Sebbene con frequenza molto bassa e solo su organi di stampa

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RIFLESSIONI
Il Sistema Paese:
il contributo dei militari
TEN. GEN. GIUSEPPE OROFINO
S
ebbene con frequenza molto bassa e
solo su organi di stampa specialistici, sono apparsi alcuni articoli che
trattano di un problema che riguarderà il
futuro della costruzione europea. Finito il
periodo d’oro dell’Euro, che è costato parecchio al contribuente italiano e speriamo dia
frutti positivi almeno ai suoi figli, sta per
avere inizio il processo europeo volto ad
attribuire la giusta importanza alla sicurezza
e alla difesa collettiva.
La partita si giocherà quest’autunno
durante il semestre di presidenza UE della
Francia che ha dato una accelerata al processo e vuole concludere il suo mandato con
il conseguimento di obiettivi significativi.
L’Italia dovrà fare la sua parte evitando le
promesse non mantenute e gli impegni talvolta disattesi: la statura di un Paese si
misura anche dal contributo che è in grado
di dare e dagli uomini che potrà mettere in
campo negli organismi comunitari.
E mentre questo processo è in fase delicata
se non in dirittura finale, l’iter del nuovo (?)
modello di difesa non è ancora terminato.
Non è ben chiaro quali possano essere i
“numeri” finali se 225.000, 190.000,
180.000 o qualsiasi altro dato che qualcuno
vorrà inventare. Però, piuttosto che su dati
numerici, è necessario fare una seria riflessione sulle funzioni che detto strumento
dovrebbe assolvere ovvero che cosa ci si
aspetta dalle Forze Armate del futuro. E non
si vuole fare riferimento esclusivamente alle
classiche funzioni operative, quelle di combattimento, per intenderci. Sono squisita-
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mente operative e tali sono considerate
dagli esperti, il supporto generale, le manutenzioni, i trasporti, le infrastrutture, la
vigilanza e chi più ne ha più ne metta. Alcune di esse, peraltro, qualora la loro effettuazione incida negativamente sulla funzione
combattimento (pochi uomini per poter
fare tutto), potrebbero essere affidate “a
contratto” a ditte o imprese di servizi.
Esempi di ciò se ne potrebbero fare molti
ma questo discorso potrebbe portarci lontano e farci perdere di vista l’obiettivo principale: la rappresentatività in ambito europeo.
È un argomento che non viene trattato a
sufficienza ed al quale non viene conferita la
necessaria importanza che, invece, meriterebbe.
È stato da più parti lamentato l’eccessivo
numero di Generali (attenzione ai conti:
parliamo di quelli veri non di coloro che
conseguono il grado alla vigilia o nel ruolo
d’onore) e di “graduati” in genere rispetto
all’entità dei reparti. L’idea che ci debba
essere una percentuale rigida tra Ufficiali,
Sottufficiali e militari di truppa ormai ha
fatto il suo tempo e non viene più presa in
considerazione dai critici più attenti. Se di
percentuale si poteva parlare fino a qualche
decennio fa ed in un certo senso il concetto,
con parametri molto modificati, può essere
accettato nei reparti e nelle unità, in generale la situazione è molto cambiata.
Ed allora non vi sembra giunto il
momento di fare un discorso serio? Per fare
ciò occorre esaminare quali sono gli elementi che condizionano il fenomeno. Essenzialmente due: la preminenza dell’aspetto deci-
sionale rispetto a quello esecutivo; la presenza qualificata, in professionalità e rango,
nelle organizzazioni, nei Comandi e nei
reparti multinazionali.
Il primo è un aspetto più “intero” che ha,
però, il suo impatto sul secondo.
La tecnologia ed i moderni sistemi di
comando e controllo stanno privilegiando la
funzione decisionale rispetto a quella esecutiva: questo trend non dovrebbe registrare
alcuna inversione anzi incrementare l’entità
del fenomeno nel tempo. Un esempio per
tutti: chiunque può accertare che nei
Comandi a tutti i livelli nazionali e multinazionali è sparita la figura del Sottufficiale
dattilografo.
Chi deve adottare le decisioni lo fa in
proprio ed emana, secondo i livelli di autorizzazione, direttamente l’ordine. Si avvale
esclusivamente del proprio computer in rete
e, sulla base di uno schema formattato da
riempire, aggiorna, contemporaneamente,
tutte le situazioni operative in pochissimo
tempo.
Questa mutata “velocità” presuppone una
decisione tempestiva che deve prescindere da
tutta quella attività burocratica che, anni fa,
caratterizzava la vita dei Comandi. Se ciò è
vero a livello nazionale, interno cioè, lo è maggiormente vero a livello internazionale europeo
e NATO, nonchè a livello multinazionale.
Ma qui si innesca un altro fenomeno:
quello della proliferazione di Comandi, Enti
ed unità dove è necessaria una presenza adeguata con numero e professionalità.
Adeguata, negli incarichi di responsabilità ed ai livelli che l’Italia merita e deve pretendere per il peso politico che possiede e
per il rango che le compete; qualificata, per
il contributo professionale che deve apportare per crescere in prestigio e credibilità,
anche perchè, non dobbiamo nascondercelo, deve tenere alto il profilo e perseguire i
legittimi interessi nazionali (d’altra parte,
gli altri lo fanno). Questo comportamento
costa. Costa in numero, innanzitutto, ed in
qualità; ma la qualità è maggiore se la ricerca del personale può essere effettuata in un
numero maggiore di candidati.
Il discorso si applica soprattutto ai più alti
livelli: Generali e Colonnelli. Anche di essi
ne abbiamo grande bisogno sia all’interno sia
all’esterno, perchè questi sono i livelli dove
vengono prese o preparate le decisioni.
E per aver un numero adeguato di Generali e Colonnelli, ancora una volta, è necessario possedere un’ampia base di scelta.
Talvolta, poi, è necessario giocare al rialzo ed offrire un Ufficiale di rango elevato
dove potrebbe essere sufficiente un altro di
grado meno elevato.
Non è svalutare il grado per una funzione
non adeguata ma è, soprattutto a livello
internazionale, tenere conto del fatto che i
militari sono personaggi strani che fin da
“piccoli” sono stati addestrati ad obbedire e
rispettare la subordinazione: il numero delle
stellette ha la sua influenza.
Poichè i fori decisionali internazionali
stanno subendo un incremento notevole
(basti pensare alla duplicazione NATO e
UE), si può comprendere come l’esigenza di
abbandonare lo stereotipo, che legava il
numero di Ufficiali percentualmente a quello dei Sottufficiali e della truppa, divenga
ormai vitale.
Di questo, ci si augura, ne dovranno
tenere debito conto coloro che, politici o
militari, dovranno mettere mano al modello
di difesa. Esigenza vitale, come è stato detto,
perché è necessario partecipare al processo
decisionale. Non si può più rischiare, infatti, di rivivere l’esperienza degli anni 50, 60 e
70 quando, nella NATO, vedere un Ufficiale italiano negli incarichi di rango decisionale, tranne le poche eccezioni, era difficile.
In questi anni, l’Italia ha subito le decisioni che venivano adottate da altri: noi cercavamo di tamponare o andare a rimorchio
con le conseguenze a tutti note.
Ed allora vogliamo o non vogliamo essere
artefici del nostro destino almeno in Europa
ed evitare che la soluzione che verrà adottata
nel settore della difesa possa avere ripercussioni negative sulle altre componenti del
sistema Paese? Sulla scelta di politica industriale della difesa, sulla scelta del processo
decisionale europeo, sull’economia, sul lavoro e sull’occupazione, sul know how industriale e scientifico, sulla vita italiana?
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