multimedialità e performing arts di Valentina Valentini Questo saggio si interroga sulle forme che ha assunto la multimedialità (inclusione dei nuovi media come dispositivi compositivi dello spettacolo) a partire dalle neo-avanguardie in rapporto alle performing arts, premettendo che, dopo circa trent’anni di sperimentazione, questo procedimento non esprime più una tendenza estetica, né un’attitudine sperimentale e avanguardistica come alle origini. Considereremo da questa prospettiva, fenomeni come le performance di body-art, le installazioni video e multimedia, gli spettacoli teatrali. Il concetto di multimedialità, ha attraversato in questi anni slittamenti di senso rilevanti: dall'intermedialità del movimento Fluxus, all'interdisciplinarietà della Performance- Art, basata sulla ricerca degli elementi comuni minimi fra le arti, all'opera totale della seconda metà degli anni '70 che giustapponeva in funzione spettacolare media differenti, per saturare percettivamente uno spazio e intensificare il messaggio, l'opposto della minimalità severa e ascetica della prima fase della performance 1. Lavoro di decostruzione analitica, autoriflessività, ricerca di matrici minime comuni, hanno costituito il terreno fertile della sperimentazione multimediale, dall'Happening, alla Performance Art, nel cui ambito è nata la video-arte, veicolata dalla nuova estetica che professava lo sconfinamento nell'extra-artistico, ossia fare qualcosa che non voleva più definirsi come arte e che non si appellava ai valori di finitezza formale e abilità tecnica: " Il tipo di lavoro che io, e la maggior parte degli artisti della mia generazione abbiamo svolto, dichiara Vito Acconci, era legato all'utilizzazione di metodi differenti, di materiali diversi che capitavano a portata di mano. Non pensavamo all'arte come se fosse confinata a media particolari; piuttosto pensavamo all'arte come a un non - campo nel quale si potesse importare da qualsiasi altro campo del mondo; era difficile, allora, glorificare il "nuovo", perché non eravamo mai stati collegati con il vecchio e non ne avevamo mai ricevuto committenze" (Acconci,1988:77). I motivi di ordine estetico per cui gli artisti incominciarono a usare il video sono molteplici: innanzitutto la dimensione analitica, autoriflessiva, concettuale e di rieducazione percettiva che il dispositivo forniva, collocandosi in quell'area di azzeramento degli specifici linguaggi che è stata la Performance Art. Il mezzo elettronico appoggiava magnificamente la tesi che l'arte visiva avrebbe dovuto liberarsi dell'oggetto a favore dell'idea: Process Art, Arte Povera, Arte Concettuale sono termini diversi per indicare una medesima predisposizione estetica, che è essenzialmente quella di non separare l'opera dall'artista che la produce e di sostituire l'opera con l'idea, comunicata in vari modi, un'idea che non si fissa in un prodotto finito. L'aspetto del video certamente più attraente, per gli artisti, era la sua disponibilità a modificarsi, perfino a cancellarsi, in sintonia con la nuova estetica che privilegiava la dimensione processuale e esperenziale del fare artistico e concepiva l'opera come qualcosa di non definitivo, ma in trasformazione come la realtà. E' stata la possibilità di avere un feedback simultaneo che ha stimolato l'approccio di Vito Acconci con il video : " La capacità di vedere se stessi fare qualcosa nell'esatto momento in cui la si sta facendo. Ho allora usato il video come un processo conoscitivo, un dispositivo di correzione : potevo fare qualcosa potevo controllare ciò che stavo facendo, vedere come lo facevo, scoprire dove sbagliavo - potevo correggere i miei errori e andare avanti passo passo" ( Acconci, 1988: 77). Realizzare un film o un video, per gli artisti visivi come Robert Morris, Richard Serra, Bruce Nauman, era una esperienza che si inseriva nella natura autoriflessiva e concettuale della loro pratica artistica. In particolare, la produzione video delle origini ( la prima metà degli anni'70 ), è fatta di opere video concepite come performance eseguite dall'artista esclusivamente per la telecamera e registrate in tempo reale, differenti dalle documentazioni in video delle performance di Body-Art, eseguite per il pubblico presente. Il video delle origini è uno specchio attraverso cui il performer può scrutare le reazioni del proprio corpo in diverse situazioni. E' la messa in scena del "guardare se stessi guardarsi" che il dispositivo elettronico promuove, è il ruolo del "performer", in azione: davanti all'occhio della telecamera l'artista riscopre il corpo umano, il volto, la carica di energia impiegata in azioni elementari, come afferrare e sciogliere (cfr. la serie di film brevi di Richard Serra, Hand Catching Lead...).Lo schermo televisivo è la superficie su cui l'artista inscrive gesti, segni, linee, figure geometriche con il corpo (F.E.Walther,1970). Ma è anche, il video, uno spazio totale che include lo spettatore e che attiva tutti i sensi, non solo la vista; uno spazio di comunicazione interpersonale con uno spettatore assente e anonimo al quale affidare messaggi politici, prescrizioni di rivolta, ammaestramenti, confessioni private , come in Home Movies (1973) e in Open Book (1974) di Vito Acconci. La natura immateriale della performance, che si nega allo sguardo dello spettatore, dandosi in spazi poco frequentati o addirittura non "avvenendo" se non nella mente del performer che la racconta o la pensa ma non la realizza, rendeva indispensabile la documentazione video e fotografica, dal momento che costituiva l'unica prova di un evento senza repliche : " tutte le performance che abbiamo fatto, dice Marina Abramovich, non sono mai state provate, mai ripetute e noi stessi ( lei e Ulay) non ne conoscevamo la fine" ( Abramovich,1989 ). Un altro soggetto ricorrente nelle opere video dei primi anni '70, è la condizione dell'artista e del fare arte che viene ironicamente denunciata nella serie dei quattro film brevi Art Make up ( N.1, White, N.2 Pink, N.3 Green,N.4 Black) di Bruce Nauman (1969) nei quali si vede l'artista che si applica sul viso sulle braccia, sul torace, in ciascun film, un colore diverso, da cui, letteralmente: fare l'artista è un ruolo sociale, che prevede anch'esso , come l'attore, un rituale e una sua maschera.Che la Body Art abbia significato un’affermazione del soggetto, in quanto presenza assoluta, è stato già a suo tempo rilevato 2. Di fronte a una telecamera fissa, in uno spazio vuoto in cui non c'è limite fra sfondo e figura, artisti come Nauman, Acconci, Baldessari si mettono in azione e, grazie al dispositivo elettronico della ripresa in diretta, vedono se stessi fare qualcosa nell’esatto momento in cui si sta facendo. Questo meccanismo, che connota il video delle origini, si presta efficacemente a rappresentare il dramma dell’io diviso, oltre che il costituirsi dell’autore come spettatore, espressione dell’inscindibile nesso fra agire e guardarsi agire, che è condizione peculiare della autoreferenzialità dell’arte contemporanea, o per dirla con Rosalind Krauss, della sua “riflessività”. In queste opere dei primi anni Settanta, lo spazio disegnato da telecamera e monitor diventa una palestra-laboratorio entro i cui confini l’artista può, in solitudine, restando nel suo studio, sperimentare una nuova grammatica di rapporti fra il corpo e lo spazio, l’io e il tu, il soggetto e l’ambiente, il fisico e il mentale. . lo spettatore- performer Dall’interscambio fra arti visive, teatro e nuovi media, nell’alveo della performance e della scultura moderna, sono nate nuove forme espressive ibride e liminali, le installazioni multimediali, all’incrocio fra le arti dello spazio e le arti del tempo in cui un ruolo centrale è giocato dai percorsi percettivi dello spettatore nell’ambiente visivo e sonoro costruito per accoglierlo. Il lavoro di Studio Azzurro ( gruppo attivo a Milano sin dai primi anni Ottanta ) è significativo in tal senso perché disegna un paesaggio in cui lo spettatore è messo a confronto con un mondo in cui avvengono passaggi continui fra corpo e immagine, organico e inorganico, finzione e realtà, essendo vanificate le opposizioni aristoteliche e euclidee. Sin dalle prime installazioni - i video-ambienti - lo spettatore intratteneva con l’opera un rapporto dinamico e a più livelli in cui non era privilegiata la percezione ottica-visiva, ma quella multisensoriale e sinestetica secondo cui, anziché abbracciare l’opera globalmente e in un colpo solo, prolunga l’esperienza di essa nel tempo. A partire dagli anni Novanta, con la sperimentazione dei dispositivi interattivi, il ruolo dello spettatore cambia: le funzioni di errante e veggente cedono di fronte a quella performativa, di uno spettatore al quale si richiede di mettersi in azione, eseguire il compito previsto per lui, affinché l’opera possa dispiegare le sue potenzialità e manifestarsi nella sua interezza. In CORO (1995) lo spettatore calpestando i corpi nudi proiettati sul tappeto, provoca i loro movimenti e l’emissione sonora il cui ritmo e intensità è variabile.” Con i suoi passi, scrive Paolo Rosa, il visitatore potrà attivare le reazioni dei personaggi, innescare un susseguirsi di voci, movimentare questa massa di corpi, alzare il loro canto” ( Rosa,1997:200). La dimensione performativa di queste opere è forte, perché l’attenzione è focalizzata su come possa nascere una immagine non dal guardare, ma dal toccare, enfatizzando la decisione di agire, mettersi in gioco, stare al gioco calcolato matematicamente dagli autori. Il rischio e l’ambiguità in questo caso è quello di esaltare la dimensione ludica, facendo credere allo spettatore di dominare il dispositivo - come in un video-game - quanto in realtà è dipendente dall’apparato telematico 3. TEATRO e new Media Protagonista dei movimenti di contestazione più radicale del sistema dell'arte e dei suoi statuti, nel decennio '60-70, non è stato il teatro. I nomi di Cage ,Maciunas, Vostell, Higgins, Kaprow, La Monte Young, Nam June Paik, indicano una continuità che da Fluxus arriva fino alla Performance Art e alle nuove pratiche video, ma nessuno di loro proviene dal teatro, il loro terreno di sperimentazione sono " gli intermedia", forme espressive nate dalla combinazione e intersecazione di differenti linguaggi ( film, danza, musica). In 18 happenings in six parts ( Kaprow, 1968), lo spettatore, convocato tramite lettera, era invitato a spostarsi attraverso tre stanze entro le quali avvenivano simultaneamente delle azioni banali come camminare, lavarsi i denti, dipingere, fare degli esercizi ginnici. L'idea base era che l'opera dovesse svilupparsi in un ambiente come un organismo vivente coinvolgendo lo spettatore. Colui che per primo ha storicizzato il fenomeno, Michael Kirby (1968), l'ha assimilato al teatro: l'happening è una nuova forma di teatro come il collage è una nuova forma di pittura, pur individuando la sua origine negli assemblages sulla tela, nei collages gestuali eseguiti velocemente con i tipi più diversi di materiali, fino a riempire uno spazio. La pratica teatrale del Living, di Grotowski, di Brook, di Barba che sono stati i modelli dei gruppi del nuovo teatro - era molto lontano dall'idea di spettacolarità intermediale messa in scena dagli happening, fondandosi sul laboratorio come luogo di ricerca dove si forgia l'integrità psico-fisica del nuovo attore. Inserito in un contesto culturale molto stimolante, alimentato dal confronto con le tendenze artistiche di rottura, come l'arte minimale o la nuova danza nordamericana di Simone Forti, Steve Paxton, Lucinda Childs, il nuovo teatro, in Italia, in particolare, conteneva in sé due diverse anime, a volte contrastanti, quella cosiddetta postmoderna <la nuova spettacolarità>, erede del teatro immagine, attratta dalla contaminazione con le nuove tecnologie e disposta a lasciarsi modellizzare dall’immaginario e dagli apparati della cultura di massa, mentre un’altra anima coltivava relazioni con le culture del corpo extra-europee, con un pensiero fondato più sull'antropologia ( teatro-rito ) che sull'estetica (teatro-arte), avversa, in sostanza, verso ogni pratica intermediale. Il teatro ha reagito alla invadenza dei mass-media con la ricerca di una impossibile "originarietà" fondata sul rito e sull'enfatizzazione dell'espressione gestuale e corporea, convinto che, per poter sopravvivere in una società che lo relegava a un ruolo marginale, dovesse magnificare la propria specificità. Laddove questa ricerca è stata condotta fino in fondo (Grotowski), ha portato alla negazione del teatro e all'azione diretta in situazioni extraartistiche . Molti dei protagonisti del nuovo teatro sono stati ideologicamente avversi all'interferenza dei nuovi media nella loro pratica teatrale, chi radicalmente come Jerzy Grotowski, altri praticando una separazione fra il teatro, il cinema e la televisione, frequentati anch'essi, ma con un atteggiamento di minorità, come se fossero pratiche inferiori. Le minacce al teatro arrivavano da due fronti, dai nuovi media tecnologici che raggiungevano un pubblico vastissimo, e da quelle arti, come le arti visive che avevano attraversato un processo di teatralizzazione. A differenza del nuovo teatro, però, l'Arte Povera e l’arte concettuale, le due tendenze dominanti le arti visive, erano invece disponibili a usare i nuovi media prodotti dalla civiltà industriale: i neon, il videoregistratore, il film e a far scontrare drammaticamente o pacificamente "softness e hardness", natura e cultura. Bisognerà aspettare la metà degli anni '70, affinché anche il teatro si renda disponibile all'incontro con i nuovi media. Si verifica in questo periodo, una intensa sperimentazione da parte dei registi teatrali, dei dispositivi testuali e linguistici portati dai nuovi media : lo spazio scenico si modella come la superficie bidimensionale di una scena-schermo, in sintonia con l'estetica della superficie" professata dall'arte postmoderna, su cui si inscrivevano frammenti di immagini veloci e erranti, tratte dall'universo dei consumi di massa, dai cartoon, dai videogame, dalle videoclip, dai film. In reazione alla severità e all'intellettualismo elitario delle neo-avanguardie, l'obbiettivo è quello di conquistare il pubblico dei mass-media, tentando anche di accedere al broadcast televisivo - in modo da coniugare, secondo la formula di Laurie Anderson, "low art e high art", spettacolo popolare e dimensione artistica. "Television art" è il termine coniato per indicare il lavoro degli artisti impegnati a realizzare programmi televisivi con finalità d'arte. La risposta più comune a questa istanza di "adeguamento" del teatro all'universo tecnologico è stata sia la immissione dei nuovi media nel testo dello spettacolo, sia una messa in circolazione di prodotti tecnologici (dischi, video, film). Schematicamente potremmo individuare gli effetti della pratica multimediale in rapporto allo spettacolo nei tratti seguenti: la reversibilità fra spazio e tempo, suono e immagine, vivente e inerte; la supremazia del sonoro sul visuale e l'autonomia del registro visivo rispetto a quello verbale; la tendenza a un montaggio polifonico; il meccanismo della parodia che recupera una " recycled imagery", tratta dal patrimonio culturale e artistico esistente e dal mondo reale e quotidiano; la tendenza all'oggettualità - una reazione alla riduzione del mondo in immagine e alla derealizzazione del rapporto fra sé e il mondo; la rappresentazione non lineare del tempo e la sua pluridimensionalità che fa concepire azioni di durata illimitata, che accadono simultaneamente in più luoghi, un tempo in divenire, dove sia il passato che il futuro sono vissuti come presente reale. L'esperienza più avanzata in Italia di integrazione fra dispositivi della scena teatrale e immagine elettronica, si è avuta in Italia con gli spettacoli realizzati da Studio Azzurro e Giorgio Barberio Corsetti. Sia in Prologo elettronico a diario segreto contraffatto (1985) che ne La Camera Astratta (1987), il dispositivo elettronico non è usato per trasmettere immagini già registrate che immettono nel presente dell'azione scenica altri mondi, tempi e spazi, né per duplicare quanto avviene in scena, ma come feedback immediato, che dà in diretta le azioni reali che gli attori compiono "qui e ora ", sul set predisposto dietro la scena, per cui sia l'attore in immagine che l'attore in scena, sono ambedue reali e vivi. Fra il video e il teatro, si stabilisce un rapporto di reversibilità che manifesta una fase avanzata della penetrazione tecnologica fra i due media: il dispositivo elettronico non è una protesi né per l'attore, né per lo spettatore, ma una energia che trasforma lo statico in dinamico, l'inerte in vivente, il corpo in immagine, in un processo che però ha un'andata e un ritorno. Questi spettacoli sanciscono il superamento della conflittualità fra corpo e macchina, la compatibilità fra ritmi corporei e input elettronici, pur esaltando le reciproche differenze. In Prologo , dove i corpi degli attori, imprigionati dalle telecamere che li scrutano e li controllano, li sezionano, li appiattiscono sulla superficie del monitor, non c'è opposizione fra macchina e organismo vivente: l'oggetto della contesa è la capacità dell'attore a essere ambivalentemente, sotto sorveglianza rigida e sfrenatamente libero, a sopportare le due opposte polarità del dentro contenersi - e del fuori - sfrenarsi -a rapportarsi alla scena del teatro e al set cinematografico e televisivo. Ne La Camera Astratta, il dispositivo elettronico è assunto come spazio mentale entro cui le cose avvengono, come spazio della meditazione intima e del pensiero interiore ; ma è anche lo spazio dove il soggetto ha l'esperienza del corpo fatto a pezzi, dello sradicamento da se stesso e dai propri ricordi, dell'impossibilità di consistere nel generale scivolare via turbinoso di parole e persone . Uno spettacolo come Progetto Hiroshima di Robert Lepage ( 1994), costruito sullo schema della soap opera televisiva, offre un formidabile esempio della penetrazione di dispositivi multimediali nella drammaturgia dello spettacolo teatrale. Lo spazio scenico in cui lo spettacolo è compresso è bidimensionale, nel senso che le pareti di una casa, si chiudendosi diventando schermi di proiezioni di immagini filmiche e fotografiche, superfici specchianti che moltiplicano i corpi degli attori per poi aprirsi e comporre spazi tridimensionali, fra loro comunicanti. Il palcoscenico diventa così simile a uno schermo televisivo sezionato, in orizzontale e verticale, dallo squeeze in modo che su ogni riquadro possano scorrere immagini differenti. Dal momento che il palcoscenico è trasformato in un monitor, anche la recitazione degli attori si uniforma a quella televisiva: non ci sono né scene d’insieme, né “a solo” di attori alla ribalta, ma solo interni o la riduzione dell'esterno a interno, in cui gli attori dispiegano una gestualità minuta, mantenendo con eccezionale abilità l'espressione vocale su toni colloquiali, proprio della comunicazione interpersonale che si instaura fra lo speaker televisivo e lo spettatore. Voyage au bout de la nuit (Roma, Villa Medici, 6 luglio 2000) è uno spettacolo-concerto della Socìetas Raffaello Sanzio, tratto dal romanzo di Louis-Ferdinand Céline dove il dispositivo dominante è un sound da discoteca cui si associa un registro visivo da library,archivio di immagini… La partitura sonora e vocale è volta a enfatizzare il tratto peculiare della scrittura di Céline: la deflagrazione della struttura sintattica della frase da cui scaturisce l’ipotesi su cui si regge lo spettacolo-concerto: concepire una partitura in cui “ sembra di essere in mezzo a una battaglia dove i colpi, i suoni, ti arrivano addosso come nebulizzati da tutte le parti “ (Voyage au bout de la nuit, Quaderno di lavoro di Chiara Guidi, pg.16). ). ” In questo senso è una vera e propria partitura di musica concreta in cui la notazione è inventata e richiede agli esecutori un allenamento a gesti sonori insoliti per un attore, perizia e invenzione. Come un DJ visibile sulla scena con le sue apparecchiature tecnologiche ( processori digitali,computer, sequencer, campionatori ), Romeo Castellucci “emulsiona i suoni”, ovvero fa coesistere nello stesso composto, in sospensione nello spazio del vasto e buio palcoscenico i suoni elettronici prodotti tecnologicamente, con i suoni istantanei prodotti dai corpi dei performer in scena (la voce ferma di Claudia Castellucci e la flessibilità modulare di Chiara Guidi con i gesti sonori di Silvia Pasello ), rimanendo distinti, senza mescolarsi. Sono suoni presi da fonti diverse, sia trovati che registrati appositamente, brani musicali trattati e resi irriconoscibili debitamente ordinati e composti in partitura (“ nel senso che c’è un grafico preciso, voluto, calcolato e confezionato, esattamente come una mummia, consegnato in modo tale che vada a toccare i tasti giusti delle emozioni, che sono come strumenti e vanno suonate” ( ibidem: 16). Le immagini proiettate su due schermi circolari alle spalle, sono tratte da materiali di repertorio degli anni in cui è stato scritto il libro e come tali hanno il potere di offrire un contesto culturale epocale Queste immagini restituiscono alcune mitologie tipiche della Raffaello Sanzio: l’erotismo panico nel pullulare di semi, pesci, una sorta di ribollire dell’elemento fecondante della natura, il tema della violanza e del sangue. Nei gruppi di teatro più giovani, “la cosiddetta generazione degli anni Novanta ( Motus, Teatrino Clandestino, Fanny & Alexander, per nominare i più conosciuti anche in campo internazionale), la multimedialità è struttura costruttiva, nel senso che i loro spettacoli si collocano naturalmente in modo trasversale a diversi codici ( la moda. la discoteca, il design, la letteratura ), rispetto ai quali il teatro è una cornice, fornisce un apparato non un territorio specifico di genere. Twin Rooms, stanze gemelle ( Motus,2002), è uno spettacoloinstallazione complesso come composizione e povero come opera. Nella scheda di presentazione così è descritto: ”stanze gemelle, vicine affiancate, stanze d’hotel e uno schermo di uguali dimensioni messo a contatto come una sorta di “room digitale” per narrare parallelamente le stesse storie. Un doppio film o uno spettacolo diviso in due? O un film ed uno spettacolo teatrale con svolgimenti paralleli? ”L’occhio belva” delle telecamere penetrano gli oggetti e gli attori, rivelando particolari dentro gli oggetti e gli attori, oppure tagliano e ricuciono salti temporali mostrando flashback, retroscena di quello che continua ad avvicendarsi nella stanza d’albergo. Schermo come affondo, ulteriore livello drammaturgico e narrativo, dispositivo di decodificazione dell’accadere scenico che penetra là dove il teatro, con la sua magia, non può giungere:il dettaglio” . NOTE 1. Per conoscere a grandi linee la poetica e la storia della Performance Art, si veda The Art of Performance A Critical Anthology, a cura di G. Battcock e R. Nickas. Ho trattato di argomenti quali il rapporto fra video e arti visive e fra teatro e nuovi media in varie pubblicazioni. Si vedano: V. Valentini, Teatro in Immagine,vol. I e vol II, Bulzoni, Roma, 1987. Cfr anche il volume di A. Cascetta ( a cura di ), Sipario !Uuno e Sipario! Due, Rai, Nuova Eri, Roma ,1991; A. Ottai ( a cura di), Il teatro e i suoi doppi Percorsio multimediali nella ricerca dello spettacolo, Edizioni Kappa,Roma 1994. 2. Rosalind Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism in New Artists Video ( a cura di Gregory Battock, New York,E.P. Dutton,1978, trad it. “Il video, l’estetica del narcisismo” ( a cura di V. Valentini), Dal Vivo. Lithos, Roma 1998; 3.Cfr. il volume, Studio Azzurro ( a cura di V. Valentini) Percorsi fra video cinema ,teatro, Electa, Milano,1995; cfr. V. Valentini (a cura di ) La Camera astratta, tre spettacoli fra teatro e video, Ubulibri, Milano, 1988.