Social network in crisi? Dal flop di Facebook in borsa al mercato dei

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Social network in crisi? Dal flop di Facebook in borsa al
mercato dei falsi followers su Twitter
di Claudia Mura
Cosa succede ai social network? Il titolo di Facebook crolla subito dopo il collocamento in Borsa e
cresce il numero di investitori che avviano un'azione collettiva contro il gruppo di Zuckerberg,
investitori come General Motors annunciano di avere ritirato la pubblicità dalle pagine della casa di Palo
Alto e crescono i social network di nicchia. Non va meglio a Twitter che viene abbandonata da un
numero crescente di vip (o topfollowed) ed è scossa dallo scandalo del mercato dei falsi followers.
Abbiamo analizzato il fenomeno con Marco Camisani Calzolari, esperto del mondo Internet e
docente all’università Iulm in comunicazione aziendale e linguaggi digitali, balzato agli onori delle
cronache negli ultimi giorni proprio per avere denunciato il fenomeno dei falsi followers.
Professor Camisani Calzolari, partiamo da Facebook che, lanciata sul mercato finanziario a
38 dollari, ha già perduto il 20% del suo valore. Si tratta di un flop solo borsistico o è il
sintomo di una crisi più profonda?
“Distinguiamo la bontà delle varie piattaforme digitali dal valore che hanno nel mondo della finanza,
perché sono due cose davvero differenti. Il business e la capacità di generare reddito di un’azienda è
cosa diversa dalla quotazione in Borsa. Le due cose si toccano ma la ragione per cui Facebook è
crollata sui mercati dipende più da Morgan Stanley ed è legata a meccanismi lontani dal digitale, molto
più vicini a finanza e speculazioni.”
Il titolo è stato sopravvalutato in collocazione?
“Non ho dubbi. Non mi occupo di finanza ma sicuramente il titolo è stato sopravvalutato e stiamo
parlando di valori almeno doppi rispetto al reale. Non si può quantificare così un prodotto come
Facebook.”
Qualcuno sostiene che i conti siano stati truccati.
“Sì, l’ho letto. Tuttavia sono giochi e logiche di finanza. Non guardiamo Internet con gli occhiali della
finanza altrimenti facciamo come nel 2001. Allora il boom tirò dentro quel lavandino tutti, nel bene e
nel male e dopo lo scoppio della bolla nessun investitore si è più voluto avvicinare a Internet. Nel
frattempo la Rete è cresciuta talmente tanto che le hanno dovuto dare un altro nome: 2.0. Tornando
alla valutazione, posso dire che quello dei social network è un mondo estremamente difficile da
interpretare e valutare, le dinamiche sono spesso questione di dettagli. È necessario avere una buona
conoscenza del contesto per cogliere le differenze fra prodotti e il loro vero valore all’interno di un
mercato in cui i modelli di business spesso non sono chiari neanche ai maggiori esperti. Secondo me la
Borsa è l’ultimo indicatore da valutare per conoscere le reali potenzialità di un prodotto, già lo è poco
per le materie prime, figuriamoci il resto.”
Quindi qual è il valore di Facebook?
“Sicuramente come prodotto ha un valore strategico enorme a lungo termine. Perché oggi rappresenta
il bacino di utenti più grande. Ci sono persone che usano solo Facebook per comunicare, non
impiegano più mail o sms e scelgono di servirsi di una sola applicazione spesso dal mobile, senza
passare dal Web. La dipendenza che molti hanno da questo tipo di comunicazione è concreta.”
Però General Motors, il terzo investitore negli Usa per capitali collocati, ha ritirato la
pubblicità affermando che gli utenti non cliccano nei bottoni pubblicitari.
“Ma questa è una vecchia storia. Gli utenti non cliccano sui bottoni della pubblicità su Facebook, lo
sappiamo. Ma il valore numerico degli utenti dobbiamo cancellarlo dai parametri utili a valutare il
fenomeno. Il ranking indicatore della pubblicità tradizionale, quella analogica, è molto facile da
interpretare ma non vale più nulla. Non contano più i clic, conta il coinvolgimento, la relazione che
un’azienda intrattiene col cliente prima della vendita, durante e dopo. Le relazioni vanno al di là degli
strumenti. Quelle fra utenti e aziende sono molto simili a quelle tra privati, e nelle relazioni umane gli
indicatori non contano, i rapporti sociali sfuggono alle mere valutazioni numeriche, dipendono dai
luoghi e dai modi in cui vengono curate. E per gestire le relazioni in questo modo le aziende devono
mettere in campo energie, mezzi e soldi."
Quindi la pubblicità on line non rende abbastanza se trattata così e paradossalmente
bisogna investire di più?
“Sì, deve cambiare completamente il rapporto con gli utenti, perché non basta toccare l’utente una
volta per contagiarlo, bisogna instaurare un rapporto e averne cura. Ecco perché oggi GM va via e
succede che alcune agenzie e i centri media comprino pacchetti di fan per i propri clienti. È un mercato
che, come tutti i mercati, ha una domanda e un’offerta. Se le aziende comprano fan e ‘mi piace’ per
dimostrare di averne di più dei propri concorrenti, ci sarà sempre qualcuno che glieli vende. È per
questo che la maggior parte delle web agency ha smesso di fare siti e fa Facebook.”
Osservazione ingenua: ma così è tutto finto, è come se ci si comprasse la reputazione
anziché guadagnarsela.
“Però quelli bravi ci sono. Ci sono aziende che realmente gestiscono le relazioni coi clienti e lo fanno
bene. Io non posso demandare a un’agenzia la gestione dei miei rapporti personali, nemmeno attori o
personaggi famosi se lo possono permettere. Le relazioni te le devi gestire da solo, l’intermediazione
non funziona. E allora serve che ci sia del personale dedicato che gestisca le cose in modo aperto e
trasparente a prescindere da quanti ‘like’ si raccolgono.”
E qui veniamo al fenomeno da lei denunciato: quello dei falsi followers su Twitter e dei falsi
account che cliccano su “Mi piace” per chi vuole sfoggiare un numero di “affezionati” che
non corrisponde alla realtà.
“Numeri che non varrebbero comunque nulla.”
Perché a me utente poco o niente importa se quella pagina piace a 10mila persone o a
100?
“Sì, anche se in parte un effetto lo può avere: in genere è più difficile che si entri in un ristorante vuoto,
attrae di più quello pieno. A me però interessava togliere il coperchio a un vaso di Pandora dentro il
quale c’è di tutto. Tant’è che dopo le mie dichiarazioni, a parte i tanti ‘bravo, era ora che qualcuno lo
dicesse’, ci sono stati molti ‘vergogna, così ci rovini il mercato’. Ma tra gli addetti ai lavori il fenomeno
era noto. Era ora che lo fosse anche per gli altri, soprattutto i direttori marketing e comunicazione delle
aziende. Perché i centri media sono il nucleo di smistamento dei finti followers e finti fan.”
A parte i “vergogna”, lei ha però ricevuto anche delle minacce.
“Sì, non sono state minacce all’incolumità fisica. Mi hanno scritto di preoccuparmi per le mie attività,
che mi avrebbero tenuto d’occhio e avrebbero ovunque tentato di diffamarmi o di fare i detrattori delle
mie attività. Chi ha quel mercato in mano e sa come usarlo anche in modo poco etico, se può muovere
numeri importanti su un “mi piace”, poi ci mette poco a creare una pagina intitolata ‘abbasso tizio’ con
5mila like.”
C’è chi preconizza la crisi di Facebook a vantaggio di social network di nicchia. In effetti le
comunità virtuali a tema sono in costante crescita ma possono davvero impensierire
Zuckerberg?
“Impensierire sì, perché è vero che crescono gli abbandoni del social network di massa per rifugiarsi in
luoghi virtuali meno affollati dedicati a singoli elementi di condivisione. Il complesso dei social network
verticali, delle nicchie è destinato a superare Facebook, non nell’immediato ma la direzione è quella.
Tuttavia parlare di crisi di Facebook è prematuro.”
Collegamento diretto:
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/12/05/marco-camisani-calzolari-facebook.html
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