multimedialità e performing arts di Valentina Valentini Questo

multimedialità e performing arts
di Valentina Valentini
Questo saggio si interroga sulle forme che ha assunto la
multimedialità (inclusione dei nuovi media come dispositivi
compositivi dello spettacolo) a partire dalle neo-avanguardie in
rapporto alle performing arts, premettendo che, dopo circa
trent’anni di sperimentazione, questo procedimento non esprime più
una
tendenza
estetica,
né
un’attitudine
sperimentale
e
avanguardistica come alle origini.
Considereremo da questa prospettiva, fenomeni come le performance
di body-art, le installazioni video e multimedia, gli spettacoli
teatrali.
Il concetto di multimedialità, ha attraversato in questi anni
slittamenti di senso rilevanti: dall'intermedialità del movimento
Fluxus, all'interdisciplinarietà della Performance- Art, basata
sulla ricerca degli elementi comuni minimi fra le arti, all'opera
totale della seconda metà degli anni '70 che giustapponeva in
funzione
spettacolare
media
differenti,
per
saturare
percettivamente uno spazio e intensificare il messaggio, l'opposto
della minimalità severa e ascetica della prima fase della
performance 1.
Lavoro di decostruzione analitica, autoriflessività, ricerca di
matrici minime comuni, hanno costituito il terreno fertile della
sperimentazione multimediale, dall'Happening, alla Performance
Art, nel cui ambito è nata la video-arte, veicolata
dalla nuova
estetica che professava lo sconfinamento nell'extra-artistico,
ossia fare qualcosa che non voleva più definirsi come arte e che
non si appellava ai valori di finitezza formale e abilità tecnica:
" Il tipo di lavoro che io, e la maggior parte degli artisti della
mia generazione abbiamo svolto, dichiara Vito Acconci, era legato
all'utilizzazione di metodi differenti, di materiali diversi che
capitavano a portata di mano. Non pensavamo all'arte come se fosse
confinata a media particolari; piuttosto pensavamo all'arte come
a un non - campo nel quale si potesse importare da qualsiasi altro
campo del mondo; era difficile, allora, glorificare il "nuovo",
perché non eravamo mai stati collegati con il vecchio e non ne
avevamo mai ricevuto committenze" (Acconci,1988:77).
I motivi di ordine estetico per cui gli artisti incominciarono a
usare il video sono molteplici: innanzitutto la dimensione
analitica,
autoriflessiva,
concettuale
e
di
rieducazione
percettiva che il dispositivo forniva, collocandosi in quell'area
di azzeramento degli specifici linguaggi che è stata la
Performance Art. Il mezzo elettronico appoggiava magnificamente la
tesi che l'arte visiva avrebbe dovuto liberarsi dell'oggetto a
favore dell'idea: Process Art, Arte Povera, Arte Concettuale sono
termini
diversi
per
indicare
una
medesima
predisposizione
estetica, che è essenzialmente quella di non separare l'opera
dall'artista che la produce e di sostituire l'opera con l'idea,
comunicata in vari modi, un'idea che non si fissa in un prodotto
finito.
L'aspetto del video certamente più
attraente, per gli artisti,
era la sua disponibilità a modificarsi, perfino a cancellarsi, in
sintonia con la nuova estetica che privilegiava la dimensione
processuale e esperenziale del fare artistico e concepiva l'opera
come qualcosa di non definitivo, ma in trasformazione come la
realtà. E' stata la possibilità di avere un feedback simultaneo
che ha stimolato l'approccio di Vito Acconci con il video : " La
capacità di vedere se stessi fare qualcosa nell'esatto momento in
cui la si sta facendo. Ho allora usato il video come un processo
conoscitivo, un dispositivo di correzione : potevo fare qualcosa potevo controllare ciò che stavo facendo, vedere come lo facevo,
scoprire dove sbagliavo - potevo correggere i miei errori e andare
avanti passo passo" ( Acconci, 1988: 77). Realizzare un film o un
video, per gli artisti visivi come Robert Morris, Richard Serra,
Bruce Nauman, era una esperienza che si inseriva nella natura
autoriflessiva e concettuale della loro pratica artistica. In
particolare, la produzione
video delle origini ( la prima metà
degli anni'70 ), è fatta di opere video concepite come performance
eseguite
dall'artista
esclusivamente
per
la
telecamera
e
registrate in tempo reale, differenti dalle documentazioni in
video delle performance di Body-Art, eseguite per il pubblico
presente.
Il video delle origini è uno specchio attraverso cui
il performer può scrutare le reazioni del proprio corpo in diverse
situazioni. E' la messa in scena del "guardare se stessi
guardarsi" che il dispositivo elettronico promuove, è il ruolo del
"performer", in azione:
davanti all'occhio della telecamera
l'artista riscopre il corpo umano, il volto, la carica di energia
impiegata in azioni elementari, come afferrare e sciogliere (cfr.
la serie di film brevi di Richard Serra, Hand Catching Lead...).Lo
schermo televisivo è la superficie su cui l'artista inscrive
gesti,
segni,
linee,
figure
geometriche
con
il
corpo
(F.E.Walther,1970).
Ma è anche, il video, uno spazio totale che include lo spettatore
e che attiva tutti i sensi, non solo la vista; uno spazio di
comunicazione interpersonale con uno spettatore assente e anonimo
al quale affidare messaggi politici, prescrizioni di rivolta,
ammaestramenti, confessioni private , come in Home Movies (1973) e
in Open Book (1974) di Vito Acconci.
La natura immateriale della performance, che si nega allo sguardo
dello spettatore, dandosi in spazi poco frequentati o addirittura
non "avvenendo" se non nella mente del performer che la racconta o
la
pensa
ma
non
la
realizza,
rendeva
indispensabile
la
documentazione video e fotografica, dal momento che costituiva
l'unica prova di un evento senza repliche : " tutte le performance
che abbiamo fatto, dice Marina Abramovich, non sono mai state
provate, mai ripetute e noi stessi ( lei e Ulay) non ne
conoscevamo la fine" ( Abramovich,1989 ).
Un altro soggetto ricorrente nelle opere video dei primi anni
'70, è la condizione dell'artista e del fare arte che viene
ironicamente denunciata nella serie dei quattro film brevi Art
Make up ( N.1, White, N.2 Pink, N.3 Green,N.4 Black) di Bruce
Nauman (1969) nei quali si vede l'artista che si applica sul viso
sulle braccia, sul torace, in ciascun film, un colore diverso, da
cui, letteralmente: fare l'artista è un ruolo sociale, che prevede
anch'esso , come l'attore, un rituale e una sua maschera.Che la
Body Art abbia significato un’affermazione del soggetto, in quanto
presenza assoluta, è stato già a suo tempo rilevato 2. Di fronte a
una telecamera fissa, in uno spazio vuoto in cui non c'è limite
fra sfondo e figura, artisti come Nauman, Acconci, Baldessari si
mettono in azione e, grazie al dispositivo elettronico della
ripresa in diretta, vedono se stessi fare qualcosa nell’esatto
momento in cui si sta facendo. Questo meccanismo, che connota il
video delle origini, si presta efficacemente a rappresentare il
dramma dell’io diviso, oltre che il costituirsi dell’autore come
spettatore, espressione dell’inscindibile nesso fra agire e
guardarsi
agire,
che
è
condizione
peculiare
della
autoreferenzialità dell’arte contemporanea, o per dirla con
Rosalind Krauss, della sua “riflessività”.
In queste opere dei primi anni Settanta, lo spazio disegnato da
telecamera e monitor diventa una palestra-laboratorio entro i cui
confini l’artista può, in solitudine, restando nel suo studio,
sperimentare una nuova grammatica di rapporti fra il corpo e lo
spazio, l’io e il tu, il soggetto e l’ambiente, il fisico e il
mentale.
.
lo spettatore- performer
Dall’interscambio
fra
arti
visive,
teatro
e
nuovi
media,
nell’alveo della performance e della scultura moderna, sono nate
nuove forme espressive ibride e liminali, le installazioni
multimediali, all’incrocio fra le arti dello spazio e le arti del
tempo in cui un ruolo centrale è giocato dai percorsi percettivi
dello spettatore nell’ambiente visivo e sonoro costruito per
accoglierlo.
Il lavoro di Studio Azzurro ( gruppo attivo a Milano sin dai
primi anni Ottanta ) è significativo in tal senso perché disegna
un
paesaggio in cui lo spettatore è messo a confronto con un
mondo in cui avvengono passaggi continui fra corpo e immagine,
organico e inorganico, finzione e realtà, essendo
vanificate le
opposizioni aristoteliche e euclidee.
Sin dalle prime installazioni - i video-ambienti - lo spettatore
intratteneva
con l’opera un rapporto dinamico e a più livelli
in cui non era privilegiata la percezione ottica-visiva, ma quella
multisensoriale e sinestetica
secondo cui, anziché abbracciare
l’opera globalmente e in un colpo solo, prolunga l’esperienza di
essa nel tempo.
A partire dagli anni Novanta, con la sperimentazione dei
dispositivi interattivi, il ruolo dello spettatore cambia: le
funzioni di errante e veggente cedono di fronte a quella
performativa, di uno spettatore al quale si richiede di mettersi
in azione, eseguire il compito previsto per lui, affinché l’opera
possa dispiegare le sue potenzialità e manifestarsi nella sua
interezza. In CORO (1995) lo spettatore calpestando i corpi nudi
proiettati sul tappeto, provoca
i loro movimenti e l’emissione
sonora il cui ritmo e intensità è variabile.” Con i suoi passi,
scrive Paolo Rosa, il visitatore potrà attivare le reazioni dei
personaggi, innescare un susseguirsi di voci, movimentare questa
massa di corpi, alzare il loro canto” ( Rosa,1997:200). La
dimensione
performativa
di
queste
opere
è
forte,
perché
l’attenzione è focalizzata su come possa nascere una immagine non
dal guardare, ma dal toccare, enfatizzando la decisione di agire,
mettersi in gioco, stare al gioco calcolato matematicamente dagli
autori. Il rischio e l’ambiguità in questo caso è quello di
esaltare la dimensione ludica, facendo credere allo spettatore di
dominare il dispositivo - come in un video-game - quanto in realtà
è dipendente dall’apparato telematico 3.
TEATRO e new Media
Protagonista dei movimenti di contestazione più radicale del
sistema dell'arte e dei suoi statuti, nel decennio '60-70, non è
stato il teatro. I nomi di Cage ,Maciunas, Vostell, Higgins,
Kaprow, La Monte Young, Nam June Paik, indicano una continuità che
da Fluxus arriva fino alla Performance Art e alle nuove pratiche
video, ma nessuno di loro proviene dal teatro, il loro terreno di
sperimentazione sono " gli intermedia", forme espressive nate
dalla combinazione e intersecazione di differenti linguaggi (
film, danza, musica). In 18 happenings in six parts ( Kaprow,
1968), lo spettatore, convocato tramite lettera, era invitato a
spostarsi attraverso tre stanze entro le quali avvenivano
simultaneamente delle azioni banali come camminare, lavarsi i
denti, dipingere, fare degli esercizi ginnici. L'idea base era che
l'opera dovesse svilupparsi in un ambiente come un organismo
vivente coinvolgendo lo spettatore. Colui che per primo ha
storicizzato il fenomeno, Michael Kirby (1968), l'ha assimilato al
teatro: l'happening è una nuova forma di teatro come il collage è
una nuova forma di pittura, pur individuando la sua origine negli
assemblages sulla tela, nei collages gestuali eseguiti velocemente
con i tipi più diversi di materiali, fino a riempire uno spazio.
La pratica teatrale del Living, di Grotowski, di Brook, di Barba che sono stati i modelli dei gruppi del nuovo teatro - era molto
lontano dall'idea di spettacolarità intermediale messa in scena
dagli happening, fondandosi sul laboratorio come luogo di ricerca
dove si forgia l'integrità psico-fisica del nuovo attore. Inserito
in un contesto culturale molto stimolante, alimentato dal
confronto con le tendenze artistiche di rottura, come l'arte
minimale o la nuova danza nordamericana di Simone Forti, Steve
Paxton,
Lucinda
Childs,
il
nuovo
teatro,
in
Italia,
in
particolare, conteneva in sé due diverse anime, a volte
contrastanti,
quella
cosiddetta
postmoderna
<la
nuova
spettacolarità>, erede del teatro immagine, attratta dalla
contaminazione con le nuove tecnologie e disposta a lasciarsi
modellizzare dall’immaginario e dagli apparati della cultura di
massa, mentre un’altra anima coltivava relazioni con le culture
del
corpo
extra-europee,
con
un
pensiero
fondato
più
sull'antropologia ( teatro-rito ) che sull'estetica (teatro-arte),
avversa, in sostanza, verso ogni pratica intermediale. Il teatro
ha reagito alla invadenza dei mass-media con la ricerca di una
impossibile "originarietà" fondata sul rito e sull'enfatizzazione
dell'espressione gestuale e corporea, convinto che, per poter
sopravvivere in una società che lo relegava a un ruolo marginale,
dovesse magnificare la propria specificità. Laddove questa ricerca
è stata condotta fino in fondo (Grotowski), ha portato alla
negazione del teatro e all'azione diretta in situazioni extraartistiche .
Molti dei protagonisti del nuovo teatro sono stati ideologicamente
avversi all'interferenza dei nuovi media nella loro pratica
teatrale, chi radicalmente come Jerzy Grotowski, altri praticando
una separazione fra
il teatro, il cinema e la televisione,
frequentati anch'essi, ma con un atteggiamento di minorità, come
se fossero pratiche inferiori. Le minacce al teatro arrivavano da
due fronti, dai nuovi media
tecnologici che raggiungevano un
pubblico vastissimo, e da quelle arti, come le arti visive che
avevano attraversato un processo di teatralizzazione. A differenza
del nuovo teatro, però, l'Arte Povera e l’arte concettuale, le due
tendenze
dominanti le arti visive, erano invece disponibili a
usare i nuovi media prodotti dalla civiltà industriale: i neon, il
videoregistratore, il film
e a far scontrare drammaticamente o
pacificamente "softness e hardness", natura e cultura.
Bisognerà aspettare la metà degli anni '70, affinché anche il
teatro si renda disponibile all'incontro con i nuovi media. Si
verifica in questo periodo, una intensa sperimentazione da parte
dei registi teatrali, dei dispositivi testuali e linguistici
portati dai nuovi media : lo spazio scenico si modella come la
superficie bidimensionale di una scena-schermo, in sintonia con
l'estetica della superficie" professata dall'arte postmoderna, su
cui si inscrivevano frammenti di immagini veloci e erranti, tratte
dall'universo dei consumi di massa, dai cartoon, dai videogame,
dalle
videoclip,
dai
film.
In
reazione
alla
severità
e
all'intellettualismo elitario delle neo-avanguardie, l'obbiettivo
è quello di conquistare il pubblico dei mass-media, tentando anche
di accedere al broadcast televisivo - in modo da coniugare,
secondo la formula di Laurie Anderson, "low art e high art",
spettacolo popolare e dimensione artistica. "Television art" è il
termine coniato per indicare il lavoro degli artisti impegnati a
realizzare programmi televisivi con finalità d'arte.
La risposta più comune a questa istanza di "adeguamento" del
teatro all'universo tecnologico è stata sia la immissione dei
nuovi media nel testo dello spettacolo, sia una messa in
circolazione di prodotti tecnologici (dischi, video, film).
Schematicamente potremmo individuare gli effetti della
pratica
multimediale in rapporto allo spettacolo nei tratti seguenti: la
reversibilità fra spazio e tempo, suono e immagine, vivente e
inerte; la supremazia del sonoro sul visuale e l'autonomia del
registro visivo rispetto a quello verbale; la tendenza a un
montaggio polifonico; il meccanismo della parodia che recupera
una " recycled imagery", tratta dal patrimonio culturale e
artistico esistente e dal mondo reale e quotidiano; la tendenza
all'oggettualità - una reazione alla riduzione del mondo in
immagine e alla derealizzazione del rapporto fra sé e il mondo; la
rappresentazione
non
lineare
del
tempo
e
la
sua
pluridimensionalità che fa concepire azioni di durata illimitata,
che accadono simultaneamente in più luoghi, un tempo in divenire,
dove sia il passato che il futuro sono vissuti come presente
reale.
L'esperienza
più
avanzata
in
Italia
di
integrazione
fra
dispositivi della scena teatrale e immagine elettronica, si è
avuta in Italia con gli spettacoli realizzati da Studio Azzurro e
Giorgio Barberio Corsetti. Sia in Prologo elettronico a diario
segreto contraffatto (1985) che ne La Camera Astratta (1987), il
dispositivo elettronico non è usato per trasmettere immagini già
registrate che immettono nel presente dell'azione scenica altri
mondi, tempi e spazi, né per duplicare quanto avviene in scena, ma
come feedback immediato, che dà in diretta le azioni reali che gli
attori compiono "qui e ora ", sul set predisposto dietro la scena,
per cui sia l'attore in immagine che l'attore in scena, sono
ambedue reali e vivi. Fra il video e il teatro, si stabilisce un
rapporto di reversibilità che manifesta una fase avanzata della
penetrazione
tecnologica
fra
i
due
media:
il
dispositivo
elettronico non è una protesi né per l'attore, né per lo
spettatore, ma una energia che trasforma lo statico in dinamico,
l'inerte in vivente, il corpo in immagine, in un processo che però
ha un'andata e un ritorno. Questi spettacoli sanciscono il
superamento della conflittualità fra corpo e macchina, la
compatibilità fra ritmi corporei e input elettronici, pur
esaltando le reciproche differenze. In Prologo , dove i corpi
degli attori, imprigionati dalle telecamere che li scrutano e li
controllano, li sezionano, li appiattiscono sulla superficie del
monitor, non c'è opposizione fra macchina e organismo vivente:
l'oggetto della contesa è la capacità dell'attore a essere
ambivalentemente,
sotto
sorveglianza
rigida
e
sfrenatamente
libero, a sopportare le due opposte polarità del dentro contenersi - e del fuori - sfrenarsi -a rapportarsi alla scena del
teatro e al set cinematografico e televisivo. Ne La Camera
Astratta, il dispositivo elettronico è assunto come spazio mentale
entro cui le cose avvengono, come spazio della meditazione intima
e del pensiero interiore ; ma è anche lo spazio dove il soggetto
ha l'esperienza del corpo fatto a pezzi, dello sradicamento da se
stesso e dai propri ricordi, dell'impossibilità di consistere nel
generale scivolare via turbinoso di parole e persone .
Uno spettacolo come Progetto Hiroshima di Robert Lepage ( 1994),
costruito sullo schema della soap opera televisiva, offre un
formidabile esempio della penetrazione di dispositivi multimediali
nella drammaturgia dello spettacolo teatrale.
Lo spazio scenico in cui lo spettacolo è
compresso è
bidimensionale, nel senso che le pareti di una casa, si
chiudendosi diventando schermi di proiezioni di immagini filmiche
e fotografiche, superfici specchianti che moltiplicano i corpi
degli attori per poi aprirsi e comporre spazi tridimensionali, fra
loro comunicanti. Il palcoscenico diventa così simile a uno
schermo televisivo sezionato, in orizzontale e verticale, dallo
squeeze in modo che su ogni riquadro possano scorrere immagini
differenti.
Dal momento che il palcoscenico è trasformato in un monitor, anche
la recitazione degli attori si uniforma a quella televisiva: non
ci sono né scene d’insieme, né “a solo” di attori alla ribalta, ma
solo interni
o la riduzione dell'esterno a interno, in cui gli
attori
dispiegano
una
gestualità
minuta,
mantenendo
con
eccezionale abilità l'espressione vocale su toni colloquiali,
proprio della comunicazione interpersonale che si instaura fra lo
speaker televisivo e lo spettatore.
Voyage au bout de la nuit
(Roma, Villa Medici, 6 luglio 2000) è
uno spettacolo-concerto della Socìetas Raffaello Sanzio, tratto
dal
romanzo di Louis-Ferdinand Céline dove il dispositivo
dominante è un
sound da discoteca cui si associa un registro
visivo da library,archivio di immagini…
La partitura sonora e vocale è volta a enfatizzare il tratto
peculiare
della scrittura di Céline: la deflagrazione
della
struttura sintattica della frase da cui scaturisce l’ipotesi su
cui si regge lo spettacolo-concerto: concepire una partitura in
cui
“ sembra di essere in mezzo a una battaglia dove i colpi, i
suoni, ti arrivano addosso come nebulizzati da tutte le parti “
(Voyage au bout de la nuit, Quaderno di lavoro di Chiara Guidi, pg.16). ). ” In questo
senso è una vera e propria partitura di musica concreta in cui la
notazione è inventata e richiede agli esecutori un allenamento a
gesti sonori insoliti per un attore,
perizia e invenzione.
Come un DJ visibile sulla scena con le sue
apparecchiature
tecnologiche
(
processori
digitali,computer,
sequencer,
campionatori ), Romeo Castellucci “emulsiona i suoni”, ovvero fa
coesistere nello stesso composto, in sospensione nello spazio del
vasto
e
buio
palcoscenico
i
suoni
elettronici
prodotti
tecnologicamente, con i suoni istantanei prodotti dai corpi dei
performer in scena (la voce ferma di Claudia
Castellucci e la
flessibilità modulare di Chiara Guidi con i gesti sonori di Silvia
Pasello ), rimanendo distinti, senza mescolarsi. Sono suoni presi
da fonti diverse, sia trovati che registrati appositamente, brani
musicali trattati
e resi irriconoscibili debitamente ordinati e
composti in partitura
(“ nel senso che c’è un grafico preciso,
voluto, calcolato e confezionato, esattamente come una mummia,
consegnato in modo tale che vada a toccare i tasti giusti delle
emozioni, che sono come strumenti e vanno suonate” ( ibidem: 16).
Le immagini proiettate su due schermi circolari alle spalle, sono
tratte da materiali di repertorio degli anni in cui è stato
scritto il libro e come tali hanno il potere di offrire un
contesto culturale epocale Queste immagini restituiscono alcune
mitologie tipiche della Raffaello Sanzio: l’erotismo panico nel
pullulare di semi, pesci, una sorta di ribollire dell’elemento
fecondante della natura, il tema della violanza e del sangue.
Nei gruppi di teatro più giovani, “la cosiddetta generazione
degli anni Novanta ( Motus, Teatrino Clandestino, Fanny &
Alexander, per nominare i più conosciuti anche in campo
internazionale), la multimedialità è struttura costruttiva, nel
senso che i loro spettacoli si collocano naturalmente in modo
trasversale a diversi codici ( la moda. la discoteca, il design,
la letteratura ), rispetto ai quali il teatro è una cornice,
fornisce un apparato non un territorio specifico di genere.
Twin Rooms, stanze gemelle ( Motus,2002), è uno spettacoloinstallazione complesso come composizione e povero come opera.
Nella scheda di presentazione così è descritto: ”stanze gemelle,
vicine affiancate, stanze d’hotel e uno schermo di uguali
dimensioni messo a contatto come una sorta di “room digitale” per
narrare parallelamente le stesse storie. Un doppio film o uno
spettacolo diviso in due? O un film ed uno spettacolo teatrale con
svolgimenti paralleli? ”L’occhio belva” delle telecamere penetrano
gli oggetti e gli attori, rivelando particolari dentro gli oggetti
e gli attori,
oppure tagliano e ricuciono salti temporali
mostrando flashback, retroscena di quello che continua ad
avvicendarsi nella stanza d’albergo. Schermo come affondo,
ulteriore livello drammaturgico e narrativo, dispositivo di
decodificazione dell’accadere scenico che penetra là dove il
teatro, con la sua magia, non può giungere:il dettaglio” .
NOTE
1. Per
conoscere a grandi linee la poetica e la storia della
Performance Art, si veda
The Art of Performance A Critical
Anthology, a cura di G. Battcock e R. Nickas. Ho trattato di
argomenti quali il rapporto fra video e arti visive e fra teatro e
nuovi media in varie pubblicazioni. Si vedano:
V. Valentini,
Teatro in Immagine,vol. I e vol II,
Bulzoni, Roma, 1987. Cfr
anche il volume di A. Cascetta
( a cura di ), Sipario !Uuno e
Sipario! Due, Rai, Nuova Eri, Roma ,1991; A. Ottai ( a cura di),
Il teatro e i suoi doppi Percorsio multimediali nella ricerca
dello spettacolo, Edizioni Kappa,Roma 1994.
2. Rosalind Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism
in New
Artists Video ( a cura di Gregory Battock, New York,E.P.
Dutton,1978, trad it. “Il video, l’estetica del narcisismo” ( a
cura di V. Valentini), Dal Vivo. Lithos, Roma 1998;
3.Cfr. il volume, Studio Azzurro ( a cura di V. Valentini)
Percorsi fra video cinema ,teatro, Electa, Milano,1995; cfr. V.
Valentini (a cura di ) La Camera astratta, tre spettacoli fra
teatro e video, Ubulibri, Milano, 1988.