Sapori di
Sardegna
ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA
NUMERO 32 GIUGNO 2003 - EURO 6,00 IN ITALIA
ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA/NUMERO 32/Sapori
100 PRODOTTI TIPICI
OLTRE 200 RISTORANTI E TRATTORIE
TUTTE LE SAGRE PER I BUONGUSTAI
PIÙ DI
di Sardegna/GIUGNO 2003
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
SOMMARIO
SOMMARIO
Sapori di
Sardegna
ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA
NUMERO 32 - GIUGNO 2003
Direttore responsabile: Luciano Di Pietro
Redazione:
Marco Massaia (art director)
Michela Colombo (caporedattore)
Daniela Bonafede, Lara Leovino,
Sandra Minute
Impaginazione:
Corrado Giavara, Franca Bombaci
Ricerca iconografica:
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Segreteria:
Orietta Pontani (responsabile),
Paola Paterlini
A cura di:
Aldo Brigaglia,
Pietro Cozzi,
Studio Ready-Made (Milano)
Hanno collaborato
per la documentazione, l’archivio e la redazione:
Carlo Migliavacca
per i testi: Manlio Brigaglia, Lello Caravano,
Daniele Casale, Ornella D’Alessio, Carla
Depetris, Emanuele Dessì, Emiliano Farina,
Andrea Frailis, Franco Fresi, Mario Frongia,
Mimma B. Marcialis, Auretta Monesi, Bianca
Maria Saccheri, Pierluigi Serra, Luca Urgu
per le fotografie: Nevio Doz, Gianmario Marras,
Adriano Mauri, Antonio Saba, Dario Sequi
Cartine di: Andrea Campagna, Mario Russo
ALLA SCOPERTA DEL PIÙ BEL PAESE DEL MONDO
Direttore responsabile: Luciano Di Pietro
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI S.P.A.
Consiglio di Amministrazione
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Consiglieri: Antonio Guastoni, Antonio
Magnocavallo, Giuseppe Cairo, Giuseppe
Ferrauto, Marco Pompignoli, Uberto Fornara
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Bell’Italia
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Ufficio pubblicità: telefono 02/74.81.31
E-mail Abbonamenti: [email protected]
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PRIMA PAGINA. Eterna Sardegna, così insolita
SARDEGNA. La mappa del gusto
INTRODUZIONE. Sapori di un’isola antica
FORMAGGI. I gioielli della pastorizia sarda
DIZIONARIO GASTRONOMICO. Sardegna in tavola dalla A alla Z
IL SASSARESE
Panorama
Genuinità e tradizione
Il meglio in tavola
LA GALLURA
Panorama
Una civiltà di contadini e pescatori
Il meglio in tavola
I LIQUORI DI SARDEGNA. Mirto e dintorni
IL NUORESE
Panorama
Dalla cucina dei pastori a quella del mare
Il meglio in tavola
L’OGLIASTRA
Panorama
La bella selvaggia
Il meglio in tavola
MUSEI. Il piacere della tradizione in 28 tappe
L’ORISTANESE
Panorama
Una terra di tesori gastronomici
Il meglio in tavola
IL SULCIS-IGLESIENTE
Panorama
Nel cuore più antico dell’isola
Il meglio in tavola
SAGRE. Feste gustose per dodici mesi
IL CAGLIARITANO
Panorama
I sapori che vengono dal mare
Il meglio in tavola
QUARTU SANT’ELENA. L’arte di preparare pane e dolci
IN CANTINA. “Su inu, suzzu meraculoso de sa ‘ide”
ASSOCIAZIONI. I “baluardi” della tipicità
Concessionaria esclusiva per la pubblicità
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Via Tucidide, 56 - 20134 Milano
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© 2003 Editoriale Giorgio Mondadori S.p.A.
Periodico associato alla FIEG
(Feder. Ital. Editori Giornali)
Pubblicazione periodica registrata presso
il Tribunale di Milano il 17/04/2002, n. 236
LA COPERTINA.
Allegria di costumi
tradizionali e prodotti tipici al ristorante
“Su Gologone” di Oliena, nel cuore
del Nuorese (foto di Nevio Doz).
Prima pagina
ETERNA SARDEGNA,
COSÌ INSOLITA
L’
aggettivo “insolito” si usa spesso nel
mondo della comunicazione. Per quanto
riguarda la stampa, s’impiega specialmente negli strilli di copertina, dove, con questo
temine, si vorrebbe indicare sempre qualcosa di
nuovo, di inedito, di sorprendente, tale da stimolare il lettore alla curiosità. E all’acquisto. Così,
gli argomenti e i soggetti “insoliti” dei soliti argomenti si sprecano, comprese le “insolite” Sardegne. Vero è che ogni pubblicazione reca sempre con sé, più o meno gradito, più o meno azzeccato, qualche elemento di originalità, almeno
a livello di buona volontà e di speranza; ma questa volta osiamo nutrire una certezza, con la convinzione di non sbagliarci: lo “speciale” di Bell’Italia che avete tra le mani può vantarsi di parlare
in modo davvero insolito della Sardegna, tutto
dedicato com’è esclusivamente ai suoi valori gastronomici. Dunque, un viaggio tra i prodotti, i
sapori (e i luoghi dove gustarli) della Sardegna,
un’isola che non cessa davvero mai di stupire,
nemmeno sotto questo aspetto.
Abbiamo diviso la Sardegna, e di conseguenza anche questo “speciale”, in sette zone e sette capitoli, ciascuno preceduto da un sintetico,
ma affascinante, “panorama” fotografico, nell’intento di offrire un breve “sapore” della regione, questa volta da un punto di vista artistico, culturale e paesaggistico. E quindi, a seguire, ricchissimi testi tutti dedicati ai sapori nel
vero senso della parola.
Un viaggio “inedito”, allora. Una guida davvero utile per vacanze “non solo mare” e per una
conoscenza della Sardegna che duri tutto l’anno.
Mario Russo
LA MAPPA DEL GUSTO
Sette terre di bontà
La linea tratteggiata verde indica
i confini delle 7 aree in cui è
suddiviso questo “speciale” sulla
Sardegna: Sassarese, Gallura,
Nuorese, Ogliastra, Oristanese,
Cagliaritano e Sulcis-Iglesiente.
Sardegna
SAPORI DI UN’ISOLA
ANTICA
Una cucina dettata
da un’industria con cinquemila anni
di esperienza: la natura
DI MARIO FRONGIA - FOTOGRAFIE DI NEVIO DOZ
INTRODUZIONE
L
a terra dei sapori, del gusto e dei profumi ha un nome: Sardegna. La cucina isolana, nelle sue molteplici e raffinate variazioni, così come nella genuinità e nella semplicità delle ricette, è un continente tutto da scoprire.
Un mondo naturale e dalla dimensione, per fortuna,
ancora umana. Luoghi, storie, personaggi, prodotti
e tesori dell’enogastronomia sarda si svelano a chi li
sa “scovare” con tratti gentili, amichevoli.
Da qualche anno, per quanti visitano l’isola, il cuore delle tradizioni culinarie locali è diventato elemento indispensabile per capire e catturare sensazioni
forti. Un’immersione in un paradiso grande e unico
al tempo stesso. L’oste e il cantiniere, con i loro vezzi
e le abitudini tramandate di generazione in generazione. La vecchietta che cela ricette collaudate e irripetibili. Allevatori e ortolani, fornai e pasticceri,
maestri dell’olio, dei formaggi e del vino, pescatori,
“principi” dei liquori e “artisti” degli insaccati. Gente
che sorride poco e parla meno. Piccoli ambasciatori
del bere e del mangiar bene. Con una misurata cura
del particolare che alla lunga fa la differenza. Anzi, va
detto che da Villasimius a Castelsardo, quando si va
a tavola si dà il via ad una sorta di rito. Ma è bene esser chiari: la cucina sarda è sinonimo di sobrietà. E
cammina sui ritmi dettati dalle stagioni.
I prodotti naturali della terra e del mare ne costituiscono l’anima. Sì, a partire dal pane fino ai dolcetti che concludono il pasto, si assapora un che di
austero e inimitabile al tempo stesso. Un’altra av-
Qui sopra: il tradizionale porceddu allo spiedo, il porcellino
da latte cotto lentamente al calore della brace di legna
aromatica della macchia mediterranea. Questo tipo
di cottura, chiamata in sardo sa furria furria, non richiede
altro condimento che il sale. Pagina accanto: l’aragosta
di Sardegna, rinomata fin dall’antichità, è la regina dei menu
a base di pesce. Tanti i modi prepararla: con gli agrumi
ad Alghero, con i pomodorini a Bosa, semplicemente arrosto
a Sant’Antioco, con la Vernaccia a Santa Teresa di Gallura.
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vertenza è d’obbligo: pandoro al peperone, aringa
e gelato o spaghetti con la marmellata di prugne in
Sardegna non hanno asilo. Mentre è nella norma
mangiare il pesce appena pescato, carni macellate
in giornata, ortaggi ancora bagnati dalla rugiada.
La cucina ammette le intuizioni. Le distilla, non
esagera. La tradizione negli ultimi anni è stata ritoccata con giovanile freschezza. E ancora: nonostante la vigoria “visiva” e le dimensioni delle portate, non c’è da preoccuparsi. Un pasto consumato
nell’isola equivale ad un bel salto nel mondo del
gusto e della salute: ci si alza da tavola sazi e mai
appesantiti. Di certo, non soverchiati da cotture o
intingoli che mettono al tappeto.
“La natura, un’industria con cinquemila anni d’esperienza”, diceva un azzeccato spot di qualche anno fa dedicato alle chicche del gusto sardo. Ebbene,
quest’industria mantiene inalterato fascino, qualità
e sostanza. La conferma? Per averla è sufficiente una
breve escursione nei menu classici della cucina isolana. Difficile confezionarne uno buono per tutte le
stagioni. Un giochino e niente più fa dire che se si
passa nel Sassarese è d’obbligo assaggiare le monzettas (lumachine di prato, arrostite in un bagno di
prezzemolo, aglio, pane grattugiato e sale). La Gallura è il regno della zuppa cuata: pane raffermo, brodo di carni selezionate, formaggio. Nel Nuorese
trionfa la pecora “in cappotto”, ovvero lessata con
patate, sedani, carote e pomodori, e la coratella arrosto o con piselli, interiora di agnello o capretto finemente composte. Un po’ dappertutto vi possono
proporre pani frattau e vi conviene dire di sì: si tratta
di una torta di fette di pane carasau cotta con salsa di
pomodoro, pecorino e uova in camicia.
Dalle parti di Oristano si gusta il muggine in mille modi, ma non perdetevi il filetto di spigola ai carciofi o la bottarga con la ricotta o la provola. Nel
Sulcis compaiono le grive, tordi bolliti e messi a salare avvolti tra foglie di mirto. Il Cagliaritano è terra
di fregola con arselle, uova di riccio fresche spalmate su crostini di pane al forno e orziadas: anemoni di
mare fritti. Sui dolci, ci si perde. Ma sono insuperabili il gattò della Trexenta, mandorle e miele, gli acciuleddi di Arzachena, sa pompìa di Siniscola, is caschettas di Aritzo e Belvì, i sospiri di Ozieri e gli
amaretti di Quartu.
E va detto che ciascuna pietanza è figlia di usi e costumi differenti. Da sempre, la gastronomia cammina
di pari passo con i processi socio-economici e trae linfa
dallo sviluppo generale delle popolazioni. L’economia
locale, le pratiche dettate dal tempo e dal territorio, le
abitudini degli antichi conquistatori – fenici, cartaginesi, romani, arabi, bizantini, spagnoli – sono le fonda-
menta dei pasti nella regione dei quattro mori. La tosatura delle greggi, la transumanza, la vendemmia, le potature, la trebbia, ma anche i lavori domestici di un certo rilievo, costituiscono dalla notte dei tempi occasione
di compagnia, balli, canti, baldorie. E con questi, un
lento e affascinante scorrere di vivande e vini. Con un
particolare: di fronte ai fornelli metodi, criteri e ragioni
mutano anche a distanza di una manciata di chilometri.
L’olio, il pane, il vino regalano sensazioni differenti a seconda della zona che li tiene a battesimo. Lo
stesso può dirsi per i formaggi e per tutte le bontà
derivanti dalla lavorazione del latte. Su casu axedu,
superbo condimento per la minestra, ha una vasta e
apprezzata gamma di preparazioni. Sulla lavorazione del pane, poi, ci si potrebbe scrivere un numero
speciale. I sardi, forti di un orgoglio radicato, difendono la qualità della farina, il tipo di lavorazione, i
tempi della lievitazione, la cottura. Lo sfarinato “a
freddo”, di grano duro e semola, è il must. E, ma non
è un dettaglio, anche le forme e gli abbellimenti esteriori hanno un ruolo marcato nell’identificare l’area
di provenienza: coccoi, moddizzosu e guttiau sono tre
esempi e tre carte d’identità. A farla breve, la filosofia che denota sapori e amori del palato non solo ha
radici antiche, ma le difende a spada tratta: campanile per campanile, vicolo per vicolo, piazza per piazza, sagra per sagra. E questo, come ammettono i
gourmet più raffinati, non guasta. Anzi.
I sardi sono gelosi custodi delle loro conserve ai funghi, ai carciofini, agli asparagi. Riottosi distillatori di
mirto, ottenuto dalle bacche o dalle foglie dell’arbusto
sacro a Venere, di armoniche salse alcoliche al mandarino, alle noci, al melone, al fico d’India, per non dire
dei limoncelli e delle tisane. Anche in questi casi, so-
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INTRODUZIONE
pravvive una ricetta per casa. Tutti mettono su un liquore uso famiglia. Tra i più rinomati, il fil ’e ferru, l’acquavite di ginepro, di Vermentino o di vinacce d’uva
comune. E sono fieri dei risultati. Da un lato. Dall’altro,
Turriga e Capichera trionfano al Vinitaly. L’extravergine D’Olia spadroneggia da anni al concorso nazionale
riservato agli oli doc di Spoleto. I prosciutti e le salsicce di Irgoli si affermano in Inghilterra e in Belgio. Le
pardulas conquistano tedeschi e svizzeri, seadas e bottarga arrivano sulle tavole dei francesi e il pecorino romano trionfa negli States. E nella vostra gita avrete
l’imbarazzo della scelta: le “vie” sono tutte intriganti.
Del pane, del vino, del mirto, dell’olio, ma anche del
torrone e dei salumi. In Sardegna i percorsi dedicati al
cibo e al bere meritano una passeggiata a sé.
Lo scenario favorisce produzioni accurate, di nicchia e sempre più legate alla bontà dei prodotti e alla storia enogastronomica del territorio. Certo, il
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marketing, la comunicazione, la distribuzione e un
atteggiamento di maggiore consapevolezza imprenditoriale negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante, permettendo di guardare con ottimismo al futuro commerciale di questi prodotti. Ma sia chiaro:
sono la storia, le tradizioni e la genuinità il patrimonio di questa terra generosa.
Impossibile o quasi dettare un menu tipico. Ci si
riesce solo a patto di individuare almeno una decina
di aree principali di provenienza. E anche così si
scopre che le interpretazioni sono molteplici. Da zona a zona, cambiano gli ingredienti e le combinazioni base. Dallo zafferano, “oro di Sardegna”, al timo,
la mentuccia, il finocchietto selvatico, la salvia, l’alloro o, tra i legumi, la preferenza data alle fave piuttosto che ai ceci, ai cavoli o alle lenticchie denotano
un curriculum di vecchia data. Ma variano anche le
tecniche di raffinazione, di cottura e di rilievo dato
all’accostamento dei piatti. La carne, ad esempio.
Non c’è paese dell’isola
in cui il porcellino da latte, o le interiora del capretto, o i nervetti di bue
non vantino preparazioni
ad hoc. Basti dire che per
il porcetto arrosto gli esteti scelgono anche il tipo
di legna su cui cuocerlo. E
col metodo a carraxiu siamo nella mitologia: il porcellino viene infilato in
una buca scavata nel terreno e ricoperto di braci ricavate dalla macchia mediterranea. Il coniglio a succhittu – capperi e pomodori in un raffinato impasto a base di vinello bianco
giovane e doc, con i fegatini dell’animale – è leccornia mozzafiato: peccato che sia diventato praticamente introvabile. Lo stufato di cinghiale al Cannonau è un’altra “sberla” da non perdere.
E ancora. Fino a qualche decennio fa uno dei prodotti tipici più rinomati dell’Asseminese, area ad alta urbanizzazione non molto distante da Cagliari, era la panada. Piccole “borse” tonde di pasta ripiene di carciofi,
melanzane, agnello e patate, anguille e piselli. Robe
inenarrabili. Con una cottura particolare: la “borsa” di
pane funge da pentola a pressione per il contenuto.
Quindi, una cottura modellata “solo” sul dettaglio. Ebbene, le panadas non sono il piatto da sballo esclusivo
di Assemini e dintorni. In mezza Sardegna le “miniborse” di pasta col ripieno a base di carne o prodotti
dell’orto – ma non trascurate quelle al formaggio fresco – sono un’altrettanto strepitosa perla da acquolina
in bocca. Tra le tante, va citata quella ripiena di carne
di maiale confezionata a Oschiri.
Più o meno identico il discorso sui tesori del mare. Sull’intero perimetro, fatta forse eccezione per la
grigliata, ricette e abbinamenti mutano anche tra
borghi di pescatori distanti tra loro cinque minuti
d’auto. La zuppa di cernia
e cappone adagiata su un
letto di crostini di pan ’e
seddori, la burrida, ossia il
gattuccio con le noci e l’aceto, la merca, tipica specialità dell’alto Oristanese costituita da muggini
lasciati a macerare in un
impacco di speciali erbe
salmastre. Ma non si possono scordare i polpi con
le patate, le tagliatelle all’astice, gli spaghettini al
nero di seppia o i pesciolini a scabecciu, tipica merenda dei pescatori cagliaritani a base di pesce e pomodoro cucinato, consumata a temperatura ambiente o addirittura fredda. E
l’elenco dei piatti che mantengono una forte autorevolezza legata alla storia e ai costumi del porticciolo
di provenienza continua all’infinito.
Sui primi, la musica è più o meno la stessa. Da
Lanusei a Santa Margherita di Pula è impossibile
trovare un ragù che si rassomigli. I culurgiones, ravioli più o meno grandi ripieni anche qui, a seconda delle zone, di ricotta, zafferano, menta, spinaci,
Pagina accanto: mani sapienti impegnate nella preparazione
del pane carasau, sottile come carta e perciò detto
anche “carta da musica”, biscottato e ridotto in strati quasi
trasparenti. Si consuma soprattutto nell’area settentrionale
e nei paesi di montagna, quelli a economia prettamente
agro-pastorale. I centri di maggiore produzione del carasau,
ora confezionato anche per l’esportazione, sono sia
nel Nuorese che nei paesi del Logudoro. In alto: sul lungomare
del Poetto a Cagliari, i ricci di mare si consumano conditi
con una goccia di limone e accompagnati con una fetta
di pane fresco. A destra: uno dei piatti più tipici e antichi
della cucina barbaricina, il pane frattau, che potremmo
definire un’alternativa sarda alla pizza napoletana; si prepara
con pane carasau, pomodoro, pecorino e uova in camicia.
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INTRODUZIONE
indivia, carne, gamberetti eccetera, raggiungono
l’eccellenza con sughi sempre diversi. E alzi la mano chi non ha mai mangiato i malloreddus. Ben affogati in un denso e profumato sugo a base di salsiccia suina, sono un po’ bandiera e un po’ inno della
cucina sarda nel mondo. Ebbene, nella sola Barbagia il superlativo sughetto che li accompagna segue
non meno di cinque modalità diverse.
Ma è nei dolci che viene a galla con prepotenza la
sottile difesa dei propri convincimenti. Le donne mostrano grazia e cura per i particolari fin dalla scelta
delle materie prime: miele, zucchero, mandorle, farina, burro, patate. E non va scordata l’acqua di fiori
d’arancio e sapa, il mosto cotto.
Sottile e orgogliosa difesa, insieme a una sublime
abilità nel modellare, rifinire, stilizzare: così come
nelle tradizioni e nelle meticolose lavorazioni del
pane, anche i dolci sono terreno al femminile. E
mettendo il naso nel protocollo che scandisce i pasti
delle festività religiose più sentite e delle ricorrenze in famiglia, c’è anche chi azzarda uno spartiacque: alle signore i primi, i condimenti, le verdure, il
pane, i dolci; agli uomini gli antipasti, gli arrosti, i
formaggi, le bevande, il caffè e l’ammazzacaffè. Ma
si tratta di ipotesi. Suggestive e poco o nulla più.
L’originalità della cucina e delle ricette sarde sta anche nel totale coinvolgimento del nucleo familiare.
Ad esempio, usanze e riti millenari vogliono che la
cattura, l’uccisione, la pulizia da piume o pelle degli animali da cortile sia operazione che padrone e
padrona di casa conducono assieme. Per poi spartirsi compiti e mansioni. Alla donna la preparazione
del bollito, del brodo, del ripieno: con la gallina ruspante, specie nelle sagre della Trexenta e del Parteolla, si confeziona una sorta di rollè-polpettone a
base di uova, pane grattugiato, pomodoro, latte e la
carne più tenera dell’animale. Con le interiora,
messe a raffinare nell’olio d’oliva, viene “inventato” l’antipasto: da gustare caldo e possibilmente col
pane abbrustolito. Le zampe insaporiscono, con cipolle, basilico e sedano, il sugo di pomodoro. Mentre le ali e le cosce vengono cotte alla brace: e non
manca una conveniente sgocciolatura di lardo di
qualità. A farla breve, da una gallina una varietà di
sontuosi sapori.
Ed è così che la visita in Sardegna non è più solo
calette e mare da cartolina, cavallini della Giara, nuraghi e chiese romaniche. O meglio, è sempre e ancora tutto questo. Con in più un salutare omaggio al
mangiare e al bere degli isolani.
Pagina accanto: un cacciatore
si ristora vicino al fuoco
con un classico spuntino a base
di pecorino, pane carasau
e salsicce, innaffiato da un corposo
vino rosso. Sopra: attorno
al focolare si dispongono
le “fondamenta” comuni
della cultura gastronomica
isolana. A destra: la salsiccia
è il salume sardo per eccellenza.
A base di carne magra e grasso
di suino, viene insaporita
con sale, pepe, finocchio e aromi
che variano da zona a zona.
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FORMAGGI
M
ettendo in tavola i propri prodotti ogni
popolazione spiega la cultura dalla
quale proviene. In Sardegna è così forse ancor più che in altri angoli di mondo. Dai tempi
arcaici dei nuraghi e delle domus de janas, la pastorizia ha costituito la sola forma di sopravvivenza di
una popolazione forte e schietta, per la quale le greggi rappresentavano la ricchezza di generazioni, furono fonte di benessere ma anche di secolari dispute a
base di abigeato e di diritti di pascoli. Ma comunque
andassero le cose il prodotto finale di tanto latte
munto negli ovili sardi diventava puntualmente sapido formaggio, dalle tipologie appena diverse ma
indicato con quasi un nome solo: pecorino.
Tagliato a fette con il coltellaccio a serramanico di
ogni pastore e sbocconcellato insieme a quel disco
volante dalla leggerezza insuperata che è il pane carasau. Pecorinu e casu: il pasto perenne degli uomini
vestiti in velluto a coste che trascorrevano più della
metà della loro vita insieme a pecore, capre e agnelli
nelle solitudini dei monti e delle pianure sarde.
Pecorino a parte, la produzione casearia sarda
presenta ovviamente altri prodotti più comuni, oppure formaggi di nicchia, specialità rare quasi “fatte in casa” come il casizolu di Oristano, saporito e a
forma di pera che non entra però nella grande distribuzione e non esce dai confini dell’isola.
Pagina accanto: forme di pecorino Dop, prodotto
rigorosamente con latte di pecora. A denominazione
di origine protetta, il pecorino è uno dei principali
prodotti di questa terra di tradizione pastorizia. Il tipo
dolce ha gusto delicato, aromatico e leggermente
acidulo, con pasta bianca morbida e compatta; quello maturo
è più forte, gradevolmente piccante, con pasta dura. Sopra:
la caratteristica forma a pera del casizolu, specialità casearia
dell’Oristanese. In basso: il pastore Giovanni prepara
il formaggio con gli stessi gesti senza tempo dei suoi avi.
Formaggi
I GIOIELLI DELLA
PASTORIZIA SARDA
Pecorino, fiore sardo, casizolu e i cento formaggi tipici
che portano in tavola sapori, profumi e aromi della Sardegna
DI AURETTA MONESI - FOTOGRAFIE DI NEVIO DOZ
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FORMAGGI
Il presente dell’allevamento ovino sardo, e dell’industria casearia che le è collegata, sta compiendo passi da gigante e il pecorino ha assunto una valenza nevralgica nella mappa dei formaggi italiani.
Nelle sue due versioni, fresco e stagionato, il pecorino vive differenziazioni che saltano al palato, dovute al fatto che oggi non è più esclusivamente fatto con solo latte di pecora come un tempo, bensì
miscelato con latte di mucca per renderlo meno sapido e aggressivo.
Il censimento dei capi ovini presenti in Sardegna
ne conta tre milioni, tutti allevati in un territorio dove l’inquinamento atmosferico e del suolo registra
tassi assolutamente nulli.
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I sardi sono maestri nel produrre formaggi: è così
sin dai tempi dei cartaginesi, dei fenici e dei romani. La loro sapienza casearia s’incontra con quella
che si può definire una paleobiologia ambientale.
Infatti agricoltura e pastorizia sarde sono attualissime da millenni perché i principi delle metodologie
biologiche, oggi giustamente molto seguite, sono gli
stessi che hanno da sempre determinato i canoni di
coltivazione dei campi e di produzione di alimenti
base in tutta la Sardegna.
I formaggi isolani, cioè i pecorini sardi e qualche
tipo di ricotta freschissima, si sono fatti largo sul
mercato italiano e estero, giungendo addirittura a
farsi apprezzare negli Stati Uniti e, inaudito, in
Francia, cioè nel sancta sanctorum caseario per eccellenza.
Dal 1996, quando il pecorino di
Sardegna ha ottenuto la denominazione d’eccellenza Dop, la
produzione dei caseifici riunitisi nel Consorzio di tutela non
ha fatto che crescere. L’anno
scorso - il dato è importante ne sono stati marchiati come
Dop ben 12.000 quintali. Dop
sta a significare Denominazione di origine protetta, il riconoscimento della qualità massima ottenibile in una ben definita area geografica. Per fregiarsi di questo blasone il pecorino sardo deve essere prodotto esclusivamente con latte
di pecora intero. Le due tipologie del formaggio, il sardo dolce e il maturo, presentano differenze organolettiche, di tecniche di lavorazione e di forma. Il dolce si matura in 20-60
giorni, è bianco e morbido. Il
maturo necessita di una stagionatura di almeno 120 giorni. La
sua pasta si presenta quasi paglierina ed è decisamente compatta, se non dura. È questo il
pecorino che si grattugia su culingiones e malloreddus, i tradizionali primi di pasta sardi.
Nel sapore del pecorino c’è
tutta l’isola e la sua storia: la
terra aspra e dolcissima, il
profumo delle erbe di monte
accarezzate dalle brezze marine, l’aria pura, l’acqua di fonte, il fluire del tempo identico
a se stesso. Con pane e vini
forma un’inseparabile triade
di cibi primordiali e proprio
per questo attualissimi.
Pagina accanto: bancarella
di formaggi in un mercato
a Muravera, nel Cagliaritano.
Qui a destra: un piccolo
“diluvio” di forme di pecorino.
Peso e dimensioni dipendono
dalle tecniche di produzione
e dal protrarsi della stagionatura.
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SARDEGNA IN TAVOLA DALLA A ALLA Z
Dizionario gastronomico in 81 voci
Abbardente. Non c’è affare importante che in Sardegna non si chiuda
con una stretta di mano e due dita di
acquavite fatta in casa.
Acqua minerale. Bonorva, Siliqua,
Codrongianos, Tempio, San Pantaleo,
Macomer: terra di antichissime origini
geologiche, la Sardegna produce un’inestimabile varietà di acque minerali,
lisce o naturalmente effervescenti.
Agnello. Tutti l’hanno assaporato allo
spiedo. Ma con limone e uova, o con
carciofi e zafferano, non ha eguali.
ed essiccate dopo essere state pressate per perdere ogni traccia di acqua. A
Cabras, Portoscuso, Cagliari.
specializzata nelle produzioni di
bonbon e confetti farciti con crema
di mirto, fico d’India e pera.
Bue rosso del Montiferru. Carni speciali per grigliate e umidi speciali, da
questa razza bovina tipica dell’isola.
Dai macellai di Ghilarza, Macomer,
Tramatza, Paulilatino.
Carciofi. Lo “spinoso sardo” è entrato
a pieno titolo nell’arte culinaria internazionale. Si combina con tutte le carni, con minestre asciutte, in umido e
abbinato alla patate gialle di montagna. Serramanna, Villasor, Samassi i
paesi dalle grandi tradizioni.
Burrida. Gattuccio di mare tagliato a
piccoli pezzi, lessati e lasciati a macerare per almeno 48 ore in una marinata fatta con il fegato dello stesso
pesce, aceto, olio d’oliva, noci e
Agrumi. Arance, pompelmi,
cedri, limoni, mandarini e
mandaranci: queste le qualità
di agrumi più coltivate a Milis,
Muravera, Villasor e Villacidro.
Cascà. È il couscous dell’isola
di San Pietro: ceci, semola
grossa e verdure miste. La sagra a fine aprile.
Castagne. Aritzo, Fonni, Desulo e tutti gli altri centri del
Gennargentu vantano castagne di ottima qualità.
Angurie. Striate o tonde, succosissime e zuccherine: un vero oceano di gusto e freschezza. E a Santa Giusta e Arborea
c’è anche la sagra.
Ciliegie. A Villacidro, terra
dello scrittore Giuseppe Dessì,
a Bonnanaro e a Burcei, ai piedi del monte dei Sette Fratelli,
qualità superlative.
Aragosta. La regina dei fondali
“muore” con gli agrumi ad Alghero, con i pomodorini a Bosa, arrosto a Sant’Antioco. Mitica quella alla Vernaccia di
Santa Teresa di Gallura.
Asino. Chiedetelo a Sassari, ma anche a Cuglieri, Bonarcado o Narbolia.
Arrosto o in umido, dopo una marinatura di almeno quattro giorni, con
prezzemolo e aglio.
Asparagi. Fritti con le uova, o lessati con un filo d’olio e due gocce di
limone sono inarrivabili. Anglona,
Sulcis, Sarrabus sono le zone “doc”
per cercarli.
aglio. Chiedetela ad Alghero, Calasetta e soprattutto a Cagliari.
Cannonau. È il vino sardo più noto,
color rosso rubino; invecchiato accompagna carni e formaggi. Insuperabile
in tegame con la capra, il cinghiale, il
manzo, la cacciagione.
Beccaccia. Beccaccia, pernice e lepre
sono insuperabili in tegame con il vino, le lenticchie o le olive nere.
Capretto. Per i fanatici dei sapori
forti circola quasi segretamente su
call ’e crabittu. Si tratta dello stomaco del capretto, contenente l’ultima
poppata di latte materno, messo ad
essiccare. Una “crema” da carbonari
del gusto.
Bottarga. Il caviale nostrano ricavato
dalle uova di muggine o tonno, salate
Caramelle L’azienda della famiglia
Rau, a Berchidda nel Sassarese, si è
24
Cardi. A Sestu, Villasor ma anche a
Uta e Decimoputzu i cardi sono parte
integrante delle coltivazioni locali.
Cinghiale. Viene cacciato in
tutta l’isola per le sue carni saporite. Di recente è cresciuta la produzione degli insaccati: a Pattada, Seulo,
Irgoli. Squisito cotto in tegame al Cannonau Nepente di Oliena, il vino preferito da Gabriele D’Annunzio.
Cordula. Stomaco e intestini di pezzatura grossa del capretto o dell’agnello.
Fantastica arrosto o in tegame con carciofi o piselli.
Cozze. La zuppetta in bianco e al sugo di cozze e arselle la si incontra in
tutte le tavolate. Le produzioni maggiori dai vivai di Olbia e di Arborea,
nel golfo di Oristano.
Culurgionis. Sono i ravioli dei sardi,
con numerose varianti zona per zona.
Dolci. Assaggiate i gueffus e i candelaus delle pasticcerie del Campidano.
Più diffusi, anche nel Nord e in Barbagia, piricchittus e pabassinas, dolcetti a base di uva passa, mandorle,
cannella, noci, scorza di limone grattugiata e miele, dolce o amaro. Gli
amarettus si trovano in tutta l’isola:
nascono da un sapiente impasto di
mandorle dolci e amare più albume.
Anche le formaggelle sono diffuse,
ma cambiano impasto e nome (pardulas, casgiatini…) di zona in zona. I savoiardi li fanno in tutte le case, quelli
prodotti a Fonni anche a livello industriale sono i principi dell’isola.
Erbe. Tra le spezie e gli aromi più
usati spiccano l’alloro (nei pesci arrosto e negli ortaggi sott’olio),
la salvia (col sugo e con le carni umide), il rosmarino (con le
patate e il pollo ruspante in tegame). Cominciano a sorgere
iniziative per la commercializzazione anche di aromi più raffinati, quali la menta, il timo e
il finocchietto selvatico.
vani o stagionati, ovini, vaccini o caprini, sono il prodotto-simbolo di questa terra di tradizioni pastorali.
Fragole. Sì, tra nuraghi e spiagge
da sogno, maturano anche loro. Ad
Arborea stanno facendo le cose per
bene. Le fragole sono di primissima
scelta.
Fregola. È frutto della lavorazione
della semola di vario spessore, sgocciolata di acqua allo zafferano. È alla
base di vari primi, soprattutto accompagnata dalle arselle.
Frutta. Nespole, albicocche, more selvatiche, susine, prugne, meloni, mele,
uva sono tra le grandi coltivazioni iso-
Fil ’e ferru. Fildiferro è il nome del
distillato di corbezzolo, spesso corretto al finocchio, prodotto artigianalmente. Fatevi raccontare perché
si chiama così.
Formaggi. Su tutti il pecorino romano, prodotto per l’80 per cento in Sardegna e per il resto nel Lazio, viene
esportato in tutto il mondo. Il fiore
sardo è il principe dei formaggi, antico e ricco di sapore. Anche il pecorino
sardo rientra tra i formaggi dop. Gio-
Ichnusa. Da oltre un secolo è la birra
dei sardi, che ne sono i maggiori consumatori pro-capite. Altre marche regionali sono altrettanto apprezzate.
Limoncello. I liquori a base di limone hanno storie diverse a seconda
della provenienza. Buoni gli infusi
di Quartucciu, Cagliari, Alghero e
Marrubiu.
Lumache. A Sassari, capitale indiscussa di questo piatto, le propongono nelle diverse misure:
ciogga, ciogga manna e ciogga
minudda. E poi ci sono le
monzettas arrosto: da leccarsi i baffi.
Maccheroni. Chiamati maccarrones de busa nell’Oristanese, nel Montiferru e in Ogliastra, si mangiano al sugo con
le rigaglie di agnello.
Fainè. Farinata di ceci cotta in
grandi teglie circolari, è di origine ligure ma è un simbolo di
Sassari: cercatela nelle apposite
rivendite di via Usai. Ce n’è
un’altra versione (chiamata la
fainà) a Carloforte.
Fave. Bollite con la mentuccia
e condite con aceto di vino e sale: un
piatto antico e capace di sapori intensi. La favata, cotiche di maiale e
fave fresche, è un classico nel mondo agropastorale.
Grive. Tordi e quaglie lessate e messe per vari giorni a “riposare” in un
fagotto di foglie di mirto e sale. Teulada, Santadi e Capoterra i luoghi ad
alta specializzazione.
Malloreddus. È una delle paste che da sempre rappresentano i primi piatti della Sardegna. Di rigore al ragù di salsiccia fresca profumati con
una spruzzata di pecorino.
lane. E a Pula c’è perfino un’azienda
che ha sperimentato con successo la
produzione di banane.
Frutti di mare. Cozze e arselle, ma anche ostriche, datteri, bocconi, cannolicchi: specie protette, se si è fortunati
può capitare di trovarne qualche
esemplare nelle zuppe di pesce.
Chiedere nei ristorantini di Orosei, Siniscola, Stintino e nelle trattorie della
Marina a Cagliari.
Funghi. Alla rassegna “Porcino d’oro”
partecipano ogni anno 25 tra i ristoranti regionali più quotati. Quella appena trascorsa è stata un’annata da record: le insalate di ovuli e i porcini arrosto hanno deliziato i palati isolani.
Malvasia. Un vitigno di nobile origine. Bosa ne è la patria conclamata.
Marmellata. A Galtellì, in Baronia,
una insegnante di lingue all’università di Berlino, Irene Ghisu, è tornata
al paese d’origine e produce strepitose marmellate biologiche. More, frutti
di bosco, mele cotogne e agrumi sono
i frutti alla base di quelle prodotte da
sempre in Sardegna.
Mazzafrissa. Squisito dolce a base
di panna, formaggio, farina e miele
creato artigianalmente negli stazzi
della Gallura.
Miele. Di asfodelo, agrumi, eucalipto,
cardo, millefiori, castagno e corbezzo-
25
lo: le varietà del miele sono tutte di alto livello grazie alla ricchezza della
flora spontanea e a fioritura alternata.
Specialissimo quello amaro.
Mirto. Il liquore più amato dagli italiani ha conosciuto, grazie al gradimento
dei turisti, un successo commerciale
che lo ha consacrato come simbolo dell’isola anche all’estero.
Moscato. I grandi creatori del celebre
vino da dessert stanno a Sorso, Sennori, Tempio, Dolianova, Sant’Antioco.
Muggini. A Cabras è il pesce tipico
da cucinare arrosto. La merca, pesce
ed erbe salmastre, è la ricetta tradizionale della zona.
Nasco. Vino da dessert, è ottimo con
dolcetti secchi. Produzioni
scelte si trovano nelle cantine
di Quartu Sant’Elena, Mogoro, Sant’Antioco.
tale della squisita spianata. A Gonnosfanadiga a marzo si celebra la sagra
della moddixina. In Barbagia il pane
carasau, o carta da musica, e in Ogliastra il pistoccu sono alcune delle inimitabili specialità isolane. Con le
grandi sfoglie tostate si realizzano
piatti superlativi: primo fra tutti, il
pane frattau (salsa di pomodoro, pecorino, uova in camicia).
Pasta. Un suggerimento obbligato:
provate is tallarinus (tagliolini) conditi con la polpa di granchio. A
Thiesi, Sanluri, Iglesias, Calasetta e
Cagliari le principali produzioni dei
maestri pastai.
Pecora. “In cappotto”, cioè bollita
con patate, carote e cipolle è un’esperienza indimenticabile. Chiede-
foreste dei costoni del Gennargentu, ha un sapore che non ha paragoni. Ora sta emergendo, da Teulada
al Sarcidano oltre che in Barbagia,
quello di capra. Notevole.
zucchero o meglio con miele di corbezzolo amaro. Attenzione: sebada è
singolare, al plurale fa sebadas. Non
chiedete mai “una sebadas” se non volete fare la figura dell’ignorante.
Quaglie. Allo spiedo, in tegame con le
olive, al forno con le patate o anche
lessate: proposte in continua ascesa.
Sospiri. Dolcetti ripieni di pasta di
mandorle, a Ozieri sono di casa come il panettone a Milano e il
panforte a Siena. Da provare quelli
al mirto, all’arancio e al cioccolato
prodotti a Berchidda.
Ravioli. Dimensioni, ingredienti, metodi di lievitazione, cottura: in Sardegna cambia un po’ tutto. Anche il nome: culurzones, culirgionis, pulilgioni.
In Ogliastra, Gallura e Trexenta quelli
da non perdere.
Ricci. Sul lungomare del Poetto, a
Cagliari, decine di chioschi propongono frequentatissime degustazioni. Conditi con una goccia di limone, accompagnati da una fetta di pane fresco e un bicchiere di Vermentino.
Noci e nocciole. Sono alla base
di molte varietà di dolci e, ovviamente, del torrone prodotto
nel Nuorese.
Ricotta. Provatela con lo zucchero e il miele. Oppure salata
con la pancetta. O magari con
una spolverata di bottarga: la
ricotta compare in molti piatti
della gastronomia sarda.
Olio. La Sardegna vanta produzioni di olio d’oliva extravergine che da anni mietono
allori nelle più accreditate rassegne nazionali. Cuglieri, Dolianova, Alghero, Orosei, Gonnosfanadiga, Villacidro, Seneghe sono le aree di pregio.
Riso. Prima Arborea era nota
per la produzione. Da qualche tempo anche le lavorazioni sono di ottimo livello: il risotto ai frutti di mare del golfo
del Sinis merita applausi.
Olive. Verdi in salamoia, o nere, passite o infornate, a scabecciu, a bagno
nell’olio, prezzemolo, aglio e aceto, o
peperoncino e pomodoro secco. E non
solo. Le olive vengono consumate anche in un impasto a focaccia.
Orziadas. Sono gli anemoni di mare. Impanate e fritte fanno parte dei
ricchi antipasti serviti nei ristoranti
del Cagliaritano.
Pane. I re del coccoi e del moddizzosu
sono di casa a Quartu Sant’Elena. Il
civraxiu è opera dei fornai di Sanluri.
Sa costedda è di Villanovaforru. Ozieri, nominata città del pane, è la capi-
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tela ai pastori che ad Orgosolo organizzano i pranzi negli ovili.
Pesche. A San Sperate, il paese-museo dello scultore e pittore Pinuccio
Sciola, maturano pesche giganti.
Pesci. Orate e spigole, triglie e mormore sono le regine del mare sardo.
Ma ci sono anche le cernie, le murene
e le anguille... per non parlare dei crostacei, tra cui primeggia l’aragosta.
Pomodori. I camona di Pula sono
davvero eccellenti.
Prosciutto. Tra quelli suini eccelle
quello di Villagrande: fatto coi
maiali allevati allo stato brado nelle
Salumi. Bortigali, Maracalagonis, Irgoli, Seui, Monastir, Urzulei vantano ottime produzioni di insaccati: salsicce,
prosciutti, capocollo, testa in cassetta,
mortadella, pancetta, lardo e filetti di
suino, cinghiale e, di recente, equino.
Savoiardi. Eredità del regno sardopiemontese. La capitale indiscussa è
Fonni, nel cuore della Barbagia, dove
gran parte dell’economia locale ruota
intorno alle numerose fabbriche di
questo popolare biscotto.
Sebada. Detta anche seada, è il dolce
più classico del tradizionale menu
agropastorale. Frittella di pasta fresca
ripiena di formaggio, si condisce con
Sottoli e sottaceti. Carote, carciofini, funghi, zucchine, cardi selvatici,
peperoni, melanzane: gli ortaggi
sott’olio costituiscono una vasta
gamma di proposte in forte ascesa.
Produzioni di buon livello in vari
centri. Tra questi Villaspeciosa, Ussaramanna, Sestu.
Tiriccas. Dolcetti a base di sapa, sia d’uva sia di fico d’India, tipici del Natale.
In Gallura le chiamano cucciuleddhi.
Tonno. Vive attorno a Carloforte e a
Stintino, dove esiste tuttora la pratica
della mattanza. A Olbia si trova uno
dei più importanti stabilimenti di lavorazione. Dà la bottarga per condire
gli spaghetti e degli ottimi filetti affumicati da consumare con un filo d’olio
extravergine come antipasto.
Torrone. A Tonara, ma anche nei centri alle pendici del Gennargentu, l’impasto di miele, mandorle, noci o nocciole, ostia di farina e acqua.
Tratalia. Polmone, cuore, fegato e
intestini del capretto o dell’agnello:
arrosto o in tegame.
PRODOTTI DOP, IGP, DOCG, DOC E IGT DELLA SARDEGNA
Prodotti Dop (Denominazione
di origine protetta)
Formaggio Fiore sardo
Formaggio Pecorino Romano
Formaggio Pecorino Sardo
Bottarga di Cabras
(istruttoria in corso)
Carciofo Sardo Spinoso
(istruttoria in corso)
Olio extravergine
di oliva di Sardegna
(istruttoria in corso)
Zafferano di Sardegna
(istruttoria in corso)
Girò di Cagliari
Malvasia di Bosa
Malvasia di Cagliari
Mandrolisai
Monica di Cagliari
Monica di Sardegna
Moscato di Cagliari
Moscato di Sardegna
Moscato di Sorso-Sennori
Nasco di Cagliari
Nuragus di Cagliari
Sardegna Semidano
Vermentino di Sardegna
Vernaccia di Oristano
Prodotti Igp (Indicazione
geografica protetta)
Agnello di Sardegna
Pomodorino di Sardegna
(istruttoria in corso)
Vini Igt
(Indicazione geografica tipica)
Barbagia
Colli del Limbara
Isola dei Nuraghi
Marmilla
Nurra
Ogliastra
Parteolla
Planaria
Provincia di Nuoro
Romangia
Sibiola
Tharros
Trexenta
Valle del Tirso
Valli di Porto Pino
Vini Docg (Denominazione
di origine controllata e garantita)
Vermentino di Gallura
Vini Doc (Denominazione
di origine controllata)
Alghero
Arborea
Campidano di Terralba
Cannonau di Sardegna
Carignano del Sulcis
Uova. Quelle di struzzo e di quaglia
sono entrate alla grande nelle composizioni degli antipasti. Aziende
qualificate si trovano a Soleminis,
Ussana, Ortacesus.
Vermentino. Quello di Gallura, con
vigneti a Monti, Berchidda e Arzachena, è l’unico vino sardo a fregiarsi del marchio Docg, Denominazione d’origine controllata e garantita.
Eccellente anche quello del Campidano, prodotto da diverse cantine
del Sud dell’isola.
Vernaccia. L’impero di questo gran
vino da dessert ha sede nelle campagne di Oristano, Zeddiani, San
Vero Milis e Baratili.
Vini. In Sardegna si contano ben 19
vini Doc, Denominazione d’origine
controllata, e 15 Igt, Indicazione
geografica tipica. Cannonau e Vermentino, ma anche Nasco, Monica,
Nuragus sono alcuni dei vitigni più
tipici. Oggi le cantine – anche per
l’impulso che il Consorzio sardo
dei Vini Doc ha dato alla qualità e
alla commercializzazione – hanno
elaborato processi e prodotti che
hanno portato diversi vini a trionfare al Vinitaly e sulle tavole dei
buongustai. Visitate a Berchidda il
Museo regionale del Vino.
Yogurt. Nell’isola viene chiamato
gioddu. Preparato con latte di capra o
di pecora ha un aspetto bianco lucido, porcellanato. Si abbina al miele
di cardo o al millefiori.
Zafferano. La piana di San Gavino
Monreale e le campagne di Turri sono
sede di quello che viene definito oro
di Sardegna. Lo zafferano sardo è di
altissima qualità e lunga persistenza
aromatica. Cercate in libreria un libro
che lo propone in 70 ricette.
Zimino. A Marceddì, caratteristico
borgo di pescatori dell’Oristanese,
propongono le anguille in una zuppa di pesce semplicemente strepitosa. Ma anche a Sassari e Cagliari
questo piatto va alla grande.
Aldo Brigaglia - Mario Frongia
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Andrea Campagna
IL SASSARESE
Terra calcarea dalle tenere forme rotonde come una bella donna,
il Sassarese offre una cucina varia come il suo territorio. Dalle falesie
di Capo Caccia alle colline punteggiate di chiesette romaniche,
le mitiche lumache del capoluogo e l’aragosta di Alghero ben si accoppiano
con la pecora, i piedini d’agnello e le altre prelibatezze
della gastronomia rurale. Il tutto accompagnato dallo splendido
pane di Ozieri e da numerosi vini di eccellenza.
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PANORAMA - SASSARESE
PANORAMA - SASSARESE
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33
Gianmario Marras
Castelsardo, sovrastata dall’affascinante borgo fortificato,
si affaccia al centro del golfo dell’Asinara. Il castello
abbarbicato sulla rocca racconta da novecento anni la storia
dei conquistatori che vi si alternarono: dai Doria di Genova,
che nel 1102 fondarono il paese chiamandolo Castelgenovese,
ai catalano-aragonesi, giunti nel 1448, che lo ribattezzarono
Castell’Aragonese. Il nome attuale risale ai Savoia.
Nevio Doz
Gianmario Marras
PANORAMA - SASSARESE
Sopra: il suggestivo chiostro romanico trecentesco della chiesa di San Francesco di Alghero; qui si organizzano
convegni e concerti per gli appassionati di arte, musica e letteratura. Sotto: uno scorcio
della spiaggia delle Saline di Stintino, nel golfo dell’Asinara. Il mare turchese e trasparente e la macchia
mediterranea che lambisce la costa attirano ogni anno migliaia di turisti.
34
Gianmario Marras
Nevio Doz
Sopra: il borgo di Stintino, fondato alla fine dell’Ottocento da pastori sardi e pescatori genovesi costretti a lasciare
l’Asinara dopo la costruzione del carcere. Il suo nome in sassarese (Istinthiu) significa “fiordo” per via delle due insenature
della baia. Sotto: la Santissima Trinità di Saccargia, testimonianza del romanico-pisano in Sardegna.
La basilica deriverebbe il proprio nome da s’acca argia, la vacca dal pelo maculato scolpita in un capitello.
PANORAMA - SASSARESE
PANORAMA - SASSARESE
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Gianmario Marras
Gianmario Marras
In questa foto: Sa pattadesa, il tipico coltello a
serramanico dei pastori fabbricato a Pattada, dove alcuni
maestri artigiani mantengono viva la tradizione dei
coltellinai. A destra: “Alzo gli occhi ed un enorme naviglio
mi viene addosso”. Con queste parole lo scrittore
Elio Vittorini descrisse la fastosa facciata tardo-barocca
del duomo di Sassari. Costruita tra il 1250 e il 1280 da
maestranze ispano-arabe, la cattedrale dedicata a San
Nicola subì rimaneggiamenti fino al Settecento.
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SASSARESE
SASSARESE
Sassarese
GENUINITÀ E
TRADIZIONE
Queste le parole chiave di una cucina ricca
e diversificata come il suo paesaggio, ora bagnato dal mare,
ora dolce e verdissimo, ora aspro e selvaggio
DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI DARIO SEQUI
I
n Sardegna esistono tante, tantissime culture
diverse del mangiare. E nel Sassarese, più
che altrove, questa ricchezza è molto evidente. Non solo perché è la provincia più vasta, che occupa tutta la parte settentrionale dell’isola, ma anche per la varietà del territorio e del paesaggio che
passa dalle spiagge alle distese di vigne e cereali,
dalle colline alle montagne.
Il nostro viaggio gastronomico comincia da Sassari,
seconda città sarda per numero di abitanti e importanza
storica, dopo Cagliari. La cultura gastronomica cittadina
è da sempre in grado di elevare e valorizzare le cose più
povere. Non a caso è la patria di grandi mangiatori di lumache e contende alla Francia il primato di chi ha cominciato ad apprezzare questo cibo, partendo dal fatto
che negli insediamenti umani protosardi, fra Sassari e
Porto Torres, sono state ritrovate enormi quantità di gusci. Questo “amore” continua tutt’oggi e i sassaresi sono
golosi di lumache di ogni genere. Raccontano i vecchi
che anche nei momenti più duri è sempre stato facile
riempirsi la pancia: per fare mangiare tutta la famiglia
bastava trovare due chili di lumache, un po’ di pomodori, qualche uovo e una spruzzata di peperoncino.
Altra abitudine alimentare nata in città, diffusasi
poi in tutta l’isola, è quella dei piedini d’agnello. La
spiegazione è semplice. Tutt’intorno a Sassari c’erano
moltissime concerie, che dell’agnello usavano tutto
eccetto appunto i piedini. E così c’era chi andava a
raccoglierli per venderli. Poi le donne li pulivano, li
bollivano e li preparavano, spesso, nel sugo piccante
dell’agliata. Legato invece alla storia e ai commerci
con i genovesi è il successo della fainè, che dai caruggi della Superba, dove è chiamata farinata, è arrivata
fino qui ed è a tutt’oggi molto apprezzata. Della cucina tradizionale fa parte anche la carne d’asino.
Come un’isola nell’isola, Alghero fa storia a sé, in
tutto. Il suo passato parla catalano, lingua usata ancora
oggi tra la gente, nei nomi delle strade e nelle tradizioni. Nelle abitudini alimentari troneggiano i piatti di
mare, spesso legati ai crostacei. Le aragoste di Alghero, rinomate fin dall’antichità, regnavano sovrane anche sulle tavole dei romani condite con il garum, una
salsa a base di pesce fermentato, sale e vino. Lungo la
costa della Riviera del Corallo, nella parte nord-occidentale della Sardegna, si trovano ancora oggi relitti di
navi romane cariche di anfore per il trasporto di questo condimento. Le imbarcazioni partivano da Cadice,
in Spagna, dove erano specialisti nella preparazione
del garum, e veleggiando verso Roma imperiale facevano tappa ad Alghero per caricare le aragoste. Poi
per alcuni secoli la storia non lasciò spazio alle ricercatezze gastronomiche, fino alla fine dell’Ottocento,
quando i crostacei algheresi tornarono così in voga che
i velieri aragostai della zona dovettero solcare tutti i
mari per rifornire le tavole più raffinate d’Europa. La
regina Elisabetta d’Inghilterra le volle inserire nel meQui a sinistra: aragoste e carciofi, i prelibati “spinosi
sardi”, sono due tipici prodotti della cucina sassarese,
richiestissimi anche all’estero. Pagina accanto, in alto:
la fainè, versione locale della farinata di ceci genovese.
nu del suo pranzo di nozze e ancora
oggi spesso gli chef di Chez Maxime, a Parigi, le propongono tra i loro
piatti. Non a caso una delle ricette
più conosciute, l’aragosta alla catalana, è nata qui nel 1949 dalla fantasia
di Lepanto Cecchini. Suo figlio Moreno ha continuato l’eredità del padre e al ristorante
“La Lepanto” si possono gustare piatti vincitori di premi internazionali: per esempio la coloratissima aragosta all’algherese dal singolare gusto dolce e amarognolo (il crostaceo bollito viene tagliato a tocchetti, e poi
condito con arance, limoni, pomodori, olio, sale, pepe,
alloro, prezzemolo e origano).
Immancabile la visita alle cantine Sella e Mosca,
azienda storicamente impegnata nella valorizzazione delle uve locali (Torbato e Cagnulari) e nello sviluppo di vitigni d’importazione (Chardonnay, Sauvignon, Cabernet e Sangiovese). Interessante il museo contiguo all’enoteca e la necropoli di Anghelu
Ruiu, ai margini della proprietà.
La tradizione dei piatti di mare sulla costa settentrionale continua da Stintino, con le zuppe di pesce,
i crostacei e i polpi e con le papate, antico piatto marinaresco della zona, fino a Castelsardo, nota soprattutto per i pesci di scoglio. Bastano però pochi
chilometri verso l’interno e tutto cambia. Immense
distese dedite all’allevamento, terre lavorate, colline arse e battute dal vento. E splendide chiese. Dalla basilica romanico-pisana di Saccargia a quella in
pietra nera di Nostra Signora del Regno di Ardara,
dalla reggia nuragica di Santu Antine alla chiesa di
San Pietro di Sorres sulla collina di Borutta. Da citare anche Banari, dove vive Giuseppe Carta, definito
dai critici uno dei principali pittori
italiani viventi, che spesso nelle
sue tele iperrealiste “ritrae” la cipolla di Banari, particolare non solo
per la grandezza e il colore rosso lucente, ma soprattutto per il profumo persistente e il gusto delicato
dovuto al terreno argilloso in cui è coltivata.
È proprio in queste zone che appare l’animo vero
dell’isola che, pur essendo circondata dal mare, con
il mare non ha mai avuto buoni rapporti. E anche a
tavola il pesce scompare totalmente. Trionfano l’agnello, la capra, la pecora (soprattutto bollita) e il
maiale, di cui vengono recuperate e cucinate a puntino tutte le parti commestibili. Spesso le bestie
vengono allevate allo stato brado e la carne assume
un sapore speciale, di mirto, di ghiande, di corbezzolo e di tutte quelle erbe aromatiche di cui è ricca
la flora sarda. Tra le ghiottonerie: sa cordula, un rotolo di interiora legate con gli intestini e cotte in vari modi; lo zimino di carne, frattaglie di vitella arrosto un tempo cotte sulla griglia di fronte all’uscio di
casa; su tattaliu, frattaglie di agnello. Questo piatto,
un tempo considerato “da poveri”, oggi viene preparato in occasioni conviviali di ogni genere e per
ogni ceto sociale.
Un discorso a parte va fatto per il pane, da sempre
così importante nell’alimentazione che in Logudoro,
per San Silvestro, il capofamiglia faceva gli auguri a
tutti con su càbule (pane a forma di ferro di cavallo) e
poi lo spezzava sulla testa dell’ultimogenito. Anche i
dolci hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nel
quotidiano. Gli ingredienti cambiano a seconda delle
stagioni e le forme secondo le ricorrenze.
UN TRIPUDIO DI SAPORI NELLE STRADINE DI OZIERI
Una delle mete più golose del
cuore settentrionale della Sardegna è Ozieri, il cui centro è un intrico di viuzze e case ottocentesche con le altane, logge coperte
in stile neoclassico, importate ai
tempi degli scambi commerciali
con la Francia. Questo antico borgo a forma di anfiteatro, capoluogo del Logudoro, è conosciuto
per le spianate (su pane fine), un
tipo di pane molto pregiato (nella
foto), sia per i lunghi tempi di lavorazione che quelli di conservazione. Ma i più forse non sanno
che proprio in questo spicchio di
Sardegna fino a qualche decennio
fa si produceva sa gruviera, e, come in Svizzera, si allevavano bovini di razza bruno-alpina. Con la
valorizzazione dei vecchi sapori,
in atto ormai da tempo, anche
questo formaggio sta vivendo un
rilancio come prodotto di nicchia.
Stessa sorte tocca a due vitigni
autoctoni: l’Alvarega e il Radagliadu. Storicamente Ozieri aveva una radicata tradizione nella
viticoltura, con consistenti produzioni di vino, quasi scomparsa a
causa dell’abbandono
dell’agricoltura. Adesso
è in via di realizzazione un
importante progetto
per promuovere la cultura del vino anche attraverso l’impianto di
vigneti sperimentali. Ma non è
tutto. A Ozieri ci sono anche i
dolci, tra cui i golosissimi sospiri,
fatti di pasta di mandorle, miele,
limone e zucchero e le coppulettas, raffinate e gustose.
(O. D’A.)
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SASSARESE
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Sassari, Alghero, Stintino, Castelsardo...: preziosi consigli “da amico”
su dove scoprire e gustare i piatti
della tradizione nella Sardegna nord-occidentale
DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI DARIO SEQUI
I
n Sardegna si è un po’ persa quella ricchezza
di sapori e gusti della cucina povera che rendevano ogni piccolo paese diverso dall’altro,
a favore di un diffusissimo e non ben identificato
mangiare “alla sarda”, assai poco originale e differenziato. Ciò nonostante esistono ancora ristoranti,
trattorie e alcuni agriturismo fedeli a quella tradizione gastronomica che tende a valorizzare i piatti
del territorio. Quei posti, spesso anche economici,
40
che consiglieresti a un amico. Con questa logica abbiamo selezionato alcuni indirizzi preziosi, sparsi
un po’ in tutto il nord-ovest dell’isola.
A Sassari le antiche ricette popolari sono riviste
con estro da Piero Careddu all’Antica Hostaria (tel.
079/200066). Tra i suoi piatti forti: pasta con polpette
di carne di cavallo, pane zichi con pomodoro fresco,
zucchine, ricotta salata e menta fresca, stufato d’asino in crosta e come dolce la torta di datteri e frutta
secca al Villacidro, liquore
sardo a base di zafferano.
Mentre la fainè doc, sia
semplice sia con cipolle e
salsiccia, cotta nel forno a
legna si mangia da Sassu
(via Usai, tel. 079/236402),
apprezzata anche da Togliatti e da Cossiga.
Grandi scorpacciate di
pesce e crostacei ad Alghero, dove oltre ai ristoranti
arcinoti quali La Lepanto, Il
Pavone e Al Tuguri, ci sono altri indirizzi. Ottima l’aragosta del circolo AICS Mabrouk (nel centro storico,
tel. 079/970000). In cucina c’è Antonietta, ex giocatrice di softball, che prepara solo quello che le porta il
fratello pescatore e quindi il menu cambia in continuazione. Abbondanti e sfiziosi gli antipasti della
Trattoria Maristella (via Kennedy 9, tel. 079/978172).
Da non perdere la pescatrice con peperoni, gamberetti, pomodori e rucola, il polpo in agliata e i filetti di
rombo soffritti, con pinoli e uva passa. Servono anche
gli spaghetti all’algherese, una loro creazione, con pomodori secchi, vongole, capperi e bottarga di muggine a scaglie. Una delizia.
Enorme successo sta riscuotendo la paella algheresa
del ristorante Daps (via Fratelli Cervi 16, tel.
079/950050), nome che ricorda la marca di una birra,
ma che in latino significa banchetto sontuoso. L’ha
ideata lo chef Roberto Daga, insieme con i ragazzi
dell’Istituto alberghiero di Alghero, per celebrare i
900 anni della città, armonizzando insieme i sapori
della catalanità e della sardità. E così al posto del riso
Pagina accanto: ottima
tavola e scorpacciate
di pesce all’aperto nel centro
storico di Alghero.
Qui a sinistra: Vittorina,
dell’agriturismo “Coronas”
di Bonorva, mentre prepara
uno dei suoi impareggiabili
piatti “poveri”. In basso:
gli spaghetti all’algherese,
una creazione della “Trattoria
Maristella” di Alghero; sono
conditi con pomodori secchi,
vongole, capperi e bottarga.
c’è la fregula (palline irregolari di grano duro) e molti
prodotti del territorio: rana pescatrice, scampi, gamberi, cozze, arselle, agnello, coniglio, favette, asparagi, finocchietto selvatico e zafferano.
Altro discorso per l’agriturismo Sa Mandra (Strada
per Fertilia, tel. 079/999150), una sorta di enclave barbaricina a pochi chilometri da Alghero, dove si mangiano i piatti della tradizione pastorale sarda. Ottimi i
ravioli di ricotta fresca alle sette erbe appena colte
(segrete!), i maccarrones de pungiu e il cinghiale cotto
con olive biologiche e finocchietto selvatico. Un occhio di riguardo ai dolci: papassini (farina e frutta
secca, mandorle, noci, nocciole e uva passa), amaretti,
bianchini (albume e zucchero) e il mitico gattò, con
zucchero, miele e mandorle.
Nelle vicinanze c’è Anna Rita, un grazioso ed economico Bed and Breakfast immerso nel verde (prenotazioni: Sardegna B&B, tel. 070/7265007). Piatti di terra anche all’agriturismo Finagliosu (tel. 079/530474) di Palmadula, in posizione panoramica su una parete a strapiombo sul mare. Pranzo o cena solo su prenotazione.
SASSARESE
A sinistra: lo staff della “Trattoria
Maristella” di Alghero alla
prova dell’assaggio. In basso:
le lumache, secolare passione
culinaria dei sassaresi;
i “bocconi”, lumache di mare
soffritte in olio con aglio,
prezzemolo, cipolla e peperoncino
sono un ottimo antipasto.
Si torna a parlare di cucina di pesce dirigendosi
verso Stintino. Al ristorante Lina (tel. 079/523505)
si degustano la zuppa di pesce alla stintinese, le
conchigliette karalis, pasta, formaggio e vongole un
po’ piccanti, e il cappone (scorfano) del golfo dell’Asinara con le patate.
Piatti di mare anche a Castelsardo, dove oltre ai
pesci di scoglio, come la triglia, l’orata, la spigola, il
sarago e il pagello, vantano ottime aragoste. Antichi e
nuovi sapori si assaggiano, seduti in veranda, alla
trattoria Rocca Ya (tel. 079/470164). Le proposte variano dal pesce in agliata alla razza al pecorino.
Gusti misti di mare e di terra a Sennori, da Vito
(tel. 079/360245), dove lo chef prepara ottimi antipasti: cozze gratinate, polpo e patate, fritture di gamberetti e scampi, bocconi (lumache di mare), ostriche e tartufi e le fave ribisale, ossia bollite con il
guanciale di maiale e
cipolla, condite con
aglio e prezzemolo.
Mentre nella vicina
Sorso, al ristorante Josmarì (tel. 079/359000),
si assaggiano carne,
pesce e verdure, soprattutto, alla griglia.
La cantina sociale “Romangia” di Sorso e
Sennori, produce ottimi Cannonau, Vermentini (più robusti di
quelli galluresi) e, so-
42
prattutto, il Moscato, che si
accompagna bene con i cozzuri di sappa, pasta sfoglia molto fine riempita di decotto di
mosto insaporito all’arancia e
alla mela cotogna.
A Siligo, nell’entroterra,
al ristorante Sa Figu Bianca
(cell. 348/4129677), si mangiano i ravioli casalinghi, le
animelle di agnello, il porcetto allo spiedo, l’agnello con
carciofi e finocchietti selvatici. Ottimi i dolci fatti in casa, come le formaggelle, il
timballo al caramello e un tiramisù che va a ruba.
A pochi chilometri, a Banari, accanto all’ateliermuseo del pittore Giuseppe Carta, in un antico palazzo in pietra si trova il S’Asilo (tel. 079/826232333/9489518), poche e panoramiche stanze che
guardano un’ampia vallata.
All’agriturismo Calarighe (tel. 079/925045), a Romana, in un ambiente accogliente e familiare si assaggiano i piatti tipici, ciciones de furriadoso, gnocchi
con formaggio fresco filante, la cordula con i piselli, i
nervetti di vitello e la pecora in diversi modi, accompagnati da vini del territorio. Da non perdere il
dolce della casa a base di formaggio e miele. Nei
dintorni, a Villanova Monteleone, c’è il B&B Su
Cantaru, poche camere circondate da un bosco (prenotazioni: Sardegna B&B, tel. 070/7265007).
Andando verso la
splendida abbazia di
Saccargia, ci si può fermare comodamente al
ristorante Saccargia
(tel. 079/434013), da cui
si vede bene la chiesa.
Il menu varia tra piatti
di terra e di mare. Imperdibili i ravioli ai carciofi e bottarga.
Con il proliferare
delle aziende agrituristiche è sempre difficile orientarsi su quali
SASSARESE
Menu tipico
SE SIETE A SASSARI CHIEDETE:
Primo
Pane cotto con pomodoro, zucchine,
basilico e ricotta mustia
Secondo
Zimino
(frattaglie di vitello arrosto)
Dolce
Casarinas, ossia formaggelle, e pabassinas.
veramente utilizzino in cucina ciò che producono,
ma non è impossibile. A Osilo, in località Donnigheddu sulla strada per Nulvi, s’incontra l’agriturismo Sechi (tel. 079/42051). Servono 12 antipasti, 2
primi, 3 secondi, l’arrosto di porcetto e per finire i
dolci tipici: papassini, tericcas e ricottelle.
Grande scelta di antipasti anche all’agriturismo
Su Recreu (tel. 079/442456) di Ittiri. La specialità
sono le verdure grigliate condite in diversi modi, i
salumi, i crostini e le campagnole, fagottini di pasta
ripieni di verdura o carne. Curioso il cacioricotta
che prepara Gavino, lo chef, un formaggio morbido
e saporito fatto con il latte di capra e a volte di pecora e il dolce Recreu, una originale sebada con miele
di eucalipto locale e una glassa di arancia di Muravera. Hanno anche 3 camere (prenotazioni: Terra
Nostra, tel. 070/280537).
A Campanedda, tra Porto Torres e Alghero, all’agriturismo Sechi e Tilocca (tel. 079/306119) si mangiano ravioli di ricotta di produzione propria, tagliatelle con zucchine, agnello in verde o arrosto.
Deliziosi i dolci: formaggelle, con formaggio o ricotta, papassini, tiricche di miele e i biscotti della nonna. Hanno anche 8 stanze (prenotazioni: Terra Nostra, tel. 070/280537). A Bonorva, all’agriturismo
Coronas (tel. 079/866842), Vittorina prepara: pane a
fittas, una spianata dura tagliata a pezzettini e cucinata con il sugo di pecora o di maiale, pane bollito,
con pecora, patate, cipolle, finocchietti selvatici e
cavolo verza, favata, con il lardo, le ossa, le costine e
la testa di maiale, fave secche e cavolo, maiale in
agrodolce. Una squisitezza il dolce tipico: cogones
d’elda, con i ciccioli di maiale, le noci e l’uva passa.
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SE SIETE AD ALGHERO CHIEDETE:
Primo
Spaghetti ai ricci di mare
Secondo
Aragosta alla catalana
Dolce
Torta di menjar blanc
(pasta sfoglia con crema di latte e scorze di limone)
SE SIETE ALL’INTERNO CHIEDETE:
Primo
Su succu, la fregula con sugo di pomodoro,
basilico e pecorino
Secondo
Stufato di agnello con olive
Dolce
Amaretti
Nevio Doz
Sopra: gli amaretti sardi sono i più grandi e con l’interno
più morbido; il loro gusto straordinariamente delicato
viene esaltato se accompagnato da un bicchiere
di Malvasia. In basso, nel riquadro: aragosta alla catalana
con cipolla, peperoni, pomodorini e zafferano.
SASSARESE
UNA FAMIGLIA DI RISTORATORI: GLI ANDREINI
Cristiano e Gian Luca sono figli
d’arte. Il primo in famiglia a occuparsi di ristorazione è stato il padre: Sergio Andreini. Dopo anni
d’insegnamento all’Istituto alberghiero di Alghero è stato proprio
lui a inaugurare il rimpianto club
privato “S’Oberaju”: pochi tavoli,
qualche panca e una minuscola
cucina in un vecchio palazzotto
che occhieggia al mare, dove si
andava tra amici per mangiare i
piatti più tradizionali, come gli
spaghetti ai ricci e l’aragosta,
spendendo due soldi.
Qui, dopo varie esperienze in
Costa Smeralda, i due fratelli,
Cristiano e Gian Luca, hanno continuato a farsi le ossa, prima di
prendere il volo verso ristoranti –
stellati Michelin – della Ville Lumiére e della Svizzera, dove hanno lavorato con grandi cuochi, come Alain Ducasse. Infine sono
rientrati ad Alghero, per lavorare
da “Andreini” (via Arduini 45,
tel. 079/982098) aperto tre anni fa
dal padre Sergio, in un ex frantoio con soffitto a volte a botte in
un bel palazzo del centro storico.
L’arrivo di Cristiano, come chef, e
di Gian Luca, in sala, ha portato
una ventata di novità ad Alguer,
cittadina molto catalana e un po’
sarda, sempre sospesa tra passato
e futuro. “Ci sentiamo algheresi,
sardi e italiani e i nostri piatti rispecchiano questo spirito – dicono i due fratelli –. La nostra cucina vuole valorizzare il territorio,
partendo da una ricerca scrupolosa della materia prima. Un esempio è il menu che ritocchiamo
ogni giorno in base a cosa troviamo al mercato”.
Tra i piatti forti ci sono il tonno
isolano marinato alle spezie, caramello di aceto balsamico ed erbine di campo, il risotto allo zafferano di Turri con un ristretto di
scampi e carciofi snakati (croccanti) o le tagliatelle fatte in casa
al nero di seppia accompagnate
dalla coppazza (brodetto di pesce), il pesce spada e gli asparagi
selvatici. “Come secondi oltre al
pesce dei nostri pescatori e mai
di allevamento – spiega Cristiano – ci sono le carni. Quella sarda, come il bue rosso del Montiferru, ma anche la cacciagione, il
cinghiale o l’agnello è più dura e
difficile da lavorare di quella
‘continentale’, ed è proprio in
questo che si vede l’intervento
dello chef. Non faccio né intingoli né salse pesanti, ma solo una
cottura delicata, in modo da evidenziarne il sapore”.
Il carrello dei formaggi è un’opera d’arte: casizzolu del Montiferru, caprini freschi lavorati con
muffe nobili, pecorino erborinato di Thiesi e di altre provenienze con stagionature diverse. E
poi ci sono i dessert, tra cui lo
spumone al torrone di Tonara
con salsa di cioccolato caldo e i
sorbetti, soprattutto per l’estate,
fatti con le arance di Muravera, il
prezzemolo, il limone e il basilico, senza però dimenticare le mitiche sebadas con miele di acacia
e cumino. E non è tutto. A tavola
vengono serviti cinque tipi di
pane fatto in casa. C’è la carta
degli oli (di cui sette sardi, uno
ligure, uno siciliano e uno pugliese) per condire sia l’insalata,
rigorosamente di campo, che
qualsiasi altro piatto; e poi quella dei distillati, dei caffè, degli
infusi biologici, dei tè... La carta
dei vini, in continua evoluzione,
è fortissima soprattutto sui vini
isolani, rappresentati da oltre 80
etichette sulle 250 totali. Dulcis
in fundo il box per i sigari, e una
sala per i non fumatori. (O. D’A.)
Una sala del ristorante (aa sinistra )
e lo chef Cristiano Andreini (iin alto ),
che si è fatto le ossa lavorando
nei migliori ristoranti europei
insieme al fratello Gian Luca.
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Andrea Campagna
LA GALLURA
Dici Gallura e pensi subito mare, granito, sughere e vento, che non sono
soltanto paesaggio ma anche modo di essere un popolo,
una civiltà. Dalle coste più famose del mondo ai caratteristici stazzi
dell’interno, una cultura del mangiare diversa anche dal resto
della Sardegna. Suppa cuata, autentica regina della tavola, ravioli dolci,
formaggio fresco e tenere formaggelle di ricotta: i sapori
prevalenti sono discreti e delicati come i modi della gente di qua.
E come il Vermentino, il più nobile dei suoi vini.
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PANORAMA - GALLURA
La stupenda spiaggia di Poltu li Cogghi, a otto chilometri
da Porto Cervo, è tra le più belle della Costa Smeralda.
Un arco di sabbia bianca finissima, delimitato dalle rocce,
si incontra con l’acqua turchese. Il particolare
fondale in granito regala al mare colore e limpidezza unici.
Gianmario Marras
PANORAMA - GALLURA
PANORAMA - GALLURA
Gianmario Marras
Sopra: Rena Bianca è una delle
spiagge di cui Santa Teresa
di Gallura va giustamente orgogliosa.
Il candore dei granelli di sabbia
riluce in un abbagliante contrasto
con la macchia scura della vegetazione
e il celeste limpido dell’acqua.
A sinistra: un tempo gli asini erano
l’unico mezzo per trasportare
i viveri al faro dell’isola di Razzoli,
nell’arcipelago della Maddalena.
Oggi una comoda mulattiera
conduce all’edificio squadrato
sovrastante le coste scoscese
e selvagge; da qui si apre
un panorama indimenticabile
sulle Bocche di Bonifacio.
Gianmario Marras
Gianmario Marras
PANORAMA - GALLURA
Uno scorcio del campo da golf
del Pevero, inserito nella fantastica
cornice naturale della macchia
mediterranea intorno a Porto Cervo.
Il percorso a 18 buche disegnato
da Robert Trent Jones nel 1972
si snoda per 6107 metri e va coperto
con 72 colpi; “green” sempre
in perfette condizioni e servizi
impeccabili sono il biglietto
da visita di questo prestigioso club.
53
PANORAMA - GALLURA
Antonio Saba
Gianmario Marras
A sinistra: la chiesetta di San Leonardo
a Luogosanto, pittoresco paesino agricolo della
Gallura situato tra Tempio e Arzachena.
Il piccolo edificio sacro ad aula unica dedicato
al Santissimo Salvatore era la cappella
palatina del castello di Balaiana, raso al suolo
nel 1432 da Alfonso d’Aragona. La furia distruttrice
del re risparmiò la piccola chiesa romanica
in conci di granito che ancora oggi, dopo il restauro
del 1995, domina dalla sommità di una collina
un paesaggio ondulato dai vasti orizzonti.
Sotto: la spiaggia attrezzata di uno degli alberghi
più belli ed esclusivi della Costa Smeralda.
55
GALLURA
GALLURA
Gallura
UNA CIVILTÀ DI
CONTADINI E PESCATORI
Dalla sobria cucina contadina degli “stazzi” ai raffinati sapori
del mare cristallino: breve itinerario gastronomico nella terra del Vermentino
Antonio Saba
un’altra figura essenziale di questa terra: non solo
per l’apporto che dà all’economia di intere popolazioni (Calangianus è giustamente considerata la capitale italiana della lavorazione del sughero), quanto per il particolare aspetto che conferisce al paesaggio quella loro inclinazione a sud-est, dovuta alla forte e persistente azione del maestrale. Vento
che qua la fa da padrone, compagno abituale dei
sardi e amico delle migliaia di velisti e surfisti che
popolano d’estate le acque galluresi.
Senza capire questo paesaggio non si capisce la Gallura. Che non è solo mare. La Gallura è anche il suo interno, tutto verde e vallonato, con strade che fanno
buffi saliscendi lungo i pendii. Lo punteggiano le case bianche che si chiamano
“stazzi” (dal latino statio, luogo dove ci si
ferma), cuore dell’azienda familiare che
vive del lavoro dei campi, di allevamento del bestiame, del bosco per la legna,
della vigna per l’aspro vino, dell’orto per
le provviste di casa. È da qui, dagli stazzi, dalla vita morigerata e severa dei
suoi contadini-pastori, che viene quella
che chiamano la “civiltà gallurese”. E
siccome è anche civiltà del mangiare,
trae ancora oggi dalla tradizione dello
stazzo la sua cucina più tipica.
Sontuoso piatto d’obbligo è la suppa,
una zuppa che dicono anche cuata,
cioè “nascosta”, pare perché sormonta-
56
A sinistra: un tempo in Gallura si producevano
le pesche e le angurie più buone di Sardegna.
Ora è un frutto selvatico come il fico d’India
a dare un tocco mediterraneo alla tavola.
Pagina accanto, in alto : la Gallura non
è solo mare, ma anche dolci e verdi colline
che danno un ricco pascolo agli allevamenti
dell’interno. Pagina accanto, in basso: i dolci
galluresi sono un trionfo di zucchero e miele.
ta da una crosta brillante di formaggio. Franco Fresi,
poeta gallurese tra i più noti, nato in uno di questi
quieti stazzi, ce ne dà più avanti la ricetta (vedi box
a pag. 62). La suppa è, come dice lui, il piatto forte
del pranzo nuziale: e infatti la chiamano anche suppa di còju, di nozze.
La cucina di mare è scoperta più recente. Certo
esisteva da prima, portata soprattutto dalle numerose, attive colonie di pescatori (quasi sempre ponzesi) che venivano a stabilirsi su queste coste. Il turismo, promovendo quei borghi solitari a piccoli paradisi estivi, ha esaltato le pietanze povere di chi viveva tra reti, palamiti e barche. Lo zimino, per esempio, è la zuppa di pesce, che aveva per ingredienti
tutti i pesci che non potevano andare sul mercato, ma ottimi per il
sugo. La galletta faceva il resto.
Questa popolazione abituata
(meglio dire, costretta) a sfruttare
ogni angolo del mare si è trovata
anche due delikatessen che hanno
un mare di affezionati: le cozze (il
golfo di Olbia ne ospita allevamenti che sono tra i più grandi
d’Italia) e i ricci. I ricci sono un
frutto di primavera, ma si possono mangiare tutto l’anno. Non temono gli inquinamenti, e la GalAntonio Saba
D
ici Gallura e pensi subito mare, granito,
sughero e vento. Che poi fanno tutto un
insieme: non solo paesaggio, ma anche
modo di essere un popolo, una civiltà.
Mare, da queste parti, vuol dire Costa Smeralda,
arcipelago della Maddalena, Bocche di Bonifacio,
Costa Paradiso: alcuni dei luoghi che molti considerano tra i più belli al mondo. La Gallura ha colori incredibili, che valgono da soli l’intera vacanza. Il merito è anche del granito, che regala all’acqua trasparenze spettacolari, come spettacolari sono le rocce,
giganteschi capolavori naturali e autentiche protagoniste del paesaggio. La quercia da sughero è
Dario Sequi
DI MANLIO BRIGAGLIA
lura ha centinaia di spiagge mai toccate dal piede
umano. Un tempo c’erano anche le gnàccare, nome
locale di quella che gli scienziati chiamano pinna nobilis: enormi molluschi bivalvi, simili a grandi pale
di fichi d’India, confitti verticalmente sul fondo del
mare più quieto. Chi faceva il bagno al Cannigione,
sino a una trentina d’anni fa, vedeva questa foresta
rameggiare immobile dieci metri più in basso. Del
muscolo si faceva una splendida insalata, il ventrame si friggeva fino a farne un pasticcio piccante, si
diceva anche amabilmente afrodisiaco.
Regina del menu di mare è Sua Maestà l’Aragosta.
Se n’è pescata tanta, in questi ultimi anni, che la Regione ha dovuto ordinare un periodo annuale di fermo biologico. Un tempo la sua
pesca era centrale nella modesta
economia dei villaggi di pescatori: velieri venivano a caricarla un
po’ dappertutto per portarla a
Genova o, meglio ancora, a Marsiglia. La stiva era forata in modo
da farci passare acqua di mare
sempre fresca: altrimenti l’aragosta, che è animale delicato, avrebbe sofferto e alterato il proprio sapore. Allo stesso modo, una volta
pescata, in attesa che arrivasse il
veliero, veniva collocata dentro
57
GALLURA
GALLURA
cassoni di legno, immersi a pelo d’acqua, in modo da restare in mare.
Quando le aragoste si urtavano, le
antenne più sottili si rompevano,
provocando l’inquinamento della
gabbia e la morte delle aragoste. Per
questo i pescatori visitavano i vivai
due volte al giorno, e toglievano
quelle ferite o danneggiate. L’operazione, essenziale alla sopravvivenza
del pescato, attivava un curioso mercato, detto sbrigativamente “delle
aragoste morte” (leggi piuttosto moribonde). Le si vendeva a prezzo di saldo, sicché prima dell’invasione turistica (che si data per comodità
al 1962, anno di fondazione del Consorzio della Costa
Smeralda) si poteva mangiare l’aragosta a prezzi più
bassi del pesce “normale”. L’aragosta alla Vernaccia
era il piatto che aveva reso famoso un piccolo ristorante di Capo Testa, “Da Zia Colomba”. La proprietaria, zia Colomba Muntoni, si è messa a riposo da
qualche tempo: ha più di cent’anni, ma ogni mattina
va a mungere le vaccherelle e farci una ricottina che
offre col miele agli amici che vanno a trovarla.
Dario Sequi
In questa pagina: l’estrazione e la lavorazione del sughero
in Sardegna, e in particolare nei boschi della Gallura,
garantisce il 90 per cento della produzione italiana di tappi
e di materiale isolante impiegato nel settore edile. Pagina
accanto: un vigneto in Gallura. Con gli ottimi Vermentini
e il celebre Capichera, la zona si è conquistata un posto
di tutto rispetto nella produzione vitivinicola isolana.
Dario Sequi
Dario Sequi
Il miele, per l’appunto. I galluresi, di bocca dolce, lo usavano spesso nella loro cucina. In particolare
nelle decine di varietà di dolci (prime fra tutti li cucciuleddhi e meli, canestrini di pasta, pasta di mandorle
e miele, e le origliette, piccoli rombi
di pasta fritta: “piccoli cuscini”,
dallo spagnolo) e soprattutto nelle
frittelle, li frisgioli longhi, frittelle
lunghe a volte anche un metro, che
i galluresi doc non mangiano se
non sepolte di zucchero e miele.
Sono un dolce tipico del periodo di Carnevale, ma
la cucina turistica le ha allungate fino all’estate.
In verità, il dolce principe del menu estivo è la sebada o seada (al plurale si aggiunge una esse e fa sebadas, seadas: state attenti a non dire “una sebadas”,
anche se ormai quest’uso è invalso anche nei camerieri indigeni). Il nome viene da seu, lo strutto con
cui si prepara la pasta che serve a fare una focaccina ripiena di formaggio fresco, possibilmente acidulo, fritta e naturalmente mielata e zuccherata.
Anche lo stazzo gallurese conosceva un dolce di
questo tipo (si chiamava la siata), ma è il turismo
che l’ha fatta atterrare sui tavoli galluresi dai pascoli della Sardegna interna.
Finiamo con la frutta. La Gallura produceva un
tempo (a Santa Teresa di Gallura, per esempio) angurie e pesche da concorso. Ora è fortuna se arrivano
dai vicini campi del Coghinas o dai frutteti di Arborea, nell’Oristanese. A voler restare sul locale, si potrebbe scegliere l’uva: se non altro per rendere
omaggio ai famosi vini, tutti doc e qualcuno anche
dogc, che si fanno tra Tempio – patria di famosi vermentini – e Arzachena, dove un’azienda privata fa
ottimi rossi per la carne e inarrivabili bianchi, tra cui
il mitico Capichera, per il pesce. Luras è l’ultima arrivata, ma è già nel gruppo di testa con lo splendido
Vermentino della cantina Depperu.
Ma un frutto che, come si dice oggi, intriga molto il
visitatore è il fico d’India. Un frutto di piena estate,
stagione di climi densi. Cresce a siepe sui muretti
delle tanche, un trionfo di gialli e di rossi. Ed è gratis.
I galluresi dicono scherzando che al turista piacerebbe molto di più se qualcuno gli dicesse che, prima di
mangiarlo, bisogna togliergli la buccia spinosa.
LA GALLURA IN TAVOLA: LA RICETTA DELLA SUPPA
Oggi nei menu dei ristoranti la
chiamano suppa cuàta, zuppa nascosta, ma prima la si chiamava
semplicemente la suppa. Già presente, pare, nel Settecento nella
cucina gallurese, rappresenta da
sempre uno dei piatti più caratteristici dell’economia alimentare
dello “stazzo”. La ricetta è molto
semplice: in una teglia dai bordi
alti, o in un altro semplice tegame,
sul fondo cosparso di un velo d’olio vengono alternati diversi strati
di fette di pane rappreso e di formaggio tenero. Tra strato e strato,
salsa di pomodoro fresco con foglie di basilico. Il tutto, poi, viene
innaffiato con brodo di manzo e
messo nel forno già caldo. Un’ora
e mezzo circa di cottura e i bordi
del recipiente vengono superati
da una crosta dorata e profumatissima sotto la quale si è formato un
tenero strato pastoso, frutto della
fusione del pane e del formaggio
assieme al sugo e al basilico.
La suppa, così fragrante e dorata,
può essere facilmente scambiata
per una torta. Di qui, forse, il nome di suppa cuàta, quasi dissimulata, nascosta alla semplice interpretazione del profano. Tagliata a
spicchi, la sostanziosa pietanza
viene servita calda. Fredda perde
il 50 per cento del suo pregio, anche se in alcuni ristoranti viene
considerata oggi anche un ottimo
piatto estivo.
Quando i matrimoni si celebravano in famiglia, la suppa costituiva
il clou del ricco pranzo di nozze.
Veniva chiamata per l’occasione
una manista (il termine, che potrebbe anche tradursi semplicemente “cuoca”, sembra avere un
significato più ricco dell’indica-
zione di un mestiere) di provata
esperienza perché la suppa di un
matrimonio non poteva essere
che ottima, degna di mintóu, degna di ricordo e accomunata alla
buona sorte degli sposi.
In Gallura ogni ristorante che si
rispetti può offrire anche oggi
una buona suppa vecchio stile.
Alcuni, meno rispettosi della tradizione, l’hanno voluta “arricchire” con carne, pesce, verdure o
aromi inadeguati. Altri, pur conservando gli ingredienti giusti,
tendono a diluirli con brodi più
abbondanti, fino a ottenere una
semplice zuppa che ricorda tanto la pur gradevole “acqua cotta”
toscana. Altri ancora sostituiscono le larghe, sottili fette di formaggio fresco con del pecorino
piccante grattugiato o parmigiano a cubetti.
(F.F.)
59
GALLURA
GALLURA
Ristoranti
Dove assaporare le specialità della cucina
tradizionale gallurese, tra agriturismo e ristoranti meno
noti che offrono i piatti “di una volta”
DI FRANCO FRESI
C
onsigliamo qui qualche ristorante di
città e qualche agriturismo. Esclusi dall’elenco, perché segnalati in qualsiasi
buona guida, i ristoranti più noti, tra cui ne ricordiamo solo tre che per noi sono i migliori in assoluto: quello dell’albergo Gallura a Olbia (vedi box p.
61); il Canne al vento (tel. 0789/754219) di Franco
Mannoni a Santa Teresa di Gallura; e La Gritta
(tel. 0789/708045) di Beniamino Amore a Palau, affacciato su Porto Raphael e lo splendido panorama
della Maddalena.
A proposito di Palau, vale una visita la magica romantica atmosfera dell’hotel Capo d’Orso (tel.
0789/702000), in località Cala Capra. Nel suo ristorante vengono profuse a piene mani qualità, cortesia
e professionalità. Caratteristica che si ripete in tutte
le strutture del gruppo Delphina, in particolare al
Cala di Falco di Cannigione, alle Dune di Badesi e
al Torre Ruja dell’Isola Rossa.
A Tempio, bella cittadina alle falde della catena
del Limbara, il ristorante tipico (e bar) Caffè Gabriel, in via Mannu 43 (tel. 079/633601, aperto tutto
l’anno), propone cibi strettamente locali, d’antica
Dario Sequi
tradizione: gnocchi casarecci, ravioli, tagliatelle.
Cacciagione, pesce e vini locali. Anche alla trattoria
Da Bisson in via San Luca (cell. 339/6424117) piatti
tipici galluresi e vini locali.
Tra gli agriturismo, citazione d’obbligo per L’Agnata ideato da Fabrizio De Andrè e ora condotto dalla
moglie Dori Ghezzi e dai figli. Si trova a 15 chilometri
da Tempio, a 7 dal bivio a destra sulla Tempio-Oschiri. Paste e carni della cucina sarda tradizionale, e vini
locali. Meglio prenotare (tel. 079/671384).
Ad Aggius, paese il cui paesaggio granitico vale
da solo una vacanza, la pizzeria-trattoria Calimero,
in centro (tel. 079/620297), propone specialità galluresi ed è l’unico locale in Gallura dove si cucina l’asino in tutte le ricette. Vini locali. Tra gli agriturismo Il Muto di Gallura di Gianfranco Serra, ad un
chilometro da Aggius andando verso Tempio (tel.
079/620559). Pietanze rigorosamente locali. Tra le
carni troneggia il cinghiale. Piatto principe la suppa
cuata. Sempre aperto (si consiglia di prenotare). Vini locali. A Calangianus il ristorante La Quercia, in
via Tempio (tel. 079/660752) offre tutti i piatti della
tradizione gallurese.
A Sant’Antonio di Gallura il ristorante La Pitraia di Angelo ed Arcangela (tel. 079/6693810789/43911) offre tutte le specialità della cucina
tradizionale gallurese riproposte con molto buon
gusto da uno chef d’eccezione. Vini locali ma non
solo. Tra gli agriturismo, gode di meritata fama l’azienda agricola-agriturismo Li Licci, che si trova
sulla strada Luras-Olbia, in prossimità del piccolo
centro di Priatu (tel. 079/1665114). Tutte le tradizionali specialità galluresi. Si privilegia la suppa cuata
e, tra le carni, il porcetto. Ottimi antipasti di prosciutto locale. Vini della casa. Sempre a Priatu merita una sosta l’albergo-ristorante-bar Montenero
da Vittorio e Antonello (tel. 079/665104) che propoA sinistra : in Gallura non è difficile trovare un ristorante
dall’atmosfera calda e accogliente dove gustare le migliori
specialità della gastronomia locale.
te. Sempre da quelle parti, potete fare una sosta al ristorante Belvedere (tel. 0789/96501) dove i fratelli Pileri vi accolgono con un sorriso e una serie di piatti
preparati dalla mamma – pasta fresca, prodotti del
giorno. La sera è meglio prenotare.
A Olbia il ristorante Da Giagoni e Mazzuccu, in via
San Simplicio (tel. 0789/27925), propone tutti i piatti
tradizionali galluresi e dell’ottimo pesce. Vini a scelta.
In comune di Olbia c’è anche Porto Rotondo, località
mondana della quale segnaliamo, assieme al celebre
Giovannino, il ristorante dello Sporting.
Ad Aglientu, l’agriturismo Stazzu Vintura, sulla
strada Castelsardo-Santa Teresa di Gallura, in località Lu Colbu, a 35 chilometri da Santa Teresa di Gallura (cell. 339/5661395), offre tutti i piatti tradizionali della campagna gallurese, compresi quelli prodotti dal formaggio fresco (casgiu furriatu, mazzafrìssa,
ghjuncata). Ottimo pesce. Meglio prenotare.
A Badesi, specialità marinare e campagnole della
vecchia e nuova Gallura al ristorante Li Scaletti (tel.
079/684710). Ottimi i vini locali.
IL MENU DI RITA DENZA: PRODOTTI LOCALI, PROFUMI “DIVERSI” E TANTO AMORE
Rita Denza (nella foto), all’albergo
Gallura di Olbia (in corso Umberto I, tel. 0789/24648), imbandisce
la tavola più raffinata non solo
della Gallura ma, a detta di molti
gourmet, di tutta la Sardegna.
Cuochi per caso non si nasce.
Napoletana di lontana origine,
suo nonno Giuseppe fu uno degli ultimi monsù, come si chiamavano i grandi chef di cucina delle
famiglie aristocratiche: servì i
Ruffo di Calabria, i Ruffo di Bagnara, i Lanza di Trabia, gli Spada Potenziani. Suo padre Angelo
era primo chef dei vagoni letto.
Fu lui che nel 1923 venne ad Olbia per gestire l’albergo Italia.
Quando le bombe del ’43 distrussero l’hotel Pausania, lo comprò,
lo restaurò e nel 1948 lo riaprì col
nuovo nome di Gallura.
“I segreti della mia cucina? Nessuno. O meglio, tre regole: solo
prodotti locali e solo freschissimi;
secondo, fare qualcosa di diverso
con i profumi ‘diversi’ della Sardegna; terzo, metterci tanto amo-
re. Poi lo sanno tutti che cerco i
prodotti uno per uno e vado per
campi a scoprire erbe che forse
non sono neanche negli atlanti
botanici. Pensa che adesso a Muravera, all’altro capo dell’isola,
c’è un signore svizzero che alleva
in un suo vivaio tutte le erbe mediterranee col sistema biologico.
Il mio menu cambia con le stagioni. In questo periodo comincio
con un’insalatina di campo con
crocchettine di spigola condite
con olio e mosto d’uva (me lo
portano da Berchidda, è più profumato dell’aceto balsamico), e
rana pescatrice al profumo d’arancia. Come primo, tagliolini ai
ricci e un risottino ai carciofi selvatici in profumo di limone.
Dopo un sorbetto al basilico, ricoperto di salsa di limone, restando
sempre sul pesce, filetti di San
Pietro sauté all’olio di frantoio,
serviti con salsa agrodolce di cipolle di Ozieri; lo accompagno
con un tortino di borragine, finché la stagione ce la lascia.
Dario Sequi
IL MEGLIO IN TAVOLA
ne tutte le specialità tradizionali della cucina gallurese, piatti moderni, ottimi antipasti al prosciutto,
arrosti di carne locale. Vino della casa.
A Luogosanto, suggestivo paesino con una basilica
risalente al 1200 e ventitré chiesette campestri, suggeriamo l’agriturismo Vaddhidùlimu di Mario Ziruddu,
che si trova a pochi chilometri dall’abitato sulla strada
per Aglientu (tel. 079/652419). Propone tutte le pietanze della cucina tradizionale gallurese. Tra le carni
si privilegia la cacciagione e il porcetto. Piatti principe: la suppa cuata, i ravioli e gli gnocchi casarecci. Si
consiglia di prenotare. Vini della casa.
Ad Arzachena all’agriturismo Lu Branu dei fratelli Columbano, sulla strada per Palau (tel.
0789/83075), si servono tutti i piatti galluresi antichi.
Vini della casa (da visitare!). In territorio di Arzachena ricade per intero il comprensorio della Costa Smeralda. Se non volete spendere un occhio della testa,
fate un salto al residence Capriccioli dove Francesco
Depperu vi accoglierà con cortesia e savoir faire sulla spiaggia che molti considerano la più bella di tut-
Se non vuoi l’arcobaleno di dolci
sardi che compro di paese in paese, propongo un gelato di riso con
frutti rossi. Ma perché non una ricottina all’abbamele, frutto ultimo
del favo di miele? Vino di Tempio,
oppure il Vermentino di Depperu
di Luras o i vini di Argiolas, che
vengono dal Campidano. E per finire, una grappa sottile o il mirto
che fa solo per noi il signor Franco
Manca, 96 anni pieni. Il limoncello?
Ora c’è anche quello, ma lo serviamo col miele di Muravera”.
61
D
I liquori di Sardegna
MIRTO E DINTORNI
Dalle bacche violacee di questo tipico arbusto
della macchia mediterranea si ottiene un liquore
da sempre simbolo dell’ospitalità sarda
DI EMILIANO FARINA
64
entro ogni bicchiere di mirto si nasconde una storia infinita, intrecciata fra racconti e leggende che si perdono nei secoli. Se per i greci il myrtos, l’arbusto che cresce
spontaneo sulle coste del Mediterraneo, era sinonimo di erotismo e fecondità, per i romani rappresentava amore spirituale, mentre per i sardi è il simbolo dell’ospitalità per eccellenza. Da sempre.
È quasi impossibile alzarsi dalla tavola di una famiglia, un agriturismo o un ristorante sardo senza
prima aver sorseggiato un bicchierino di mirto
ghiacciato che, facendo leva sulle sue proprietà digestive, diventa una piacevole scusa per continuare
a conversare in tranquillità. Basta appena bagnarsi le labbra e lasciare
scorrere poche gocce sul palato per rimanere travolti dal gusto forte e sincero di quelle piccole bacche violacee
staccate con cura dai rami di cespugli,
che non superano i due metri. Cespugli della cosiddetta macchia mediterranea che, insieme a ginepro, corbezzolo, lentisco e altri arbusti, mettono
radici soprattutto sulle coste nell’area
compresa tra Italia, Grecia, Spagna e
Sud della Francia.
Da qualche tempo a questa parte, la
Sardegna ha avviato un iter di commercializzazione del mirto e dei suoi
derivati, che fino a qualche decennio
fa erano una prerogativa quasi assoluta di abitanti e aziende isolane. Oggi,
attraverso un lento ma graduale processo, molte di quelle aziende pluricentenarie lo stanno esportando con
successo oltre i confini regionali e nazionali. E insieme ad esso diffondono
l’immagine di un popolo caratterizzato da un amore indissolubile per la
terra e i suoi prodotti.
Città, campagne e paesi della Sardegna: il liquore di mirto si trova e si
beve ovunque. Sulle coste come nelle
zone interne. Dai bar, ai supermercati, al più moderno dei locali notturni,
consumato da giovani e anziani. Ma si
trova soprattutto nelle case della gente comune, quella che ancora oggi con
pazienza ed esperienza va alla ricerca
delle bacche e se lo produce tra le
mura domestiche, esaudendo i desideri del proprio palato. In fondo, farsi
qualche litro di buon liquore di mirto
non è poi così difficile. Ecco qualche consiglio per
chi volese cimentarsi nell’opera, o per lo meno fosse interessato a sapere come si produce.
Aspettate fino a novembre-dicembre, periodo di
raccolta delle bacche, e procuratevene circa un chilo. Lasciatele per almeno 40 giorni in infusione con
un litro di alcol a 90 gradi e poi macinatele. Preparate uno sciroppo con un litro d’acqua e 800 gramPagina accanto: bacche di mirto nella macchia mediterranea.
Sotto: due modi per concludere degnamente un pranzo
a base di specialità sarde sono il mirto ghiacciato, imperdibile,
e il Villacidro giallo, altra gloria della tradizione
liquoristica isolana; quest’ultimo ha un sapore molto
aromatico, con un caratteristico fondo di anice e zafferano.
Dario Sequi
Dario Sequi
I LIQUORI DI SARDEGNA
65
trovarli, poi, lasciavano
emergere in superficie una
striscia di fil di ferro. Da
non perdere un altro classico della Sardegna: il liquore
di Villacidro giallo (particolarmente aromatico, con
fondo di anice e zafferano),
simile per caratteristiche allo Strega e al Galliano e
quanto questi saporito, anche se meno celebre.
Sopra: bottiglie di mirto prodotte su scala industriale.
Il liquore, un tempo specialità solo casalinga, viene oggi
esportato con successo dalle aziende isolane nel resto
d’Italia e nel mondo. Sotto: fiori di mirto, utilizzati
nel medioevo per produrre un profumo detto “acqua
degli angeli”. Della pianta, di cui sin dall’antichità
si apprezzavano le proprietà medicamentose, nulla va sprecato:
dalla macerazione delle bacche in alcol con l’aggiunta
di acqua e zucchero si ottiene il classico liquore; le foglie
vengono lavorate con lo stesso metodo per ricavare il liquore
di mirto bianco e vengono utilizzate in molti piatti.
Dario Sequi
mi di zucchero facendolo
bollire sul fuoco per 10 minuti. Aspettate che il prodotto si raffreddi, aggiungeteci le bacche macinate e
poi filtrate il tutto con una
garza. A questo punto il liquore di mirto è pronto per
essere imbottigliato. E bevuto, freddo.
Se oggi il mirto è senza
dubbio considerato uno dei
simboli della terra di Sardegna, i prodotti della tradizione liquoristica isolana
non si fermano certamente qui. Impossibile non
aver mai sentito parlare del fil ’e ferru o abbardente,
l’acquavite tipica dell’Oristanese e delle zone pastorali, ottenuta dalle vinacce pregiate e chiamata così
(letteralmente: “fil di ferro”) perché nel Settecento i
distillatori clandestini interravano gli alambicchi
per non farli cadere nelle mani dei finanzieri. Per ri-
Adriano Mauri
I LIQUORI DI SARDEGNA
66
Andrea Campagna
IL NUORESE
Territorio eterogeneo, il Nuorese: vi confluiscono zone geografiche
e culture diverse. Unificate però dai sapori forti e genuini della cucina
agro-pastorale, che trae dalla terra e dal ritmo delle stagioni
i suoi principali piatti. Il porcetto arrosto, la pecora bollita, i salumi
e le innumerevoli varietà di pecorino, il mitico Cannonau:
segni d’una cultura antica che non cessa di elargire generose emozioni.
69
PANORAMA - NUORESE
PANORAMA - NUORESE
Antonio Saba
Particolare della maschera di legno di un Mamuthone, figura
tradizionale del carnevale di Mamoiada, nel cuore della
Barbagia. In questo antichissimo rituale dodici Mamuthones,
i “vinti”, sfilano in corteo danzando per le strade del paese
sferzati da otto Issohadores, i “vincitori”. Oltre alla maschera
indossano “mastruca” (la giacca di pelle di pecora
dei pastori) e campanacci. Resta ancora avvolto dal mistero
il significato di questo rito che potrebbe ricollegarsi
alla rievocazione di un evento militare o a un culto pagano.
Nevio Doz
Gianmario Marras
PANORAMA - NUORESE
Sopra: le caratteristiche stradine del quartiere di Sa Costa, a Bosa, si inerpicano fino al castello dei marchesi
Malaspina. Grazie alla favorevole posizione nella fertile valle del Temo, la cittadina sulla costa occidentale della Sardegna
vanta una storia millenaria, scritta nei suoi monumenti. Sotto: Cala di Luna, nel golfo di Orosei. Questo scenario
che rievoca i mari del Sud “nasconde” nei canali sommersi della costa gli ultimi esemplari di foca monaca.
Gianmario Marras
Gianmario Marras
Sopra: scena di vita agreste nelle campagne di Orgosolo, ai piedi del Supramonte. In questa zona sono diffusi
i vigneti di Cannonau, da cui si ricava il tipico vino corposo della zona. Sotto: i murales dipinti
sulle caratteristiche case basse di pietra a Orgosolo, nella Barbagia di Ollolai, raccontano le vicende
di questo centro agricolo e delle ingiustizie subite dai suoi abitanti.
PANORAMA - NUORESE
PANORAMA - NUORESE
74
Nevio Daz
Gianmario Marras
In questa foto: i Tenores de Bitti, uno dei gruppi vocali
grazie al quale si perpetua la tradizione
del “canto a tenore”, l’espressione musicale più arcaica
della Sardegna centrale. A destra: nella natura aspra
e selvaggia della valle del Lanaitto, ai piedi
del Supramonte, c’è ancora chi si dedica alla pastorizia
seguendo tecniche e stili di vita di un lontano passato.
75
Nuorese
DALLA CUCINA
DEI PASTORI
A QUELLA DEL MARE
Piatti scanditi dall’alternarsi delle stagioni nelle zone dell’interno,
fragranti prodotti del mare sulla costa: il tutto arricchito da una forte
identità e da una meravigliosa ospitalità
Antonio Saba
Tra le prelibatezze offerte dalla cucina delle zone interne
del Nuorese è d’obbligo provare su filindeu, una minestra
fatta con pezzi di pane carasau e formaggio fresco filante,
così come i maccarrones de busa, bucatini di pasta fresca
fatta a mano (sopra) o, se preferite, i saporiti culungiones,
ravioli ripieni di ricotta (pagina accanto, in basso); tra i secondi
non può mancare, naturalmente, il porcellino da latte
allo spiedo, piatto-emblema dell’isola (pagina accanto, in alto).
76
ane e casu e binu a rasu” (pane, formaggio e
vino in abbondanza), recita un detto sardo.
Un’espressione che spiega bene il rapporto
dei sardi, in particolare quelli dell’interno, con il cibo.
Un’alimentazione semplice ma ricca al tempo stesso
per varietà di prodotti e ricette che ogni singola zona
è in grado di offrire. Molte di queste davvero antiche: tramandate di generazione in generazione, continuano a conservare immutati sapori che hanno resistito alla modernità imperante di cibi precotti, veloci e senza gusto, all’insegna di una completa omogeneizzazione e annullamento delle singole identità. È proprio l’identità che nel Nuorese rimane un
punto forte: nella lingua come nelle tradizioni e nel
folclore, e naturalmente in cucina.
Un territorio senza dubbio eterogeneo, il Nuorese: in esso confluiscono zone geografiche (Mandrolisai, Barbagia, Sarcidano, Marghine e Planargia) e
culture diverse, ognuna con peculiarità sue proprie,
in grado da sole di fare scuola, ma anche con alcune
caratteristiche comuni capaci di rispecchiare a tavola quella che è stata e che continua ad essere la sua
economia prevalente, essenzialmente pastorale e
agricola. Ovunque dominano sapori forti e genuini
che per essere gustati a fondo devono essere consumati nel territorio dove sono prodotti, rispettando
usi, tradizioni e rituali ancora in uso.
Un’economia pastorale e agricola è essenzialmente una cucina di terra, che trae dal territorio e
attraverso il ritmo scandito dall’alternarsi delle stagioni i suoi principali piatti. Piatti che spesso nascono e si consumano all’aria aperta, aromatizzati
con erbe e foglie degli stessi rami che alimentano la
cottura: dagli arrosti fumanti (il celebre maialetto
da latte di pochi chili – 5 o 6 è il peso ideale – l’agnello, il capretto) fino ai dolci è un mondo fatto
d’infinite varietà, che hanno nelle singole comunità
nomi differenti, così come sono differenti le tecniche e le modalità di preparazione.
Il Nuorese è anche il regno dei salumi, prodotti da
millenni con maestria artigiana: da non perdere il
prosciutto di Desulo, Fonni e Oliena, le salsicce e i salumi di Irgoli, dove tra l’altro esiste un salumificio industriale con un buon export. Salati e debitamente
stagionati, introducono il pasto delle zone interne assieme alla squisita frue o frughe, latte cagliato di pecora, da servire freschissimo.
Terra di pastori e contadini, si diceva: per questo
ha una cucina semplice in cui sono naturalmente le
stagioni e il ciclo di vita degli animali a suggerire pietanze e accostamenti. Piatti semplici ma gustosissimi,
cucinati in occasioni particolari
quali le numerose feste pagane
e religiose; piatti da popolo, da
offrire a tutti, all’insegna di
un’ospitalità che da queste
parti fa del visitatore un amico
al quale offrire sempre il meglio che si possiede.
Zuppe e minestre hanno
spesso un significato di forte
simbolismo rituale. Rivestono
da sempre un ruolo simile a
Nuoro fae e lardu (fave e lardo), preparate dal 17 gennaio
per Sant’Antonio abate con i
falò accesi nelle piazze, e su filindeu. Piatto davvero
unico, quest’ultimo: preparato dalle donne in occasione di una delle feste più partecipate e antiche della Barbagia, San Francesco di Lula (nell’omonimo
santuario di campagna a una trentina di chilometri
dal capoluogo, ai piedi del maestoso e bianco Montalbo), viene offerto ai devoti che a piedi e a cavallo
raggiungono il luogo di preghiera. Tra i primi piatti,
accanto ai classici culungiones, ravioli ripieni di formaggio o ricotta, vanno poi ricordati sos maccarrones
de busa, bucatini di pasta fresca fatti a mano, e l’immancabile pane frattau che da antico piatto pastorale
è diventato oggi uno dei simboli classici della gastronomia di questa area.
Se la cucina delle zone interne è povera e semplice, non altrettanto si può dire di quella di mare. Un
mare ancora generoso, che ai non numerosi pescatori della provincia offre i suoi prodotti sia sul piccolo
tratto di costa occidentale che
su quello di levante: si va da
quell’autentico luogo incantato che è Bosa alle caratteristiche calette del golfo di Orosei
e di Calagonone, la “residenza estiva” di Dorgali. Luoghi
magici, ricchi di insenature e
di baie su cui cadono a picco
le propaggini calcaree del
Gennargentu, come in pochi
posti al mondo accade.
Bosa è la capitale indiscussa della cucina di mare, in
questa zona. Almeno due le
Nevio Doz
P
“
Nevio Doz
DI LUCA URGU
77
muggini arrostiti coi fumi di una tipica erba palustre,
le orate, le spigole, le aragoste. A Orosei e a Galtellì, a
Posada e a Siniscola, primi e secondi piatti conservano la tradizione millenaria e l’immutata qualità delle
materie prime. Ma il piatto più tipico, da queste parti, è un dolce dalle strane caratteristiche: sa pompìa,
un ibrido fra un pompelmo e un arancio che cresce
solo a Siniscola e che si fa bollire a lungo, per poi essere melassato con miele di corbezzolo. Un’autentica
rarità dal gusto indimenticabile.
Tra i dolci spiccano gli amaretti, a base di mandorle, zucchero, scorza di limone e bianco d’uovo, molto
apprezzati per il gusto delicato e per la loro soffice
consistenza. E sempre a proposito di dolci, forse non
tutti sanno che a Fonni si consumano ogni giorno centinaia di migliaia di uova nelle diverse fabbriche di
savoiardi. Il biscotto fonnese viene prodotto in quantità industriali senza perdere un briciolo della qualità
artigianale, e copre in ogni zona dell’isola ma anche
sul mercato esterno una domanda crescente di bontà.
Nevio Doz
sue ricette caratteristiche: una, popolare e antichissima (si dice risalga addirittura all’epoca fenicia), è
s’azada, il gattuccio di mare cucinato come solo qui
in riva al Temo si fa. L’altra è l’aragosta, pescata in
questo mare aperto e generoso nelle miglia di costa
che vanno da Bosa su fino ad Alghero. Ma quando si
parla di Bosa non si può non citare la sua Malvasia,
un autentico gioiello dell’enologia italiana: vitigno
antichissimo, anch’esso a quanto pare di origine fenicia, che solo in questo territorio, in questa terra
bianca e salmastra di Planargia, riesce a dar vita a
un vino paglierino indicato per dessert ma perfetto
anche per accompagnare, invecchiato, i dolci a base
di mandorle.
La gastronomia agropastorale prevale anche nella
regione a nord-est di Nuoro, le cosiddette Baronie,
oggi coniugata con i prodotti dello splendido mare
che ne lambisce le coste. Così insieme ai formaggi, ai
funghi, agli arrosti di pecora e di maiale, tipici dei
paesi di montagna, è frequente trovare i saporitissimi
Pagina accanto, in alto: la tradizione di pasta e dolci fatti
in casa. In questa pagina, in alto: pardulas salate,
una specialità di Annamaria Mele del ristorante “L’Oasi”
a Teti; a destra: i tipici suspiros, dolcetti a base di pasta
di mandorle e acqua d’arancio; sotto: preparazione del pane
carasau, il cui nome deriva da carasare, che significa tostare.
Al centro è riconoscibile un pani frattau.
78
di tutte le dimensioni e profumatissimi. Sono buoni per tutti gli usi:
per accompagnare e insaporire le
carni selvatiche della cacciagione
come il cinghiale o la lepre, ma anche la pernice e la quaglia, e allo
stesso tempo adatti a sposarsi bene
con la capra, l’agnello e il maiale. A
proposito: quest’ultimo viene letteralmente esaltato con le castagne,
altro frutto locale, in una delle tante ricette da applausi che hanno
fatto diventare il locale una tappa
fondamentale per tutti i buongustai che approdano in Sardegna.
Luca Urgu
Nevio Doz
Da loro il meccanismo basato sulla
divisione del lavoro funziona perfettamente. Un sistema ben collaudato, con ruoli ben definiti, ha negli ultimi tre anni decretato il successo del locale, con clienti che arrivano da ogni parte dell’isola, meta naturalmente anche dei turisti
italiani e stranieri nei mesi estivi.
Mamma Annamaria ai fornelli (foto in basso), a cucinare con fantasia
vere e proprie leccornie; suo marito fuori di casa la mattina presto
alla ricerca delle erbe selvatiche di
stagione, funghi, asparagi e
quant’altro il territorio è in grado
di offrire. Carni arrosto e in umido
tornano puntualmente nel menu,
insaporite splendidamente con le erbe aromatiche delle
zona. Un territorio
che quando ci si
mette sa essere generoso. Come è successo quest’anno
con i funghi, specialmente i porcini,
Antonio Saba
A volte la passione paga e ripaga
delle fatiche quotidiane con la miglior soddisfazione che un ristoratore può chiedere: i complimenti
della gente che arriva un po’ da
tutte le parti grazie al passaparola.
Nessuna strategia di marketing
può infatti sostituire i buoni piatti,
serviti con il giusto mix di tradizione e spirito d’innovazione, senza
dimenticare naturalmente professionalità e cortesia. È questo il seOasi di Angreto del successo dell’O
namaria Mele e Luigi Dearca, da
tredici anni ristoratori in Teti (via
Trento, tel. 0784/68211), piccolo
borgo del Mandrolisai ai confini
con la Barbagia. Siamo nel tipico
locale a conduzione familiare, dove
si danno da fare
anche i figli dei
coniugi Dearca,
cioè Ivan, Danilo e
Laila, prossima alla laurea in Giurisprudenza all’Università di Cagliari.
Antonio Saba
L’OASI DI TETI, UNA TAPPA OBBLIGATA PER I BUONGUSTAI
Antonio Saba
NUORESE
Nevio Doz
NUORESE
Antonio Saba
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Da Nuoro a Oliena, da Orgosolo a Bosa:
i luoghi dei sapori di una cucina a diretto contatto
con il territorio e le tradizioni contadine
DI LUCA URGU
C
hiamateli ambasciatori del gusto, i ristoratori del Nuorese: gente che con passione propone antichi piatti, ma non trascura il piacere di sperimentare attingendo a piene
mani da quell’autentico supermercato a cielo aperto
che è il territorio. Dai funghi porcini dei boschi della Barbagia o del Mandrolisai, agli asparagi selvati-
80
ci, presenti in abbondanza nelle colline rocciose durante la stagione primaverile. Sono loro a suggerire
i piatti e gli accostamenti più succulenti in grado di
fare la differenza nelle preferenze dei buongustai.
A Nuoro, un locale è diventato nel giro di alcuni
anni un punto fermo del buon mangiare barbaricino:
è il ristorante Canne al Vento in viale Repubblica 66
NUORESE
Antonio Saba
che ha sapientemente approfittato della grande vocazione
enologica del territorio: quantità limitate ma qualità eccelse, che raggiungono nel Cannonau e nel Nepente di Oliena la loro più alta esaltazione.
Sempre a Oliena, chi alla buona cucina vuole associare l’attività di trekking nei paesaggi
mozzafiato della vallata di Lanaittu, in pieno Supramonte,
non trascuri l’hotel-ristorante Enis Monte Maccione
(tel. 0784/288363) dal nome della splendida altura
dove si trova la struttura, immersa nel verde, e il ristorante Sa corte (tel. 0784/285313), all’inizio del paese per chi arriva da Nuoro. Proprio questi ristoranti si
sono resi protagonisti di un’interessante iniziativa in
grado di unire in maniera davvero intelligente letteratura ed enogastronomia: i “menu deleddiani”. Propongono ricette succulente e saporite descritte nelle
opere di Grazia Deledda, alcune cadute in disuso o
addirittura dimenticate e ora felicemente valorizzate
grazie alle testimonianze orali degli anziani del paese
e alle abili mani di questi cuochi. A fine pasto, dopo
aver assaporato il classico bicchierino di mirto o di acquavite, come digestivo ci si porta a casa anche un romanzo della scrittrice sarda.
Da Oliena a Orgosolo, con il suo paesaggio altrettanto affascinante, il passo è breve. Visitatissimo durante
tutto l’anno, per via del suo centro abitato colorato dai
murales di denuncia sociale sulle vecchie abitazioni, è il
regno della cucina pastorale, dai sapori forti come su
zurrete (sanguinaccio di pecora) o sa cordula (interiora di
pecora). Non a caso proprio a Orgosolo ha preso piede
con successo una forma nuova di ristorazione, il pranzo
coi pastori, con arrosti allo spiedo e carni fumanti cucinate all’aperto negli ovili ai piedi
del Supramonte, dove si trovano i
pascoli migliori. Antonio Rubanu è
stato il primo, diversi anni fa, a dare
inizio a questa attività, che in qualche modo ha anticipato il boom degli agriturismo in tutta l’isola.
Nevio Doz
(tel. 0784/201762), poco distante dallo stadio “Quadrivio”. Rievoca nel nome
uno dei romanzi più conosciuti di Grazia Deledda, la
scrittrice nuorese Premio
Nobel per la Letteratura
nel 1926. In un ambiente
confortevole propone tutte
le ricette classiche della
tradizione delle zone interne, insieme ad alcuni primi
e secondi piatti nati dall’estro fertile e dall’inventiva
dei suoi chef. Un’altra scelta “di gusto” è il ristorante Ciusa (viale Ciusa 55, tel. 0784/257052): ricette tipiche “rivisitate”, pasticceria di produzione propria,
ampia scelta di vini, regionali e nazionali.
Il vicino paese di Oliena meriterebbe uno spazio
tutto per sé, per la ricchezza di iniziative e di proposte esistenti. Accanto al celebrato hotel-ristorante Su
Gologone (tel. 0784/287512), fondato dal mitico Peppeddu Palimodde e gestito ora con lo stesso slancio
dai suoi eredi, uno spazio particolare se l’è meritatamente guadagnato il Cikappa,, di Cenceddu e Killeddu. Situato in via Martin Luther King 2 (tel.
0784/289024), in pieno centro storico, si fa apprezzare
per alcuni piatti tradizionali riportati ad antico splendore dalla sapienza della cuoca, ma anche per l’ambiente decisamente familiare del locale. Locale dalla
buona cucina di terra, ma a richiesta anche di mare,
che riesce ad abbinare bene l’”involucro” al contenuto è il ristorantino Masiloghi di Gianfranco Maccarone (via Galiani 68, tel. 0784/285696): ambienti caldi
color pastello sono la base del piacevole arredo, arricchito dalle tradizionali cassapanche in legno intarsiato. Proprio di fronte, da un paio d’anni, opera il primo
winebar della zona, il Managheri (tel. 0784/286035),
In apertura : il rustico e confortevole
interno del ristorante “Santa Rughe“,
a Gavoi, dove si può gustare un
superbo tris di primi (in questa pagina,
in alto) a base di ravioli al ragù
di cinghiale, lisandros ai porcini e
gnocchetti di ricotta, zafferano e menta.
A sinistra: lo staff del “Su Gologone”
di Oliena, in uno scherzoso girotondo
intorno alle forme di pecorino.
Nevio Doz
NUORESE
84
Dalla Barbagia alla Baronia i sapori si addolciscono e l’influenza marina pervade anche la cucina
proposta da molti locali, come Dal Pescatore di Calagonone (tel. 0784/93386) e Su Barchile di Orosei
(tel. 0784/98879). Pesce fresco di stagione e un buon
servizio anche a Bosa, all’hotel-ristorante dei fratelli Mannu (tel. 0785/375307) e all’hotel-ristorante Sa
Pischedda (tel. 0785/373065), all’interno di un bel
palazzo storico all’ingresso della graziosa cittadina
in riva al Temo.
Davvero interessante e degna dunque di una
particolare segnalazione è infine la formula che in
tutta la provincia sta prendendo piede, con notevole gradimento da parte dei visitatori: una vacanza
tranquilla a diretto contatto col territorio e con il
“calore” della gente del posto. Tutto questo propone la giovane associazione Sardegna Bed & Breakfast (tel. 0784/285640), da qualche mese riconoscibile con un marchio tutto suo, al
cui interno operano una cinquantina di famiglie che aprono con
un sorriso la propria casa ai visitatori più “curiosi”.
Antonio Saba
Se si preferisce mangiare seduti comodamente a tavola, ai Monti Blu (tel. 0784/401135) si è davvero in
buone mani: quelle di Battistino Menneas, 38 anni, chef
e proprietario del bel locale, situato in pieno centro storico. Uno che ha imparato l’arte nei locali della costa e
che ha poi deciso di aprirne uno tutto suo in paese.
Carne o pesce, sempre freschissimo, il risultato finale è
sempre più che soddisfacente. Sulla strada che da Orgosolo porta al Supramonte, il ristorante Ai Monti del
Gennargentu (tel. 0784/402374) abbina un suggestivo
scenario naturale alla cucina più tipica della Barbagia.
A Gavoi, bella località sulle rive del lago di Gusana, due locali si contendono il primato del piacere
di gola. Uno è l’osteria Borello, in via Repubblica
(tel. 0784/53741), l’altro è il Santa Rughe in via Carlo Felice 2 (tel. 0784/53774), in pieno centro storico.
Sapori decisi di montagna, con funghi e carni saporite cucinate semplicemente arrosto o ingentilite
con le erbe, sono le carte vincenti
dei due locali. Un’ampia carta dei
vini, sia regionali che nazionali,
completa l’offerta.
A Fonni, che coi suoi 1000 metri è
il paese più alto della Sardegna, i
piaceri della cucina si possono assaporare ad alta quota nel ristorante
Su Ninnieri di Mario Crobu, a pochi metri dalle piste innevate del
Bruncuspina (tel. 0784/57729).
A sinistra: su prattu de cassa (il piatto
della caccia) è la specialità del “Cikappa”
di Oliena; comprende vari tipi
di selvaggina e verdure miste, il tutto
cotto nel forno a legna in una pentola
tradizionale. In alto: la sala semplice
e curata del ristorante “Ciusa” di Nuoro.
Andrea Campagna
L’ OGLIASTRA
Isola nell’isola, questo lembo di terra antica custodisce
il gusto dell’ospitalità e i sapori di una cucina che non ha uguali
nelle altre parti della Sardegna. Dagli aspri strapiombi
del Gennargentu alle inarrivabili calette della costa i profumi delle erbe
aromatiche, dei ravioli alla mentuccia e dei pecorini
inseguono il visitatore, come tentazioni cui è difficile resistere.
87
PANORAMA - OGLIASTRA
PANORAMA - OGLIASTRA
Gianmario Marras
Vicino al porto di Arbatax, borgo alle pendici
del promontorio di Bellavista, si stagliano le notissime
“rocce rosse”, imponenti guglie di marmi granitici
che danno anche il nome a una rassegna estiva di musica blues.
PANORAMA - OGLIASTRA
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Gianmario Marras
Gianmario Marras
In questa foto: il centro storico di Tortolì con la chiesa
di Sant’Andrea. Edificata all’inizio del XVII sec. come cattedrale,
fu ristrutturata nel Settecento in stile baroccheggiante.
A destra: la coste dell’Ogliastra riservano straordinari
spettacoli naturali; il rosso delle rocce erose dal vento
crea un’armonia perfetta con l’azzurro del cielo e del mare.
Antonio Saba
Gianmario Marras
PANORAMA - OGLIASTRA
Sopra: gli altopiani calcarei noti come “tacchi”, nei pressi di Ulassai. Queste formazioni carsiche
di grande interesse geologico trasformano la zona nel cuore dell’Ogliastra
in un paesaggio quasi dolomitico. Sotto: Lanusei, capoluogo dell’Ogliastra, con le sue piazze
ordinate e gli edifici storici si contrappone alla natura selvaggia che la circonda.
92
Gianmario Marras
Gianmario Marras
Sopra: Barisardo, sorta in posizione arretrata rispetto alla costa per paura delle incursioni piratesche, deve oggi
al mare la sua fortuna; la tradizione agricola e artigianale dell’antica Barì ha ceduto il passo
a una ricca vocazione turistica. Sotto: il rigoglioso bosco di Santa Barbara, nei pressi di Villagrande Strisaili.
Nella macchia mediterranea si trovano resti archeologici di età nuragica e prenuragica.
OGLIASTRA
LA BELLA
SELVAGGIA
Alla ricerca dell’elisir di lunga vita in una terra antica
che si estende tra il Gennargentu e il Tirreno
DI LELLO CARAVANO
C
pa. Il miracolo è figlio di un popolo che ha vissuto un
lungo isolamento, di montagne e pascoli che profumano di timo e serpillo, di una terra che da capo Bellavista ai Supramonti è tutta un tesoro di natura. Forse è il
frutto di prodotti che non hanno visto né chimica né
Ogm, di un’alimentazione che non conosce contaminazioni, neppure in tempi di turismo in forte crescita ma
rispettoso della qualità ambientale.
È un turismo attratto da una terra selvaggia e incontaminata, con un fronte costiero di quasi 80 chilometri
che si affaccia sul mar Tirreno, le bellissime calette di
Baunei e le lunghe spiagge bianche di Barisardo, Tortolì e Gairo, le foreste demaniali di Seui, le grotte, i
Dario Sequi
Antonio Saba
i deve essere un elisir di lunga vita nascosto in questa terra che si distende come un
anfiteatro dalle rocce rosse di Arbatax fino
ai vigneti secolari della valle del Pardu e agli ultimi
ovili sotto le vette del Gennargentu. Ci deve essere un
segreto, se gli scienziati di mezzo mondo si sono scomodati per capire il miracolo racchiuso nel Dna di uomini e donne ogliastrini, celebrato persino sulle pagine del prestigioso Times. Tra questi boschi e valli si è
tramandato un patrimonio genetico unico che è diventato oggetto di ricerca internazionale. E che potrà fornire indicazioni sulla cura di alcune malattie e sul mistero della longevità che qui tocca i vertici più alti d’Euro-
paesini sui monti, le gole, i maestosi tacchi di calcare
tra Perdasdefogu e Ulassai che caratterizzano una delle strade più suggestive d’Italia, i nuraghi che svettano come sentinelle nei picchi più alti dell’isola. Ventitré paesi, tutti in provincia di Nuoro, appena 60 mila
abitanti, attraversata da quel trenino verde che si arrampica sui costoni in uno scenario da Far West d’Europa che meravigliò lo scrittore inglese David Herbert
Lawrence, l’Ogliastra ha una storia millenaria scritta
nelle vigne strappate alla montagna dove regna il rosso sardo per eccellenza, il Cannonau, e nelle erbe odorose brucate da pecore e capre che danno carni saporite e formaggi da Nobel gastronomico. Dietro le ricette
che si tramandano di madre in figlia c’è la vita di un
popolo di contadini e pastori.
Gli ingredienti alla base dei piatti più genuini e
caratteristici sono spesso quelli “poveri” che la terra
offre: patate, cipolle, spezie, accanto ovviamente ai
formaggi e alle carni. La tradizione ogliastrina ha soprattutto la forma dei culurgionis, i fagottini di pasta
– primo piatto del menu tipico – riempiti con patate,
formaggio, aglio o cipolla. E poi con la mentuccia di
fiume. Ma attenzione: ogni paese ha la sua variante,
tanti culurgionis quanti sono i campanili. La menta,
appunto. Irrinunciabile a Seui, Perdasdefogu, Barisardo, Lanusei, con una raccomandazione: possibilmente va raccolta la mattina presto e subito impastata con patate e formaggio. Niente mentuccia invece a Ierzu, Baunei, Arzana. Non si tratta di bizzarrie del gusto: si usava ciò che offriva la terra. Una
volta il condimento principe dei culurgionis era il
pecorino stagionato; oggi sono arricchiti col sugo di
pomodoro ma c’è chi li propone con successo anche
cotti su una leggera brace.
Erano piatti che scandivano un tempo i ritmi di una
società agropastorale. Il turismo era ancora un miraggio, non c’erano gli alberghi a quattro stelle, non c’era il
porto di Arbatax, non c’era l’aeroporto dove oggi atterrano i charter provenienti dalla Germania e dalla Svizzera. Dal mare ci si teneva lontani, si viveva solo di allevamento, di olio e di vigne. E nulla andava sprecato. Se
avanzava, l’impasto dei culurgionis si
utilizzava per un’altra prelibatezza, sa
coccoi prena, una sorta di focaccia farcita. Le donne la preparavano per i mariti che si trasferivano in campagna a
curare gli animali: pasti freddi che
riempivano le bisacce con il formaggio
e il pistoccu, il pane da accompagnare
al prosciutto e al guanciale dopo averlo ammorbidito con l’acqua dei torrenti che scendono dal Gennargentu o
dalle sorgenti dei Supramonti.
Antonio Saba
Ogliastra
Pagina accanto: capre al pascolo nell’entroterra ogliastrino.
Le voci più importanti dell’economia sono la pastorizia
e l’allevamento, oltre alla produzione casearia e vinicola.
Qui sopra: su casu axedu, formaggio tipico ricavato
da una cagliata acida senza sale che in tavola dà il suo meglio
abbinato con il miele. In basso: gli immancabili culurgionis,
ravioli di patate dal caratteristico profumo di menta.
Ma ci sono altri tipi di coccoi (per esempio, quella
ripiena di zucca o porri, una specie di piadina servita ancora oggi su foglie di vite), c’è su civarxeddu prenu di Seui, ci sono le minestre di mentuccia o finocchietto e casu ‘e fitta (il pecorino in salamoia), tutti
piatti che figurebbero nella lista Slow Food dei sapori da salvare. Intanto ci hanno pensato le donne a tramandare la tradizione di cibi considerati, fino a qualche anno fa, troppo poveri per finire sulle tavole delle vacanze. Oggi invece i turisti non vanno solo a caccia di calette solitarie ma anche di sapori genuini.
Così la cucina dei nonni è finita nei menu di molti ristoranti, trattorie, aziende agrituristiche, dalle coste
di Barisardo e Gairo ai boschi di Villagrande e Arzana, dal mare di Arbatax agli altopiani
di calcare sopra Baunei e Urzulei.
Cibi che sembrano esaltarsi in quella
nuova frontiera del gusto rappresentata dalle escursioni nei paradisi
ogliastrini, tra spiagge nascoste, un
tempo regno della foca monaca, gole
da brivido, falesie e sentieri del Supramonte a picco su una costa salvata
dal cemento: sono diventati una tradizione i pranzi e le merende organizzati dalle associazioni di guide ambien-
95
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buzzare gli occhi ai viaggiatori dell’Ottocento, convinti
di trovarsi di fronte a un curioso caso di geofagia. Ma
questo è anche il regno delle patate, ingrediente principe di tanti piatti ogliastrini. Ad Arzana, la Pro Loco Siccaderba, impegnata con passione a recuperare tradizioni culturali e gastronomiche, punta alla valorizzazione
del tubero per eccellenza. “Vogliamo rilanciare la patata del Gennargentu – spiega il medico Raffele Sestu,
presidente dell’associazione. Sopra i 1200 metri cresce
solo sul versante arzanese, attorno agli ovili, dove tutto
è biologico, bagnata dall’acqua delle sorgenti purissime. Ci stiamo gemellando con Tropea, un gemellaggio
nel segno di cipolle e patate. Dobbiamo specializzarci e
puntare su questi prodotti.” E dopo l’iniziativa “Erbe
tintorie e colori” con lo stilista Missoni, quest’anno
la Pro Loco punta su erbe e profumi. Erbe aromatiche che danno carni e formaggi saporiti, ma che possono avere un ruolo importante anche nell’industria
della moda e delle essenze.
Dalla montagna arrivano le radici agropastorali, ma
ormai da anni l’Ogliastra ha finalmente riscoperto il
suo magnifico mare. E così le influenze marinare cagliaritane e ponzesi – i primi pescatori sbarcati sulla costa
di Arbatax arrivarono dalla costa campana – si fanno
sentire anche in cucina. Dalla zuppa alle polpettine di
girandole e rigirandole sulla brace per ottenere una
cottura lenta e omogenea. Non si può non parlare del
capretto arrosto, al centro di indimenticabili sagre estive, la carne per eccellenza della terra degli olivastri.
E quando si parla di carne e di formaggi, le guide
gastronomiche invariabilmente rimandano al rosso
d’Ogliastra. Il Cannonau ha segnato la storia di queste
colline, inondate di sole e riparate dal maestrale. Una
tradizione millenaria, curare la vigna, a cui gli anziani
non rinunciano: è facile vederli ancora oggi indaffarati
con zappa e cesoie tra i filari di Ierzu, Cardedu, Loceri, Gairo, Osìni. Già nel 1500 i testamenti dei proprietari ierzesi notificavano la suddivisione della vigna e
degli utensili necessari per produrre il Cannonau. Oggi la tradizione è portata avanti dalle tre principali
cantine del rosso rubino per eccellenza: a Cardedu,
Perda Rubia e Vitivinicola Alberto Loi; a Ierzu, Antichi Poderi (proprio a Ierzu, accanto alla cantina sociale, che raccoglie i viticoltori della zona, è possibile visitare le vecchie “stanze” del vino, di Vittorio Demurtas, Giovanni Muceli, Giovanni Contu). “Usiamo tecniche di produzione artigianali, rispettose della tradizione e della cultura ogliastrina – afferma Renato Mereu, titolare della Cantina Perda Rubia, la più antica,
visitabile su appuntamento – fedeli all’amore che
questa terra coltiva verso la cultura del vino. Tradizione, valori certi, riconosciuti e conservati. D’altronde
‘cannonau’ deriva dal greco kanonizo, cioè essere valore di riferimento: andrebbe infatti scritto ‘canonau’,
negli anni la scrittura si è corrotta”.
Ogliastra vuol dire natura. Anche il nome è legato alla terra. Deriverebbe da Agugliastra, il pinnacolo di
granito alto 128 metri sulla costa di Baunei, ma richiama
anche l’olivastro (s’ozzastru), pianta robusta capace di
sfidare il vento e la siccità. Toponimo che parla di legami stretti tra uomo e ambiente, di contadini e pastori
che convivevano a fatica. E che erano costretti a nutrirsi
con un pane da archeologia alimentare, frutto dell’impasto di argilla e ghiande, il lande cottu, che faceva stra-
Antonio Saba
tali a base di prosciutto, ricotta e
lattuga col miele,
pecorino arrosto,
pane moddixina,
olive, Cannonau.
Alimenti geneticamente non modificati in simbiosi con una natura
che non ha subìto
contaminazioni.
Prodotti che una
volta viaggiavano
insieme con pastori e viticoltori sul trenino diretto in
Campidano o costituivano oggetto di scambio con i
barbaricini, che attraversavano a cavallo il valico di
S’arcu de su Mullone (un mucchio di pietre che indica
i confini comunali) nel Gennargentu per riempire gli
otri di pelle col vino ogliastrino. Ma erano anche merce per il baratto da un capo all’altro della terra degli
olivastri: una botte di “rosso” in cambio di olio, latte e
formaggio per pagare il pascolo.
Oggi formaggi, vini, culurgionis vengono imbarcati
nelle stive degli aerei in partenza da Tortolì carichi di
turisti e arrivano sulle tavole della penisola o dell’Europa centrale. È così anche per il casu axedu (il formaggio acido), grazie all’intraprendenza di Luciano Chiai,
un pastore che alla fine degli anni ottanta ha messo su
un minicaseificio a Barisardo per commercializzare il
prodotto. Un vero nettare, confezionato dalle mani dei
pastori aggiungendo al latte appena munto il quaglio,
cioè i fermenti lattici all’interno dello stomaco del capretto, quegli stessi fermenti che le aziende farmaceutiche usano come rimedio per i mali di stomaco (non a
caso sono tra le maggiori acquirenti di quagli di capretto sardo). “Prima dello yogurt è nato il casu axedu;
era la colazione e la merenda per eccellenza dei pastori che lo offrivano all’ospite spalmato su una fetta di
pane moddixina. Quello ogliastrino è il più famoso di
tutti. Il motivo? I pascoli di questa terra sono i più sani
dell’isola, perché le capre si nutrono di foglie di corbezzolo, timo, serpillo e altre erbe aromatiche. Su casu
axedu viene prodotto anche in altre zone dell’isola, ma
solo quello ogliastrino è “bianco come la neve”, dice
Giacomo Mameli, ogliastrino di Perdasdefogu, giornalista, direttore del mensile Sardinews, autore di numerosi saggi sulla realtà isolana.
Tante curiosità gastronomiche, al di là dei tradizionali piatti a base di carne. Che resta comunque uno
degli alimenti base del menu ogliastrino. La tratalia,
per esempio, le interiora di agnellino o capretto legate
con un intreccio di intestini, cotte a fùrria fùrria, cioè
OGLIASTRA
Menu tipico
Antipasto
Sanguinaccio di maiale
Misto di formaggi
(caprino, ricotta salata, casu axedu)
Primo
Culurgionis
Minestra di viscidu
(pecorino fresco in salamoia con patate e mentuccia di fiume)
Secondo
Capretto arrosto
Tratalia
(interiora di agnellino o di capretto avvolte
dall’intestino e arrostite)
Contorno
Asparagi selvatici
Cardi selvatici
Dolce
Panixeddas
Dario Sequi
Antonio Saba
OGLIASTRA
(focaccine dolci con pane di sapa)
Pardulas
Qui sopra: le botti della storica cantina “Antichi Poderi”,
a Jerzu, fondata nel 1950. Vino “principe” è il Cannonau
doc, anche in versione Riserva con almeno due anni
di invecchiamento. Pagina accanto, in alto: tagliolini alla
marinara, primo di pesce tipico dell´Ogliastra “di mare”.
Pagina accanto, in basso: in un menu ogliastrino
tipico non possono mancare i salumi, tra cui i famosi
prosciutti di montagna, e i formaggi stagionati.
pesce, dalla fregola con le arselle ai calamari imbottiti e
ai raviolini. Mare e montagna raramente si incontrano
nel piatto: gli chef ogliastrini accostano i diversi sapori
ma hanno cura di non snaturare i due mondi. “In realtà
il mare, che è l’elemento cardine del nostro turismo, è
ancora lontano dalla nostra cultura, che ha soprattutto
radici agropastorali – dice Walter Mameli, direttore dell’Hotel “La Torre” a Barisardo – ma è proprio questo binomio, mare e montagna, il nostro filo conduttore, sia
sul piano degli itinerari naturalistici sia gastrononici”.
La bella notizia è che il turismo, che in genere uniforma
tutto, non è riuscito a omologare sapori e profumi. La
terra degli olivastri ha mantenuto la sua identità. Forse
perché sa che il Dna di uomini e donne ogliastrini studiato dai ricercatori è scritto anche nei piatti della tradizione. Gusti che custodiscono l’elisir di lunga vita.
97
OGLIASTRA
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Tra montagna e mare, tra foreste e laghi
la cucina dell’Ogliastra rimane fedele a se stessa
e non ama le contaminazioni
DI LELLO CARAVANO - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA
I
n pochi minuti dalla montagna al mare e viceversa. Un itinerario tutto da “gustare” per
i panorami ma anche per i sapori. L’Ogliastra
è capace di offrire un paesaggio dietro l’altro, dal
Supramonte regno di capre e mufloni, alle colline
del vino e dell’olio, agli stagni pescosi a ridosso
delle spiagge. Con la stessa rapidità con cui muta la
natura, cambiano anche i profumi in cucina. Dai culurgionis alla fregola con le arselle, dal cinghiale col
Cannonau alla zuppa di pesce di Arbatax. Si volta
pagina anche nel piatto, avvicinandosi o allontanandosi dalla costa. Rarissime le contaminazioni. In
genere si resta fedeli al Dna di origine: mare o montagna. Con un’importante novità. Molti chef e ristoratori hanno deciso di puntare sui sapori che arriva-
no da una cultura millenaria, sulle ricette che fino a
poco tempo fa restavano tra le pareti delle cucine di
casa, magari ingentilendole un po’.
L’elenco cresce di stagione in stagione. Anche tra i
ristoratori dei centri di montagna, in genere più tenacemente legati a su connottu, alla tradizione, si fanno strada piatti che conquistano premi e apprezzamenti. È il caso della Pineta ad Arzana (tel.
0782/37453). Un passato da ristoratore a Milano con i
fratelli, Cesare Nieddu è diventato un punto di riferimento della cucina sul Gennargentu, i piatti fumanti di culurgionis li chiama con affetto “il mio brodino”. La specialità della casa si chiama culurgionis
alla crema di porcini, uno dei tanti tesori nascosti nei
boschi di leccio. Arzana è sbarcata anche sul mare: a
Girasole, si mangia bene presso l’hotel Birdesu, tre
stelle di Raffaele Piras. Specialità di montagna, molte
pietanze associate ai funghi e possibilità di scegliere
menu caratteristici (tel. 0782/669622).
Villagrande, con Talana, resta la capitale del prosciutto sardo, fatto con quei maiali al pascolo brado
che per nutrimento conoscono solo ghiande, niente
mangimi chimici. Si distingue in particolare Il Bosco,
dei fratelli Peddio, immerso nella grande oasi verde
di Santa Barbara (tel. 0782/32505). Vale la pena spingersi fino a Seui, uno dei paesini di montagna meglio
conservati (da vedere il vecchio carcere spagnolo, il
museo contadino, il gigantesco leccio di Su Canali
salvato mezzo secolo fa da una guardia campestre)
non solo per visitare il paradiso verde di Montarbu.
Nel paese si trova una nicchia gastronomica che tramanda una tradizione tipica: Ada Aresu (albergo-trattoria Deidda, tel. 0782/54621) prepara su richiesta su
civarxeddu prenu, una sorta di panada con patate, cipolle novelle, zucchine macinate, pomodoro e casu ’e
Per gustare il meglio della cucina ogliastrina non c’è
che l’imbarazzo della scelta: i filetti di branzino
allo zafferano (nella foto), proposti dall’albergo “La Bitta”
di Arbatax, sono solo una delle raffinatezze da non perdere.
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OGLIASTRA
GISELLA TASCEDDA, LA REGINA DELLA CUCINA OGLIASTRINA
In sala non la vedrete mai. La regina della cucina ogliastrina non
sogna le passerelle, ama invece
vivere tra le sue pentole, dietro i
suoi fornelli che accende ogni
giorno di buon’ora e spegne spesso a notte fonda. Gisella Tascedda
(foto in basso), quasi 60 anni, una
vita trascorsa tra culurgionis, coccoi prena, agnello coi carciofi e minestre di finocchietto, è nata a Barisardo, l’antica Barì, il paese della torre e delle spiagge dorate dove un tempo sbarcavano i pirati
saraceni, della bella cattedrale,
dell’altopiano di Tecu dove crescono i cardi amari che insaporiscono i piatti di carne.
Gisella è uno chef che ha il merito
di aver portato sulle tavole dei turisti – spesso facendoli riscoprire
agli stessi ogliastrini – i piatti della tradizione, nati secoli fa tra le
valli, le montagne e i boschi della
terra degli olivastri. Ma è anche
capace di inventare – dagli antipasti ai dolci – sempre qualcosa di
nuovo, pur nel rispetto della terra
madre. L’hotel La Torre (tel.
0782/28030), a Barisardo, quattro
stelle di qualità, è una garanzia
per gli appassionati della buona
cucina e per chi cerca i sapori di
una volta. Quelli di casa. Tutto cominciò negli anni sessanta, i tempi dei pionieri del turismo. “Non
c’era acqua né corrente elettrica, –
100
ricorda Gisella – i piatti
forti per i primi avventurosi turisti erano anguille in
umido e patelle fritte. Vino
e birra stavano al fresco
nel pozzo.”
Altri tempi. Oggi i turisti
che vengono a bagnarsi
nelle calette da sogno vogliono mangiare ogliastrino, gusti robusti e cibi di
qualità. A cominciare da is
culurgionis e sa coccoi prena, piatti simbolo da Capo
Bellavista al Supramonte,
che per Gisella non hanno
segreti. “Sono tutte ricette di famiglia, – racconta – nonna Marianna le ha insegnate a mia madre, come la minestra con casu ’e
fitta, il formaggio in salamoia,
mentuccia o finocchietti, erbe che
andavamo a raccogliere in campagna con le mie sorelle. E mia madre le ha insegnate a noi.”
Sa coccoi prena (foto in alto) è il
simbolo della rinascita della cucina ogliastrina. Un impasto di patate, insaporito da un soffritto di
cipolla, formaggio, olio e menta
fresca tritata, adagiato su un disco
di pasta (farina e patate) chiuso
con sei spigoli e poi infornato.
“Era questo il piatto tipico di Pasqua”, spiega Gisella Tascedda.
Oggi è una prelibatezza che racchiude i sapori di questa terra e
che sorprende i palati per la sua
semplicità (è diventata uno dei cibi preferiti per le escursioni lungo le calette isolate e i sentieri dei
carbonai). È una delizia della buona tavola di cui le donne, vestali
della tradizione, vanno così orgogliose da custodirla gelosamente:
sui banconi dei supermercati è
quasi introvabile, a differenza dei
culurgionis, altra invenzione ogliastrina, ormai diffusi sulle tavole
milanesi come su quelle tede-
sche. Per la chef dell’hotel La Torre la ricetta è semplice: il segreto
dei culurgionis è tutto nella mentuccia e nel soffritto di aglio.
Il menu di Gisella è ricco e ha radici antiche: dall’agnello con carciofi e cardi selvatici, alla pecora
cotta nel brodo di cavoli e finocchietto, a sa conca ’e porcu (la testa
di maiale con fave, patate e l’immancabile finocchietto). Cucinare
è un’arte intelligente e Gisella lo
sa bene. Ecco perché oltre alla tradizione porta in tavola piatti che
nascono dagli incontri con i gourmet della penisola, ovviamente
rielaborati tra i fornelli ogliastrini.
Ecco serviti l’orata ai porcini, il riso guarnito con le costolette di
agnello, i ravioloni con ricotta e
asparagi accompagnati da una
vellutata di scampi. Per non parlare delle famose tagliatelle nere.
Ma nelle sere d’estate, confida Gisella, pur potendo scegliere fra
tante prelibatezze, i suoi ospiti
vanno pazzi per le minestre semplici di una volta, come quella
“bianca”, fatta con pecorino fresco in salamoia, mentuccia e fregola. Piatti poveri, di antenati poveri, salvati dalla regina della cucina ogliastrina e trasformati in tesori sulle tavole della vacanze. (L.C.)
OGLIASTRA
I gustosi antipasti e i salumi “artigianali” sono
un gustoso anticipo del menu di terra offerto dall’ottimo
ristorante “Il Bosco” di Villagrande Strisaili.
fitta (da segnalare i primi piatti a base di porcini, una
delle specialità della casa). Robusti sapori di montagna anche a Baunei. La tradizione della pecora “in
cappotto” con cipolle e patate la si ritrova tutta in due
ristoranti gestiti da cooperative: Il Golgo (tel.
0782/610732-cell. 337/811828) e Il Maneggio (cell.
368/7028980-338/5921640). A poche centinaia di metri l’uno dall’altro godono di uno scenario naturalistico unico: l’altopiano del Golgo, alle spalle delle calette da copertina, Cala Luna, Sisine, Goloritzè, e con i
buoni cibi offrono l’indimenticabile suggestione di
una cena sotto le stelle del Supramonte.
Ovviamente menu ogliastrino doc nelle migliori
aziende agrituristiche. Una delle ultime nate è Cixi
Crobeni (ad Arzana, aperto solo d’estate, tel.
0782/37309), l’ultimo ovile sul versante arzanese del
Gennargentu a 1300 metri, gestito dai fratelli Piras.
Per tutti formaggi, dolci di ricotta e un piatto antico
del tempo dei romani, se non addirittura nuragico:
la pecora arrosto con tocchetti di miele, per secoli il
solo dolcificante. Cibi genuini e locali accoglienti
anche in tre aziende di Villagrande, che propongono il menu tradizionale con un’attenzione particolare agli antipasti di terra, prosciutto e guanciale. Sono S’Arroali Manna (tel. 0782/30067, nel borgo di
Villanova Strisaili, sul lago del Flumendosa, terra di
allevatori e rigogliosi pascoli), l’azienda Cabras nella località Sa Carrubba a 800 metri dal paese (tel.
0782/646683) e Menhir, a Perdas Latinas (tel.
0782/32593). A Loceri l’agriturismo Ogliastra, gestito da Giampaolo Lecca e dalla moglie, propone sa
coccoi ’e forru (impasto di zucca rossa o porri selvatici, farina, pomodori, lardo, servito su una foglia di
vite): accogliente, buona cucina, nell’azienda si allevano pecore e maiali e si coltivano uve tipo Cannonau e Sangiovese (tel. 0782/77427-cell. 368/3272583).
Sempre a Loceri c’è Su Barraccu della famiglia Pilia,
lui allevatore, lei di Oliena, esperta nel pane e nei
dolci: il casu axedu è di qualità (cell. 338/2073917).
102
Sulla costa si sta consolidando la tradizione della cucina di mare. Con punte di eccellenza. E senza rinnegare le origini agropastorali. Ai vertici c’è il ristorante dell’hotel La Torre a Barisardo (tel. 0782/28030, vedi anche
pag. 100), quattro stelle, regno di Gisella Tascedda, indiscussa maestra tra i fornelli, capace di far conoscere ai
turisti i veri piatti ogliastrini ma anche di inventare menu originali fondendo gli ingredienti di terra e di mare:
dall’orata con i porcini ai malloreddus con le favette, dalla razza col pomodoro fresco ai piedini di agnello, passando per i dolci (sa panixedda, per esempio) e i celebrati liquori di mirto e basilico. Garanzia di qualità anche
da Battista, il ristorante dell’hotel Victoria a Tortolì (tel.
0782/624504), con ricette a base di pesce. Di prim’ordine la cucina di un altro albergo, La Bitta (Porto Frailis,
Tortolì, tel. 0782/667080), di Sergio e Donato Bovi, figli
di uno dei primi ristoratori d’Ogliastra, di origini ponzesi: la cucina è raffinata, in una bella terrazza sul mare
tra atmosfere capresi e sarde si possono gustare i piccoli
culurgionis e le polpettine, tutto a base di pesce.
C’è anche un altro hotel che gode di un’eccellente
reputazione culinaria. È Arbatasar (a Porto Frailis,
tel. 0782/667061-651800), nel vecchio nucleo del villaggio dei pescatori, a due passi dal lungomare di
Arbatax. È un nuovo albergo quattro stelle che propone una buona cucina grazie all’inventiva di due
giovani cuochi, sempre alla ricerca di nuovi piatti.
Tradizioni marinare dei pescatori ponzesi anche alla Nuova Capannina (Riva di Ponente, Arbatax, tel.
0782/622862-cell. 329/0267224), che ha nel suo menu una saporita zuppa di pesce. A proposito di spigole, orate, anguille, bocconi, bottarga, ci si può rivolgere direttamente alla fonte. Da alcuni anni
presso la peschiera San Giovanni di Arbatax è in attività l’Ittiturismo (tel. 0782/667827-664415): tra reti
e barche si cena all’aperto, con servizio ridotto all’osso, tanto pesce (la freschezza è garantita, i pescatori lo catturano la mattina), vino e anguria.
Tradizioni rispettate anche nei Bed & Breakfast,
che offrono colazioni con i biscotti e i dolci delle nonne ogliastrine. Loceri ha la più alta percentuale di
B&B di tutta l’isola, interessanti offerte anche a Villagrande (informazioni presso il presidio turistico di
Santa Maria Navarrese, tel. 0782/615330).
Chiudiamo con la pizzeria Pedra Longa (cell.
347/1269818), poco prima di Baunei. Imperdibile non
tanto il cibo quanto il panorama (ecco il motivo della segnalazione): sul mare, davanti al pinnacolo di roccia
dell’Agugliastra, meta di scalatori da tutta Europa, nel
punto in cui il Supramonte si tuffa nel Mediterraneo.
IL TRENINO VERDE
Un modo delizioso di conoscere
l’Ogliastra è attraversarla con il
Trenino Verde. Si
tratta di un’iniziativa delle Ferrovie della Sardegna che, inaugurata a titolo sperimentale una
ventina d’anni fa, ha registrato
sempre più successo. Si può partire da Cagliari o da Mandas. La ferrovia a scartamento ridotto attraversa un territorio selvaggio e non
raggiungibile con altri mezzi, dove
ogni cosa (cantoniere, stazioni,
viadotti) sembra uscita da una fiaba. La velocità è ridotta e consente
di apprezzare gli aspetti del paesaggio anche con brevi soste nei siti più suggestivi per picnic nella
natura o pasti tradizionali in caratteristiche strutture ricettive. L’offerta del Trenino Verde si ripete anche in altre aree della Sardegna (vedi cartina), paesaggisticamente diverse ma altrettanto interessanti: le
tratte Sassari-Alghero, SassariTempio-Palau, Nuoro-MacomerBosa e Mandas-Isili-Sorgono.
103
MUSEI
Musei
IL PIACERE
DELLA TRADIZIONE
IN 28 TAPPE
Viaggio attraverso alcuni dei più significativi musei etnografici dell’isola,
dove rivivono gli oggetti, gli ambienti, gli utensili e soprattutto l’atmosfera
della tavola e della vita contadina di un tempo
DI MIMMA B. MARCIALIS
C
“
Dario Sequi
A sinistra: nel Museo delle tradizioni agroalimentari
della Sardegna, a Siddi, sono conservati gli oggetti legati
ai vari cicli della produzione di olio, vino e formaggio.
Pagina accanto: la cartina dei musei etnografici in Sardegna.
Mario Russo
famiglia Steri dal Seicento sino gli anni sessanta
del Novecento, il Museo delle tradizioni agroalimentari della Sardegna (tel. 070/9341028), unico
nel collegare gli spazi e gli oggetti alla storia e alle
abitudini alimentari della famiglia e della comunità del paese. “Il cibo è storia, forse una delle molle più potenti della storia economica e politica”: è
da questa convinzione che i proprietari e i responsabili scientifici del museo hanno preso spunto per
allestire un’esposizione che ricostruisse gli stretti
legami tra il cibo, tanto quello dell’alimentazione
quotidiana quanto quello rituale delle feste, e i cicli produttivi delle risorse locali.
Collocata nella Trexenta, una tra le regioni più
fertili della Sardegna, Casa Steri era il centro dell’azienda familiare, che produceva tutto il necessario,
dalla farina all’olio, dal vino al formaggio. All’interno della casa, ogni ciclo produttivo aveva il suo spazio, cosicché si possono ancora vedere la stanza della molitura delle olive e della trasformazione del
latte, quella del mulino dei cereali e la stanza del
pane, la dispensa e, al piano superiore, i granai,
corredati dagli attrezzi originali: il frantoio, gli orci,
i paioli di rame, i contenitori per fare su joddu (lo
yogurt sardo), la macina, su strexu ’e fenu (il multiforme corredo di canestri, ceste e setacci), le pale
per il forno, gli attrezzi del lavoro agricolo, su moi e
sa quarra (recipienti usati come unità di misura). La
ricostruzione dei cicli produttivi, curata da antropo-
hi vuole capire diffidi di tutto ciò che tende
a presentargli la Sardegna come una riserva folkloristica. La Sardegna che importa
conoscere non è quella dei costumi sgargianti, ma
quella vestita di fustagno: le migliori guide sono i contadini e i pastori”. È il consiglio che lo scrittore Giuseppe Dessì dà a chi vuole scoprire la Sardegna nella
sua complessità. C’è anche un altro modo, ora, di conoscerla: visitare i musei etnografici creati negli ultimi
anni che raccolgono le testimonianze delle tradizioni
agropastorali sarde. Molti sono allestiti all’interno di
vecchie abitazioni ristrutturate: le stesse tipologie abitative caratteristiche delle diverse zone dell’isola fanno da elemento portante dell’esposizione stessa.
È così che si presenta, a Siddi, nell’estremo Nord
della provincia di Cagliari, nella casa abitata dalla
105
MUSEI
gusto unico, dato dalla farina macinata con una mola
di pietra e dunque non alterata dal calore dei macchinari elettrici. Casa Vargiu si propone anche come museo del ricamo, unico nel suo genere: ogni stanza è arredata con pezzi tessuti e ricamati a mano, provenienti dai corredi di famiglia di più generazioni.
Non lontano da Orroli, nel centro storico di Sadali è
è stata ristrutturata una casa in pietra della fine dell’Ottocento detta Sa omu ’e zia Cramella (tel.
0782/59246), la Casa di zia Carmela. Arredata con mobili antichi, in ogni stanza sono esposti gli attrezzi e
gli utensili delle attività che vi si svolgevano. È sempre la cucina l’ambiente più ricco di ricordi e di curiosità: i piatti e i bicchierini da rosolio nella piattaia a
muro, i cucchiai di osso per la cagliata, su turradori per
tostare il caffè o, in periodi di magra, le ghiande delle
sughere, più dolci delle altre, i cesti di asfodelo per riporre i culurgiones, ravioli di patate e menta, i setacci
dal fondo rigato per scavare gli gnocchetti, is malloreddus, le pentole di coccio per le zuppe di legumi o, a
Carnevale, la zuppa di fave e cotiche.
L’importanza del cibo e della sua produzione è evidente in tutte le ricostruzioni e le raccolte etnografiche.
Nella Domu ’e sos Marras (tel. 0784/90472-90005), a
Galtellì, una trentina di chilometri a est di Nuoro, la
cucina è l’ambiente al centro della vita familiare e dei
rapporti con gli amici e parenti più intimi, che si facevano accomodare nelle panche in muratura addossate
alla parete, mentre le donne preparavano e cuocevano
il pane nell’apposito forno a legna e gli uomini arrostivano le carni nel camino; persino le uova erano a portata di mano: le galline covavano dentro anfratti scavati in una parete laterale. Gli altri ambienti di questa antica casa padronale a due piani, costruita in pietrame e
fango, con travi di ginepro e soffitti di canne, mostrano
la funzionalità delle abitazioni tipiche: in sa domu ’e su
theraccu (la stanza del servo-pastore), arredata spartanamente e con al centro, come in un ovile di campagna, su foghile, ci sono tutti gli arnesi per la produzione
del formaggio; nei locali che circondano la corte si possono vedere il torchio, le botti e la vasca per il vino, la
macina di pietra e gli attrezzi della coltivazione del
grano. Gli arnesi per la lavorazione e la conservazione
dei cereali sono esposti nella stanza della massaia (sa
domu de sa massaia), dove le donne selezionavano le farine e conservavano le provviste annuali nelle lússias,
altri cilindri di canne. L’autosufficienza del nucleo
familiare è testimoniata anche dalla presenza, oltre
Dario Sequi
logi, storici, sociologi e nutrizionisti, è illustrata su
pannelli e leggii in ferro e canne legate, in sintonia
con l’originaria testura delle canne dei soffitti.
Nella cucina, l’album Il cibo raccontato raccoglie le
testimonianze degli anziani del paese sulle ricette tradizionali, come sa suppa ’e faa (zuppa di fave), pasto
di magro tipico della Settimana santa, il brodo di gallina ripiena per le puerpere, is maccarronis de cibiru, pasta fatta a mano sul setaccio di fieno dei giorni di festa, i dolci come i pirichittus o le párdulas. Il cibo era un
simbolo dei legami sociali, come quando si partecipava al lutto di una famiglia, portando ai parenti, dentro
ceste ornate di nastri neri, pane e pietanze già cucinate, accompagnate da vino rosso.
A Orroli, in provincia di Nuoro, nella Omu Axiu,
Casa Vargiu (tel. 0782/845023), il cibo è raccontato e
cucinato: i proprietari hanno recuperato la vecchia casa di famiglia facendone un museo e un agriturismo.
La struttura ha la tipica organizzazione delle case-fattoria ed è articolata in più corpi di epoche diverse (la
parte più antica ha circa tre secoli) affacciati su una
corte lastricata. Nella cantina, con i vecchi attrezzi della vinificazione si produce ancora un Cannonau amabile, che si dice sia uno dei segreti della longevità degli abitanti di Orroli (è il paese italiano che vanta la
più alta percentuale di ultracentenari). Nel magazzino
del maiale ci sono tutti gli strumenti per la lavorazione e per la conservazione degli insaccati.
La signora Tonia tiene corsi di cucina tradizionale e
mostra ai visitatori come si impasta, nelle apposite
conche di coccio, sa fregula, chicchi di semola conditi
con sugo di pomodoro e carne suina, o is spitzulus,
specie di maltagliati tipici della zona da gustare con
sugo di funghi porcini. La lavorazione più interessante è la panificazione, con cui si produce un pane dal
A sinistra : nel Museo del vino di Berchidda si impara
ad apprezzare la qualità dei vini di Sardegna sotto
la guida di un sommelier virtuale. Pagina accanto: l’antico
rituale della mattanza, seguito ancora oggi nella pesca
del tonno, è raccontato nel Museo della tonnara di Stintino.
Nevio Doz
MUSEI
alle stanze da letto o di rappresentanza, di una camera per la tessitura (sa domu ’e su telaiu) o, all’esterno, dell’officina del fabbro-maniscalco.
Il museo Galluras, Frammenti della civiltà gallurese (tel. 079/647281, www.museogalluras.it), a Luras, dimostra come questa zona della Sardegna si
differenzi dalle altre anche nella tipologia delle case: il museo è allestito in una tipica palazzina in granito e si propone non solo come collezione di oggetti, ma anche come raccolta di documenti e memorie
della tradizione locale. Vi è ricostruita la casa di una
famiglia benestante, arredata con mobili di buona
fattura e con abbondanza di utensili e stoviglie. Tra
le curiosità, in cucina troviamo lu cadinu, recipiente
in doghe di legno per la riserva dell’acqua con l’uppu, un mestolo di sughero dal lungo manico. Le
stanze dell’ultimo piano sono dedicate alla tessitura
della lana e alla lavorazione del sughero, le due attività, rispettivamente femminile e maschile, che hanno da sempre contribuito al benessere sociale ed
economico della zona. Al pianoterra una sala è dedicata alla viticoltura, con strumenti e attrezzi per la
coltivazione, il trasporto e la pigiatura dell’uva, tra
cui un torchio di legno del Seicento e alambicchi di
rame per la distillazione dell’ea aldenti, l’aspra acquavite conosciuta anche come fil ’e ferru.
Che la Gallura sia una regione rinomata per i suoi
vini lo dimostra anche la presenza a Berchidda del
Museo del vino-Enoteca regionale della Sardegna
(tel. 079/704587, www.museodelvino.net), una struttura moderna in cui si può seguire la storia della viticoltura e dei suoi prodotti: sono esposte vasche in
granito per la pigiatura che, simili a quelle rinvenute nei nuraghi, sono ancora presenti nelle case delle
vigne galluresi, insieme con altri oggetti della cultura materiale del vino, tutto supportato da didascalie,
foto e ausili didattici. Il museo svolge una funzione
didattica attraverso l’interattività: si impara a degustare un vino con un sommelier virtuale).
Nella storia del vino in Sardegna ha avuto un ruolo fondamentale l’azienda che dà il nome al Museo
Sella e Mosca (tel. 079/997700), ad Alghero, dove
viene ricostruita l’attività del fondatore, il piemontese Vittorio Sella: pannelli esplicativi, corredati con
foto d’epoca, documentano l’organizzazione aziendale e gli aspetti innovativi introdotti ai primi del
Novecento in un contesto sociale e agricolo arcaico,
a cui risalgono i giganteschi torchi in legno, con le
vasche di raccolta in granito (laccus).
A Bitti, poco a nord di Nuoro, nell’antico rione di
Monti Mannu, recuperato e ristrutturato, le abitazioni
sono diventate la sede del Museo della civiltà contadina e pastorale (coop. Istelai, tel. 0784/414314333/cell. 3333211346): oltre tremila oggetti, distribuiti
in venti locali, ripercorrono antiche tecniche e abitudini come la produzione casalinga del pane carasau, cotto nel forno della cucina, o della confezione di sas vressatas, coperte di lana tessute su un particolare telaio
verticale. Nella stanza riservata al lavoro del pastore
sono esposti diversi paioli per la bollitura del latte, cesti e contenitori per il formaggio e la ricotta, una scrematrice di legno per il burro, oltre ad attrezzi legati all’allevamento delle pecore, come le forbici per tosare
e gli aspi per ammatassare la lana.
A Suni, nell’estremità occidentale del Nuorese, La
casa della tecnologia contadina (tel. 0785/34823) è intitolata a Tiu Virgiliu, l’ultimo proprietario dell’abitazione costruita ai primi del Novecento, dove sono stati raccolti gli oggetti che testimoniano le attività agropastorali e commerciali su cui si basava l’economia
della Planargia. A un pianoterra rustico, dove è ancora
visibile un mulino e dove venivano riposti gli attrezzi
del lavoro dei campi e delle vigne, si contrappone un
piano rialzato, la vera e propria casa, dai colori vivi e
stanze arredate con mobili semplici ma caratteristici.
Nella cucina non manca il forno per il pane, la cui lavorazione rappresentava uno dei momenti più importanti della vita familiare.
Bellissimi esempi dei diversi tipi di pane si possono ammirare al Museo archeologico etnografico “Palazzo Atzori” (coop. Archeotour, tel. 0785/55438,
www.archeotour.com) di Paulilatino, in provincia di
Oristano. Il museo ha sede in una prestigiosa palazzina a tre piani, il cui primo impianto risale alla seconda
metà del XVI secolo. Nella sezione etnografica sono
esposti utensili della tradizione contadina e pastorale
locale negli ambienti della vita quotidiana, tra cui lo
spazio della tessitura e della filatura della lana e del lino; un settore è dedicato all’“arte effimera” del pane,
dove pani finemente lavorati sono esposti a seconda
delle occasioni cui erano destinati: il pane pintau, cioè
dipinto, per gli sposi, lavorato e decorato artistica(continua a pag. 114)
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Istituto Luce/Gestione Archivi Alinari, Firenze
Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze
LA SARDEGNA COM’ERA
Immagini di una tradizione
antica, ancora viva
A sinistra: Castelsardo, nel Sassarese, è famosa ancora oggi
soprattutto per due cose, le aragoste e i cestini. In questa foto
degli anni Cinquanta un pescatore prepara una nassa per
la pesca del prezioso crostaceo, intrecciando giunchi e verghe
di olivastro. In alto: i costumi tipici della Sardegna prevedono
sempre un copricapo – un velo, una cuffia o uno scialle per
le donne e la caratteristica birritta, il berretto, per gli uomini –
come appare in questa immagine del 1920-30 circa.
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LA SARDEGNA COM’ERA
Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze
Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze
LA SARDEGNA COM’ERA
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Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze
Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze
L’eleganza
dei costumi tipici
nella vita di tutti
i giorni
Sopra: la caratteristica cucina
di una casa rurale sarda in una
foto del 1903; qui si ricevevano
amici e parenti, mentre le donne
preparavano il pane e gli uomini
arrostivano le carni nel camino.
A sinistra: gruppo di donne
in costume tradizionale in
un’immagine dei primi anni del
secolo scorso. Pagina accanto,
in alto: un carro per il trasporto
del grano trainato da due buoi
fotografato su un’aia di Tratalias,
negli anni Venti del Novecento.
Pagina accanto, in basso: alcune
donne di Bono, Sassari, dipanano
la lana con gli arcolai. Come in
passato, anche oggi in Sardegna
l’allevamento delle pecore fornisce
la materia prima per una fiorente
attività di tessitura: tappeti,
arazzi, coperte, scialli,
tende e cuscini vengono
lavorati a mano sui tradizionali
telai di legno di quercia.
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Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze
LA SARDEGNA COM’ERA
Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze
LA SARDEGNA COM’ERA
In Sardegna anche il pane è un’arte
Sopra: nell’orto di una casa di Tratalias, antico paese del Sulcis, due contadine sfornano un pane simile a un cardo sfiorito.
Da sempre in Sardegna questo importante alimento viene lavorato nelle forme più fantasiose ,
per la tavola di ogni giorno come per le occasioni di festa. Pagina accanto: un suonatore di is launeddas, o sonus de canna,
lo strumento musicale più antico e caratteristico della Sardegna, ritratto sull’isola di Sant’Antioco.
113
MUSEI
mente; s’angulla e sa pramma, il
pane pasquale e quello della
domenica delle Palme, ornati
con uova intere o mandorle.
Tutti questi “ricami” venivano
fatti a mano o con l’aiuto di attrezzi chiamati pintapane.
Una rappresentativa collezione di pane decorato è esposta al Museo archeologico-etnografico di Ittireddu (tel.
079/767623), in provincia di
Sassari, che nella sezione dedicata alle tradizioni locali raccoglie reperti e documenti sul lavoro del pastore e del contadino, sulle
tecniche di filatura e tessitura e di intreccio, di preparazione dei dolci e del pane. La raccolta più ricca
di tutti i tipi di pane della Sardegna si trova al Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde (tel.
0784/242900) di Nuoro: solo una minima parte è
esposta, anche perché alcuni esemplari sono ormai
unici e rischiano di deteriorarsi irrimediabilmente.
A Quartu Sant’Elena, in un’antica dimora del centro storico, il museo “Il ciclo della vita” (tel.
070/884763-cell. 339/3635961) espone oltre cinquemila reperti dal Settecento ad oggi che documentano le
tradizioni legate ai momenti fondamentali della vita,
dalla nascita alla morte e al ciclo dell’annata agraria.
Il percorso museale segue quello dell’esistenza dell’uomo come veniva vissuto nella società sarda. Un
cestino con su nénniri, germogli di grano fatti crescere
al buio per restare bianchi, rappresenta la primavera,
la prima delle tappe della vita: la nascita, con l’antico
rituale scaramantico di porre sull’addome della partoriente alcune pietre con virtù terapeutiche; il battesimo, documentato con foto d’epoca e l’antico corredo
da neonato; l’infanzia, momento in cui si definivano i
futuri ruoli maschili e femminili nella rigida distinzione tra i giocattoli dei bambini e quelli delle bambine; la pubertà, con i rituali di iniziazione e di fecondità illustrati attraverso una raccolta fotografica. Al
matrimonio sono collegate l’esposizione dei corredi
di biancheria, alla cui confezione le ragazze dedicavano gran parte del loro tempo, dei gioielli, dote indispensabile per l’ornamento del costume della festa,
delle stoviglie, dei cesti e delle pentole di rame, s’arramine bonu, appese alle pareti. Un pezzo raro è uno
stampo rettangolare di legno di castagno finemente
intagliato, della prima metà dell’Ottocento, in cui, il
giorno di Corpus Domini, si preparava un dolce a ba-
114
se di mandorle e zucchero, sa
pasta de accotza. Il momento
della morte è rappresentato
dal lamento delle prefiche,
donne che, per tutto il periodo
della veglia, intonavano nella
casa del morto pianti e lamenti
per decantarne le virtù.
A Santadi, un furriadroxiu, abitazione tipica del Sulcis, è stato
trasformato nella casa-museo
Sa domu antiga (coop. Fillirea,
tel. 0781/955983-955178). I tre
ambienti sono affiancati e si affacciano sulla strada: s’apposentu, la camera da letto, è arredata con mobili dell’Ottocento e corredata di biancheria
tessuta a mano; sa sala ’e prandi, la camera da pranzo,
contiene, oltre ai mobili tipici, un antico telaio con tutti gli accessori; sa coxina, la cucina, è ammobiliata solo
con una piattaia e con un tavolo perché le stoviglie e i
cesti venivano appesi alle pareti su un pannello detto
appiccastrexu, insieme ai taglieri-contenitori in legno
intarsiato, is talleris, usati anche come piatti da portata. All’interno, la casa si affaccia sulla corte circondata
da un porticato, sa lolla, dove sono riposti gli attrezzi
agricoli e della vinificazione e dove si trova il forno
per il pane, che nella Sardegna meridionale, per motivi climatici, era sempre all’esterno.
Nelle campagne i furriadroxius servivano soprattutto da ricovero per il bestiame: erano costruiti con mattoni di fango ed erano costituiti da un’unica camera e
da logge col tetto di canne: in uno di questi, a Domusnovas, una decina di chilometri a est di Iglesias, è allestita l’Esposizione etnografica Sotgiu (tel.
0781/70356), con l’attrezzatura completa per l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.
Nel Sulcis settentrionale, a Fluminimaggiore, esiste ancora l’Antico mulino ad acqua Licheri (Startuno, tel. 0781/580623-581040), una struttura del Settecento che ospita la ricostruzione delle tradizioni e delle attività di coltivazione e di consumo del grano e dei
suoi derivati. L’attrazione maggiore è il mulino a due
ruote, azionate dal torrente che scorre in paese. All’interno, insieme alle macine del mulino, mole di epoca
nuragica e romana ritrovate nel territorio fluminese,
ricco di siti archeologici, oltre che di eccezionale interesse geologico e paleontologico.
A Sant’Antioco in via Necropoli, la strada dove gli
ipogei fenici sono stati utilizzati come abitazioni sino
agli anni sessanta del secolo scorso, si trova il Museo
etnografico “Su magasinu ’e binu” (tel. 0781/83590800596, www.archeotur.it). L’edificio che lo ospita è un
Antonio Saba
La macina per le olive
nel frantoio di Sa domo de s’olia,
a Loceri, trasformato in museo.
MUSEI
Un recipiente in rame
per la preparazione del
formaggio esposto al Museo
etnografico di Armungia.
caratteristico medau, un cortile circondato dai magazzini dove sono raccolti gli
strumenti per la coltivazione dei cereali e della vite.
Due sezioni sono dedicate
al bisso e alla palma nana: il
bisso è una pregiata fibra
naturale prodotta da un
mollusco bivalve, la Pinna nobilis: usata per tessere e
ornare stoffe preziose, ora è quasi scomparsa, anche a
causa della drastica diminuzione, nel mare, del mollusco. L’altra sezione è dedicata alla palma nana e a tutti
i suoi usi: si costruivano cesti, borse, scope e ventagli e
con le fibre più grosse si realizzavano le corde delle
tonnare, come si vede anche nel modello in scala esposto al Museo civico di Carloforte (tel. 0781/855880,
www.carloforte.net) o al Museo della tonnara “Il ricordo della memoria” (tel. 079/523053-523508-520081)
di Stintino, nelle due località che per secoli hanno basato la loro economia sulla pesca del tonno.
Loceri è un paese dell’Ogliastra la cui economia ha
avuto il suo centro nella coltivazione dell’olivo e nella
produzione dell’olio: ne sono testimoni i due frantoi
ancora presenti al centro dell’abitato: ristrutturati, sono utilizzati uno, Vecchi frantoi, per mostre temporanee, l’altro, Sa domo de s’olia (tel. 0782/77051,
www.comune.loceri.nu) come museo etnografico. Si
tratta di una costruzione a tre piani: al pianoterra, utilizzato come frantoio, è ancora presente la grande macina di granito dove le olive venivano ridotte in una
pasta che, raccolta in cesti di giunco, era poi pressata
per estrarne l’olio; nei due piani superiori è ricostruita la casa del frantoiano. Tra gli oggetti più interessanti, uno schiacciapatate di legno e sa schigiola, contenitore in legno dalle pareti forate in cui si faceva scolare
la cagliata per fare su casu ’e vita, un formaggio fresco
tipico dell’Ogliastra. La stanza da letto, cui si accede
per una stretta scala di legno, è arredata con mobili ottocenteschi di artigianato locale e arricchita con biancheria tessuta e ricamata a mano.
I costumi di Desulo, sulle pendici del Gennargentu, tra i più conosciuti della Sardegna, si possono ammirare al Museo etnografico “Casa Montanaru” (tel.
0784/619624-619425), allestito nella casa appartenuta
ad Antioco Casula, un popolare poeta dialettale noto
appunto con lo pseudonimo di “Montanaru”. In un
piano sono esposti gli utensili delle attività tipicamente femminili: la cucina, la panificazione e la tessitura;
116
nell’altro tutti gli attrezzi dei
mestieri maschili, in particolare quelli strettamente legati all’ambiente montano,
come il boscaiolo e l’intagliatore (su biccalinna), i cui
manufatti, truddas e talleris
(mestoli e taglieri), erano
diffusi in tutta la Sardegna
da un piccolo esercito di ambulanti del paese.
Anche ad Aritzo, sempre tra
i monti del Gennargentu, le
attività lavorative e produttive erano legate ai boschi.
La Collezione etnografica di Aritzo (tel. 0784/629223629218) raccoglie gli strumenti per la lavorazione del
legno. Anche gli aritzesi giravano la Sardegna per
vendere i loro prodotti e sin dal Quattrocento erano
conosciuti per sa carrapigna, un sorbetto a base di zucchero e limone fatto con la neve conservata nelle grotte montane, che is carrapigneris trasportavano sino al
Campidano. I mastelli di legno, i contenitori di zinco e
gli altri arnesi sono esposti nel museo, ma vengono
ancora usati durante le feste e le sagre, come quella
delle castagne o, a Desulo, la manifestazione “La
montagna produce”, durante la quale si possono assaggiare e acquistare i prodotti locali, tra cui un famoso torrone e degli ottimi salumi.
Nel centro storico di Seui, arroccato alle falde dei
“tacchi”, i rilievi che dividono la Barbagia dall’Ogliastra, si snoda il percorso Museo della civiltà contadina, pastorale, artigianale, della miniera e dell’emigrante e carcere baronale (tel. 0782/54611-539002). In
una palazzina liberty sono raccolte le testimonianze
delle attività produttive del territorio, soprattutto
quella estrattiva, legate alla vicina miniera di antracite, che costituì per più di mezzo secolo, dalla fine dell’Ottocento agli anni cinquanta, una voce importante
nell’economia seuese. Il percorso comprende anche il
carcere baronale, di epoca spagnola, ristrutturato e arredato con mobili ottocenteschi, e la Casa Farci, anch’essa d’impianto spagnolo.
Ad Armungia, tra le montagne a nord di Cagliari,
paese natale di Emilio Lussu, il percorso museale
comprende il Museo etnografico “Sa domu de is áínas” (tel. 070/958123-958133), Casa Lussu, il Nuraghe
e il rione che lo circonda, la bottega del fabbro e la
chiesa dell’Immacolata, del XVI secolo. L’allestimento
è suddiviso in sei sale tematiche: la prima è dedicata
ad Emilio Lussu di cui racconta, attraverso foto e documenti, la storia umana e politica. Le altre cinque sale sono dedicate ai lavori delle donne, al territorio, all’abitato, alle risorse del bosco, alla pastorizia, all’arti-
MUSEI
gianato del ferro e all’agricoltura: in ognuna gli oggetti relativi alle diverse attività sono esposti al centro,
mentre alle pareti pannelli esplicativi ne spiegano l’uso e ne raccontano la storia. Interessanti la ricostruzione delle attività femminili di filatura e tessitura e della confezione del caratteristico pane pistoccu, e, nella
sala dell’agricoltura, il calendario dei lavori agricoli in
lingua sarda. Casa Lussu, ben conservata in tutti i particolari, è un esempio della tipologia abitativa del paese, con la caratteristica corte chiusa e la cucina con il
forno per il pane, dipinta a tinte vivaci.
In tutte le cucine tradizionali si trovano le pentole
di rame, i cestini di varie fogge e dimensioni e i coltelli di fattura artigianale (sa leppa): il Museo del rame
(coop. Sa frontista, tel. 0782/802641) di Isili, nel nuorese meridionale, il Museo dell’intreccio mediterraneo
(tel. 079/471380) di Castelsardo, affacciato sul golfo
dell’Asinara, e il Museo del coltello sardo (tel.
070/9759220-9756190, www.museocoltello.it) di Arbus, a nord di Iglesias, sono dedicati a questi oggetti.
Isili è l’unico paese dove si sia conservata la tradizione della lavorazione del rame, diffusa in varie parti
dell’isola sin dall’epoca nuragica: nel secentesco convento degli Scolopi è stato allestito il museo dedicato
ai ramai, in cui sono esposti tutti i manufatti che componevano il corredo domestico e l’attrezzatura della
trasformazione del latte; gli oggetti, alcuni dei quali
antichi e pregiati, sono corredati da schede informative che riportano il nome in sardo e in arromanisca, il
particolare gergo dei ramai. Il corredo della cucina era
composto da almeno quattordici pezzi: una brava padrona di casa lo appendeva alle pareti nell’ordine stabilito dalle regole sociali e lo lucidava almeno due volte all’anno. L’unico ramaio ancora in attività, Luigi Pitzalis, produce i suoi pezzi secondo la tradizione, con il
rame martellau, martellato, tra cui su prattu de cassa, un
doppio tegame per cuocere in umido ricette tipiche
come l’agnello con patate o carciofi.
Castelsardo è la sede ideale per un museo dedicato
alla cestineria, perché da sempre famosa per i suoi cesti. All’interno del duecentesco castello costruito dai
Doria genovesi, il museo documenta l’arte dell’intrecIn alto: tre tipi di canestri in giunco e asfodelo del Museo
dell’intreccio mediterraneo a Castelsardo.
118
cio di tutta la Sardegna. Se la destinazione d’uso è
uguale in ogni parte dell’isola, cambiano da zona a zona i materiali usati: nel Sud i cesti sono di fieno e giunco, nel Centro di asfodelo, nel Nord di fieno marino e
di palma nana. Le córbule dai bordi alti e i canestri larghi e bassi venivano realizzati dalle donne, con la tecnica “a spirale”, e utilizzati per la panificazione o per
riporre altri alimenti. Con il mirto, l’olivastro, il fieno
marino o le canne venivano intrecciati i canestri per il
formaggio, le nasse per la pesca oppure le scope o il rivestimento dei fiaschi. Caratteristico dell’Oristanese
l’intreccio del falasco, una pianta palustre, con cui si
costruisce su fassoi, l’imbarcazione piatta utilizzata dai
pescatori degli stagni. Il coltello tipico dei pastori e dei
contadini si chiama sa pattadesa o s’arburesa, a seconda
che sia stato fabbricato a Pattada o ad Arbus: in quest’ultimo paese il coltellinaio Paolo Pusceddu ha ristrutturato la settecentesca casa di famiglia e vi ha allestito un museo dove sono esposte le produzioni storiche e contemporanee più caratteristiche dell’artigianato del coltello sardo ed è ricostruito l’antico laboratorio
del fabbro con attrezzi originali del secolo scorso.
Il Centro della cultura contadina di Villa Muscas
(tel. 070/487894, www.villamuscas.it ), nel cuore di Cagliari, ha la sua sede in un’antica villa che, a metà dell’Ottocento, fu regalata dal canonico Muscas allo Stato
perché vi istituisse la Regia scuola di Agraria (e infatti
ha ospitato l’Istituto agrario sino agli anni ottanta del
secolo scorso). Durante più di un secolo di vita la scuola ha funzionato anche come centro di sperimentazione di tecniche di coltivazione e di metodi di produzione agricola. Di tutte queste esperienze restano le testimonianze nelle collezioni di arnesi e di macchinari,
spesso rari, ma anche nelle documentazioni fotografiche e bibliografiche, esposte nelle cantine dalle volte a
botte, all’interno delle quali è stato rinvenuto un pozzo
romano a due bocche del II secolo. Nell’enoteca sono
conservati i vini prodotti in Sardegna negli ultimi cinquant’anni (circa 1300 bottiglie), che si possono degustare accompagnati da prodotti sardi. È inoltre allo studio un ristorante dove presentare ricette innovative
preparate con ingredienti tradizionali. Utilizzata spesso per manifestazioni enogastronomiche a tema (i funghi, l’olio, i vini novelli, i prodotti della montagna…),
nel periodo estivo ospita rappresentazioni teatrali.
Andrea Campagna
L’ORISTANESE
Disteso intorno alla fertile vallata del Tirso, l’Oristanese è famoso
per la fierezza delle sue donne, eredi della nobile tradizione
della giudicessa Eleonora, per i frutti dei pescosi stagni, dalla bottarga
di Cabras alle cozze di Arborea, e per la sua pregiata Vernaccia.
Ma anche l’interno riserva piacevoli sorprese gastronomiche,
figlie di una tradizione genuina e ricca di sapore.
121
PANORAMA - ORISTANESE
Un cavaliere al galoppo alla Sartiglia di Oristano, la giostra
equestre che si svolge durante il Carnevale. L’obiettivo è
infilare con la punta della spada un bersaglio a forma di stella.
Dal numero delle stelle colpite gli antichi traevano auspici sia
sul raccolto dei campi sia sulle fortune del cavaliere. Il volto è
nascosto da una maschera dai tratti misteriosamente femminili.
Antonio Saba
PANORAMA - ORISTANESE
Gianmario Marras
Nevio Doz
Gianmario Marras
PANORAMA - ORISTANESE
Gianmario Marras
PANORAMA - ORISTANESE
In questa foto : due delle originarie colonne del tempio
di Tharros, antico porto commerciale all’estremità sud
della penisola del Sinis, fondato dai Fenici nell’VIII secolo a.C.
Sopra: particolare di una casa del villaggio di Santa Cristina.
Pagina accanto, in alto: il paese di Santulussurgiu, situato a
500 metri di altezza all’interno del più grande vulcano spento
della Sardegna, nel parco del Sinis-Montiferru.
Pagina accanto, in basso : la facciata della basilica di San
Giovanni Battista di Sinis, che inserisce nelle sue
forme bizantine innesti di ispirazione protoromanica.
124
125
Adriano Mauri
PANORAMA - ORISTANESE
126
Gianmario Marras
Sopra: angelo dell’altare maggiore della cattedrale
di Oristano. Pagina accanto: particolare del celebre
complesso nuragico di Santa Cristina di Paulilatino,
importante testimonianza della civiltà nuragica
germogliata nell’isola all’alba del II millennio a.C.
Dario Sequi
ORISTANESE
per il suo artigianato, si può
assaggiare un’altra specialità,
sempre derivata dai bovini del
Montiferru: il casizolu, formaggio a pasta filata dalla caratteristica forma di pera, con un peso tra i 3 e i 5 chili. Anche in
questo caso, una lunga tradizione fatta rivivere ha potuto
salvare un prodotto destinato
all’oblio. Conosciuto sin dal
Medioevo e originariamente
lavorato soltanto dalle donne durante l’inverno, ora fa
parte della rosa delle specialità gastronomiche della
zona. Fresco è ottimo per preparare i primi piatti o i
dolci; stagionato diviene leggermente piccante e sa
condire carni e ravioli. Altro centro del Montiferru,
Sennariolo, altra specialità: qui, e soltanto qui, si produce il miele di rosmarino, arbusto tanto profumato
quanto abbondante nelle pianure della Sardegna.
In una terra dove fino a cento anni fa esistevano foreste di lecci e sughere impenetrabili, la pianta simbolo rimasta è l’ulivo, da cui si produce uno degli oli più
aromatici e vantati della penisola. Cuglieri e Seneghe
sono i paesi che dal 1600 basano la loro economia sulla
produzione dell’extravergine. Le olive vengono raccolte ancora manualmente e macinate con la spremitura a
freddo, come avveniva anticamente. Questo procedi-
Oristanese
UNA TERRA DI TESORI
GASTRONOMICI
Alla scoperta delle più preziose delizie per il palato: dalla bottarga,
“il caviale dei sardi”, alla dorata Vernaccia, dalle saporite carni della razza
sardo-modicana a un olio extravergine tra i più profumati d’Italia
DI DANIELE CASALE E EMILIANO FARINA
F
“
u il primo giorno del mese di maggio, con
un tempo magnifico, che visitai gli orti, o
piuttosto la foresta, d’aranci di Milis, quest’ornamento della Sardegna che conta più di 50.000
alberi e la cui vicinanza mi fu annunciata da una brezza profumata. (...). Uno strato solido di fiori d’arancio
copriva il suolo (...). L’abbondanza dei frutti è prodigiosa: lunghi bastoni e sarmenti sostengono i rami
piegati, spesso, sotto il carico delle arance e dei limo-
128
ni, che non ammontano mai, in un’annata media, a
meno di dieci milioni”. Il bibliotecario del re di Francia a Versailles Antoine Valéry (1789-1847) fu soltanto
uno dei tanti viaggiatori che, tra il Settecento e i primi
decenni del Novecento, visitarono la Sardegna e rimasero incantati dall’imponenza degli agrumeti di Milis,
impiantati nel 1300 dai frati camaldolesi e ancora oggi,
per il sapore dei loro frutti, tra i più pregiati dell’isola.
Comincia dalle arance di Milis, quei “globi rossi o do-
Terra ancora lontana dai grandi flussi turistici, l’Oristanese
“coccola” il visitatore con pietanze eccellenti e molto
raffinate: dalla bottarga di tonno (in alto) o di muggine
qui a destra l’operazione della salatura), all’olio extravergine
(q
di oliva di Seneghe (pagina accanto), ottenuto
da olive ancora raccolte a mano e spremute a freddo.
Antonio Saba
Antonio Saba
rati” ai quali Valéry dedica un
intero capitolo nel suo Viaggio
in Sardegna, l’itinerario tra sapori, aromi e gusti nella provincia di Oristano, la più piccola della Sardegna (2631 chilometri quadrati e 160 mila
abitanti sparsi in 78 comuni). È
anche la meno pubblicizzata
nei circuiti turistici internazionali, ma quella che offre al suo
visitatore pietanze eccellenti e
tra le più raffinate: dalla bottarga di Cabras alle cozze
e arselle di Arborea e Marceddì, dall’olio extravergine
di Seneghe ai dolci mostaccioli di Oristano, fino ad arrivare ai vini fra cui la pregiata Vernaccia.
Ogni prodotto di questa zona ha alle spalle una tradizione antichissima, secolare o millenaria, e con il
passare del tempo è riuscito a conservare il gusto originario. Il mare e la montagna, la mitezza del clima e
una terra fertile bagnata dal Tirso, il fiume più lungo
dell’isola, hanno sapientemente “modellato” i piatti
di una cucina semplice di fattura ma allo stesso tempo genuina e ricca di sapore.
Dalle pianure del piccolo centro di Milis, meta tra
gli altri di Vittorio Emanuele II e di scrittori come Honoré de Balzac, Grazia Deledda e Gabriele D’Annunzio, ai pascoli del Montiferru, il viaggio è breve. In
questo altopiano basaltico, dove in tempi remoti sputava fuoco il vulcano più grande della Sardegna, ora si
alleva una razza bovina – la Sardo-Modicana – le cui
carni sono considerate tra le più saporite d’Italia. A donare un gusto inconfondibile, le erbe profumate dei
pascoli in cui si nutrono. Siamo infatti tra i 400 e i 900
metri sul mare e il terreno di origine vulcanica fa sì che
l’erba rimanga fresca anche d’estate. Qui si alleva il
“bue rosso”, praticamente scomparso fino a qualche
anno fa e ora così rivalutato per il gusto intenso che è
diventato una vera specialità. Gli allevatori della zona
sono riusciti a valorizzarlo e hanno creato un consorzio, di cui fanno parte circa 40 aziende che gestiscono
una settantina di allevamenti. Gli animali vivono allo
stato semibrado, alimentandosi soltanto di erba fresca.
E a tavola la differenza si sente. Chi commercia o serve
la carne della Sardo-Modicana consiglia di gustarla come si cucinava in altri tempi, arrosto. Dalle parti di
Santu Lussurgiu, piccolo paese rinomato soprattutto
ORISTANESE
del deserto che rischiava di cancellare interi paesi, si arriva a Cabras, importante centro che sorge sull’omonimo stagno; esteso per più di 2000 ettari, è il regno di una
ricca avifauna e di pesce prelibato: orate, spigole e, naturalmente, muggini. Naturalmente perché Cabras è la
capitale della bottarga, la sacca di uova di muggine essiccata chiamata anche il “caviale dei sardi”. “Invenzione” dei fenici, grazie agli arabi la battarikh – termine arabo che significa appunto uova salate di pesce – si diffuse dalla Sardegna in tutto il Mediterraneo. Se fino agli
anni Settanta del secolo scorso era riservata a pochi, so-
DOVE LAGUNE E STAGNI SI INCONTRANO: I FRUTTI DI MARE DI ARBOREA
gole veraci (che qui amano chiamare “arselle”) hanno preferito le
sabbie soffici e poco profonde della zona per vivere: e la differenza
si vede o, meglio, si sente. Anche
perché qui il mare, vicinissimo
agli allevamenti e sempre limpido
grazie all’incessante azione del
maestrale, funziona come un depuratore naturale.
“Alleviamo e confezioniamo – dice Franco Murgia, responsabile
della cooperativa – due tipi di arselle: quelle veraci ma anche
quelle provenienti dall’Adriatico
(dette ‘filippine’), quando per le
prime, per alcuni mesi, vige il fermo biologico. La vongola verace si
distingue dalla filippina per il
suo guscio molto più
sottile e, all’interno, per
la polpa molto chiara e
soprattutto più morbida. Anche il gusto risulta più delicato e infatti,
anche se costa rispetto
alla ‘cugina’ mediamente il 30 per cento in più,
è la più richiesta sui
banchi del mercato.
Inoltre, la verace ha due
sifoni anziché uno e
questo garantisce una
migliore depurazione”.
Discorso diverso per le
cozze: in tutto il Mediterraneo viene allevata solAntonio Saba
Ad Arborea, tra due specchi d’acqua separati da una sottile striscia
di terra, vengono prodotte e confezionate vongole veraci, cozze e
perfino ostriche che arrivano non
soltanto sulle tavole dei sardi, ma
allietano il palato dei clienti dei ristoranti romani, milanesi, torinesi
e fiorentini. Con un marchio di
qualità che, dopo severi controlli,
garantisce la loro genuinità.
Nello stabulario della cooperativa
Cpa, nata nel 1969, si lavora sette
giorni su sette per garantire una
produzione continua e allo stesso
qualitativamente eccellente.
Come i fenicotteri e tante altre
specie di uccelli hanno scelto questi luoghi per svernare, così le von-
130
tanto una varietà di questo mitile,
quello originario dell’Atlantico. A
settembre, i 30 soci della cooperativa ne acquistano un certo quantitativo e lo trasferiscono nelle acque tranquille e pulite del golfo di
Oristano, dove rimarranno fino a
inverno inoltrato. Questo particolare trattamento consente alla cozza di perdere la ruvidezza del gusto tipica delle fredde correnti
atlantiche, di acquistare il “sapore
nostrano”, donato dalle sostanze
presenti nei mari sardi e di depurarsi totalmente. Identico processo
lo ricevono le ostriche, che in questo modo, anche se hanno origine
in mari lontani, possono a tutti gli
effetti essere definite locali.
E se lo stabulario, a vederlo dall’esterno, sembra un piccolo edificio
per lavorazioni artigianali, in
realtà viaggia a ritmi industriali:
ogni giorno vengono lavorati e
prodotti, in inverno, 100-120 quintali di frutti di mare, mentre d’estate si arriva a picchi di 500 e anche 600 quintali.
Ogni giorno enormi tir-frigo partono con vongole e cozze verso i
mercati e i punti di vendita di tutta
la Sardegna, mentre altri due si
imbarcano verso il continente.
E in cucina? Le vongole sono ottime nei risotti, nelle zuppe e con la
pasta, mentre le cozze le ostriche,
si gustano gratinate o crude (D.C.).
Fotografie di Antonio Saba
mento permette all’olio di conservare quel sapore fruttato intenso, che si apprezza meglio se gustato a crudo.
La qualità delle olive, il tipo di lavorazione e un aroma
inconfondibile hanno regalato ai produttori vari premi
e l’apertura verso mercati stranieri, come quello tedesco, francese e addirittura arabo. E Seneghe, ogni anno
a maggio, diventa una vetrina nazionale dove si riuniscono i maggiori produttori d’Italia di olio di qualità.
Ridiscendendo i pendii del Montiferru e avvicinandosi al mare, oltrepassata l’immensa pineta di Is Arenas, creata durante il fascismo per fermare l’avanzata
prattutto ai pescatori e ai nobili, ora questa ambrata leccornia ha conquistato i palati e i mercati di tutto il mondo. La bottarga arricchisce con successo i primi e gli antipasti. Ottima quella prodotta dalla ditta Smeralda: le
uova vengono pulite e salate in sale marino, pressate e
quindi esposte ad asciugare fino a raggiungere la giusta
consistenza. La selezione per tipo e pezzatura consente
di raggiungere alti standard di qualità.
Del muggine di Cabras non si gustano soltanto le
uova: un’altra ricetta tipica ed esclusiva è la merca
(sa mreca), anch’essa retaggio della tradizione culinaria della comunità della zona.
Tra gli stagni di Cabras e le ampie risaie a ridosso del
Tirso sorgono i vitigni ad alberello di Vernaccia, aromatico vino già conosciuto e apprezzato in età romana. Il
linguista Max Leopold Wagner narra che questo vino
era considerato un ottimo rimedio contro la malaria,
piaga che venne debellata nella zona soltanto negli anni Trenta. La Vernaccia, dai 15,5 ai 18 gradi a seconda
dell’invecchiamento, viene fatta maturare in botti di castagno o di rovere riempite a metà e lasciata riposare in
ambienti di mattoni crudi non necessariamente freschi.
Questo conferisce al vino un colore giallo-ambrato, un
profumo delicato ma caratteristico e un retrogusto di
mandorle amare: accompagna secondi di pesce e, liquoroso dopo due anni di invecchiamento, i dessert.
Quanto fosse apprezzata questa bevanda ci riferisce
ancora Valéry, nel suo Viaggio in Sardegna: “Gli abitanti di Cabras, per quanto intrepidi bevitori, non si
ubriacano, anzi, per loro il vizio di bere è una specie
di macchia. Il vino, se non è inacidito, è caloroso.
Quando capita una botte di vino di quello buono è
una scena da dipingere vedere questa meravigliosa
popolazione di contadini e di pescatori svuotarla in
meno di un’ora, gli uni intonando canti bacchici, gli
altri, più seri, gustando e dissertando”.
Il “bue rosso” del Montiferru è una ricchezza dell’allevamento
nell’Oristanese interno; dalle carni gustosissime,
vive allo stato semibrado alimentandosi di erba fresca.
Menu tipico
Antipasto
Insalata di carciofi alla bottarga
(conditi con olio extravergine d’oliva di Seneghe)
Primo
Sa lorighitta con sugo di cinghiale
(pasta fresca di semola di Morgongiori)
Secondo
Sa mreca
(muggine bollito servito freddo in un cartoccio di zibba)
Petza imbinada
(polpa di bue rosso marinata nel vino del Montiferru)
Dolce
Trecce di casizolu
(sfoglie di formaggio con miele di rosmarino di Sennariolo)
Frutta
Arance del bosco
di Villaflor, nell’agro
di Milis
131
ORISTANESE
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Una selezione di locali accomunati
dall’eccellenza della materia prima ricca
di sfumature e di aromi
DI DANIELE CASALE E EMILIANO FARINA - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA
N
ella provincia di Oristano sono tanti i locali capaci di conservare e offrire i piatti
della tradizione, sapientemente rielaborati. Quella che segue è una selezione di posti “che
si consigliano agli amici”.
Chi ama il pesce e i primi in particolare può assaporare le linguine con gamberi in salsa d’arancio e
la zuppa di arselle e cozze del vicino stagno di Marceddì, preparati dai cuochi di Cibò-Qibò (a Terralba, tel. 0783/83730. Poco distante, a Marrubiu, la
sosta è d’obbligo a La Risacca (tel. 0783/859115), dove vengono servite la fregola all’astice e gli strozza-
preti con i ricci. Da assaggiare anche gli spiedini di
gamberi e calamari e la fregola con le arselle di Marceddì. Olio e vino rigorosamente di proprietà.
Lasciando la costa e i pesci del golfo, a Seneghe
(“capitale sarda dell’olio”) un locale ricavato da un
antico caseificio degli inizi del Novecento si distingue per la cortesia dei proprietari e la qualità delle
carni: è l’Osteria del Bue Rosso (cell. 338/2369026),
così chiamata perché si cucinano solamente carni di
razza Sardo-Modicana, allevate nei vicini pascoli
del Montiferru. I piatti non sono esageratamente
elaborati, proprio per far risaltare l’aroma della carne: tra i più richiesti il filetto ai ferri e gli ossibuchi
con polenta. Da assaggiare assolutamente il dessert,
le trecce di casizolu (formaggio fresco) con il miele,
alternative alla solita seada.
È comunque Santu Lussurgiu il regno del casizolu: in questo paese, importante centro culturale della provincia, segnaliamo la trattoria Bellavista (tel.
0783/552045-552170), appena inaugurata e con
un’ottima cucina casereccia (da provare la fregola
condita all’interno di un cestino di casizolu e il filetto ai ferri in crosta di casizolu).
All’Antica Dimora del Gruccione (tel.
0783/550300) Giovanna Belloni propone una cucina
basata su prodotti d’eccellenza e sul rispetto delle
stagioni. I piatti sono quelli della tradizione più
pura ma attenta alle nuove tendenze, per cui accanto alle antiche pietanze a base di carne c’è tutta
una lista di piatti per vegetariani. Il recupero della
natura, dei vegetali, delle erbe è infatti un pilastro
della filosofia della casa, che offre anche corsi di
cucina all’insegna del biologico e del rispetto della
salute. L’Antica Dimora è un palazzotto secentesco
di proprietà degli avi della signora Giovanna e offre, insieme ad altre tipiche case lussurgesi, un serUn angolo dell’elegante ristorante “Cocco e Dessì”, una
delle migliori tavole di Oristano. Da provare le immancabili
specialità a base di muggine e i tipici dolci della casa.
ORISTANESE
“LE DUNE”, UN SICURO PUNTO DI APPRODO NEL RISTORANTE DI COSTANZA MARONGIU
“Il mio sogno più grande? Quello
di vedere la gente mangiare”. È
nato così il desiderio di Costanza
Marongiu (foto a destra) di aprire
un ristorante, unito alla nostalgia
di tornare sui fornelli come faceva assieme alla madre e alla nonna, quando con loro abitava a Cabras. La passione per la cucina
l’ha portata a cambiare vita, ormai nel lontano 1988, quando decise di chiudere il negozio di artigianato e aprire il ristorante Le
Dune, affacciato sul mare di San
Giovanni di Sinis.
Tra le rovine fenicie di Tharros, rare erbe palustri e stagni pescosissimi, la signora Marongiu ha deciso di tramandare quei piatti della
tradizione culinaria cabrarese per
riproporli ai suoi clienti, che in
tutti questi anni hanno dimostrato
di apprezzare facendo del suo locale un sicuro punto di approdo
nel mare ventoso di San Giovanni.
Con lei, ogni giorno, ci sono il marito e il figlio Cristiano che ha deciso di seguire le orme materne e
affiancarla nella difficile arte del
“dar da mangiare”. Espressione
non casuale, visto che Costanza si
definisce una “inappetente cronica” e per lei prima di tutto la cucina è soddisfare un bisogno. Ecco
perché i suoi piatti non sono
134
estremamente elaborati, proprio come
tradizione sarda vuole. E d’altra parte ciò
non significa che nel
menu siano assenti
ricette esclusive.
Una fra tutte: la minestra con le nacchere, mitile tanto grande quanto raro, ormai estinto e presente soltanto in alcuni
allevamenti del Sulcis. Conosciute soprattutto per il bisso,
sostanza fondamentale per la lavorazione di tessuti e cestini, le
nacchere in campo culinario sono
state una scoperta di Costanza,
che di esse utilizza muscolo e altre parti nobili. Arricchiscono, oltre alla minestra, anche gli spaghetti. Altra specialità e rarità da
trovare in ristorante è la merca, il
muggine bollito avvolto nella zibba (foto in basso), erba endemica
che cresce soltanto negli stagni di
Cabras. Piatto dal sapore intenso,
“così intenso – dice la signora –
che lo serviamo come assaggio,
non come portata a sé”.
In 15 anni di professione, Costanza ha “dato da mangiare” a molte
persone, turisti e non solo, italiani
ma anche stranieri,
famosi e no. Tra gli
altri, nel 1992 arrivò,
tra un imponente
servizio di scorta che
“blindò” il locale,
l’ambasciatore israeliano: il menu però
fu inversamente proporzionale alla statura politica del personaggio. “Per motivi
legati alla religione,
mangiò solamente
un piatto di spaghet-
ti al pomodoro e una spigola bollita”, ricorda sconsolata la cuoca. E
alla fine, le migliori bocche “sono
sempre quelle di casa nostra”.
“Chi viene dal Nord Europa, francesi, inglesi e tedeschi – sottolinea la ristoratrice – è diffidente rispetto alla nostra cucina, mentre
spagnoli e giapponesi si dimostrano più curiosi e si affidano, o
meglio si fidano, dei nostri consigli. Ma i migliori clienti rimangono gli italiani, che non guardano
neanche il menu: mangiano e basta, ovviamente solo pesce”.
Nel locale di Costanza, aperto tutto l’anno (tel. 0783/370089), è possibile gustare ogni specialità marinara della zona, anche se la scelta è fortemente condizionata dalle
stagioni: “Se un cliente vede sul
menu la bottarga con i carciofi
quando carciofi non ce ne sono,
ad esempio in estate, gli consiglio
qualcos’altro. Allo stesso modo,
quando non è periodo, spigola
non ne servo perché quelle di allevamento qui non arrivano”. Solitamente, i piatti proposti cambiano ogni settimana o a seconda
di quello che i pescatori sono riusciti a trovare nelle reti.
Daniele Casale
ORISTANESE
vizio di albergo diffuso (per un totale di 18
posti letto) e di Bed & Breakfast davvero
ospitale e ricco di umanità.
A Bonarcado, un antico mulino è stato trasformato in ristorante e Bed & Breakfast. La
“zuppa bonarcadese” de Sa Mola (tel.
0783/56580), a base di pane, brodo, finocchietto selvatico e pecorino, ha vinto diversi premi
per quel sapore così originale e intenso. Qui si
prepara, a costate o brasata, la carne d’asinello
e, in stagione, il capretto con i carciofi.
A Ghilarza, a pochi metri dalla casa-museo di Antonio Gramsci, il ristorante Ai Marchii (tel. 0783/52280) propone menu singolari
a base di paste tipiche, come le raffinate lorighittas, e nutriti secondi ricchi di carne, cacciagione e ottimi funghi.
Sempre sul Montiferru, ma sul versante
che guarda al mare, si trova a Cuglieri l’albergo-ristorante Desogos (tel. 0785/39660), ricavato
in un’antica e accogliente dimora del centro storico,
che offre ai suoi clienti principalmente cacciagione
(lepri, cinghiali) cucinata in umido. Buoni anche i
ravioli e i dolci di mandorle. Sempre a Cuglieri, il
ristorante Meridiana si distingue per i suoi menu
tutti a base di pesce “di seconda scelta”: il rombo al
forno con patate, il pesce San Pietro. Ma anche i
gamberi al vapore con funghi, le uova di riccio, i
granchi con rucola e valeriana (tel. 0785/39400).
A Oristano città, vale la pena assaggiare l’involtino di muggine con verza e pomodorini servito da
Cocco e Dessì (tel. 0783/300720) e, per dolce, lo
spumone all’amaretto con mostaccioli. Vicino alla
casa di Eleonora d’Arborea, la trattoria Al teatro
(tel. 0783/71672) offre una cucina più tradizionale:
da provare i ravioli di asparagi con uova di riccio e i
filetti di triglia con semi di sesamo. Decisamente
consigliabile è anche il ristorante dell’albergo Mistral 2 (tel. 0783/210389).
Per una sosta un po’ più lunga, magari in un
agriturismo a contatto con la natura, si può scegliere tra mare o montagna. Chi preferisce alzarsi al
mattino col profumo della salsedine può alloggiare
da Zenti arrubia (San Vero Milis, località Sa Rocca
Tunda, tel. 0783/58010), così chiamato perché nei
dintorni – a pochi metri – sono soliti ritrovarsi centinaia di fenicotteri rosa (in sardo zenti arrubia, ovvero la “gente rossa”).
L’agriturismo, aperto tutto l’anno, è a duecento
metri dal mare di Capo Mannu, immerso nella macchia mediterranea: le specialità sono i prodotti dell’orto, le patate al cartoccio cosparse di bottarga e il
liquore cremoso chiamato “latte di fenicottero”, a
base di limone e latte di pecora. Le sei camere dispongono di 10 posti letto.
Infine, alle falde del monte Arci, si può fare tappa nell’agriturismo Sa Lorighitta (tel. 0783/932117)
di Morgongiori, così chiamato in onore della tipica
pasta che qui si lavora completamente a mano. Il
pranzo-tipo è a base di lorighittas, condita con sugo
di pollo ruspante o di forchettone.
Due piatti caratteristici della cucina nella zona
del Montiferru: i raviolini di carne di bue rosso, della razza
bovina sardo-modicana, considerata tra le carni
più saporite d’Italia (in alto) , e le trecce di casizolu
(formaggio fresco) alla brace con il miele (qui a sinistra).
136
Andrea Campagna
IL SULCIS-IGLESIENTE
Con la sua millenaria geologia, il Sulcis conserva una ricchezza
del sottosuolo che ne fatto per secoli l’area mineraria più importante
del Mediterraneo. Terra di uomini adusi al duro lavoro e di donne
dai grandi occhi scuri, custodisce nella cucina i sapori semplici e forti
di un territorio aspro ma generoso. Insieme alla tradizione marinara
di Carloforte e a vini che stanno mietendo successi in tutto il mondo.
139
PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE
PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE
Gianmario Marras
Il magnifico scenario di un’insenatura tra Capo Spartivento
e Capo Malfatano, nel Basso Sulcis, uno dei tratti più belli
della costa sarda. Calette sabbiose e dune si alternano
alle rocce frastagliate che digradano dolcemente verso il mare.
PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE
Gianmario Marras
Adriano Mauri
Adriano Mauri
Gianmario Marras
In questa foto: la miniera abbandonata di Nebida, sul golfo
del Leone. Quel che resta della laveria Lamarmora,
che ospitava gli impianti per la lavorazione del minerale,
è stato collegato a una passeggiata panoramica
che scende fino al mare con una lunga scalinata. In basso:
alberi piegati dal maestrale vicino a Portoscuso.
In questa foto: la spiaggia con dune di sabbia chiara di Cala
Domestica si apre su uno dei tratti costieri più incontaminati e
selvaggi dell’isola. In alto: il tempio di Antas,
tra i siti archeologici più significativi della Sardegna.
Costruito dai Cartaginesi verso il 500 a.C.
e dedicato alla divinità sardo-punica di Sid-Sardus Pater,
fu riedificato nel secolo successivo dai Romani.
143
PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE
144
Gianmario Marras
Gianmario Marras
La cittadina mineraria di Iglesias fu detta “Villa delle Chiese”
per i numerosi edifici sacri che vi sorgevano. Il duomo
(in questa pagina), intitolato a Santa Chiara, fu eretto
tra il 1284 e il 1288 in stile romanico-pisano e ristrutturato
nel XVI secolo. Tra Seicento e Settecento furono aggiunte
le cappelle laterali e il prezioso retablo di Sant’Antioco,
di cui si può osservare un particolare a sinistra.
Adriano Mauri
SULCIS E IGLESIENTE
Pagina accanto: la suggestiva chiesetta bizantina di Sant’Elia
(VI-VII sec.), a Nuxis, aperta solo in occasione della festa
del santo. In alto: un invitante piatto di linguine al tonno, specialità
delle zone costiere del Sulcis-Iglesiente. Sotto: un fiore
di zafferano, molto diffuso a Villacidro, Guspini e San Gavino
Monreale. Con 150.000 fiori si ottiene un chilo di zafferano.
Sulcis e Iglesiente
NEL CUORE PIÙ ANTICO
DELL’ISOLA
Cuscus e focaccia genovese si accompagnano alle prelibatezze
del tonno e della cucina montana: tutte le specialità di una gastronomia
poliedrica, profumata dalla fragranza del mirto
DI PIERLUIGI SERRA
146
Una terra di popoli diversi, terra di isole nell’isola e di storie differenti, come quella delle genti liguri di Carloforte, approdate in questo lembo di
Mediterraneo nel Settecento, o come i più antichi
fenici che sbarcarono a Sant’Antioco, fondando la
cittadina di Sulci. Questa terra ha i profumi del
vento, di quel forte maestrale che piega gli alberi e
Dario Sequi
U
na terra di contrasti forti e di emozioni
intense, di profumi e di silenzi, di colori
vividi e di tramonti tenui: il Sulcis-Iglesiente, l’area geologica più antica di tutta la Sardegna, conserva ancora quel fascino millenario di un
territorio inconsueto, tanto da renderlo accattivante
e ruvido allo stesso tempo.
Spingersi verso quel lembo estremo di
Sardegna che è l’isola di San Pietro è
come compiere un viaggio a ritroso
nel tempo. Lasciata Sant’Antioco ed il
porto di Calasetta, che dista un’ora dal
capoluogo Cagliari, si raggiunge il
porticciolo di Carloforte. Ad accogliere il viaggiatore è la sequenza di palazzi del Settecento e dell’Ottocento,
un filare di colori e di stili sui quali
campeggia la statua di Carlo Emanuele III detto “il Forte”. L’architettura,
soprattutto per i caratteristici balconi
in ferro battuto, è lo scenario cromatico delle due passeggiate sul lungomare dei Battellieri e su quello intitolato a Cavour.
L’isola, tra le alte falesie di Capo Sandalo, è rinomata per le grandi tonnare tornate agli antichi fasti.
Da aprile a giugno il canale antistante le Tacche Bianche e Punta delle Oche vede il transito dell’apprezzatissimo tonno rosso, le cui carni costituiscono la
base per i più prelibati piatti della cucina tabarchina.
Qui il tonno è sinonimo di vita, di cultura e di tradizioni, proprio quelle riproposte all’interno di “Girotonno”, manifestazione che ha lo scopo di unire gli
appassionati enogastronomi e gli esperti di golosità
del Mediterraneo. Uno spettacolo antico quello della
mattanza, che si consuma secondo usanze antiche,
nel rito della circolarità della vita e della morte.
Adriano Mauri
li modella insieme con la natura circostante, portando con sé quasi il ricordo
delle essenze di mirto, mischiate al persistente sapore di mare.
In questa terra dai sapori antichi le diverse genti arrivate per mare o dalle pianure hanno lasciato segni fortissimi delle
proprie tradizioni, della stessa cultura
enogastronomica che nel territorio è vasta
e molteplice. Qui le parole hanno il ricordo dei luoghi di provenienza, dal ligure
al dialetto di quella cittadina del nuorese,
Desulo, che ha trapiantato in questa terra
più di seimila abitanti.
Si spazia dai sapori del cuscus tabarchino, il cosiddetto cashcà, e della focaccia genovese, alle prelibatezze di una cucina tipicamente montana, fatta
di poche e sapienti pietanze condite con le erbe
aromatiche che la natura mette ancora abbondantemente a disposizione. Il mare e la montagna: è questo forse lo spirito più “intimo” della cucina e della
cultura enologica del Sulcis e dell’Iglesiente, dove
gli abbinamenti di cibi di terra e di cibi di mare trovano la loro massima espressione.
SULCIS E IGLESIENTE
SULCIS E IGLESIENTE
Inebriati dall’aroma di vitigni antichi e del profumo del Remungiau, un vitigno di corpo, ottimo connubio per accompagnare crostacei e pesce, si ripercorre sul battello il viaggio a ritroso verso Sant’Antioco, l’isola-penisola, collegata alla terraferma da
uno stretto lembo di terra lungo tre chilometri. Qui
si stabilirono nell’VIII secolo a.C. i viaggiatori fenici, quei popoli di mare che fecero da apripista nei
secoli successivi ai romani e poi ai piemontesi. Di
questi antichi passaggi rimane una traccia importante nella coltivazione di quel vitigno Carignano,
apprezzato rosso che viene amabilmente riproposto
dalle Cantine del Sardus Pater di Sant’Antioco. Affine per cultura e tradizione gastronomica, la penisola offre spunti e curiosità lungo i dodici mesi dell’anno. Dall’architettura di Calasetta, la seconda cittadina di quest’isola, emergono richiami baroccopiemontesi e arabeggianti, gli stessi che ritroviamo
sulla tavola. Dominano ancora il tonno ed i suoi derivati, così come l’aragosta e il pesce freschissimo.
Merita una sosta la degustazione delle celebri focacce, retaggio dell’arte marinara del conservare il
cibo per le traversate.
Lo scenario che accompagna il viaggiatore lungo
la costa orientale tra Portoscuso a Buggerru, fino alla punta di Capo Pecora e alle altissime dune di Piscinas, sulla Costa Verde, è impareggiabile. La strada costiera è una specie di quinta teatrale sulla
quale si affaccia un mare da vivere nell’intensità di
un’immersione guidata. Lo scoglio del Pan di Zucchero ha i toni intensi del blu, sui quali si riflette
l’immagine dei numerosi gabbiani e degli uccelli
marini che nidificano sulla roccia.
A fronte: nel golfo tra Capo Teulada e Capo Malfatano,
lungo la costa meridionale dell’isola, si apre una serie
di piccole insenature selvagge e praticamente intatte.
148
foto nel box, a destra), quello stesso
mare di Alghero che Luigi Pomata
ha frequentato e vissuto durante la
scuola alberghiera. Il pellegrinaggio gastronomico è lungo: da
Courmayeur a Milano, da Londra
a New York. In questi viaggi il giovane carlofortino ha carpito l’armonia del gusto, la flessibilità del
palato, la magia dei piatti, raccogliendo il meritato successo, sancito dai premi, dalle citazioni, dalle
menzioni d’onore. L’alchimista
della tavola ha sempre una sorpresa con la quale cullare l’ospite in
una dolce concordanza di gusti e
profumi, dai quali è giusto e perfetto farsi rapire.
(P.S.)
Dario Sequi
scia della valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni
sarde. Un nobile tra i fornelli, il cui
volto è noto in ambito televisivo
per le partecipazioni e i premi al
programma “La prova del cuoco”.
Un messaggero di bontà, dunque,
per questa promessa avverata della cucina italiana: dalle coste della
piccola isola di San Pietro la visione della vita di Luigi Pomata si
sposta in tutto il mondo, con i suoi
continui viaggi, le ricerche approfondite e la gioia autentica per
la cucina. Una cucina dove trionfano non gli estremismi ma l’amabile
alchimia di pietanze e di aromi, dal
mare (come il musciame di tonno,
Adriano Mauri
Chimera dei migliori cuochi del
mondo, riconoscimento di professionalità e di inventiva: è il “Bocuse d’Or”, l’ambitissimo premio internazionale di cucina che quest’anno ha visto la presenza, in
rappresentanza per l’Italia, di uno
dei migliori interpreti della gastronomia internazionale. Luigi Pomata (foto nel box, a sinistra), carlofortino doc, prima di partecipare al
contest ha dovuto sfidare i dieci
candidati italiani, all’interno della
selezione di Genova, portando
avanti quella sua filosofia di vita
che trova applicazione nella scelta
dei menu, nella preparazione dei
piatti, nella rivalutazione della
buona tavola. Rispetto delle tradizioni, ricerca di nuovi sapori, in
una esaltazione della vita. Ventinove anni, nipote e figlio d’arte,
dopo il nonno e il padre, al quale è
subentrato nel celebre ristorante
Da Nicolo (a Carloforte, corso Cavour, tel. 0781/854048), Luigi Pomata ha fatto della cucina tipica
del territorio la base di partenza
per la preparazione di piatti innovativi, che pur si muovono nella
Adriano Mauri
LUIGI POMATA, UN ALCHIMISTA TRA I FORNELLI DI CARLOFORTE
149
SULCIS E IGLESIENTE
A sinistra: alcune nasse da pesca, di foggia diversa, utilizzate
per la cattura dei crostacei e dei piccoli pesci di scoglio.
In basso: il forte vento di maestrale modella il paesaggio
dell’interno, come è ben visibile dall’aspetto curioso
di questa quercia da sughero, nell’entroterra di Portoscuso.
Dal mare e dalla sua storia alle vicende del lavoro e
dell’attività estrattiva: le miniere che costellano tutta
l’area del Sulcis e Iglesiente sono libri nei quali rileggere una vicenda millenaria che oggi rivivono in chiave di fruizione turistica e culturale. È il caso della Palazzina Bellavista, edificio ottocentesco di grande
pregio architettonico che ospitò per lungo tempo la
direzione delle miniere, ora luogo di mostre d’arte (la
prima, fino al 30 agosto, sul Guercino).
L’intera area del parco geominerario del Sulcis e
Iglesiente, con le sue peculiarità naturalistiche e storico-artistiche, trae dai metalli spunti per pregevoli produzioni artigianali: i coltelli, rinomati quelli di Arbus e
di Guspini, hanno a Fluminimaggiore uno dei più attenti costruttori. La bottega artigiana di Luciano Arrius
è specializzata nella produzione e nella riproposizione
di coltelli di pregio e di foggia antica, il cui mercato è
in continua espansione soprattutto in ambito collezionistico. Ma il coltello, che da queste parti ha fogge e
forme differenti, è strumento e abituale compagno nella vita dei campi, dalla celebre arburesa con la sua lama
panciuta alle snelle lame della pattedese. Le numerose
comunità pastorali che vivono nell’area del Sulcis-Iglesiente, tra le vallate di Domusnovas, Musei e Villamassargia, sono dedite in massima parte all’allevamento
delle capre, le cui carni rappresentano uno dei piatti
tradizionali di tutta questa area geografica. Così come
avviene sui monti di Gonnosfanadiga, Guspini e Villacidro, località rinomate per la produzione di un ottimo
olio che ben si abbina con la cucina tradizionale.
150
Dario Sequi
Dario Sequi
I ritmi del tempo si perdono in una sosta ad Iglesias, una delle sette Città Regie della Sardegna, di impianto duecentesco. La cittadina, il cui centro storico
mostra i chiari segni di un passato fiorente e di una
classe mercantile che traeva dall’attività estrattiva
gran parte dei suoi capitali, ha una tradizione antica
nella lavorazione dell’argento. La ricerca storica e la
riproposizione delle antiche lavorazioni sono punti di
forza della cooperativa Sant’Eligio, specializzata nella
produzione di argenti di estrema qualità.
Le ricchezze archeologiche di tutto il Sulcis, dal
tempio di Antas di Fluminimaggiore, all’area di
Monte Sirai di Carbonia, fino alla meravigliosa struttura di Nora, a Pula, sono la testimonianza di un passato ricchissimo, le cui tracce, anche nei disegni riproposti nella tessitura, rivelano un profondo attaccamento alla natura. Gli arazzi di Anna Rita Cogoni
di Villamassargia conservano questo fascino, tra disegni floreali e rappresentazioni fantastiche di una
natura amica e madre. Nelle viscere della terra, all’interno delle grotte di Is Zuddas di Santadi, si avverte il senso profondo del territorio, dei suoi contrasti e delle sue bellezze nascoste. Giusto il viaggiatore, in un vagare senza piani prestabiliti, apprezzerà
gli opposti che questo lembo di terra riserva.
SULCIS E IGLESIENTE
SULCIS E IGLESIENTE
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
LE 3 “B”: BED, BREAKFAST E... BUONA CUCINA
Il Bed & Breakfast è il sistema più diffuso di ospitalità sul territorio: una rete di strutture che fanno
del rispetto della tradizione e della cura gastronomica i loro punti di forza. Un esempio arriva dal
Rifugio S’Atra Sardigna, nel cuore della foresta
del Sulcis, in località Pixinamanna, vicino a Pula
(www.sardegnadelsudovest.it; tel. 0781/957021),
che all’interno di una struttura ottocentesca propone cucina tradizionale e prodotti biologici.
“Il cuore dell’ospitalità sarda” è lo slogan che accompagna il circuito Sardegna B&B Reservation
(www.sardegnabedandbreakfast.com; tel.
070/7265007), uno tra i più attivi dell’isola. Tra gli
aderenti al circuito merita una sosta il B&B Il Castello di Gioiosa Guardia di Villamassargia (tel.
0781/75011), di Betty Mascia. La tranquillità del
luogo e il cibo genuino sono il giusto mix. A Uta, il
B&B Mariella è un ottimo punto di partenza per
visitare i monumenti nei dintorni. Altra tappa consigliata è San Giovanni Suergiu, ideale per raggiungere la costa e gli imbarchi per San Pietro: a
Casa Leilana è rinomata la colazione tipica servita
nel patio. Più a nord, sulla Costa Verde, a Marina
di Arbus, il B&B Albertina non è lontano dai luoghi più significativi dell’antica attività estrattiva.
Nel centro storico di Arbus è situato il B&B La
Piazzetta. A pochi chilometri da Cagliari, a Capoterra, nella bella località di Poggio dei Pini, si trova
il B&B Myrsine (strada 31 n. 11, tel. 070/725619),
dal quale si possono intraprendere viaggi alla scoperta delle coste e delle località montuose nel Basso Sulcis. A Santadi l’accogliente S’Andriana (tel.
0781/955107) è perfetto per chi voglia abbinare le
bellezze della montagna alle bellissime spiagge
della Sardegna sud-occidentale. Da segnalare, infine, il B&B Sardinian Way (www.sardinianway.it).
Una terra dove fenici e liguri hanno lasciato segni fortissimi
delle proprie tradizioni gastronomiche
gherita di Pula, con il loro rinomati centri benessere, e
il Grand Hotel Chia Laguna Le Meridien (tel.
070/92391), dove opera lo chef Romano Resen.
Per gli amanti dell'agriturismo, si fa tappa invece
alla cooperativa Matteu di Teulada (tel.
070/9270003), nel bellissimo golfo, con proposta di
pietanze contadine: tipica la capra cucinata in brodo
e condita con sugo di pomodori freschi. L'alternativa, sulle impervie montagne sempre di Teulada, è
l'agriturismo Is Truiscus (tel. 0781/9271256- cell.
349/0894836), nel cuore di un'azienda agropastorale
che alleva un migliaio di capre dalle quali ricava formaggi, ricotte, yogurt e persino liquori a base di latte. Altri ottime aziende agrituristiche si trovano ad
Arbus, Gonnesa e Guspini.
Non può mancare un cenno
anche a una delle migliori
aziende vinicole europee, la
Cantina Sociale di Santadi
(tel. 0781/950127). Si va dal
Terre Brune, l’oramai notissimo Carignano del Sulcis che
rappresenta l’ottimo compagno di piatti a base di carne,
cacciagione e formaggi stagionati, fino al Rocca Rubia e
all’Araja. Restando in zona,
a Nuxis, il ristorante Da Letizia (tel. 0781/908114) ha
un'ottima scelta di carni,
funghi di stagione ed erbe
aromatiche.
Le “strade di Bacco” conducono poi verso le Cantine Sardus Pater di Sant’Antioco (tel.
0781/83937), un’altra importante realtà nel settore vitivinicolo: un antico vitigno portato
Adriano Mauri
adadie” nella lingua sarda significa “ogni
giorno”, quella quotidianità che si ripete
nei piatti della tradizione isolana, antesignani delle moderne scienze dell’alimentazione. Cadadie è anche il nome di un piccolo ristorante di Domusdemaria che ha fatto della cucina tipica sarda la vera
filosofia di vita. Lo chef Alberto Sarais è noto per i suoi
calamari attorcigliati e le paste fresche fatte in casa.
A poca distanza, sulla costa e vicini alle spiagge di
sabbia fine, alcuni alberghi di gran classe abbinano
comfort di lusso e ottima cucina del territorio: sono l'Is
Molas Golf Hotel (tel. 070/9241006), noto per i suoi
campi da golf, l'Hotel Flamingo (tel. 070/9208361) e il
Forte Village Resort (tel. 070/92171) di Santa Mar-
A sinistra: scorcio della costa
selvaggia sull’isola di San Pietro.
Sopra: al ristorante “Da Letizia” di Nuxis nulla è lasciato
al caso, a cominciare dalla presentazione dei piatti.
In basso: l’interno semplice e accogliente del ristorante
“Tonno di Corsa”, tra i più noti di Carloforte.
forse dai fenici in Sardegna è il ceppo sul quale si sono
modellati i vini di questa cantina, tra i quali spiccano il
Carignano rosso e rosato e il Moscato dolce.
Il mare rimane il protagonista della tavola, soprattutto nelle zone costiere: così il celebre tonno di San
Pietro trova spazio in molte preparazioni della cucina
del Sulcis e dell’Iglesiente, semplicemente bollito e
servito con pomodorini e cipolle, oppure come contorno a piatti più elaborati. Carloforte ne è la capitale.
Ampia scelta è offerta dal ristorante Tonno di Corsa
(via Marconi 47, tel. 0781/855106), che propone nel
menu i piatti tradizionali dell’isola, in gran parte a base di tonno, come il brasato e il tonno sott’olio. Da Vittorio (via dei Battellieri 16, tel. 0781/855200) la scelta
si diversifica con specialità di mare: sughi a base di
pesce e zuppe alla carlofortina. Il cashcà, o cuscus, nella variante tipica dell’Africa mediterranea, è uno dei
piatti forti del ristorante Dau Bobba, nella strada delle
Saline (tel. 0781/854037). Indimenticabile è una tappa
Da Nicolo, in corso Cavour (tel. 0781/854048), celebre
per le paste fresche di origine ligure (vedi box pag.
148). Inserito nei migliori vademecum gastronomici è
La Ghinghetta (tel. 0781/508143) a Portoscuso. Il menu proposto spazia dal mare ai piatti della tradizione
montana. Ottima la scelta dei vini.
A Guspini sono da segnalare i ristoranti La Cascata
(via Eleonora D'Arborea, tel. 070.9746639), Focus (via
Milano 22, tel. 070.970092) e Green Garden Pub (via
XXV Aprile, tel. 070.972827). Ai confini del Sulcis-Iglesiente, a Villacidro, dopo una sosta nelle cascate di Sa
Spendula, troviamo Da Giovanna e Vittorio (via Roma 106, tel. 070.9329287), Ester (via dei Mille 63, tel.
070.9315728), Italia 90 (tel. 070.9316587) e Taverna Romana, in via Di Vittorio 24 (070.9316587).
Adriano Mauri
C
“
Adriano Mauri
DI PIERLUIGI SERRA
SAGRE
Sagre
FESTE GUSTOSE
PER DODICI MESI
Dal Nord al Sud della Sardegna sono numerose le sagre popolari che celebrano
tutto l’anno i sapori legati ai riti antichissimi della vita
dei campi. Eccone una ricca selezione, partendo dall’estate.
D
invece, si svolge una rassegna dedicata non solo alle
ciliegie, ma anche alla degustazione e all’esposizione
dei prodotti locali (tel. 0782/41654). A Belvì (Nu) la
penultima domenica del mese tutto il paese si mobilita per la sagra delle ciliegie e delle caschettas: assaggi del frutto, maturato ai piedi del Gennargentu, e di
deliziosi dolcetti, veli di sfoglia trasparente ripieni di
pasta di nocciola (tel. 0784/629216). Tra gli appuntamenti da non perdere “Sa Tundimenta Seulesa”, la
prima domenica del mese a Seulo (Nu).
Alle pendici del Gennargentu, si passa una giornata
con i pastori del luogo alla scoperta della tosatura delle
pecore, delle bellezze naturali della zona e dei sapori
più antichi (tel. 0782/58130). È ancora tradizione a Turri (Ca) il 28 e il 29 con la 9a festa della mietitura e della
trebbiatura del grano. Il sabato, dopo la mietitura a mano con la falce e la spigolatura riproposta da gruppi di
messadoris (mietitori) e spigadrixis (spigolatrici), si può
degustare su murzu, la colazione contadina a base di pane, olive, cipolle, formaggio e vino. Il giorno successivo
sarà dedicato alla trebbiatura con i buoi e la trebbia o
con il trattore; al termine, tutti a tavola per sa marraconada, la spaghettata (tel. 0783/95026).
Nel Nord è protagonista il mare con i suoi prodotti. “I
gioielli del Mare” è la rassegna dedicata alle cozze, in
programma dal 3 al 10 a Olbia (Ss): i visitatori potranno deliziarsi con saporitissimi piatti. Sempre nella cittadina gallurese, il 23 e il 24 si tiene la sagra del pesce
fritto e dei frutti di mare (tel. 0789/21453). A Porto
Torres (Ss), dal 6 all’8, il porto turistico sarà un’enorme cucina a cielo aperto in cui si arrostiranno, per tut-
alla primavera all’inverno la Sardegna è un
tripudio di sagre popolari. A chi non si accontenta di ammirare il mare e le spiagge,
o i misteriosi nuraghi e gli antichissimi siti archeologici
fenici, si offre un panorama di feste che coinvolgono interi paesi, celebrazioni legate ai riti della vita contadina
e alle scadenze dell’annata agricola, le cui origini si trovano nei periodi di riposo che si alternavano al lavoro.
GIUGNO
Dario Sequi
La prima domenica del mese si fa festa a Burcei (Ca),
dove si allestiscono stand per l’esposizione, la degustazione e la vendita delle ciliegie (info: tel.
070/738846), e a Bonnanaro (Ss), dove oltre all’assaggio del frutto, in questa zona leggermente più piccolo
e asprigno, si svolge anche una vivacissima fiera di
tradizione agricola (tel. 079/845003). Nello stesso periodo, anche Bonarcado (Or) (tel. 0783/56523) e Villacidro (Ca) (tel. 070/9315781) organizzano la sagra del
frutto, presentato nelle sue varietà; a Lanusei (Nu),
156
Mario Russo
DI BIANCA MARIA SACCHERI
A sinistra: le deliziose caschettas, sfoglie dolci ripiene
di pasta di nocciole, offerte in occasione della sagra delle ciliegie
di Belvì. Pagina accanto: cartina delle sagre popolari in Sardegna.
157
SAGRE
SAGRE
LUGLIO
Andrea Molino
A Santa Teresa di Gallura (Ss) il 12 si festeggia la sagra del pesce: diversi quintali di pesce locale, fritti in
un’enorme padella sul piazzale del porto, sono offerti
agli ospiti assieme a un ottimo bicchiere di Vermentino (tel. 0789/754127). All’inizio del mese ancora pesce a Teulada (Ca), nella zona di Porto Budello, alla
sagra del pescatore (tel. 070/9270032). Frutta a volontà, invece, a San Sperate (Ca) con la 42a sagra delle
pesche, particolarmente rinomate nella zona, in programma dal 15 al 20 (tel. 070/96040218), e ad Arborea
(Or) con la sagra delle angurie (tel. 0783/801208). Per
assaggiare specialità uniche, si segnala la 14a sagra de
sa prazzida e de sa pezza de craba che si svolgerà il 26
a San Vito (Ca): degustazione di carne di capra arrostita allo spiedo e della prazzida, la pizza sanvitese
con pomodori e melanzane o con cipolle (tel.
070/9927034). Da provare anche i
culurgiones, ravioli dell’Ogliastra
ripieni di patate, formaggio e
menta; per gustarli si può andare a Tortolì (Nu), alla
fine del mese, per partecipare alla sagra dedicata a
questo speciale piatto (tel. 0782/667690). Ad Aglientu (Ss) sarà possibile conoscere il pane caratteristico
della Gallura alla sagra del pani budditu (tel.
079/654375). Se, infine, si vogliono gustare i sapori
della Trexenta, appuntamento a Mandas (Ca) con la
sagra del formaggio (tel. 070/984185).
AGOSTO
Il mese più denso di sagre e feste . Si degusta pesce,
arrosto o fritto in varie località: il 2 a Sarroch (Ca)
(tel. 070/900423), il 14 a Portoscuso (Ca) (tel.
0781/509504), il 15 a Golfo Aranci (Ss) (tel.
0789/21453), il 16 a Castelsardo (Ss) (tel.
079/471506), il 23 a San Vito (Ca) (tel. 070/9927034).
Da segnalare la curiosa sagra della carpa, in programma il 23 a Tula (Ss): sulle rive del lago Coghinas si allestiscono tavolate per gustare la zuppa di
carpa, tinca e pesce gatto (tel. 079/718181). A Porto
Rotondo (Ss) il 15 si festeggia la sagra del pesce e
del calamaro, in cui il prelibato mollusco è proposto
in umido o fritto (tel. 0789/21453); a Portoscuso (Ca)
il 31, durante la 5a sagra del granchio, si preparano
gli spaghetti o la fregola (pasta di semola di grano
duro) con sugo di granchio e tante porzioni di granchi lessati (tel. 0781/509504).
Passando alla carne, a Fluminimaggiore (Ca) si celebra la 9a sagra della capra, dove si può assaggiare
l’ottima craba a cappottu, bollita in grandi pentole
per cinque ore con patate e cipolle (info: Pro Loco,
tel. 0781/581040). A Ploaghe (Ss) il 10 (info: Pro Loco, tel. 079/448254), a Osilo (Ss) il 18 e il 19 (info:
Pro Loco, tel. 079/42669) si festeggia la sagra della
Cabras
pecora. Altra specialità dell’isola
è il cinghiale, cucinato nei modi
più vari: per provarlo si può andare a Domus de Maria (Ca) (tel.
070/9236293) o a Santa Maria Coghinas (Ss) il 10 (tel. 079/585604).
All’inizio del mese a Talana
(Nu), sul versante est del Gennargentu, si svolge la sagra del
prosciutto: un’occasione unica per conoscere il gusto deciso del prosciutto sardo, marinato nel vino
rosso (tel. 0782/646862). Qui vicino, a Villagrande
Strisaili (Nu), sempre nello stesso periodo, si festeggia la sagra de is gathulis, una pietanza che non
si trova da altre parti: polpette di patate, con formaggio fresco in salamoia e strutto, fritte nell’olio
dalle donne villagrandesi (tel. 0782/32779).
Ad agosto si celebrano anche i derivati di un fondamentale prodotto dell’agricoltura, il grano. A Giba (Ca) si potranno conoscere le tecniche di panificazione e assaggiare tante varietà di pane. Dall’8 all’11 un forno tradizionale (costruito appositamente con i “ladri”, i mattoni di
fango) sfornerà per i visitatori il coccoi e il civraxiu, il pane del Sulcis, con la ricotta, il formaggio, la gerda (pancetta di maiale), il pomodoro, le favette (tel.
0781/963099). A Bonorva (Ss) il 10 si festeggia l’antico pane di grano duro, su zicchi (tel. 079/867987). Il 4 ad Assemini (Ca) è il momento davvero importante e significativo de sa panada: una ventina di artigiani del posto prepa-
Monserrato
Mamoiada
158
A destra: degustazione di formaggi tipici
della Trexenta alla sagra di Mandas.
In basso e nelle pagine seguenti :
alcuni esempi di costumi tradizionali,
“protagonisti” delle sagre di paese.
rerà il tradizionale piatto, una
sorta di timballo fatto con pasta
sfoglia e ripieno di carne di
agnello
o
anguille
(tel.
328/4646093); l’ultimo fine settimana del mese la stessa sagra è
organizzata a Oschiri (Ss), dove si
prepara anche la panada con le
verdure, per gli ospiti vegetariani
(tel. 079/733443). Assaggi di
gnocchetti e di is sappueddusu, fatti con farina integrale, conditi con
sugo preparato con carne di maiale o salsiccia fresca, si trovano alla
3a sagra della pasta, a Piscinas (Ca) il 16 e il 17 (tel.
0781/964175). I famosi dolci di sapa sono offerti ai
partecipanti della sagra in programma il 30 e il 31 a
Sarroch (Ca) (tel. 070/900423). Negli stessi giorni
Sant’Andrea Frius (Ca) è in festa per la sagra delle
mandorle, durante la quale si troveranno tante varietà di dolci a base di pasta di mandorle: pastine,
amaretti, gueffus, fruttini (tel. 070/9803368). Ancora
tradizione a Masullas (Or) (tel. 0783/990251) e ad
Aritzo (Nu) (tel. 0784/628017), dove si svolge la festa de sa carapigna, l’antico sorbetto al limone preparato con lo zucchero. A Guspini (Ca), nella frazione di Montevecchio, è in programma la 10 a sagra
del miele, dedicata all’esposizione e alla degustazione del miele e dei prodotti derivati dalla sua lavorazione (tel. 070/970384).
Gli amanti di un buon bicchiere di vino non potranno saltare la sagra del Vermentino, il più famoso e
apprezzato bianco della Sardegna, il 10 a Monti (Ss)
(tel. 0789/44012); il 3 a Jerzu (Nu), nel cuore dell’ODario Sequi
ti i partecipanti, montagne di pesce (tel. 079/515000).
Il 7 a Stintino (Ss) si cucinano piatti tradizionali durante la 4a sagra del tonno (cell. 348/8913273); lo stesso pesce, preparato secondo ricette diverse, si potrà
mangiare il 14 a Portoscuso (Ca) (tel. 0781/509504).
Un appuntamento particolare coinvolge il paese di Nuraminis (Ca), poco distante da Cagliari, dal 20 al 22: la
6a sagra del cereale. Nelle giornate di festa, si svolgerà
una gara fra panificatori e, al termine, si potranno assaggiare pane, primi piatti e dolci (cell. 349/3590870).
L’ultima domenica del mese a Meana Sardo (Nu) si festeggia la sagra del formaggio, con degustazione dei
saporitissimi formaggi locali (tel. 0784/64179).
Iglesias
Oristano
Mamoiada
159
SAGRE
gliastra, si può assaggiare l’altrettanto conosciuto
Cannonau, un rosso robusto e profumato (tel.
0782/71311). A Telti (Ss), un paesino a pochi chilometri da Olbia, dal 15 al 17 si celebra il mirto, il tipico liquore sardo ottenuto per infusione delle bacche
in acqua e alcol con zucchero o miele (tel.
0789/43375). Altra giornata speciale è in programma la seconda domenica del mese: Zeddiani (Or)
ospita la sagra del pomodoro, dove ricette tradizionali, come i pomodori ripieni o i malloreddus al sugo, saranno preparate per i visitatori (tel.
0783/418408).
SETTEMBRE
In ambiente agro-pastorale questo mese rappresenta l’inizio di un nuovo anno di lavoro nei campi e in
Sardegna è detto “Capidanni”; per festeggiarlo, a
Tuili (Ca) l’8 si organizza il 3° “Capodanno dell’agricoltura”, con la trasformazione del latte in formaggio e ricotta e con la preparazione della carne di
pecora (cell. 347/5156807). Il 7 è la giornata del melone: Turri (Ca) allestisce la 6 a sagra del melone
coltivato in asciutto, una fiera-mercato del frutto
con degustazione assieme al prosciutto (tel.
0783/95026), mentre a Lunamatrona (Ca) si svolge
l’11a sagra del melone, della Malvasia e della pecora (tel. 070/939669). Il paesino di Solarussa, a pochi
chilometri da Oristano, il 20 e il 21 festeggia la Vernaccia, vino ad alta gradazione alcolica ideale come
aperitivo o con i dolci; per l’occasione si preparano
piatti cucinati col vino, come l’agnello, la spigola, il
muggine o le fave bollite (tel. 0783/374810).
Il 14 e il 15 a Ozieri (Ss), è in programma la sagra de
sos sospiros, il più caratteristico dolce ozierese a
Tempio
160
base di mandorle e acqua d’arancio (tel.
079/770077). Il 6 a Dualchi (Nu), appuntamento con
la sagra dedicata a sa figumorisca, il fico d’India. Si
potranno assaggiare il frutto, dal sapore dolciastro e
con proprietà diuretiche e dissetanti, la marmellata,
il liquore e i numerosi dolci derivati dalla lavorazione: papassini, pane ’e saba, tureddu, perlaperlazzu e
tanti altri (tel. 0785/44894). Per conoscere i piatti tipici dei pescatori cagliaritani, non si può mancare
alla sagra del pesce a Giorgino, alle porte del capoluogo; ai partecipanti sono offerti burrida (gattuccio
di mare condito con salsa di noci), pruppu a schiscionera (polpo in agliata), pisci a scabecciu (pesce fritto
e ripassato nell’aceto), lissa (muggine arrosto) e
quintali di pesce fritto (tel. 070/604241).
OTTOBRE
Riprendono in pieno le attività agricole e le occasioni di festa diminuiscono, ma non per questo sono
meno importanti. L’ultima domenica del mese Aritzo (Nu) ospita la rinomatissima sagra delle castagne, delle nocciole e delle noci. I partecipanti potranno provare la frutta secca, che abbonda nei boschi del Gennargentu, e, in particolare, assaporare
le castagne arrosto (tel. 0784/629223).
A Gesico (Ca) dall’11 al 19 si svolge la curiosa sagra
della lumaca. Tutte le sere si potranno mangiare
pietanze tradizionali a base di lumache, un tempo
piatto povero, oggi ghiottoneria raffinata, in ogni
variante: sizzigorrus, monzittas, tappadas, boveris
(tel. 070/987043).
Nello splendido scenario di un uliveto millenario,
a Villamassargia (Ca) intorno alla metà del mese,
si svolge la 9a sagra delle olive, con degustazione
Cagliari
SAGRE
di olive, bruschette condite con olio locale e paté di
olive (tel. 0781/75099). A Selegas (Ca) il 4 si ricorda
la vendemmia tradizionale alla 3a sagra de sa binnenna; contemporaneamente ci sarà una mostra di
uve, vini e attrezzi (tel. 070/985541).
A Sanluri, a circa 40 chilometri da Cagliari, l’11 si festeggia la sagra delle fave, preparate secondo diverse
ricette locali (tel. 070/9370505). Da segnalare l’importante fiera-mercato di Gonnosfanadiga (Ca), la 17a mostra dell’olio e dell’agroalimentare (tel. 070/9797129).
NOVEMBRE
DICEMBRE
Si stappano i vini novelli e in varie località si organizzano sagre per presentare la produzione. A Milis
(Or) il secondo fine settimana del mese è in programma la rassegna regionale dei vini novelli con
degustazioni (tel. 0783/51168).
A Usini (Ss) il 30 si rievoca l’antico rito de ippuntare,
ossia l’assaggio del vino novello fatto in cantina
passando da una botte all’altra e da una cantina all’altra (tel. 079/380644). Dall’11 e al 18 Olbia (Ss)
ospita la rassegna del vino novello: gustosi vini e
specialità gastronomiche per un’intera settimana
saranno offerti ai partecipanti (tel. 0789/21453).
In questo mese anche i funghi sono protagonisti, con
esposizioni delle varie specie, completate da degustazioni di piatti tradizionali della zona: si svolgono a Sestu (Ca), dal 15 al 17, la 3a mostra micologica sestese
(tel. 070/23601), e ad Arbus (Ca), il 29 e il 30, la 10a
mostra del fungo (tel. 070/9759018). Tutti i prodotti tipici del Gennargentu, invece, il primo fine settimana
del mese saranno in esposizione a Desulo (Nu), alla
fiera “La montagna produce”: prosciutti, salsicce, pani, carni, formaggi pecorini, dolci e castagne arrosto
per tutti i partecipanti (tel. 0784/619887). L’8 e il 9
Turri ospita l’11a sagra dello zafferano: dopo la visita
guidata ai campi in fiore e la dimostrazione della lavorazione della pianta, si potranno assaporare il riso o i
malloreddus conditi con lo zafferano (tel. 0783/95026).
Il 7 Siligo (Ss) ospita la vivacissima sagra della salsiccia e del vino novello (tel. 079/836163), e Buddusò (Ss) organizza la sagra del cinghiale (tel.
079/715502). La prima domenica del mese ad Arborea (Or) si svolge la sagra della polenta (tel.
0783/801208), mentre a Thiesi (Ss) pochi giorni prima del Natale si tiene la sagra dei dolci thiesini
(tel. 079/886012).
Quartucciu
162
GENNAIO
Nel cuore dell’inverno, molte sagre si svolgono attorno a colossali falò. Per esempio il 18, a Decimoputzu (Ca), per la festa di Sant’Antonio, si accende
il fuoco in piazza e si mangiano fave e lardo, salsiccia e funghi arrosto, malloreddus alla campidanese,
il tutto accompagnato da un bicchiere di vino (tel.
070/965046). Il 25 ad Aglientu (Ss), durante i festeggiamenti per Santu Paulu di Lu Laldu, si offre il
tipico carr ’e cogghju e fodda, la carne di maiale con i
cavoli, e i cozzuleddi ’e meli, i tipici dolcetti del posto (tel. 079/654375).
In questo periodo dell’anno si apre anche la rassegna “Lo bogamarì nella cucina di Alghero”, importante rassegna gastronomica dedicata alle preparazioni con il riccio di mare: nel fine settimana si possono assaggiare le uova, sia crude sul pane sia come
condimento della pasta (tel. 079/979054).
Quartu Sant’Elena
Ollolai
SAGRE
FEBBRAIO
La festa di Alghero prosegue nei weekend di febbraio,
e si ripete anche a Portoscuso (Ca), intorno alla metà
del mese, con la 10a sagra del riccio, con pasta ai ricci e
vino bianco per tutti (tel. 0781/509504). Il secondo fine
settimana a Samassi (Ca) si celebra un importante alimento della Sardegna, il carciofo, più ricco di sapore
rispetto alle varietà che si trovano nella penisola. Per i
partecipanti tante ricette preparate con la verdura (tel.
070/388210). Zerfaliu (Or) a fine mese propone la sagra degli agrumi, durante la quale si potranno degustare agrumi e derivati (tel. 0783/27000).
MARZO
La rassegna dello bogamarì si ripete ad Alghero,
mentre il carciofo diventa il protagonista di altre sagre: a metà mese a Valledoria (Ss) (tel. 079/5819000)
e a Uri (Ss) (tel. 079/419669); a Giba (Ca) i carciofi si
potranno assaggiare crudi oppure cotti nelle panadas
(tel. 0781/963099). A fine marzo Boroneddu (Or)
ospita la sagra degli asparagi e dei finocchi selvatici
che, secondo un’antica ricetta, saranno offerti in
mezzo alla fresa, la spianata (tel. 0785/53569).
APRILE
All’inizio del mese, Muravera (Ca) organizza la sagra degli agrumi, per assaggiare le ottime arance e
altri prodotti, come marmellate e dolci (tel.
070/9930760). Il lunedì dell’Angelo a Tonara (Nu) si
svolge la sagra del torrone, preparato a mano con
mandorle, noci, nocciole e miele (tel. 0784/63814). A
fine mese a Sini (Or) appuntamento con la sagra
del su pai saba, il dolce fatto con mandorle, uvetta e
Alà dei Sardi
164
sapa (tel. 0783/936157). Una festa particolare coinvolge Carloforte (Ca): la sagra del cous cous, il
piatto a base di pesce entrato nella tradizione popolare quando i carlofortini abitavano a Tabarka, piccola isola di fronte a Tunisi (tel. 0781/855298).
MAGGIO
Una delle ultime domeniche del mese, diversi paesi
sono coinvolti in una delle manifestazioni più importanti dell’anno, ossia Cantine aperte.
Dalla Gallura al Sulcis, dalla zona di Alghero all’Ogliastra, per l’intera giornata calici in mano per apprezzare le migliori etichette dell’isola. È possibile
anche visitare le aziende agricole e le cantine, attraverso un percorso guidato che permetterà di conoscere non solo le tecniche utilizzate per la vinificazione, ma anche i segreti che rendono i vini sardi
tra i più stimati (tel. 070/241140).
Per gli amanti dei sapori più decisi, a Decimoputzu, un piccolo paese situato a circa venti chilometri
da Cagliari, l’11 si celebra la 16a edizione della sagra della pecora: per tutto il pomeriggio si potrà assaggiare la gustosa carne bollita con diversi contorni di verdure, come patate e cipolle bollite, carciofini in salamoia o pomodori (tel. 070/965046).
Chi, invece, preferisce un piatto di pesce fresco, potrà recarsi a Cabras l’ultimo sabato del mese: qui,
nelle vicinanze dell’omonimo stagno, si arrostisce
l’ottimo muggine (tel. 0783/290227). Ad Arborea, a
sud di Oristano, alla fine del mese si ripete da anni
il “rito” della sagra delle fragole; il gustosissimo
frutto è offerto ai partecipanti, che potranno anche
acquistarne intere cassette (tel. 0783/801208).
Samugheo
Orgosolo
Andrea Campagna
IL CAGLIARITANO
Città crogiuolo di vestigia fenicie, puniche, romane, spagnole
e ottocentesche, Cagliari stupisce per la ricchezza dell’architettura urbana
ma anche della sua cucina di mare. All’interno, le morbide
pianure del Campidano, le grandi distese a grano della Marmilla
e i rilievi del Sarrabus regalano varietà di ricette,
di pietanze e di sapori della migliore tradizione contadina.
169
PANORAMA - CAGLIARITANO
PANORAMA - CAGLIARITANO
Gianmario Marras
La cattedrale di Santa Maria, duomo di Cagliari,
edificata dai Pisani tra il XII e il XIII secolo, ha subito
successivamente profonde trasformazioni
stilistiche. All’interno è degno di nota il pulpito,
realizzato intorno al 1160 da Guglielmo
da Pisa e donato a Cagliari dalla città toscana.
Gianmario Marras
Antonio Saba
PANORAMA - CAGLIARITANO
Sopra: il caratteristico colle di Las Plassas, a nord di Cagliari, dalla forma perfettamente conica dovuta all’erosione naturale.
In cima i resti di un castello del XII secolo. Sotto: un vicolo del Castello, il quartiere di Cagliari
sviluppatosi intorno alla rocca, per secoli fulcro del potere politico e oggi trasformato in cittadella dei musei.
Antonio Saba
Nevio Doz
Sopra: case del borgo di Tuili, piccolo centro agricolo della Marmilla non lontano dall’area archeologica Su Nuraxi, il villaggio
nuragico meglio conservato di tutta la Sardegna. Sotto : la bellissima spiaggia del Poetto di Cagliari,
una delle più grandi d’Italia, dove è possibile gustare ricci di mare appena pescati, una vera e propria prelibatezza.
173
PANORAMA - CAGLIARITANO
174
Gianmario Marras
Antonio Saba
In questa pagina: la Giara di Gesturi, altopiano
di pietra e sughere nel cuore riarso dell’isola. A sinistra:
uno dei bellissimi mosaici policromi romani di Nora,
la più antica città dell’isola situata sul promontorio di Capo
di Pula, a circa 30 chilometri a sud-ovest di Cagliari.
CAGLIARITANO
Cagliaritano
C
Qui a destra: nei chioschi del lungomare di Cagliari
ci si può concedere uno spuntino a base di ricci (arrizzonis),
con un bicchiere di Vermentino e una fetta di pane fresco.
Protagonisti della cucina “povera” della zona anche
i frutti di mare e la piccola pesca (foto della pagina accanto)
che si trasformano in piatti semplici ma gustosi.
176
Nevio Doz
ittà di mare, e come tale aperta alle incursioni navali ma anche agli apporti delle
più diverse culture, Cagliari riflette nelle
tradizioni della sua cucina questa caratteristica.
Una cucina essenzialmente “povera” perché fatta
con ingredienti una volta di poco costo e di facile
reperibilità, poco elaborata e senza grandi sofisticazioni ma ricca di aromi e di sapori genuini, figlia
della grande tradizione marinara del capoluogo
della Sardegna. Cagliari, infatti, è l’unica città sarda
sul mare che ha sviluppato da sé una vera e propria
classe di pescatori, mentre in altre parti dell’isola
sono stati i genovesi, i catalani o i ponzesi a importare l’antica arte della pesca.
Ecco, quindi, che sono i sapori dello splendido mare del Golfo a prevalere nella cucina cagliaritana, dove però non mancano i piatti tipici a base di carne,
quella che anticamente come oggi arrivava in città dal
“contado”, cioè dagli allevamenti del Campidano.
Una cucina povera che oggi povera non è più; un
fritto misto fatto con il prodotto della “piccola pesca” non si trova in tutti i ristoranti cagliaritani e
non sempre è a buon prezzo, ma da qualche anno è
stata riscoperta una tradizione gastronomica legata
ai sapori più autentici dei piatti di mare da offrire ai
turisti che sbarcano a Cagliari.
Ecco quindi che l’offerta (fino a qualche anno fa limitata all’arrosto o alle seppie) può oggi contare su
piatti come la burrida (gattuccio di mare lessato, al
quale viene poi aggiunto un soffritto di aglio con i fe-
Nevio Doz
DI ANDREA FRAILIS
Adriano Mauri
Una cucina poco elaborata, golosa
e irresistibile anche nelle pietanze più semplici
di questa terra generosa
di cosparsa di pecorino), oppure
ancora su caboniscu a prenu (pollo ripieno) e sa pudda in tianu (gallina
cotta in pentola con diversi aromi).
Tutte ricette tipiche della tradizione contadina, al pari dei longus e
delle mannareddas, pezzi di intestino dell’agnellino scottati alla brace
o più frequentemente insemolati e
fritti con olio extravergine, o dei is
tacculas, tordi o merli lessati, cosparsi da abbondante sale e avvolti
in un letto di mirto.
Anche i primi piatti risentono
della doppia origine della cucina
di questa parte di Sardegna; e così a Cagliari i pranzi a base di pesce sono spesso preceduti dalla fregula con cocciula (minuscole palline di semola cotte
con pomodoro e arselle), ma, oggi come ieri, la fanno ancora da padroni nella tavola dei giorni festivi i
ravioli di pasta ripieni di ricotta, zafferano e spinaci
(ma anche bietole) e serviti con il sugo di pomodoro, come anche i celebri malloreddus, e cioè gnocchetti di semola al ragù di carne di maiale o alla salsiccia. Cinquanta, sessanta anni fa il ragù era d’ob-
Adriano Mauri
I SAPORI CHE VENGONO
DAL MARE
gatini del pesce e le noci tritate), le
anguille cotte con l’alloro e servite
con il pecorino, il capitone arrostito
o la murena insemolata e fritta.
Una tradizione importante, a Cagliari, quella dei fritti; il popolino
mangiava praticamente solo quello,
che si trattasse di maccioneddus (piccoli ghiozzi), di gronghi o di pisciu
re (pesce persico), ma aggiungeva il
polpo bollito e, una volta ogni tanto, riusciva a mangiare sa cassola, la
ricca zuppa di pesce immersa in un
brodo con il pomodoro e servita
con i crostini di pane.
Un posto importante è riservato ai frutti di mare.
I cagliaritani sono ghiotti (e la domenica mattina i
chioschi sul mare che li offrono sono presi d’assalto)
di arrizzonis (i ricci), la cui polpa viene utilizzata
pure per condire gli spaghetti, ma prediligono anche le cozze (da mangiare crude, condite solo con
una goccia di limone) e le arselle; chi non le ha mai
mangiate dovrebbe assaggiare is orziaras, anemoni
di mare fritti nella semola e mangiati caldissimi, o
ancora is bucconis (murici lessati e serviti in acqua
caldissima e salata).
Ha ragione Angelo Concas, il più famoso degli
enogastronomi cagliaritani, quando sottolinea come
Cagliari abbia “una storia di veri pescatori, in una
terra che non è di veri pescatori” e come “oggi più
che mai è necessario far conoscere ai più giovani quei
piatti semplici ma gustosi, che costituivano il più delle volte l’unico pranzo dei loro nonni e bisnonni”.
Erano i tempi in cui la carne compariva (quando
compariva) appena una volta la settimana sulle tavole dei cagliaritani meno facoltosi, e quasi sempre si
trattava di carne di cavallo (costava meno ed era decisamente gustosa) cotta alla brace dopo un “passaggio” nell’aglio e nel prezzemolo. Un piatto ancora oggi di casa in molti ristoranti di Cagliari e dell’hinterland, insieme a quelle pietanze che, al pari del pesce
di piccola pesca, erano considerate povere: le interiora, ad esempio, una volta venivano buttate via o
vendute a vil prezzo dai macellai e diventavano nutrimento per le classi sociali meno agiate. E così nella
tradizione cagliaritana e del Campidano occupano
un posto di primo piano sa cordula (stomaco, intestini
d’agnello, intrecciati e rosolati in tegame con i piselli), ma anche una lunga serie di piatti con carni di
animali (da pascolo o anche da cortile) cotte in tegame o al forno. Da ricordare il coniglio in umido, oppure sa busecca (trippa di manzo lungamente lessata
e poi cotta in una salsa di pomodoro e menta e quin-
177
CAGLIARITANO
CAGLIARITANO
pari di su pani dorau, dove il pane
prima rammollito nel latte viene
successivamente bagnato nell’uovo sbattuto e poi fritto.
Nelle verdi campagne che circondano Cagliari, invece, la tradizione impone minestre a base di
brodo di carne di pecora o agnello,
o minestroni di verdure o legumi,
con particolare riferimento alle
lenticchie e ai ceci (spesso con
l’aggiunta delle cotiche di maiale),
davvero apprezzatissimi in questa
parte dell’isola. Primi piatti che,
oggi, è possibile gustare in molti
ristoranti cagliaritani dove, al contrario, è praticamente introvabile su pisci a collettu, e
cioè le fave lessate in grandi pentoloni nei quali galleggiano anche l’aglio e il finocchietto selvatico.
I vini sono da sempre un punto di forza dell’enogastronomia campidanese. Angelo Concas giustamente
rileva come “cento anni fa i viticoltori del Campidano
di Cagliari partecipavano e vincevano premi a mostre
internazionali come quelle di Parigi e Bruxelles”.
Ai piatti di pesce è tradizione accompagnare bianchi freschi come il Nuragus (come il “Petraia” della
Cantina Sociale di Santadi), mentre alle pietanze a
base di carne è bene accostare un Cannonau doc (come il “Capo Ferrato” della Cantina di Castiadas o il
“Costera” della Cantina Argiolas di Serdiana) o un
Monica di Sardegna (buono quello prodotto da Ferruccio Deiana a Settimo San Pietro).
Tutta legata al lavoro delle massaie del Campidano, invece, la tradizione dei dolci fatti in casa; in prevalenza a base di pasta di mandorle, come is gueffus,
hanno la caratteristica di rimanere morbidi senza essere stucchevoli. Pregiati anche is pirichittus (bianchi
d’uovo con mandorle tagliate fini e tostate) e is bianchittus, mentre gli amaretti prodotti in questa zona
dell’isola sono sicuramente più morbidi di quelli di
altre parti. Legata alla tradizione anche sa pardula, il
dolce di pasta con ricotta e zafferano.
Il tutto in una tradizione di ospitalità che ha radici antiche; uno dei proverbi cagliaritani più citati
dice “bucconi sparziu, s’angelu si ’nci sèzziri” , cioè
che quando si condivide il cibo, a tavola vengono a
sedersi gli angeli. Più di così!
Adriano Mauri
178
nuova avventura è il ristorante
“Da Monica”, come la sua seconda figlia, con la clientela che ancora oggi è la sua. Ma Franceschino è tipo da fiutare l’aria nuova
prima degli altri. Senorbì è a un
tiro di schioppo, è un paese attivo che sta per diventare cittadina
e forse gli affari aumenteranno.
Chiude “Da Monica” a Guasila e
Adriano Mauri
Da ago e filo a pentole e mestoli.
La strana storia di Francesco Sailis (al centro nella foto), ristoratore
ma non per vocazione, è fatta di
decisioni improvvise, occasioni
colte al volo, intuizioni a volte geniali. Sessantasei anni portati alla
grande, gestisce dal 1971 a Senorbì (40 chilometri dal capoluogo) il ristorante fuori Cagliari più
frequentato dai cagliaritani, e
non solo da loro.
Ma Francesco Sailis (“Franceschino” per tutti) non ha sempre
fatto il ristoratore; aveva sei anni
e mezzo quando nella natìa Guasila cominciò a frequentare la
bottega di un sarto che aveva imparato il mestiere a Cagliari. A
diciotto anni aprì in paese una
sartoria tutta sua. Poi l’avvento
dell’abito confezionato lo indusse ad aprire prima uno, poi due
negozi di abbigliamento maschile e femminile, anche questi abbandonati quando il consumismo
dilagante fece rapidamente invecchiare i capi fatti arrivare dal
Continente, rendendo poco remunerativa quell’attività.
E allora ecco l’occasione di un ristoratore che vendeva la sua licenza a Guasila; via gli abiti, la
apre il nuovo locale a Senorbì,
Da Severino (via Piemonte 7, tel.
070/9808181), come il secondo figlio che, da qualche anno, ha intrapreso una sua strada parallela.
Lui nella famiglia ha sempre creduto; terzo di tredici figli, considera tali anche Luciano e Gianni,
che da decenni lo aiutano nella
gestione del ristorante fin dall’apertura, nel 1971.
Da allora una sola vacanza (“Sette
anni fa per andare in America, ma
l’America fino a qualche anno fa
era qui”) e la vita scandita da ritmi
ossessivi; ogni giorno sveglia alle 5
e mezzo per curare un locale che
chiude solo dieci giorni a gennaio
per le pulizie di fine anno.
Il segreto? “La gente mi vuole bene
perché mi conosce – dice Franceschino – e sa che con me non avrà
sorprese”. Ma il vero segreto è un
locale in campagna dove la gente
arriva da Cagliari, che è città di
mare, per mangiare pesce freschissimo: aragosta e astice, triglie e
orate, cozze e ostriche. “Facciamo
qualche bistecca per chi non mangia il pesce – suggerisce Franceschino – ma il porcetto lo dovete
ordinare qualche giorno prima”.
Specializzato in matrimoni e cerimonie in genere, “Da Severino”
specialmente d’estate copre senza
fatica i suoi 300 posti, e il sabato e
la domenica è meglio telefonare
per prenotare. Una vacanza nel
Sud dell’isola può essere una buona occasione per far visita a Franceschino; lui tratta tutti, clienti
vecchi e nuovi, con la stessa cordialità. “Perché – dice – anche
loro sono la mia famiglia”. (A.F.)
Adriano Mauri
Non solo sapori di mare sulle tavole del Cagliaritano.
Dalla tradizione contadina dell’interno derivano
infatti sa fregula (in alto) , a base di semola, acqua,
uova e zafferano, e le conserve (a sinistra), preparate
con melanzane, funghi e cardi selvatici, autentiche
prelibatezze sott’olio fatte in casa come una volta.
“DA SEVERINO”: IL MIGLIOR PESCE DEL CAGLIARITANO NEL CUORE DELLA CAMPAGNA
Adriano Mauri
Adriano Mauri
bligo farlo con la carne del galletto (caboniscu), e ancora oggi, nella
mente dei cagliaritani meno giovani, è rimasta impressa l’immagine di coloro che lasciavano il
grande mercato con in mano un
mazzo di galletti vivi, tenuti per
le zampe legate con filo di rafia;
costavano talmente poco che venivano venduti a mazzi di 4 o 5
per poterne ricavare qualcosa.
Come cambiano i tempi!
Un altro piatto decisamente
popolare, che per molti anni è
quasi scomparso dalla tavola dei
cagliaritani e che oggi al contrario vive una stagione nuovamente felice, è il mazzamurru (zuppa di pane raffermo intinto nel brodo di
carne e servito con salsa di pomodoro e pecorino),
che Angelo Concas ha scoperto far bella mostra di
sé nel menu di un ristorante italiano a New York.
Un pasto “di recupero”, molto spesso cucinato per
non buttar via il pane avanzato dal giorno prima; al
Tutta la zona del Campidano è rinomata per la produzione
di dolci (in queste foto). Nella pasticceria sarda mandorle,
agrumi, frutta secca, miele e formaggi freschi, sapientemente
decorati, si sposano in una golosa armonia per il palato.
179
CAGLIARITANO
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Alla scoperta degli antichi sapori lungo un itinerario
enogastronomico che dal mare si snoda verso i paesi dell’interno,
tra siti archeologici e testimonianze storiche
DI ANDREA FRAILIS - FOTOGRAFIE DI ADRIANO MAURI
R
imandando alle guide specializzate la segnalazione dei ristoranti di maggiore fama, abbiamo selezionato alcuni locali dove la qualità non manca e i prezzi sono più che abbordabili rispetto alla media, e comunque dentro un
buon rapporto qualità-prezzo.
A Cagliari città, il Trilogy Club in via Sassari 11
(tel. 070/656060) propone piatti particolari tra cui il
risotto con gorgonzola e castagne. Il Tomax di via
Grazia Deledda 62 (tel. 070/652712) offre cucina casalinga: tagliatelle ai funghi porcini, trofie carlofortine al pesto, tiramisù al cocco. Al Quirinus (via Angioy 82, tel. 070/670702), piatti particolari; speciali i
primi con le verdure, tra cui il risotto con la crema
di spinaci e i gamberoni al cognac. Mondo Rafael in
via Mameli 101 (tel. 070/670480), locale storico del
centro, rappresenta un’autentica garanzia per chi
ama il pesce fresco a prezzi decisamente accessibili.
Anche La Mola Sarda, in via Trento 84 (tel.
070/280983) è una tappa obbligata per gli amanti
della cucina di pesce. Variati e gustosi i piatti di
carne. Prezzi accessibili anche ai giovani.
Il Viale (viale Trieste 120, tel. 070/280983) è un locale relativamente “giovane”, ma la qualità è assicurata. Menu tipico di pesce, sia arrosto che fritto.
Grande abbondanza di antipasti, buoni gli spaghetti
con arselle o bottarga. Sempre in viale Trieste, al 15,
L’ambiente elegante del ristorante “Da Cesare”
del Caesar’s Hotel di Cagliari: accanto al comfort del grande
albergo tutte le specialità della cucina locale.
c’è l’elegante Il Gatto (tel. 070/663596): ottima la
pizza, buoni anche i primi e di prima qualità i dolci
fatti in casa. Famoso per la pizza squisita è anche
Spazio Newton in via Newton 11 (tel. 070/496969),
oggi diventato ancora più interessante per l’iniziativa del brunch, che comincia a prendere piede a Cagliari la domenica mattina. Il Piccolo Mondo, in via
Arno 21 (tel. 070/272795, chiuso domenica sera e lunedì), è locale con specialità marinare. Monica è figlia d’arte; il padre gestisce da anni il ristorante Da
Severino a Senorbì (vedi p. 179). Per chi ama mangiare vegetariano, consigliato il Terra di Mezzo in
via Portoscalas 1 (tel. 070/662889). Per chi invece
preferisce il menu di “terra” tipico sardo, trova da
Sa Domu Sarda (via Sassari 51, tel. 070/653400) ravioli e malloreddus, porcetto e agnello cotti alla brace. Interessante il prezzo. Anche lo storico ristorante
Italia dei fratelli Mundula (via
Sardegna 30, tel. 070/657987) offre
ampia scelta di primi, carni e pesci secondo tradizione.
Al Villaggio dei Pescatori in località Giorgino la Cooperativa dei
Pescatori (tel. 070/250062) ha aperto un piccolo locale dove il pesce è
freschissimo. È l’occasione per un
simpatico e gustosissimo pranzo in
riva al mare. Molto frequentato dai
giovani è il 744 in via Roma 181 (tel.
070/666626): ottima la pizza, grande varietà di primi con sughi marinari (da assaggiare gli spaghetti al
cartoccio), pesce freschissimo arro-
182
sto o fritto, e davvero prelibata la bistecca di cavallo. Il
San Domenico (via San Domenico 95, tel. 070/655406)
gode di meritata fama per la sua cucina creativa, che
abbina pesce e verdure.
Si mangia bene anche in due ristoranti di albergo. Il
primo è Severino, nel residence “Ulivi e Palme” (via
Bembo 25, tel. 070/43606). Il secondo è Da Cesare del
Caesar’s Hotel di via Darwin (tel. 070/3047686): se volete passare una serata in un ambiente elegante, assaggiando piatti ricercati, qui non rimarrete delusi.
Segnaliamo, per gli amanti del buon vino, una nuova proposta, in pieno centro storico: il wine-bar Enò
(in vico Carlo Felice, angolo via Angioy, tel.
070/6848243). Sono presenti 400 etichette da tutte le
regioni italiane; vini da degustare al bicchiere, ordinati in bottiglia o acquistare per una cena fra amici. Enò
offre la possibilità di approfondire la conoscenza del
mondo nell’enologia attraverso materiale divulgativo,
promozioni periodiche con presentazione di territori e
tipologie di vini, momenti di incontro quali corsi di
degustazione e incontri con esponenti del mondo dell’enologia nazionale. Il locale cagliaritano è il primo
anello di un progetto di catena su scala nazionale, realizzato tramite la formula del franchising (per informazioni www.eno-italia.com).
Stupendamente situato sul lungomare del Poetto, il
ristorante La Marinella (tel. 070/810126), abituale ritrovo dei giocatori della squadra calcistica del Cagliari
e degli sportivi in genere, ha nei frutti di mare e nelle
pietanze a base di pesce i suoi punti di forza. Ottimo
anche il carrello di dolci sardi, tutti freschissimi.
Sulla strada per Villasimius, subito dopo Geremeas, il caffè-ristorante Van Gogh offre atmosfera serena e piatti anche veloci a prezzi buoni. Poco più
avanti l’hotel Cormoran (tel. 070/798131) propone ottimi soggiorni all’insegna del relax e della buona cucina,
con la possibilità di splendide immersioni alla scoperta di canyon, gorgonie giganti, relitti di navi romane ed altre delizie
del mondo subacqueo.
A Villasimius l’elegante Il Ragno Blu in località Santo Stefano
(tel. 070/797061), a due passi da
una delle spiagge più belle della
zona, propone prelibate pietanze
della tipica cucina marinara: pesci e
frutti di mare freschissimi ma anche un inimitabile fritto misto, i caQui a sinistra: da “Cesare”, il ricamo
di spigola e gamberi su vellutina
di zafferano e favette del Campidano.
In alto: pesce fresco per un pranzo in riva
al mare al “Villaggio dei Pescatori”.
lamari fritti e la deliziosa aragosta alla sarda. Il Carbonara (tel. 070/791270), nella centralissima via Umberto, offre una vasta gamma di primi piatti, tra cui non ci
si deve lasciar sfuggire le linguine al pescespada e diversi piatti di pesce e di carne.
A Castiadas, lungo il bellissimo litorale a nord di
Villasimius, il Sant’Elmo Beach Hotel (tel. 070/995161)
offre ai propri clienti ben cinque ristoranti (di cui uno
per i più giovani) nei quali scegliere tra buffet internazionali e tradizione sarda.
Nei paesi dell’interno della provincia, oltre al ristorante Severino di Senorbì, merita una sosta il Cavallino della Giara di Barumini (tel. 070/9368122), situato
proprio di fronte all’imponente complesso nuragico che è il
“principe” dell’archeologia
isolana. Propone piatti tipici
della cucina del territorio, ravioli di ricotta e malloreddus,
arrosto di porcetto e agnello.
Le stesse specialità sono offerte in maniera eccellente anche
nel vicino paese di Villanovaforru – paese di archeologia
nuragica e di ottimi musei,
In alto: vini regionali e nazionali
in degustazione al wine-bar “Enò”,
nuovissimo locale di Cagliari.
La scelta è fra quattrocento diverse
etichette. A destra: la sala del “Sa
Domu Sarda” di Cagliari, dove
si gustano i primi della tradizione
e genuini piatti sardi “di terra”.
184
promossi dall’attivo consorzio “Sa Corona Arrubia” –
dal ristorante Le Colline (tel. 070/9300123). A Orroli,
paese dell’altro gigante dell’archeologia sarda che è lo
splendido nuraghe Arrubiu, nella vecchia Casa Vargiu
Omu Axiu (tel. 0782/845023) un gruppo di donne ripropone i piatti antichi del territorio, insieme a corsi di
cucina tradizionale, di vinificazione e di panificazione
con le tecniche di un tempo. Possibilità di soggiorno.
Di notevole interesse l’Itinerario enogastronomico
del Ducato che si snoda lungo i paesi di Gergei, Escolca, Mandas, Gesico e Siurgus Donigala tra siti archeologici, testimonianze storiche e gastronomia tradizionale. È organizzato dai fratelli Dedoni di Gergei (tel.
0782/808060). In ciascuno dei piccoli centri ci si ferma
a degustare i prodotti tipici. Il ricco menu propone antipasti a base di corda con piselli, lumache al verde, fricassea, frittelle di asparagi; tra i primi, fregola con lumache, pennette ai cardi selvatici, ravioli di ricotta agli
asparagi; tra i secondi l’agnello in umido, il maialetto
arrosto e la gallina ripiena. Formaggi locali e dolci sardi completano la succulenta proposta.
Un autentico pranzo coi pastori, tra natura selvaggia, pinnettas (le classiche capanne pastorali) e grandi arrosti all’aperto, lo propone Albino Corgiolu
(cell. 333/2007872) a Domus Suas, nelle campagne
di Goni, altra località la cui archeologia (le misteriose pietre fittili che l’hanno fatta ribattezzare la “Stonehenge sarda”) merita una visita approfondita. Se
poi all’atmosfera magica e magnetica delle pietre si
associano il formaggio e la salsiccia, il porcetto e l’agnello cotto al momento, un delizioso vino fatto in
casa e i prelibati dolci di Albino, la giornata non può
che svolgersi all’insegna del piacere.
Adriano Mauri
L’abilità manuale dei panettieri, le
tecniche tradizionali e la qualità
delle materie prime fanno del pane
di Quartu una delizia da scoprire.
Quartu Sant’Elena
L’ARTE DI PREPARARE
PANI E DOLCI
Dove l’aria profuma della fragranza irresistibile
dei prodotti del forno, preparati come una volta grazie
a una sapienza antica e a una lunga tradizione
DI EMANUELE DESSÌ
N
é la baguette di Parigi e nemmeno la michetta di Milano. “Io non credo che ci sia
in Europa un villaggio il cui pane possa
essere paragonato a quello di Quarto”. E non che
monsieur Antoine Claude Valéry di mondo ne conoscesse poco. Scriveva, nel suo Viaggio in Sardegna: “La
pagnotta stessa che serve di nutrimento al contadino
campidanese vale assai di più che il miglior pane
d’Italia e di Francia”. L’anno del Signore era il 1834:
Valéry pubblica a Parigi il suo Voyage en Sardaigne,
rievocando i profumi sentiti entrando in quel borgo
dove le case erano fatte di fango e di paglia. Un borgo
che odorava di pane, di dolci e di vino. Un borgo povero e a un tempo ricco, dove le donne indossavano
187
QUARTU SANT’ELENA
Adriano Mauri
QUARTU SANT’ELENA
Sopra : i gueffus, preparati con zucchero e mandorle,
sono i dolci preferiti dai bambini e per questo rivestono,
da sempre, il ruolo di protagonisti in ogni festa
locale. A sinistra: ricostruita alla fine del XVIII secolo
dopo l’incendio che nel 1775 ne distrusse il tetto,
la parrocchiale di Sant’Elena presenta una semplificazione
di linee legata al primo affermarsi del neoclassicismo.
Dario Sequi
abiti che facevano invidia – sono sempre parole di
Valéry – a quelli indossati dalle signore di Cagliari o
ai cappellini delle ragazze parigine.
E pensare che, se la storia avesse avuto un altro
corso, a Quarto (la “o” divenne “u” solo con un regio
decreto del 1862, per non confondere il paese sardo
con l’omonima località ligure appena resa famosa dai
Mille di Garibaldi) Valéry avrebbe mangiato… baguette. Ma le mire espansionistiche della Francia rivoluzionaria si spensero, nel 1793, tra le siepi di fichi
d’India a ridosso delle spiagge dove le truppe sardopiemontesi respinsero il tentativo di sbarco dell’armée. Trent’anni dopo Valéry non trovò, in Sardegna, il tricolore di Francia. Non sentì, a Quartu, profumo di baguette, ma di civraxiu, coccoi e moddizzosu,
“…il miglior pane d’Italia e di Francia”.
Un giudizio che, ancora oggi, inorgoglisce una comunità intera. Al punto che proprio le parole di
monsieur Valéry potrebbero, presto, far bella mostra
all’ingresso del primo museo sardo dedicato al pane
tradizionale. L’indirizzo sembra già esserci: il vecchio Convento dei Frati Cappuccini, accanto alla
chiesa di Sant’Agata, in piazza Azuni. E non in una
sala qualunque, ma probabilmente in quella abbellita dall’affresco che per un secolo ha dato dignità alla
volta del primo palazzo comunale della città. La mano di un artista-artigiano, il Citta, alla fine dell’Otto-
188
189
QUARTU SANT’ELENA
QUARTU SANT’ELENA
In alto: un tratto dei venticinque splendidi chilometri di costa
che si estendono dalla spiaggia del Poetto fino a Geremeas.
L’attrattiva delle spiagge ha contribuito allo sviluppo della
vocazione turistica della cittadina. A destra: prima ancora
che per il palato il pane di Quartu Sant’Elena, con le sue
ricche decorazioni e forme originali, è una festa per gli occhi.
190
Adriano Mauri
Dario Sequi
cento, disegnò il cielo e il mare, le navi francesi e, insieme,
gli eroi che salvarono Quarto.
Niente baguette, sotto quella
volta restituita ai quartesi e ai
sardi, ma solo civraxiu, coccoi
e moddizzosu.
Cresciuta sino a diventare
coi suoi 70.000 abitanti la terza
città della Sardegna, Quartu
Sant’Elena ha una vocazione
forte per il turismo legata non
solo ai 25 chilometri di costa o
ai fenicotteri rosa che popolano gli stagni a ridosso delle
strade e dei palazzi. È una vocazione fatta anche di cultura,
di tradizioni. Il paese di ieri,
infatti, non ha scordato l’antica arte della panificazione. Sì,
attorno all’abitato non ci sono
più le distese di spighe, il grano non diventa più farina nelle macine in pietra mosse da
un asinello. Però tecnologia e
tradizione convivono nelle attività artigianali che, prima ancora che sorga il sole,
sfornano il pane di una volta. E il dedalo delle viuzze
del centro o anche alcuni quartieri che non hanno mai
conosciuto su làdiri (i mattoni di terra cruda) sono invasi da quei profumi tanto cari al Valéry.
Il civraxiu è un pane integrale, confezionato con farina e crusca fine. Su moddizzosu, invece, è un pane
che, in forno, diventa soffice e alto, da tagliare a fette. Il segreto è nella lavorazione: si può anche dire
che la pasta è molto morbida, che dopo la pezzatura
e prima ancora della lievitazione, va fatto scivolare
nella farina, ma è impossibile descrivere il movimento delle mani delle massaie, gesti tramandati di madre in figlia. O di padre in figlio. Per generazioni.
Piano e croccante è su coccoi, il pane fatto con la semola finissima. C’è la semola anche nel pane delle
feste e delle cerimonie, su pani de is isposus. Ma prima che il palato, è lo sguardo a essere rapito dalle
mille forme che la pasta può assumere, forgiata da
mani esperte e dai semplici oggetti che la cucina di
qualche secolo fa poteva offrire. Gli stessi che, anco-
ra oggi, regalano identici capolavori. “Bastano la lama di un coltello e un paio di semplici forbici per
modellare su coccoi”, spiega Mauro Argiolas, 27 anni,
panettiere dal 1991 nel forno di famiglia, in via Dante, proprio davanti all’edificio neoclassico che ha
ospitato il mattatoio ma ha anche custodito i documenti dell’archivio comunale. La pezzatura tipica
del coccoi è di 150 grammi ma, su richiesta, si possono modellare e cuocere anche piccole forme da mezzo etto, in genere richieste per le cerimonie.
Uno dei segreti del pane quartese, che accomuna
buona parte delle produzioni isolane, è il lievito, che
da queste parti si chiama frammentu. “La preparazione è semplicissima, – racconta Ambrogio Argiolas
dalla sua azienda di via Dante. – Si utilizza un pezzo
di pasta di pane avanzato dal giorno prima e si aggiunge a un impasto di acqua e farina. Aggiungiamo
anche un po’ di lievito di birra, ma è proprio un pizzico: la proporzione è di 50 grammi di lievito su 50 chili
di farina.” Anticamente su frammentu riposava in un
recipiente in terracotta chiamato xivedda, coperto con
un panno. Con le richieste dei consumatori le dimensioni e, quindi, gli oggetti sono cambiati, ma gli ingredienti sono sempre gli stessi.
Amministrazione comunale (assessorato alle Attività produttive), Consorzio 21 e Porto Conte Ricerche hanno promosso un progetto pilota per la valo-
rizzazione delle produzioni
del pane tipico, coccoi e moddizzosu. Si è cercato di finalizzare ricerca e tecnologia a
uno “starter microbico” in
grado di riprodurre le caratteristiche tipiche delle fermentazioni a pasta acida: su
frammentu, appunto. Insomma, tecniche moderne applicate alla tradizione. Il risultato è stato un disciplinare di
produzione, la base per la
confezione del pane tipico
che potrebbe fregiarsi di un
marchio in grado di distinguerlo su un mercato globalizzato anche nella panificazione. Ma il disciplinare è
anche il punto di partenza
per ottenere (attraverso il ministero delle Politiche agricole) un marchio di riconoscimento dell’Unione Europea.
Il disciplinare va integrato
con una relazione storica, già
messa a punto da Barbara Fois dell’Università di
Cagliari. L’obiettivo è la Igp, Indicazione geografica
protetta, per coccoi e moddizzosu. Come previsto dal
regolamento comunitario che disciplina la materia,
a chiedere il riconoscimento Dop o Igp possono essere solo associazioni di produttori e trasformatori
di prodotti agricoli. Come spiega Cornelia Cogoni,
che ha un’attività di panificazione, il passo è stato
fatto: l’associazione esiste e si è già mossa per far sì
che, presto, ci sia sul mercato il pane “Coccoi e
Moddizzosu di Quartu Igp”.
Altro vanto, per l’agroalimentare di Quartu, sono i
dolci. Una produzione favorita, nei secoli dei secoli,
dalla presenza di vasti mandorleti. Per citare Enrico
Costa (Costumi sardi, 1913): “Non è solo il pane che le
donne quartesi confezionano con cura speciale: esse
sono rinomate anche per altri generi di dolci, paste e
biscotti prelibatissimi”. Il Costa cita gli intraducibili
nomi – immutati in novant’anni – e brevemente li descrive: pastissus de gesminu (“Dolci sopraffini fatti con
zucchero e mandorle tagliuzzate a mo’ di petali di
gelsomino”), i piricchittus (“Boccoli di pasta composti
di farina, zucchero e uova”), il pane ’e saba (“Pane di
farina impastata con vino cotto”), le pardulas (“Formaggelle sottilissime”), le pabassinas (“Composte di
una mistura d’uva passa, mandorle e pignoli, condensata con zucchero o miele”).
191
QUARTU SANT’ELENA
Dario Sequi
QUARTU SANT’ELENA
192
elementari. “La tecnica conta, certo, ma gli ingredienti più importanti sono l’impegno, la passione, direi
persino l’amore per questa attività”, sottolinea Ignazia Tocco, maestra dell’arte dolciaria.
Le nuove attenzioni del consumatore verso i prodotti tipici e biologici, meglio se accompagnati da
un certificato di garanzia, hanno spinto un gruppo
di imprenditori agricoli a dar vita all’associazione
“Colline Quartesi”: uva da tavola, pomodori ma soprattutto patate, che vedono Quartu primeggiare in
Sardegna per quantità di produzione, ma non solo.
Versatili in cucina, le patate da queste parti si sposano a meraviglia (magari profumate con il rosmarino) con il maialetto arrosto. Oppure, nei piatti di
In alto e nella pagina accanto : il Convento dei Frati
Cappuccini, costruito accanto alla chiesa di Sant’Agata
nel 1631, è candidato a ospitare il primo Museo sardo
del pane tradizionale. Il restauro della struttura è stato
realizzato con il contributo dell’Unione Europea.
Dario Sequi
Squisitezze riprodotte con sapienza antica ancora
oggi da giovani mani nelle botteghe dolciarie. Insieme
ai candelaus (piccoli recipienti di varie forme realizzati
con pasta di mandorle, vuoti o riempiti con sfoglia sempre di mandorle, profumate con essenza di fiori d’arancio) o, ancora, il gattò, confezionato con un impasto di
zucchero sciolto e mandorle tostate. Il resto è arte: possono nascere piccole forme o riproduzioni, in miniatura, di monumenti e chiese, portate in processione durante la sagra campestre di San Giovanni, nel mese di
luglio. È l’occasione anche per apprezzare gli splendidi
costumi di Quartu, magari da mettere a confronto, sempre a luglio con le tradizioni popolari di tutto il mondo
grazie a “Sciampitta”, festival del folklore organizzato,
con il sostegno del Comune e della Regione Sardegna,
dal gruppo folklorico “Città di Quarto”.
Si sta cercando di tramandare la tradizione dei dolci di Quartu attraverso corsi di formazione o anche
semplici dimostrazioni che cominciano nelle scuole
193
QUARTU SANT’ELENA
aromatico, ampio, fragrante, con sentori di fiore di
mandorlo e albicocca secca. Al palato è dolce, armonico, caldo, ricco di sapidità, ben strutturato. Ideale
come vino da meditazione, ben si accompagna ai
dolci tipici di Quartu a base di mandorla o ricotta,
come le pardulas.
Sapori da esaltare anche con il Nuscara, Malvasia
Doc di Cagliari prodotto dalla Cantina di Quartu
(fondata nel 1926), un vino bianco da dessert di origine antichissima, arrivato forse in Sardegna in
epoca bizantina. Giallo paglierino tendente al dorato, ha un profumo intenso e persistente, con un retrogusto di mandorle amare. Servito fresco, 8-10
gradi, è un ottimo aperitivo. Se accompagnato ai
dolci, meglio se a base di mandorla, la temperatura
ideale di servizio è di 12-14 gradi.
Quartu Sant’Elena, il mare a un chilometro e le
vette dei Sette Fratelli alle spalle. I nuraghi sul mare e le chiese medievali che convivono tra case e
negozi. Qui l’enogastronomia affonda i suoi segreti
in una storia millenaria. Pagine scritte dalla prepotenza degli invasori (dai fenici fino ai piemontesi),
ma anche dall’orgoglio dei sardi di queste terre. Un
orgoglio che, ancora oggi, resiste, per regalare sapori e profumi senza tempo.
Uno scorcio di Quartu vista dalla pianura circostante l’abitato.
Sullo sfondo si stagliano le vette del gruppo dei Sette Fratelli.
Dario Sequi
mare, con le pregiate orate e le spigole del golfo degli Angeli, davanti al quale, nella bianchissima
spiaggia di Quartu, tra novembre e aprile, è un
trionfo di ricci, serviti in accoglienti gazebo insieme
al pane e a un bicchiere di Vermentino fresco.
Di recente introduzione è proprio la sagra della
patata (organizzata, a giugno, davanti alla chiesa di
Sant’Andrea, a Flumini, una delle tante apprezzate
testimonianze dell’arte religiosa nel territorio),
mentre risale agli anni sessanta la sagra dell’uva,
organizzata in occasione della grande festa dedicata
alla patrona sant’Elena (madre dell’imperatore Costantino) a settembre.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento
Quartu esportava, sfuso, buona parte del vino prodotto, per lo più bianco. Oggi la produzione vitivinicola presenta pregiati Doc che ben si sposano con
la cucina sarda ma, soprattutto, con i dolci quartesi.
Come il Moscato, la Malvasia o il Nasco Gutta ’e
Axina (tradotto, l’anima dell’uva) prodotti dalla cantina Villa di Quartu, un’azienda agricola gestita da
due giovani donne. Con il frutto di 45 ettari di vigneto, l’azienda produce anche bianchi e rossi, coccolati nelle botti che trovano casa nelle viuzze del
quartiere di Cepola, la culla di Quartu. La vocazione per i vini da dessert potrebbe trovare nel Nasco
importanti prospettive. Di colore giallo oro antico, il
Nasco di Cagliari Gutta ’e Axina ha un profumo
In cantina
“SU INU, SUZZU
MERACULOSO DE SA ’IDE”
Cannonau, Vermentino, Monica, Carignano, Muristellu,
Nuragus... Ecco alcuni dei vitigni da cui nasce
su inu, il vino sardo, “succo miracoloso della vite”
DI CARLA DEPETRIS
M
“
a questo vino sembra aceto!”, penso
io. Non oso dirlo ma lo sguardo tra il
supplichevole e il divertito del mio accompagnatore mi conferma che è proprio così. “Questo è vino genuino garantito”, proclama intanto orgoglioso l’anziano contadino, mentre dà qualche colpetto affettuoso alla piccola botte. Siamo nella cantina di
casa sua, fresca e scura. Le botti sono soltanto tre e
tutto odora fortemente di vino. Ci riempie di nuovo i
minuscoli bicchieri direttamente dal rubinetto della
botte. “Beva, beva…”, insiste. Tento di rifiutare con la
scusa che non ho mangiato niente. Non c’è scampo: i
due bambinetti che sono attaccati ai suoi pantaloni
vengono spediti in casa a prendere pane e formaggio.
197
IN CANTINA
Adriano Mauri
“Adesso, però, con il formaggio, deve assaggiare
il vino rosso!”, dice. Intanto tira fuori dalla tasca un
coltello a serramanico. Tiene la mezza forma di pane fatto in casa appoggiata allo stomaco e con gesti
lenti e precisi ne taglia delle fette, spesse almeno
due dita. Poi è la volta del formaggio, che ci offre
sulla punta del coltello. Accidenti… è proprio buono! Ci guarda con occhi ridenti e sguardo benevolo.
Mangia anche lui qualcosa, ma si capisce che lo fa
più per dovere di ospite che per appetito. È una
delicatezza, questa, che mi confonde. È un uomo
semplice, con grandi mani dure come cuoio e il viso scolpito da rughe decise, nero di campagna. Eppure quanto garbo!
Il mio accompagnatore mi spiega che in Sardegna,
ancora oggi, molti contadini si fanno il vino in casa.
E proprio perché non vogliono usare nessun artificio
per mantenerlo, dopo appena qualche mese si
“spunta”. “Ma loro lo bevono così da secoli, – aggiunge – e non ci fanno più caso”.
Siamo nel Nuorese, e io mi incanto a guardare queste montagne silenziose, dove a tratti la roccia nuda
forma gole oscure. Il vento sembra non avere un suo
rumore, eppure è sostenuto, pieno di fragranze strane,
così diverse da quelle che conosco. Sanno di luoghi remoti, antichi. Questi profumi mi danno una strana
sensazione di dejà vu e cerco di capire dove e quando.
“Adesso assaggerai i vini di queste parti, – dice il
mio accompagnatore – quelli di cantina. Chiudi gli
occhi e respira a fondo tutti questi odori. Mettili in
memoria… poi mi dirai”. Ed eccoci a Jerzu, in Ogliastra. Malgrado la stagione l’aria è leggera, il vento lieve come la carezza di una mano fresca. Le anziane del
paese vestono di nero, indifferenti al clima, dignitose
e remote. La pelle dei visi ha il colore dell’avorio e gli
sguardi sono intensi, seri. Mi sento intimidita con i
miei abiti colorati, quasi fuori posto.
Sfilata di vini di Sardegna, risultato della grande sapienza
enologica che ha attraversato una civiltà millenaria.
Dario Sequi
IN CANTINA
In cantina il mio compagno scambia cordiali saluti
con tutti. C’è un incrociarsi di battute in una lingua
che mi è totalmente estranea e poi ecco i bicchieri.
Vino rosso. È il famoso Cannonau. Viene religiosamente versato con gesti calmi e con un avvitamento
finale del polso per evitare che anche una sola goccia
vada sprecata. Li osservo mentre portano il bicchiere
alle labbra: gli occhi sono chiusi e l’espressione rapita. Li imito. Sì, gli occhi si devono chiudere, perché
solo così si è concentrati sul sapore. Sento come un
profumo di more, misto a qualcosa che mi ricorda il
petalo vellutato di una rosa. È morbido, intenso, forte. Il calore che mi invade dentro mi fa venire voglia
di ridere. Quando riapro gli occhi mi accorgo che mi
guardano tutti divertiti e soddisfatti. Ormai siamo
amici. Vengo invitata ad una cena a base di cinghiale e formaggio arrosto (quanto c’è di meglio per “accompagnare” il Cannonau, dicono).
Vigneto nella Gallura settentrionale,
terra del Vermentino Docg,
“bandiera” della vitivinicoltura sarda.
Quando il giorno dopo ripartiamo ho l’impressione di lasciare dei parenti. E nella mente il calore di
un gran fuoco dove sfrigola una carne saporita, il
piacere delle chiacchiere con un bel bicchiere di
Cannonau da assaporare piano piano… Ed ecco il
vento, il profumo dei cespugli caldi di sole, la morbidezza del velluto…
Mi risveglia dalle mie fantasie il mio accompagnatore: “Siamo in Gallura. Qui conoscerai un’altra
perla: il Vermentino”.
Gallura… Che strano nome. Gli chiedo da dove
deriva e mi spiega che il nome riecheggia nel gallo
dello stemma pisano dei Visconti, primi signori del
Giudicato. E il gallo, sin dal 1956, identifica i pregiati vini della Cantina della Gallura.
“Ma per capire il Vermentino, – aggiunge – devi
prima vedere una cosa…”. Mi fido di lui e non protesto. Proseguiamo il viaggio sino alla punta più a
201
IN CANTINA
stare ferma. Alla fine della giornata sento la pelle calda e tesa, odorosa di mare. Ho una fame da lupi.
Ed eccoci in un ristorantino allegro che mette in mostra una varietà incredibile di pesce e di frutti di mare. Senza neanche chiederlo ci arriva sulla tavola una bottiglia di Vermentino. Aspetto che il
mio compagno me ne parli. Adoro
quelle sue spiegazioni, sono così
strane per chi non sa niente di vini. “Guarda il colore, – dice – deve
essere paglierino, brillante. Il sapore secco, pieno, caldo. È un vino
che ha nerbo ma anche armonia
ed equilibrio. È un vino elegante
ma non lasciarti ingannare: ha un
tenore alcolico di 13 gradi”.
Antonio Saba
nord-est della Sardegna: Porto Rotondo, Porto Cervo, Palau, Santa
Teresa di Gallura. Spiagge abbaglianti, l’acqua del mare lucente. I
colori sembrano lavati di fresco,
nuovi. Abituata ad un’aria che
sembra sempre vista attraverso
occhiali sporchi, è come se mi fossi tolta un velo. Tutto è chiaro, luminoso, pieno di fragranze vitali.
Ed ecco ancora questa voglia di ridere, di buttarmi a capofitto dentro l’acqua maliziosa.
Rocce granitiche dalle forme
straordinarie, contorte o levigate,
come se la mano del tempo, nella
sua carezza continua, le avesse
modellate per addolcirle. Il vento
e il sole inebriano. Non riesco a
Sopra : formaggi stagionati e saporiti salumi sardi si gustano al meglio
con un buon bicchiere di Cannonau di Sardegna doc, vino regionale diffuso
nel Cagliaritano, nella provincia di Oristano e in alcuni comuni del Nuorese
(soprattutto Oliena e Jerzu). Il vitigno omonimo è ritenuto di origine iberica.
IN CANTINA
una strana zuppa fatta di fette di
pane e formaggio fresco, il tutto
irrorato di brodo e spolverato con
pecorino fresco: Si chiama suppa
cuata o zuppa gallurese. “Ci sta
bene il Vermentino?” mi chiede.
Caspita! Siamo allegri come due
liceali in vacanza. “Per colpa del
vino”, dico io. “Per merito suo”,
corregge lui scandalizzato.
Ed aggiunge che il Cannonau
e il Vermentino, prodotti in tutta
l’isola, assumono fragranze diverse a seconda del luogo di produzione: nel Campidano, nella
Trexenta (che si pronuncia Tresgenta, come la j francese, ma così carezzevole che è impossibile
Sì, quel giallo brillante sembra
proprio compendiare tutta la luminosità della giornata appena
passata. Chiudo gli occhi, come
mi è stato insegnato. Resisto alla
tentazione di bere tutto d’un fiato
e trattengo in bocca quella splendida liquidità. Assaporo sino in
fondo. La chiave di lettura me l’ha
data il mio amico ed è tutto chiaro:
ecco le rocce assolate e calde, la
spiaggia abbagliante, il mare trasparente e luminoso!
Non gli dico queste mie sensazioni, non ce n’è bisogno. Mi
guarda con aria complice e riempie di nuovo il bicchiere. Arrivano cose deliziose: frutti di mare,
I MIGLIORI VINI DI SARDEGNA
Nevio Doz
(A.B)
Questi sono alcuni dei più rinomati e squisiti vini di Sardegna. Molti
di essi hanno ottenuto negli ultimi anni prestigiosi riconoscimenti alle principali fiere e non temono confronti con i più celebrati vini nazionali e internazionali. Questo che segue è un elenco molto parziale, perché in realtà sono molte le produzioni degne di citazione.
Tra i rossi vanno ricordati: il Turriga, un Igt prodotto dalle cantine Argiolas di Serdiana; il Terre Brune, un Carignano del Sulcis Doc della
cantina di Santadi; il Nepente, Cannonau Doc della cantina di Oliena;
il Marchese di Villamarina prodotto ad Alghero da Sella & Mosca; il
Karana, un Nebbiolo di Luras Igt della cantina di Tempio; l’Ajana, un
barricato Igt a base di Cannonau e Carignano, della cantina Ferruccio
Deiana, e il Cannonau Doc della cantina di Jerzu.
Tra i bianchi meritano una menzione speciale il Cerdena, barricato
Igt di Argiolas; il Villa di Chiesa, Vermentino di Sardegna Doc barricato della cantina di Santadi; il Funtanaliras, Vermentino di Gallura
Docg delle cantine di Monti; il Canayli, Vermentino di Gallura Docg
superiore della cantina di Tempio; il Capichera, Vermentino di Gallura Docg dell’omonima cantina; lo Saruinas, Vermentino di Gallura
Docg della giovane ma intraprendente cantina Depperu di Luras; il
Pluminus, un barricato Igt di
Ferruccio Deiana; il Tuvaòes,
Vermentino di Sardegna Doc
prodotto da Cerchi di Usini; il
Gutt ’e Axina, Nasco Doc della
cantina Villa di Quartu.
Tra i classici vini da dessert,
ricordiamo il Torbato Brut di
Sella & Mosca, la Malvasia di
Bosa della cantina di Flussio e
la Vernaccia della cantina
Contini di Cabras (nella foto).
Adriano Mauri
riprodurne il suono), così come
nel Sarrabus, il sapore di questi
vini si esalta con la morbidezza
del calore delle campagne assolate e pigre, diventano “veri e propri nettari”, dice.
Rimpiango di non aver più tempo a disposizione. La vacanza sta
per finire e il mio amico mi tortura
con tutte le cose che non farò in
tempo a gustare: l’ambrata Vernaccia, che lui sostiene debba essere abbinata a cose salate e non
con i dolci, la Malvasia, il Moscato, dove spiccano i sentori di favo
di miele, il Carignano del Sulcis, il
Monica di Sardegna…
Ecco, vedo già questa “Insula
Vini”, come verso la fine del Cinquecento la chiamava il botanico
Andrea Bacci, simile a uno di
quei bei sogni dove tutto si accavalla e le immagini sono lampi
veloci che vorresti trattenere, ripercorrere piano piano per gustare le sensazioni vissute.
Riparto lasciando purtroppo
molte cose in sospeso. Ma la
prossima volta…
Una bottiglia del celebre Turriga,
vino rosso ottenuto dall’assemblaggio
di uve Carignano, Bovale Sardo,
Cannonau e invecchiato in barrique.
Associazioni
I “BALUARDI”
DELLA TIPICITÀ
Un consorzio e una fondazione a difesa della ricchezza dei prodotti dell’isola
DI ORNELLA D’ALESSIO
P
“
ocos, locos y mal unidos”:
ecco come Carlo V definiva i sardi nel XV secolo. E
ancora oggi il campanilismo su tutta l’isola continua a essere
forte, anche e soprattutto fra paesi limitrofi. Solo negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando. E qualcuno ha
cominciato ad applicare il sano principio “l’unione fa la forza”, proprio
nel settore alimentare.
Uno dei fautori è Andrea Prato,
che tre anni fa con due amici, uno storico commerciante di formaggi e salumi e il principale produttore di grano
e cereali dell’isola, ha fondato il Consorzio Alimentare Sardo, ricalcando
le orme della precedente piccola
azienda Satta & Murgia, nata come
distribuzione all’ingrosso di prodotti
alimentari freschi nel Sassarese. “Ci
siamo resi conto che si stava perdendo uno dei tesori isolani, la ricchezza
e la varietà dei gusti, e che se non ci
fossimo uniti – spiega Andrea Prato –
sarebbe stato un disastro. I ristoranti,
gli agriturismo e gli alberghi sardi fino a tre anni fa erano riforniti principalmente da aziende nazionali e internazionali. Ma la Sardegna è una
terra sui generis in tutto, anche nei sapori delle materie prime, che sono rimasti quelli di una volta. La stessa
seada, il dolce sardo più tipico, a livello industriale viene fatto con farine di
dubbia qualità e il ripieno con sottoprodotti del latte; noi invece utilizziamo esclusivamente semola di grano
duro, strutto casareccio, e formaggio
fresco di vacca prodotto dal Caseificio
di Berchidda, il paese del trombettista Paolo Fresu (l’azienda è visitabile
e ha un punto vendita. Info: cell.
335/5489924-tel. 079/2679004). Altro
ingrediente importante della seada,
da aggiungere all’impasto di formaggio, è il limone. Noi utilizziamo solo il
distillato fresco delle bucce di quelli
belli e sugosi di Muravera. Altri
esempi sono le farine, che noi produciamo con il 40 per cento di grano sardo, e le salsicce, fatte rigorosamente
con suino isolano, sale e pepe, senza
latte in polvere e conservanti, ma con
carni fresche lavorate nello stabilimento di Chilivani (visitabile), una
frazione di Ozieri.
Altro bell’esempio di coesione popolare viene dalla Fondazione Logudoro Meilogu di Banari (tel.
079/826270, www.fondazionelogudoro.com ) che quest’anno, insieme alla
Fondazione Banco di Sardegna e ai
Comuni di Siligo, Bessude, Thiesi,
Borutta e Cossoine, ha promosso un
corso per valorizzare la cultura enogastronomica del territorio, attraverso
lo studio di prodotti quali il vino, l’olio, i formaggi, gli insaccati, il pane e i
dolci. Il corso, strutturato in lezioni
teoriche e laboratori del gusto, ha
permesso di affrontare “l’arte della
tavola” sia come aspetto culturale
delle tradizioni locali sia sul piano
delle potenzialità occupazionali che
tale risorsa rappresenta per produttori, operatori economici, amministrazioni locali e aziende agrituristiche.
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