Renzo Ragazzon Dipartimento di Fisica dell'Università di Udine Unità di Ricerca in Didattica della Fisica Dai fotoni polarizzati al formalismo della Meccanica Quantistica: una questione di indici Abstract We outline a possible strategy to introduce the basic formalism of quantum mechanics without requiring an advanced mathematical or physical background. Our treatment insist on the fundamental role of the superposition principle, which embodies the main conceptual novelties underlying the present scientific description of the world. The "Dirac formulation" of Quantum Mechanics is developed by properly generalizing the description of a simple two-state system, namely the linear polarization of photons interacting with polaroids and birefringent crystals. We also discuss the relation between physical observables and linear operators, a connection which is usually considered as the "hardest" concept in Quantum Mechanics. I. Introduzione La Meccanica Quantistica viene usualmente introdotta ripercorrendo gli sviluppi storici che ne hanno segnato l'origine e discutendo alcuni esperimenti cruciali che hanno evidenziato, spesso in modo drammatico, l'inadeguatezza della fisica classica. Accanto ad alcuni vantaggi [1], un simile approccio storico conduce frequentemente a notevoli difficoltà, soprattutto nelle trattazioni elementari dove, per evidenti ragioni di spazio, ci si limita a considerare la quantizzazione atomica di Bhor ed i primi rudimenti riguardanti il dualismo onda-particella. A nostro avviso, è invece opportuno cambiare radicalmente strategia, cercando di introdurre, sin dall'inizio, la cosiddetta formulazione 'alla Dirac" della Meccanica Quantistica [2]. La nostra scelta ha una duplice motivazione. In primo luogo, la formulazione di Dirac ha il vantaggio di sottolineare il ruolo fondamentale svolto dal principio di sovrapposizione, universalmente riconosciuto come la più autentica e rivoluzionaria novità concettuale della fisica moderna. Inoltre, l'apparato matematico-formale su cui tale formulazione si basa (spazi vettoriali ed operatori lineari) fornisce una descrizione compatta ed unitaria di tutti i fenomeni microscopici, dal comportamento di un semplice sistema di spin a quello dei più complessi campi quantizzati. L'obiettivo di queste note è mostrare come il moderno formalismo della meccanica quantistica possa essere introdotto senza richiedere prerequisiti matematici o fisici di livello particolarmente elevato. Seguendo quanto indicato in [3], il nostro punto di partenza è rappresentato dall'interazione tra un fotone polarizzato linearmente ed una successione di filtri polaroid o cristalli birifrangenti. Si tratta di una fenomenologia così semplice [4] che risulta infatti immediato mostrare come lo stato di un fotone polarizzato linearmente possa essere descritto da un vettore appartenente ad uno spazio vettoriale astratto. Inoltre, anche il significato fisico degli operatori lineari emerge in modo estremamente diretto, non appena si cerchi di calcolare il valore di aspettazione delle possibili osservabili associate ad un fotone linearmente polarizzato. Fortunatamente, lo studio dei fotoni polarizzati ci consentirà di andare ben oltre la descrizione di un semplice sistema fisico a due stati. Saremo infatti in grado di introdurre idee e concetti di portata ben più ampia, quali il concetto di ampiezza, il significato generale di ortogonalità tra stati fisici e la descrizione quantistica dei processi di misura. Sfruttando questi concetti, potremo rendere plausibile la generalizzazione del formalismo ad un generico sistema fisico. Ovviamente, il nostro lavoro non può e non deve essere considerato come una introduzione formale ed esaustiva alla meccanica quantistica. Più modestamente, il nostro intento è quello di "abbozzare" il percorso logico che l'insegnante dovrebbe adottare per trasmettere agli studenti quella particolare forma mentale che, seguendo Sakurai [5], potremmo chiamare "quantum-mechanical way of thinking". II. Stati fisici, ampiezze e vettori. In questa sezione introdurremo l'idea fondamentale secondo cui gli stati quanto-meccanici sono descritti da vettori appartenenti ad uno spazio vettoriale astratto. A questo scopo, consideriamo l'apparato sperimentale mostrato in Fig. (1). In sintesi, esso è costituito da due polaroids con direzione permessa lungo i versori u e v. In particolare, concentreremo la nostra attenzione sull'"ensemble" di fotoni U filtrati dal primo polaroid. Sappiamo che ogni fotone appartenente a questo ensemble è caratterizzato da una ben definita proprietà fisica: la proprietà di attraversare con certezza un secondo polaroid con la stessa direzione permessa u. Fig. 1 Tuttavia, nell'apparato sperimentale di Fig. (1), il secondo polaroid è orientato lungo una direzione arbitraria v e, pertanto, non siamo in grado di fare delle previsione certe sul comportamento dei fotoni. In tali condizioni, possiamo solo chiederci quale sia la probabilità P(u,v) con cui i nostri fotoni riescono ad attraversare il secondo polaroid e far quindi scattare il rilevatore D. Per determinare P(u,v) nel modo più semplice possibile, assumeremo che il comportamento di un grande numero di fotoni venga convenientemente descritto dalle leggi dell'ottica classica. Più precisamente, si consideri un fascio di luce linearmente polarizzata che incida sul polaroid B. Secondo la legge di Malus, il rapporto tra l'intensità di luce trasmessa e l'intensità di luce incidente è data da I tr = cos2 Iin (1) dove è l'angolo tra la polarizzazione della luce e la direzione permessa del polaroid. Il rapporto Itr/Iin può essere interpretato come il rapporto tra il numero di fotoni trasmessi ed il numero di fotoni incidenti. Ovviamente, tale rapporto non è altro che la probabilità cercata; possiamo quindi scrivere: P(u,v)=cos2 u. v In definitiva, qualunqe sia la direzione permessa v, il versore u determina il comportamento statistico dei fotone. Se accettiamo che le nostre previsioni siano inevitabilmente di carattere statistico, allora il versore u fornisce una descrizione completa dei fotoni appartenenti all'ensemble U. Lo stato di un fotone polarizzato linearmente è quindi rappresentato da un vettore in uno spazio bidimensionale. Inoltre, si osservi che il versore v può essere usato per rappresentare lo stato di un fotone che ha attraversato il polaroid B. Così, se il detector D viene fatto scattare, possiamo affermare che la nostra misura ha indotto una transizione dallo stato u allo stato v. La relazione (2) indica una semplicissima procedura per determinare la probabilità di tale transizione: è infatti sufficente calcolare il quadrato del prodotto scalare tra i vettori che descrivono il fotone prima e dopo la misura. Come per ogni vettore in uno spazio bidimensionale, lo stato u può essere scritto come combinazione lineare di due vettori mutuamente ortogonali, che possiamo indicare con i simboli H e V: u= dove le componenti 1 and 2 1H + 2 V, (3,a) sono generalmente indicate con il termine di "ampiezze". Ovviamente esse devono obbedire alla seguente condizione di normalizzazione: 1 2 + 2 2 = 1. (3,b) Poichè H e V sono vettori unitari, anch'essi rappresentano due possibili stati di un fotone linearmente polarizzato. La precedente relazione vettoriale può pertanto essere considerata come la realizzazione quantitativa del principio di sovrapposizione per gli stati di polarizzazione: la combinazione lineare di due stati fisici è ancora uno stato fisico ammissibile. Prima di discutere il profondo significato fisico della (3,a) è bene osservare che 1 = H.u e 2 = V.u . Dall'equazione (2), 2 2 concludiamo quindi che 1 e 2 indicano la probabilità con cui un fotone dell'ensemble U verrebbe rivelato dall'apparato D, nel caso in cui il secondo polaroid fosse orientato lungo la direzione H o V rispettivamente. Con un modesto abuso di linguaggio, possiamo dire che 12 è la probabilità di trovare un fotone nello stato H, mentre 2 2 fornisce la probabilità di trovare il fotone nello stato V. Ovviamente, tale affermazione ha un senso preciso solo quando il secondo polaroid è opportunamente orientato , altrimenti la transizione agli stati H e V non potrebbe neppure avere luogo. Formalmente, l'eq. (3) è stato ottenuta in modo quasi banale. Tuttavia il suo significato fisico non è affatto ovvio. Per apprezzare le novità concettuali coinvoltre nell'eq. (3) ci sembra opportuno procedere nel modo seguente. Secondo le usuali concezioni classiche della realtà fisica, è sempre legittimo ritenere che l'ensemble U ossa essere ripartito in due sottoinsiemi disgiunti caratterizzati da propretà fisiche complementari. In particolare, potremmo pensare che una frazione di fotoni sia caratterizzata dalla proprietà "H" di attraversare un polaroid orientato orizzontalmente, mentre i rimanenti possiedano la proprietà complementare "V" di attraversare indisturbati un polaroid orientato verticalmente. In questo schema di riferimento "classico", 12 rappresenta la probabilità P(H) con cui un fotone, scelto a caso dall'ensemble U, possiede la proprietà "H"; analogamente, 22 dovrebbe sempre indicare la probabilità P(V) che un fotone, scelto casualmente all'interno di possieda U, la proprietà fisica "V". Ora, combinando insieme l'eq. (3) e l'eq. (2), otteniamo la seguente espressione per la probabilità P(D) con cui il detector D viene fatto scattare: P(D) 2 P(u,v) = (u v) = 2 1H v+ 2 2V v = 2 = P(H) (H v) + P(V) (V v) + 2 1 2(H v)(V v). (4) Secondo la nostra discussione generale, lo stato H descrive il comportamento statistico dei fotoni caratterizzati dalla proprietà "H". Pertanto, il quadrato del prodotto scalare H.v fornisce la probabilità P(D|H) di far scattare il detector D, nel caso in cui il fotone possieda la proprietà "H". Analogamente, il quadrato del prodotto scalare V.v rappresenta la probabilità P(D|V) di far scattare il detector D nel caso in cui il fotone abbia la proprietà "V". Di conseguenza, l'equazione (4) può essere scritte nella forma: P(D) = P(H)P(D|H)+P(V)P(D|V) + 2 1 2(H v)(V v) (5) Nel membro destro di questa espressione, la somma dei primi due termini non è altro che la consueta formula per la probabilità condizionata. La presenza di un terzo addendo, generalmente indicato con il termine "interferenza quantistica", è in stridente contrasto con il nostro intuito classico: se le ampiezze sono diverse da zero, allora non è ammissibile pensare che l'ensemble U possa essere ripartito in due sottoininsiemi, uno caratterizzato dalla proprietà H, l'altro caratterizzato da quella complementare V. In un certo senso, il simbolo "+" che compare nella (3,a) non è equivalente alla combinazione di connettivi "O......oppure....."; chiaramente si tratta di una conseguenza del principio di sovrapposizione, priva di analogie od interpretazioni classiche. Cerchiamo ora di raffinare ulteriormente il nostro formalismo. Per gli sviluppi successivi, è utile applicare la decomposizione (3) anche al vettore v che, come abbiamo detto, rappresenta lo stato di un fotone rivelato dopo il secondo polaroid. v = '1 H + '2 V (6) La probabilità P(u,v) può allora essere scritta come P(u,v) = (v.u )2 = ( 1 '1 + 2 '2)2 (7) Questo risultato, apparentemente banale, mostra come sia possibile passare da una descrizione vettoriale degli stati ad una loro rappresentazione in termini di ampiezze: ogni stato fisico viene individuato da una coppia di ampiezze e la conoscenza delle stesse è sufficiente per determinare tutte le probabilità di transizione pertinenti al nostro sistema. Quanto abbiamo ottenuto può essere esteso a sistemi più complessi in un modo piuttosto naturale. A questo scopo, suggeriamo di introdurre il concetto di ortogonalità tra stati fisici. Innanzitutto, dobbiamo tener presente che gli stati quanto-meccanici vengono definiti, almeno in linea di principio, dalle proprietà che possono essere attribuite con certezza ad un sistema fisico [6]. Ha quindi senso dare la seguente definizione: due stati si diranno ortogonali quando le proprietà fisiche che li caratterizzano sono mutuamente esclusive. Gli stati di polarizzazione H e V sono un esempio di stati fisicamente ortogonali: se un fotone ha sicuramente la proprietà di superare un test effettuato con un polaroid orientato orizzontalmente, allora possiamo certamente escludere che esso possa attraversare un polaroid con direzione permessa verticale. Dalla nostra definizione, segue che ogni processo di misura può essere riguardato come una "fabbrica" di stati ortogonali. Per comprendere questo punto cruciale, supponiamo di voler misurare la quantità di moto di una particella puntiforme. Se una misura di tale osservabile fornisce il valore p, allora diamo per scontanto che lo stesso valore verrebbe fornito da una seconda misura, realizzata immediatamente dopo la prima. Se così non fosse, il concetto stesso di misura sarebbe privo di significato. Questo significa che lo stato caratterizzato dal valore p dell'impulso è ortogonale a tutti gli stati con p'≠ p. Lo stesso ragionamento può ovviamente essere ripetuto per qualunque grandezza fisica. Una immediata conseguenza di quanto si é detto è che un sistema fisico complesso ammette più di due stati mutuamente ortogonali. Ad esempio la particella puntiforme considerata in precedenza può trovarsi in un numero infinito di stati ortogonali distinti, uno per ogni possibile valore della quantità di moto. Il formalismo generale della meccanica quantistica può essere derivato combinando insieme il concetto di ampiezza e la definizione di ortogonalità tra stati fisici. Discutendo la polarizzazione del fotone, abbiamo infatti mostrato come la sovrapposizione di due stati fisici ortogonali possa essere rappresentata da una coppia di ampiezze ( 1 , 2). Ora, se abbiamo a disposizione più di due stati ortogonali, non è stupefacente che loro sovrapposizione possa essere rappresentata da tante ampiezze quanti sono gli stati che stiamo combinando insieme: ( 1 , 2, ..., i,....). Il significato fisico di ciascuna ampiezza è assolutamente analogo a quello discusso nel caso dei fotoni polarizzati linearmente. In particolare, i2 è la probabilità con cui una opportuna misura induce una transizione all'i-mo stato della sovrapposizione rappresentata dalle n ampiezze ( 1 , 2, ..., i,....). Più in generale, è naturale attendersi che la probabilità di transizione da una sovrapposizione ( 1 , 2, ..., i,....) ad una seconda sovrapposizione ( '1 , '2, ..., 'i,....) si ottenga ancora dall'equazione (7), con la sola differenza che l'indice delle ampiezze deve assumere tutti i valori da i=1 a i=N, essendo N il numero di stati che stiamo sovrapponendo. Ovviamente, tutte queste considerazioni dovrebbero essere illustrate da numerosi esempi ed esercizi. A tale proposito, lo studio di un reticolo di diffrazione potrebbe essere utilizzato per mostrare come sia effettivamente necessario considerare la sovrapposizione di un numero arbitrario di stati ortogonali. Questi possibili sviluppi cosituiranno tuttavia il contenuto di note e/o pubblicazioni successive. Per il momento, ci sembra sufficente aver chiarito come il principio di sovrapposizione conduca alla descrizione dei sistemi fisici in termini di vettori ( nple di ampiezze) e di "prodotti scalari" tra i medesimi. III. Osservabili fisiche ed operatori lineari. Nel formalismo convenzionale della meccanica quantistica ogni osservabile fisica è associata ad un operatore lineare. Lo scopo di questa sezione è stabilire, nel modo più trasparente possibile, la natura e la ragione di tale fondamentale connessione. Ovviamente è innanzitutto necessario acquisire una sufficiente familiarità con il concetto stesso di operatore. A nostro avviso, è meglio evitare una trattazione formale e rigorosa di un argomento così astratto. Proponiamo invece di introdurre il concetto di operatore con una specie di "gioco" , il cui primo passo consiste nello scrivere alla lavagna un oggetto del tipo a b. , cioè una sequenza ordinata di due vettori seguita dal simbolo di prodotto scalare. Le proprietà ed il significato di questo oggetto misterioso possono essere comprese facilmente scrivendo il simbolo a b. a sinistra di un arbitrario vettore c. Il risultato dell'operazione è a b.c. Poichè b.c non è altro che un numero, otteniamo un nuovo vettore proporzionale ad a. In un certo senso, ab. si "nutre" di vettori e ne produce di nuovi, tutti proporzionali ad a: (8) Dopo aver fatto un po' di esperienza con "operatori" di questo tipo, saremo in grado di introdurre anche le loro combinazioni lineari. In particolare si consideri l'operatore O definito come segue : O 1 aa + 2 bb (9) dove a e b sono due versori ortogonali: a a = b b =1, a b=0. (10) Ancora una volta, l'azione di questo operatore può essere compresa scrivendo la sua espressione (9) alla sinestra di un arbitrario vettore c: Oc 1 aa + 2 bb c= 1 (a c) a + 2 (b c) b (11) L'interpretazione geometrica di questo risultato è evidente. Innanzitutto l'operatore proietta il vettore iniziale lungo le direzioni ortogonali a e b; tali proiezioni sono quindi moltiplicate per le costanti 1 e 2; infine , le nuove proiezioni vengono sommate per produrre il vettore finale. Per i nostri scopi successivi è particolarmente istruttivo applicare l'operatore O ai versori a e b. Per quanto riguarda il vettore a , otteniamo Oa 1 aa a + 2 bb a= 1 a Il risultato non è altro che il vettore a moltiplicato per la costante (12) 1: in definitiva il vettore a obbedisce ad una semplice legge di trasformazione a 1a (13,a) Tutto questo viene usualmente espresso dicendo che a è un autovettore dell'operatore O con autovalore 1. Nello stesso modo otteniamo che b un altro autovettore avente lo scalare 2 come autovalore associato: Ob = 2 b (13,b) Una volta presentata l'idea di operatore lineare è necessario stabilirne la connessione con le osservabili fisiche. Nel contesto che stiamo trattando, le uniche osservabili fisiche di rilievo sono rappresentate dalle direzioni della polarizzazione del fotone. In altri termini, possiamo solo controllare se un fotone è polarizzato lungo una certa direzione v oppure no. Un opportuno apparato di misura è illustrato in figura (2); esso è composto da un cristallo birifrangente seguito da due rivelatori di fotoni, uno per ogni fascio secondario. L'apparato è quindi completato da un indice con due "posizioni" 1 e 2 . L'indice si porta sulla posizione 1 ( 2 ) quando un fotone viene segnalato dal rivelatore D1 (D2). Il risultato della nostra misura è quindi una variabile aleatoria, diciamo , che può assumere soltanto due valori, 1 e 2. D1 D2 Fig. 2 Usualmente, quando si lavora con variabili aleatorie, è importante conoscerne il valore di aspettazione. Il formalismo sviluppato nella precedente sezione ci consente di calcolare il valor medio di senza alcuna difficoltà. Le probabilità degli esiti 1 e . . 2 sono infatti date dai quadrati dei prodotti scalari u v1 e u v2, essendo u il versore che rappresenta lo stato dei fotoni inviati verso il cristallo birifrangente: 2 2 P( = 1) = u v1 , P( = 2) = u v2 . Il valor medio di (14) è quindi = 2 1 u v1 + 2 u v2 2 (15) Con semplici passaggi algebrici possiamo ridurre la precedente espressione alla forma: = u 1(v1 u)v1+ 2 (v2 u)v2 (16) Sfruttando le nostre precedenti considerazioni, ci rendiamo conto che il vettore in parentesi quadra può essere ottenuto applicando l'operatore O = 1v1 v1 + 2 v2v2 (17) allo stato u che descrive i fotoni interagenti con il nostro apparato di misura. Di coseguenza, il valore di aspettazione di può essere scritto nella forma particolarmente semplice : =u O u (18) A questo punto, dovrebbe essere chiaro che l'operatore O fornisce una descrizione compatta e completa dell'apparato di misura illustrato in figura (2). In particolare, i possibili esiti di una misura coincidono con gli autovalori dell'operatore, mentre i suoi autovettori sono i possibili stati in cui possiamo trovare il fotone dopo la misura. Ancora un volta, è fondamentale comprendere che i nostri risultati non sono affatto ristretti al caso banale dei fotoni polarizzati linearmente. Per comprendere ciò, torniamo all'equazione (15); come per ogni variabile aleatoria, il valor medio di è dato da una sommatoria di termini in cui si evidenziano due fattori significativi; il primo è uno dei possibili valori assunti dall'osservabile , il secondo è la probabilità del corrispondente evento. Osserviamo che ciascun termine può essere ottenuto attraverso l'applicazione successiva di due semplici operazioni: i) il vettore iniziale u viene trasformato in i(vi.u)vi. ii) il risultato della precedente operazione viene moltiplicato scalarmente con il vettore di stato iniziale u. La prima operazione, che muta un vettore in un nuovo vettore, viene evidentemente realizzata da un operatore. La seconda operazione fornisce un ulteriore fattore (vi.u) , producendo così il corretto contributo al valor medio < >. La definizione delle operazioni i) e ii) non richiede alcuna ipotesi circa la dimensione dei vettori vi o u. Effettivamente, l'unica cosa di cui abbiamo bisogno è di esprimere le probabilità di transizione nella forma di un prodotto scalare. Le precedenti considerazioni possono pertanto essere ripetute per un sistema fisico generico, dove gli stati vengano rappresentati da vettori n-dimensionali. In questo caso, l'operatore lineare associato ad una generica osservabile fisica assume una forma assolutamente analoga a quella riportata nell'eq. (17) O = • i i vi vi (19) dove la sommatoria è ora estesa a tutti gli stati ortogonali in cui possiamo trovare il sistema fisico dopo il processo di misura. La nostra discussione sugli operatori lineari richiede ulteriori precisazioni. In particolare, non è ancora chiaro come sia possibile, in generale, determinare i possibili valori di una osservabile fisica; inoltre, se non esiste una ben definita prescrizione per calcolare tali valori, come è possibile definire (e quindi usare) gli operatori associati ad una osservabile fisica? In definitiva, perchè gli operatori lineari sono ritenuti un ingrediente essenziale del formalismo quanto-meccanico? Per rispondere a queste domande, dobbiamo tener presente l'equazione (18), che stabilisce una semplice relazione tra il valor medio di una osservabile fisica ed il corrispondente operatore. Inoltre, dobbiamo ricordare che i valori medi delle osservabile fisiche obbediscono alle leggi della fisica classica (almeno in alcune opportune situazioni limite). Tale richiesta, insieme all'equazione (18), permette di "tradurre" le leggi della fisica classica in ben precise relazioni tra gli operatori associati alle osservabili di un sistema fisico. Usualmente, queste relazioni sono sufficienti per caratterizzare gli operatori e determinarne autovalori ed autovettori. In estrema sintesi, il ruolo fondamentale degli operatori lineari è intimamente connesso al fatto che essi rappresentano lo strumento più efficace per "quantizzare" un sistema fisico, cioè per ottenerne la descrizione quantistica partendo da quella classica. IV. Conclusioni In questo articolo abbiamo delineato una possibile strategia per introdurre il formalismo della meccanica quantistica senza richiedere conoscenze matematiche o fisiche di alto livello. Il percorso logico che suggeriamo può essere così riassunto. In primo luogo, è necessario presentare l'idea qualitativa del principio di sovrapposizione. A nostro avviso, ciò dovrebbe essere fatto seguendo le linee guida descritte nel lavoro [3], dove le novità concettuali della meccanica quantistica vengono illustrate discutendo alcune semplici esperienze con fotoni polarizzati linearmente ed interagenti con uno o più cristalli birifrangenti. Già a questo stadio, è possibile introdurre alcuni concetti fondamentali che vanno ben oltre il sistema a due stati considerato in [3]: i) Lo stato di un sistema fisico è definito dalle proprietà fisiche che possono essere attrribuite con certezza al sistema stesso. ii) Due stati sono "fisicamente ortogonali" quando le proprietà fisiche che li definiscono sono mutuamente esclusive. iii) Se un sistema fisico viene sottoposto ad un processo di misura, i possibili stati in cui possiamo trovare il sistema dopo la misura sono mutuamente ortogonali; come abbiamo discusso nella sezione II, il punto iii) è una conseguenza dei due enunciati precedenti . Una volta chiarite queste idee, è possibile analizzare quantitativamente il comportamento dei fotoni polarizzati linearmente e le proprietà selettive dei filtri polaroid. La fenomenologia è così semplice che risulta immediato mostrare come lo stato di un fotone polarizzato linearmente possa essere descritto da un vettore appartenente ad uno spazio vettoriale astratto. Tale idea fondamentale emerge in modo molto naturale, non appena si assuma che la fisica classica descriva correttamente il comportamento medio di un grande numero di fotoni. Utilizzando la stessa ipotesi, è inoltre possibile stabilire il legame tra il prodotto scalare di due vettori e la probabilità di transizione tra i corrispondenti stati fisici. Ovviamente, il vero problema che dobbiamo affrontare consiste nell'estendere questi risultati ad un sistema fisico generico. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, riteniamo che la strategia più efficace sia quella di introdurre la rappresentazione degli stati fisici in termini di ampiezze. Più precisamente, dopo aver ribadito la corrispondenza tra uno stato di polarizzazione ed un vettore bidimensionale, si farà osservare che quest'ultimo può essre scritto come combinazione lineare di due versori mutuamente ortogonali che, a norma della definizione ii), rappresentano stati ortogonali anche in senso fisico; i coefficienti di tale combinazione, detti appunto ampiezze, possono essere riuniti in un "array" ( 1, 2) che fornisce una descrizione alternativa per lo stato di polarizzazione lineare di un fotone. A questo punto, il formalismo generale della meccanica quantistica può essere derivato combinando insieme il concetto di ampiezza e la definizione di stati "fisicamente ortogonali": se la sovrapposizione tra due stati ortogonali è rappresentata da una coppia di ampiezza, è infatti legittimo ammettere che la sovrapposizione tra n stati ortogonali venga rappresentata da una n-pla di ampiezze. Il significato fisico di tali "array", il ruolo dei loro prodotti scalari e l'interpretazione di ciascuna ampiezza sono assolutamente analoghi a quelli discussi per il semplice caso dei fotoni linearmente polarizzati. In un certo senso, potremmo dire che la generalizzazione del formalismo quantomeccanico si riduce ad una mera "questione di indici". Le formule valide per i fotoni polarizzati continuano infatti ad essere valide, a patto che gli indici delle ampiezze non assumano solo due valori (i=1,2) ma tanti valori quanti sono gli stati ortogonali ammissibili. Fortunatamente, la stessa prescrizione può essere utilizzata per comprendere la connessione tra le osservabili fisiche e gli operatori lineari. Generamente, questa connessione viene vista come uno dei concetti più complessi della Meccanica Quantistica. La realtà è ben diversa: come abbiamo discusso nella nella sezione III, il ruolo degli operatori lineari emerge infatti in modo piuttosto naturale, non appena ci si ponga il problema di calcolare il valore aspettazione di una osservabile fisica. E' bene sottolineare che la nostra derivazione non dipende dai dettagli del sistema fisico; pertanto, le considerazioni esposte al termine della sezione III sono sufficienti a fissare la forma generale degli operatori lineari associati alle osservabili fisiche. Ovviamente, è superfluo sottolineare che quanto esposto nel presente articolo richiede una considerevole mole di lavoro supplementare. Come abbiamo anticipato nella prima sezione, lo studio di un reticolo di diffrazione ci appare come lo strumento didattico ideale per riconciliare la nostra proposta didattica con fenomenologia che viene tradizionalmente esposta nelle introduzioni elementari alla meccanica quantistica. Attualmente, la nostra attività di ricerca si occupa appunto di questo aspetto del problema. [1] A. Messiah, Quantum Mechanics , Amsterdam, North-Holland, 1961. [2] P. A. M. Dirac, The Principles of Quantum Mechanics,, 4th edition, Oxford, Clarendon Press, 1958. [3] G. C. Ghirardi, R. Grassi and M. Michelini, in Thinking Physics for Teaching, Edited by Carlo Bernardini et al. Plenum Press, New York, 1995. [4] G. Baym, Lectures on quantum mechanics,, New York, W. A. Benjamin, 1969. J.-M. Levy Leblond, F. Balibar, Quantics: rudiments of quantum theory, 1990 (Amsterdam: North-Holland). [5] J. J. Sakurai, Modern Quantum Mechanics,, Menlo Park, California, Benjamin/Cummings, 1985. [6] B. d'Espagnat, Conceptual foudation of Quantum Mechanics,, 2nd ed., chap. 10, Menlo Park, California, Benjamin1976.