Rivascolarizzazione del miocardio ibernato

RASSEGNA
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Enrico Ammirati1,2,3, Valentina Guida1, Ornella E. Rimoldi4, Paolo G. Camici1
1
Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Università Vita-Salute e Istituto Scientifico IRCCS San Raffaele, Milano
2
Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare “A. De Gasperis”, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano
3
Fondazione per il Tuo cuore, Firenze
4
CNR, Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare (IBFM), Milano
The mid- and long-term outcome of revascularization procedures is still uncertain in patients with chronic left
ventricular systolic dysfunction due to coronary artery disease. The identification of dysfunctional myocardial
segments with residual viability that can improve after revascularization is pivotal for further patient management. Hibernating myocardium (chronically dysfunctional but still viable tissue) can be identified by positron
emission tomography and cardiac magnetic resonance and its presence and extent can predict functional recovery after revascularization.
Before beta-blockers were introduced as routine care for heart failure, surgical revascularization appeared to
improve survival in these patients. Nowadays, novel medical treatments and devices such as cardiac resynchronization therapy and implantable cardioverter-defibrillators have improved prognosis of these patients
and their use is supported by a number of clinical trials. A recently concluded randomized trial, the STICH
(Surgical Treatment for Ischemic Heart Failure) trial, has assessed the prognostic benefit derived from revascularization added to optimal medical therapy in patients with ischemic left ventricular dysfunction.
This is an overview of the pathophysiological mechanisms as well as the main clinical studies and meta-analyses that have addressed this issue in the past four decades. Furthermore, a brief proposal for a randomized
trial to assess effect on prognosis of revascularization of hibernating myocardium will be presented.
Key words. Coronary artery disease; Hibernating myocardium; Myocardial revascularization; Tissue viability.
G Ital Cardiol 2011;12(5):319-326
MECCANISMI FISIOPATOLOGICI DEL MIOCARDIO
IBERNATO NEI PAZIENTI CON MALATTIA CORONARICA
Nei primi anni ’70, due studi hanno dimostrato che nei pazienti con malattia coronarica (CAD) le anomalie di contrattilità delle pareti miocardiche non sono attribuibili solo alla presenza di cicatrice. Infatti, la contrattilità poteva migliorare dopo la somministrazione di agenti inotropi e questo miglioramento correlava con quello osservato dopo bypass aortocoronarico (CABG)1-3.
Negli anni ’90, almeno due diversi meccanismi sono stati
ipotizzati essere alla base della disfunzione sistolica del ventricolo sinistro nei pazienti con CAD:
a) la perdita irreversibile di funzione contrattile per morte delle cellule cardiache e formazione di cicatrice fibrosa a seguito di infarto miocardico (IM)4,
b) un miocardio cronicamente disfunzionante ma vitale con
una preservata integrità di membrana miocitaria che può
© 2011 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 16.05.2011; nuova stesura 09.06.2011; accettato 13.06.2011.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Prof. Paolo G. Camici Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare,
Università Vita-Salute e Istituto Scientifico IRCCS San Raffaele,
Via Olgettina 60, 20132 Milano
e-mail: [email protected]
recuperare funzionalità dopo la rivascolarizzazione4. Quest’ultimo è anche conosciuto come “miocardio ibernato”3,5,6, una condizione che oggi si ritiene sia la conseguenza di ripetuti episodi di ischemia in aree di miocardio
irrorato da coronarie stenotiche, seguiti da stunning (disfunzione contrattile transitoria) 4-8.
Valutare la vitalità miocardica permette di individuare aree
di ibernazione nei pazienti con CAD e miocardio cronicamente disfunzionale identificando così quei pazienti che potrebbero beneficiare in termini di recupero di funzione contrattile del
ventricolo sinistro dalla rivascolarizzazione coronarica (Figura
1)9-11. Rimane però da chiarire se l’identificazione del miocardio
ibernato e la sua successiva rivascolarizzazione si traducano in
un beneficio prognostico in termini di riduzione della mortalità/morbilità10. Va sottolineato che la vitalità totale comprende
sia il miocardio normofunzionante che quello ibernato.
RISULTATI CLINICI DELLA RIVASCOLARIZZAZIONE
CORONARICA
Nonostante la rivascolarizzazione coronarica sia eseguita frequentemente, il suo ruolo nei pazienti con disfunzione del ventricolo sinistro moderata-severa che non hanno angina rimane
incerta11,12. Le recenti linee guida europee sullo scompenso cardiaco non raccomandano chiaramente la rivascolarizzazione coG ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011
1
E AMMIRATI ET AL
CHIAVE DI LETTURA
Ragionevoli certezze. -JEFOUJGJDB[JPOFEJ
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Questioni aperte. /POPTUBOUFTJBTUBUP
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me specifico intervento nei pazienti con disfunzione ischemica
cronica del ventricolo sinistro, a meno che non soffrano di angina, per l’incertezza clinica di bilanciare i benefici della rivascolarizzazione con gli aumentati rischi periprocedurali13. Questo è
2
G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011
dovuto alla mancanza, al momento della stesura delle linee guida, di specifici studi randomizzati che comparino la più recente
terapia medica ottimale (TMO) includendo la terapia di resincronizzazione cardiaca e i defibrillatori impiantabili (ICD) con la
TMO associata alla rivascolarizzazione sia mediante CABG che
con angioplastica coronarica percutanea (PCI)13. Inoltre, non infrequentemente nella pratica clinica, l’estensione della vitalità e
del miocardio ibernato non è valutata prima della rivascolarizzazione. Anche nello studio STICH (Surgical Treatment for Ischemic Heart Failure) la vitalità non è stata misurata in tutti i pazienti reclutati né è stata utilizzata per guidare la terapia14-16.
Al fine di trarre alcune inferenze relative al possibile impatto prognostico della rivascolarizzazione coronarica nei pazienti con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, analizzeremo
i risultati della rivascolarizzazione emersi dai principali trial che
hanno arruolato pazienti con frazione di eiezione ventricolare
sinistra (FEVS) conservata.
Gli studi randomizzati nei pazienti con frazione
di eiezione ventricolare sinistra conservata
(rivascolarizzazione vs terapia medica ottimale)
Una serie di trial randomizzati hanno valutato il valore prognostico della rivascolarizzazione sia con CABG che con PCI rispetto alla TMO in un ampio numero di pazienti (>8400 pazienti) con
malattia ischemica cardiaca e FEVS conservata (Tabella 1)14,17-30.
Il recente trial COURAGE (Clinical Outcomes Utilizing Revascularization and Aggressive Drug Evaluation)20 ha arruolato
2287 pazienti randomizzati a TMO con o senza PCI e non ha rilevato differenze tra i trattamenti relativamente all’endpoint
principale di morte o IM non fatale a 4.6 anni di follow-up
(p=0.62). Questo studio includeva un sottostudio nucleare su
314 pazienti, dove veniva usata la scintigrafia miocardica
(SPECT) per misurare il carico ischemico prima e a 18 mesi dal
trattamento21. Il risultato principale di questo sottostudio prospettico è stato che i pazienti con riduzione significativa dell’area
ischemica misurata alla SPECT (>10%) al follow-up a 18 mesi,
avevano un rischio ridotto per morte o IM, non corretto per i
fattori confondenti. Tale osservazione era più evidente se l’estensione dell’ischemia pre-trattamento era moderata-severa.
A conferma di questo dato, lo SWISSI II (Swiss Interventional Study on Silent Ischemia Type II) ha mostrato che in pazienti
con un recente IM, la PCI ha ridotto il rischio a lungo termine
(10 anni) di eventi cardiaci maggiori (composito di morte cardiaca, IM non fatale o rivascolarizzazione guidata dai sintomi)
rispetto alla TMO in pazienti con ischemia silente dimostrata
mediante eco-stress o SPECT18. Inoltre la FEVS era conservata
nei pazienti trattati con PCI (54 vs 57%) mentre si era ridotta
significativamente nei pazienti trattati con sola TMO (dal 60%
al 49%, p<0.001)18.
Da queste considerazioni possiamo dedurre che trattare
mediante rivascolarizzazione aree ischemiche sufficientemente
ampie possa comportare un successivo beneficio prognostico.
La sola informazione anatomica della presenza di stenosi coronarica, invece, potrebbe non essere sufficiente per identificare
i pazienti che possono ricevere il maggior benefico dalla rivascolarizzazione.
Poiché episodi ripetuti di ischemia in aree sufficientemente
estese di miocardio contribuiscono alla disfunzione cronica del
miocardio ibernato (vedi paragrafo sui meccanismi fisiopatologici)3, possiamo ipotizzare che il beneficio osservato in questo
sottostudio del COURAGE possa in parte essere derivato dalla
prevenzione della formazione di miocardio ibernato.
RIVASCOLARIZZAZIONE DEL MIOCARDIO IBERNATO
1
2
6
Aterosclerosi coronarica/
stenosi limitante il flusso
Sei mesi post-CABG
Recupero della contrattilità
e dell’ispessimento
parietale con
rimodellamento inverso
Ischemia ripetuta
e stunning
Stunning cronico/ibernazione
Evidenza di
vitalità con
PET
3
4
Rivascolarizzazione
con CABG
64
63
68
62
5
65
61
Figura 1. Meccanismi fisiopatologici della disfunzione cronica reversibile del ventricolo
sinistro dovuta a malattia coronarica. L’angiografia, la risonanza magnetica cardiaca e la
tomografia ad emissione di positroni (PET) di un paziente con cardiopatia ischemica ed evidenza di miocardio ibernato (a sinistra, 1-4) i cui sintomi di scompenso cardiaco e la cui
funzione ventricolare sinistra migliorano significativamente dopo rivascolarizzazione con
bypass aortocoronarico (CABG) come dimostrato dalla risonanza magnetica cardiaca (a
destra, 5-6). I numeri nell’immagine PET al centro dimostrano la conservata captazione
di 18fluorodeossiglucosio in tutti i segmenti.
Adattata da Ammirati et al.11 .
Tabella 1. Risultati degli endpoint primari/secondari e analisi post-hoc derivate da trial randomizzati prospettici per determinare l’impatto della rivascolarizzazione sull’outcome clinico.
Studio
Periodo
N.
Tipo di analisi
pazienti
Con FEVS conservata
CASS17
SWISSI II18
1975-1979
1991-1997
780
201
MASS II19
COURAGE20
COURAGE sottostudio21
OAT22
OAT sottostudio23
BARI 2D24
BARI 2D sottostudio25
1995-2000
1999-2004
1999-2004
2000-2005
2000-2005
2001-2005
2001-2005
Con FEVS ridotta
CASS sottostudio26
PARR-227
PARR-2 sottostudio28
OAT sottostudio29
STICH14
1975-1979
2000-2004
2000-2004
2000-2005
2002-2007
Outcome
CABG o PCI
meglio
della TMO
Valutazione Follow-up
ischemia o
(anni)
vitalità
CABGb
PCIa
No
Ischemia
10
10
611
2287
314
2185
598
2368
2368
Morte+IM
Morte+IM+
rivascolarizzazione
Endpoint principale Morte cardiaca
Endpoint principale Morte+IM+ictus
Post-hoc
Morte+IM
Endpoint principale Morte+IM+NYHA IV
Post-hoc
Morte+IM+NYHA IV
Endpoint principale Morte+IM+ictus
Endpoint secondario Morte+IM
CABGa
PCIb
PCIa
PCIb
PCIb
CABG/PCIb
CABGa
No
No
Ischemia
No
Ischemia
No
No
10
5
5
5
5
5
5
160
428
182
743
1212
Post-hoc
Endpoint principale
Post-hoc
Post-hoc
Endpoint principale
CABGa
CABG/PCIb
CABG/PCIa
PCIb
CABGb
No
Vitalità
Vitalità
No
Vitalità
(non in tutti)
10
1
1
5
5
Endpoint principale
Endpoint principale
Morte
Morte+IM+ricovero per SC
Morte+IM+ricovero per SC
Morte+IM+NYHA IV
Morte
Endpoint secondario Morte+ricovero per SC
CABGa
5
CABG, bypass aortocoronarico; FEVS, frazione di eiezione ventricolare sinistra; IM, infarto miocardico; NYHA, New York Heart Association; PCI,
rivascolarizzazione coronarica percutanea; SC, scompenso cardiaco; TMO, terapia medica ottimale.
a
superiorità della rivascolarizzazione (CABG e/o PCI) rispetto alla TMO; bmancata superiorità della rivascolarizzazione (CABG e/o PCI) rispetto alla
TMO.
G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011
3
E AMMIRATI ET AL
Al contrario, nell’OAT (Occluded Artery Trial)22,31 si è osservata una sostanziale equivalenza tra la TMO moderna e la rivascolarizzazione. Lo studio OAT, condotto su 2185 pazienti,
ha mostrato che la PCI di un’arteria occlusa per un IM, avvenuto da 3 a 28 giorni, non portava ad un beneficio prognostico rispetto alla sola terapia medica. I seguenti criteri di esclusione nello studio OAT meritano di essere menzionati: 1) difetti di perfusione reversibili in territori multipli; 2) angina a riposo o a bassa soglia dopo l’IM; 3) malattia trivasale con stenosi
*70%.
In un sottogruppo del trial OAT condotto su 598 pazienti,
sottoposti a stress test con SPECT o ad ecocardiografia da
stress con dobutamina, l’ischemia inducibile medio-moderata
non risultava correlata all’outcome in pazienti trattati con TMO
o PCI e il mancato beneficio della PCI rispetto alla TMO da sola si è osservato indipendentemente dalla presenza di ischemia inducibile23. Questi risultati potrebbero essere spiegati come segue:
1) la quota di ischemia, identificata mediante esami di imaging, nel sottostudio OAT era troppo piccola (nel sottostudio COURAGE la minima estensione di ischemia per osservare un beneficio clinico era del 10% del ventricolo sinistro);
2) l’ischemia da sola non è un determinante di prognosi sufficientemente potente in confronto all’ibernazione quando
trattata con rivascolarizzazione.
Gli studi randomizzati nei pazienti con frazione
di eiezione ventricolare sinistra conservata
(rivascolarizzazione mediante bypass aortocoronarico
vs angioplastica coronarica percutanea)
Lo studio randomizzato SYNTAX32 ha mostrato come a 1 anno
di follow-up i pazienti con FEVS conservata e malattia trivasale
hanno simile probabilità di morte o IM sia che vengano trattati medianti CABG che mediante PCI. Questo ha delle potenziali
implicazioni nella gestione di pazienti con disfunzione sistolica
del ventricolo sinistro con CAD, specie se in presenza di comorbilità, poiché permette di rivascolarizzare riducendo il rischio della procedura (ad es. nello studio SYNTAX l’incidenza di
ictus era significativamente ridotta nel braccio trattato con PCI
vs CABG: 0.6 vs 2.2%; p=0.003). Rimane però da valutare l’efficacia nel medio-lungo termine.
Lo studio BARI 2D (Bypass Angioplasty Revascularization Investigation 2 Diabetes)24 ha fornito ulteriori informazioni relativamente alla popolazione dei soli pazienti diabetici. I 2368 pazienti con cardiopatia ischemica stabile, con storia di diabete
mellito da 10 anni e sintomi anginosi in circa l’82% hanno mostrato un tasso di mortalità per ogni causa a 5 anni simile sia nel
gruppo in terapia medica che in quello con rivascolarizzazione
mediante PCI o CABG. Solo l’analisi di endpoint secondari (il
composito di morte cardiaca e IM) ha rivelato un beneficio del
CABG in pazienti con CAD più estesa rispetto alla terapia medica o alla PCI, ma non ci sono state differenze tra il trattamento con PCI e il trattamento medico25.
Da questo studio possiamo dedurre che l’ottenimento di
una rivascolarizzazione completa può influenzare la prognosi e
che, in pazienti con un’anatomia complessa, come ad esempio
i diabetici, la soluzione preferibile possa essere quella chirurgica. Tale considerazione è da tenere a mente per i pazienti con
disfunzione sistolica del ventricolo sinistro che spesso presentano malattia trivasale27.
4
G ITAL CARDIOL | VOL 12 | MAGGIO 2011
RISULTATI CLINICI DELLA RIVASCOLARIZZAZIONE
NEI PAZIENTI CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE
SINISTRA CRONICA
Metanalisi
Nel 2002 Allman et al.33 hanno pubblicato una metanalisi su
24 studi retrospettivi pubblicati prima del 1999. LA metanalisi
ha valutato un totale di 3088 pazienti con FEVS di 32 ± 8%
che sono stati sottoposti a valutazione della vitalità come parte del work-up prima della rivascolarizzazione e sono stati seguiti per 25 ± 10 mesi. Nei pazienti con miocardio vitale, la rivascolarizzazione è stata associata a un 79.6% di riduzione di
mortalità annuale rispetto alla terapia medica mentre la rivascolarizzazione non conferiva un vantaggio prognostico nei pazienti con minima o assente vitalità. Questa metanalisi ha dimostrato una forte associazione tra la presenza di vitalità miocardica dimostrata da test non invasivi e il miglioramento della
sopravvivenza dopo la rivascolarizzazione in pazienti con CAD
cronica e disfunzione del ventricolo sinistro. Sulla base di questa metanalisi, che però non poteva prendere in considerazione i più recenti trial su farmaci e dispositivi impiantabili risultati efficaci nei pazienti con scompenso cardiaco, le linee guida
europee del 2010 sulla rivascolarizzazione hanno classificato la
rivascolarizzazione con CABG come intervento efficace nei pazienti con CAD ed FEVS )35%, senza angina significativa e con
evidenza di miocardio vitale come classe di raccomandazione IIa
(evidenza a favore dell’utilità/efficacia della procedura) con livello di evidenza B (dato derivato in questo caso dalla metanalisi di studi non randomizzati)34. La rivascolarizzazione mediante PCI è stata invece classificata come classe IIb (l’efficacia/l’utilità è meno ben dimostrata dalle evidenze) con evidenza C (opinione di esperti o piccoli studi retrospettivi o registri)34. La metanalisi di Allman et al.33 comunque soffre di ulteriori limitazioni, che la rendono datata rispetto al contesto attuale:
1) gli studi erano retrospettivi e non randomizzati;
2) lo studio più grande comprendeva 353 pazienti e 12 studi
includevano meno di 100 pazienti ciascuno;
3) è improbabile che studi negativi di dimensioni comparabili possano essere stati pubblicati, e quindi essere stati considerati.
Nel 2008 Camici et al.4 hanno esaminato 14 studi realizzati con tecniche per valutare la vitalità in pazienti con FEVS )45%
dovuta a CAD pubblicate tra il 1998 e il 2006. Similmente ad Allman et al.33 si è riscontrata una riduzione della mortalità dal
12% al 4% nei pazienti trattati con TMO che venivano anche
sottoposti a rivascolarizzazione in presenza di vitalità4. Il tasso
di mortalità osservato nei pazienti trattati con terapia medica
appare essere simile indipendentemente dalla presenza di vitalità diversamente da quanto riportato da Allman et al. L’apparente discrepanza potrebbe essere un riflesso dell’ottimizzazione della gestione del paziente secondo le più recenti linee guida13,34-36. Prima che fossero noti i risultati dello studio STICH abbiamo rivisto in un articolo pubblicato su Circulation Journal11 le
sottoanalisi dei principali studi in cui pazienti con disfunzione
ventricolare sinistra cronica su base ischemica sono stati randomizzati a trattamento di rivascolarizzazione coronarica. I risultati vengono riportati di seguito e sono riassunti nella Tabella 1.
Altri studi osservazionali
Segnaliamo alcune sottoanalisi o studi non randomizzati che
sono di interesse per le ulteriori considerazioni che se ne possono dedurre.
RIVASCOLARIZZAZIONE DEL MIOCARDIO IBERNATO
Un’analisi retrospettiva su un sottogruppo dello studio randomizzato CASS (Coronary Artery Surgery Study)26, che ha arruolato nella seconda metà degli anni ’70 pazienti con CAD assegnati a ricevere un trattamento medico o chirurgico, ha suggerito che pazienti con una FEVS del 35-50% sottoposti ad intervento di CABG hanno una riduzione della mortalità se trattati con CABG rispetto alla terapia medica a 10 anni di followup. Le principali limitazioni di questa sottoanalisi sono che: 1)
la terapia medica non era ottimale rispetto agli standard attuali;
2) il numero totale di pazienti era di soli 160; 3) i pazienti con
sintomi di scompenso non hanno avuto un evidente beneficio
dalla rivascolarizzazione (Tabella 1).
In contrasto con questi dati sono i risultati del sottostudio dell’OAT29 focalizzato sui pazienti con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro randomizzati a PCI o TMO. Questo sottostudio dell’OAT ha confrontato 743 pazienti con FEVS )44% vs 1442 pazienti con FEVS >44% e non ha messo in luce alcuna interazione tra la FEVS di base e l’effetto del trattamento (PCI o terapia
medica) sull’outcome composito di morte, recidiva infartuale o
l’evoluzione a scompenso cardiaco avanzato di classe NYHA IV.
È possibile che nei pazienti suscettibili di rivascolarizzazione
un vantaggio maggiore potrebbe essere ottenuto solo nel caso di una rivascolarizzazione completa. A supporto di questo
dato vi è un piccolo studio prospettico sull’effetto della PCI sulla funzione miocardica, quantificata dalla risonanza magnetica
cardiaca, in pazienti con CAD multivasale. Sei mesi dopo una rivascolarizzazione completa la FEVS è migliorata significativamente da 46 ± 12% a 51 ± 13%, mentre tale vantaggio non
si osservava in caso di rivascolarizzazione incompleta37,38.
Infine, in un altro studio randomizzato, Cleland et al.39 hanno valutato gli effetti del carvedilolo sulla FEVS nei pazienti con
miocardio ibernato e hanno concluso che il carvedilolo può migliorare la funzione del miocardio ibernato o ischemico o di entrambi; infatti i pazienti con una più estesa ibernazione/ischemia hanno mostrato un miglioramento della FEVS quando trattati con carvedilolo. Questo dato è importante perché potrebbe spiegare in parte alcuni risultati dello STICH.
del 30% nel braccio PET contro il 36% del braccio standard (rischio relativo 0.82%, intervallo di confidenza al 95% 0.59-1.14;
p=0.16)27. Va sottolineato che in questo studio la maggior parte dei pazienti (>70%) sono stati sottoposti a rivascolarizzazione con CABG suggerendo che la popolazione arruolata presentava una CAD particolarmente severa ed estesa. In questa tipologia di pazienti, la decisione a favore della rivascolarizzazione
diventa ancora più critica e lo studio PET potrebbe aiutare a ottimizzare la selezione dei pazienti e a ridurre il numero di esami
coronarografici nei pazienti senza evidenza di vitalità.
È stato giustamente notato che nello studio PARR-2 vi è stato circa un 25% di mancata adesione alle indicazioni fornite
dalla PET. Un’analisi post-hoc in quei pazienti che hanno aderito alle raccomandazioni PET (braccio “ADHERE”) ha mostrato un significativo miglioramento dell’outcome principale rispetto al trattamento standard27. Ulteriori analisi post-hoc hanno rilevato che la PET con 18fluorodeossiglucosio (18FDG) è stata di maggiore beneficio in centri specializzati con pronto accesso e routinaria integrazione della 18FDG-PET40.
In una analisi post-hoc del PARR-2 che includeva 182 pazienti randomizzati al braccio PET, è stata individuata una quota minima di miocardio ibernato del 7% della massa ventricolare sinistra per osservare un beneficio sull’outcome. Aree estese di miocardio ibernato hanno condotto ad un maggior beneficio della rivascolarizzazione28. Questa soglia appare più bassa di quella stimata da precedenti studi non randomizzati (che
era circa del 25%)4. Messi insieme i risultati del trial PARR-2
supportano che l’imaging di vitalità con 18FDG-PET per misurare l’estensione del miocardio ibernato ha un’utilità clinica nell’identificare i pazienti ad alto rischio che possono beneficiare
della rivascolarizzazione ed è uno strumento prezioso nel miglioramento nell’outcome di questi pazienti solo se le raccomandazioni basate sulla 18FDG-PET rientrano in una strategia
di gestione diagnostico-terapeutica globale.
Lo studio PARR-2
Lo studio PARR-2 (PET and Recovery Following Revascularization-2)27 è il primo studio prospettico che ha valutato se la rivascolarizzazione può portare beneficio prognostico maggiore
nei pazienti con insufficienza cardiaca e se le decisioni cliniche
supportate dalla tomografia ad emissione di positroni (PET)
hanno un’influenza sull’outcome rispetto al trattamento standard. Lo studio PARR-2 è un trial multicentrico che ha randomizzato 428 pazienti con una FEVS )35% dovuta a CAD, studiati per rivascolarizzazione, insufficienza cardiaca o trapianto
cardiaco. L’estensione e la severità del mismatch di perfusione/metabolismo alla PET sono stati misurati e considerati nel
contesto di un modello precedentemente derivato per predire
il recupero del ventricolo sinistro dopo la rivascolarizzazione.
Usando i risultati di questo modello e le informazioni derivate
dalle immagini PET, il medico e il chirurgo hanno deciso se procedere con la rivascolarizzazione. Da questo tipo di misurazioni era possibile ottenere delle informazioni relative all’estensione del miocardio ibernato. Sebbene ci sia stato un trend per un
miglior outcome utilizzando la strategia PET rispetto al trattamento standard, i principali risultati sono stati inconcludenti.
Dopo 1 anno, la proporzione di pazienti che hanno avuto
uno degli eventi che componevano l’endpoint principale (morte cardiaca, IM e ospedalizzazione per causa cardiaca) è stata
Il concetto che la rivascolarizzazione con CABG può migliorare
la prognosi di pazienti con disfunzione ischemica del ventricolo
sinistro è stato testata nello studio STICH, finanziato dal National Heart, Lung and Blood Institute (Bethesda, MD, USA)14,15,41. La
prima parte dello studio che si concentra sull’efficacia della ricostruzione ventricolare chirurgica associata a CABG è stata
pubblicata in precedenza41. I pazienti sono stati reclutati e divisi in tre differenti gruppi (braccio medico, braccio di trattamento con solo CABG e braccio di trattamento con CABG associato a ricostruzione ventricolare). È opportuno considerare che
l’assegnazione ai vari gruppi ha introdotto un bias significativo
perché l’idoneità all’assegnazione dipendeva dalla decisione del
singolo investigatore. Diversamente dallo studio CASS, il trial
STICH non era accompagnato da un registro per seguire i pazienti eleggibili che non sono stati randomizzati14. In generale,
il concetto alla base dello STICH era più di dimostrare che l’approccio chirurgico è superiore al trattamento medico dell’insufficienza cardiaca ischemica, che non dimostrare il beneficio della rivascolarizzazione in pazienti con disfunzione ischemica del
ventricolo sinistro in presenza di miocardio ibernato.
Il risultato principale dello studio è che il CABG non ha ridotto in modo significativo la mortalità rispetto alla TMO (36 vs
41%; p=0.11), anche se importanti endpoint secondari sono
stati raggiunti, in particolare la riduzione dell’endpoint compo-
I RISULTATI DELLO STUDIO STICH: ALCUNE RISPOSTE
E NUOVE DOMANDE
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E AMMIRATI ET AL
sito di riduzione di morte e ospedalizzazioni per scompenso
cardiaco (p=0.03).
Anche se lo studio STICH dimostra che probabilmente il
CABG può essere utile in questa tipologia di pazienti, rimangono alcuni importanti punti da chiarire.
La PCI è stata considerata come parte del trattamento medico14 ed è stata utilizzata solo nel 6% dei pazienti, nonostante circa il 50% dei pazienti avesse angina14,15. Anche l’ICD e la terapia
di resincronizzazione cardiaca sono stati relativamente poco utilizzati. In particolare l’ICD è stato impiantato solo nel 18% dei
pazienti del braccio medico (quando probabilmente molti avevano indicazioni all’impianto). Lo studio SCD-HeFT (Sudden Cardiac
Death in Heart Failure)42 ha dimostrato, in una coorte di pazienti
simile a quella dello STICH, una riduzione della mortalità assoluta del 7.3% nei 1313 pazienti con cardiopatia su base ischemica.
Il trial STICH soffre di uno svantaggio intrinseco poiché lo
studio è stato pianificato alla fine degli anni ’90 quando la mortalità e morbilità dovute a insufficienza cardiaca nei pazienti
trattati con terapia medica erano più alte14,43-45. Se lo studio
avesse arruolato i pazienti con l’efficienza inizialmente prevista, il follow-up sarebbe terminato dopo 3 anni14, e a quel punto non vi sarebbero state differenze significative tra TMO e chirurgia, un fatto in gran parte dovuto alla mortalità perioperatoria. Per risolvere il problema della difficoltà di arruolamento,
si è deciso di allungare il periodo di follow-up e al contempo si
è ridotto il numero di pazienti da arruolare dai 2000 previsti a
1212. Questo ha permesso di evidenziare alcune differenze significative al termine dello studio.
Inoltre, per superare le difficoltà di arruolamento, specie in
Nord-America e in Europa Occidentale, gli sperimentatori dello
STICH hanno incluso numerosi centri di nazioni con standard di
gestione dei pazienti con scompenso cardiaco decisamente inferiori rispetto a quelli dei paesi occidentali. Basti pensare che tra
i primi 6 centri arruolatori abbiamo un centro in Russia, due in India e uno in Serbia. Solo 87 pazienti sono stati arruolati in Europa Occidentale e, anche se non in modo significativo, nelle sottoanalisi il comportamento di questi pazienti si scosta dal resto.
Lo studio STICH sembra inoltre dimostrare che la presenza e
l’estensione della vitalità miocardica non costituisce un fattore
utile per identificare i pazienti che possono beneficiare maggiormente dalla rivascolarizzazione. Ricordiamo come invece proprio
su tale elemento si basano le recenti linee guida sulla rivascolarizzazione34. La vitalità non è stata valutata in tutti i pazienti reclutati (solo nel 49%) e in quelli in cui è stata valutata, diversi metodi sono stati utilizzati portando a una significativa variabilità
nell’accuratezza della sua identificazione ed estensione (basti
pensare che anche nel caso della SPECT sono stati utilizzati ben
4 protocolli differenti)46,47. La disponibilità del dato di vitalità non
è stato casuale, ma lasciato alla scelta dei medici o dei centri arruolatori, introducendo un bias quasi invalicabile nell’interpretazione dei risultati. Spesso la motivazione era legata alla mancata
disponibilità di tali test. Quindi, a differenza del PARR-2, i risultati dei test di vitalità non hanno guidato l’intervento terapeutico.
Se, come sottolineato da Bonow et al.16, il problema risiede
nel come è stata organizzata questa parte dello studio, noi individuiamo un altro punto importante. Nello studio STICH si è considerata la vitalità totale e non l’estensione del miocardio ibernato. Come detto, la vitalità totale comprende, infatti, sia il miocardio normofunzionante che quello ibernato. Precedenti studi fisiopatologici hanno dimostrato che la rivascolarizzazione migliora la riserva coronarica e la funzione ventricolare e che la prognosi è migliore in quei pazienti che hanno una maggiore esten-
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sione di miocardio ibernato3,4,48,49. L’utilità di identificare una
“coerenza regionale” tra miocardio ibernato e lesione coronarica per prevedere un beneficio prognostico risulta di maggiore
importanza nei pazienti con CAD mono- e bivasale (nello studio
STICH ben il 40% dei pazienti aveva queste caratteristiche)15.
UN NUOVO STUDIO PER STABILIRE
SE LA RIVASCOLARIZZAZIONE PUÒ MIGLIORARE
LA PROGNOSI NEI PAZIENTI CON DISFUNZIONE
ISCHEMICA DEL VENTRICOLO SINISTRO
È nostra opinione che l’estensione del miocardio ibernato sia
l’elemento chiave nella gestione di questi pazienti, e che lo studio STICH abbia fornito informazioni incomplete rispetto alla
problematica. Il clinico di fronte al paziente con disfunzione
ischemica del ventricolo sinistro manca ancora di elementi conclusivi su quesiti importanti: 1) qual è l’entità del vantaggio prognostico derivato dalla rivascolarizzazione? 2) quale paziente
sottoporre a rivascolarizzazione? 3) l’identificazione del miocar-
Criteri di selezione
Disfunzione sistolica cronica del VS
(FE ≤40% all’ecocardiogramma),
NYHA I-III (esclusione se angina tipica CCS >II)
Evidenza di CAD passibile di rivascolarizzazione
VALUTAZIONE DEL MIOCARDIO IBERNATO
PET/RM cardiaca
ASSENTE/
MINIMO
MIOCARDIO
IBERNATO
PRESENZA DI
MIOCARDIO
IBERNATO
≥4/17 segmenti
TRIAL
Terapia medica ottimale
REGISTRO 1
Pazienti
eleggibili che
non accettano la
randomizzazione
PCI o CABG +
Terapia medica ottimale
REGISTRO 2
Follow-up di 3 anni
Endpoint principale:
• Morte
• IM non fatale
• Ictus non fatale
• Ospedalizzazione per SC
Figura 2. Algoritmo per un nuovo studio per la valutazione del valore prognostico della rivascolarizzazione nei pazienti con miocardio ibernato. Proposta di un nuovo trial teso a valutare il valore prognostico della rivascolarizzazione chirurgica (bypass aortocoronarico, CABG) o percutanea (PCI) rispetto alla sola terapia medica ottimale. Il miocardio ibernato viene determinato nel contesto della disfunzione sistolica ischemica del ventricolo sinistro (VS) con frazione di eiezione (FE) )40% in pazienti con malattia coronarica suscettibile di rivascolarizzazione.
CCS, Canadian Cardiovascular Society; NYHA, New York Heart Association; PET, tomografia ad emissione di positroni; RM, risonanza
magnetica; SC, scompenso cardiaco.
Adattata da Ammirati et al.11.
RIVASCOLARIZZAZIONE DEL MIOCARDIO IBERNATO
dio ibernato può identificare i pazienti in cui attenderci un beneficio dalla rivascolarizzazione? 4) anche la rivascolarizzazione
mediante PCI può essere prognosticamente efficace nel paziente idoneo? Noi proponiamo che questo problema sia affrontato
in uno specifico trial clinico come illustrato nella Figura 211. In
tale studio deve essere disponibile in tutti i pazienti e prima della randomizzazione l’informazione di una sufficiente estensione
di miocardio ibernato (che noi suggeriamo *4/17 segmenti).
Inoltre riteniamo possa essere utile valutare se la strategia diagnostico-terapeutica che intendiamo testare sia applicabile in
un’area territoriale più limitata con caratteristiche di qualità assistenziali simili (ad esempio in Italia), per i problemi emersi nello studio STICH. In questo modo potrebbe derivare un dato meno generalizzabile su scala mondiale, ma permetterebbe una più
sicura valutazione dell’efficacia della strategia che si sta valutando in Italia e in nazioni con livelli assistenziali paragonabili.
Riteniamo inoltre necessario il superamento della contrapposizione tra rivascolarizzazione percutanea e chirurgica e proponiamo che la randomizzazione preveda la scelta di rivascolarizzazione più adeguata per il singolo paziente, sulla base dell’anatomia coronarica, del rischio operatorio e della volontà del paziente. Questo implica un lavoro di équipe tra cardiologo interventista e cardiochirurgo, come già sta avvenendo per altre situazioni.
Da ultimo viene proposta la PET e la risonanza magnetica cardiaca al fine di offrire il gold standard e un alto livello di riproducibilità dei risultati per identificare il miocardio ibernato. Infatti, proprio per i risultati deludenti dello STICH, ci sembra giusto ritestare questa ipotesi con i mezzi più adeguati a disposizione.
RIASSUNTO
L’impatto sulla prognosi a medio e lungo termine delle procedure
di rivascolarizzazione nei pazienti con disfunzione sistolica cronica
del ventricolo sinistro dovuta a malattia coronarica è tuttora incerto. L’identificazione di segmenti di miocardio disfunzionali con
vitalità residua che può migliorare dopo la rivascolarizzazione è fondamentale per la gestione successiva di questi pazienti. Il miocardio ibernato (cioè tessuto cronicamente disfunzionale ma ancora
vitale) può essere identificato con la tomografia ad emissione di positroni e la risonanza magnetica cardiaca e la sua presenza ed
estensione possono predire il recupero funzionale dopo la rivascolarizzazione.
Prima che i betabloccanti fossero introdotti come trattamento standard per lo scompenso cardiaco, la rivascolarizzazione chirurgica
sembrava migliorare la sopravvivenza in questi pazienti. Oggi, nuove terapie farmacologiche e dispositivi per la terapia di resincronizzazione e la defibrillazione hanno migliorato la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco e il loro utilizzo è supportato da una
serie di studi clinici. Lo studio STICH (Surgical Treatment for Ischemic Heart Failure), appena concluso, ha valutato il beneficio prognostico aggiuntivo della rivascolarizzazione nei pazienti con disfunzione ischemica del ventricolo sinistro.
In questa rassegna verranno presentati i meccanismi fisiopatologici, i principali studi clinici e le metanalisi che si sono occupate di
questo argomento negli ultimi quattro decenni. Inoltre verrà brevemente esposta la proposta di uno studio randomizzato per valutare l’effetto della rivascolarizzazione del miocardio ibernato.
Parole chiave. Malattia coronarica; Miocardio ibernato; Rivascolarizzazione miocardica; Tessuto vitale.
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