello che io ti domando, così come sei capace di fare”[6]. Nel dialéghestai socratico, dunque, Socrate è l’abile levatrice mentre il suo interlocutore è la partoriente. Attraverso l’ascolto e il dialogo, ovvero con la sua arte dialettica, Socrate aiuta il suo interlocutore a liberare “l’anima dall’illusione del sapere e in questo modo a curarla (corsivo in grassetto di chi scrive) al fine di renderla idonea ad accogliere la verità”[7]. Qual è, dunque, l’elemento decisivo perché ci sia il ‘travaglio’ e dunque possa venir fuori, nascere il mondo interiore degli interlocutori del filosofo greco? La disposizione all’ascolto, “espressione di un lògos che non è soltanto un dire ma soprattutto un ascoltare”[8]. Anche Tomatis, che così tanto ha studiato l’ascolto, riconosce l’importanza del metodo socratico: “Socrate è all’ascolto dell’altro. Presta attenzione anche alle parole degli dei. Inoltre si pone in ascolto di se stesso. Con l’orecchio aperto, si impegna arditamente nel campo dell’ascolto e vi resta sempre fedele.”[9] L’ascolto è l’anima della maieutica socratica: “l’interlocutore ascoltante entra a far parte del pensiero nascente di chi parla. Ma chi ascolta può <entrare> soltanto in un modo tanto paradossale quanto impegnativo: <uscendo>, facendosi da parte e facendo spazio”[10]. Farsi da parte è l’unica via perché il mondo interiore dell’altro possa venire alla luce. Farsi da parte, però, non significa lasciare l’altro solo, ma, al contrario, contenerlo con il proprio spazio interiore: è “il ragionare dialogico e maieutico che, dunque, ascolta, accoglie e consente di vivere”[11]. Naturalmente, affinché il proprio spazio interiore possa disporsi ad ascoltare e accogliere quello nascente dell’altro, è indispensabile conoscerlo a fondo. È pertanto indispensabile disporsi innanzi tutto all’ascolto di se stessi: “Saggio fra i saggi, Socrate è un ascoltatore modello. È il primo a capire che non vi può essere condivisione senza conoscenza di sé.”[12] Il procedere dialogico di Socrate non prescinde, dunque, dalla previa conoscenza di sé. Al di là della celebre professione della propria ignoranza e del monito ghnôthi sautòn[13], “conosci te stesso”, una delle caratteristiche più significative del pensiero di Socrate è la sua relazione con il dáimon interiore a cui egli presta ascolto[14]. Che cos’è questo dáimon? È una voce interiore che gli parla incessantemente e che gli impedisce di compiere una determinata azione quando sta per compierla e che lo spinge alla continua ricerca della verità attraverso il dialogo e il confronto con gli altri, attività che, come abbiamo visto prima, sono considerate dal filosofo tò méghiston, la cosa più importante. La voce interiore che parla a Socrate e che gli dice ciò che non è da fare ha come “unica preoccupazione la salute dell’anima”[15]. Nel ragionare dialogico e Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 81 maieutico di Socrate, ascoltare l’altro non significa far posto alla vis linguistica dell’altro, ma significa innanzi tutto elaborare la capacità di ascoltare se stessi, per consentire poi che l’altro possa essere ascoltato, accolto[16]. L’essere parla, dunque, dentro ciascuno di noi e ciascuno dovrebbe porsi in ascolto di se stesso e del proprio essere. L’incapacità a questo tipo di ascolto non può che determinare “l’oblio dell’essere”[17]. Agli albori del pensiero occidentale, l’ascolto sembra essere, in definitiva, la chiave di accesso alla conoscenza di sé, dell’altro e della verità: “l’ascoltare è la via regia imboccata dal desiderio di conoscere”[18]. Marina Greco [email protected] [1] “... (Aristotele) dice che due cose possono essere legittimamente attribuite al filosofo ateniese: le “argomentazioni induttive” e il “definire universalmente””. Giannantoni G., Storia della fiolosofia, vol. III, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, Società Editrice Libraria, Milano 1975, pag. 117. [2] Platone, Teeteto, 150, a-d, in Platone, Tutti gli scritti, a cura di G.Reale, Rusconi, Milano 1991, pag. 201-202. Platone, allievo di Socrate, nei suoi numerosi dialoghi ha voluto lasciare una traccia scritta del pensiero e dell’arte dialettica del suo maestro, non avendo questi scritto nulla. [3]Platone, Teeteto, 151, a-b, ibid. [4] Come Platone scrive nell’Apologia (XXXVIII, a), per Socrate il bene più grande, il méghiston agathón appunto, consiste nel discutere, ragionare, conversare ogni giorno sulla virtù, nel far ricerche su se stesso e sugli altri. Per lui una vita che non sia animata da questa ricerca e da questa indagine continua è indegna di essere vissuta. [5] “In questa dissimulazione di ignoranza consiste essenzialmente la famosa “ironia” socratica”, Giannantoni G., op. cit. pag.129. Questa docta ignorantia socratica è proprio la consapevolezza di non sapere: “so di non sapere” è il celebre motto di Socrate (sùnoida, in greco significa proprio “conso”, cioè so con me stesso, sono con-sapevole). Questa sorta di ossimoro si spiega con un aneddoto della vita di Socrate raccontato da lui stesso nella Apologia di Platone (21, b-e): la sacerdotessa dell’Oracolo del tempio di Apollo a Delfi, la Pizia, aveva individuato in lui l’uomo più sapiente di Atene. Socrate ne fu stupito in quanto si era sempre professato ignorante e proprio la consapevolezza di non sapere lo spingeva alla ricerca della conoscenza. Iniziò, così, a dialogare con tutti coloro che avevano fama di essere dotti per dimostrare che la Pizia si era sbagliata. Attraverso il suo metodo, però, Socrate si rese conto che la sapienza di quei dotti era in realtà solo presunzione di sapere. Comprese solo allora la Pizia: era lui il più sapiente perché era l’unico a sapere di non sapere e dunque consapevole della propria ignoranza. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 82 [6] Platone, Teeteto, 151,c. [7] Reale G.- Antiseri D., Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, Vol. I, Editrice La Scuola, Brescia 1983, pag. 68. [8] Corradi Fiumara G., Filosofia dell’ascolto, Jaca Book, Milano 1985, pag. 188. [9] Tomatis A., Ascoltare l’universo. Dal big bang a Mozart, Baldini & Castoldi, Milano, 2005, pag. 210. [10] Corradi Fumara, op. cit. pag.189. [11] Corradi Fumara, op. cit., pag. 174. [12] Tomatis A., Ascoltare l’universo, cit., pag. 210. [13] Socrate invita i suoi interlocutori a seguire il motto inscritto sul tempio di Delfi: “Ghnôthi sautòn”. Tale motto è stato interpretato in vari modi. Potremmo qui riassumere dicendo che è un invito a conoscere se stessi e i propri limiti prima di procedere alla conoscenza di ciò che è altro da sé, e che la verità (il méghiston agathón, il sommo bene) si deve cercare in se stessi. [14] Cfr. Corradi Fumara, op. cit., pag.167 e segg. [15] Corradi Fumara, op.cit., pag. 171. [16] All’origine del nostro pensiero occidentale, dunque, non solo la conoscenza dell’altro da sé, ma “la ricerca dell’identità personale sembra addirittura coincidere con l’ascolto del proprio messaggio interiore”, Corradi Fumara, op.cit., pag. 172. [17] “Stando ad Heidegger, “l’oblio dell’essere” caratterizza la traiettoria del pensiero metafisico occidentale da Platone a Nietzsche”, Corradi Fumara, op.cit., pag. 254. [18] Mancini R., L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verità, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pag. 221. Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina Condividi post inCondividi0 Repost 0 1 commento Andrello Roberta, Uomo, musica e terapia. Pubblicato il 17 maggio 2010 Il bisogno di definizioni Definire la musicoterapia non è facile, al riguardo Bruscia, una delle figure più autorevoli nel panorama musicoterapico internazionale, afferma che “saper definire la musicoterapia è parte integrante del bagaglio culturale di un musicoterapeuta” [1]. Definire la musicoterapia è necessario per acquistare credibilità, perché consente di inquadrarla all’interno di confini teorici, pratici ed euristici che le siano propri, indipendentemente dal legame con altre discipline. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 83 Le definizioni “… rappresentano un effettivo strumento di informazione per chi non è del campo; sollevano questioni e problemi fondamentali per i professionisti della materia; tracciano i limiti della pratica clinica, della teoria e della ricerca; specificano il corpo della conoscenza che deve esserci nella materia; stabiliscono un’identità professionale; rivelano le opinioni soggettive di chi parla; riflettono gradi di sviluppo individuale e collettivo; e forniscono un contesto per la comunicazione tra musicoterapeuti.” (Bruscia)[2] Analizzando le definizioni di musicoterapia che vari autori hanno formulato, è possibile osservare come queste sottendano innanzitutto diversi modi di concettualizzare l’uomo; non solo perché la musica “gioca un ruolo importante nella vita di ogni giorno… e la maggior parte delle persone riconosce il potere della musica nell’influire sulle emozioni…”[3], ma soprattutto perché qualsiasi intervento musicoterapico coinvolge l’uomo, e, in primis, il rapporto uomo-suono. L’uomo L’essere umano è complesso: i suoi comportamenti, il suo stato di salute fisica e mentale, i suoi stati d’animo, sono la risultante di interazioni tra sé ed il contesto ambientale e socio-culturale in cui egli vive. Una tendenza diffusa, quando si cerca di definire l’uomo, è quella di muoversi nella direzione della semplificazione del complesso, anche a rischio, talvolta, di essere piuttosto riduttivi. È anche per questo motivo che tra i vari modi di concepire l’essere umano c’è chi sottolinea la sua dimensione biologica (comportamentismo, modello medico e psicoanalisi), chi quella psichica (psicologia umanistica) e chi ancora quella sociale (psicologia sistemica) trascurando le altre e cadendo, per così dire, nella “trappola” di una visione unilaterale. Nel panorama psicologico sono tradizionalmente presenti due modi contrapposti di concettualizzare l’essere umano: quello comportamentistico e quello umanistico. Secondo il punto di vista di Ruud, all’origine di queste due diverse impostazioni c’è la filosofia cartesiana che, affermando il dualismo mentecorpo, prelude ad una concezione dell’uomo più centrata sulla considerazione del corpo (oggetto), oppure della mente (soggetto). La differenza sostanziale tra queste due posizioni si può riassumere in questi aspetti: i comportamentisti rifiutano ciò che non è direttamente osservabile, perché non oggettivamente verificabile; in questo modo spogliano l’uomo di tutte le caratteristiche della sua essenza umana e lo paragonano all’oggetto di studio delle scienze naturali, in quanto, sulla base del pensiero di Lock, ritengono che esso riceva passivamente gli stimoli del mondo esterno. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 84 Gli umanisti, invece, sulla base degli assunti della filosofia esistenzialista e in particolar modo sul concetto di Heidegger di “Dasein”, “esserci”, che racchiude il senso dell’esistenza umana, si contrappongono alla concezione deterministica e biologica dell’uomo (che caratterizza anche la psicoanalisi ed il modello medico) e lo definiscono in termini di persona. L’enfasi è quindi sul soggetto attivo e su alcuni temi quali linguaggio, pensiero, capacità di scelta, abilità di comunicare, responsabilità, autorealizzazione, affetto, spontaneità, crescita, etc., trascurati sia dal comportamentismo, sia dalla psicoanalisi. La concettualizzazione dell’uomo condivisa da coloro che appartengono a questa impostazione è definita dai cinque postulati fondamentali di Burgental[4]: 1. “… quando si parla di uomo, lo si intende come persona, non come organismo; 2. l’uomo vive la sua esistenza in un contesto umano; 3. l’uomo è cosciente; 4. l’uomo ha capacità di scelta; 5. l’uomo è intenzionale; nelle sue scelte dimostra le sue intenzioni”. Al di là della differenza di posizioni, una critica che Ruud[5] rivolge alla psicologia umanistica ma che può essere estesa anche al comportamentismo, alla psicoanalisi e al modello medico, è il fatto che tutta l’attenzione è posta sul soggetto, mentre non sono presi in considerazione né il mondo esterno, né le condizioni materiali di vita. Si avverte la mancanza, per avere una visione “a tutto tondo” di ciò che l’uomo è, della considerazione del fatto che egli vive e interagisce con il contesto ambientale e socio-culturale del quale fa parte. Una posizione che cerca di andare oltre la “contrapposizione” fra concezioni comportamentistiche e umanistiche della persona, prendendo in considerazione anche gli aspetti da queste trascurati, è la teoria cognitivosociale della personalità. Il modo di concettualizzare l’essere umano trae origine da due considerazioni principali: la prima è il concetto chiave di questa teoria, ossia che è sempre presente un processo di interazione tra l’organismo e l’ambiente, pertanto il comportamento ha origini sociali; la seconda è l’importanza data alle cognizioni, ovvero ai processi di pensiero nel funzionamento umano. Ne discende che “le persone sono considerate capaci di orientare attivamente la propria vita e di apprendere modelli complessi di comportamento in assenza di ricompense”.[6] Siamo quindi di fronte ad un modo di intendere l’essere umano che ne consente una visione più completa, integrando aspetti che, se considerati separatamente, non rendono giustizia della sua complessità. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 85 Partendo dalla critica di Ruud e considerando i punti di vista dei diversi orientamenti psicologici, si può quindi affermare che l’uomo si caratterizza per il fatto di possedere sia una dimensione biologica, l’organismo, in virtù della quale prendiamo atto dei processi fisiologici, organici e biologici che avvengono al suo interno, sia psichica, fatta di capacità di pensiero, di linguaggio, di processi psicologici interni (motivazioni, emozioni, intenzioni) di costrutti psicologici (il sé, l’identità, la personalità)[7] etc., che fanno dell’uomo una persona e un soggetto attivo con un proprio senso di autoefficacia, una propria autostima, un senso morale, etc., sia sociale, caratterizzata da continui processi di interazione con l’ambiente circostante e da una fitta rete di interscambi significativi con le altre persone. Queste tre componenti, in continua interazione, si influenzano reciprocamente e sono la base da cui muovere per comprendere gli stati d’animo, i comportamenti, le condizioni di salute fisica e mentale , etc. che ne sono una diretta manifestazione. Da un punto di vista musicoterapico, le tre dimensioni descritte rappresentano il nucleo originario del paradigma uomo-suono. In quanto “essere sociale”, inserito all’interno di uno specifico contesto culturale, l’uomo viene a contatto con le sonorità ambientali e le musiche che caratterizzano la sua area geografica e la sua etnia. Grazie alle strutture neurofisiologiche, l’uomo interagisce con “l’ambiente sonoro-musicale”, dando luogo a peculiari reazioni fisiologiche, sensoriali, emotive e cognitive. Da questa continua interazione nasce quella che Bonardi definisce la dimensione sonoro - musicale della persona, ossia “… l’insieme eterogeneo delle sonorità ambientali (naturali, tecnologiche, familiari) e delle musiche (strutture ritmiche, melodie, canti, brani musicali) iscritto nel patrimonio mnemonico di una persona. Il patrimonio mnemonico, formante la D.S.M. è la risultante delle peculiari modalità di interazione (percezione ed espressione) elaborate dalla persona nei riguardi dell’habitat acusticomusicale di appartenenza.”[8] La musica In armonia con il concetto di uomo presentato precedentemente, la musica può essere definita come l’insieme di suoni organizzati sulla base delle regole stabilite da una determinata cultura, pertanto essa è contemporaneamente un fenomeno culturale. Una posizione unica, in questo senso, è quella di Marius Schneider, il quale sostiene l’esistenza di “… una musica naturale, la cui dinamica non dipende né da un metro convenzionale né da un programma estetico elaborato da una determinata cultura. Costituiscono tale musica i suoni che l’uomo emette spontaneamente, sia come espressione del ritmo interiore della propria persona, sia come imitazione dei suoni della natura…” [9]. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 86 Parimenti Schneider afferma l’esistenza di una musica “artistica”, che soggiace ad un processo estetico ed è quindi elaborata da una peculiare cultura. Al riguardo Leydi afferma che “… in ogni comunità culturalmente distinta e socialmente organizzata…, esiste un particolare “modo” di espressione sonora, un vero e proprio “stile” che realizza l’intero fenomeno musicale in una fondamentale unità…”[10], pertanto “… le forme naturalmente assunte da linguaggio e musica differiscono da cultura a cultura… ed il fatto che vi siano delle forme differenti fa sì che le persone che hanno familiarità con una certa forma sono spesso incapaci di affrontare adeguatamente le altre.”[11] La possibilità di attribuire ai suoni un significato è quindi vincolata alla cultura, che in questo senso agisce da filtro e nel contempo da mediatore nella relazione uomo-suono, facendo della musica un’espressione polisemica, cioè in grado di rivelare significati diversi a popoli e a sub-culture differenti. La musica diventa allora per la mente umana un codice simbolico che assume molto spesso un significato extra-musicale. Una delle ipotesi più diffuse è infatti quella secondo la quale “le sequenze musicali denotano, o stanno per, certi stati emotivi”[12], permettendo di rappresentarsi mentalmente oggetti che non sono presenti nel mondo esterno e di dare loro una “forma” , ( definita da Kramer come “… l’ordine e la struttura con la quale l’espressione artistica concretizza le esperienze … e … ci dà la possibilità di riconoscere, far emergere e padroneggiare l’esperienza interna.”[13]) che ne consenta un più facile accesso alla coscienza. “… Il linguaggio musicale può… quindi… in qualche modo facilitare la conoscenza dei vissuti emotivi predisponendone l’organizzazione strutturale e favorendone il controllo da parte dell’individuo.”[14] Questo gli consente di diventare capace “… di confrontarsi con la realtà, di provare emozioni, sentimenti, per quanto a volte possano essere spiacevoli o sconvolgenti, senza perdere la possibilità di pensare[15] e “… di porre le basi per “… una maggiore capacità comunicativa tra individuo e gruppo … che assicura una … maggiore probabilità di sopravvivenza ad entrambi.”[16] In questo senso la musica diventa un canale espressivo e una forma di linguaggio non verbale che, in un contesto relazionale, svolge l’importante ruolo di mediatore tra due persone, attivando o riattivando modalità comunicative che consentono la nascita di un primo contatto, quale preludio di una possibile relazione. Il rapporto uomo-suono prende quindi forma all’interno di uno specifico contesto culturale e coinvolge caratteristiche fonologiche, sintattiche, e semantiche della musica, ma ciò che in prima battuta rende possibile l’interazione tra questi due sistemi, consentendo alla musica di esercitare una qualche influenza sulla persona, è il complesso apparato neurofisiologico dell’uomo, mediante il quale si realizzano la percezione e l’espressione sonora e musicale. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 87 La terapia In un’opera inedita in Italia, “Los caminos de la Musicoterapia”, E. Ruud[17] sostiene che i diversi procedimenti musicoterapici sono vincolati alle usuali tendenze dei concetti di terapia di orientamento: biologico, comportamentale, psicodinamico, umanistico -esistenziale e della teoria della comunicazione, che a loro volta corrispondono a differenti orientamenti filosofici. “Anche se il fine ultimo della musicoterapia è quello di farsi disciplina a sé stante fino ad ora è stato necessario costruire i processi che stanno alla base della musicoterapia su teorie dominanti in psicologia e nella filosofia di altri trattamenti.”[18] L’etimologia del termine “terapia” è incerta, tuttavia si è soliti definirla secondo la sua radice greca “therapeia” che significa assistere, aiutare o trattare. Tuttavia “terapia” è, nel nome musico-terapia, il secondo elemento e assume il significato di “metodo di cura”.[19] L’attenzione cade su tre aspetti: il significato di assistere, aiutare o trattare, implica la presenza di una persona bisognosa d’aiuto e di una che sia disposta ad aiutare; il “metodo” richiama un “… modo formale di procedere…”[20] e in questo contesto lo si può intendere come un intervento sistematico, che ha carattere di continuità per un certo periodo di tempo (in questo senso è un processo), che avviene in un luogo e con degli scopi da raggiungere mediante l’applicazione di particolari tecniche; la cura implica la realizzazione di un cambiamento specifico nel paziente, infatti, “… per aver luogo la terapia, il terapeuta deve agire in qualche modo sul cliente per produrre un effetto o un cambiamento di qualche tipo”.[21] In sintesi, quindi, si può intendere con terapia ”… l’insieme di mezzi organizzati che vengono posti in opera al fine di curare e possibilmente guarire le malattie…”, là dove “curare” significa “… ripristinare una condizione di armonia psicofisica, se questa c’era, o costruirne una nuova, se non c’era…”[22] Nel contesto musicoterapico tutto questo si traduce in un processo sistematico di intervento che coinvolge uno o più pazienti, a seconda che la terapia sia individuale o di gruppo, uno o due terapeuti (terapeuta e coterapeuta), un setting, costituito da una stanza con adeguati arredi e una certa disposizione degli strumenti, da un contratto tra il terapeuta ed il paziente o da chi ne ha la responsabilità, dalle regole, dal calendario e dagli orari degli incontri. La sistematicità, nel senso di metodicità che fa sì che l’intervento possa configurarsi come terapeutico, richiede che questo si svolga sulla base di un progetto che viene steso dopo una fase di osservazione durante la quale sono raccolti i dati e le informazioni necessarie alla conoscenza dei pazienti e in particolare dell’ambiente sonoro musicale nel quale vivono e in funzione della Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 88 quale vengono definiti gli scopi che si tenterà di raggiungere mediante l’utilizzo della musica, secondo le tecniche previste dal metodo che si intende applicare. La musicoterapia Riprendendo la distinzione che Bruscia[23] fa tra Musicoterapia e musicoTerapia, intendendo con la prima tutti quei progetti terapeutici nei quali la musica assume un ruolo prioritario e può essere considerata terapeutica di per se stessa e, con la seconda, le situazioni nelle quali la musica assume un ruolo importante di facilitazione nel contesto di un lavoro basato sullo sviluppo della relazione tra terapeuta e paziente, è possibile individuare due modi diversi di intendere la musicoterapia: quando si fa maggior riferimento al corpus teoretico dell’area psicoterapeutica, la musicoterapia è intesa come psicoterapia; se invece l’enfasi è più sulla didattica, sulla pedagogia e sulla semiologia musicale, la musicoterapia assume i caratteri dell’animazione musicale. Partendo però dall’accostamento dei due nomi di cui si compone la parola musicoterapia, si individua una terza connotazione, secondo la quale la musicoterapia è a tutti gli effetti MusicoTerapia, ossia l’area in cui si realizza l’interazione tra le discipline musicologiche e quelle legate alla terapia, senza che l’una prevalga sull’altra. In questo modo “… dall’incontro fra la componente musicale e quella terapeutica, si origina un linguaggio specifico e diverso da quello delle componenti di partenza… questa concezione di musicoterapia… riconosce l’importanza del mediatore sonoro e, al tempo stesso, l’importanza di collocare quest’ultimo in un’adeguata, ma non standardizzabile, cornice costituita dalla relazione terapeuta-paziente…”[24] In questa terza accezione e sulla particolare concezione di uomo, musica e terapia esplicata, nasce una delle possibili definizioni di musicoterapia, alla quale corrisponde, sul piano operativo, un particolare modo di fare musicoterapia. La musicoterapia è quindi l’applicazione sistematica della musica, partendo dalla dimensione sonoro musicale della persona (paziente) a dal rispetto delle sue capacità musicali, allo scopo di attivare una comunicazione che, agendo a livello non verbale, consente l’espressione di aspetti e parti di sé che solitamente non emergono e pone così le basi per lo sviluppo della relazione tra la persona (paziente) ed il terapeuta, favorendo al contempo l’integrazione organica, emozionale, comportamentale, comunicativa, motoria e sociale della persona. Roberta Andrello [email protected] Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 89 [1]BRUSCIA KENNETH E., Problemi di definizione, in Definire la Musicoterapia, Gli Archetti, 1989, trad. it. di F. Bolini, pp. 15-17. [2] BRUSCIA KENNETH E., op. cit. p. 17. [3] BRUSCIA KENNETH E., op. cit. p. 15. [4]RUUD EVEN, La tendencia humanista-existencial en musicoterapia, in Los Caminos de la Musicoterapia, Ed. Bonum, pp. 96-97. [5]RUUD EVEN, op. cit. p. 113. [6]PERVIN LAWRENCE A., JOHN OLIVER P., La teoria cognitivo-sociale: Bandura e Mischel, in La Scienza della Personalità, Raffaello Cortina Editore, 1997,ed. it. a cura di G. Porzionato, p. 412. [7]NUCCI LARRY, La struttura della scuola e della classe e lo sviluppo sociale dei bambini, in Manuale della scuola dell’obbligo: l’insegnante e i suoi contesti, Franco Angeli, 1999, a cura di F. Zambelli e G. Cherubini, p. 218. 8BONARDI GIANGIUSEPPE, Sul concetto di musicoterapia, in “ Brescia Musica“, Anno IX, n. 44 - Dicembre, Bimestrale di informazione e cultura musicale, Brescia, 1994, p. 21. [9]SCHNEIDER MARIUS, Il significato della musica, Rusconi, 1970, pp. 9697. [10]LEYDI ROBERTO, La musica dei primitivi, Il Saggiatore, Milano, 1961. [11]SLOBODA JOHN A., Musica, linguaggio e significato, in La mente musicale, Il Mulino, 1988, ed. it. a cura di R. Luccio, p. 52. [12]SLOBODA JOHN A., op. cit. p. 109. [13]KRAMER EDITH, Arts as Therapy with Childrens, Schochen Books, New York, 1971, in Wilma Cipriani, Esperienza estetica e cura in arte-terapia, in Regolazione delle emozioni e arti- terapie, Carocci, 1988, a cura di P. E. Ricci Bitti, p. 71. [14]CATERINA ROBERTO, Musica e regolazione delle emozioni, 1997, in Emozioni e musicoterapia, Quaderni di musica applicata, n. 20, PCC,1997, pp. 31-32. [15]CATERINA ROBERTO; La regolazione delle emozioni, in Regolazione delle emozioni e arti- terapie, Carocci, 1988, a cura di P.E. Ricci Bitti, p. 34. [16]Ibid. [17]RUUD EVEN, Los caminos de la Musicoterapia, Ed. Bonum, p. 15. [18]RUUD EVEN, Music Therapy and its Relationship to Current Treatment Theories, St. Louis, Missouri: Magnamusic-Baton, 1980, p. 1, in L. Bunt, op. cit. p. 16. [19] ZINGARELLI NICOLA, Terapia, in Vocabolario della lingua italiana, 1995. [20]PORZIONATO GIUSEPPE, Lineamenti di metodologia della ricerca scientifica in ambito musicale, in Memoria musicale e valori sociali, Ricordi, Milano, 1993, a cura di J. Tafuri, p. 82. [21]BRUSCIA KENNETH E., Definire la musicoterapia, in Definire la Musicoterapia, Gli Archetti, 1989, trad. F. Bolini, p. 49. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 90 [22]POSTACCHINI P. L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., Il terapeutico in musicoterapia, in Lineamenti di musicoterapia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, pp. 60-64. [23]BRUSCIA KENNETH E., op. cit. p. 49. [24]POSTACCHINI P.L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., Le strategie d’intervento, in Lineamenti di musicoterapia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, p. 103. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonomi Carla, Io e Costantina: diario di un’esperienza musicoterapica in ambito psichiatrico. Pubblicato il 10 maggio 2010 da http://musicoterapie.over-blog.com/ L’esordio dell’esperienza musicoterapica Tra le innumerevoli persone presenti nell’ente psichiatrico, il Primario del reparto mi propose di intervenire con Costantina[1], in considerazione del fatto che era la più giovane ospite del reparto. Pur riconoscendo alla musicoterapia risultati positivi, la proposta d’intervento mi fu affidata con un atteggiamento di “sfida”. In tal senso il Primario mi disse laconico: “È un caso difficile, vediamo cosa si riesce ad ottenere con la musicoterapia”. Sebbene un po’ preoccupata, ero contenta poiché finalmente potevo vivere, “mettere in pratica”, ciò che avevo solamente studiato. Quale musicoterapia? Nel realizzare la prassi musicoterapica ho dovuto, giocoforza, scegliere, con difficoltà, ma in ogni caso scegliere, un orientamento epistemologico che fosse per me motivo ispiratore del mio modo di “fare” musicoterapia. La lettura di K. Bruscia[2], di P. L. Postacchini[3], E. H. Boxill[4] e, in particolare, di G. Bonardi[5] ha influenzato il mio modo d’agire, aiutandomi a scegliere, un metodo, una strada da percorrere. Con fatica ho scelto, come modello teorico di riferimento, la metodica musicoterapica relazionale, ideata da Giangiuseppe Bonardi. La scelta è stata motivata dal fatto che potevo avvalermi di una metodica, utilizzata da un decennio con persone aventi ritardo mentale grave e gravissimo, applicabile alla situazione a me prospettata. Sinteticamente, la metodica procede teoricamente da una definizione del concetto di musicoterapia dal quale ne consegue l’articolazione di tre fasi prassiche ben definite ed è altresì corredata da strumenti di rilevazione e di valutazione dell’intero processo musicoterapico (schede di rilevazione). In questa prospettiva, per Bonardi, il termine musicoterapia indica: “La ricerca, l’osservazione, l’analisi e l’adozione del sonoro e del musicale appartenente al soggetto (musica) al fine di aiutarlo Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 91 (terapia) ad esperire una “ nuova” situazione d’ascolto, non solamente incentrato sul di sé, ma sui poli ( sé e l’altro da sé) del processo relazionale”[6]. Il processo musicoterapico è quindi articolato in tre fasi: “la ricerca, l’osservazione ambientale e musicoterapica, la prassi individuale.”[7] Nel realizzare l’intervento musicoterapico, non ho applicato pedissequamente il metodo, ma ho cercato di assimilarlo, adattandolo, per quanto fosse possibile, al mio modo d’operare. Un’esperienza musicoterapica ampiamente caratterizzata dalla dimensione sistematica, evolutiva, dinamica e vitale del processo terapeutico intrapreso. In questa prospettiva gli aspetti tecnici dell’azione musicoterapica, in particolare le finalità e i parametri (gli indicatori) di ogni fase, traspaiono dalla lettura dell’esperienza, fornendo al lettore le chiavi interpretative del lungo, biennale, storico, processo terapeutico. Carla Bonomi [email protected] [1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [2]Bruscia Kenneth (1993), “ Definire la musicoterapia”, Ismez, Roma. Bruscia Kenneth (1995), “Casi clinici di musicoterapia” (bambini ed adolescenti), Ismez, Roma. Bruscia Kenneth (1995), “Casi clinici di musicoterapia (adulti)”, Ismez, Roma. [3]Postacchini Pier Luigi, Ricciotti Andrea, Borghesi Massimo, (1998), “Lineamenti di musicoterapia”, Carocci, Roma. [4]Boxill Edith Hillman, “La musicoterapia per bambini disabili”, Ed. Omega, Torino, 1991. [5]Bonardi Giangiuseppe, (2002), “Osservazione e prassi in musicoterapia”, Dispensa, Corso Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi. [6] Bonardi Giangiuseppe, (2002), “Osservazione e prassi in musicoterapia”, Dispensa, Corso Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi, pag. 6. [7] Bonardi G. op. cit. pag. 6. Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Bonardi Giangiuseppe, Io sono come ascolto. Pubblicato il 5 maggio 2010 da http://musicoterapie.over-blog.com/ 92 Che cosa sollecita in noi l’ascolto di un evento musicale ? Durante l’ascolto: proviamo sensazioni corporee (dimensione corporea); viviamo emozioni, sentimenti (dimensione emotiva); evochiamo ricordi, colori, immagini, pensieri, vissuti spirituali, ecc. (dimensione analogica); riconosciamo le componenti formali dell’evento musicale percepito (dimensione sintattica). L’ascolto musicale favorisce in noi la riscoperta e l’accoglienza delle nostre dimensioni: corporea; emotiva; analogica; sintattica. Perché ascoltiamo in questo modo? Ascoltiamo in questo modo perché, verosimilmente, il nostro sistema uditivo è interconnesso con altri organi che coinvolgono, di fatto, tutto il nostro corpo-mente. In particolare, la membrana timpanica si tende quando ascoltiamo suoni di debole intensità e di alta frequenza, mentre si allenta alla presenza di suoni di forte intensità e alle basse frequenze. Il timpano è innervato dal X paio dei nervi cranici, ossia dal nervo “vago” che da solo controlla il sistema neurovegetativo o somatico. Il nervo “vago” è sollecitato quando ascoltiamo suoni bassi e di forte intensità poiché la membrana timpanica, per proteggere l’orecchio, si allenta. In questa prospettiva l’informazione uditiva può arricchirsi di sensazioni corporee sollecitate dal nervo “Vago”, già a livello timpanico. Grazie alle innervazioni del martello con il “trigemino” (V paio dei nervi cranici) e della staffa, con il VII paio dei nervi cranici, l’informazione uditiva può sollecitare i muscoli masticatori (martello – “trigemino”) e i muscoli facciali e pellicciai del collo (staffa – VII - laringe). L’integrazione del sistema uditivo e il corpo è altresì avvalorata dall’interazione che sussiste tra l’apparato del Corti, situato nell’orecchio interno, il vestibolo e il Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 93 cervelletto, organi preposti al controllo di tutti i muscoli del corpo (vestibolo) dell’equilibrio (vestibolo, cervelletto) e del movimento (cervelletto). Proseguendo il percorso, grazie all’interazione del lemnisco laterale con la formazione reticolare, volta prevalentemente a modulare lo stato di coscienza, l’informazione uditiva può concorrere ad attivarlo o ad attenuarlo. Grazie alle interazioni che si stabiliscono anatomicamente tra i corpi genicolati mediali, il talamo (assolve funzioni cognitive e motorie), l’ipotalamo (presiede alle funzioni mentali che condizionano le emozioni, la vita vegetativa e il sistema motivazionale) e il sistema limbico o ippocampo partecipa alle connessioni tra i processi emozionali, mnestici e cognitivi). Il musicale percepito può ora sollecitare nell’ascoltatore, l’attivazione di processi mentali di tipo: cognitivo, emozionale, mnestico, motivazionale. Finalmente il musicale giunge nello stadio finale di ricezione e di elaborazione, ossia nell’area 41 di Hescl. Quest’area discrimina tutte le altezze che formano il musicale percepito. Dopo, il musicale giunge nelle aree secondarie degli emisferi destro e sinistro. Nelle aree secondarie dell’emisfero destro i gruppi di stimoli acustici eseguiti simultaneamente e le serie di suoni aventi altezze e strutture ritmiche differenti, sono discriminati con esattezza. Nelle aree secondarie dell’emisfero sinistro (dominante), i suoni linguistici sono analizzati e sintetizzati. Finalmente l’informazione musicale giunge al termine del suo viaggio, ossia nelle aree terziarie. Le aree terziarie hanno una funzione integrativa dell’informazione uditiva con quelle provenienti dagli altri analizzatori. È ragionevole presupporre quindi che, nell’elaborazione finale di quanto percepito dall’ascoltatore, non c’è solamente il contenuto squisitamente musicale, ma anche altri carichi di: sensazioni corporee, emozioni, sentimenti, ricordi, immagini, forme, colori… Ripensando a quanto esposto, in particolare, al percorso percettivo preso in esame, l’informazione acustica non viene recepita e trasmessa in modo esclusivamente musicale, ma si integra con altre informazioni somatiche, viscerali, corporee derivanti Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 94 dalle sollecitazioni compiute durante il tragitto considerato, delineando in tal modo la nostra soggettività d’ascolto. In questa prospettiva non è la musica in sé che ha contenuti extra musicali ma sono io che, in relazione al mio sistema ricettivo (corpo-mente), grazie alla musica percepita, conosco le mie dimensioni d'ascolto. Pertanto, è legittimo affermare... IO SONO COME... ASCOLTO e, verosimilmente, L’ALTRO DA ME ASCOLTA IN UN MODO DIVERSO DAL MIO. Giangiuseppe Bonardi Con tag L'ascolto in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Delogu Chiara, La bellezza nascosta: epilogo dell’esperienza musicoterapica con Michele. Pubblicato il 1 maggio 2010 “Il bello è lo splendore del vero.”. Platone[1] “La maggior parte di voi, amici miei, accosta alle rive di questo mondo portandosi nella stiva la vecchia nozione di interruzione, separazione e decadimento che si chiama ‘morte’. Così, fin dal primo vagito, già è impressa un’idea di sconfitta… eppure: è forse una lotta per l’uomo inspirare ed espirare? Dai due continenti della Vita nascono le forze complementari della respirazione cosmica e sarebbe inutile ribellarsi contro il viaggio dell’aria che vi entra nei polmoni per poi uscirne, contro la saggezza del sole che si mette in ombra dietro quella della luna: ciò che temete è la trasformazione, l’atto stesso della distensione che consente di abbandonare il bordo della piscina.”[2] L’idea della dicotomia è profondamente sbagliata, perché tutto è uno. Il simbolo (ancora simboli!) del tao ne è l’esempio, simbolo perfetto: l’armonia degli opposti, perché non c’è acqua senza fuoco, femminile senza maschile, notte senza giorno, sole senza luna, bene senza male. Non c’è piacere senza sofferenza e viceversa, solo capendo ciò, godi del piacere ed accetti la sofferenza. Ciò che è sconveniente e relegato nell’ambito del non detto, del non accettato e del nascosto, fa parte del nostro mondo interiore e il bello e il Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 95 buono, (calos cai agazos), in definitiva, non è altro che la somma di tutto ciò che è anche brutto e cattivo per convenzione. Il mondo interiore è costellato da rifiuti e scarti, che spesso vengono nascosti e oscurati, mentre nel mondo del non verbale questi assumono un chiaro e degno linguaggio espressivo-emotivo. “Nulla è separato da null’altro. Nessuno è perdente o vincitore nella vita. Non avrebbe senso, giacché la vita è una. Noi siamo il tutto in cui buono o cattivo, giusto o ingiusto non hanno esistenza alcuna, eccezion fatta per quella che noi stessi conferiamo loro. Sta a noi dare alla vita i colori che ci piacciono, quelli che vogliamo veder sbocciare tutto intorno a noi.”[3] E in definitiva non si è mai obiettivi perché si sceglie di guardare la realtà, mentre sarebbe auspicabile capirla con l’intuito. Galimberti, in un articolo comparso su D di Repubblica il 27 agosto 2005, provoca così: “Mi è sempre più difficile capire l’arte contemporanea perché troppi sono gli artisti, opportunamente incoraggiati dai critici, che equiparano l’amore per l’arte all’amore per le sensazioni, riducendo così l’opera d’arte a qualcosa che deve stupire, dove lo spettatore, lungi dall’essere ek-statico, cioè "fuori di sé", sta davanti all’immagine con la passività opaca (mascherata dalle parole che ha imparato dai critici) di chi è in attesa di emozioni. Sarebbe necessario portare l’arte all’altezza della forza, dove in gioco sono le figure della vita, della morte, del sacrificio. Sarebbe necessario sottrarla alle parole consuete con cui la concimano i critici, grandi evacuatori, prezzolati per produrre emozioni là dove in gioco non è il solletico dei sensi ma, come dice Coomaraswamy: "La grandezza del rito sacrificale dove lo spettatore è strappato alla sua personalità abituale allo scopo di divenire un dio per la durata di un rito e tornare in sé soltanto a rito compiuto, quando l’epifania giunge al termine e il sipario si cala". La bellezza, infatti, non è nulla di consolante e di riposante, perché a produrla è il lavoro della madre nella generazione, il lavoro di Dio nella creazione. Io penso che all’arte, che nella sua radice "ar" custodisce il senso del "fare", penso che alla poesia, che rinvia al greco poiein, che vuol dire "produrre", completa quel accompagnare le cose nel loro farsi e nell'abbandonarle quando sono fatte. Qui è il dolore della creazione che l'artista conosce. Qui è il senso di quel energheia, di cui parlava Aristotele, che metteva a capo all'ergon, all'opera, congedandosi da lei. A me pare che di questo congedo non sono capaci gli artisti d’oggi quando mettono in scena le opere della natura che essi non hanno creato e poi le raccolgono in cataloghi, un po’ come le ordinate truppe degli Achei, di cui Omero prega le Muse di dargli il katalogos (catalogos). E così l’arte rinuncia alla ricerca sua propria che è quella di scoprire le intenzioni della madre, il ventre di Dio. Desiderio dei segreti dell’assoluto. Insistenza sul luogo cruciale dove lo sguardo immobile del pensiero si fissa Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 96 sulla mobilità dell'esperienza alla ricerca del simbolo che mette assieme (sun-ballein) i contrari. La bellezza della particolarità, la bellezza del mistero che si cela dietro ad un simbolo, dietro ad una parola lanciata come un sasso nello stagno. E se la musica è un’estensione di varie dimensioni dell’umano, le dimensioni dell’umano non possono essere musica? Tutti gli strumenti dell’arte (materia, colori) sono ricavati dalla terra e lo sguardo artistico dovrebbe riuscire a scorgere che cosa si compone quando la terra aduna e che cosa si scompone quando la terra rilascia. Il respiro della terra. La terra, infatti, anche quando va alla deriva si riserva di tornare in sé. Qui finisce la possibilità della descrizione, perché al logos e al suo cosmo succede il caos, lo sbadiglio della terra, che divora tutte le cosmologie e tutti gli ordini che gli uomini tentano di dare alle cose dispiegate sulla terra. La terra, infatti, non ha solo un sopra dove si edificano le opere (d’arte). La terra ha anche un sotto che non è esposizione ma disposizione, nel senso forte di chi dispone dell'essere e del non essere di tutte le cose. L’arte dovrebbe occuparsi della disposizione della terra e compiere qui il suo gioco che è quello della flessione dell'inflessibile. L’arte, infatti, conosce la flessione, la preghiera dell’artista, che chiede alla solidità della terra di piegarsi allo strumento. Fu così che l'arte governò l’artigianato, e fu così che, in epoche ancora non assediate dalla tecnica, l’artigianato divenne con gli alchimisti luogo di conoscenza, trasformazione del vile in prezioso, dove a trasformarsi erano tanto gli elementi che approdavano all'opus quanto l’anima dell’operatore, non quando contempla la sua opera, ma quando la genera, e poi se ne congeda, provando il disinteresse di Dio che dimentica la creazione del mondo.”. Vivo Michele come il creatore di un’opera d’arte che genera e rilascia, a dimostrazione che esiste, c’è, decide. L’angelo superbo, Lucifero, “colui che porta la luce”, prima di essere il figlio perduto, portava con sé la luce della conoscenza e come primo essere spirituale era in grado di riconoscere con chiarezza i limiti delle polarità interiori spirituali. Egli credette di essere in grado di assorbire la Divinità e di poter, di conseguenza, assumere in sé come essere creato e quindi finito, l’infinito stesso. Il finito, però , non potrà mai comprendere l’infinito e così Lucifero perse la posizione corretta, si allontanò dal centro. Sorse un conflitto, una separazione delle parti, da cui deriva il nome “diavolo” (dià-ballo), colui che divide. In quest’ottica la parte più umana di noi è quella diabolica, quella che divide, scinde, separa e ha bisogno di costruzioni articolate, mentre quella divina si occupa di vivere e sentire, di armonizzare questa scissione con l’amore. Ora la musica, secondo me, ha questo potere, quello di unire il diviso, quello di armonizzare, quello di riconnetterci con le nostre parti ‘divine’. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 97 L’angelo è dentro ognuno di noi, instancabilmente abbracciato al demone e si fanno compagnia, e noi cerchiamo di armonizzarli attraverso la bellezza, la musica. Una musica che collega il divino con l’umano, il sacro con il profano, la poesia con il corpo. Michele[4] non scinde tra musica del suo corpo e musica prodotta con gli strumenti, Michele è egli stesso musica. Non parla, perché non ha bisogno di parlare, si fa capire attraverso i gesti. Partecipa di una forza incredibilmente comunicativa. Michele è angelo, colui che annuncia un modo diverso di comunicare. E che nella sua divinità mi permette di unire i contrari, di rappacificarmi, di accordarmi come uno strumento stonato, come l’angelo con il suo demone. Da Platone a Hillman vi sono filosofi e psicologi che sostengono e diffondono l’idea dell’unicità e irripetibilità di ogni singolo individuo, invitandoci a trovare la nostra più vera natura. Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino. Il mio daimon mi ha portato fino a Michele, per raccontarmi di occhi sinceri, di una musica dell’anima, di una musica interiore, lontana da regole, schemi, sintassi e forme. Solo viva e genuina, spontanea e vera. I filosofi non solo stanno al mondo per rintracciare il senso che collega le cose tra loro anche in loro assenza, ossia facendo riferimento solo alla loro immagine, ma creano, in senso lato, a loro volta, immagini di straordinaria plasticità con cui disegnare la relatà, soprattutto là dove la ragione si arena e urge l’ausilio del mito. E allora penso che Michele, con la sua musica, è il filosofo di un linguaggio antico. Ognuno di noi ha una sua personalità, una sua vocazione, una sua immagine che lo contraddistingue in modo radicale e che, di conseguenza, va ricercata e alimentata senza posa, per rendere davvero autentica la nostra esistenza. Noi siamo ciò che abbiamo scelto di essere. Ed ecco che compare un nuovo regalo: con Michele scopro di voler ‘esser-ci’. In questo senso siamo chiamati a decifrare il codice della nostra anima, affinché possiamo cogliere con nitore il senso compiuto della nostra presenza nel mondo. Il celebre mito platonico di Er, descritto nel X libro della Repubblica, a suggello della libera scelta con cui ognuno di noi sceglie il proprio destino: Er, morto in battaglia e risuscitato dopo dodici giorni, racconta agli uomini il destino che li attende dopo la morte, sottolineando come non sarà il dèmone a scegliere le anime, ma le anime a scegliere il dèmone, per cui la responsabilità etica non è del dio, bensì degli stessi uomini Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 98 che hanno liberamente scelto tra i vari paradigmi o modelli di vita loro proposti nell’aldilà. Ecco perché il nostro modello di vita è da sempre inscritto nella nostra anima: scegliere la virtù, coltivare la parte migliore di noi stessi o attuare ogni giorno, con coerenza e coraggio, la nostra vocazione dipende, quindi, solo da noi. [5]Platone: Non sarà il dèmone a scegliere voi, ma voi il dèmone [...]. La virtù non ha padroni; quanto più ciascuno di voi la onora, tanto più ne avrà; quanto meno la onora, tanto meno ne avrà. La responsabilità, pertanto, è di chi sceglie. Il dio non ne ha colpa. Questo daimon (daimon), che possiamo chiamare anche “genio”, componente ineludibile del nostro io, a volte può essere perso di vista, non coltivato, accantonato, ma prima o poi tornerà per possederci totalmente, per definire la nostra immagine, per far emergere quello che chiamiamo il “me”. C’è un punto su cui lo stesso Hillman[6] insiste con passione: se l’uomo si vede solamente come “un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali”, si riduce a statistica, a “mero risultato”, a “vittima” di un codice genetico. È necessario impegnarsi nel vivere il proprio destino, la propria anima. Ogni amante sa benissimo che troppa luce fa male all’amore. L’amore pretende un po’ di oscurità, forse perché la luce è una creatura che si muove sulla superficie delle cose. Noi vediamo un oggetto quando la luce ha colpito la sua superficie ed è rimbalzata in un riflesso. La luce non può penetrare. Ma l’amore esige la profondità, la penetrazione: cose impossibili alla luce. Non c’è unione d’amore tra la carne e la luce… forse perché la ‘Parola’ che ha originato il corpo è nata in un luogo in cui non c’è luce: la bocca. La bocca mangia ben prima di parlare. Mangiare precede il parlare. La nostra ‘Parola’ originaria è gemella del cibo. Quando Ludwig Feuerbach[7], un professionista delle parole, dice che siamo quel che mangiamo, indica il luogo in cui la Parola e la carne si uniscono nell’amore. “Mangio dunque sono”. Il neonato, l’infans, il corpo muto, sa già quel che voleva dire il filosofo. Il bambino conosce la saggezza del cibo. Nella bocca viene data la prima lezione inarticolata della vita. Tutte le parole che verranno scritte dopo sono variazioni sul tema della fame. Parliamo perché il nostro essere ha fame . Forse parlare significa soffrire di una malattia del corpo, significa aver fame. Le parole sono il surrogato del cibo che ci manca. Le parole di Michele raccontano di una fame tagliente, di una fame arrabbiata, di una fame che lavora, che si fa spazio tra suoni e rumori. Michele decide che è arrivato il momento giusto per parlare, ha fame di farsi conoscere. Così la bocca apprende una nuova lezione: il mondo esterno si divide tra quello che si può mangiare e quello che non si può mangiare, le cose da mettere all’interno del corpo e quelle da lasciare all’esterno e quelle da eliminare. Il corpo non è toccato da ciò che si dice e si conosce, ma da ciò che rimane inespresso e silente. Parola e carne si amano negli interstizi, ove dimorano i nostri sogni. Le parole di Bachelard: “non si Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 99 persuade se non suggerendo i sogni fondamentali, se non richiamando alla mente i percorsi del sogno.”[8] La gente si converte con ciò che va al di là delle parole e promana direttamente dalla presenza del santo: l’inudibile suono mantrico che scaturisce dal suo cuore. Come afferma Govinda[9]. E dal cuore di Michele scaturiscono nuove parole. Dal mio, un sincero grazie. Approfondimenti bibliografici AA. VV. (1994), Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano. AA. VV. (1997), Emozioni e musicoterapia, quaderni di musica applicata, Pcc, Assisi. Alighieri Dante,(1992), La divina commedia, Le monnier, Firenze. Alves Rubem, (1997), Parole da mangiare, Edizioni Qiqajon, Bose. Aristotele,(1992) Sull’anima, Adelphi, Milano. Bachelard Gaston, (1974), Il diritto di sognare, Dedalo libri, Bari. 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Amrita, pag 58. [3] Anne e Daniel Meurois- Givaudan, L’incontro con lui, ed. Amrita, pag 58. [4] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [5] Platone, Le opere: Teagete, Newton compton,Roma, 2002, p.107. [6] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1998, p.78. [7] Ludwig Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, a cura di C.Cometti, Feltrinelli, Milano, 1975. [8] Gaston Bachelard, Il diritto di sognare, Dedalo libri, Bari, 1974, p.64. [9] Anagarika Govinda, I fondamenti del misticismo tibetano, Ubaldini, Roma, 1972. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Delogu Chiara Condividi post Giugno Andrello Roberta, Mentre osservo Luca, imparo ad ascoltare me stessa Pubblicato il 28 giugno 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 101 Il ruolo chiave dei miei vissuti nella relazione musicoterapica con Luca Il processo musicoterapico individuale si caratterizza per la compresenza di due persone che vi partecipano con tutto il loro essere. Preoccupato dall’ansia di cogliere tutte le manifestazioni della persona (paziente), molto spesso il musicoterapeuta corre il rischio di “dimenticare” se stesso, quale altra persona coinvolta e polo ricevente di quella che Melanie Klein[1] definisce identificazione proiettiva[2], nella quale, secondo Bion[3], ha le sue basi il controtransfert. In tal modo il musicoterapeuta confonde e scambia per propri i vissuti della persona (paziente), perdendo l’opportunità di sfruttare l’alto valore comunicativo del controtransfert: sapendo separare ciò che lui stesso prova da ciò che la persona (paziente) vuole fargli sentire, invece, il musicoterapeuta si trova nella condizione ideale per entrare in empatia con l’altro (paziente), mantenendo nel contempo un distacco da questi vissuti, necessario per salvaguardare la propria parte sana. In quanto uno dei poli diadici coinvolti nella relazione terapeutica, ho ritenuto di fondamentale importanza rivolgere sempre un’attenzione particolare ai miei vissuti, poiché è proprio con essi che ho dovuto “fare i conti” e misurarmi continuamente, fin dalla prima volta che ho visto Luca[4]. Nei fatti, il grande rischio che ho corso è stato quello di essere “accecata” dall’entusiasmo e dalla voglia di effettuare un intervento musicoterapico di questo calibro, innescando in tal modo una sorta di reazione a catena, il cui esito finale era il “non vedere” quanto accadeva. L’euforia e l’entusiasmo coprivano, forse nel tentativo di difendermi, le molteplici emozioni esperite ogni volta che ero in presenza di Luca. Ciò mi impediva di affrontareserenamente le variesituazioni e di dare loro il giusto significato, necessario per proseguire l‘attività senza ostacoli tra me e Luca. Soprattutto durante le prime osservazioni, quando percepivo la presenza di Luca come fortemente invadente, aggressiva, travolgente e sentivo l’angoscia che il suo comportamento trasmetteva, avevo molta difficoltà ad ammettere di non sentirmi a mio agio, di avere paura di non farcela, di essere inadeguata alla situazione, tant’è che negavo tutto ciò affermando di “stare bene”. Non mi è stato facile, col tempo, ammettere questi stati d’animo, ma posso affermare che questo è stato un primo passo che ho compiuto anche nella direzione della conoscenza di me stessa: grazie a questa esperienza ho avuto modo di misurarmi con il mio modo di essere, ho imparato a percepire, ad ammettere e poi faticosamente ad accettare le emozioni, in special modo quelle spiacevoli. Col passare del tempo la loro presenza mi ha fatta sentire sempre più una persona viva, “a tutto tondo”, nonostante fossero comunque dolorose. Durante il tempo trascorso con Luca, dunque, è come se io avessi affinato le mie capacità “autopercettive”, diventando progressivamente più capace di ascoltarmi in tutte le mie sfaccettature. Questa apertura mi ha consentito di avere una maggiore consapevolezza dei movimenti controtransferali, Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 102 evitandomi così, almeno in parte, di attribuire a Luca emozioni e sensazioni che scaturivano da me e, cosa più importante, mi ha facilitato il difficile compito di riconoscere e di distinguere le situazioni in cui ero oggetto di una identificazione proiettiva da quelle in cui non lo ero. Prestando una vigile attenzione ai miei vissuti, paradossalmente ho potuto essere più attenta a Luca, imparare a conoscerlo, ma soprattutto a cogliere di volta in volta quanto lui mi trasmetteva attraverso il suo modo di essere e di esprimersi nel contesto musicoterapico, riuscendo così, seppure con molta fatica, a trovare il modo adeguato in quel momento per “agganciarlo” ed entrare in “contatto” con lui. Penso che sul piano concreto sia questa l’esperienza che si vive, quando si afferma che ”… nella relazione d’aiuto … lo stesso terapeuta cambia … per diventare un miglior terapeuta.”[5] In tal caso ho la sensazione di aver appena iniziato un cammino tanto tortuoso quanto affascinante, che probabilmente proseguirà senza fine … Osservare Luca, mantenendo la “giusta distanza” L’osservazione di Luca è stata non solo la fase durante la quale ho raccolto le informazioni necessarie alla valutazione della necessità dell’intervento musicoterapico e alla sua strutturazione, ma anche un’occasione di riflessione e di crescita personale e professionale. Se è vero infatti, come affermano Brutti e Scotti, che “ … l’apprendimento dell’osservazione è basato sulla pratica dell’osservazione e non sulla teoria dell’osservazione”[6], la realtà che mi sono trovata ad affrontare è stata un’esperienza importante di apprendimento, durante la quale tutte le nozioni teoriche studiate hanno cominciato a sostanziarsi. In primo luogo ho sperimentato la necessità e al contempo la difficoltà di prendere come oggetto me stessa, quale condizione necessaria per evitare di parlare, di muovermi, di agire, di interpretare, ovvero di ostacolare l’osservazione, creando invece le condizioni per raggiungere Luca. In modo particolare ho vissuto il passaggio dalla teoria alla pratica nella difficile applicazione di quelle che Brutti e Brutti hanno chiamamato ‘regole paradosse’[7], riconoscendo in esse un sostanziamento della ‘reverie’[8][9] materna descritta da Bion: “... calarsi nella situazione con un’attitudine accogliente, senza agire, mantenendo un’attenzione fluttuante; porsi a una giusta distanza dall’oggetto; attivare una visione binoculare; mettere tra parentesi, per quanto possibile, le nostre teorie di riferimento e la nostra esperienza; sospendere ogni giudizio; osservare senza memoria e desiderio; cogliere, oltre il vedere, il non visto.”. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 103 Queste sette regole sono state il mio punto di riferimento nella realizzazione dell’osservazione, ma spesso le particolari situazioni nelle quali mi sono venuta a trovare hanno richiesto molto impegno ed energia per riuscire, anche solo minimamente, a rispettarle. Le difficoltà maggiori sono state rappresentate dal fatto che inizialmente sentivo il peso dell’invadenza di Luca: era come se lui cercasse di “risucchiarmi”, proiettando in me parti di sé, nel tentativo di controllarmi. Durante l’osservazione nel contesto educativo, e ancor più in quella musicoterapica, Luca cercava tutte le strategie possibili per farmi giocare, parlare, muovere, ma non liberamente: il suo desiderio insistente era che io facessi ciò che voleva lui, secondo le modalità e nei tempi da lui definiti. Mi sentivo come il “prolungamento del suo braccio”, l’oggetto del suo delirio di onnipotenza. Queste situazioni mi rendevano molto difficile riuscire a mantenere la “giusta distanza”, a trovare un punto di osservazione dal quale avere una visione chiara e “binoculare”. Fino a che punto ciò che stavo osservando era “offerto” dalla realtà osservata, e cosa, invece, era frutto della mia mente? Le emozioni che provavo erano negative, mi sentivo a disagio, inadeguata, incapace di affrontare la situazione … eppure avevo il forte desiderio di continuare, perché mi rendevo conto che la negatività del mio sentire era in parte una mia personale reazione al comportamento di Luca, in parte qualcosa che Luca metteva dentro di me, ma tutto ciò non coincideva con il mio sé. In questa complessa situazione il fatto di avere degli indicatori da rilevare ha limitato la mia tendenza iniziale a cercare di dare frettolosamente una spiegazione ad ogni evento sulla base delle teorie apprese, e mi ha facilitata nel prestare maggiore attenzione ad aspetti chiave del comportamento di L. che richiedevano, al di là della pura rilevazione, la mia comprensione. Seppure con grande sforzo, e grazie al continuo monotoraggio delle mie emozoni, durante ogni seduta di osservazione ho mantenuto la “lucidità” necessaria per trovare una mediazione tra ciò che avrei dovuto fare, nel rispetto delle regole, e le richieste di Luca, in modo da evitare situazioni estreme nelle quali si sarebbe interrotta o addirittura resa impossibile l’osservazione. Ciò mi ha consentito di riuscire a calibrare i miei comportamenti a seconda delle situazioni, pur mantenendo invariati gli indicatori dell’osservazione, della quale è possibile attestare l’attendibilità. Roberta Andrello [email protected] [1] KLEIN MELANIE, Contributions to Psyco-Analysis, Hogart Press, London, 1948. [2] Nell’accezione Kleiniana l’identificazione proiettiva è uno dei meccanismi di difesa messi in atto dal bambino che si trova nella posizione Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 104 schizoparanoide (prima del quarto mese di vita), quando la visione dell’oggetto è parziale, in quanto esso è scisso in “buono” e “cattivo”, come anche il suo Io. Il bambino proietta quindi parti di sé nel corpo materno per poterlo possedere, controllare con la sua presenza e al limite danneggiare. [3] BION R. WILFRED, Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 1971. [4] Nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy. [5] CHERUBINI G., ZAMBELLI F., La Psicologia dei costrutti personali, ed. Patròn Bologna,1987, p. 40. [6] BRUTTI CARLO, SCOTTI FRANCESCO, Osservazione-conflitto-bisogni, in: Quaderni di psicoterapia infantile, n.4, Borla, Roma, 1981, p. 27. [7] BRUTTI CARLO e RITA, “ Uso e abuso dell’osservazione”, in: Quaderni di psicoterapia infantile, n.33, Borla, Roma, 1996, pp. 16-17. [8] Con “reverie” materna, Bion intende l’attitudine materna in grado di cogliere la proiezione del bambino, capire cosa egli prova e rispondere in modo idoneo; la madre quindi raccoglie e contiene gli elementi che il bambino ha proiettato e li restituisce spogliati degli aspetti più insostenibili, in modo che il bambino possa cominciare a contenere sentimenti sgradevoli, in una forma per lui tollerabile. [9] BION R. WILFRED, Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1970. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonomi Carla, Come è difficile poter osservare il “mondo sonoro” di Costantina Pubblicato il 21 giugno 2010 L’ambiente, che mi fu assegnato dal Direttore Sanitario per realizzare l’osservazione musicoterapica, era situato al terzo piano della sezione maschile del reparto di Geriatria. Era l’unica stanza disponibile ed era utilizzata dai volontari per svolgere attività ricreative con gli ospiti del reparto. Nonostante avessi chiesto di mettermi a disposizione un ambiente scevro da stimoli superflui, sufficientemente isolato da rumori esterni, al fine di intervenire al meglio nella situazione non verbale, la stanza era stracolma di arredi: un armadietto, un mobile basso, un’angoliera a due piani su cui erano appoggiati due vasi di fiori secchi, otto sedie e, appesi alle pareti, c’erano un quadro e i disegni dagli ospiti. Rimasi visibilmente delusa. Feci notare l’impossibilità di poter intervenire, perché la stanza straboccava di “stimoli” e al contempo era priva di spazio per la presenza dei tavoli. In tutta risposta mi dissero: “È l’unica stanza a disposizione; non abbiamo altro”. Capii subito che non avevo altra scelta… dovevo adeguarmi! Chiesi però Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 105 l’autorizzazione di spostare i tavoli e le sedie nell’ingresso della stanza. Autorizzazione che mi fu accordata a patto che la risistemassi al termine d’ogni seduta. All’inizio quindi d’ogni seduta (sia per la fase d’osservazione che nel successivo trattamento individuale) ero costretta a “modificare” l’ambiente. Portavo i tavoli, le sedie, il mobiletto e l'angoliera al di fuori della stanza, staccavo i cartelloni dalle pareti e la “risistemavo” al termine d’ogni singola seduta. Non potendo inoltre lasciare gli strumenti, perché l’armadietto era occupato dal materiale dei volontari, ero costretta ogni volta a portarli e riportarmeli via. Ero disposta a far tutto questo pur di non rinunciare all’esperienza musicoterapica. Cercai quindi di rendere l’ambiente il più accogliente possibile per entrambe, eliminando gli elementi d’arredo che potessero essere di disturbo per la terapia stessa. Lasciai quindi solo l’armadietto e un tavolo. Le due finestre presenti nell’ambiente inoltre lo illuminavano sufficientemente con luce naturale. Al centro della stanza collocai in modo circolare gli strumenti. La disposizione circolare permetteva a Costantina di muoversi più agevolmente e mi permetteva di avere un più ampio spazio per l’osservazione. Proposi a Costantina l’utilizzo: di ben sette battenti, un cembalo, un jambè, un flauto dolce, due maracas, un tamburello basco, un tamburo, un triangolo ed un xilofono soprano. Il tamburo ed il jambè erano posti al centro. Disposi tre sedie, di cui due in cerchio, in posizione frontale vicino agli strumenti, un lettore CD per l’ascolto della musica, il tavolo con la sedia vicino la finestra (a destra dell’ingresso) e l’armadietto vicino alla parete a sinistra. Dal colloquio con le figure di riferimento (Primario, Infermieri, Caposala) che accudivano Costantina, non ebbi informazioni precise in merito alle preferenze musicali della ragazza. Alla mia domanda tutti mi rispondevano: “A Costantina piace la musica; ascolta di tutto”. Nessuno mi ha dato un’indicazione precisa. Non avendo notizie specifiche, mi affidai al mio intuito… Sapevo che Costantina aveva un’età anagrafica di ventinove anni ed un’età mentale che corrispondeva a due o tre anni (dati fornitemi dal Primario). In considerazione di ciò mi chiesi: “Qual è la musica che si propone ad un bambino piccolo? Qual era la musica che ascoltavo da piccola, che tanto mi piaceva?” A queste domande mi venne naturale e spontanea la risposta: “Le canzoni dello Zecchino d’Oro”. Tra le musiche, da me proposte all’ascolto, scelsi alcune canzoni dello Zecchino d’Oro: “Quarantaquattro Gatti, Il Pinguino Belisario e la Tartaruga Sprint”. Le sedute di osservazione musicoterapica avvenivano con cadenza settimanale per una durata massima di trenta minuti. Prima dell’inizio d’ogni seduta, dopo aver accuratamente preparato la stanza, andavo a prendere personalmente Costantina al primo piano: “Reparto Disabilità”. Durante le tre sedute, Costantina mi accoglieva con gioia e accettava volentieri il mio invito. Gioia provata anche da me per la sua disponibilità a seguirmi. Ogni volta mi porgeva la mano e, di seguito, raggiungevamo la stanza di musicoterapia. Arrivate davanti alla stanza, invitavo gestualmente Costantina ad entrare. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 106 Costantina accettava sorridendo, dirigendosi sempre verso la sedia sistemata vicino alle maracas. Costantina, pur mostrando la sua disponibilità a venir con me, per tutte e tre le sedute della fase dell’osservazione, ha sempre assunto la postura seduta sulla sedia, con il capo chino e gli occhi chiusi. Raggomitolata su se stessa, Costantina non guardava e non esplorava nessun strumento, e non stabiliva un contatto oculare con me. Inoltre, ogni qual volta mi avvicinavo al lettore CD per proporle l’audizione musicale, Costantina gridava perentoriamente: “No”. Tenendo quindi conto dello stato emotivo di chiusura (postura seduta, occhi chiusi, corpo raggomitolato) e del rifiuto verbale, manifestato da Costantina, ritenni opportuno non proporle l’ascolto degli eventi musicali predisposti, per evitare “qualsiasi” disagio emotivo. L’unico strumento musicale scelto da Costantina fu quindi la bocca, verbalizzando un perentorio: “No”. Musicalmente il “No” pronunciato da Costantina, con forte intensità, corrispondeva ad una semiminima con altezza oscillante tra il MI4/RE4 e con l’orientamento dell’espressione sonoro – musicale rivolta a sé. Il silenzio caratterizzò musicalmente l’intera fase dell’osservazione musicoterapica. Io vivevo “paradossalmente” quel silenzio con serenità e disponibilità all’ascolto. Ero pronta ad accogliere qualsiasi cosa mi proponesse Costantina. Mi resi conto che Costantina viveva in ascolto di sé, alla perpetua ricerca del suo spazio “vitale”. In sede d’équipe, nel momento della valutazione osservativa, sebbene l’intervento musicoterapico si presentasse difficile, ritenni opportuno iniziare il trattamento individuale. Carla Bonomi [email protected] Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Greco Marina, Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta Pubblicato il 14 giugno 2010 L’oblio dell’ascolto e il primato della visione La grande intuizione socratica, che sembrava aver aperto al pensiero occidentale nuovi orizzonti gnoseologici, è destinata purtroppo ad essere ben presto accantonata e addirittura “tradita”: la centralità del dialéghestai[1] e la dimensione dell’ascolto di sé e degli altri, come via maestra per giungere alla verità, sono infatti ben presto soppiantati dall’affermazione di un nuovo procedere filosofico che sostituisce al dialogo e all’ascolto la visionecontemplazione. L’improvvisa e, direi, brutale privazione della dimensione dell’ascolto rende orfana la cultura occidentale: “nel notevole insieme Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 107 culturale che la civiltà greca ha lasciato in eredità all’Occidente, non vi è nulla, o quasi nulla, che riguardi l’ascolto. Questa è una cosa davvero strana. Come hanno potuto questi giganti del sapere, questi filosofi nati, queste creature ineguagliate dimenticare l’orecchio e la sua funzione di ascolto?”[2] Come è potuto accadere? Paradossalmente è proprio Platone, erede quasi naturale del pensiero socratico, a determinare, nella sua maturità, la progressiva affermazione della visione-contemplazione come strumento principe nella ricerca della alétheia, la verità: il logos perde la dimensione acroamatica e la relazione fra l’uomo e la verità si cristallizza nel paradigma ottico[3]. La maieutica socratica, cioè, aveva esaltato un particolare significato della parola lògos ereditato dal verbo léghein da cui lògos deriva[4]: il lògos che non è solo pensiero, non è solo il dire, ma è soprattutto ascolto accoglimento. La dimensione acroamatica è proprio l’ascoltare dalla viva voce[5]. Nella gnoseologia platonica[6], la capacità di ascolto quale esperienza di accoglimento della verità (dialéghestai) è invece sostituita dall’intuizione: la conoscenza perfetta della verità si configura come visione e contemplazione theoría, ovvero logos intuitivo e contemplativo)[7]. Il Socrate che troviamo nei dialoghi della maturità di Platone non è più il Socrate dei dialoghi giovanili: “quanto più il dialéghestai … svanisce nell’immota “visione” della verità delle idee, tanto più, allora, la forma dialogica diventa qualcosa di puramente dimostrativo [...] Lo stesso Socrate, che nei primi dialoghi [...] è il suscitatore della discussione, diventa nei dialoghi della maturità il maestro e finisce con lo scomparire del tutto”[8]. Il celebre mito della caverna, in cui c’è il nocciolo della gnoseologia platonica, nasce da due necessità: 1) svincolare la ricerca della verità dalla conoscenza sensibile, quella che passa attraverso i cinque sensi, perché fallace e ingannevole; 2) affermare l’unicità della verità: non tante verità quanti sono i sensi, ma una sola che si rivela nella contemplazione. La vista, dunque, anche se trasfigurata nella dimensione contemplativa, diviene comunque senso privilegiato. Il “tradimento” dell’ascolto da parte di Platone si compie nella scelta di fissare il dialéghestai socratico nella scrittura, dove il nome diventa quasi immagine della cosa a cui rimanda. L’ascolto ovviamente non svanisce del tutto nella filosofia platonica, ma perde il suo valore come strumento per la ricerca della verità: ormai l’unica via sembra essere, per la ragione, la visione-contemplazione-intuizione. L’equazione fra conoscere e vedere[9] si radica, da questo momento, nel pensiero occidentale: “il desiderio di sapere si identifica con la volontà di vedere”[10]. Come l’occhio corporeo diviene occhio dell’anima, così la luce, che nel mondo sensibile consente di stabilire una relazione visiva con le cose, nella dimensione contemplativa diviene simbolo del nùs, pura intuizione del vero Bene (il sole del mito della caverna di Platone)[11]. In molte altre culture più antiche di quella greca la luce era simbolo della positività, del sacro e della Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 108 presenza del divino. Questa stretta interrelazione fra occhio dell’anima, luce, conoscenza e rivelazione del divino non poteva non riversarsi dal pensiero greco nel pensiero nascente del cristianesimo che si contrappone all’ebraismo, più legato al primato dell’ascolto e alla irrappresentabilità di Jahvè[12]: “se dovessi definire il popolo ebreo, direi senza esitare che è il popolo dell’ascolto. Quello greco era un popolo «ascoltante»; quello ebreo è letteralmente catturato dall’ascolto. […] Gli ebrei sono andati incontro all’ascolto. Esso li soggioga e li sprona in ogni istante, al punto che finiscono per «obbedirgli». Gli ebrei esprimono incessantemente il desiderio di ascoltare il loro Dio.”[13] Eppure, in un certo modo, anche la religione ebraica potrebbe lasciar intendere che l’ascolto autentico (e dunque la conoscenza di Jahvé) sia, in realtà, una visione: “Il Signore disse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Avete visto che vi ho parlato dal cielo! "”[14]. “Jahvè trasforma l’udito del vero credente in vista, cosicché la voce divina è percepita con l’occhio dell’anima. Lo scambio e la trasfigurazione dei sensi sono qui realizzati da Dio stesso”[15]. Nella tradizione cristiana, il credente ascolta la parola di Dio – testimoniando così la fede nel Verbum da cui tutto proviene – ma la conoscenza della verità è rinviata alla dimensione ultraterrena e si traduce, ancora una volta, in una visione di Dio. Cosicché quella theorìa, lògos intuitivo e contemplativo, che in Platone è rivolta all’idea del Bene, qui si rivolge al trionfo della gloria divina. E nell’iconografia cristiana, infatti, Dio è sempre rappresentato come trionfo di luce. Leggiamo cosa scrive il nostro Dante che ha magistralmente tentato di immaginare l’oltretomba fino alla contemplazione di Dio: [16]. Se scorriamo la storia del pensiero occidentale, notiamo come quell’equazione fra sapere e vedere di cui si parlava sia predominante. Basti pensare solo alla carica simbolica dell’Illuminismo e dell’intero XVIII secolo, le siècle des lumières, quando la luce, da rappresentazione dell’illuminazione divina, diventa metafora dell’emancipazione umana dal buio dell’ignoranza e dunque simbolo del progredire inarrestabile della capacità conoscitiva dell’uomo. La simbologia illuminista trova ampio spazio persino nel percorso iniziatico di Tamino dello Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 109 Zauberflöte di Mozart. Così canta Sarastro: “I raggi del sole disperdono la notte. Distrutto è il potere conquistato dagli ipocriti con l’inganno”; il Coro risponde “Gloria a voi, iniziati! Siete penetrati nelle tenebre vincendole, sian rese grazie a te, Osiride, a te, Iside! La fermezza ha vinto e ha coronato la bellezza e la saggezza in eterno”[17]. La riscoperta dell’ascolto Prima di un recupero significativo e determinante dell’ascolto e della dimensione acroamatica del logos bisogna aspettare il Novecento, quando Martin Heidegger sottopone ad un radicale ripensamento il pensiero occidentale. Egli parte, infatti, dal presupposto che sia improponibile un dire avulso dall’ascolto, un parlare che non sia parte integrale dell’ascoltare, un discorso che non sia raccolto.[18] Il lògos, considerato dai post-socratici in poi solo come un dire, un parlare, un ragionare, un pensare, recupera, dunque, con il filosofo tedesco, il significato dell’ascoltare nel senso di accoglimento. Analizzando, infatti, il verbo léghein, da cui lògos deriva, Heidegger riscopre e ripropone un altro significato del termine che è raccogliere, ovvero un accogliere che raduna, mette insieme. Il léghein è un posare e un custodire: “(Noi) siamo inclini a considerare questo mettere insieme come se fosse già la raccolta e la sua conclusione. Ma la raccolta è qualcosa di più che un semplice ammucchiare. Nella raccolta è implicito un “andare a prendere che porta dentro”. In questo domina l’ospitare; e in quest’ultimo, a sua volta, il custodire […]. Al léghein come lasciar-stare-insieme-dinnanzi importa unicamente lo stare al sicuro, nella disvelatezza, di ciò che sta dinnanzi: per questa ragione il raccogliere che appartiene a tale posare si determina sin dall’inizio in riferimento al custodire.[19]». Queste riflessioni di Heidegger sono decisive in quanto descrivono perfettamente la dinamica dell’ascolto[20]. Il filosofo si sofferma a riflettere sul significato di udire e ascoltare e fa un’interessante notazione: «Noi riteniamo erroneamente che l’uso degli organi corporei dell’udito sia l’udire vero e proprio; e che, all’opposto, l’udire nel senso dell’ascoltare e della disponibilità attenta vada considerato solo come una trasposizione sul piano spirituale di quell’altro che sarebbe l’udire in senso proprio[21].» Per Heidegger, dunque, l’udire non è il semplice recepire e captare le onde sonore che colpiscono il nostro orecchio. Se così fosse «sarebbe vero – dice - che un suono ci entra da un orecchio e ci esce dall’altro. È ciò che di fatto accade quando non siamo raccolti in ciò che ci viene detto … L’udire è primariamente il raccolto ascoltare. È nella capacità di ascoltare che si dispiega l’essenza dell’udire[22]». L’ascoltare, pertanto, è l’udire autentico: «Fino a che ascoltiamo soltanto il suono di una parola come espressione di un parlante, non ascoltiamo ancora affatto. In tal modo non arriveremo mai ad aver udito autenticamente qualcosa… Abbiamo udito quando apparteniamo a ciò che viene detto[23]». Nella parole di Heidegger (“disponibilità attenta”) è Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 110 ravvisabile una riscoperta del valore dell’ascolto attento dell’altro nella dimensione dialogica. Nella concezione heideggeriana al di fuori dell’ascolto non vi può essere lògos. Nonostante ciò, il predominio della visione e del lògos che è solo un dire e non anche un ascoltare è giunto fino ai nostri giorni e determina, probabilmente, uno svuotamento delle relazioni umane, privandole del loro senso più vero. Eppure, nel rapportarsi agli altri è fondamentale lasciare che l’altro “si esprima come tu … saper ascoltare il suo appello e lasciare che ci parli. Questo esige apertura ... chi si mette in atteggiamento di ascolto è aperto in un modo più fondamentale. Senza questa radicale apertura reciproca non sussiste alcun legame umano. L’esser legati gli uni agli altri, significa sempre, insieme, sapersi ascoltare reciprocamente”[24]. Al contrario, il lògos dei nostri tempi sembra essere totalmente lontano dalla “disponibilità attenta”; assistiamo, piuttosto, al trionfo dell’aggressività verbale, di un dire e di un parlare che sono solo prevaricazione dell’altro, imposizione del proprio punto di vista, e che nulla hanno a che vedere con l’ascolto-accoglimento. Noi possiamo consentire di esistere a ciò che ci sta davanti a condizione che noi stessi ci mettiamo davanti in atteggiamento accogliente e, soprattutto, sforzandoci di lasciar-stare-insieme l’oggetto di conoscenza della tradizione occidentale evitando di smembrarlo, dimidiarlo, scorporarlo[25]. In definitiva, pare indispensabile per il pensiero occidentale recuperare il significato più autentico del lògos perché non è possibile nessun legame, nessuna relazione fra gli uomini senza l’ascolto reciproco. Ed è significativo che, per far questo, si finisca per tornare alle origini, riscoprendo quel messaggio interiore di socratica memoria che consiglia e ispira a perseguire un fine semplice ma elevato, la salute dell’anima, e recuperare la dimensione del dialéghestai, dell’ascolto di sé e degli altri. Marina Greco [email protected] [1]Greco Marina, (24/05/2010), L’ascolto agli albori del pensiero occidentale, http://musicoterapie.over-blog.com/ [2] Tomatis A., Ascoltare l’universo. Dal big bang a Mozart, Baldini & Castoldi, Milano 2005, pag.207. [3]Cfr. Mancini, L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verità, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pag. 18. [4] Bisognerà attendere moltissimi secoli prima che tale significato sia recuperato, come vedremo in seguito, da Heidegger. [5] Dal verbo greco acroàomai, che significa appunto odo, ascolto dalla viva voce (cfr. Rocci L., Vocabolario Greco Italiano, Soc. Editrice Dante Alighieri, Città di Castello 1983. [6]Cfr. Platone, Repubblica, libro VII Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 111 [7] Cfr. Giannantoni G., Storia della fiolosofia, vol. III, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, Società Editrice Libraria, Milano 197, pag. 187-188. [8] Giannantoni G., op.cit, pag.156. [9] Cfr. Mancini R.,op.cit , cap. 1, par.2 “Sapere è vedere”. [10] Mancini R., op.cit., pag. 9. [11]Cfr. Mancini R., op.cit., pag.28; Giannantoni G., op.cit., pagg. 184-187. Si tralascia qui intenzionalmente ogni approfondimento su tutte le implicazioni filosofiche e gnoseologiche al riguardo, che in altra sede sarebbero doverose. [12] Cfr. Mancini, op.cit., pag. 29. [13] Tomatis A., Ascoltare l’universo, cit., pag. 214. [14] Esodo, 20,22, trad. tratta da Bibbia CEI, www.vatican.va. [15] Cfr. Mancini R., op.cit., pag. 30. [16] Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 82-90, 100-105, versione a cura di Bosco U. e Reggio G., Le Monnier, Firenze 1983. Si veda anche “la traduzione” in immagine di queste terzine fatta da G. Doré. [17] Mozart W.A. (Schikaneder E.), Die Zauberflöte, Atto II, scena 30. [18] Corradi Fiumara G., op.cit., pag. 10. [19] Heidegger M., Saggi e discorsi, tr. it. a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, pag. 143-144. [20] Cfr. Corradi Fiumara G., op. cit., pag. 14. [21] Heidegger M., Saggi e discorsi, cit., pag. 146. [22] Heidegger M., Saggi e discorsi, cit., pag. 146. [23] Heidegger M., op. cit., pag. 147. [24] Cit. di Gadamer H. G. (Verità e metodo) tratta da Corradi Fiumara, op.cit., pag. 19. [25] Cfr. Corradi Fiumara, op.cit., pag. 28-29. Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Andrello Roberta, Dalla teoria alla prassi: l’intervento musicoterapico con Luca Pubblicato il 7 giugno 2010 Prologo Nel settembre 1999, la Direttrice Didattica di una scuola elementare in provincia di Varese mi ha chiesto di valutare la possibilità di prendere in carico un bambino di sette anni, iscritto alla classe seconda, per un trattamento musicoterapico. Si trattava della mia prima esperienza sul campo, pertanto se da un lato ero entusiasta all’idea di accettare, dall’altra si ponevano una serie di difficoltà da affrontare, che un po’ mi spaventavano. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 112 La prima decisione importante da prendere riguardava la valutazione della necessità e dell’adeguatezza di tale intervento, alla quale potevo arrivare solo dopo un colloquio con lo psicologo che aveva in carico il bambino e dopo un’attenta osservazione, condotta secondo le linee previste dal metodo musicoterapico che avrei deciso di adottare. Avendo avuto il parere favorevole dello psicologo, dovevo necessariamente operare una scelta tra le diverse metodologie musicoterapiche che conoscevo. I criteri in base ai quali ho deciso di applicare la metodica musicoterapica relazionale individuale ideata da Gg. Bonardi* sono tre: questa metodica è in linea col mio modo di intendere la musicoterapia; soddisfa un mio personale bisogno di chiarezza e in questo modo mi dà maggior sicurezza; partendo dalla considerazione che la prassi musicoterapica relazionale individuale è rivolta a pazienti che hanno problemi di adattamento temporale e/o spaziale e/o ridotte o assenti capacità relazionali, ho pensato che tra i metodi musicoterapici che conoscevo, questa fosse la metodica che sembrava adattarsi più esplicitamente alle caratteristiche e alle esigenze del caso in esame. Un inizio difficoltoso La scelta della metodica era di fatto solo l’inizio di un lungo cammino, che non poteva continuare senza prima risolvere alcuni problemi concreti. In particolare sono quattro gli ostacoli che ho dovuto affrontare: far accettare la mia presenza ai genitori tenendo conto della difficoltà che avevano a rendersi conto ed in parte ad accettare le reali problematiche del figlio e rispettando quindi i loro sentimenti; far accettare la mia presenza alle insegnanti conquistando gradatamente la loro fiducia, in modo che non vivessero la mia presenza come minacciosa per la loro autostima personale e professionale; trovare una stanza che potesse diventare il luogo fisso in cui svolgere l’attività musicoterapica con Luca, in un edificio in cui tutte le aule, o quasi, erano già occupate; definire un momento che andasse bene per tutti, durante il quale effettuare le sedute. La fiducia ed il supporto della Direttrice Didattica sono stati per me un grande aiuto, soprattutto nella risoluzione dei problemi logistici. Inizialmente il Capo d’Istituto ha convocato le insegnanti per presentare loro questo intervento, prospettato come complementare a quello dello psicologo e a quello educativo, poi mi ha autorizzata ad utilizzare un’aula della scuola, al Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 113 momento sfruttata come “ripostiglio”, dando ordini ai bidelli che la vuotassero e la pulissero, rendendola quanto meno “agibile”. Tuttavia sentivo di essere io in gioco in prima persona e su di me ricadevano le responsabilità di ogni scelta e di ogni azione, pertanto dovevo trovare il modo di guadagnarmi la fiducia delle persone coinvolte. Prima di presentarmi ai genitori di Luca[1] e di iniziare qualunque tipo di osservazione, ho ritenuto opportuno parlare con le insegnanti, poiché avevano mostrato un atteggiamento ambivalente alla proposta della Direttrice Didattica. Se da una parte, infatti, erano ansiose di ricevere un aiuto da parte di figure che in qualche modo potessero occuparsi di Luca, dall’altra tuttavia erano preoccupate dal fatto che altre persone, oltre a loro, entrassero nella classe. Non solo, ma la parola “musicoterapia” era per loro al contempo piena e vuota di significato: la associavano in linea di massima alla didattica della musica, ma erano consapevoli del fatto che si trattasse di qualcosa di un po’ diverso, che però non sapevano definire. Il problema principale era rappresentato in particolare da una di loro, che mostrava evidente scetticismo e diffidenza e tentava in tutti i modi di ostacolare la realizzazione del mio intervento. Lo scopo dell’incontro con le insegnanti era dunque quello di chiarire cosa fosse la musicoterapia e in quale modo si sarebbe articolata, almeno inizialmente, la mia presenza. Ho sottolineato loro quanto fosse importante per me osservare Luca in classe, rassicurandole sul fatto che l’oggetto di osservazione non erano loro, bensì Luca, in modo che le loro ansie e la paura di essere giudicate potessero essere ridotte quanto più possibile ed il loro comportamento in mia presenza si avvicinasse a quello consueto. Ho inoltre pensato che potesse essere importante farle sentire coinvolte almeno nelle mie decisioni iniziali, in modo che potessero parteciparvi attivamente, vedendo in quale modo si articolava la mia attività e vivendo concretamente un rapporto di collaborazione. Per questo motivo ho fatto in modo che la decisione di convocare i genitori di Luca, al fine di presentarmi e di spiegare loro le ragioni, gli scopi e le modalità di svolgimento dell’attività musicoterapica e di avere il loro consenso per l’attuazione dell’intervento, venisse presa insieme con le insegnanti; anche la scelta di parlare coi genitori in presenza delle insegnanti ha permesso a queste di sentirsi partecipi del progetto e ciò ha contribuito, almeno in parte, a far diminuire lo scetticismo iniziale. Avendo però bisogno di raccogliere informazioni specifiche su Luca, avevo la necessità anche di un incontro in privato coi genitori. Dal momento che non era possibile fissare un secondo appuntamento a breve, a causa dei loro problemi di lavoro, abbiamo deciso di dividere quell’unico incontro in due Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 114 parti: la prima si sarebbe svolta alla presenza delle insegnanti, la seconda senza di loro. Sebbene la Direttrice Didattica avesse dato disposizioni perché io avessi assegnata una determinata aula, tuttavia ogni volta che arrivavo per vedere Luca, la stanza era sottosopra e dovevo lavorare mezz’ora per risistemarla. Sentivo il peso dello scetticismo e onestamente non mi sentivo molto accettata: sembravo “l’intrusa”, che in qualche modo rompeva i delicati equilibri sui quali era costruito l’andamento di quella scuola. Solo la custode della scuola mi sembrava avere molto rispetto di me e penso che ciò fosse dovuto al fatto che avesse a cuore Luca, dal momento che si era accorta dei suoi comportamenti “strani” e che tutte le volte che arrivavo mi parlava di lui con molta tenerezza, aiutandomi nel frattempo a riordinare quella che io definivo l’”aula-bunker”, a causa della scarsa luminosità che mi avvolgeva quando vi entravo, perché tutte le tapparelle erano chiuse, e dell’odore di stantio che la caratterizzava. Il problema di avere uno spazio dove fare musicoterapia non si è mai risolto definitivamente, poiché in pochi hanno veramente capito l’importanza della stabilità dell’ambiente ai fini terapeutici; nel mese di ottobre del 2000, infatti, ho dovuto accettare di usare una stanza del tutto diversa dalla precedente e ho dovuto lottare a “denti stretti” fino alla fine del trattamento, perché durante l’ora in cui lavoravo con Luca potessi usare sempre lo stesso luogo e perché questo rimanesse libero per noi! Il primo incontro con Luca La prima volta che ho visto Luca eravamo a scuola, nel corridoio, fuori dalla sua aula. Con il consenso della Direttrice Didattica, stavo concordando un primo colloquio con le insegnanti. Luca era uscito dall’aula, si era “lanciato” contro il corpo di una maestra e ricercava con insistenza la nostra attenzione. Quando una di loro gli ha chiesto cosa avesse bisogno, Luca ha cominciato a raccontare una serie di avvenimenti che, a detta sua, gli erano accaduti, ma che in realtà erano evidente frutto della sua fantasia e oltretutto non avevano alcun nesso logico l’uno con l’altro. Parlava con voce piuttosto alta girando intorno alle persone presenti, con lo sguardo rivolto a terra; il fatto che lo si ascoltasse e gli si ponessero domande, nel tentativo di interagire con lui, oppure che lo si ignorasse, non costituiva motivo per modificare questo comportamento. È stata impressionante la grande quantità di parole, molte delle quali pronunciate in modo scorretto, o addirittura inventate, che in così breve tempo ci ha travolti come un fiume in piena; il flusso dei pensieri sembrava inarrestabile, così come il movimento di corsa intorno a noi, che tuttavia sembravamo esclusi dalla sua attenzione. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 115 Tuttavia Luca era incuriosito dalla mia presenza: a tratti mi osservava e quando ha richiesto la mia attenzione, parlando e toccandomi come fa un bimbo piccolo con la mamma, mi sono presentata dicendogli il mio nome e chiedendo il suo. Gli ho raccontato di essere una maestra di musica e che sarei tornata altre volte a trovare lui e i suoi compagni. Dopo un’iniziale diffidenza mi ha letteralmente accordato il suo permesso, esclamando: “Va bene, puoi venire!” Pur non conoscendomi mi si è aggrappato al collo e prima che andassi via ha voluto abbracciarmi. Mi sono sentita come “risucchiata” da Luca e ho provato un senso di disorientamento di fronte alla sua invasività, fatta di aggressività, di travolgenti parole, di inarrestabile movimento. Roberta Andrello [email protected] [1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy, di un bimbo avente difficoltà di apprendimento di livello grave, associato a stato ansioso con relativi deficit di attenzione, concentrazione e pensiero logico. Difficoltà nei rapporti coi coetanei. *Bonardi G., (2007), Dall'ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello Sul Metauro (PU). Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post Luglio Greco Marina, Il valore dell’ascolto e del silenzio nella società attuale Pubblicato il 26 luglio 2010 L’uomo occidentale del Terzo Millennio è tiranneggiato da una forte competitività sociale che richiede una costante ostentazione delle proprie certezze e delle proprie posizioni. Guai a mostrarsi deboli, aprendosi alla possibilità del dialogo e dell’ascolto autentici. Ciò significherebbe automaticamente ammettere la propria insicurezza. In realtà si può forse dire che la sconfitta dell’uomo di oggi sia proprio nel rifiuto della possibilità stessa del dialogo e dell’ascolto. Assistiamo impotenti alla giostra dei talk-show e di ciò che rappresenta quanto è più grottescamente lontano dalla realtà Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 116 autentica, ma paradossalmente è chiamato reality, in cui sembra che il premio in palio sia vinto da chi urla di più. È il trionfo di finte discussioni che altro non sono se non solipsistici monologhi dei partecipanti sulla propria vacuità interiore, terrorizzati dalla possibilità del silenzio e dell’ascolto che potrebbero facilmente smascherarla. È come se il rumore del mondo, una sorta di rumore di fondo, facesse costantemente divergere l’uomo dal raccoglimento, dalla meditazione, dal ritrovarsi[1]. Ma questo rumore del mondo è anche sinestesicamente visivo. Osserviamo ciò che ci circonda: non ci sono più spazi liberi, tutto è occupato da immagini, insegne pubblicitarie, luci, parole, messaggi.. Un anomalo esponente del Futurismo, Aldo Palazzeschi, solo ai primi del Novecento ridicolizzava la società dell’epoca e la superficialità della gente, già allora distratta da immagini e parole. Emblematica è la poesia La passeggiata, una sequenza di insegne pubblicitarie, di titoli di giornali, di numeri civici, di insegne di negozi, di manifesti teatrali che si inseguono per 145 versi liberi. “... Le stesse forme del mondo contemporaneo gli appaiono in una successione libera e vuota di parole-insegne, di immagini pubblicitarie che egli – Palazzeschi – può attraversare come in un’allucinazione ridicola”[2]. Il lettore legge e vede con l’occhio delle due persone che passeggiano; su ben 145 versi esse non dialogano se non nei primi due e negli ultimi due. La Passeggiata Andiamo? Andiamo pure. All’arte del ricamo, fabbrica di passamanerie, ordinazioni, forniture. Sorelle Purtarè Alla città di Parigi. Modes, nouveauté. Benedetto Paradiso successore di Michele Salvato, gabinetto fondato nell’anno 1843. Avviso importante alle signore! La beltà del viso, seno d’avorio, pelle di velluto. Grandi tumulti a Montecitorio. Il presidente pronunciò fiere parole, tumulto a sinistra, tumulto a destra. Il gran Sultano di Turchia aspetta. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 La pasticca del Re Sole. Si getta dalla finestra per amore. Insuperabile sapone alla violetta. Orologeria di precisione. 93 ... … -Torniamo indietro? - Torniamo pure. 117 Palazzeschi[3] La straordinaria attualità di questo componimento è sconcertante. La passeggiata dovrebbe rappresentare un tempo-spazio per ritrovare se stessi, se si è da soli, ma dialogare con l’altro, se si è in compagnia. Qui invece a dominare il dialogo e la scena è l’immagine che cattura l’attenzione e la mente. Non è forse ciò a cui assistiamo anche oggi, con un notevole e fulmineo peggioramento? Prendiamo atto di ciò che sta accadendo ai nostri ragazzi, letteralmente fagocitati dalle immagini e dalle parole che non dicono nulla, sempre più incapaci di dare un nome alle loro emozioni sotterrate e perse chissà dove, in fuga da se stessi e sempre più spaventati dal guardarsi dentro, terrorizzati da chiunque possa rivelare una loro fragilità, ma pronti ad aggredire in ogni modo chi dovesse farlo. Totalmente assuefatti ad una modalità relazionale che ormai esclude il dialogo, l’ascolto e il silenzio, passano anni interi con gli amici senza mai arrivare a conoscersi, parlano l’uno sull’altro senza mai realmente prestare ascolto, perdendo irrimediabilmente un’occasione per crescere e imparare. Vivo quotidianamente con i preadolescenti, essendo docente nella scuola secondaria di primo grado, e nei miei dieci anni di esperienza ho imparato che lo strumento più efficace per attirare l’attenzione dei ragazzi è esercitare il silenzio, ovvero tacere al momento giusto. Sono talmente disabituati al silenzio, o meglio, non avendo mai imparato e vissuto l’esperienza del silenzio, i ragazzi ne sono colpiti e stupiti. L’altro c’è ed è percepito proprio perché tace e sa tacere. Il silenzio è il tempo-spazio dell’attesa di ciò che verrà dopo[4], carico e gravido di tutte le possibilità. E allora li vedi lì, finalmente tutti attenti e tesi verso ciò che non sanno ancora, ma che sono curiosi di scoprire. È qui la speranza per la civiltà occidentale: trovare quel tempospazio per mettersi alla ricerca di se stessi e riscoprire e riappropriarsi della propria autentica identità interiore. Sarà il primo passo per porci in ascolto e accogliere l’essere autentico dell’altro, che non costituirà più una minaccia, ma una risorsa, una ricchezza e uno stimolo per crescere. Marina Greco [email protected] Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 118 [1] Manarolo G., Manuale di Musicoterapia, Edizioni Cosmopolis, Torino 2006, pag. 171. [2] Ferroni G., Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi Scuola, Milano 1995, pag.112. [3] Palazzeschi A., La passeggiata, da Guglielmino S., Guida al Novecento, Principato Editore, Milano 1987 (IV ediz.), pag.II/182-183. [4]Greco Marina, (12/07/2010), In ascolto ... del silenzio , http://musicoterapie.overblog.com/ Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina Condividi post inCondividi0 Repost 0 Bonardi Giangiuseppe, Breve lessico dei concetti emotivi Pubblicato il 19 luglio 2010 Provate, osservate, condivise, suonate, cantate, le ‘emozioni’ permeano l’azione musicoterapica. Appena terminata la seduta, quando ci poniamo in una situazione di riflessione e di analisi di quanto abbiamo vissuto durante l’incontro, ricerchiamo riferimenti concettuali che ci aiutino a comprendere quanto è accaduto. Ecco quindi che balenano nella nostra mente alcuni termini: affetto, affetti categoriali, affetti vitali, emozioni, sensazioni, sentimenti, tonalità emotive, vissuti... Così, per comprendere i nostri vissuti, attingiamo a un repertorio concettuale abbastanza ampio che ha sfumature di significato diverso. Non sono quindi termini sinonimi ma definizioni speculative relativamente precise. AFFETTO: “... sentimento di vivo attaccamento a una persona o a una cosa ...”6. AFFETTI CATEGORIALI: “ ... emozioni “discrete” o nominabili ... felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa, interesse, vergogna ...”7. 6 AA VV, Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, pag. 40. Postacchini P.L., In viaggio attraverso la musicoterapia, Cosmopolis, Torino 2006, pag. 138. 7 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 119 AFFETTI VITALI: “ ... attivazioni emozionali senza nome coincidenti con il processo dinamico della vita stessa ... (ossia), fluttuare, svanire, trascorrere, esplodere, crescendo, decrescendo, gonfio, esaurito, ...”8 EMOZIONI: “... esperienze soggettive d’intensità rilevante, accompagnate sempre da modificazioni fisiologiche e spesso da modificazioni comportamentali ed espressive dell’organismo ...”9. SENSAZIONE: esperienza soggettiva rilevata mediante gli organi di senso, (ossia la) “... modificazione che la coscienza avverte in sé come prodotta da stimoli esterni o interni sugli organi di senso ...”10. SENTIMENTO, “... dal latino medievale sentimentu(m)11, derivazione del classico sentīre, ‘sentire’, (ossia) ... avere coscienza di un proprio stato interiore, di una determinata situazione emotiva ... (e/o sensoriale)”12. TONALITÀ EMOTIVA: è l’accordo emozionale che scaturisce tra l’uomo e la situazione-mondo (interiore, ambientale, ecc.) che vive13. VISSUTI: sono l’insieme delle sensazioni, delle emozioni, e dei sentimenti, siano essi piacevoli o spiacevoli, provati dalla persona durante una situazione di vita e/o professionale, denominati dalla stessa con estrema cura e precisione al fine di poterli definire conoscere, analizzare... ACCOGLIERE, giungendo lentamente e progressivamente alla consapevolezza dei ‘contenuti’ dinamici esperiti (Bonardi G.)14. Conoscere il significato dei termini concettuali dei vissuti provati ridà, indubbiamente, il ‘giusto’ valore alle parole che, abusate o utilizzate superficialmente come sinonimi, perdono, inesorabilmente, di significato, rendendo assai ardua la comprensione di quanto è accaduto durante la seduta. Gli ‘AFFETTI CATEGORIALI’ e ‘VITALI’ appartengono alle ricerche psicologiche di Daniel Stern 15, la ‘TONALITÀ EMOTIVA’ promana dagli studi filosofici di Otto Friedrich Boolnow e 8 Postacchini P. L., Op. cit., pag. 138. 9 AA. VV., (2006), Enciclopedia tematica. Vol. 14 - Filosofia A-M, RCS Quotidiani, su licenza Garzanti, Milano 2006, pag. 302. 10AA VV, Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, pag. 1776. 11AA VV, Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, pag. 1778. AA VV, Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, pag. 1778. Bollnow O. F., (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano 2009, pag. 32. 14 Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 38-42. Bonardi G., (2008), E come... emozioni, http://musicoterapie.over-blog.com/ 15 Stern D. N. (1985), Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987. 12 13 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 120 di Martin Heidegger, ‘AFFETTO’, ‘EMOZIONE’, ‘SENSAZIONE’, ‘SENTIMENTO’ appartengono a riferimenti linguistici o filosofici più generali, infine, con il termine ‘VISSUTO’, esprimo una visione personale dello stesso. L’adozione di vocaboli specifici, nella propria prassi lavorativa, riflette il proprio orientamento teorico di riferimento; la corretta conoscenza e applicazione degli stessi permette il dialogo anche tra professionisti che lavorano utilizzando prospettive teoriche diverse. Giangiuseppe Bonardi [email protected] Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe Condividi post inCondividi0 Repost 0 Greco Marina, In ascolto... del silenzio Pubblicato il 12 luglio 2010 Se seguiamo Socrate nel suo insegnamento e dunque sposiamo la tesi secondo cui la salute dell’anima coincide con la conoscenza di se stessi, e posto che per conoscere se stessi è indispensabile innanzi tutto ascoltare il proprio messaggio interiore e aprirsi all’ascolto dell’altro, è imprescindibile porsi una domanda: quali sono gli strumenti che possono consentire a ciascun essere umano di entrare in contatto con la parte più profonda e insondata del sé per poter ascoltarla e conseguire, finalmente, il méghiston agathòn, il bene più grande, ovvero la salute dell’anima e il benessere interiore? Ebbene, presupposto per il recupero dell’ascolto interiore e dell’ascolto degli altri (e dunque per il recupero del dialéghestai) è il silenzio. Il silenzio è una dimensione interiore a cui ciascun essere umano può e deve aspirare se vuole cogliere la verità del sé. Ma di che tipo di silenzio si tratta? Di un silenzio che coinvolge non solo il senso dell’udito e il lògos-discorso[1], ma anche (e a mio avviso soprattutto) la vista. Qualcuno potrebbe obiettare che ha senso parlare di silenzio come assenza di suoni, ma non di silenzio come assenza di immagini. Invece, nel mondo del Terzo Millennio dominato dall’immagine e ad essa asservito, non solo il silenzio ha un senso ma io lo riterrei addirittura indispensabile. Sia chiaro, esistono svariati modi di considerare il silenzio, di interpretarlo e altrettanto svariate sono le sue valenze, a seconda dei contesti in cui esso è, consapevolmente o meno, esercitato[2]. L’aspetto su cui vorrei maggiormente soffermarmi è il silenzio come elemento essenziale all’interno del dialogo, con se stessi e con l’altro da sé. Quale valore assume il silenzio in questo contesto? Un valore maieutico: “nel suo aspetto creativo il silenzio maieutico rappresenta una modalità di essere con l’interlocutore, rappresenta cioè una proposta di «gioco», un contributo allo sviluppo di Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 121 quel tempo-spazio dove due persone si incontrano o si scontrano per condividere un destino di crescita che li accomuna.”[3] È, questa, una tipologia di silenzio che non equivale allo stare semplicemente zitti, ma coincide con lo stare in ascolto e dunque con il tempo dell’attesa. È una pausa nella frase musicale, una sospensione di suoni carica di tutto il senso di ciò che l’ha preceduta, ma tesa verso ciò che verrà dopo; è il tempo-spazio dell’attesa. Nel nostro ragionare, il silenzio maieutico è la dimensione in cui la verità del sé, l’identità, può emergere, e, parafrasando l’Heidegger di Essere e tempo, l’Esserci può rendersi comprensibile. Siamo giunti al punto cruciale del nostro discorso: esercitare il silenzio, sia come dimensione interiore sia come forma di comunicazione, nel dialéghestai è estremamente complesso perché sottintende l’essere disposti ad accettare in primo luogo la verità del sé, qualunque essa sia, e, in secondo luogo, l’esistenza dell’altro da me che può mettere in crisi e destabilizzare ogni certezza. Cosa accade dunque? Che la maggior parte degli esseri umani fugge il silenzio. Corradi Fiumara ha citato le parole di Sciacca[4] per esprimere il senso di panico e di angoscia che domina l’uomo per il terrore di trovarsi dinanzi a quello che l’autrice definisce horror vacui: “il silenzio ha una pesantezza… che non troviamo in nessuna parola: è pesante di tutto ciò che abbiamo vissuto, di tutto ciò che stiamo vivendo, di ciò che vivremo … In un istante di silenzio si raccoglie una vita intera. La teniamo in una mano e sembra di sprofondarci dentro. Non per nulla fuggiamo il silenzio, il solo che ci ponga di fronte alla nostra vita: ce la ricapitola all’istante, tutta presente. È una ricapitolazione che ossessiona, che opprime”. Accettare di esercitare il silenzio per affrontare (ma alla fine ritrovare) se stessi è difficile e pericoloso. Ogni essere umano si chiede: cosa troverò al di là della mia “maschera”? Troverò le mie emozioni, la mia personalità, ciò che mi rende assolutamente unico e diverso da ogni altro essere umano? E se, invece, dovessi scoprire che al di là del copione recitato giorno dopo giorno non c’è nulla, c’è il vuoto? Allora potrei essere risucchiato da questa sorta di buco nero e potrei dunque perdermi. La soluzione? Mettere a tacere quel silenzio assordante, soffocarlo con le parole, con le azioni, divorando il tempo, occupandone ogni istante per non avere neanche la sola possibilità di imbattersi nel proprio sé. In questa costante fuga dal sé, l’uomo occidentale del terzo millennio, ossessionato dalla mancanza di tempo, è notevolmente aiutato dalla tecnologia informatica che semplifica, e al tempo stesso amplifica, la sua vita frenetica: è tutto veloce, rapido, tutto avviene in tempo reale; ma quanto questo tempo realmente si avvicina al tempo interiore autentico, biologico dell’uomo?[5] L’uomo occidentale, intrappolato in una dinamica centrifuga, si allontana sempre più dal suo centro, dalla sua identità, in una parola, dal suo Sé, perché senza il silenzio e senza il tempo non può esserci ascolto. L’ascolto non prescinde dal tempo e dal silenzio. Solo l’uomo che si riappropria del tempo e del silenzio può ascoltare l’essere e riappropriarsi della sua identità, della verità del suo sé. Se già l’uomo fugge da Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 122 se stesso rifiutandosi di rivelarsi, immaginiamo quanto si amplifichino le difficoltà e le barriere quando egli entra in relazione con l’altro. Il dialogo dovrebbe essere occasione di confronto e di crescita, ma questo può accadere solo se il dialogo è autentico, ovvero se ciascun termine della relazione si rivela in modo autentico. Come ci insegna Heidegger, solo chi ha qualcosa di vero e di autentico da dire può scegliere di tacere, mentre chi non ha nulla da dire tende a parlare e a sovrastare completamente l’altro con un fiume di parole. Il silenzio autentico di chi tace, però, riesce a rivelare la chiacchiera e la mette a tacere.[6] Porsi in atteggiamento di apertura, disponibilità e ascolto dell’altro, può nascondere, dunque, una pericolosa insidia per chi non ha nulla da dire. L’ascolto, e dunque l’accettazione dell’altro, sottintende uno sforzo notevole che è quello di ammettere che esiste qualcosa che è altro da me e che può mettere in discussione me e le mie certezze. Ed è forse proprio questa minaccia di destabilizzazione, insita nell’ascolto, che può spiegare il rifiuto di ascoltare dietro cui molte persone, a livello inconscio, si barricano. Marina Greco [email protected] [1] A questo proposito, è preziosa e illuminante la profonda riflessione sul silenzio di Corradi Fiumara contenuta nel settimo capitolo “Silenzio e ascolto” della sua opera Filosofia dell’ascolto, Jaca Book, Milano 1985. [2] Un’interessante sintesi possiamo leggerla in Manarolo G., Manuale di Musicoterapia, Edizioni Cosmopolis, Torino 2006, pagg. 170-172. [3] Corradi Fiumara G., Filosofia dell’ascolto, cit., pag. 135. [4]La citazione di Corradi Fiumara (op.cit., pag.139) è tratta da Sciacca M.F., Come si vince a Waterloo, Marzorati, Milano 1963, pag.111. [5] Cfr. Corradi Fiumara G., op.cit., pag.174 e segg. [6] Cfr. Ibidem, pag. 133. Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina Condividi post inCondividi0 Repost 0 Bonardi Giangiuseppe, In ascolto della mia identità... Pubblicato il 5 luglio 2010 In ascolto della mia identità16... Bonardi Giangiuseppe, In ascolto della mia identità, 5 luglio 2010, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-bonardi-giangiuseppe-in-ascoltodella-mi-52960614.html 16 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 123 Quando ascolto me stesso, che cosa percepisco? Il mio dualismo ricolmo di sensazioni (corpo) ed emozioni (anima). “Questo dualismo iniziale presenta due aspetti. Può essere interpretato come una attività di due forze in opposizione (dualismo propriamente detto) o come una attività di forze in compensazione (monismo dinamico)17.”. La mia identità di uomo o donna è formata, quindi, da forze in compensazione (monismo dinamico), ossia da un ritmo inteso come l’espressione del rapporto di equilibrio che sussiste tra le ‘parti’ contrastanti che lo compongono. La mia identità (1), è in realtà una dualità (2): un corpo e un’anima. Ma l’anima “… contiene una parte mortale ed una parteimmortale18.”. ”Per quanto è visibile in questo mondo, l’anima umana si presenta alla luce del sole come un’ombra e si percepisce nell’acqua come l’immagine sonora del corpo19.”. “… la parte immortale dell’anima è la forma sonora e il ritmo essenziale e imperituro dell’uomo20…”. L’anima musicale si manifesta essenzialmente nel “… timbro della voce, … , e, soprattutto, nella maniera (fine, rozza, volgare, ecc.) innegabilmente individuale di cantare - in poche parole, il ritmo sonoro personale - sono i riflessi più fedeli di ogni individuo21.”. L’essenza di una persona “… si manifesta nel modo di cantare una melodia, cioè un carattere individuale che nessuno può imitare. La melodia della canzone propria può essere una qualunque canzonetta; ma questa melodia diventa una canzone propria, quando la si canta in un modo originale22…”. È nella voce propria, strumento musicale naturale, non richiuso nelle maschere delle tecniche, faticosamente apprese, che risuonano le nostre emozioni più vere che intonano l’incessante melodia della nostra anima... L’incontro con sé, prima, e con l’altro, dopo, è possibile, ascoltando e intonando i contenuti emotivi che popolano l’anima immortale propria e... altrui. Schneider M. (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, p. 7. 18 Schneider M., Op. cit. p. 11. 19 Schneider M., Op. cit. p. 11. 20 Schneider M., Op. cit. p. 12. 21 Schneider M., Op. cit. p. 21. 22 Schneider M., Op. cit. p. 18. 17 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 124 Non è la tecnica in sé che determina la relazione, né tantomeno lo strumento adottato; è la risonanza emotiva sincera che, diventando suono autentico, la rende possibile. Bibliografia Schneider M.,(1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986. Sitografia http://musicoterapie.over-blog.com/ Bonardi Giangiuseppe, Marius Schneider e la... Musicoterapia! Marius Schneider 6/11/2008 alle 22h11 Bonardi Giangiuseppe, A come... analogia Marius Schneider 26/03/2009 alle 22h34 Bonardi Giangiuseppe, Alla ricerca del senso del musicale in musicoterapia L'interpretazione in musicoterapia 12/03/2009 alle 23h05 Bonardi Giangiuseppe, Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider Marius Schneider 12/04/2009 alle 10h31Bonardi Giangiuseppe, Simboli e significati nella prospettiva di Marius Schneider Marius Schneider 16/05/2009 alle 17h13 Bonardi Giangiuseppe, Numeri e significati nella prospettiva di Marius Schneider Marius Schneider 9/05/2009 alle 14h36 Bonardi Giangiuseppe, Strumenti musicali e significati nella prospettiva di Marius Schneider Marius Schneider 20/05/2009 alle 21h16Bonardi Giangiuseppe, La 'musica' di Danilo* L'interpretazione in musicoterapia 12/06/2009 alle 15h10 Di Sabbato Daniela, *V come Valeria... emozioni disvelate Musicoterapia e cerebropatia 22/09/2008 alle 21h35Di Sabbato Daniela, Clelia 'suona'... le sue emozioni L'interpretazione in musicoterapia 13/06/2009 alle 14h14 Bonardi Giangiuseppe, "Aforismi"... schnederiani! Marius Schneider 19/01/2010 alle 20h48 Bonardi Giangiuseppe, Dvořák letto con gli “occhi” di… Schneider! I contributi della musicologia alla musicoterapia 21/09/2009 alle 17h48 Bonardi Giangiuseppe, Una musica del… cuore I contributi della musicologia alla musicoterapia 21/08/2009 alle 14h00 Bonardi Giangiuseppe, Analogie musicali… particolari I contributi della musicologia alla musicoterapia 6/08/2009 alle 17h54 Bonardi Giangiuseppe [email protected] Con tag L'ascolto in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 125 Condividi p Agosto Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Maria Clotilde Sieni e le Sonate di Galuppi per clavicembalo Pubblicato il 31 agosto 2010 Conosco da qualche tempo Maria Clotilde Sieni e, come sempre, mi sorprende. Sono piacevolmente meravigliato e mi chiedo perché mai una raffinata e sensibile interprete proponga una inusitata selezione delle Sonate per clavicembalo di Baldassarre Galuppi? Sembrerebbe una risposta scontata ma, conoscendo un poco Maria Clotilde, credo che, nella realizzazione dell’opera di Galuppi, la Sieni sia mossa da un’infaticabile desiderio di scoprire e riscoprire la propria anima musicale, così ricolma di caleidoscopiche raffinate emozioni che, fatto straordinario, risuonano con inusitata semplicità. Come afferma Maria Clotilde le Sonate: “Esprimono un’interiorità di sentimenti, di amore, di raffinata eleganza, di bellezza di profonda spiritualità che sanno parlare direattamente all’animo. Come una piccolissima miniatura ma ricca di bellezza e di eleganza tutta da scoprire.”. Il percorso musicale scelto dalla Sieni, che si snoda in ben dieci sonate, vuol essere quindi un invito rivolto all’ascoltatore sensibile e desideroso a esplorare il proprio sé acustico, riscoprendo l’immediatezza e la semplicità della musica che, scevra da concettualizzazioni razionalizzanti ridondanti, dischiude la lucentezza e/o l’opacità delle proprie tonalità emotive che risuonano nella propria... anima. Giangiuseppe Bonardi [email protected] Con tag Letture e ascolti consigliati Condividi post Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 126 inCondividi0 Repost 0 0 commento Andrello Roberta, L’osservazione musicoterapica di... Luca Pubblicato il 24 agosto 2010 L’osservazione di Luca[1] nel contesto musicoterapico è avvenuta in tre sedute successive, a cadenza settimanale, nell’aula assegnatami. Scopo dell’osservazione era arricchire e/o completare le informazioni raccolte durante l’osservazione ambientale ed il colloquio e verificare la presenza di alcuni comportamenti e reazioni, a conferma o non conferma di quanto già rilevato. In modo particolare avevo la necessità di verificare il rapporto di Luca con lo spazio, con se stesso all’interno della stanza di musicoterapia, con gli strumenti musicali, con i suoni e le musiche proposte e con me. Per prima cosa ho scelto gli arredi e la loro disposizione, gli strumenti musicali e le musiche da proporre all’ascolto. Ho deciso di disporre un grande tappeto nella zona della stanza corrispondente a quella occupata dal banco di Luca nella sua aula, ossia vicino all’angolo tra due pareti e la finestra; sul tappeto ho posto la sedia per Luca, esattamente nella posizione del suo banco. Questa disposizione è stata pensata allo scopo di dare a Luca la possibilità di ritrovare nel nuovo ambiente una posizione familiare, pensando che ciò potesse essere motivo di maggior sicurezza. L’ambiente doveva assolvere una funzione di “holding”[2], ossia di “contenimento”, nel significato inteso da Winnicott. Sul tappeto sono stati collocati anche una coppia di bonghi a sinistra della sedia, un banco con sopra vari strumentini alla sua destra e uno jambé di fronte ai bonghi. Ho utilizzato il tappeto con una funzione di “contenitore”, per delimitare uno spazio circoscritto, tenendo conto del fatto che la stanza, di per sé, era molto grande e avrebbe potuto diventare un ambiente dispersivo e quindi poco contenitivo e rassicurante. La mia sedia Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 127 era fuori dal tappeto, vicina al registratore (appoggiato su una sedia appena dentro dalla porta), in una posizione che mi consentiva di avere una visione completa sia dell’area occupata dagli strumenti, sia del resto della stanza. Ho proposto a Luca strumenti con timbri, intensità sonore e dimensioni differenti, utilizzabili in modi diversi (ad esempio con la percussione, il tocco, lo sfregamento, lo scuotimento, altro). Non disponendo di strumenti melodici, ho aggiunto a quelli ritmici un flauto di legno. La scelta di Luca mi avrebbe così dato indicazioni riguardo le sue preferenze strumentali, e mi avrebbe aiutata a individuare alcuni aspetti specificamente musicali che fanno parte della sua dimensione sonoro musicale. Come sostiene Bunt, infatti, “… le persone hanno diritto di esplorare una gamma di suoni ed esperienze musicali per se stesse. Come musicoterapeuti siamo in una posizione privilegiata per osservare le scelte delle persone e per cominciare ad esplorare un canale di comunicazione musicale …”[3] Basandomi sulle informazioni raccolte dal padre, ho preparato una musicassetta con la registrazione dei versi delle galline e del cane, con una musica celtica e “Alla fiera di Mastr’Andrè” di Branduardi. Questo assetto è stato mantenuto costante per le tre sedute di osservazione, durante le quali sono stati registrati i dati relativi ai seguenti indicatori: durata di permanenza di Luca nell’ambiente musicoterapico; posizioni e/o posture assunte da Luca; strumenti musicali scelti da Luca; modalità di relazione con sé e con l’altro da sé; risposte manifestate da Luca nei riguardi degli eventi musicali proposti; orientamento delle espressioni sonoro-musicali manifestate da Luca; presenza di particolari comportamenti. Alla fine di ogni seduta ho registrato i dati raccolti sulle apposite tabelle e ho steso i relativi protocolli. Appena entrato nella stanza, Luca è stato attratto dagli strumenti, ai quali si è avvicinato senza però toccarli, quasi ne avesse timore. Mi ha chiesto cosa fossero e in seguito alla mia spiegazione se ne è allontanato, per riavvicinarsi successivamente. Luca non è mai scappato dalla stanza, né ha mai chiesto di uscire prima della fine della seduta, dimostrando così di essere in grado di “tollerare” un lasso di tempo abbastanza lungo in cui svolgere l’attività musicoterapica, tuttavia fin dall’inizio ha riempito lo spazio di movimento: sembrava non potersi fermare, se non per brevi istanti e a debita distanza dagli strumenti; avevo l’impressione che Luca percepisse uno spazio da riempire intrusivamente, all’interno del quale distingueva uno spazio “cattivo”, quello circoscritto dal tappeto e prossimo agli strumenti, e uno “buono”, il resto dell’aula, confermando oltretutto in tal modo le già evidenziate difficoltà di adattamento spaziale, rilevate durante l’osservazione di Luca in classe. Paradossalmente, delimitando col tappeto uno spazio nell’ipotesi che potesse assolvere una funzione rassicurante, avevo circoscritto in modo netto lo spazio “cattivo”, il luogo fobico di tutta la stanza! Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 128 Gradualmente Luca ha cominciato ad avvicinarsi agli strumenti, ma il contatto con essi avveniva solo in modo violento, aggressivo e intrusivo, attraverso un movimento distruttivo e confusivo. Luca prendeva gli strumenti per pochi istanti, non per esplorarli, bensì per lanciarli in alto o contro le pareti, seguendone il movimento con lo sguardo, col corpo irrigidito, con le orecchie tappate dalle mani per non sentire il forte rumore e accompagnandolo con il suono gutturale, già manifestato in altre occasioni. Il silenzio della stanza veniva così interrotto dai rumori degli strumenti che “precipitavano”, cadendo per terra e dalla voce di Luca, che instancabilmente profondeva suoni e parole, intrecciando discorsi almeno apparentemente disorganizzati e al di fuori di ogni vera trama comunicativa. Solo di tanto in tanto ha suonato, interrompendo però la sequenza di suoni giustapposti con le parole ed evitando accuratamente di produrre suoni forti. In questi momenti ha utilizzato gli strumenti musicali per entrare in relazione con sé, poiché la contemporaneità assoluta tra l’esecuzione strumentale o l’atto verbale e l’atto visivo rivolto nei miei occhi è stata presente solo per pochi secondi, due volte su tre. Il fatto che Luca abbia usato indifferentemente tutti gli strumenti, senza evidenziare una preferenza, era una conferma che tutto, strumenti e persone, in quella stanza, era indistintamente oggetto delle sue proiezioni: eravamo tutti “oggetti soggettivi”[4], privi di una nostra esistenza indipendente dal “me” di Luca; ciò mi ha ovviamente reso impossibile individuare gli strumenti più idonei da proporre nei successivi incontri terapeutici. Luca non ha mai rifiutato espressamente di entrare nella stanza di musicoterapia con me, però ha sempre trovato delle scuse per non suonare (ad es. diceva di avere una vertebra rotta), ha ricercato diversivi (tipo esibirsi in giochi d’equilibrio) e insistito perché fossi io a suonare. Il fatto che io stessi in disparte e non soddisfacessi i suoi desideri lo faceva arrabbiare molto: ricominciava a girare nella stanza, mi aggrediva con brutte parole e cercava di sputarmi o di picchiarmi, anche usando i battenti o i legnetti, oppure si chiudeva in un isolato silenzio, protratto anche fino a 10 minuti consecutivi; erano questi i segni di un panico affettivo profondo, che mostravano appieno la vulnerabilità del suo Io ancora nascente, di fronte a qualsiasi minima frustrazione. Nei miei confronti Luca ha manifestato comportamenti ambivalenti: in alcuni momenti dichiarava di volermi sposare, ricercando un contatto fisico fatto di baci e “coccole”, in altri di essere arrabbiato con me e cercava di picchiarmi. Questo mi ha fatto pensare alle parole con le quali la Mahler descrive le psicosi simbiotiche infantili: “… Le gravi reazioni di panico sono seguite da produzioni reitegrative che servono a mantenere o a restaurare la fusione narcisistica, l’illusione dell’unicità con la madre o con il padre. Nella psicosi simbiotica il bambino cerca di arrivare a una reintegrazione attraverso illusioni somatiche e allucinazioni di riunione con l’onnipotente immagine della madre, al tempo stesso amata e odiata narcisisticamente … i confini del Sé e del non-Sé sono confusi; persino la Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 129 rappresentazione mentale del Sé corporeo non è chiaramente definita … sentono che il proprio corpo si fonde con quello di un altro …”[5] Di fatto, se in certi momenti ho avuto proprio l’impressione che Luca facesse in modo che io mi comportassi come se fossi un’estensione del suo corpo, in altri ho pensato che mi considerasse come uno dei tanti oggetti presenti nella stanza; c’erano infatti molte analogie nel modo di relazionarsi con me e con gli strumenti: l’ambivalenza manifestata nei miei confronti si traduceva, verso gli strumenti, in atti di distruttività e aggressività associati a continua, eccessiva motilità, che per lui sembravano essere un esercizio piacevole, alternati a momenti in cui Luca usava questi oggetti, quasi a volerne verificare la sopravvivenza ai suoi attacchi distruttivi, testimoniando in tal modo la non completa separazione soggetto-oggetto. Il comportamento di Luca sembrava la realizzazione concreta delle parole di Winnicott: “… Il soggetto dice all’oggetto: -Io ti ho distrutto- e l’oggetto è lì a ricevere la comunicazione. D’ora in poi il soggetto dice: -Ciao, oggetto!-; -Io ti ho distrutto-; -Io ti amo-; -Tu hai valore per me perché sei sopravvissuto alla mia distruzione di te-; Mentre ti amo continuo tutto il tempo a distruggerti nella fantasia (inconscia)…-. In questi modi l’oggetto sviluppa la propria autonomia e vita e, se sopravvive, dà un suo contributo al soggetto in armonia con le sue proprietà.”[6] Roberta Andrello [email protected] [1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [2] WINNICOTT DONALD W., The theory of the Parent-Infant Relationship, 1960, citato in: DAVIS M., WALLBRIDGE D. C., Introduzione all’opera di Winnicott, G. Martinelli & C. s.a.s.-Firenze, 1981, trad. it. di Gabriele Noferi, p. 124. [3] BUNT LESLIE, Suono, musica e musicoterapia, in: Musicoterapia. Un’arte oltre le parole, ed. Kappa, ed. it. a cura di M.M.Filippi, p. 75. [4] WINNICOTT DONALD W., The Use of an Object and Relating trough Identifications, 1968, citato in: DAVIS M., WALLBRIDGE D. C., Introduzione all’opera di Winnicott, G. Martinelli & C. s.a.s.-Firenze, 1981, trad. it. di Gabriele Noferi, p. 90. [5] MAHLER MARGARET S., Considerazioni diagnistiche, in Le psicosi infantili, Boringhieri, 1968, trad. di Armando Guglielmi, p. 83. [6] WINNICOTT DONALD W., The Use of an Object and Relating trough Identifications, 1968, citato in: DAVIS M., WALLBRIDGE D. C., Introduzione all’opera di Winnicott, G. Martinelli & C. s.a.s.-Firenze, 1981, trad. it. di Gabriele Noferi, p. 92. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 130 Repost 0 0 commento Bonomi Carla, Intonare... emozioni Pubblicato il 17 agosto 2010 Nella fase intermedia, gli incontri musicoterapici avvenivano due volte la settimana, sempre con una durata di quarantacinque minuti ciascuno. In relazione ai positivi “risultati” ottenuti durante la fase iniziale, l’organizzazione “affettivamente rassicurante” dell’ambiente musicoterapico è rimasta inalterata per tutta la fase intermedia. Ogni volta che incontravo Costantina[1], lei era sempre contenta di vedermi. E, ogniqualvolta mi recavo da Costantina, il personale del reparto mi riferiva che chiedeva sempre di me, che mi aspettava ogni giorno. Quando sentiva suonare il campanello della porta della corsia, Costantina si dirigeva, correndo verso l’uscita, e gioendo, a gran voce gridava: “ È venuta l’amica mia”. Ogni volta che la sentivo il mio cuore si riempiva di gioia. Costantina aveva accettato la mia presenza e mi considerava la sua amica. Appena entrata nella stanza di musicoterapia, Costantina si sedeva sulla “sua” sedia, quella vicina alle maracas. A differenza della fase iniziale, dove le sedute erano caratterizzate da lunghi momenti di silenzio e di attesa, in questa seconda fase le espressioni mimiche facciali di Costantina occupavano spesso questi momenti. Costantina si divertiva a volgere il suo sguardo prima verso uno strumento e poi verso di me. Non distoglieva da me il suo sguardo, se non dopo che io le avessi risposto. Spesso rispondevo con la stessa mimica ed a volte con espressioni facciali diverse. La situazione spesso si ribaltava ed era lei ad imitare i miei gesti. In questa seconda fase di trattamento si è avuto un lento e progressivo aumento della durata delle relazioni rivolte nei miei confronti a livello: verbale, a livello strumentale e a livello canoro. Al contempo Costantina aumentava la ricerca e la durata delle personali espressioni sonoro-musicali, ovviamente rivolte a sé. Costantina riusciva a stabilire un maggior contatto con me proprio attraverso il canto: si suonava e si cantava, il più delle volte, contemporaneamente. Iniziavamo ogni seduta, intonando i canti eseguiti nell’incontro precedente, quasi a voler riprendere il contatto interrotto. Il tutto non era programmato e deciso a priori. Non vi era accordo preventivo tra me e Costantina, così come non vi era accordo su chi e quando ognuno dovesse iniziare. Avevo la sensazione che, da parte di entrambe ci fosse massimo rispetto per l’altro, non solo sulla scelta del tempo, quando cioè iniziare, ma anche sulla scelta dei canti da proporre. In alcuni momenti si cantava insieme, quasi a voler condividere le emozioni nello stesso momento, altre volte ognuno “ascoltava” ciò che l’altra proponeva, altre volte lo stesso canto si eseguiva a turno. Sentivo che in questi momenti vi era la massima disponibilità ed “accoglienza” dell’altro, proprio come avviene o dovrebbe Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 131 avvenire tra due vere amiche. Inizialmente, quando volevo proporle una nuova canzone, ero “timorosa”, temevo che Costantina non accettasse le mie proposte e quindi potesse rompere il rapporto di fiducia che si stava instaurando tra di noi. Fortunatamente però questo non accadde. Se il canto facilitava la relazione, le esecuzioni strumentali erano caratterizzate da una chiusura iniziale di Costantina. La ragazza era probabilmente immersa nella ricerca del proprio “sé sonoro – musicale”, perciò non ci poteva essere ascolto per l’altro. In tal senso rilevavo una certa difficoltà ad accorgersi della mia presenza. Con il procedere delle sedute, l’iniziale ascolto di sé lasciava il posto alla disponibilità, al dialogo. Inizialmente imitava i suoni eseguiti da me; altre volte era lei a proporre elementi musicali nuovi. Costantina era attratta dall’intensità del suono da lei prodotto, variandone, sia pur timidamente, l’intensità forte e piano. Le sedute erano altresì caratterizzate da momenti d’ascolto. Era Costantina stessa a chiedermi l’ascolto delle canzoni dello “Zecchino d’oro”, sia verbalmente sia gestualmente. Proposi in questa fase l’ascolto di un terzo brano: “L’ochetta Gelsomina”. Durante l’ascolto Costantina riproduceva il ritmo con il tamburo e il jambé, altre volte assumeva la postura eretta vicino al lettore CD e ballava timidamente. Le relazioni a livello verbale si arricchivano di contenuto, sia pur limitatamente. Mi raccontava le attività fatte nel reparto da lei e da altre ospiti; mi richiedeva informazioni concernenti i miei gusti personali in merito alle scelte d’abbigliamento o informazioni riguardanti la mia vita (dove abitavo, se frequentavo la scuola, se avevo fratelli, sorelle ecc.). Il punto centrale e dolente però restava sempre il ricordo della sua famiglia. Durante questi momenti un velo di tristezza copriva il suo viso. La sua tristezza offuscava la luce che riuscivo a vedere nei suoi occhi. Ogni volta che accennava alla sua famiglia, rispuntavano le lacrime, che luccicavano senza cadere. Con occhi lucidi, voce “tenera” e nostalgica mi chiedeva cosa facevano, come stavano e quando andavano a trovarla. Soprattutto mi chiedeva della sua “mamma”. In quei momenti Costantina esprimeva il suo dolore piangendo. Mi si stringeva il cuore, ma cercavo di tranquillizzarla. Costantina con i suoi occhi gonfi di lacrime mi guardava, fissando il mio sguardo, chiedendomi ogni volta : “Vieni domani?”. Durante la settima seduta mi disse: “ Qui in ospedale non voglio più stare, voglio andare a casa mia”. Tutto sembrava procedere per il meglio: massima la durata di permanenza di Costantina nell’habitat musicoterapico, maggiore l’adattamento spaziale, maggiore la durata di relazione verso di me. Alla quattordicesima seduta si verifica un episodio sgradevole. La stanza che mi avevano assegnata per il trattamento musicoterapico non era più disponibile.All’interno della stanza erano stati posizionati i letti per altri ospiti della struttura. Non ero stata avvisata del cambiamento. Quando arrivai la mattina, carica di strumenti, il caposala del reparto mi informò dell’accaduto. Mi sentii crollare il mondo addosso! Vissi attimi di angoscia e di sconforto! Non avevo più la stanza… “la sola a disposizione”. Per la prima Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 132 volta, mi tornavano alla mente le parole che il Direttore mi disse quando mi fece vedere la stanza. Sapevo che in questo periodo si erano verificati una serie di cambiamenti, tra i quali il cambio del Direttore, ma nessuno mi informò della decisione intrapresa. Non mi arresi, non potevano “ferirmi” (pur con la consapevolezza che in fondo io non ero nessuno, se non una semplice tirocinante convinta però del lavoro che stava svolgendo), non era giusto soprattutto per Costantina! Non potevo andar via all’improvviso. Costantina si fidava di me… io ero la sua amica, non potevo, ma soprattutto non volevo deluderla. Non potevano inoltre non tener conto dei miglioramenti sia pur minimi di Costantina. Mi recai così subito dal nuovo Direttore ed esposi le mie ragioni con rabbia e delusione per l’accaduto. Il Direttore, gentilissimo, capì le mie motivazioni e mi promise un’altra stanza, incaricando la Madre Superiore di liberarmene una. La stanza mi venne consegnata dopo due settimane. In quel tempo, andavo a trovare Costantana in reparto. Mi diedero una stanza situata al piano terra del reparto Geriatria vicino l’ingresso. Una stanza priva d’arredo, dalle dimensioni molto piccole ed esposta ai rumori provenienti dall’ambiente esterno. Per le restanti quattro sedute proposi la stessa organizzazione ambientale (strumenti musicali, arredo, disposizione). Con mia sorpresa, il cambio della stanza non ebbe ripercussioni sul proseguimento del trattamento. Costantina, si adattò al nuovo habitat musicoterapico, mantenendo la postura seduta alla sedia vicino alle maracas, riuscendo a stabilire, con me, un maggior numero di relazioni. Per Costantina quindi nulla era cambiato. Personalmente, ho vissuto con molta tensione la prima seduta. La tensione andò scemando man mano riuscivo ad istaurare il dialogo verbale, canoro, strumentale con Costantina. Il rapporto d’amicizia e fiducia venutosi a creare tra Costantina e me, non s’interruppe. Durante l’intera fase, Costantina ascoltava e assumeva spesso la postura eretta, posizionandosi vicino al lettore CD, quasi si volesse lasciare avvolgere dalle vibrazioni (spesso lei stessa aumentava il volume) e occupare lo spazio per ballare. Quando suonava o cantava si sedeva sulla sedia, relazionandosi maggiormente con me a livello verbale, canoro e strumentale. Il tamburo e il jambé, in ogni caso, erano i mediatori preferiti da Costantina. Io... ero contenta. Carla Bonomi [email protected] [1]Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 133 Andrello Roberta, Alla ricerca degli “elementi” appartenenti alla dimensione sonoro musicale di Luca Pubblicato il 9 agosto 2010 Il colloquio coi genitori La ricerca, quale momento iniziale della fase osservativa, si è svolta con la realizzazione di un colloquio con i genitori di Luca[1], finalizzato al conseguimento dei seguenti scopi: spiegare ai genitori quali fossero le ragioni di questa proposta, le modalità di svolgimento del trattamento musicoterapico e gli obiettivi; ottenere il loro consenso per l’attuazione dell’intervento; raccogliere informazioni sugli ambienti sonoro-musicali esperiti quotidianamente da Luca, in modo da cominciare a ricostruire la sua dimensione sonoro - musicale. raccogliere altre informazioni riguardo Luca e la sua famiglia, utili per un più completo inquadramento della situazione. Il colloquio si è svolto alla sola presenza del padre e solo la seconda parte in assenza delle insegnanti. L’esito del colloquio è il seguente: Il padre sembrava aver accolto positivamente la proposta di effettuare l’intervento musicoterapico, anche se a tutt’oggi non mi sembra ancora di poter affermare che abbia compreso appieno che si trattasse di un intervento terapeutico e non didattico. È stato collaborativo fin dall’inizio, infatti mi ha fatto pervenire le cassette con le musiche esperite quotidianamente da Luca, delle quali lui stesso mi ha parlato. Mi è stato accordato il permesso di effettuare l’intervento musicoterapico. L’ambiente sonoro esperito quotidianamente da Luca è caratterizzato dall’abbaiare dei cani e dal chiocciare delle galline, ossia dagli animali con i quali è spesso in contatto, dato che trascorre diverse ore in giardino col papà; tra le musiche che ascolta più frequentemente ci sono quelle ascoltate dal padre: canzoni celtiche e Branduardi; pare che Luca preferisca “Alla fiera di Mastr’Andrè”. Un'altra sonorità familiare è lo stridore della motosega, usata spesso dal papà per tagliare la legna. Qualche tempo dopo, quando ho usato queste musiche durante le sedute con Luca ho avuto modo di verificare e confermare il mio sospetto iniziale: le musiche che il padre mi aveva indicato facevano parte della sua realtà sonoromusicale, mentre quelle di Luca erano ben diverse! Altre informazioni Luca trascorre molto tempo a parlare, senza curarsi del fatto che l’adulto dal quale ha inizialmente ricercato l’attenzione lo stia ad ascoltare. Molto spesso pretende che i genitori facciano quello che dice lui e nel modo in cui vuole lui, altrimenti si arrabbia e colpisce facendo male. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 134 Anche a casa Luca si rivolge ai genitori utilizzando il contatto fisico come prima modalità di approccio, come fa con le insegnanti e coi compagni. Il padre non sembra preoccupato per la situazione di Luca, infatti attribuisce ogni suo comportamento alla particolare vivacità del bambino; tuttavia è particolarmente loquace: sembra ansioso di parlare del figlio e fa un notevole sforzo per ascoltarmi. L’osservazione di Luca in classe Per poter condurre un’osservazione nel contesto educativo ho dovuto innanzitutto rassicurare le insegnanti circa il fatto che non erano loro l’oggetto della mia attenzione. Insieme abbiamo definito i tempi della mia presenza in classe. Mi sono presentata ai bambini in qualità di una maestra che per qualche giorno sarebbe andata a trovarli, affinché la mia presenza fosse accettata e non interferisse eccessivamente con lo svolgimento dell’attività didattica. In questo sono stata facilitata dal fatto che i bambini sono abituati alla presenza in classe o nella scuola di figure diverse dalle loro insegnanti, in quanto vari “esperti” lavorano con loro, realizzando progetti diversi. Per tre mattine, alla stessa ora, sono quindi entrata nella classe di Luca. La prima cosa che mi ha colpita, la prima mattina, è stato il fatto che pur non avendomi riconosciuta, Luca mi ha abbracciata. Ho effettuato l’osservazione seduta in un angolo dell’aula. Luca trovava tutte le scuse per attirare la mia attenzione; mi guardava dal suo posto, si avvicinava e mi parlava accarezzandomi il viso. Sembrava non poter rinunciare al contatto fisico, come se questo fosse il suo unico modo per conoscermi e riuscire ad accettarmi come uno dei vari oggetti della stanza. Il giorno successivo mi ha accolta abbracciandomi e dicendo che gli ero mancata, mentre la terza mattina mi ha completamente ignorata. L’osservazione si è svolta durante due lezioni di matematica e una di educazione all’immagine: le insegnanti presenti di volta in volta erano quindi due persone differenti. È stato interessante notare come, di fronte a persone diverse, siano esse insegnanti o alunni, Luca adottasse le stesse modalità di relazione, basate fondamentalmente sul contatto Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 135 fisico, la gestualità e la richiesta verbale. A differenza dei compagni che stavano in genere al loro posto, a meno che l’attività in corso non richiedesse uno spostamento, Luca era sempre in movimento: si alzava per avvicinarsi ad un bambino, di solito sempre lo stesso, a me, oppure alla maestra, o anche per girare nella classe. Nonostante ciò rimaneva nell’aula per tutta la durata della lezione, dimostrando che nonostante le evidenti difficoltà di adattamento spaziale all’ambiente, tuttavia Luca era in grado di “tollerare” lunghi lassi di tempo in cui svolgere le attività educative proposte dalle insegnanti . Il clima della classe era in genere sereno, non c’erano forti rumori e nessuno alzava la voce in modo particolare, nonostante i continui scricchiolii delle sedie facessero da sottofondo. Una caratteristica del comportamento di Luca era la frequenza con la quale esprimeva rabbia, scatenata dal fatto che qualcuno non aveva fatto ciò che lui voleva. In questi casi assumeva atteggiamenti di rifiuto e posture di chiusura: si metteva con la faccia rivolta verso l’angolo delle pareti e, quando qualcuno gli si avvicinava, scappava con l’intento di andare a casa, oppure rimaneva in piedi con le braccia conserte e lo sguardo fisso a terra, borbottando tra sé. In alcuni momenti compariva la coprolalia, seguita da cantilene rivolte alla maestra, ad esempio: “Cattiva, cattiva e io vado a casa e tiro un sasso alla scuola...” In queste situazioni alcune bambine si avvicinavano, gli parlavano e cercavano di coinvolgerlo nel loro lavoro. Erano molto dolci con lui, ma non sempre il loro tentativo aveva esito positivo, anzi, a volte le allontanava in modo violento. In alcuni momenti, durante l’esecuzione di attività in autonomia, Luca restava con lo sguardo fisso nel vuoto, come fosse incantato, continuava quasi meccanicamente l’atto motorio iniziato ed emetteva un suono gutturale intonato all’altezza del re centrale del pianoforte (587,3 Hz in riferimento al criterio di accordatura sul LA di 440 Hz). Questo suono è stato molto ricorrente: durante le sedute di musicoterapia è comparso spesso, di solito accompagnato da una particolare gestualità; ho dovuto ascoltarlo (“osservarlo”) e riflettere parecchio, farlo diventare in un certo senso mio, prima di comprendere e poter affermare che era un’espressione di piacere in un momento di regressione. Credo che questo suono rappresenti per me la prima vera esperienza di empatia della quale sono realmente cosciente. Roberta Andrello [email protected] [1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 136 0 commento Bonomi Carla, Dal silenzio al risveglio acustico di Costantina Pubblicato il 2 agosto 2010 All’inizio di ogni seduta, della fase iniziale dei trattamenti, mi recavo da Costantina* nel suo reparto e la invitavo a seguirmi nel contesto musicoterapico. Durante le prime due sedute, Costantina assumeva la postura seduta sulla sedia vicino alle maracas, con capo chino ed occhi chiusi. Non vi è stato quindi da parte di Costantina nessun tipo di esplorazione, né a livello visivo né a livello tattile degli strumenti. Dopo un primo atteggiamento di attesa, vissuto con molta tranquillità da parte mia, decisi di prendere l’iniziativa. Decisi di suonare gli strumenti per lei perché mi ero convinta che, “in fin dei conti” non si può cercare ciò che non si conosce. Per un attimo pensai, forse sbagliandomi, che Costantina, prima di questa esperienza, non abbia mai visto gli strumenti musicali proposti. Forse non sapeva cosa fossero e come si utilizzassero. Inizialmente suonai lo jambé, accarezzandolo con le mani o percotendolo delicatamente con i polpastrelli delle dita o graffiandolo. Successivamente le proposi il tamburo (facendo strisciare i battenti sulla pelle) e le maracas, sintonizzandomi con il tremolio delle sue braccia. Infine suonai lo xilofono, improvvisando una melodia di delicata e lenta. Costantina sembrava gradire questo intervento. Durante “l’ascolto” di ogni strumento, da me suonato, accennava un sorriso; apriva gli occhi ed alzava leggermente il capo, guardando lo strumento per poi ritornare immediatamente nel suo atteggiamento “di chiusura”. Ero preoccupata d’essere invadente, perciò le mie proposte musicali erano brevi e intercalate da lunghe pause, “silenzi”. Durante il terzo incontro, Costantina, seduta sulla sedia, decise di “esplorare” lo jambé, con le mani, ed il tamburo con i battenti.Il tamburo e lo jambé saranno i mediatori scelti da Costantina per tutta la fase iniziale del trattamento. Mentre Costantina “esplorava” gli strumenti, io imitavo i suoi movimenti, utilizzando le mani, evitando il contatto tattile al fine di non apparirle invadente. Per ben quattro sedute le espressioni sonoro-musicali di Costantina erano caratterizzate da un’iniziale fase di esplorazione seguita dalla percussione, con mani o battenti, di suoni di debole intensità, non strutturabili ritmicamente. A volte suonava con gli occhi chiusi, dando l’impressione che si lasciasse avvolgere, per cominciare ad esplorare i suoni provenienti da se stessa. In tutti questi momenti, dopo un periodo di attesa, decidevo di inserirmi inizialmente, imitando il suo “gesto musicale” e successivamente, inserendo semplici incisi ritmici binari. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 137 Costantina però in tutte le produzioni sonore, sembrava non accorgersi della mia presenza. Nella nona seduta, dopo un breve momento esplorativo iniziale, Costantina eseguì, con forte intensità, un ritmo binario ben definito formato dall’articolazione di semiminime. In seguito suonò il tamburo e lo jambé, realizzando un nuovo inciso ritmico, formato da una semicroma seguita da una croma con punto. Inizialmente imitai il suo “incipit ritmico” e, in seguito, proposi delle variazioni. Costantina ripeté, con forte intensità, in modo ostinato le sue articolazioni. Costantina, durante le sue espressioni strumentali, viveva in una situazione d’ascolto di sé. Brevissimi i momenti (due o quattro secondi) in cui le produzioni sonoro-musicali erano rivolte nei miei riguardi. Nella decima ed undicesima seduta, Costantina iniziava la sua produzione sonoro-strumentale con gli stessi ritmi da lei proposti nelle sedute precedenti, trasformandosi quasi in un rituale d’inizio. Con questo rituale sembrava che Costantina volesse riprendere il contatto interrotto, tra una seduta e l’altra, con me, ma soprattutto con se stessa. Nell’undicesima seduta però, dopo aver suonato in modo ostinato i suoi ritmi, con tempo lento ed intensità forte, e dopo una brevissima “esplorazione musicale”, Costantina eseguì un nuovo ritmo (due semicrome ed una croma), sempre con intensità forte e tempo lento. Terminata l’espressione strumentale, Costantina si alzò dalla sedia (mentre io continuai a suonare) e si sedette a terra sotto la finestra. Inizialmente mi guardò, poi fissò il lettore CD, indicandomelo con il dito medio della mano destra, mi chiese d’ascoltare musica. Smisi di suonare e le proposi l’audizione della canzone “Quarantaquattro gatti”. Costantina ascoltava il canto con interesse, sembrava di suo gradimento, tanto che mi richiese l’ascolto per altre tre volte; provai a cambiare evento musicale, ma urlò: “no”. Durante l’ascolto Costantina eseguiva timidamente il ritmo del ritornello con la testa, movendola da una parte e dall’altra, mentre io l’accompagnavo con il tamburello. Nelle successive quattro sedute, l’esecuzione strumentale di Costantina restava invariata e fu lei stessa a chiedermi l’ascolto della musica, indicandomi il lettore CD con il dito. Al primo ascolto aggiunsi però un nuovo brano “Il Pinguino Belisario”. Durante la sedicesima seduta, si verificò la prima grande sorpresa… per la prima volta Costantina utilizzò la voce per cantare. La ragazza accennò diversi motivi, sebbene li pronunciasse in modo poco chiaro. Tra i vari frammenti riuscii a riconoscere una canzone scritta e cantata da Nicola di Bari “La prima cosa bella” e “Mamma son tanto felice” … canzoni che conobbi e che cantai con lei. Attraverso l’espressione canora Costantina riuscì relazionarsi con me per ben quattro minuti... *Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. Carla Bonomi [email protected] Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post 138 Settembre Bonardi Giangiuseppe, Dimmi che prassi musico ... terapica fai, ti dirò chi sei... professionalmente Pubblicato il 16 settembre 2010 Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di assistere all’esposizione, in forma di relazione, filmati e resoconti verbali, di esperienze musicali rivolte a persone diversamente abili. Mentre ascoltavo le innumerevoli pratiche, ne percepivo via via le loro luci, le loro ombre e, fatto singolare, la loro dimensione specifica: animativa, educativa, concertistica, terapeutica... Con mio stupore ho rilevato quindi che alcune delle prassi ascoltate, osservate e analizzate, sebbene non fossero di musicoterapia, avevano una dimensione sorprendentemente terapeutica... affascinante e stimolante. In relazione a quanto ho ascoltato e accolto ho constatato con piacere e con stupore che la musicoterapia, quella ufficialmente riconosciuta, non è l’esclusiva depositaria della valenza terapeutica di un intervento ma possono esistere altre prassi che possono avere, inaspettatamente, una dimensione curativa altrettanto valida. È ovvio che una prassi, musicoterapica o di altro tipo, per sussistere e per essere compresa, non solamente dagli addetti ai lavori, suscita nel promotore della stessa una serie di interrogativi ai quali deve, necessariamente, rispondere. A quale pratica musicale è assimilabile la mia esperienza? È un interrogativo cruciale che richiede all’ideatore della prassi di affermare, chiaramente, che tipo di pratica sia: musicoterapia, educazione musicale, animazione musicale, riabilitazione musicale, concerto, ecc. Una chiara definizione del proprio operato sgombra il campo da dubbi, perplessità, ambiguità circa il tipo di intervento realizzato e permette al fruitore di capire se si tratti di musicoterapia o altro. Se, ad esempio, io sono un insegnante e svolgo la mia attività didattica utilizzando la musica per integrare alunni in difficoltà, benché nella mia prassi educativa utilizzi alcuni riferimenti teorici attinenti alla musicoterapia a completamento di quelli pedagogici abituali, rimarrò un insegnante impegnato nella realizzazione di un compito educativo; la mia attività didattica avrà una valenza terapeutica ma non diventerà musicoterapia. Se, invece, sono un musicoterapista che utilizza nel suo lavoro una particolare metodica ufficialmente riconosciuta a livello nazionale o internazionale e, nel prosieguo dell’attività, sono impegnato nello sviluppo di una abilità cognitiva del mio assistito, nel fare questa attività non divento improvvisamente un insegnate ma rimango un musicoterapista impegnato nello sviluppo del suo percorso terapeutico; la mia attività ‘curativa’ avrà anche una valenza cognitiva. Avere il coraggio di affermare quale sia la propria prassi è indice di chiarezza personale, professionale e, ciò che conta maggiormente, di credibilità. A quale orientamento teorico di Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 139 riferimento è ispirata? Qualsiasi prassi che utilizza la musica, per cui anche la musicoterapia, non nasce casualmente ma promana da un orientamento teorico ispiratore. È chiaro che l’orientamento teorico scelto non è semplicemente acquisito a livello informativo ma richiede una lenta, consapevole assimilazione. Quali sono le finalità? Le finalità di qualsiasi prassi e, in particolare, di quelle musicoterapiche, sono strettamente legate alla situazione-problema presa in esame per cui è bene ascoltare, osservare al meglio delle proprie capacità professionali e umane le potenzialità espressive e percettive sonoro-musicali della persona presa in esame; si eviterà in tal modo di elaborare progetti di intervento, accattivanti sulla carta, ma tristemente illusori e, fatto grave, irrealizzabili. Quale percorso ho seguito per raggiungere le finalità prefissate? La prassi non è caratterizzata da un particolare, seppur significativo, evento ma è, di fatto, la storia evolutiva di un percorso fatto di fasi. La lettura analitica delle fasi, documentate in musicoterapia con i protocolli delle sedute, consente di evidenziare l’evoluzione del processo, sottolineando, tappa dopo tappa, i contenuti salienti dell’intero percorso, dischiudendo il senso dell’esperienza stessa. Quali contenuti musicali evidenziano la dimensione acustica dell’espressività ‘emotiva’ dei partecipanti durante le fasi del percorso? La ricerca del senso racchiuso nel musicale agito e ascoltato dai partecipanti durante le varie fasi del processo, può evidenziare la correlazione esistente con le emozioni esperite dai soggetti coinvolti e, in musicoterapia, è una ricerca ormai imprescindibile. Quali contenuti terapeutici evidenziano la dimensione relazionale dei partecipanti durante le fasi del percorso? Un’attenzione alla dimensione emozionale provata dai partecipanti non pregiudica la descrizione oggettiva della situazione considerata ma sottolinea l’aspetto umano dell’incontro, impregnato di vissuti ora piacevoli ora spiacevoli; è ben chiaro che, in musicoterapia, l’analisi dei vissuti provati dai partecipanti costituisce, unitamente al musicale agito e ascoltato, l’anima del processo stesso. C’è congruenza tra l’orientamento teorico di riferimento scelto e la prassi evidenziata? La congruenza tra quanto si è affermato a livello teorico e l’effettivo riscontro nella realizzazione dell’esperienza testimonia la coerenza e la validità dell’esperienza stessa e, in particolare, di quella musicoterapica. Quali sono stati gli effetti dell’esperienza nei contesti di vita quotidiana vissuti dall’altro da me? Una prima riflessione conclusiva riguarda l’individuazione e il senso delle ricadute che la persona, il fruitore del progetto, ha vissuto nei contesti di vita abituali. Quali sono state le ricadute personali e professionali derivanti dall’analisi dell’esperienza? Un’altra imprescindibile riflessione conclusiva è inerente la crescita umana e professionale vissuta dal conduttore durante la realizzazione dell’esperienza. Riflessione... breve e conclusiva Riflettere in merito a ciò che realmente si fa, specialmente in musicoterapia, è quindi ora una necessità poiché, in tal modo, ci si interroga sul proprio Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 140 operato, evitando di demandare ad altri le responsabilità sottese ad esso. In questa prospettiva il soggetto della prassi, in special modo quella musicoterapica, non è l’autore dell’orientamento teorico di riferimento scelto ma è il conduttore e l’ideatore della stessa; è lui, di fatto, il vero e unico responsabile del proprio lavoro. Giangiuseppe Bonardi [email protected] Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonardi Giangiuseppe (a cura di), La parola, l’opera del M° Boris Porena Pubblicato il 8 settembre 2010 Monteverdi, Strawinsky, Porena Porena Boris: La parola Cantata Corale Corale Polifonica Valchiusella Anonymi Cantores Direttore: M° Bernardino Streito Edizioni Fonografiche e Musicali Pro Civitate Christiana Via Ancajani, 3 La Cittadella 06081 Assisi (PG) Pro Civitate Christiana Sezione Musica Tel. 075/812288 [email protected] http://www.musicoterapiassisi.it/ Ci sono musiche che ci appassionano, altre evocano ricordi, altre ancora suscitano in noi uno stato di benessere e alcune... fanno riflettere. Sì, ci possono essere eventi musicali che hanno la forza di farci meditare su temi estremamente attuali. In un’epoca di comunicazioni di massa ridondanti, “La parola”, l’opera del M° Boris Porena, richiama musicalmente l’attenzione dell’ascoltatore sul senso stesso della parola. In particolare nella terza sezione, utilizzando un peculiare dualismo musicale: parola cantata e parola recitata, l’Autore enfatizza acusticamente, con magistrale patos musicale, la dimensione duplice che può assumere la parola ora considerata, in relazione alla situazione di utilizzo, come ‘... segno sonoro capace di affermare o di negare la proposizione del discorso, cioè la parola intesa come oggetto Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 141 semantico, quindi come "segno portatore di senso", strumento dialettico di affermazione e al tempo stesso di contraddizione... ’[1]. Ascoltando e riascoltando la “Cantata Corale”, magistralmente diretta dal M° Bernardino Streito, splendidamente interpretata dalla Corale Polifonica Valchiusella e dagli Anonymi Cantores, non sono attratto dalla sintassi musicale che la caratterizza ma rifletto, ancora una volta, sull’uso e sull’abuso delle parole quotidianamente utilizzate in situazioni professionali, amicali e familiari. Verosimilmente Porena, con questo evento musicale, ci sollecita a ricercare il ‘giusto’ significato delle parole utilizzate sia nel dialogo, sia nella stesura di una relazione. Porena ci rammenta, ora con la voce cantata, ora con la voce recitata, la duplicità insita nell’espressività umana per eccellenza, ricordandoci che l’utilizzo dei termini è legato indissolubilmente, non al caso, ma alla nostra scelta, speriamo ora... maggiormente consapevole. Giangiuseppe Bonardi [email protected] [1]Ringrazio la Sezione Musica della Pro Civitate Christiana di Assisi (PG), in particolare la Dott.ssa Paola Baracchi, per aver concesso la possibilità di Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 142 pubblicare in ‘Musicoterapie in... ascolto’ l’immagine della copertina del CD in cui trova la registrazione de “La parola”, nonché alcune citazioni accluse al libretto pag 6. e pag. 17. Giangiuseppe Bonardi. Con tag Letture e ascolti consigliati Condividi post Ottobre Le dimensioni sollecitate dall'ascolto: seminario Pubblicato il 28 ottobre 2010 da http://musicoterapie.over-blog.com/ Con tag Corsi convegni seminari ecc Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Il suono, il grido, il lamento... nel pensiero schnederiano Pubblicato il 21 ottobre 2010 “Il suono (…) è la relazione che corre tra il pensiero e l’immaginazione”. Schneider M.1 “Una forma elementare del desiderio è il grido... (che esprime acusticamente la) ... volontà di crescere e di vivere...”. Schneider M.2 “Il lamento e il gemito ... sono i ritmi dello spirare della vita... ”. Schneider M. 3 “Cantare significa « dare » e udire, « ricevere » ”. Schneider M.4 “Il canto ... corrisponde alla fedeltà e alla volontà ...”. Schneider M.5 “... la nozione di cantare è sempre legata all’idea di sacrificio (sfregamento) .”. Schneider M. 6 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 143 “Il sacrificio (sfregamento) è … l’organizzazione della forza (acustica) che regola i rapporti tra cielo (la dimensione spirituale) e la terra (la dimensione materiale).”. Schneider M.7 Bonardi Giangiuseppe [email protected] 1Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 169. 2Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 178-179. 3Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 180. 4Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 66. 5Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 180. 6Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 66. 7 Il significato della musica, Rusconi, Milano 1987, pag. 81. Con tag Il senso del musicale in musicoterapia Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Andrello Roberta, Dall’osservazione di Luca al progetto d’intervento musicoterapico Pubblicato il 14 ottobre 2010 Dai dati rilevati durante la fase di osservazione musicoterapica emergono alcune dinamiche relazionali manifestate da Luca (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) nell’ambiente musicoterapico. La durata di permanenza di Luca nella stanza di musicoterapia (adattamento temporale) si attesta tra i 21 e i 30 minuti. Ciò indica la capacità di “tollerare” un lasso di tempo abbastanza lungo in cui svolgere l’attività musicoterapica. Al contrario, il frequente cambiamento di posture e posizioni assunte dal bambino durante le tre sedute, indica la ricerca di un adattamento spaziale rispetto agli elementi presi in esame. L’unico dato con gradiente massimo è quello relativo alla deambulazione nello spazio che dura da pochi secondi a più di 5’ minuti consecutivi, alternata a momenti di staticità in posizione seduta o eretta, della durata massima di 2’ minuti ciascuna. Sebbene non ci sia un rifiuto dell’intervento espresso verbalmente, tuttavia la ricerca di diversivi (ad es. giochi di equilibrio) e di scuse (es. mal di schiena) per non suonare ed il rifiuto di suonare, sono presenti con gradiente massimo. Le modalità di approccio relazionale adottate da Luca evidenziano difficoltà a porsi in relazione con l’altro da sé : i mediatori sonoro - musicali adottati da Luca sono stati da lui utilizzati per entrare in relazione con sé, poiché la Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 144 contemporaneità assoluta tra l’esecuzione strumentale o l’atto verbale e l’atto visivo rivolto nei miei occhi è stata presente solo 2/3 volte per seduta e ha avuto la durata massima di 4/5”. Di converso, sono stati numerosi e frequenti i momenti in cui Luca relazionava nei riguardi di sè, con una prevalenza dell’espressione strumentale e dell’atto verbale. I mediatori sonoro - musicali proposti sono stati utilizzati tutti in ogni seduta, alternativamente e per pochi secondi ciascuno, fatta eccezione per lo djumbè che è stato scelto solo nelle ultime due sedute. Questi dati correlano positivamente con le considerazioni effettuate nella fase di osservazione ambientale, confermando l’ipotesi di una palese difficoltà di adattamento spaziale e un quadro relazionale limitato. Sulla base di queste rilevazioni in rapporto agli indicatori qui presentati, ritengo utile un intervento musicoterapico individuale da effettuare con Luca. Scopo dell’intervento è quello di riattivare questo suo difficoltoso processo relazionale, utilizzando i mediatori sonoro - musicali scelti. L’intervento si articola in 54 incontri aventi una durata iniziale di 20’ per seduta. Le linee guida del progetto musicoterapico Partendo dalle conclusioni alle quali sono pervenuta in seguito alle osservazioni, ho progettato l’intervento musicoterapico seguendo la struttura prevista dalla prassi musicoterapica relazionale individuale. Ho quindi articolato l’intervento in tre fasi, ciascuna composta da 18 sedute a cadenza settimanale, della durata iniziale minima di 20 minuti ciascuna. Fin dalle sedute di osservazione mi ero resa conto che non sarebbe stato possibile fondare l’attività musicoterapica sulle sintonizzazioni esatte, proponendo a Luca delle consegne che richiedessero la sua attiva partecipazione nell’esecuzione di improvviazioni sonoro-musicali, o nella realizzazione di strutture ritmiche già esistenti, in un gioco imitativo a due, poiché da parte sua c’era un rifiuto tanto a suonare, quanto a lasciare suonare me. Le competenze socio - relazionali di Luca erano talmente primitive, che prima di poter usare gli strumenti musicali come mediatori della relazione con l’altro da sé, Luca doveva riuscire a percepirli come fenomeno esterno, come entità permanente, separata dal suo Sé. In questo senso il mio intervento, che prima delle osservazioni pensavo potesse essere definito “riabilitativo”, in realtà si è configurato come “terapeutico”, poiché mi sono trovata a dover “… lavorare “dal di dentro”, utilizzando la sintonizzazione di tipo empatico per favorire un lavoro di ricostruzone interiore … in cui il materiale sonoro … era … il risultato di questa condivisione corrisposta empaticamente dal terapeuta …”1. Il mio punto di partenza erano dunque, nel contesto della musicoterapia attiva, le sintonozzazioni inesatte che, consentendo “… di riprodurre situazioni non troppo lontane dal tema originario dello stimolo, con il conseguente piccolo carico di frustrazioni connesso allo sforzo di dover attivare un minimo livello rappresentazionale ed astratto … favoriscono… un primo approccio elaborativo, basato tanto sul riconoscimento di una buona parte dello stimomlo oiginario, e quindi una condotta rassicurante Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 145 legata al campo del consueto (ripetizione, coincidente con un certo grado di identificazione proiettiva) quanto sulla necessità di dover affrontare una piccola variazione che consente di sperimentare il campo del nuovo e di aprire la mente a nuove strategie di funzionamento (tema con variazioni, coincidente con un certo grado di identificazione introiettiva) …”2. Roberta Andrello [email protected] 1 POSTACCHINI P. L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., Le strategie d’intervento, in: Lineamenti di musicoterapia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, p. 123. 2 POSTACCHINI P. L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., Le strategie d’intervento, in: Lineamenti di musicoterapia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, p. 115. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonomi Carla, “L’incantesimo della chitarra” Pubblicato il 8 ottobre 2010 Al fine di migliorare la “qualità” delle nostre relazioni sonoro-musicali, ormai orientate in una prospettiva interattiva, nella fase finale, proposi a Costantina[1] un nuovo mediatore sonoro: la chitarra. Grazie all’adozione della chitarra rilevai che Costantina si relazionava meglio con me, aumentando la durata delle interazioni canore. Gli strumenti a disposizione mi sembravano pertanto insufficienti a far fronte alle esigenze di Costantina. L’habitat musicoterapico, ad eccezione del nuovo strumento, non ha subito modifiche. Gli incontri avvenivano tre volte la settimana. Durante la prima seduta, lo sguardo di Costantina cadde subito sulla chitarra, la guardava sorridendo, indicandomela con l’indice destro e con la mano sinistra mi chiedeva cosa fosse, mentre, nel frattempo, osservava anche me. Costantina non conosceva la chitarra, il suo timbro. Decisi così di prendere la chitarra ed iniziai a cantare le ‘nostre canzoni’[2]. Lo sguardo di Costantina era misto d’incredulità e stupore. Dopo aver suonato, collocai la chitarra al suo posto tra le maracas ed il triangolo. Costantina, senza un attimo d’esitazione, incuriosita si alzò, prese la chitarra e tornò a sedersi sulla sedia, vicino alle maracas. Iniziò a suonare, muovendo velocemente la sua mano destra dall’alto verso il basso, mentre la sua mano sinistra impugnava il manico, appoggiando le dita sulle corde. Il suo viso assunse un’espressione Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 146 appassionata. Costantina iniziò a cantare, adeguando il ritmo della sua esecuzione canora, mentre io “imitavo” con il cembalo la sua scansione ritmica. Con il procedere del trattamento mi resi conto che la chitarra, introdotta all’interno dell’habitat musicoterapico per la mia esigenza di accompagnare la produzione canora di Costantina, era diventata il mediatore strumentale preferito dalla stessa, insieme al jambé ed al tamburo. Nella quarta seduta, che io considero la più rilevante dell’intero trattamento finale, Costantina entrò nella stanza di musicoterapia e si sedette sulla sedia. Era molto triste. Mi chiese subito notizie della sua mamma ed iniziò a piangere. Dopo due minuti, Costantina si alzò e si sedette a terra vicino l’ingresso, appoggiando le sue spalle alla porta. Anch’io mi sedetti di fronte a lei, dopo aver preso la chitarra. Eravamo molto vicine, mentre le sue lacrime continuavano a bagnare il suo viso. Costantina non mi guardava, il suo sguardo era perso nel vuoto. Iniziai a suonare e a cantare con la speranza di alleviarle la sofferenza. Costantina evitava il contatto oculare e sembrava impenetrabile alle mie proposte musicali. Notando la chiusura emotiva di Costantina, decisi così di non suonare. Appoggiai la chitarra sul pavimento e restai seduta a di fronte a lei. Costantina non mi guardava, ma sentivo che in qualche modo era presente. Ripresi la chitarra e ricominciai a suonare. Non volevo richiamare l’attenzione di Costantina, ma sostenerla, comunicarle, in qualche modo, che ero presente… ero lì, vicino a lei. Non potevo fissare lo sguardo di Costantina, allora chiusi gli occhi e cominciai a suonare ciò che sentivo in quel momento. Dopo un’iniziale esecuzione di lente sequenze ritmiche e arpeggi, lasciai cadere a terra il plettro che tenevo stretto tra le mie dita e cominciai, sommessamente a far vibrare più volte a vuoto le corde MI (sesta corda), LA (quinta corda) e RE (quarta corda). Suonai moltissimo, non so per quanto tempo. Avvertivo sensazioni strane. Sentivo di perdere il contatto con tutto ciò che mi circondava (la stanza in quel momento era vuota per me) e non sentivo più il mio corpo, avvertivo un senso di leggerezza. Aprii lentamente gli occhi, quando sentii “qualcosa” sfiorare delicatamente la mia mano sinistra, che impugnava il manico della chitarra. Aprii gli occhi e mi resi conto che quel “qualcosa” era la mano di Costantina. Per la prima volta Costantina cercava il contatto. Lasciai scivolare lentamente la mia mano sinistra (la mano destra di Costantina era appoggiata sopra la mia) verso il centro della chitarra. Sfilai lentamente la mia mano, e senza perdere il contatto, l’appoggiai sopra la sua mano, facendo appoggiare le sue dita sulle corde, provocando una leggera pressione per far vibrare le corde (MI-LA-RE), spostando le mani verso il basso. I nostri sguardi per un attimo si incrociarono. Costantina però sollevò lentamente la sua mano e, girandola afferrò la mia, tenendomela stretta. Appoggiai lentamente, con la mia mano destra, la chitarra a terra. Lentamente lasciai scivolare più volte le mie mani, prima sulle braccia di Costantina, e poi sul suo viso, accarezzandola. Lo sguardo di Costantina era “estasiato”, mentre nel frattempo fissava il soffitto. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 147 Dopo circa cinque minuti cominciò anche lei ad accarezzarmi prima il viso e poi le braccia. Costantina mi fissava, ma lo sguardo era ancora vuoto, gli occhi mi sembravano quelli di uno spettro. Il contatto durò circa quindici minuti, giunti al termine della seduta, lentamente aiutai Costantina ad alzarsi e l’accompagnai in reparto. L’intera fase del contatto (vissuta con molta tranquillità) era, da me percepita, come un bisogno, molto intenso d’affetto, di aiuto, manifestato da una “bambina”, che cercava il contatto con la mamma. Con la consapevolezza che io ero solo “la sua amica” ed in nessun modo volevo e non potevo prendere il posto della “(sua) mamma”, nelle sedute successive decisi di favorire il “risveglio” della consapevolezza e della separazione delle nostre identità. Improvvisavo ad es. canzoni avvicinandomi a Costantina, toccandola e stringendole le mani; identificavo le nostre attività, cantando il nome di entrambe; inventavo canzoni inserendo anche i componenti della sua famiglia “Batti batti le manine che adesso vien…” Non sono mancati in quest’ultima fase momenti di libera improvvisazione sia strumentale che canora. Man mano che la reciproca fiducia aumentava, le sedute acquistavano una nuova dimensione, attraverso cambiamenti musicali “prudenti”, ma intenzionali sia per la dinamica che per il ritmo. Un mondo di suoni si apriva a Costantina: percuotere il tamburo o il jambé, strimpellare la chitarra divenne per Costantina fonte di gioia. Riusciva ad ottenere suoni piano e forti, ed entrambe la soddisfacevano. Accrebbe progressivamente la durata del contatto oculare, mentre cantava (fino a tredici minuti) o suonava gli strumenti musicali (fino a quattordici minuti). Non mancavano i momenti d’ascolto. Costantina mi chiedeva spesso la canzone preferita: “La Tartaruga Sprint”, indicandomi il lettore cd, imitando con i gesti le parole della canzone. Durante l’ascolto muoveva non solo la testa ma anche il corpo, da una parte e dell’altra, in modo molto più disinvolto, in risposta alla musica ed esprimendo, con il viso, la sua felicità. L’andatura, pigra ed impacciata, cominciava a prendere slancio: il suo corpo si stava vivacizzando. Durante le improvvisazioni, man mano che il trattamento volgeva al termine, la sensazione di fare musica insieme emergeva sempre di più. L’intera espressione corporea e strumentale rivelava Costantina per quello che era: una ragazzina “vivace” che stava uscendo dalla sua... “tana”. Carla Bonomi [email protected] [1] Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy. [2]Bonomi Carla, Intonare... emozioni (17/08/2010 pubblicato in : Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.over-blog.com/ Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 148 inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonardi Giangiuseppe, In ascolto della dimensione acustica delle... emozioni Pubblicato il 1 ottobre 2010 Corso Quadriennale di Musicoterapia http://musicoterapie.over-blog.com/ Assisi 30-31 ottobre, 1 novembre 2010 In ascolto della dimensione acustica delle... emozioni Qual è la dimensione sonora di una emozione provata in prima persona? Come facciamo a percepirla ed ascoltarla? Come possiamo esprimerla? È possibile percepire le sonorità emotive altrui senza confonderle con le proprie? È possibile porsi in ascolto della dimensione sonora delle altrui emozioni? Come le accolgo? È possibile interloquire con me e con l’altro da me, utilizzando solamente la dimensione sonora delle emozioni? Il seminario è rivolto a quanti operano nella relazione d’aiuto, in particolare ai musicoterapisti, ed è volto a ricercare il senso sotteso alla dimensione sonora delle emozioni percepite, accolte, condivise… interagite con sé, l’altro, gli altri da sé. Conduttore:Giangiuseppe Bonardi, Musicoterapista, Formatore e Supervisore, iscritto all’Associazione Italiana Professionisti della Musicoterapia (A. I. M.), Docente di Musicoterapia pratica presso il Corso Quadriennale in Musicoterapia della Pro Civitate Christiana di Assisi (Pg). Ideatore e Responsabile di http://musicoterapie.over-blog.com/ Per iscrizioni e informazioni:Pro Civitate Christiana Sezione Musica, La Cittadella, via Ancajani, 3 - 06081 Assisi (PG). Tel. 075/812288 E-mail:[email protected] Corso Quadriennale di Musicoterapia Con tag Corsi convegni seminari ecc Condividi post Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 149 Novembre Andrello Roberta, La lotta dei fantasmi di Luca Pubblicato il 26 novembre 2010 Per tutta la seconda fase dell’intervento ho mantenuta invariata la disposizione degli arredi e degli strumenti impostata col cambiamento avvenuto il 12/10/00[1], sia per salvaguardare la stabiltà della cornice del setting, sia perché l’ubicazione scelta sembrava adeguata alla nostra situazione e non avevo avvertito la necessità e l’utilità di un cambiamento. Avendo conseguito un adeguato adattamento temporale, gli sforzi di questo periodo di lavoro erano tutti rivolti al miglioramento dell’adattamento spaziale, strettamente correlato al tipo di rapporto che Luca (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) maturava gradualmente con gli strumenti musicali e con me. Col tempo ero riuscita ad identificare alcuni miei comportamenti utili allo scopo di creare un argine al movimento e al rumore assordante dal quale inizialmente mi sentivo invasa: quando Luca cercava di colpirmi, con dolce fermezza gli impedivo di far male tanto a me, quanto a se stesso. In molti casi, anziché agire verbalmente o fisicamente era sufficiente che io rispecchiassi il suo gesto o lo trasformassi in suono, oppure in un gioco, restituendolo così spogliato dei suoi aspetti insostenibili, perché Luca cambiasse atteggiamento e l’aggressività, assumendo una forma diversa, diventasse più tollerabile. Attraverso questo comportamento, che Bion definisce “reverie”, cercavo di rispondere nel modo più idoneo possibile alle proiezioni di Luca. Era molto importante che io parlassi piano e dolcemente: in questo modo ho lentamente costruito uno spazio in cui inserirmi per ottenere il suo silenzio e farglielo ascoltare come una cosa bella, come uno spazio “buono”, ripulito dal fluire di parole e dal continuo movimento, uno spazio mio e suo nel quale era possibile stare insieme. A poco a poco il silenzio sembrava non più solo un’esigenza mia, ma anche e soprattutto sua: erano tanti e a volte lunghi anche 10 minuti, i momenti che Luca trascorreva in silenzio sul tappeto. Sebbene non fosse facile per me “resistere alla tentazione” di intervenire in qualche modo, tuttavia restavo ad osservare Luca e a pensare: quel silenzio era lo spazio del quale io avevo bisogno per pensare e per poter intervenire successivamente, ed era lo spazio nel quale Luca poteva ascoltare e ascoltarsi. Non era necessario che attirassi l’attenzione di Luca, quando lui era pronto tornava da me, vicino agli strumenti, e insieme iniziavamo un gioco. Tra i giochi nuovi e più frequenti di questa fase c’è quello di aggiustare gli strumenti: Luca si metteva per terra sotto i bonghi o vicino allo djumbè e con uno o due battenti li “riparava”, chiedendomi di aiutarlo. Era come se si stesse passando dalla fase di “distruzione” a quella della “riparazione” che, in un’ottica Kleiniana, poteva essere intesa come un segno dell’evoluzione verso la riduzione della scissione tra oggetto “buono” e “cattivo” e della riduzione dello scarto tra oggetto Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 150 interno ed oggetto esterno. Col passare del tempo il gioco è diventato l’unico mezzo attraverso il quale fosse possibile l’interazione e lo strumento musicale era il nostro mediatore: la realizzazione del gioco passava infatti attraverso la produzione di suoni. Un esempio è costituito dal gioco della “morra" (“bim bum bam”), nel quale i movimenti e le parole erano scanditi dai colpi battuti sui bonghi o sullo djumbè, strumenti che poi fungevano da piano d’appoggio per le mani. In questo modo si era lentamente sviluppato un rapporto transazionale tra musica e gioco: anche la musica era diventata accettabile, purchè funzionale al gioco stesso. In questo modo, rispetto alla fase precedente, è aumentato il tempo di tolleranza del contatto con me: solo ogni tanto Luca riferiva di essere stanco e di dover riposare, ma ciò accadeva almeno dopo 30 minuti che era con me e soprattutto dopo un’interazione corporea o musicale, breve e non caratterizzata dalla presenza di aggressività. Era dunque evidente il miglioramento dell’adattamento spaziale. Purtroppo, a metà di questa fase, Luca ha cambiato insegnante di sostegno: era molto affezionato alla precedente e sembrava non voler accettare la sua perdita; sembrava che avesse perso una parte di sé: parlava continuamente di lei, rifiutava la nuova maestra e, durante le sedute, manifestava una regressione al livello in cui lanciava gli strumenti, era aggressivo e si muoveva continuamente. Era ricomparso, dopo parecchio tempo, il tema della morte. Successivamente, comunque, man mano che Luca superava il lutto dell’insegnante, le sedute hanno cominciato ad assumere una struttura che è rimasta invariata quasi fino alla fine del trattamento. Luca entrava e si sedeva sulla sedia di fronte a me, iniziava un gioco con l’uso degli strumenti come mediatori, poi fuggiva sul tappeto, ritornava, si sdraiava per terra e dichiarava di essere morto, poi risorgeva grazie alla “musica del risveglio” che io eseguivo e si concludeva la seduta. Questa sequenza degli eventi mi era sembrato un passo avanti notevole: stavamo cominciando a porre ordine al caos ed il movimento era notevolmente ridotto.Il mio obiettivo era a quel punto quello di riuscire a ridurre anche la presenza del verbale ed il contatto corporeo: inventando la storia della montagna ho gradualmente evitato che Luca mi si sedesse in braccio, mentre l’introduzione dell’espressione “bla, bla, bla, bla …”, intonata sulla melodia e col ritmo della “canzon dell’uccellin” (precedentemente descritta)[2] ha in parte sostituito le parole. Per poter comunicare, la chiave d’accesso era il “bla” e le parole erano sostituite dai versi che molto spesso Luca accoppiava facendoli diventare “parolacce” o comunque espressioni di disgusto. Lo stesso “bla”, col tempo ha assunto l’aspetto di un’espressione che indicava qualcosa di disgustoso, “blah!”, che Luca definiva “schifoso” e, non a caso, spesso lo faceva seguire dalla parola “schifo”. Il punto di volta di questa fase è rappresentato da tre episodi di onanismo che si sono susseguiti l’uno dopo l’altro in un crescendo che è culminato con la scopertura dei... Confrontandomi con lo psicologo che aveva in carico Luca, ho pensato che con questo gesto fortemente aggressivo, Luca Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 151 avesse voluto mostrare chi comandava, chi aveva il potere; ho però pensato che potesse anche trattarsi di un ennesimo tentativo, questa volta decisamente forte, di mettermi alla prova per vedere se sopravvivevo a questo suo attacco e rimanevo accanto a lui. Non nego di aver provato un certo imbarazzo, soprattutto perché, presa alla sprovvista, non sapevo al momento quale potesse essere la reazione “meno dannosa”. Sono quindi rimasta ferma, impassibile, e quando, dopo pochissimi secondi, Luca si è ricoperto, gli ho proposto di fare il gioco della “morra” usando entrambe le mani. Dopo quella seduta è aumentato gradualmente il tempo che Luca trascorreva seduto di fronte a me e, alcune volte, riuscivamo a suonare i bonghi insieme, costruendo così dei giochi d’imitazione basati sulle sintonizzazione inesatte. Luca comunque non ha mai tollerato i suoni forti e quando capitava che sia il ritmo che l’intensità diventavano incalzanti, fuggiva sul tappeto. Una volta ha gridato” Basta, sto diventando matto!” e ha nascosto gli strumenti minacciando di andarsene. Per tre volte consecutive ha chiesto di poter andare in bagno: ho verificato che in realtà la sua richiesta corrispondeva ad un bisogno fisiologico, ma per evitare che l’uscita diventasse un’abitudine e un’ulteriore strategia di fuga, ho invitato Luca ad andare in bagno prima di inziare la seduta. Luca non ha più chiesto di uscire, fino a molto tempo dopo. Questa fase si è conclusa con due eventi importanti. Il primo era una novità assoluta poichè Luca, per la prima volta, ha detto di sentirsi triste ed ha attuato un comportamento che corrispondeva e sottolineava questo suo stato d’animo. All’improvviso è come se avesse preso consapevolezza del fatto che si sentiva “un perdente” (così si è definito lui) e ciò lo rattristava, pertanto non voleva fare nulla, lì, in quel momento, con me. In effetti Luca non ha mai espresso le sue emozioni verbalmente: la sua produzione verbale era spesso legata a fatti o storie che lui inventava, ma in esse non compariva mai il nome di un’emozione. Sebbene Luca avesse agito più volte con rabbia, per esempio, tuttavia sembrava non aver mai riconosciuto questo modo di sentirsi. Il secondo evento è legato al tema della morte: durante un gioco in cui moriva, Luca ha affermato che si era svegliato il suo fantasma cattivo. Io gli ho detto di vedere anche quello buono; Luca li ha fatti lottare e quello buono ha vinto, mentre il cattivo è morto, ucciso da quello buono. Ancora una volta non ho potuto non fare riferimento alla Klein e chiedermi se di fatto questo evento non fosse un indicatore del tentativo di ripristinare l’integrità dell’oggetto materno, in stretta relazione e coerente con la riparazione testè descritta. Roberta Andrello [email protected] [1]Andrello Roberta, I dolorosi vissuti di Luca Lunedì 8 novembre 2010, http://musicoterapie.over-blog.com/ (Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale) Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 152 [2]Andrello Roberta, I dolorosi vissuti di Luca Lunedì 8 novembre 2010, http://musicoterapie.over-blog.com/ (Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale) Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Greco Marina, La relazionalità come essenza dell’ascolto Pubblicato il 15 novembre 2010 Dando seguito alle riflessioni espresse in precedenza[1], giunti a questo punto dobbiamo affermare con forza che l’uomo del terzo millennio deve necessariamente imboccare la strada indicata secoli fa da Socrate per sperare di curare l’anima donandole finalmente la “salute”. Se il sommo filosofo greco ci ha guidato a comprendere che l’ascolto e il dialogo (di/con il sé e di/con gli altri) sono un cammino nella direzione della conoscenza del bene più grande (in relazione a ciascuno) e al conseguimento della salute dell’anima, accingiamoci a fare ora il passo successivo. Il bene più grande, la salute dell’anima in cosa consistono? Rispondiamo: nel ben-essere interiore. Ma quest’ultimo, a sua volta, in cosa consiste esattamente? Nel percepire il proprio essere in armonia. Roberto Mancini ha magistralmente esposto la tesi dell’ascolto come via privilegiata nel cammino verso la verità e l’armonia completa: “l’ascolto è un cammino nella direzione della verità. […]L’aspirazione umana alla conoscenza rivela qui la sua ragione originaria e la sua meta ultima: pervenire all’armonia con tutto ciò che esiste e raggiungere l’autocoscienza come consapevolezza di essere compresi in questa armonia. Quando il desiderio di conoscere percorre la via dell’ascolto utopico, esso ospita segretamente o apertamente il desiderio che l’interiore e l’esteriore giungano ad integrarsi pienamente.[2]” L’armonia deve albergare, dunque, sia all’interno del proprio sé sia fra quest’ultimo e l’altro da sé ovvero il mondo esterno, l’essere dell’altro. L’ascolto e il dialogo come strumenti per il conseguimento del ben-essere inteso come armonia presuppongono una forma di comunicazione e dunque di relazione. Prima di tutto di ciascun uomo con se stesso (armonia del sé) e poi con ciò che lo circonda (armonia con l’altro da sé): “Dall’ascolto dipende l’inserimento reale dell’uomo nell’ambiente in cui vive. La sua comunicazione con ciò che lo circonda, con l’altro e prima di tutto con se stesso, può allora instaurarsi al modo di un vero dialogo”[3]. L’esistenza di una alterità (il proprio sé o l’altro da sé) è insita nella possibilità stessa dell’ascolto, del dialogo e dunque della relazione. La prima esperienza di relazione con l’altro da sé basata sull’ascolto è sperimentata da ciascun essere umano a partire dal periodo prenatale, nella vita intrauterina. Tra gli autori che si sono dedicati all’approfondimento di Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 153 questo aspetto particolare della fase prenatale e non solo, ricordiamo A. Tomatis e i suoi interessanti spunti di indagine. Lo studio della genesi della funzione uditiva e dell’ascolto, sia dal punto di vista filogenetico sia dal punto di vista ontogenetico, conduce l’autore ad affermare che la facoltà di ascolto “risulta essere il primo fattore di organizzazione dell’uomo”[4]. Lo studioso, infatti, riesce a dimostrare il ruolo fondamentale dell’udito e dell’ascolto nel cammino dell’esistenza umana e nella genesi della personalità: essendo, l’orecchio, il primo organo sensoriale a formarsi nel feto, l’ascoltare è in assoluto la prima esperienza di relazione del feto ancor prima della nascita. Lo sviluppo del senso dell’udito è il ponte fra il sé in formazione e l’altro da sé. Il cammino verso la conoscenza e la ricerca dell’armonia, che accompagneranno l’uomo per tutta la vita, prende avvio in questo meraviglioso, unico momento. Al di là dei suoni del corpo materno percepiti all’interno dell’utero (che Tomatis definisce una vera e propria fornace di suoni[5]) da cui il feto è inondato e che costituiscono un costante e permanente bagno acustico (il flusso e riflusso dei liquidi, la risacca dello stomaco durante la digestione, i gorgoglii dell’intestino, le scariche di bile, il soffio dei polmoni[6] ecc.), ciò che determina per il feto l’inizio della comunicazione e dunque della prima relazione con il mondo è la voce materna: “immerso in questa formidabile pasta sonora che è la voce materna, vive l’età d’oro della comunicazione, un paradiso che non potrà mai dimenticare e che rimarrà impresso in lui, quali che siano le vicissitudini che attraverserà in seguito”[7]. Fra madre e bambino, dunque, si instaura attraverso la comunicazione intrauterina un dialogo irripetibile nella vita, una primaria relazione che sarà la base di ogni futura relazione del futuro bambino, con se stesso e con l’altro da sè. Ma può esserci dialogo o definirsi relazione una comunicazione in cui uno dei due “interlocutori” non ha capacità di linguaggio né di decodifica di quest’ultimo? In quel dialogo così speciale come quello fra madre e feto l’aspetto essenziale e imprescindibile non è la comprensione da parte del futuro bimbo del significato delle parole che la madre gli rivolge, bensì l’intenzione di quelle parole e il modo in cui sono pronunciate. Cosa significa? Significa che ciò che il futuro bambino coglie nella voce della madre[8] è la qualità affettiva che sottende quella voce che si rivolge proprio a lui. La decodifica che il feto compie non è di natura semantica bensì di natura empatica; la voce materna trasmette antipatia o simpatia, esprime angoscia o serenità, collera o tristezza ed il feto reagisce empaticamente di conseguenza[9]. Ciò che caratterizza la comunicazione materna “trascende il significato linguistico, a cui il feto resta insensibile. Questo imprinting è un addestramento che non si dimentica alla nascita”[10]. Tomatis precisa inoltre che il bambino nell’utero non ha solo sensazioni, ma è dotato di una sensibilità acustica che va oltre il semplice udito passivo, ovvero è capace di percepire. Se il bambino sentisse semplicemente, non conserverebbe alcuna memoria dell’esperienza dialogica Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 154 intrauterina con la madre. Affinché ci sia quell’imprinting di cui parlavamo è necessario, dunque, che il feto percepisca. In poche parole Tomatis si spinge ad affermare che il futuro bambino ascolta e c’è ascolto tutte le volte che egli tende l’orecchio alla voce della madre, a quel messaggio che sa che è destinato a lui. Egli è capace di distinguere l’intenzione nella voce della madre e di individuare se quei suoni sono rivolti a lui oppure no. È questa capacità che consente il passaggio dalla sensazione alla percezione da parte del feto, che in tanto è capace di tutto ciò, in quanto è capace di “attenzione”, perché è alla ricerca di qualcosa[11]. Che cosa? Integrazione, armonia... Ecco che il desiderio di conoscenza torna ad essere la molla che porta l’uomo a progredire. Il piccolo futuro bambino mobilita la propria coscienza verso la fonte sonora che sembra parlargli perché è alla ricerca di quelle emozioni positive di cui ha infinitamente bisogno: amore, tenerezza, conforto[12]. Questa voce ascoltata prima ancora di poter parlare è una autentica forza poietica per ciascun essere umano, in quanto, nel ricordo di essa, egli saprà esprimere i suoi sentimenti. La madre chiama il bambino alla vita parlandogli e comunicando con lui. Se recepisce amore, il bambino risponde all’appello e il suo sé comincia il proprio divenire. Cosicché la voce materna svolge una vera e propria funzione maieutica per la psiche del bambino. R. Mancini afferma che avviene qui, nella fase prenatale, il fenomeno della vocazione nel suo significato universalmente umano, vocazione che si dà nell’essere chiamati ad esistere[13]. L’ascolto non è altro se non l’assenso all’esistenza. Con la nascita, il bambino non perde la capacità acquisita nell’esperienza intrauterina; pur nella difficoltà di doversi districare in un universo sonoro diverso da quello precedente, egli sente il desiderio di comunicare proprio per ritrovare e mantenere la relazione sonora e affettiva con la madre di cui ha memoria. Il bambino cerca, seleziona e quindi riconosce fra tutti i suoni che arrivano al suo orecchio solo la voce della madre e ancora una volta tende il suo orecchio verso quel suono per ricreare quel dialogo che aveva caratterizzato buona parte della fase pre-natale. Egli, tendendo l’orecchio verso quella voce che conosce, ascolta e rinnova il suo assenso all’esistenza. Da questo momento in poi il bambino comincia la sua comunicazione con ciò che è fuori di lui; lo sviluppo progressivo della sua competenza acustica pone le basi per l’acquisizione del linguaggio. Alla base di qualsiasi comunicazione e relazione si afferma ancora una volta, dunque, il desiderio e la volontà di ascoltare; tendere verso l’altro trasforma l’udire in ascolto: “l’ascoltare è l’atto di tendere tutto il proprio corpo verso l’altro, ma è anche sapere che si esiste attraverso questo stesso rapporto d’ascolto. Non si può ascoltare senza coinvolgersi, e l’ascolto comincia dall’ascolto di se stessi in rapporto con l’altro”[14]. L’ascolto diviene occasione e spinta per lo sviluppo e la conoscenza del sé e del sé in relazione all’altro. Poiché nella fase post-natale il desiderio di ascoltare e il tendere verso il suono della voce materna nasce nel bambino per ritrovare quello stato di comunione e armonia con la madre, Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 155 possiamo concludere che il successivo desiderio di ascoltare e il tendere verso l’altro da sé (diverso dalla madre) e la relazione che ne consegue nascano dal desiderio di sentirsi in comunione e in armonia con tutto l’universo che si incontra, instaurando con questo una relazione. Nell’ascolto si realizza la tendenza alla relazionalità propria della condizione umana. Il desiderio di ascoltare equivale, dunque, alla ricerca di armonia, ovvero di quel benessere di cui si parlava all’inizio. Cosa accade se la madre, durante la gravidanza, vive delle profonde angosce o delle turbe psicologiche? Cosa accade se il bambino non riceve i giusti input per prendere contatto con sé e poi con il mondo, se non viene chiamato alla vita o se è vi chiamato con angoscia? Nulla è più “liquido” e “trasmettibile” dell’angoscia[…][15]. E proprio per questo, proprio perché il futuro bambino percepisce che rispondere alla “vocazione” significherebbe naufragare, allora accade che egli potrebbe non concedere quell’assenso che, come abbiamo visto, è necessario per trasformare il semplice udire in ascolto[16]: in questo bambino il desiderio di ascoltare potrebbe spegnersi e con esso la comunicazione e la relazione con il mondo. Egli udirà, ma non ascolterà. In questa mancata risposta al richiamo della vita molti studiosi individuano una delle possibili cause che danno origine al disturbo autistico. Marina Greco [email protected] [1] Greco Marina, L’ascolto agli albori del pensiero occidentale (24/05/2010 pubblicato in : L'ascolto in musicoterapia ) Greco Marina, Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta (14/06/2010 pubblicato in : L'ascolto in musicoterapia ) Greco Marina, *L'accoglienza come forma d'ascolto evoluta e privilegiata delle... emozioni ( 6/09/2008 pubblicato in: L'ascolto in musicoterapia ) Greco Marina, In ascolto ... del silenzio (12/07/2010 pubblicato in : L'ascolto in musicoterapia ) Greco Marina, Il valore dell’ascolto e del silenzio nella società attuale (26/07/2010 pubblicato in : L'ascolto in musicoterapia ) [2] Mancini R., L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verità, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pag. 219. [3] Tomatis A., Ascoltare l’universo. Dal Big Bang a Mozart, Baldini & Castoldi, Milano 2005, pag. 179. [4] Ibidem, pag. 195. [5] Tomatis A., Nove mesi in paradiso. Storie della vita prenatale, tr.it. di L.Merletti, IBIS, Como-Pavia 2007, pag.67. [6] Ibidem. [7] Ibidem, pag. 69. Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 156 [8] Nei suoi studi Tomatis sostiene che la via attraverso cui la voce materna giunge al feto non è la parete addominale, bensì la colonna vertebrale. Si rimanda alle seguenti opere dell’autore: Nove mesi in paradiso, cit., pag.18; Ascoltare l’universo, cit., pag. 146-147. [9] Cfr, Tomatis A., Nove mesi in paradiso, cit. pagg. 64-65. [10] Ibidem. [11] Ibidem, pagg. 67-68. [12] Ibidem. [13] Mancini R., L’ascolto come radice, cit. pag. 223. [14] Tomatis A., L’orecchio e la vita, Baldini&Castoldi, Milano 1992, pag. 335; citazione tratta da Mancini, op. cit., pag. 223. [15] Tomatis A., Nove mesi in paradiso, cit., pag. 54. [16] Cfr. Mancini R., L’ascolto come radice., cit., pag.223. Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Andrello Roberta, I dolorosi vissuti di Luca Pubblicato il 8 novembre 2010 Le prime diciotto sedute sono state per me le più difficili da preparare, da affrontare e da vivere: Luca (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) era imprevedibile in ogni sua manifestazione, dalla quale molto spesso mi sentivo invasa. Ho scelto gli strumenti da proporre e la loro disposizione, partendo dalle informazioni ottenute in fase osservativa[1]. Fin dalla prima seduta ho disposto due sedie in posizione frontale; mi sono però resa conto che erano troppo distanziate e poco funzionali alla facilitazione dell’assunzione di una posizione stabile atta a favorire il contatto visivo, pertanto ho modificato l’assetto dopo tre sedute, riducendo gli spazi sia tra le sedie, sia tra gli strumenti. Ho proposto a Luca gli stessi strumenti musicali presenti nelle sedute di osservazione musicoterapica, poiché Luca in questa fase non aveva manifestato delle preferenze particolari: ho pensato che dopo qualche incontro avrei avuto elementi sufficienti per introdurre delle variazioni. (Questo a testimonianza del fatto che l’osservazione non finisce mai). In effetti subito dopo le prime due sedute non ho più proposto il flauto a becco e le sonagliere, poiché i loro suoni davano particolarmente fastidio a Luca; inoltre ho alternato la presenza di una e due maracas, stabilizzando in seguito la presenza di una sola maraca fino a tutta la seconda fase d’intervento, in quanto Luca non rifiutava completamente questo strumento, nonostante non lo gradisse particolarmente. Sebbene già durante le sedute di osservazione musicoterapica Luca avesse dimostrato di riuscire a permanere nella stanza per un tempo abbastanza lungo (tra i 20 - 30 minuti), tuttavia Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 157 l’obiettivo principale di questa prima fase era il miglioramento dell’adattamento temporale, fino alla sua stabilizzazione intorno ai quarantacinque minuti, tempo adeguato per la realizzazione della seduta musicoterapica. Di fatto, nonostante la presenza di oscillazioni che hanno allungato i tempi per il conseguimento di una stabilizzazione, tuttavia Luca ha presto dimostrato di poter permanere nella stanza fino a cinquanta minuti consecutivi. Il problema principale che si è presentato fin dall’inizio, quindi, non era tanto l’adattamento temporale che, come sottolineato, stava lentamente migliorando, quanto piuttosto l’adattamento spaziale: Luca aveva bisogno di tempo perché lo spazio della stanza di musicoterapia diventasse per lui più familiare, un “luogo sicuro” da poter accettare, insieme agli oggetti presenti in esso. Questa prima fase d’intervento è stata interrotta dalle vacanze estive, durante le quali non mi era consentito l’accesso ai locali della scuola per vedere Luca. Abbiamo ripreso le sedute all’inizio del nuovo anno scolastico: a causa di cambiamenti nell’organizzazione delle attività scolastiche, sono stata costretta a cambiare stanza, nonostante le mie resistenze opportunamente motivate. Purtroppo mi hanno assegnato un’aula che, sebbene fosse più graziosa e accogliente della precedente, perché aveva le pareti dipinte ed era più luminosa, tuttavia era molto diversa sia come dimensioni, sia come forma. Questo cambiamento mi ha preoccupata per tre motivi essenziali: in primo luogo Luca, che già aveva gravi difficoltà di adattamento spaziale, si trovava ora a dover ricominciare il suo processo dall’inizio; secondo, questa stanza era già frequentata da Luca per lo svolgimento di attività molto diverse, quali lettura e canto, pertanto era più difficile per lui connotarla in modo specifico; terzo, ma non per questo meno importante, venivano cancellati e vanificati con un “colpo di spugna” i miei sforzi di dare una stabilità alla “cornice”[2] delle sedute, fondamentale tanto per la riuscita dell’intervento, quanto per l’attendibilità dei dati rilevati. Per ridurre al minimo le conseguenze temute di questo cambiamento, ho collocato le sedie e gli strumenti mantenendo le disposizioni precedenti. Per fortuna Luca si è subito dimostrato entusiasta della nuova stanza ed il processo di adattamento spaziale sembra averne risentito minimamente, in quanto è proseguito dal punto in cui si era fermato prima che la scuola terminasse; credo inoltre che la pausa estiva abbia contribuito almeno in parte a ridurre le conseguenze negative di tale situazione. Tracciando un profilo a grandi linee, si possono trovare delle modificazioni nel comportamento globale di Luca, legate soprattutto al rapporto con l’ambiente musicoterapico, con gli strumenti musicali e con me. Fin dalla prima seduta, Luca proponeva dei giochi ai quali, secondo lui, io mi dovevo adeguare. Durante la spiegazione del gioco non mi guardava mai; più che parlare con me, lo stava facendo con se stesso, muovendosi contemporaneamente in modo continuo nella stanza. Io a tratti lo osservavo in silenzio, a tratti ricalcavo il suo movimento dandogli un suono con lo djumbè, ma Luca Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 158 continuava ad agire il suo caos, chiedendomi oltretutto di smettere di suonare e di fare ciò che diceva lui. Penso che Luca avvertisse molto la fatica di stare in quella stanza, perché dopo soli quindici minuti circa dichiarava di essere stanco e di aver bisogno di riposare, oppure di voler tornare in classe. Quasi come in un rituale, queste scene si ripetevano ad ogni seduta, seguendo gli stessi tempi e le stesse modalita: Luca si sedeva e stava in silenzio per qualche minuto prima di ricominciare a esplodere, oppure, cosa ben più frequente, si sdraiava e mostrava segni di regressione, pronunciando sillabe e versi che caratterizzano il bambino molto piccolo. Il primo di questi suoni è comparso durante la prima seduta, con una precisa struttura ritmica :“Mu mu mu” (eseguito come un anapesto). L’ho subito ripetuto e per la prima volta Luca mi ha risposto ripetendolo a sua volta: questa modalità di espressione è stato il nostro primo punto d’incontro, il livello al quale era possibile entrare in contatto, sebbene per un tempo molto breve, in un gioco basato sulle sintonizzazioni inesatte, fatte di variazioni ai suoni iniziali: mantenendo la stessa altezza, venivano variate l’intensità e le sillabe ( ad es. ga ga ga, gnè gnè gnè, ca, ca, ca…). Sdraiato a terra, Luca emetteva questi suoni alternandoli al suo inarrestabile flusso di parole e ricercava il contatto corporeo con me: quando lo trovava perché io mi mettevo vicina a lui, o perché era lui a toccarmi, assistevo ad un aumento progressivo della sua aggressività: mi rivolgeva parole connotate negativamente, quali “strega”, “grassa”, fino alle cosiddette “parolacce”, seguite dal tentativo di farmi male fisicamente, mordendomi o picchiandomi. In questi momenti agivo con dolce fermezza, nel tentativo di evitare che Luca potesse far del male tanto a me quanto a se stesso. Mi trovavo quindi coinvolta in quella che la Mahler definisce “esperienza simbiotica correttiva”, intendendo con questo che “… il bambino deve solo essere messo in grado di pervenire ad un livello più alto di rapporto con l’oggetto rivivendo i precedenti stadi del suo sviluppo …”[3]. Il mio compito, in quel momento, era quello di “… mettere dei limiti particolarmente agli impulsi aggressivi e autodistruttivi che sopraffanno il bambino, in modo da proteggere sia il bambino, sia se stesso da eventuali danni e in modo da prevenire inutili distruzioni dell’ambiente fisico che creerebbero il panico …”[4]. Trovandomi in un contesto musicoterapico all’interno del quale fino a quel momento l’unico elemento di contatto tra me e Luca erano i “versi”, non era facile inventarsi all’istante il modo di intervenire più adeguato per riuscire a contenere tanta aggressività. Decisa a far sì che gli strumenti musicali diventassero i mediatori della relazione, seguendo il modello dell’oggetto transizionale di Winnicott, la prima volta che Luca ha tentato di farmi male fisicamente, colpendomi con un battente, io ho preso un altro battente e, dopo aver traslato il suo colpo sullo djumbè, gli ho lanciato una sfida: è iniziata una “lotta” con i battenti, che ha portato all’introduzione di un tema che poi è stato presente costantemente nelle prime due fasi dell’intervento ed è riaffiorato sporadicamente anche nella Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 159 terza: la morte. Il combattimento si svolgeva sempre con la stessa ritualità: all’inizio io venivo ferita da Luca, che poi mi guariva, poi morivo accasciandomi sulla sedia; dopo un attimo io mi “risvegliavo”, mentre lui moriva cadendo per terra accanto a me. Prima di morire mi chiedeva di piangere e quando mi vedeva farlo si avvicinava, mi abbracciava e accarezzava. Spesso cercava un contatto orale attraverso i baci, quale ulteriore segno di un primitivo rapporto con l’oggetto non ancora differenziato dal Sé. Nel tentativo di dare un significato a questi eventi, ho pensato che questo rituale servisse in qualche modo a Luca per riuscire ad accettare la mia presenza come oggetto “non me”: come sostiene Winnicott, la mia “resurrezione” testimoniava che ero in grado di sopravvivere agli attacchi distruttivi. Una volta Luca ha esclamato: ”Sono il bambino e sono tornato; ero triste quando ero solo ed ero morto.”, poi si è accovacciato sulle mie gambe. Così come l’aggressività di Luca aumentava all’interno di una seduta, altrettanto avveniva tra una seduta e l’altra: Luca non si limitava più a “distruggere” me verbalmente e fisicamente, ma riservava lo stesso trattamento anche agli strumenti musicali, che dapprima tentava di lanciare nella stanza, poi calpestava e infine metteva via, nascondendoli. Terminate queste operazioni tornava da me e mi teneva le braccia per evitare che muovendole potessi produrre qualunque suono. Di fatto Luca non sembrava pronto per “usare” gli strumenti: quando li toccava lo faceva solo per esplorarli e spesso li lanciava, forse per “accertarsi” che anche loro sopravvivessero, forse per esprimere, attraverso questa particolare forma di espressione sonora, il desiderio di affermare se stesso nell’ambiente, forse perché questo gesto ripetuto che comportava il “va’ e vieni” dell’oggetto gli consentiva di fare l’esperienza della sua presenza e assenza, aiutandolo gradualmente ad essere in grado di tollerarne l’assenza. Un cambiamento di questo comportamento si è verificato dopo il mese di ottobre del 2000, quando Luca ha cominciato a utilizzare gli strumenti per produrre dei suoni e non per distruggerli, pur evitando il contatto visivo con me e quindi relazionando prevalentemente con se stesso. In questi casi non produceva mai dei ritmi, ossia “… ordine nel movimento …”[5], “… l’organizzazione della successione …”[6], ma delle giustapposizioni molto irregolari e imprevedibili, “… una serie casuale di eventi con un ampio destacco tra il suono di ciascuno …”[7], una sorta di “comportamento pre-ritmico”[8] che io riprendevo e cercavo di “riordinare”, per esempio proponendo una pulsazione di base quale stimolo ad una loro prima organizzazione. Contemporaneamente all’uso degli strumenti musicali, Luca ha mostrato maggior interesse per le musiche delle quali ho proposto l’ascolto.Come precedentemente accennato, le canzoni indicatemi dal papà di Luca non costituivano tanto la dimensione sonoromusicale del bambino, quanto quella del padre, infatti lasciavano Luca indifferente. Ho quindi approfondito la ricerca, scoprendo che a Luca piaceva in modo particolare una serie di canzoni che avevano come protagonisti i Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 160 pirati: proponendole all’ascolto, Luca ha mostrato inizialmente di esserne attratto e in seguito ha cominciato a cantarle, a volte suonando a tratti il tamburello. Non posso dire che queste canzoncine fossero da subito il nostro mediatore, anzi, molto spesso erano per Luca un’ottima via di fuga: nei momenti in cui aveva bisogno di “ritornare nel suo mondo”, più conosciuto e quindi più rassicurante, Luca si sdraiava sul tappeto in posizione fetale e guardando il tamburello che teneva appoggiato alle ginocchia canticchiava la melodia, seguendo la musica della canzone. In questi momenti io rimanevo al mio posto sulla sedia in silenzio e lo osservavo, lo ascoltavo, offrendo anche a lui la possibilità di ascoltare se stesso e di vivere un momento forse rassicurante, forse rigenerante, forse, come dice Winnicott, in cui vivere “… l’esperienza di essere solo mentre qualcun altro è presente …”[9], percorrendo in tal modo le vie necessarie per la costituzione di un “ambiente interno”. Solo dopo tanti tentativi di “agganciare” Luca attraverso queste melodie, lui ha cominciato a rispondere ai miei richiami sonori e alcuni pezzi di queste canzoni sono diventate gradualmente il nostro mediatore. In particolar modo la ”canzon dell’uccellin” ci ha offerto un ritmo ternario e una melodia sulla quale dapprima abbiamo intonato il nostro “mu” e poi, nella seconda fase dell’intervento, ho introdotto il “bla bla bla bla…” quale chiave di accesso al contatto con Luca. Poiché molto spesso i “versi” di Luca degeneravano in parolacce, il “bla bla…” è stato un loro valido sostituto, aiutandomi nel tantativo di restituire qualcosa di positivo del negativo che Luca mi inviava. Un altro punto di volta significativo per il comportamento di Luca è stata la fuga dalla stanza di musicoterapia, attuata dopo averla annunciata con un crescendo di minacce. Quando Luca è scappato fuori sono rimasta per un attimo ferma sulla sedia, prima di prendere coscienza del fatto che avrei dovuto fare qualcosa. Ho pensato che forse Luca mi stava mettendo alla prova: fino a che punto ero sopravvissuta alle sue aggressioni? Desideravo davvero stare con lui? E ancora: chi comandava? Avevo due possibilità: lasciarlo andare e vedere se tornava, oppure andarlo a prendere. Poiché Luca non tornava spontaneamente, sono andata a cercarlo: era in cima alle scale e mi stava aspettando! Inizialmente non sapeva se venire con me o tornare in classe, poi ha scelto di venire con me, dicendo che ero buona. Durante il resto della seduta e in quella successiva ha ricercato un continuo contatto corporeo, arrivando a disporre le nostre sedie non in posizione frontale, bensì una di fianco all’altra. Da quell’evento mi ha sempre accolta mostrando di essere contento del mio arrivo. Man mano che il trattamento procedeva, anche le sedute cominciavano ad assumere una struttura in cui gli eventi si susseguivano quasi come in un rituale: Luca entrava nella stanza e andava a saltare sul tappeto, tornava vicino agli strumenti e prendeva il tamburello, lo lanciava accompagnandone la caduta con il movimento precedentemente descritto ed il suono gutturale, diventava aggressivo nei miei confronti, scappava verso il tappeto e la seduta si concludeva. Verso la fine di questa Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 161 prima fase, inoltre, abbiamo cominciato a non ascoltare più le canzoni dei pirati per tutto il tempo; a volte era proprio Luca a chiedere di spegnere il registratore o a dichiarare di non voler ascoltare “i pirati”. Dal momento che lo scopo iniziale di questa musica era quello di facilitare il miglioramento dell’adattamento temporale e dato che anche sospendendola Luca permaneva nella stanza per un tempo lungo, compreso tra i 35 - 50 minuti, ho concluso che l’adattamento temporale era stato realmente conseguito. Roberta Andrello [email protected] [1]Andrello Roberta, Dall’osservazione di Luca al progetto d’intervento musicoterapico (14/10/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale ), http://musicoterapie.over-blog.com/ [2] LECOURT EDITH, Modalità d’intervento, in: La musicoterapia, Cittadella editrice, Assisi , trad. di G. Manarolo, 1992, p. 81. [3] MAHLER MARGARET S., Terapia, in: Le psicosi infantili, Boringhieri, 1968, trad. di Armando Guglielmi, p. 169. [4] MAHLER MARGARET S., op. cit. pp. 175-176. [5] PLATONE, Leggi, p. 665a, citato in: PAUL FRAISSE, Psicologia del ritmo, Armando, trad. it. a cura di Luigi Calabrese, 1996, p. 8. [6] FRAISSE PAUL, Ritmo e misura in musica e poesia, in: Psicologia del ritmo, Armando, trad. it. a cura di Luigi Calabrese, 1996, p. 100. [7] BUNT LESLIE, Suono, musica e musicoterapia, in: Musicoterapia. Un’arte oltre le parole, ed. Kappa, ed. it. a cura di M.M.Filippi, p. 93. [8] Ibid. [9] WINNICOTT DONALD W., The Capacity to be Alone, 1958, citato in: DAVIS M., WALLBRIDGE D. C., Introduzione all’opera di Winnicott, G. Martinelli & C. s.a.s.-Firenze, 1981, trad. it. di Gabriele Noferi, p. 55. Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Bonomi Carla, Io e Costantina: l’epilogo dell’esperienza... musicoterapica Pubblicato il 4 novembre 2010 Con l’inizio del trattamento musicoterapico, soprattutto all’inizio della fase individuale, sentivo che era giunto il momento di applicare la teoria appresa e di calarmi nell’esperienza del contesto non-verbale, avvalendomi di preziosi strumenti di confronto professionale: l’équipe e la supervisione. Accogliere Costantina (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy), Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 162 “parlare” il suo linguaggio è stato il difficile punto di partenza. L’intera esperienza[1] relazionale è stata “determinata” da Costantina, con sobri interventi da parte mia.Costantina ha manifestato nei miei confronti grande affetto e fiducia: io ero la sua amica. Questo fatto ha sicuramente facilitato l’intero percorso musicoterapico. Ho vissuto quest’esperienza con molta tranquillità e serenità. Non sono mancati momenti di perplessità e di tensione … non sapevo fino a che punto i miei interventi erano leciti. Cercavo gradualmente di percorrere le varie tappe del processo musicoterapico, al fine di giungere a stabilire l’interazione con Costantina. Dal punto di vista musicoterapico il miglioramento relazionale è stato quindi faticosamente ottenuto, così come credo, che l’azione intrapresa abbia “lenito” le sue, indubbiamente difficili, condizioni di quotidiana “integrazione sociale”. Carla Bonomi [email protected] [1]Bonomi Carla, *Oltre il cancello... intense emozioni (30/08/2008 pubblicato in : Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.overblog.com/ Bonomi Carla, Io e Costantina: diario di un’esperienza musicoterapica in ambito psichiatrico., (10/05/2010 pubblicato in: Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.over-blog.com/ Bonomi Carla, Io, Costantina e la realtà psichiatrica (31/05/2010 pubblicato in : Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.over-blog.com/ Bonomi Carla, Come è difficile poter osservare il “mondo sonoro” di Costantina, (21/06/2010 pubblicato in: Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.over-blog.com/ Bonomi Carla, Dal silenzio al risveglio acustico di Costantina ( 2/08/2010 pubblicato in : Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.overblog.com/ Bonomi Carla, Intonare... emozioni (17/08/2010 pubblicato in : Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.over-blog.com/ Bonomi Carla, “L’incantesimo della chitarra” ( 8/10/2010 pubblicato in : Musicoterapia e psichiatria ), http://musicoterapie.over-blog.com/ Con tag Musicoterapia e psichiatria, Bonomi Carla Condividi post Dicembre Bonardi Giangiuseppe, Alla ricerca della dimensione sonoro-musicale della persona Pubblicato il 27 dicembre 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 163 È possibile conoscere una persona in molti modi; interloquendo con lei scopriamo cosa le piace fare, ciò in cui crede, ma se vogliamo conoscere l’essenza della stessa è sufficiente chiederle che cosa ascolta abitualmente. Le canzoni, gli eventi sonori e le musiche abitualmente ascoltate dalla persona dischiudono una parte della sua dimensione sonoro-musicale[1]. Sì gli ascolti quotidiani schiudono spesso l’essenza di una persona se consideriamo la musica come manifestazione nello spazio del proprio mondo interno[2]. Gli ascolti personali costituiscono per la persona una particolare eco acustica della stessa in cui lei, e solo lei, si riconosce, interagendo con le dimensioni acustiche che altri ascoltatori occasionali non riuscirebbero ad avvertire. Da qualche tempo sostengo che l’ascolto autentico è, di fatto, soggettivo[3], intenzionale, vitale; è nella soggettività dell’ascolto che ognuno di noi riscopre le dimensioni che lo caratterizzano: corporea, emotiva, analogica e sintattica. Pertanto se da un punto di vista sintattico possiamo essere concordi sulle qualità formali dell’evento musicale percepito, ciò che distingue il nostro dall’altrui ascolto sono le restanti dimensioni. Che cosa proverà la persona a livello corporeo mentre è immerso nell’ascolto personale? Quali emozioni, sentimenti, vissuti prova quella persona mentre ascolta la sua musica preferita? Quali ricordi, immagini, visioni suscitano quegli ascolti in quella persona? È proprio dall’audizione degli eventi musicali preferiti dalla persona che possiamo raffigurarci un’idea della stessa. Quali sensazioni, quali vissuti, quali ricordi, immagini, visioni suscitano in noi l’ascolto di quegli eventi musicali? Così lentamente ci affranchiamo da una visione esclusivamente oggettiva (dimensione sintattica) per giungere analogicamente a dischiudere l’universo delle caleidoscopiche tinte emotive dove si intrecciano le sensazioni corporee e immaginative vissute dalla persona stessa. Ascoltando gli eventi sonoro-musicali cari all’altrui persona siamo quindi in ascolto non solo di peculiari gusti ma possiamo intuire la presenza degli aspetti vitali che la caratterizzano: ossia che cosa vive e che cosa prova... abitualmente. Se poi analizziamo con la stessa attenzione i nostri ascolti abituali, scopriamo altresì Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 164 alcuni aspetti del nostro mondo interiore che spesso avvertiamo intuitivamente solo durante le nostre personali audizioni. Giangiuseppe Bonardi [email protected] [1] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 51. [2]Bonardi Giangiuseppe, La musica è tempo-spazio vissuto e oggettivo, 10 november 2009, http://musicoterapie.over-blog.com/ [3] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 16-20. Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Andrello Roberta, “Io sono una casa senza pareti” Pubblicato il 22 dicembre 2010 Un aspetto caratteristico di questa terza fase d’intervento riguarda in modo particolare l’”assestamento” della struttura delle sedute: il graduale passaggio dal caos all’ordine è giunto a compimento.Proprio nella prima di queste 18 sedute Luca (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) ha fatto un’esclamazione che col tempo ho pensato potesse essere un’ulteriore testimonianza di una presa di coscienza di ciò che sentiva dentro di sé, dell’immagine che forse aveva di se stesso e al contempo un forte grido d’aiuto: “Io sono una casa senza pareti”. Dopo quella seduta ci sono stati tanti progressi, come se fosse iniziato o forse proseguito un processo di “costruzione” di queste pareti delle quali Luca avvertiva con angoscia la mancanza. Col passare del tempo Luca aumentava la capacità di tollerare tempi sempre più lunghi seduto sulla sedia, in posizione frontale rispetto a me; infatti, mentre nel corso della fase precedente, dopo aver trascorso al massimo 15 minuti in posizione frontale, aveva bisogno di fuggire sul tappeto, di ritornare, “morire” e “risuscitare”, in seguito ha cominciato ad allungare il tempo di permanenza sulla sedia, al punto tale da non aver più la necessità di fuggire: anche quando si sdraiava sotto la mia sedia, o si alzava in piedi, Luca manteneva il contatto visivo con me e a questo aggiungeva una modalità di relazione a livello tattile, mediata dal tamburello o dai battenti, coi quali io eseguivo brevi sequenze ritmiche facendo percepire a Luca le vibrazioni attraverso il suo corpo. Anche il gioco del morto è scomparso. Quando Luca ha cominciato a non sdraiarsi più sotto la mia sedia, i momenti della seduta Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 165 non erano più scanditi dai suoi gli spostamenti nella stanza, bensì dalle diverse dinamiche relazionali messe in atto mantenendo sempre più costanti la posizione e la postura seduta. Luca ha dimostrato di aver bisogno di un tempo, all’inizio della seduta, che io ho inteso come “tempo di adattamento”, durante il quale mi raccontava qualcosa di sé. Sebbene fosse capitato che una volta avesse raccontato molti eventi almeno apparentemente disconnessi tra loro, tuttavia in generale ciò di cui Luca mi parlava era comprensibile e attinente al reale. Questo tempo, che inizialmente si attestava attorno ai 15 20 minuti, è diminuito velocemente, fino quasi a scomparire, per lasciare sempre più posto alla “seconda parte” della seduta, nella quale io e Luca eseguivamo dei giochi, finalmente “musicali”. Tra i suoi giochi preferiti, il “gioco dello specchio”, un gioco di imitazioni con variazioni, costruito dapprima sulle smorfie, poi sui versi e infine sui suoni vocali, il gioco della “batteria”, che prevedeva l’improvvisazione strumentale alternandoci nell’esecuzione, il gioco degli “effetti speciali”, basato sulle variazioni timbriche e di intensità, sempre eseguite in alternanza, il gioco del “prendersi sui bonghi”, eseguito con un continuo rincorrersi delle dita che tamburellavano sulle pelli e infine il gioco delle “canzoncine”, ossia l’invenzione e l’esecuzione estemporanea di brevi canzoncine, complete di musica e testo. Pur essendo diversi nella loro concreta realizzazione, questi giochi presentavano alcuni elementi comuni che, ad un’attenta analisi, risultavano essere chiari punti di riferimento per comprendere appieno il processo di nascita e di lento consolidamento della relazione tra me e Luca. In primo luogo vorrei sottolineare come per ciascuno di questi giochi esistessero delle regole: inizialmente lasciavo che fosse solo Luca a definirle, in seguito ho cominciato ad introdurne alcune anch’io e, quando possibile, improvvisavo delle variazioni per differenziarmi sempre più da lui. Mentre fino alla seconda fase d’intervento Luca non mi dava spazi di autonomia, se non molto brevi o limitati, in quest’ultimo periodo accettava il fatto che io potessi pensare o desiderare qualcosa in modo diverso da lui. Non solo, ma mentre precedentemente la presenza del linguaggio verbale era difficile da contenere, ora Luca stava gradualmente maturando la capacità di tollerare la frustrazione che gli derivava dal fatto di non parlare immediatamente, non appena ne avvertisse il bisogno, sviluppando così pian piano la capacità di posticipare il soddisfacimento dei suoi bisogni. Oltretutto le canzoncine inventate erano molto spesso il canale attraverso il quale indirizzare le produzioni verbali di Luca per fargli assumere la struttura della “storia cantata” che, avendo un inizio, un fatto centrale e una fine scanditi anche da una melodia con una cadenza finale, aveva una funzione contenitiva. Vorrei sottolineare come le storie di Luca, inizialmente “bizzarre”, inconcluse o con finali negativi, alle quali io rispondevo con contenuti positivi (per esempio sostituivo il coniglietto brutto con quello bello e buono che anziché morire o perdere la mamma andava al parco con la mamma a giocare) si siano Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 166 lentamente e almeno parzialmente trasformate acquistando, a volte, contenuti più logici e un finale positivo. Un ulteriore dato a favore dell’aumentata capacità di Luca di tollerare la frustrazione è dato dal fatto che l’unica volta che Luca aveva chiesto di andare ai servizi durante la seduta, aveva accettato senza proteste di aspettare che il nostro incontro si concludesse. Durante il tempo della seduta Luca era in grado di mantenere con me il contatto visivo diretto, dapprima più discontinuo, poi sempre più lungo e regolare; contemporaneamente non ricercava più il contatto corporeo, e, quando in alcune sedute aveva avvertito il desiderio di darmi un bacio, mi ha chiesto il permesso di farlo. Le manifestazioni aggressive erano sempre più sporadiche e brevi e generalmente associate a miei comportamenti poco tollerati da Luca, per esempio l’esecuzione di suoni forti che lo infastidivano. A questo proposito mi sembra interessante osservare come Luca nelle ultime 4 sedute avesse cominciato a rifiutare verbalmente le maracas, affermando che facevano “troppo rumore”, ma successivamente le utilizzasse spontaneamente come alternativa ai bonghi, quando, nei giochi di improvvisazione, decideva che era possibile cambiare strumento, scegliendo liberamente tra quelli presenti. Così come Luca, anch’io avevo il “permesso” di cambiare liberamente strumento: il controllo di Luca era presente sotto forma di “regola del gioco”, però la regola stessa mi permetteva di agire, per di più lasciandomi un ampio margine di libertà, che fino a questa fase non avevo. Anch’io ora avevo uno spazio in cui giocare coi suoni e i silenzi. L’aspetto forse più interessante dei giochi d’improvvisazione è dato dalla presenza iniziale di due spazi diversi, uno mio e uno di Luca: come da “regolamento”, io e Luca dovevamo suonare alternandoci e durante un’esecuzione l’altro aveva il compito di ascoltare. Il gioco terminava dopo che entrambi ci eravamo “esibiti” una o due volte, in base a quanto deciso all’inizio, e solo allora era possibile parlare. Sebbene questa modalità d’improvvisare non consentisse di instaurare una vera e propria relazione, poiché il suonare poteva essere motivo di autoascolto e non di comunicazione con l’altro, tuttavia mi era sembrato grandioso il fatto che fossimo riusciti ad arrivare ad un tale ordine. Il silenzio di Luca, sebbene limitato al tempo dell’ improvvisazione, era una grande conquista: non solo Luca tollerava il suo silenzio mentre io suonavo (azione fino a poco tempo prima proibitami), ma soprattutto durante questo suo silenzio mi ascoltava guardandomi negli occhi e ricalcando i miei giochi timbrici, ritmici e d’intensità con particolari espressioni del viso. È da questi scambi, che hanno consentito di prendere coscienza delle caratteristiche dei ritmi eseguiti da entrambi, che è nato il gioco degli “effetti speciali”. Ad ogni seduta il nostro rapporto faceva passi avanti, come se qualcosa all’improvviso avesse premuto l’acceleratore sul pedale della nostra relazione: durante le ultime sedute l’improvvisazione iniziava con un’alternanza di ruoli definita a priori, ma successivamente, col procedere del gioco, il controllo di Luca lasciava spazio alla libertà di Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 167 entrambi e suoni e silenzi cominciavano a susseguirsi con un ritmo più spontaneo; gli interventi alternati seguivano il passo scandito dalla musica prodotta e dal piacere di intervenire per contribuire ciascuno alla musica dell’altro, oppure di fermarsi, per ascoltare ciò che l’altro proponeva. Questi momenti, che io ho vissuto con immensa emozione, divertimento e piacere, erano brevi, duravano al massimo 3-4 minuti, ma erano il chiaro segno che l’obiettivo era stato raggiunto: Luca si era separto da me, come avrebbe detto la Mahler, mi riconosceva come “altro da sé”, come oggetto con una sua esistenza indipendente da lui, come avrebbe sostenuto Winnicott, e grazie a questa “separazione - individuazione” era stato possibile arrivare a stabilire una relazione. Roberta Andrello [email protected] Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Andrello Roberta Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Neri Simona, Dalla musicoterapia al ciclone Ali Blu: storia di un strana avventura Pubblicato il 8 dicembre 2010 “Mi arrampico da secoli Ogni parete è mia Sfidando leggi fisiche Paure e ipocrisia Le difficoltà si sommano Il mio limite qual è Quanto potrò mai resistere Sempre appeso ad un perché … Aggrappato alle tue lacrime finché il tuo dolore è il mio Per sentirmi meno inutile Ed un po’ più umano anch’io Sono scalatore intrepido Che più folle non si può ... Non ho mai posto limiti alla provvidenza io no… Ma qualcuno dovrà crederci e sfidare la realtà Scegliere come vivere Imparare come si fa… TU LO SAI PUO’ ANCORA VINCERE IL CORAGGIO DELLE IDEE” (Renato Zero)[1] Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 168 Parlare di straordinaria avventura è dire poco, il richiamo a tutto quello che sta accadendo intorno a me è grandissimo. Le luci del palcoscenico, gli spettacoli e insieme tutta l’arte della musicoterapia che scava al fondo del sé malato, turbato, ferito, abbandonato per ridargli quella dignità persa in qualche cassetto dell’anima e che a me, da brava “apprendista stregone” di questo folle mestiere, tocca andare a cercare fra le mille pieghe del dolore, della gioia e di tutto ciò che compone il cuore dell’uomo: LE EMOZIONI. È difficile, perché spesso le emozioni che incontro sono ferite, impaurite e se stanno nascoste dietro ai giochi rituali delle stereotipie o nelle accentuazioni delle psicosi, nel pianto e nella paura di non essere meravigliosi per ciò che si è. Spesso le emozioni stanno bloccate dietro a ciò che una diagnosi ha catalogato in una cartella clinica diventata ghiaccio in una fabbrica di ghiaccio che non sa ascoltare le esigenze del cuore ma vede solo l’aspetto clinico, medico di chi si ha davanti. Perché non ci si domanda: CHI SEI? Piuttosto che DIAGNOSI HAI? Al primo anno di corso di musicoterapia incontrai un professore che grazie al cielo smontò il mio sogno utopico di diventare musicoterapeuta e di accettare che il nostro mestiere è fatto di persone che entrano “in gioco”; non avevo capito questo “gioco” di parole, non avevo capito perché mi sottolineava centinaia di volte che quella P scritta sulla lavagna non era per Paziente ma per PERSONA. Persona, persona, persona… certo, mi ripetevo, lo so che cosa vuol dire persona, ma quella persona è un paziente! Errore! Sinceramente c’è voluto un po’ di anni e tanta esperienza dentro al dolore e le emozioni, prima mie e poi di chi ho aiutato e sto aiutando. Non si può pensare di essere in sintonia (termine molto amato nella musicoterapia) con gli altri se prima non si è in sintonia con se stessi. Sarei come uno strumento stonato che cerca di suonare in una orchestra, uno strumentista solo, che non sa guardare il direttore che lo dirige e oltre che essere stonato il suo strumento, lui sarà sempre fuori tempo. Tutto questo è il percorso che ci aspetta, avere il coraggio di sapersi accordare con l’orchestra (il mondo che ci sta intorno) e avere l’umiltà di ascoltare chi dirige (chi in quel momento ti sta insegnando la via da seguire). Tutto questo permette di andare a fondo del proprio sé e di imparare ad accoglierci per quello che siamo perché ogni cosa che ci appartiene è data per renderci unici. Eureka! Avevo risolto l’enigma Paziente/Persona, la mia diagnosi fatta a me stessa mi impediva di vedere ciò che desideravo davvero al fondo del mio cuore e mi paralizzava in una vita non mia, accogliendo le mie emozioni ho cominciato a capire che l’errore stava proprio in quella proposta senza umanità data da una cartella clinica (importante per catalogare, capire, dare una posizione medica, ma inutile per accogliere perché spesso rende ciechi dal vedere chi si ha davanti). L’accoglienza e l’umiltà del nostro lavoro ci portano ad un’opera a volte strabiliante, a volte criticabile, ma alla fine grazie alla sua magica composizione di arte, musica e terapia riesce là dove non sempre è possibile riuscire perché sa bussare a porte che normalmente non si osa. Oggi ho una Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 169 certezza che non mi abbandona e non mi abbandonerà mai ed è quella che senza musicoterapia tutto quello che sto costruendo ora non ci sarebbe stato e che ogni volta che mi approccio a questi fantastici ragazzi (siano essi di Ali Blu o del progetto di Imola) se non avessi la certezza a cosa appartengo e cosa sono non farei davvero nulla. La musicoterapia è quindi la prima “tappa” del percorso evolutivo della persona in cui sollecito a esprimere musicalmente le emozioni. Quando il processo musicoterapico è concluso ecco che altri percorsi sono possibili: l’animazione, l’educazione sino ad arrivare al concerto. Per un po’ di tempo ho pensato che tutta la parte artistica in sé fosse sminuente per la musicoterapia, ma, di fatto, non è vero e per fortuna esiste e offre alla persona la straordinaria opportunità di ampliare il percorso di consapevolezza di sé, delle proprie emozioni, iniziato in musicoterapia. Nel lavorare con i ragazzi del progetto Ali Blu a Riccione ho scoperto l’importanza dell’animazione e il potere seduttivo che essa ha su di me e su tutti i ragazzi che seguo. Se in musicoterapia le emozioni erano percepite, ora nell’animazione, le emozioni sono musicalmente condivise e canalizzate, modulate, espresse in forma di spettacolo annuale. Non potrei fare nulla se non sapessi come usare l’arte dell’empatia e della sintonia, se non sapessi accogliere i loro silenzi lunghi “millenni” e attendere che i silenzi si trasformino in pianti o sorrisi o che rimangano ostinatamente silenzi. Entrare nelle loro emozioni, percepire i loro ritmi e giocare con le loro musiche che per magia aprono le loro porte rendendoli semplicemente unici. Così vedo nuovi ragazzi che nascono e che prendono in mano la loro vita, come S. che canta con una voce splendida, non chiedeva altro che essere ascoltata nel suo desiderio e ora lo fa, o D. che balla alla Michael Jackson ed è proprio bravo o B. che afferra in mano le sue paure per farne il suo baluardo di forza e così potrei citarli uno ad uno. Abbiamo giocato insieme costruendo un rapporto di fiducia fatto di musica, ritmi, sintonia, armonia, empatia che ha portato a toccare LE EMOZIONI di ognuno di loro, a toccare le mie emozioni e insieme è nato qualcosa che oggi è richiesto non più solo come piccolo saggio annuale. L’impresa Ali Blu sta decollando nel mondo del teatro con incontri importanti ed è una cosa unica perché non sono più le cartelle cliniche ad emergere (cosa che avrebbe chiuso ognuno di questi ragazzi in un lager dilagante) ma sono i loro Sé ricchi di tutto ciò che hanno da gridare al mondo. E così l’avventura parte! “Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta. Ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta. Tutti vogliono tutto per poi accorgersi che è niente. Noi non faremo come l'altra gente,questi sono e resteranno per sempre.. i migliori anni della nostra vita!.” (R.Zero)[2] Oltre a pensare che al momento Ali Blu abbia la priorità, evidentemente, non posso però dimenticare i ragazzi di Imola che devono proseguire e così sono Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 170 contenta che musicoterapia e animazione rimangano a convivere a tempo pieno dentro di me, non potrei “vivere” senza tutto questo. Ci sono volte che mi chiedo se faccio bene, se è giusto quanto sto facendo o se mi sto solo illudendo … ma poi arrivano risposte di stima e la fiducia dei colleghi mi fa proseguire a testa alta. Non posso dimenticare e non voglio dimenticare che ciò per cui siamo chiamati nel nostro lavoro è quello di accogliere e ridare dignità a quei Sé che troppo spesso, a causa della patologia e della società, vengono chiusi e nascosti nei meandri degli ospedali e di tutto ciò che si definisce terapeutico (medico clinico), sono felice di rappresentare una opportunità in più attraverso il nostro lavoro. A questo proposito voglio parlare di quello che sta succedendo con alcuni ragazzini di Imola e in modo particolare con L. un bimbo affetto da paralisi cerebrale infantile. Arriva da me con una cartella clinica che lo colloca tra i disabili gravissimi, è già un miracolo vedere i suoi occhi brillare. La madre a pezzi, il padre ha abbandonato ogni speranza e poi trovano qualcuno che sorride al piccolo e gli parla come si parla a un bimbo normale. Finalmente metto in atto quella P che ha torturato i miei anni di corso e scopro la persona in carne e ossa davanti a me. Lo stupore, è che L. reagisce immediatamente allo sguardo e alle proposte dimostrando chiaramente i suoi desideri e come una bambola con le pile scadute una volta cambiate comincia a cantare … a modo suo. Pur essendo molto compromesso a livello vocale, L. dice mamma, papà, sì e no e poche altre cose. La cosa che colpisce di più è che quel che canta lo canta intonato e quando è alla tastiera suona le note della canzone nella giusta tonalità e mi sgrida se sbaglio! Nel corso dell’anno scorso si è creata un’équipe apposita per L., siamo stati fortunati. L. viene seguito privatamente con la fisioterapia dalla mia collega che, condividendo il mio stesso punto di vista, in sinergia, empatia e confronto continuo si è operato nel rispetto di L. cercando di accogliere le sue esigenze e come acrobati del circo di cogliere quelle emozioni che cadevano un po’ di qua e di la e poi, da abili pittori, riprodurre un quadro vivo e colorato fatto di musica, movimenti contorti, piccoli gridi tutti mirati al gridare: IO SO CHI SONO! È bello vedere come questo bambino recuperi così velocemente fino a farci pensare che dentro a questo corpicino non ci sia nemmeno un ritardo mentale. L. sta imparando a camminare con uno speciale attrezzo e con un motorino, in cui resta in piedi, perlustra tutta la casa, cerca esplora e soprattutto impara ad usare lo stereo e ascolta la musica che gli piace intonandola alla tastiera. L. ha il controllo delle mani, del busto e la testa si mantiene eretta… in teoria non dovrebbe fare tutte queste cose ma ha talmente volontà e dedizione da commuovere. Due mesi fa volevano togliergli il cibo e intubarlo ma ha dimostrato con tutte le sue forze che sa masticare e che ama la pizza e la pasta asciutta non tritate e nemmeno liquide… Tutto questo solo perché qualcuno lo ha accolto nella sua domanda? L’uomo è qualcosa di meraviglioso e profondo e oggi sto lottando perché a L. venga insegnato a leggere e scrivere, (tramite computer Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 171 ovviamente) dimostra che ne ha voglia e non è giusto che la maggioranza dei servizi lo tenga bloccato alla linea di partenza. Dopo mesi di lotte finalmente comincerà un percorso di logopedia, mentre a scuola rimane ancora vincolato a ruolo troppo piccolo tanto da farlo protestare se viene portato via dalla classe durante una lezione che gli piace. Ieri entrando nel setting si è seduto ha indicato lo stereo e chiesto la musica che voleva ascoltare. Mentre cantava non ha smesso un attimo di guardarsi intorno, cercava il suo gioco preferito che non vedeva perché io l’avevo nascosto di proposito per stimolarlo. Il gioco in realtà era ben visibile e quando lo vede mi chiede a gesti e versi di averlo. Abbiamo pure discusso perché sbagliavo le parole della canzone e mi chiudeva la bocca con la mano. Oggi mi ha sorriso perché ho imparato le parole della canzone (lui adora Renato Zero e odia che si sbaglino i testi nel cantarlo: ascolta le parole?). Stupita, meravigliata commossa… penso di essere fortunata a fare quanto amo di più. A volte vorrei che per tutti fosse così evidente e quanto di grande passa attraverso le nostre mani. Spero che la musicoterapia diventi sempre più per noi, professionisti del mestiere, STUPORE, SINTONIA, ARMONIA, emozionandoci con chi abbiamo accolto per rendere quel concerto un momento unico. Simona Neri [email protected] [1] R. Zero, il coraggio delle idee dall’album I miei numeri ed. Sony Music 2000. [2] R.Zero , I migliori anni della nostra vita , Sulle tracce dell’Imperfetto Sony Music 1995. Con tag Neri Simona, Riflessioni... Condividi post inCondividi0 Repost 0 0 commento Deodato Rosaria, Io, Walter e il mondo dell’autismo Pubblicato il 3 dicembre 2010 Il percorso esperienziale di musicoterapia è stato realizzato in ambito scolastico, nell’arco di un biennio (2001–2002), con Walter (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della provacy), un bambino autistico di sette-otto anni. Personalmente mi sono avvicinata alla musicoterapia dopo il diploma in pianoforte, perché affascinata da esperienze musicoterapiche il cui il “suono” (la musica), utilizzato in una prospettiva relazionale, può aprire un canale di comunicazione con persone in difficoltà, come il bambino preso in esame. Tra le molteplici metodiche di intervento musicoterapico italiane ed estere, presenti nel panorama nazionale, la “prospettiva relazionale” è maggiormente vicina al mio modo d’operare. In questa prospettiva la musicoterapia è intesa Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 172 come: …”ricerca, osservazione, analisi e adozione del sonoro e del musicale appartenente al soggetto (musica) al fine di aiutarlo (terapia) ad esperire una “nuova” situazione di ascolto, non solamente centrato sul sé, ma sui poli (sé e altro da sé) del processo relazionale”[1]. La sensibilità musicale di Walter In qualità di insegnante Ad Personam, ho conosciuto Walter nella scuola elementare da lui frequentata. Walter mi è stato segnalato dall’ insegnante Educazione al Suono e alla Musica che da un lato evidenziava le problematiche esplicitate dal bambino durante l’ora di lezione: lancio di oggetti e continuo movimento, dall’altro lo riteneva sensibile alla musica per le risposte motorie che egli metteva in atto quando questa era a lui gradita. L’interesse di Walter nei confronti della musica era rimarcato anche dalla mamma che spesso lo sorprendeva “suonare” la batteria e il flauto dolce del fratello. Dal punto di vista clinico, la diagnosi patologica di Walter è inerente all’autismo infantile, definito dal DSM IV e dall’ICD-10 come un disturbo generalizzato dello sviluppo, caratterizzato da una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, della comunicazione verbale e non verbale, da modalità di comportamento, attività e interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati, nella maggior parte dei casi associato anche ad un ritardo mentale, di solito di grado medio. Walter è stato “definito” quindi come un bambino autistico, ma è “…innanzitutto un bambino, che come gli altri ha bisogno di amore, di sicurezza, di guida e della possibilità di sviluppare le proprie risorse e capacità il più pienamente possibile. Ciascun bambino autistico ha una propria personalità, che determina il suo modo di reagire ai propri handicaps e lo rende un individuo unico rispetto agli altri…un individuo che differisce per molti aspetti da altri bambini per i quali sia stata emessa la stessa diagnosi…»[2]. Non mi sono dunque fermata alla diagnosi, ma mi sono proposta di conoscere il bambino, in particolare le sue parti sane. Quale metodica musicoterapica utilizzare? Dal punto di vista prassico, ho deciso di iniziare il lavoro musicoterapico con Walter e ho scelto la metodica musicoterapica relazionale ideata da Giangiuseppe Bonardi, perché è essenzialmente uno “strumento operativo” chiaramente strutturato in fasi (…“Il colloquio, … l’osservazione ambientale…, l’ osservazione musicoterapica… la prassi musicoterapica individuale[3]…”) consequenziali d’intervento con finalità e obiettivi (indicatori) specifici e valutabili. I colloqui, l’osservazione ambientale e quella musicoterapica mi hanno permesso di individuare le finalità del progetto d’intervento musicoterapico. In tal modo ho individuato: le problematiche vissute dal minore e i mediatori (gli eventi sonori, le musiche e gli strumenti musicali) maggiormente adeguati per affrontarle. Riguardo alle palesi difficoltà relazionali, manifestate da Walter nelle situazioni osservative, l’intervento musicoterapico individuale è stato quindi orientato in una Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 173 prospettiva relazionale. In quest’ultima fase ho utilizzato ampiamente la tecnica del “… dialogo sonoro[4]…”, al fine di integrare la metodica d’intervento musicoterapico presa come modello teorico – pratico di riferimento. Il senso dei colloqui Inizialmente la mia attenzione era orientata verso la conoscenza della dimensione sonoro–musicale di Walter. In questa prospettiva ho attivato alcuni colloqui con la madre e le insegnanti, al fine di individuare sonorità e musiche specifiche, che, per Walter, avessero un senso, perché appartenenti al suo mondo sonoro e musicale. In ascolto del mondo acustico-musicale abitualmente vissuto da Walter La prima informale conoscenza di Walter è avvenuta durante l’osservazione ambientale. Ero preoccupata e al contempo contenta perché finalmente potevo conoscere Walter in un’abituale situazione di vita. Mentre osservavo Walter che colorava alcune schede proposte dall’Insegnate di Sostegno, ascoltavo le tenui sonorità ambientali caratterizzate da: vocii, bisbigli, ticchettii, fruscii. Quelle sonorità, da me percepite, attenuavano la tensione emotiva che provavo in ogni incontro. In tal modo, mentre cercavo di accogliere le mie emozioni, osservavo Walter che, nel breve periodo di permanenza nell’aula (20’), peregrinava nell’aula. Gli spostamenti continui si placavano momentaneamente quando Walter si sedeva in braccio all’insegnante o a me. Le rilevazioni mi sollecitavano alcuni interrogativi. Come viveva il tempo Walter? Come viveva lo spazio? Quali emozioni caratterizzavano il tempo e lo spazio di Walter? Da chi fuggiva Walter, quando usciva dall’aula? Per lo più immerso in un ascolto di sé, dei propri vocalizzi o dei movimenti stereotipati, tuttavia Walter cercava di stabilire brevi relazioni solamente con gli adulti presenti nell’aula: io e/o l’insegnante di sostegno. Le relazioni intraprese da Walter erano essenzialmente corporee. Walter comunicava quindi a livello: tattile, motorio e orale. Richiamato dall’insegnante di sostegno o da me, Walter arrestava la marcia o volgeva il capo nella nostra direzione. Al termine delle osservazioni mi chiedevo se fossi stata in grado di pormi in ascolto di Walter. Sapevo che per ascoltare Walter dovevo elaborare e quindi accogliere i miei vissuti, in particolare la paura e il senso di disagio che provavo prevalentemente durante le sedute. Gli incontri di supervisione dell’attività mi hanno consentito di “osservare” le parti sane di Walter, attenuando i miei sentimenti di disagio. Walter mi appariva un bambino enigmatico, sfuggente, ma non del tutto chiuso nel suo “misterioso mondo”. Un bambino che viveva il tempo, lo spazio colmi d’emozioni probabilmente angoscianti, ma che attivava estemporanee relazioni. Deodato Rosaria [email protected] Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010 174 [1] Bonardi Giangiuseppe, (2001), Osservazione e prassi in musicoterapia, dispensa laboratorio, Assisi, PCC, p. 6. Ora in Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). [2] Wing Lorna, (2000), I bambini autistici, Roma, Armando Editore, pp. 11 e 19. [3] Bonardi Giangiuseppe, (2001), Osservazione e prassi in musicoterapia, dispensa laboratorio, Assisi, PCC, p. 7, 9, 18. Ora in Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU). [4] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 12. Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria Condividi post Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2010