Scrima - Le età della ragione

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Scrima - Le età della ragione
Stefano Scrima
Le età della ragione
L'emergere della filosofia nella Grecia arcaica, facentesi convenzionalmente risalire al passaggio dal mythos al logos, non è che un
?appello alla ragione? dettato dalla volontà di umanizzare il caos dell'esistenza, e così darne ? appunto ? una ragione. Il memento
della ragione è sempre legato ad un ?nuovo inizio?, a quella fase storico-culturale in cui diviene doveroso raggranellare la
moltitudine dei dati, fino ad allora acriticamente custoditi, col fine di ordinarla e renderla a immagine e somiglianza dell'uomo. La
forza della ragione risiede proprio nel suo limite, che è il limite stesso del suo portatore. Da quest'appartenenza sorge, sempre se una
connotazione storica può essere assegnata a un avvenimento di tal genere, la scissione ragione/fede, gravante la seconda di verità
ultrarazionali, vere proprio perché assurde. Ma quando l'attenzione si fa ricadere sul primo termine è monito che il disordine sta
riacquistando supremazia sull'agire umano. E così anche quell'?infausta? stagione storica, il Medioevo, così profondamente
biasimata dai posteri per il suo oscurantismo, ebbe il suo personale ?appello alla ragione?: la teologia scolastica nacque per
incanalare le vaghe correnti cristiane ? fino ad allora brancolanti in più o meno pericolose derive irrazionali ? in un sapere
razionalmente, e quindi umanamente, raggiungibile. Il tentativo di conciliare ragione e fede, o meglio di razionalizzare quest'ultima,
mantenendo comunque quell'alone di mistero inconoscibile ? che è poi la vera energia fungente della religione ?, fu una mossa
vincente; la coscienza medievale visse in questa realtà predefinita durante tutto il suo percorso, fin quando non si scontrò con la
?baldanza? moderna.
Nella coalizione medievale di ragione e fede, nella strumentalizzazione di una ragione imbonitrice degli uomini, è ben visibile la
differenza tra un concetto di ragione esclusivamente strumentale, piegato a fini giustificativi, e una ragion critica, dimensione
razionale par excellence. Fu la prima che alimentò il cosiddetto oscurantismo medievale, e solo la seconda a tentare una
riappropriazione autentica delle specificità umane. La modernità, intesa come lungo processo d'emancipazione dal greve sostrato
spirituale elevato a legge cosmologico-universale, il quale fu artefice dell'indistinzione di temporale e spirituale nelle dinamiche del
dominio ? secolarizzando in tal modo presunti poteri assoluti delle classi filo-sacerdotali su uomini e cose ?, sciolse il giogo
assolutistico che soffocava le possibilità di movimento dell'uomo, ?per natura? spinto alla conoscenza. La ragion critica non è un
concetto preformato, ma storicamente delineatosi durante i quattro secoli ? dalla ?riscoperta degli antichi? da parte degli umanisti
rinascimentali alla sintesi kantiana ? che ridimensionarono ogni frangente del reale. Non fu certo un'operazione indolore quella che
relegò le certezze (antico)-medievali ad abbagli della hybris umana. La tanto agognata possibilità di porre ad analisi il reale
(imprigionato dal Medioevo in un'aura sacrale costantemente corrotta dalla materia), conquistata ad opera della rinnovata coscienza
moderna, portò necessariamente ad un riassestamento radicale della visione dell'uomo all'interno dell'universo, e quindi dello stesso
ordine socio-politico ed economico. Si iniziò cautamente ad ipotizzare una discendenza umana e naturale di tutto ciò che concerne i
rapporti sociali, politici e religiosi: forse il reale non è opera di una mano esterna ordinatrice, ma un graduale delinearsi,
un'interazione profonda tra esso e i suoi attori principali ? gli uomini. L'architettura feudale della società, così ferreamente alleata ad
una concezione sociale pregna di religione, iniziò a subire i contraccolpi dell'avanzamento della tecnica e quindi della rinnovata
consapevolezza dell'uomo. Il cattolicesimo stesso entrò in una grande crisi culminata nella scissione della Riforma protestante.
Perché la gerarchia sociale? Perché l'illibertà? Perché la diseguaglianza tra uomini ? che per di più dovrebbero essere tutti figli di un
unico Dio? Queste le domande che ottennero una risposta (mai definitiva) solo sottoponendo ogni tradizione e ogni presunta verità
autoevidente al vaglio della ratio, ad un nuovo tipo di ragione che stava consolidandosi nelle mani dei moderni. Con la caduta della
testa di Luigi XVI nel 1792 ad opera dei giacobini cadde convenzionalmente anche il diritto divino a governare. Questo il punto di
non ritorno. Da ora in poi la storia sarà assunto esclusivamente umano e razionale, anche se ciò non significa che l'influenza
religiosa abbia concluso la sua stagione, semplicemente perderà alcuni suoi antichi schiavi per ?accogliere? uomini liberi. Fu il
Neoplatonismo rinascimentale, e successivamente il Deismo illuminista, a ridimensionare una teologia non limitante le ?ansie
peccaminose? dei moderni. Salvaguardare la libertà creatrice dell'homo faber è infatti la prerogativa di Giovanni Pico della
Mirandola (neoplatonico sui generis) e Marsilio Ficino. Quando nel 1487 il primo convocò a Roma un congresso ecumenicamente
volto alla creazione di una filosofia universale, l'intento era quello di ridurre l'egemonia della provvidenza divina a sola creazione, a
impulso iniziale, e non al dominio ?marionettistico? sostenuto dalla Chiesa cattolica. Anche il Deismo, sorto dapprima in Gran
Bretagna per poi estendersi a Francia e Germania, avvertiva l'impulso universalistico di riunire tutti gli esseri razionali sotto un unico
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?culto?: quello del ?grande orologiaio?. Ma attenzione, tutto ciò è raggiungibile col solo uso della ragione, lungi dall'allearsi con le
presunte rivelazioni di un libro-feticcio. E non mancarono gli storici e i filosofi della natura che iniziarono ad immaginare una storia
? oltre che scevra di miracoli ? del tutto indifferente al creatore e impostata su una rigorosa ricerca empirica. Il Conte di Buffon e
Voltaire (1) azzardarono ciò che nemmeno il luciferino Machiavelli ? forse venuto ?troppo presto? ? azzardò esplicitamente:
l'Histoire naturelle (2) (1749-1789) del primo e Le Siècle de Louis XIV (1751) del secondo sono chiari tentativi, uno scientifico e
l'altro storico-culturale, di ricostruire un percorso umano e naturale demitizzato, non inficiato dalle interpretazioni delle Sacre
Scritture (passaggio obbligato per qualsiasi uomo considerato, fino ad allora, sano di mente). Tuttavia la Chiesa non smise di
bruciare libri e lanciare anatemi.
Ma, più che il passato, fu l'avvenire il teatro della nuova libertà dell'uomo. Le rivoluzioni socio-politiche del Settecento aprirono le
porte a nuove prospettive sociali e la nuova scienza sperimentale elaborata dalla modernità, sempre più affine ai desideri umani,
assecondò le fulgide menti razionali senza cadere nella ?tentazione della sintesi finale?. Il nuovo sapere scientifico è per definizione
provvisorio e funzionale alla vita dell'uomo. Di fatti il metodo sperimentale galileiano presuppone una continua messa al vaglio dei
risultati ottenuti tramite l'osservazione empirica e la formulazioni di ipotesi. In ambito scientifico il concetto di verità cambia aspetto
perdendo i suoi residui assolutistici e metafisici. Ovviamente bisogna fare attenzione a non generalizzare la situazione:
l'irrequietezza rinascimentale e moderna portò con sé numerosi tentativi sincretico-eclettistici di giustificazione del reale, di sintesi
di tradizione e nuove scoperte, di religione ed empiria. Da non dimenticare da un lato il puro Razionalismo metafisico di René
Descartes e dall'altro, come si accennava poco sopra, il Neoplatonismo umanista, il Panteismo spinoziano e il Deismo anglo-francese
? questi ultimi in realtà più impegnanti in un'affermazione di libertà dell'uomo che nella glorificazione del reale in quanto opera di
un creatore. La vera e propria fucina moderna ebbe libera espressione nei laboratori di ricerca scientifica, i quali influenzarono
gradualmente anche i restanti ambiti della vita dell'uomo. Fu probabilmente l'avvento del pensiero kantiano a consolidare l'idea di un
radicale criticismo, seppur ancora troppo sistematico, col quale analizzare l'intera realtà: Immanuel Kant, fervido cristiano, sospese il
giudizio su Dio, non essendo possibile a detta sua alcuna argomentazione razionale a riguardo. Ciò non significa abbandonare la
fede ma elevare ad autocoscienza la limitatezza umana ? se così si vuol chiamare l'impossibilità di dar ragione della divinità ? e la
pericolosità di un'immaginazione infondata ma fondante. La ragion critica è proprio questa modalità interrogativa che semina il
dubbio là dove in passato si raccolsero certezze.
Per completare adeguatamente questo abbozzo di genealogia del concetto di ragione sarebbe errato accomunare quella che abbiamo
chiamato la ragione strumentale degli scolastici all'accezione di ragione elaborata dall'Antichità, in particolare dall'esperienza greca
da cui facciamo risalire l'alba della nostra civiltà occidentale. È da considerare e da tener sempre presente che gli stessi umanisti, dai
quali la modernità ebbe lo slancio iniziale, intrapresero il loro arduo progetto rinnovatore all'insegna di una ?riscoperta degli
Antichi?. Il fascino di un'era precristiana (eppur) apparentemente (3) pervasa da un'idillica armonia tra uomo e mondo non poté non
catturare le ansie di uomini alla ricerca di migliori condizioni di vita, non appagati del sistema vigente. Probabilmente la poco
dogmatica condizione panteistica dei Greci, i quali incarnavano in figure ideali ? a cui credevano e non credevano ? le forze della
natura, rese fertile il terreno per lo sviluppo razionale degli uomini. Non a caso nacque qui la filosofia, l'amore per la sapienza. Ma
potrebbe anche essere l'esatto contrario, ossia che l'esigenza razionale degli uomini portò ad un paganesimo contraddittorio,
rispecchiante vizi e virtù degli uomini, rispetto ad un monoteismo castrante. È indifferente. Il vigore razionale dei Greci del VI
secolo a. C. in poi è inoppugnabile. Eppure tale ragione non può essere approssimata alla ratio critica dell'apice illuministico, o ancor
più a quella contemporanea. L'ansia di risposte programmò sistemi giustificativi che di razionale ebbero solo la forma. La stessa
solidità della schiavitù, della credenza della naturale inferiorità femminile, sono esempi di pregiudizi infondati, mai (?) sottoposti
all'esame della ragion critica. Non si vuole insinuare che i Greci errassero nella loro organizzazione sociale, poiché nemmeno oggi
sappiamo se i diritti umani, solo recentemente conquistati (e non in ogni luogo), siano ?naturalmente? in nostro possesso, ma che
nemmeno ponessero in dubbio la loro realtà sistematizzata denota una carenza di buon senso e di coscienza del divenire
dell'esistenza, del perenne mutamento dei caratteri. Per la verità Eraclito col suo Panta rei os potamòs c'era andato molto vicino, ma
nel teorizzare a principio fondativo il polemos cadde nella pericolosa ?tentazione della sintesi finale?, che annulla il ragionamento.
In definitiva, la ratio degli Antichi risulta più strumentale che critica, e seppur distante dai sofismi scolastici, fu indubbiamente
d'ispirazione anche ad essi.
Ora, possiamo affermare che il progetto moderno fu autonomo, solo di facciata ispiratosi alle direttive degli Antichi. O meglio,
quella degli umanisti fu un'idealizzazione funzionale al loro progetto eversivo, che mutuando alcuni caratteri antichi li trasformò in
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nuove armi riassestate da contrapporre al dogmatismo medievale. La ?riscoperta degli Antichi? fu una sorta di recupero dei dati da
essi seminati, i frutti dei quali non vennero mai raccolti a causa del cambiamento di rotta imposto dal Medioevo cristiano. La ripresa
e rivalutazione dei codici di Archimede, Euclide, Ippocrate, Galeno furono di inestimabile portata rivoluzionaria per le scienze e
coscienze moderne, giacché il sapere, assopito per secoli in castelli bui, esigeva una libera espressione e una continua revisione
verso il progresso, lungi dal configurarsi come Verità. Ciò che verosimilmente non cadde nell'idealizzazione, che fu degli stessi
Greci, è il recupero dei loro modelli stilistici nelle arti figurative, nella scultura e nell'architettura. Il rigoglio creativo che ammanta
l'evo moderno è ancora perfettamente visibile se solo si passeggia per le vie e le piazze di Firenze, Roma, Venezia.
Il metodo sperimentale ?antesignano? della ragion critica è dunque opera della modernità. Ed è questo concetto di ragione che la
cosiddetta ?filosofia della crisi? (meglio: ?filosofia della diagnosi della crisi?), militante nella pruriginosa mitteleuropa novecentesca
degli anni Venti e Trenta, non poté non tener fisso in mente nella spasmodica ricerca di una via d'uscita alla débâcle del sistema
contemporaneo ? cui siamo tuttora immersi. Sì perché dopo l'Illuminismo si affacciarono sulla scena europea i suoi due ingrati eredi,
Idealismo e Positivismo, i quali esasperarono il nostro bisogno di ragione procurandoci più danni di quelli che avrebbero voluto
risolvere. Ci troviamo qui ancora sul terreno della ragion strumentale. Ma quella che ci serve è una ragion critica, che però sappia
parlare anche la lingua dei sentimenti di cui ogni giorno ci nutriamo.
Note
1 Voltaire, dopo il soggiorno inglese e la conoscenza di Newton, andava proclamandosi deista, non riuscendo tramite la ragione a
darsi conto dell'ateismo, totalmente insufficiente nell'interpretare l'armonia cosmica ? chissà come sarebbero andate le cose se avesse
conosciuto Darwin! Nonostante tutto, il suo Le Siècle de Louis XIV appare un proposito genuinamente empirico di ricostruzione
storica.
2 Il progetto lanciato da Buffon avrà come erede e cuspide massima The Origin of Species (1859) di Charles Darwin. Con
quest'opera e la relativa teoria dell'evoluzione, ampliata e suffragata da nuovi studi empirici, l'?ipotesi? creazionistica e
provvidenzialistica divenne per il pensiero scientifico-filosofico (quasi) ? vedi il neoevoluzionismo americano ? definitivamente
oziosa. Tuttavia il pensiero darwiniano si innesta perfettamente in quel ?cieco? Ottocento positivistico indirizzato alla totale
razionalizzazione dell'immanenza del reale.
3 Almeno stando all'interpretazione tragica di Nietzsche.
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