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11ª GIORNATA DI STUDIO DELLA TEOLOGIA FONDAMENTALE-PUG- 2009/2010
2 MARZO 2010
Alcune proposizioni più rilevanti del Sinodo su
“La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” (ottobre 2008).
Prof. Salvador Pié-Ninot
1-Analogia Verbi Dei
L’espressione parola di Dio è analogica. Si riferisce innanzitutto alla parola di Dio in persona
che è il Figlio Unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Verbo del Padre fatto
carne (cf. Gv 1,14). Questa parola di Dio trascende la sacra Scrittura, anche se essa la
contiene in modo del tutto singolare (DV 8). La parola divina, già presente nella creazione
dell'universo, si è rivelata lungo la storia della salvezza ed è attestata per iscritto nell'A. e nel
N. Testamento. La Chiesa la custodisce e la conserva nella sua Tradizione viva e la offre
all'umanità attraverso la predicazione e i sacramenti. I pastori, perciò, devono educare il
popolo di Dio a cogliere i diversi significati dell'espressione Parola di Dio (nº3).
*analogia Verbi Dei: l’analogia sulla Parola di Dio si trova per prima volta in, Origene, Filocalia 2,3
(SC 302, Paris 1983, 244); cf. E. Bianchi, Ascoltare la Parola, Bosè 2008, 11.14.105, con altri testi.
*triplice forma: cf. Karl Barth, Dogmatique I/2 (Genève 1953, § 4): “Les trois formes de la Parole de
Dieu: l’unité de la Parole de Dieu: 1) révélée; 2) écrite”; 3) ‘prêchée’”. “La révélation, est le
fondement des deux autres. La Parole immediate de Dìeu ne nous atteint jamais que par le moyen
de ce deux formes médiates”; § 8: “LA PAROLE DE DIEU, C’EST DIEU LUI-MEME DANS DA REVELATION Gottes Wort is Gott selbst in seiner Offenbarung”-. Formulazione non lontana da quella offerta da
Bonaventura (†1274): “Il Padre nella parola che procede da lui si comunica e comunica tutte le
cose” (Pater verbo quod ab ipso procedit dicit se et omnia: I Sent. d.32 a.q. fund.5).
*funzioni della parola: seguendo Karl Bühler, nella sua classica Sprachtheorie, la parola è un
organon che ha una struttura globale con tre funzioni che corrispondono alle tre forme di parlare: la
rapresentazione o simbolo (Darstellung), in terza persona; l’appellazione o segnale (Apell), in
seconda persona, e l’espressione o sintomo (Ausdruck), in prima persona. Già con ragione L.
Alonso Schökel scriveva “che dobbiamo tener presente nel linguaggio ispirato queste tre
dimensioni: la dimensione dei dati rivelati (3ª), l’energia soprannaturale attualizzata nella
comunicazione (2ª) e la dimensione del Dio personale nell’atto di rivelarsi (1ª)” (La Parola ispirata,
122). Questa comprensione è citata per R. Latourelle nella sua, Teologia della Rivelazione, anche
se senza esplicitarne l’uso. Da parte nostra in La Palabra de Dios en los libros sapienciales (1972),
abbiamo usato questa triplicie funzione come cornice per la sintesi finale sulla teologia della Parola
in questi libri e venti anni dopo ne abbiamo fatto uso per presentare la voce “Parola di Dio” del
Dizionario di Teologia Fondamentale nella sua edizione spagnola (1992), voce mancante
nell’originale.
Nota bibliografica: La teologia cattolica non à grande tradizione sulla teologia della Parola di Dio –invece K. Barth scrive
più di 1.000 pagine!-, mà à degli abozzi: AA.VV., “Lógos”: DBS V (1952) 425-497; H. Schlier, Wort Gottes, Würzburg 1958;
A. Leonard, “Vers une théologie de la Parole de Dieu”: La Parole de Dieu en Jésus-Christ, Paris 1961, 11-32; H. Volk, Zur
Theologie des Wortes Gottes, Münster 1962, autore che come vescovo fù il promotore conciliare del bello incipit: Dei
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Verbum religiose audiens (DV1); K. Rahner, “Wort Gottes.II”: LThK 12 (1965) 1235-1238: W. Kasper, “La Chiesa sotto la
Parola di Dio”: Concilium nº4 (1965); L. Scheffczyk, “Wort Gottes”: SM 4 (1969) 1402-1423; M. Seckler, “¿Was heisst ‘Wort
Gottes’?”: CGG 2, Freiburg 1981, 75-88; E. Biser, “Parola di Dio”, in Enciclopedia Teologica, Brescia 1989, 674-689; O.H.
Pesch, “Das Wort Gottes als objektives Prinzip der theologischen Erkenntnis”: Handbuch der FTh 4,1-21; K.-H. Menke,
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“Wort Gottes.II-III”: LThK 10 (2001) 1299-1302; D. Hercsik, «Das Wort Gottes in der nachkonziliaren Kirche und Theologie»:
Gregorianum 86 (2005) 135-162, e i nostri, La Palabra de Dios en los libros sapienciales, Barcelona 1972, 229-285;
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“Palabra de Dios”: Diccionario de Teología Fundamental, Madrid 2000, 1044-1046 (solo nell’ed.spagnola), e Gregorianum
89 (2008) con il nostro, “Teología de la Palabra de Dios e Iglesia”, 347-367; D. Hercsik, “Das ‘Wort Gottes’ und die
Christologie”, 368-395, e N. Capizzi, “Parola di Dio e synkatábasis divina”, 396-419; C.M. Martini presenta sei significati della
Parola di Dio: gli eventi della storia della salvezza; gli oraculi dei profeti e di Gesù; la persona di Gesù; la predicazione
cristiana; la comunicazione di Dio algi uomini, e la Bibbia, cf. La parola di Dio alle origine della Chiesa, Roma 1980, 56-58.
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2-Sacramentalità della Parola di Dio
Unità tra parola di Dio ed eucaristia
È importante considerare la profonda unità tra la parola di Dio e l'eucaristia (cf. DV 21), come
viene espressa da alcuni testi particolari quali Gv 6,35-58; Lc 24,13-35, in modo tale da
superare la dicotomia tra le due realtà, che spesso è presente nella riflessione teologica e
nella pastorale. In questo modo diventerà più evidente il legame con il sinodo precedente
sull'Eucaristia. In questo senso i padri sinodali si augurano che possa essere promossa una
riflessione teologica sulla sacramentalità della parola di Dio.
L'eucaristia è un principio ermeneutico della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura
illumina e spiega il mistero eucaristico. La parola di Dio si fa carne sacramentale nell'evento
eucaristico e porta al suo compimento la sacra Scrittura. Senza il riconoscimento della
presenza reale del Signore nell'eucaristia, l'intelligenza della Scrittura rimane incompiuta […]
(nº6).
*Sul parallelismo tra Parola di Dio e Eucaristia: anche presente in SC 48.51; PC 6; PO 18; cf. Y.M.
Congar, “Les deux formes du pain de vie dans l’Évangile et dans la tradition”, in Parole de Dieu et
sacerdoce, Paris 1962, 21-58; T. Stramare, “Mensae duae: studio biblico-patristico”: Seminarium 18
(1966) 1020-1034; R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni II, Brescia 1977, 136-143 (Gv 6).
Questo fa rivedere la considerazione abbastanza abituale fino al Vaticano II sull’obbligo
dell’assitenza domenicale alla Messa che non includeva necessariamente la liturgia della Parola, cf.
già Amalario di Metz, s.IX(PL 105,1156); Fr. Suárez, †1617 (“basta l’assistenza dalla consecrazione
alla comunione”, De Eucharistia, q.88,s.2,n.6), e la casistica pre-conciliare (H. Noldin-A.S. Schmitt,
De Praeceptis, 1934, nº257; A. Royo-Marín, Teología moral para seglares,1964, nº419).
*L’efficacia sacramentale della Parola di Dio: già Tommaso d’Aquino affermava che dicere Dei est
facere (Super II ad Cor. c.1, l.2, n.1; cf. Z. Alszeghy, “Die Theologie des Wortes Gottes bei den
mittelalterlichen Theologen”: Gregorianum 39 (1958) 685-705), mà sarà nella tradizione luterana
che ne prenderà forza; soltanto poco prima del Vaticano II si manifesta nei cattolici: K. Rahner, O.
Semmelroth, E. Schillebeeck, e immediatamente dopo, Y. Congar, D. Grasso, L. Alonso Schökel...;
posteriormente, W. Kasper, H.O. Meuffels, L.M. Chauvet, G. Koch, D. Sattler, G.J. Békés, P.
Janowiak, M. Figura, S. Pié-Ninot, C. Giraudo...; afferma Y. Congar: “la maggior parte dei teologici
cattolici riconoscono oggi alla parola di Dio certa struttura sacramentale”: Concilium 33 (1968); cf.
A. Moos, Das Verhältnis von Wort und Sakrament in der deutschsprachigen Theologie des 20.
Jahrhunderts, Padeborn 1993, con K. Rahner come sintesi: “la parola di Dio raggiunge il massimo
suo grado di attualizzazione soltanto nel sacramento, ma tende sempre e dapertutto verso questo
grado”; nel mondo luterano si parte del leibliches Wort –‘parola corporale’- della Confessio
Augustana, cap. V, cf. U.H.J. Körtner, Theologie des Wortes Gottes, Göttingen 2001, 347-362
(“Wort und Sakrament”); nel mondo ortodosso: in recenti corsi su teologia ortodossa viene
presentato come indiscusso da B. Bobrinskoy, Le Mystère de la Trinité, Paris 1986, 183s. e Le
mystère de l’Église, Paris 2003,21-24.
*Linguistica moderna: si deve tener presente l’influsso del linguaggio per-formativo e autoimplicativo: cf. i classici: J.L. Austin, How to Do Things with Words, Oxford 1962, e D.D. Evans, The
Logic of Self-Involvement: A philosofical Study of everyday Language with special Reference to the
Christian Use of Language about God as Creator, London 1963; cf. le applicazioni di P. Ricoeur,
“Contribut d’une réflexion sur le langage à une théologie de la parole”, in Exégèse et
hermenéutique, Paris 1971, 301-318, e di J. Ladrière, “La performatività del linguaggio liturgico”:
Concilum nº9 (1973); cf. il bilancio di ambedue in, R.S. Briggs, Words in Action. Speech Act Theory
and Biblical Interpretation, New York 2001; incorpora la condizione per-formativa per affrontare la
questione teologico-fondamentale del senso, P. Gilbert, “La crise du sens”: NRT 116 (1994) 7693.88; l’uso teologico già si trova in J.B. Metz, La fe, en la historia y la sociedad, Madrid 1979, 217,
e molto recentemente è stato rilanciato da Benedicto XVI, Spe salvi, 2007, ns.2.10.
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3- Ispirazione e verità della Bibbia
Il sinodo propone che la Congregazione per la Dottrina della Fede chiarifiche i concetti di
ispirazione e di verità della Bibbia, così come il loro rapporto reciproco in modo di fare capire
meglio l’insegnamento della Dei Verbum 11. In particolare, bisogna mettere in rilievo
l’originalità dell’ermeneutica biblica cattolica in questo campo (nº11).
*DV 11: la novità di questo testo è un’impostazione non soltanto negativa: l’ispirazione significa
inerranza nella Bibbia, cioè, che non c’è errore, come dal Vaticano I in poi il Magistero ha affermato
giustamente, mà allora c’è una impostazione positiva: la Bibbia è Parola di Dio ispirata perchè ci
comunica “la verità che Dio vuole per la nostra salvezza” (nostrae salutis causa), e per tanto è
questa prospettiva della verità salvifica –e non direttamente altre verità storiche, geografiche…-,
che è l’oggetto formale che ispira e per tanto conforma tutta la Bibbia quale Parola di Dio.
*DV 19: complementario dell’anteriore si sofferma sulla storicità dei Vangeli con un riassunto dalla
Istruzione della Pontificia Commissione Biblica “Sulla verità storica dei Vangeli” di 21, aprile, 1964.
In questo testo si spiega come la Chiesa comprende la storicità –la quale dice: “afferma senza
alcuna esitazione”- con questi due elementi decisivi per la lettura dei Vangeli e analogamente della
Bibbia: in primo luogo, affermando che gli apostoli “tramandarono ai loro ascoltatori quello che
Gesù gli aveva detto e fatto, con quella più completa comprensione (pleniore intelligentia) cha
davano loro la risurrezione gloriosa del Cristo e l’insegnamento dello Spirito di verità”; e, in secondo
luogo, precisando lo scopo degli evangelisti nel suo resoconto su Gesù che era scrivere “le cose
vere e autentiche su Gesù” (vera et authentica de Iesu). Si noti che questa ultima formulazione no
può essere semplicemente equiparata a una storicità in chiave letteralista o postitivista, già che lo
stesso Vaticano II respinse una formula previa proposta con le parole: storica e non finta (historica
et non ficta; cf. F. Gil, Synopsis DV, 136ss.) per l’ambiguità che esse supponevano. Infatti la
formula definitiva conciliare mette in rilievo che gli evangelisti avvevano l’intenzione –come era
usuale nel mondo antico quando si faceva storia in chiave più d’insegnamento del messaggio del
protagonista che di cronaca storicista puntuale- di comunicare quello vero ed autentico che Gesù
fece e insegnò (J.A. Fitzmyer, Catechismo Cristologico, sostiene che la formula conciliare è un
segnale della critica all’atteggiamento fondamentalista nella interpretazione cattolica dei vangeli).
*Crisi nella teologia della ispirazione? Dopo il duro manifesto di O. Loretz sulla fine della teologia
della ispirazione (Das Ende de Inspirations-Theologie I-II, Stuttgart 1974-1976), C.M. Martini
costatava la mancanza di un trattato completo e aggiornato (La Parola di Dio alle origine della
Chiesa, Roma 1980, 42). Infatti, l’ispirazione ha il rischio di diventare marginale, una volta che il
testo biblico è stato sottomeso alla investigazione esegetica ed ermeneutica, e in questo senso
sicuramente la teologia dell’ispirazione dovrebbe essere riformulata a partire della sua relazione tra
esegesi storico-crtica e lettura teologica per così manifestar-si con più chiarezza la sua propria
identità che la qualifica come Parola di Dio nella parola umana che trasmette (cf. C. Theobald,
“Dans les traces…” de la constitution ‘Dei Verbum’ du concile Vatican II, Paris 2009, 57-89).
*Abbozzi sul senso della ‘ispirazione’ come qualifica portante della Parola di Dio? soltanto un cenno
sulla categoria di ultimità applicata alla Parola di Dio come Parola ultima e definitiva, cf.
l’aprossimazione filosofica di Th. Nagel, The Last Word, New York 1997; la biblica di N.T. Wright,
The Last Word. The Authority of Scripture, London 2005, e la teologica di H.J. Verweyen, Gottes
letztes Wort. Grundriss der Fundamentaltheologie, Regensburg 32000 (trad. it. Brescia).
Formulazione che ricorda la categoria di ultimità adoperata da P. Tillich: “solo sono teologiche le
proposizioni che trattano di un oggetto in quanto può diventare una questione di essere o non
essere, cioè, ultimo e non pen-ultimo”, cf. Teologia sistematica I.
Finalmente, si può accennare al bello inizio della Summa Teologica di Tommaso, quando giustifica
perchè è necessaria la rivelazione e dice: perchè ci sia un acceso più universale, facile e certo o
senza errore per conoscere Dio (ST 1, q.1 a.1). Non a caso, il Vaticano I (DH 3004) e il Vaticano II
(DV 6) hanno citato questo testo per capire meglio: il perchè e il senso di una Parola di Dio ispirata,
dato che “soltanto nel mistero di Cristo si chiarisce pienamente il mistero dell’uomo” (GS 22)!
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4- Esegesi e teologia
Necessità di due livelli nella ricerca esegetica (nº24)
Rimane di grande attualità ed efficacia l'ermeneutica biblica proposta in Dei Verbum 12, che
[…] prevede due livelli metodologici, distinti e correlati. Il primo livello corrisponde, di fatto, al
cosiddetto metodo storico-critico… che è entrato in campo cattolico soprattutto a partire
dall'enciclica Divino afflante Spiritu del Servo di Dio Pio XII. Questo metodo è reso
necessario dalla natura stessa della storia della salvezza, che non è una mitologia, ma una
vera storia con il suo apice nell'incarnazione del Verbo, divino ed eterno, che viene ad
abitare il tempo degli uomini (cf. Gv 1,14). La Bibbia e la storia della salvezza esigono perciò
di essere studiate anche con i metodi della seria ricerca storica. Il secondo livello
metodologico, necessario per un'interpretazione giusta delle sacre Scritture, corrisponde alla
natura anche divina delle parole umane bibliche. Il concilio ecumenico Vaticano II
giustamente ricorda che la Bibbia deve essere interpretata con l'ausilio di quello stesso
Spirito Santo che ha guidato la sua messa per iscritto […] La Dei Verbum identifica ed
elenca i tre riferimenti decisivi per giungere alla dimensione divina e, quindi, al senso
teologico delle sacre Scritture. Si tratta del contenuto e dell'unità di tutta la Scrittura, della
tradizione viva di tutta la Chiesa e, finalmente, dell'attenzione all'analogia della fede. «Solo
dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico sono osservati, si può
parlare di un'esegesi teologica, un'esegesi adeguata a questo libro» (Benedetto XVI, 14
ottobre 2008).
Allargare le prospettive dello studio esegetico attuale (nº25)
Il frutto positivo apportato dall'uso della ricerca storico-critica moderna è innegabile[…].
Mentre l'attuale esegesi accademica, anche cattolica, lavora su un altissimo livello per
quanto riguarda la metodologia storico-critica, anche con le sue felici e più recenti
integrazioni (cf. PCB, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa), non si potrebbe dire lo
stesso circa lo studio della dimensione teologica dei testi biblici. Purtroppo il livello teologico
indicato dai tre elementi della DV 12 molto spesso appare quasi assente […].
I padri sinodali, mentre ringraziano sinceramente i molti esegeti e teologi, che hanno dato e
danno un aiuto essenziale nella scoperta del senso profondo delle Scritture, domandano un
accresciuto impegno perché sia raggiunto con più forza e chiarezza il livello teologico
dell'interpretazione biblica [...].
Superare il dualismo tra esegesi e teologia (nº26)
Per la vita e la missione della Chiesa e per il futuro della fede all'interno delle culture
contemporanee, è necessario superare il dualismo tra esegesi e teologia […].
La teologia biblica e la teologia sistematica sono due dimensioni di quella realtà unica che
chiamiamo teologia. I padri sinodali, perciò, rivolgono con stima un appello sia ai teologi sia
agli esegeti perché […] non lascino mancare la forza delle Scritture alla teologia
contemporanea e non riducano lo studio delle Scritture alla sola rilevazione della dimensione
storiografica dei testi ispirati. “Dove l'esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere
l'anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione
della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento” (Benedetto XVI, 14
ottobre 2008).
*la questione chiave: Scrittura-Tradizione: tre testi decisivi del Sinodo che propongono in forma pratica e per lo
studio la dottrina della DV. Infatti il suo principio centrale si può riassumere così: “la Scrittura nella Tradizione
vivente della Chiesa”. Infatti, questo principio cerca di superare le pure relazioni tra Scrittura, tradizione e
magistero, per dare loro un’articolazione secondo la loro diversa funzione epistemologica. Così, le “tradizioni”
non scritte (DV 8) e la missione “autentificatrice” del magisterio vivente (DV 10), diventano una sola cosa
all’interno della Chiesa come “Tradizione vivente” (DV 12), la quale si manifesta “nella sua dottrina, nella sua
vita e el suo culto, (che) perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa
crede… Così Dio… non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la
viva voce del vangelo risuona nella chiesa e, per mezzo di essa, nel mondo” (DV 8). Per questo, le sacre
Scritture “insieme con la Tradizione e la regola suprema della fede della Chiesa” (DV 21).
*la chiave teologica della lettura patristico-medievale della Bibbia: cf. l’impostazione teologica attraverso le tre
virtù teologali presenti nel distico: littera gesta docet/quid credas alegoria (fede)/ moralis quid agas (caritas)/
quid speres anagogia (spes) [Agostino di Dinamarca, ca. 1260], ripreso da Tommaso d’Aquino (I, q.1, a 10c.),
e ri-proposto recentemente dalla PCB, “L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa”, 1993, II.B.
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5-Altri temi: PdD e carità, nº11; PdD e Liturgia, nº14; Ministero PdD e donne, nº17; ‘Lectio divina’, nº22;
Difficoltà dell’A.T., nº29 (10); Formazione dei preti, nº32, e di tutti i cristiani, nº33; e impegno del mondo, nº39;
e cultura, nº41; Fondamentalismo e sette, ns. 46.47; ‘Missio ad gentes’, nº49; Terra santa: “Quinto vangelo”,
Paolo VI, nº51; Dimensione cosmica PdD, nº54; Conclusione: Maria ‘Mater Dei’ e ‘Mater fidei’, nº55 (cf. il
bilancio sinodale di S. Pié-Ninot, “El sínodo de los obispos acerca de la Palabra de Dios”: Gregorianum 90 (2009) 859-864).