«Penso sia giusto razionare laddove c’è spreco di mezzi e di risorse, anche perché, a mio giudizio, c’è ancora tanta medicina inutile che non serve necessariamente al benessere del paziente».Una valutazione pesante, chiara e forte nel suo messaggio, quella che ci consegna il professor Roberto Malacrida, primario di Medicina intensiva e direttore sanitario all’Ospedale Regionale di Lugano, vice presidente della Commissione di etica clinica dell’Ente ospedaliero cantonale, professore di etica alle Università di Ginevra e di Friborgo e membro del Gran Consiglio per il PS. Il suo approccio ai complessi legami tra medicina, business, costi della sanità e benessere dei pazienti è fortemente improntato ai principi dell’etica e all’esperienza clinica trentennale. La sua prima visione etica è come un monolito: «Bisogna fare in modo che un ospedale pubblico non diventi un’azienda simile a una banca, ma piuttosto alla scuola pubblica. Il che significa che al centro di ogni sua attività vi deve essere sempre il paziente. È un concetto fondante, non populista. Così come centrale deve essere anche il benessere del personale affinché possa curare bene i pazienti». Avere il paziente al centro di ogni attività non significa però assecondarlo in ogni sua richiesta e, soprattutto, non con qualsiasi mezzo anche al di là di scelte ragionevoli. «È uno dei fondamenti dell’approccio etico, il terzo principio della bioetica, quello del “primum non nocere”: la buona medicina deve evitare la medicina inutile, che causa cioè sofferenze non compensate da un beneficio.». Dichiarazione forte, di certo condivisibile a livello teorico. Ma si possono fare degli esempi concreti? «Inizio a risponderle con la premessa che bisogna comunque sempre prestare attenzione alla vera volontà del paziente. Detto questo è lecita ad esempio la domanda se abbia senso sottoporre a cure “invasive e costose” persone molto anziane e molto ammalate. Dal mio punto di vista è corretto curare a lungo e in modo intensivo un paziente se vi sono però i presupposti perché poi possa tornare a vivere fuori dall’ospedale, assicurando una qualità di vita e una dignità che gli convengono». Altrimenti? «Altrimenti bisogna avere il coraggio di spegnere i macchinari divenuti addirittura nocivi per il paziente. Ed è questa la parte più difficile del nostro lavoro. Queste decisioni pesano su ognuno di noi. Perciò debbono venir prese da una comunità di curanti e mai dal singolo medico, coinvolgendo con cura anche i famigliari quando il paziente non può più esprimersi. A questo proposito ricordo che l’80% dei pazienti deceduti nei reparti di cure intensive svizzeri muoiono perché si decide che ciò che si sta facendo per loro è inutile o persino dannoso o soprattutto non corri- Il cantiere dell’etica Le scelte etiche decisive possono essere fatte anche di calcestruzzo e tramezze. Prendete il progetto di ristrutturazione dell’Ospedale Civico di Lugano. Cento milioni di franchi di investimento per dargli nuove forme e contenuti. «Che scelte fare? E chi le farà? – si chiede il direttore sanitario Malacrida – La decisione per esempio di quanti letti attribuire al nostro reparto di cure intensive è strettamente legata a una visione etica: fra 10 - 20 anni potremo curare i pazienti con gli stessi criteri di scelta e la stessa scala di valori di oggi? Come affronteremo l’invecchiamento della popolazione e gli ulteriori progressi delle biotecnologie? In mancanza di visioni chiare si corre il rischio che a decidere siano le finanze dello Stato con una medicina a velocità sempre più diverse». Il medico ‘giusto’ è (anche) un poco filosofo e un poco politico. dossier sponde più alle loro volontà». Eccola l’importanza dell’«etica del decidere» nei confronti della medicina inutile, non tanto per preoccupazioni di tipo economico, anche se finisce poi con l’incidere anche concretamente sui costi del sistema sanitario. «Credo proprio che una buona parte della risposta al tema dei risparmi risieda qui: nella capacità di rifiutare la medicina inutile o persino dannosa, gli interventi diagnostici e terapeutici sproporzionati nei quali le conseguenze negative superano quelle positive». Cure inutili da una parte, ma anche diagnostica inutile dall’altra: la catena della ‘medicina non buona’ ha capo e coda. «Ci sono filosofi come Severino e Galimberti che hanno apertamente teorizzato che oggi la tecnologia è diventata il fine e non il mezzo. Un fine che peraltro può generare anche indotti considerevoli. Credo che, come dice Edgard Morin, occorra affrontare le sfide odierne con un’etica della resistenza». Eccolo il programma autentico, profondo, l’isola che potrebbe salvare l’intero sistema sanitario dal naufragio nel mare tempestoso di costi sempre più esorbitanti. Un’isola per raggiungere la quale bisogna però prestare attenzione anche ad altre correnti: buone nel principio, forti nel valore, ma distruttive nel potenziale. «Il paternalismo medico nella sua forma arrogante per fortuna è finito. Oggi il paziente in grado di intendere e di volere viene considerato nel suo aspetto di persona capace di decidere per sé. E quindi di decidere se sottoporsi o meno a determinate cure. Tutto questo, che è un bene, comporta però anche un pericolo: e cioè che il paziente tenda a divenire cliente, con un conseguente mutamento di atteggiamento da parte del medico, ‘spinto’ a fare tutto ciò che gli viene richiesto, pena la perdita del ‘cliente’. In questo modo non solo non si frena la spesa sanitaria ma di certo non si fa neppure il bene del paziente. A questo, noi medici dobbiamo saper reagire, applicando, ciascuno nel proprio piccolo, l’etica del quotidiano. Che vuol dire semplicemente difendere il paziente resistendo nel contempo alle tentazioni della ’medicina inutile o dannosa’». Tamara van Molken Resistere alle sirene della medicina inutile non solo si può, ma si deve. In questa intervista al dottor Roberto Malacrida: il ruolo del medico, la sua responsabilità, il senso dell’etica della resistenza e il peso della responsabilità di decidere quando sospendere terapie ormai vane. 7 L’inutile tentazione