Le previsioni per l`economia italiana

ISTITUTO DI STUDI E
ANALISI ECONOMICA
Rapporto ISAE
Le previsioni
per l’economia italiana
L’Italia nell’integrazione europea
Marzo 2007
Il Rapporto è frutto del lavoro collettivo di un gruppo di ricercatori dell’ISAE coordinati da
Sergio de Nardis. In particolare, i testi sono stati redatti da: Maurizio Bovi, Cristina
Brandimarte, Sandro Calabresi, Roberta De Santis, Marco Fioramanti, Alessandro Girardi,
Andrea Imperia, Massimo Mancini, Maria Cristina Mercuri, Chiara Oldani, Carmine
Pappalardo, Giovanni Principe, Daniela Rossi, Franco Sartori, Luisa Sciandra e Claudio
Vicarelli.
Per la parte: L’Italia nell’integrazione europea, gli autori sono:
- Roberto Basile e Marianna Mantuano (capitolo 1);
- Roberta De Santis e Claudio Vicarelli (capitolo 2);
- Tatiana Cesaroni e Carmine Pappalardo (capitolo 3);
- Mauro Costantini, Sergio de Nardis e Massimo Mancini (capitolo 4).
Si ringraziano per l’assistenza Emma De Angelis e Paolo Fanfoni.
La composizione editoriale è stata curata da Maurizio Brioni e Fernanda Turella dell’area
“Servizi editoriali e grafici” dell’Istituto, diretta da Silvia Fanfoni.
Il Rapporto è stato chiuso con le informazioni disponibili al 26 marzo 2007.
“ RAPPORTO ISAE ” - Registrazione del Tribunale di Roma n° 136/2005 dell’11 aprile 2005
Direttore Responsabile: prof. Alberto Majocchi
ISTITUTO DI STUDI E ANALISI ECONOMICA
ISAE - Roma - Piazza dell’Indipendenza, 4 - 00185
STAMPATO PRESSO LA SEDE DELL’ISTITUTO - marzo 2007
INDICE
Introduzione e sintesi .....................................................................................................v
Economia internazionale e area euro: evoluzione recente e previsioni 2007-2008
Tendenze del quadro internazionale ........................................................................... 1
Crescita, cambi, prezzi delle materie prime e commercio mondiale ...........................3
Maggiori economie avanzate ...................................................................................... 6
Aree emergenti .......................................................................................................... 11
Area dell’euro ........................................................................................................... 14
Politica monetaria e mercati finanziari nell’area dell’euro ........................................18
Economia italiana: evoluzione recente
Offerta ....................................................................................................................... 27
Riquadro: Trasformazioni dell’industria italiana ......................................................42
Domanda nazionale ....................................................................................................54
Scambi con l’estero ....................................................................................................58
Riquadro: Competitività di prezzo dell’Italia per settori e per paesi .........................66
Mercato del lavoro .....................................................................................................79
Riquadro: Un confronto preliminare sull’andamento della produttività
settoriale nell’area euro e in Italia nel periodo 1970-2004 ......................86
Prezzi .........................................................................................................................90
Finanza pubblica ........................................................................................................95
Riquadro: La manovra di finanza pubblica per il 2006 ...........................................103
Previsioni per l’Italia 2007-2008 ...............................................................................111
Riquadro: La manovra di finanza pubblica per il 2007 ...........................................133
L’Italia nell’integrazione europea
1 Cambiamenti nella geografia economica europea dopo il mercato unico e
la creazione dell’Unione monetaria: la collocazione delle industrie italiane ..........145
2 Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri.
La posizione competitiva dell’Italia .........................................................................185
Riquadro: Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale:
lo stimatore “System GMM” ..................................................................190
3 Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione: specificità dell’economia e
dell’industria italiana ...............................................................................................207
4 Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato
del lavoro italiano .....................................................................................................251
Introduzione e sintesi
UNA PROSPETTIVA MIGLIORE
Il 2006 è stato un anno positivo per l’Italia. Le stime ISAE per il
biennio successivo confermano, a condizione che il quadro internazionale regga, l’abbandono del sentiero di “crescita zero”, in cui il nostro
sistema sembrava essersi impantanato nei primi anni duemila, e il possibile ritorno verso dinamiche annuali più robuste – leggermente inferiori al 2% - simili a quelle che caratterizzavano la seconda metà del
decennio novanta: ritmi di per sé non eccelsi, ma neanche disprezzabili
se si tiene conto del periodo da cui si proviene e del fatto che, data la
bassa demografia, tali andamenti corrispondono a evoluzioni di analoga entità nelle grandezze pro-capite. Essi potrebbero costituire la base
per un più deciso rafforzamento del potenziale produttivo che sarebbe
consentito da interventi di ammodernamento in quei settori dell’economia e della vita civile su cui non può operare l’azione di spinta all’efficienza derivante dalla pressione concorrenziale internazionale.
Che fosse in corso un miglioramento delle possibilità di crescita
italiane i previsori lo avevano messo in conto, ma – come spesso avviene nei punti di svolta e allo sbocco di complessi processi di ristrutturazione – avevano sottostimato l’intensità della ripresa. Se si ripercorre
la congiuntura delle previsioni, si vede che all’inizio dello scorso anno
gli analisti (incluso l’ISAE) accreditavano al più un aumento dell’attività economica dell’1-1,4% per il 2006; la stima si era a fatica innalzata nei successivi round previsivi, spostandosi all’1,4-1,5% in estate;
solo nei quadri predisposti negli ultimi mesi dell’anno si era giunti a
prospettare incrementi dell’1,7-1,8%. La sottovalutazione, beninteso,
non aveva riguardato solo l’Italia, ma l’intera area europea, vista ancora a debita distanza (alla deriva secondo gli osservatori più negativi) rispetto agli Stati Uniti. Lo scetticismo della gran parte delle analisi si
concentrava, tuttavia, soprattutto sull’Italia, per la quale – al di là dei
numeri più o meno fiacchi proposti in previsione – si giudicava preclu-
-v-
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
sa, date le inerzie strutturali che sembravano caratterizzare il sistemaPaese, ogni possibilità di aggiustamento, a meno che non si mettessero
in campo profonde riforme di politica economica (dal capitale umano,
alle infrastrutture, alle liberalizzazioni), tutte in sé potenzialmente virtuose per il sostegno allo sviluppo, ma che richiedono tempo per dare i
frutti sperati.
Un aggiustamento, invece, si è verificato. Esso è stato spontaneo
(senza cioè l’intervento del policy maker), è risultato guidato dalle forze della competizione globale (il mercato), ha riguardato i settori maggiormente esposti alla concorrenza estera, si è plasmato sulle
caratteristiche strutturali della nostra economia (dotazione dei fattori,
vantaggi tecnologici, eredità storiche, assetti istituzionali). Esso, inoltre, si è realizzato in un quadro di tendenze della finanza pubblica sostanzialmente migliore di quanto si temeva; un dato che può avere,
anch’esso, implicazioni per le potenzialità di crescita di lungo periodo
del sistema produttivo.
L’ISAE ha cercato, in questi anni, di scavare sotto la crosta della
deludente performance macroeconomica, argomentando i motivi di infondatezza che si riteneva inficiassero il paradigma interpretativo del
declino nelle sue varie sfumature (Rapporto di febbraio 2005), tentando poi di fornire evidenze sulle trasformazioni in atto nel prolungato
periodo di crisi industriale (Rapporto di febbraio 2006), studiando infine le caratteristiche dell’atipico ciclo negativo degli anni duemila alla
ricerca del un punto di svolta (individuato nei primi mesi del 2005) alla
fase di stagnazione dell’economia (Rapporto di luglio 2006). Nel presente Rapporto proseguiamo, ancor più, in questa direzione perché riteniamo che gli sviluppi degli ultimi anni – tra complesso adattamento
all’euro, pressioni concorrenziali globali e cambiamenti nei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro – abbiano imbrogliato
non poco le carte, complicando la lettura delle vicende italiane e finendo col fare apparire amplificata oltremisura anche la gravità di (pur
presenti) fenomeni negativi, come la stasi della produttività e la perdita
competitiva, dando adito a ipotesi molto pessimistiche di regresso
strutturale del Paese.
- vi -
Introduzione e sintesi
LA RISTRUTTURAZIONE
Il punto d’attacco dell’analisi è l’osservazione che la ripresa italiana manifestatasi nel 2006 (ma in atto dall’anno precedente), pur essendo un fenomeno ciclico legato al risveglio europeo e al ritorno, dopo
lunga latitanza, della locomotiva tedesca, trova un fondamento nel processo di ristrutturazione operato negli ultimi anni dalle imprese manifatturiere: il recupero del ciclo ha, quindi, costituito un’evoluzione
condivisa con l’area europea; esso ha consentito di portare alla luce i
risultati dell’aggiustamento italiano.
Poiché l’intensificazione delle spinte competitive sulla nostra economia sono state (quasi esclusivamente) di ordine internazionale, il
settore che “ha dovuto” reagire, aggiustandosi e riorganizzandosi, è
stato quello esposto alla concorrenza estera, vale a dire, fondamentalmente, l’industria manifatturiera. Si individuano due principali spinte
al cambiamento italiano indotte dalla globalizzazione: l’integrazione
della Cina nei mercati mondiali e l’adesione all’euro (in quest’ultimo
caso, si tratta di una globalizzazione alle “porte di casa”, ma portata ai
massimi livelli). Mentre per le pressioni competitive cinesi l’effetto è
presto detto, essendosi concretizzato in una formidabile spinta allo
spiazzamento dei prodotti di fascia bassa nei settori di tradizionale specializzazione della nostra industria, per l’euro le ripercussioni sembrano più complesse. Esse si sono sostanziate certamente
nell’adattamento dei produttori alla perdita di quell’importante strumento di aggiustamento, molto usato in passato dall’Italia, costituito
dal tasso di cambio. Non è stato, però, solo questo. L’approfondimento
dell’integrazione, che ha raggiunto un culmine con la moneta unica, si
è accompagnato ad alcune modifiche nella geografia economica europea e ha indotto asimmetrici effetti di impulso agli scambi intra-area,
rispetto a cui l’Italia si è trovata in posizione atipica e, in parte, relativamente svantaggiata, con non banali ripercussioni, tra l’altro, sulla
convergenza ciclica del nostro Paese nei confronti delle dinamiche della zona euro. A questi ultimi aspetti dedichiamo i capitoli di approfondimento nella seconda parte del Rapporto su cui, di seguito, si torna.
Ciò che preme qui evidenziare è “in cosa” è consistita questa ristrutturazione industriale. Da un esame dei dati disponibili emergono
alcune caratteristiche essenziali, così riassumibili: 1) al contrario dei
precedenti episodi di riorganizzazione (primi anni ottanta e inizio de-
- vii -
Ripresa ciclica,
ma fondata sulla
ristrutturazione
Riflessioni sulle
trasformazioni
nell’industria
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
cennio novanta) non è stata, nell’insieme, di tipo labour saving (l’occupazione nell’industria in senso stretto è scesa dello 0,6% all’anno a
fronte di cadute del 2,7% nelle precedenti occasioni, in presenza di
contrazioni produttive di entità analoga a quella dei primi anni di questo decennio); 2) è stata di tipo inter-settoriale, accompagnandosi a un
certo ridimensionamento dei settori tradizionali (tessile, abbigliamento, cuoio, calzature, mobili e prodotti della casa), a una crescita di altri
settori di specializzazione (meccanica strumentale) e di comparti a media tecnologia (alimentari, industria energetica, prodotti intermedi in
metallo, carta-stampa) e a un’ulteriore contrazione relativa dell’alta
tecnologia; 3) è stata anche di tipo intra-settoriale, comportando, come
già avvenuto in passato in occasione dell’acutizzarsi della competizione dei paesi a basso costo, la scrematura delle imprese meno efficienti
nelle industrie tradizionali e il conseguente spostamento di queste produzioni su fasce qualitative più elevate, maggiormente al riparo dalla
concorrenza delle economie emergenti; 4) nonostante il ridimensionamento del peso dei settori di beni di consumo del Made-in-Italy, non si
è verificata una modifica del modello di specializzazione del paese relativamente ai partner industriali, rivestendo tuttora i comparti tradizionali in Italia, accanto alla meccanica strumentale e ad alcune
produzioni intermedie, un ruolo proporzionalmente maggiore rispetto a
quanto avviene nelle economie europee e negli altri sistemi con analogo grado di sviluppo; 5) i movimenti inter e intra-settoriali si sono accompagnati a una ricomposizione nella struttura delle imprese
esportatrici, con un ricambio (uscita di alcune aziende dai mercati esteri e afflusso di “nuovi” esportatori) particolarmente intenso tanto nei
settori che hanno sofferto maggiormente la crisi competitiva dei primi
anni duemila (indotto dell’auto, abbigliamento, cuoio-pelli-calzature),
quanto in quelli caratterizzati da una migliore tenuta sui mercati internazionali (meccanica) o che hanno registrato un rafforzamento competitivo (metallurgia e prodotti in metallo) e, inoltre, con alcune
peculiarità dimensionali, avendo il rinnovamento nella composizione
degli esportatori, da un lato, interessato soprattutto le grandi unità produttive, e, dall’altro, “arricchito” di nuovi attori (con afflussi di esportatori nuovi in eccesso rispetto a quelli scomparsi) maggiormente la
platea di imprese di medio-piccola dimensione.
Si può leggere in queste tendenze un elemento di debolezza nel
tipo di ristrutturazione sperimentata dall’industria italiana? Viste la li-
- viii -
Introduzione e sintesi
mitata riduzione dell’occupazione, che si è riflessa in un calo della produttività, e la staticità del modello di specializzazione, che sembra
tradursi in una persistente esposizione alla concorrenza dei paesi emergenti, si potrebbe essere portati a rispondere in modo affermativo: si
tratta di una ristrutturazione fragile, che non cancella i rischi per l’Italia. A nostro parere, però, le cose non stanno così e per diverse ragioni.
Per quanto concerne l’aggiustamento sul fronte dell’occupazione
ci si dovrebbe domandare perché mai le imprese italiane non abbiano
tratto vantaggio, per innalzare i livelli di produttività, da un mercato
del lavoro che negli anni duemila presenta elementi di flessibilità maggiori che nei decenni ottanta e novanta, periodi in cui, in occasione degli episodi di ristrutturazione, si ebbero notevoli tagli occupazionali
(con forti tensioni sindacali in un caso e con l’aiuto dell’intervento
pubblico nell’altro). A nostro avviso, questo non è avvenuto tra il 2000
e il 2005 per due motivi. In primo luogo, il lavoro – grazie alla moderazione salariale e all’abbattimento, consentito proprio dalle flessibilità,
dei costi impliciti nel suo utilizzo – non è stato più il fattore sui cui realizzare i risparmi nei costi operativi (come invece avveniva nei tempi
in cui, dopo anni di complesse relazioni industriali, esso risultava “caro” e “rigido”). Anzi, il lavoro sembra quasi diventato un fattore da tesaurizzare in azienda (riducendone, magari, il grado di utilizzo nei
tempi di bassa congiuntura); comunque una risorsa da impiegare con
maggiore intensità nei processi produttivi, in combinazione con gli altri input. Da questa prospettiva, la flessione della produttività è, in parte, la conseguenza di una scelta di cambio di tecnologia a correzione di
mix fattoriali che riflettevano prezzi relativi (espliciti e, soprattutto, impliciti) delle risorse produttive alquanto diversi da quelli della situazione attuale. In secondo luogo, la ristrutturazione degli anni duemila
sembra avere richiesto, per aumentare l’efficienza, di far leva su aspetti
dell’assetto produttivo diversi dai semplici risparmi di costo ottenuti
attraverso riduzione del personale. Essa ha piuttosto comportato interventi, da un lato, di riorganizzazione interna per l’efficace, ancorché ritardata, adozione delle nuove tecnologie (con la realizzazione di
investimenti complementari alle innovazioni tecnologiche) e, dall’altro, di riposizionamento delle linee produttive su fasce qualitative più
elevate, soprattutto nei settori tradizionali della nostra industria esposti
alla competizione delle economie a basso costo del lavoro (con la realizzazione di investimenti in asset immateriali quali ricerca, design,
- ix -
Convenienze
relative dei
fattori e leve per
l’efficienza
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
È rilevante la
specializzazione?
marchio, marketing, ecc.). In entrambi i casi, a decidere sul successo o
meno degli sforzi delle imprese volti al recupero di competitività non è
stata la percentuale dei licenziamenti, ma la qualità e le scelte del management aziendale: un fattore spesso negletto nell’analisi macroeconomica della situazione italiana.
Anche per quanto riguarda l’apparente inerzia del modello di specializzazione dell’Italia, la valutazione tende a non essere negativa. In
primo luogo perché – come già si sottolineava nel Rapporto ISAE del
febbraio 2005 in contrapposizione con la tesi allora risorgente di obsolescenza del modello italiano – non si ritiene che esistano, a priori,
specializzazioni da preferire ad altre: se una data struttura della produzione risponde alle profonde vocazioni produttive di un paese – e questo sembrerebbe il caso dell’Italia, visto che neanche la spallata delle
grandi economie emergenti è riuscita a scalzare la nostra industria dai
tradizionali presidi di vantaggio comparato – allora quella specializzazione è la migliore che si può avere; nelle condizioni date, forzare lo
spostamento di risorse verso industrie che si ritengono “a tavolino” migliori (perché si presume, a torto o a ragione, che siano a più alta tecnologia, a più alta crescita della domanda, a più alto valore aggiunto, a
più alta produttività e quant’altro) potrebbe rivelarsi un danno per sé e
per gli altri (oltre che un’impresa ad alto rischio di sprechi a carico della collettività). In secondo luogo, la condizione estremamente polarizzata di vantaggi e svantaggi competitivi che caratterizza l’Italia
sottende, in realtà, una matrice di offerta alquanto articolata. Sotto questa prospettiva, gli indicatori di specializzazione possono essere fuorvianti. Essi misurano unicamente un fenomeno relativo: l’alta
specializzazione nella filiera moda-casa segnala che in Italia questi settori sono “rappresentati” più che nei partner industriali; l’output italiano è, però, più variegato di quanto si può essere indotti a pensare sulla
base di questi indicatori. Infine, come dovrebbe avere insegnato anche
l’esperienza italiana di (sorprendente) lock-in nei settori tradizionali,
ciò che conta sono i comportamenti delle imprese, le loro capacità di
innovare, di sfruttare le opportunità dell’internazionalizzazione, di
riorganizzarsi in funzione delle nuove tecnologie, di proporre prodotti
diversi da quelli di concorrenti che possono contare su costi del lavoro
pari a una frazione di quelli nazionali. Quindi ai fini della crescita competitiva, non sembra tanto importante il settore in cui si è specializzati
o de-specializzati, quanto il fatto che in entrambi i casi riescano a
-x-
Introduzione e sintesi
emergere le imprese in grado di operare sulla frontiera delle rispettive
possibilità produttive; il reshuffling relativamente intenso nella popolazione degli esportatori, che il campione delle inchieste ISAE segnala
soprattutto in alcuni settori, potrebbe lasciare ben sperare nel fatto che
si sia in effetti realizzato, seppure con ritardi e difficoltà, un movimento in questa direzione.
CICLO E PREVISIONE
L’accelerazione dell’attività economica nel 2006 (+1,9%), pur risentendo di miglioramenti in quasi tutti i settori (unica eccezione,
l’agricoltura), ha fondamentalmente riflesso il ritorno su un sentiero di
crescita sostenuta dell’industria in senso stretto, il cui valore aggiunto è
aumentato, in volume, del 2,8% nei dati corretti per il calendario; esso
si era contratto di oltre l’1% all’anno tra il 2000 e il 2005 (-5,5% cumulativamente). Il rialzo sperimentato nel 2006 fa risalire l’attività manifatturiera ai livelli medi di tre anni prima; essa risulta ancora di un 3%
circa inferiore al picco del 2000.
La “qualità” del recupero dell’industria nel 2006 è avvalorata dal
risveglio sperimentato nella produttività del lavoro: dopo essere
aumentato dell’1% nel 2005, il valore aggiunto per addetto si è
incrementato di un ulteriore 1,5% lo scorso anno. Ciò che più conta è
che il rialzo della produttività manifatturiera si è manifestato, nel 2006,
in concomitanza con una significativa ripresa dell’occupazione
industriale (+1,3% in termini di unità di lavoro standard), dopo un
quinquennio di continua contrazione (pur se moderata in rapporto ai
cali produttivi).
Il ciclo industriale ha, inoltre, presentato in corso d’anno caratteristiche di crescente diffusione. Dall’inizio del 2006 la ripresa è andata
interessando anche i settori del sistema moda-arredo che avevano accusato le cadute più consistenti e che apparivano in ritardo nel manifestare segnali di risveglio. Tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello
corrente la diffusione della fase espansiva, pur subendo un lieve ridimensionamento rispetto a metà 2006, riguardava il 65% dei comparti
manifatturieri (su oltre 180), una percentuale prossima al valore che
contrassegnava i mesi centrali del 2000.
- xi -
Fatti essenziali
del 2006
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Dal lato della spesa, gli elementi di maggiore rilievo sono venuti
dalle dinamiche dei consumi e delle esportazioni. La spesa delle famiglie è tornata ad aumentare, si stima, leggermente più del reddito disponibile, talché la discesa della propensione al consumo, che aveva
contrassegnato il quinquennio 2001-05, si sarebbe interrotta e avrebbe
anzi mostrato un lieve rialzo lo scorso anno. Le esportazioni, d’altro
canto, hanno registrato una consistente accelerazione aumentando del
5,5%, l’incremento più elevato dal 2000. Il rinvigorimento delle vendite all’estero ha certamente risentito della robusta espansione del commercio mondiale (+9,5% circa) e, in particolare, della ripresa degli
scambi intra-europei; si segnala, tuttavia, anche una prima, parziale
frenata nel processo di erosione della quota di mercato in volume, che
è bensì diminuita, ma a ritmi meno intensi di quanto verificatosi negli
ultimi anni. La ripresa delle vendite all’estero ha poi funto da volano
per l’irrobustimento delle spese per investimento e per l’attivazione di
maggiori acquisti dall’estero.
L’accelerazione dell’attività economica ha comportato un sostanziale miglioramento del mercato del lavoro. L’occupazione, misurata
in termini di unità standard, è tornata a crescere, dopo un biennio di sostanziale stasi, venendo trainata, oltre che dal ricordato recupero nel
settore industriale, da rialzi consistenti nei servizi. Queste dinamiche
hanno consentito l’ulteriore riduzione del tasso di disoccupazione, sceso a fine anno al 6,5%, e la ripresa, dopo l’interruzione del biennio
2004-05, del graduale processo di rialzo nei tassi di occupazione (al
58,5% a fine 2006) e di attività (al 62,9%). Se si confronta questa fotografia del mercato del lavoro con quella di appena dieci anni prima
colpiscono le marcate differenze: la percentuale dei disoccupati è quasi
dimezzata, quella degli occupati in rapporto alla popolazione in età di
lavoro è aumentata di circa sette punti, di nove punti nella componente
femminile, il tasso di partecipazione si è innalzato di cinque punti. Certamente, a eccezione della quota dei senza lavoro, si tratta di cifre ancora lontane dalle medie europee, per non parlare dei traguardi fissati
dagli obiettivi di Lisbona; esse, inoltre, sottendono nuovi importanti
squilibri e dualismi tra lavoratori più e meno tutelati che aprono problematiche diverse e non meno complesse relative soprattutto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, alle loro velocità di carriera,
alle loro basse prospettive pensionistiche. Tuttavia, non si può non rimarcare che qualcosa di profondo è cambiato nel mercato del lavoro
- xii -
Introduzione e sintesi
italiano e che questo mutamento si è realizzato nonostante un periodo
di crescita molto modesta; le due cose (innalzamento dell’occupazione
e abbassamento dello sviluppo) non avrebbero potuto andare insieme –
a meno di immaginare ampi errori di misurazione statistica dei fenomeni – senza il verificarsi di un mutamento, quale quello sopra ricordato per l’industria, nelle convenienze relative dei fattori e, al contempo,
la realizzazione di un cospicuo abbattimento della cosiddetta disoccupazione strutturale; su questi aspetti si dedica un capitolo nella seconda
parte del Rapporto.
La dinamica dell’inflazione si è mantenuta contenuta nel 2006,
nonostante le forti tensioni che hanno caratterizzato i prezzi dei prodotti energetici e l’ulteriore abbassamento nel tasso di disoccupazione. Le
pressioni di origine esterna sono state compensate da spinte sui prezzi
generate all’interno nell’insieme moderate. I prezzi al consumo hanno
così registrato una crescita del 2,1%, solo due decimi in più rispetto al
2005. In termini di indice armonizzato, la dinamica è stata del 2,2%, allineata, come già nel 2005, alla media dei paesi aderenti all’UEM.
L’anno si è, infine, chiuso con risultati nei conti pubblici sensibilmente più favorevoli di quanto era atteso. L’indebitamento netto si è situato al 4,4% del PIL; escludendo le poste passive di natura
straordinaria (fondamentalmente, rimborsi dell’IVA sulle auto aziendali e cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti della società
TAV), il deficit è notevolmente diminuito, attestandosi al 2,4% del prodotto, in calo dal 4,1% del 2005. In presenza di una stabilizzazione della spesa in rapporto al PIL, il miglioramento è scaturito dalla dinamica
molto favorevole delle entrate correnti, la cui stima è stata rivista più
volte al rialzo in corso d’anno. Tale espansione è da riconnettere alla ripresa economica, a gettiti superiori alle attese per alcune imposte una
tantum previste dalla legge finanziaria per il 2006, agli effetti dell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale e agli interventi di
incremento (permanente) di incassi disposti con la manovra di bilancio. L’avanzo primario si è portato al 2,2% (0,2% tenendo conto delle
poste straordinarie di uscita), tornando sui livelli di cinque anni prima.
Il rapporto debito/PIL si è attestato al 106,8%, sei decimi di punto in
più rispetto all’anno precedente.
Come detto all’inizio di questa introduzione e come si è cercato
successivamente di argomentare, i buoni risultati del 2006 non costituiscono un isolato episodio di rimbalzo dopo una lunga congiuntura
- xiii -
Previsioni al
2008
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Quadro
internazionale
Petrolio
negativa: la prospettiva italiana sembra essersi riportata su binari stabilmente più favorevoli, essa potrebbe rafforzarsi ulteriormente nel
medio-lungo periodo se ai processi spontanei di aggiustamento si
affiancassero azioni di miglioramento qualitativo dei fattori della produzione (infrastrutture, capitale umano, istruzione) e di maggiore apertura alle spinte della concorrenza e ai criteri del merito in quei settori
della vita economica (servizi, pubblica amministrazione, professioni)
poco o nulla esposti all’influenza della competizione internazionale.
Ovviamente, per un sistema aperto come quello italiano è cruciale
la tenuta del quadro globale, su cui pesano alcuni fattori di rischio principalmente legati alle ripercussioni dello sgonfiamento della bolla immobiliare negli Stati Uniti e alle possibili interazioni che scricchiolii in
segmenti del credito americano potrebbero avere con l’accentuazione
di volatilità recentemente evidenziata dalle varie piazze finanziarie.
Nello scenario che assumiamo a riferimento – sostanzialmente in
linea con quello di consenso adottato dagli organismi internazionali –
non si verificano episodi traumatici di rottura dell’economia mondiale.
Esso sconta che gli elementi di criticità presenti nell’attuale situazione
possano essere governati, da un lato, con un’accorta azione sulle leve
della politica monetaria delle principali economie, dall’altro, grazie
all’incidenza favorevole di alcuni driver della congiuntura
internazionale.
L’evoluzione del prezzo del greggio, in sostanziale ribasso rispetto
alle attese che venivano formulate qualche mese fa, dovrebbe svolgere
un effetto di contenimento sui rischi di frenata, contribuendo alla moderazione delle dinamiche inflazionistiche dei paesi importatori e al sostegno della spesa dei consumatori (in particolare, quelli americani).
Nelle nostre ipotesi, la quotazione del petrolio si situa intorno ai 57
dollari a barile nella media del 2007 (-13% circa rispetto al 2006); nel
2008 esso rimarrebbe sostanzialmente invariato sui livelli della fine
dell’anno precedente (56 dollari). Questa previsione “media” tra l’operare dei fondamentali, che spingerebbero verso una quotazione anche
più bassa di quella ipotizzata, e i permanenti fattori di tensione geo-politica che agiscono invece in senso opposto; se le tensioni dovessero
tornare ad acutizzarsi, i corsi petroliferi naturalmente ne risentirebbero
con la possibilità di nuovi picchi che, per quanto episodici (come quelli
della scorsa estate), condurrebbero comunque a quotazioni in media
d’anno superiori a quelle ipotizzate.
- xiv -
Introduzione e sintesi
Sul fronte delle politiche monetarie, ci si attende che il rallentamento ciclico e l’affievolirsi dei pericoli di recrudescenze inflazionistiche (grazie ai minori costi di approvvigionamento energetico)
spingano la Federal Reserve verso un’intonazione più espansiva, con
una riduzione dei tassi di interesse nella seconda metà dell’anno a un
livello del 4,5% e con una successiva stabilizzazione nel 2008. Nella
zona euro, dopo il rialzo di marzo, la BCE aumenterebbe a inizio estate
di un altro quarto di punto, al 4%, il tasso di rifinanziamento marginale; gli andamenti degli aggregati monetari, più che l’evoluzione della
congiuntura e le prospettive dell’inflazione, spingerebbero a operare
quest’ulteriore correzione. La fase di aumenti, avviata nel dicembre del
2005, potrebbe poi subire un’interruzione fino alla metà del 2008,
quando si prevede un nuovo ritocco, al 4,25%, in connessione a un
possibile rafforzamento della crescita europea.
Nel mercato valutario, le diverse fasi cicliche attraversate da Stati
Uniti ed Europa e la prosecuzione della riduzione del differenziale nei
tassi a breve termine tra le due aree contribuirebbero, nel corso di
quest’anno, a una certa debolezza del dollaro nei confronti dell’euro,
che continuerebbe comunque a oscillare all’interno della banda 1,281,33 emersa negli ultimi mesi. Nella media del 2007, la quotazione della valuta americana si attesterebbe a 1,32; nel 2008, si ipotizza una parziale inversione del dollaro, con un cambio medio di 1,29 rispetto
all’euro.
In questo contesto, ci si attende, nel 2007, una moderazione della
crescita internazionale, dopo l’accelerazione dell’anno precedente; la
dinamica del 2008 sperimenterebbe un lieve rafforzamento a riflesso di
andamenti sostanzialmente positivi in tutte le principali aree. Negli
Stati Uniti, il rallentamento, già manifestatosi nel corso del 2006, dovrebbe proseguire nella prima metà dell’anno corrente. Nella media del
2007 l’aumento del PIL americano risulterebbe del 2% (3,3% nel
2006); la congiuntura statunitense potrebbe tornare a irrobustirsi l’anno
prossimo (con una crescita del 2,8%), in virtù del favorevole contesto
esterno e di qualche moderato fattore di stimolo proveniente dalla politica monetaria e da quella fiscale. L’Asia continuerebbe a rappresentare
il principale motore dello sviluppo mondiale, venendo trainata
dall’espansione ancora molto accentuata di Cina e India. Il Giappone,
avvantaggiandosi del forte dinamismo della regione e potendo contare
- xv -
Tassi di
interesse
Cambi
Crescita globale
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Ciclo italiano
anche su una maggiore vivacità della domanda interna, crescerebbe di
circa il 2 per cento nei due anni.
Nell’area euro, alla forte accelerazione dell’ultimo trimestre del
2006 dovrebbe fare seguito una moderazione della crescita nella prima
parte dell’anno. L’aumento dell’IVA in Germania, frenando in parte i
consumi tedeschi (pur se, presumibilmente, meno di quanto si temeva),
contribuirebbe all’attenuazione della dinamica economica. La fiducia
delle imprese europee, in continua risalita per gran parte dello scorso
anno, ha registrato un lieve ripiegamento negli ultimi mesi del 2006
per poi stabilizzarsi su livelli storicamente elevati all’inizio del 2007;
su questo andamento ha influito l’evoluzione del clima di opinione
delle imprese tedesche, in parziale ridimensionamento nel recente periodo rispetto ai picchi invernali. Nelle nostre stime, il PIL della zona
euro dopo essere aumentato nel 2006 del 2,8%, il risultato migliore dal
2000, si incrementerebbe quest’anno del 2,3%, a riflesso di una prima
metà dell’anno in relativa decelerazione. La crescita potrebbe tornare a
irrobustirsi nella seconda metà del 2007 e nel corso del 2008, pur se in
termini di risultati medi annui la dinamica del 2008 non sarebbe dissimile da quella dell’anno corrente. Le componenti interne della domanda dovrebbero continuare a fornire un impulso positivo all’economia
europea in entrambi gli anni, risentendo dei miglioramenti nel mercato
del lavoro, di condizioni creditizie persistentemente favorevoli e della
buon andamento dei profitti.
Il commercio internazionale, dopo l’intensa espansione del 2006
(+9,4%), si modererebbe quest’anno, rimanendo comunque su un sentiero robusto di crescita (+7,2%), per poi accelerare nuovamente nel
2008 (+8% circa), grazie al rafforzamento congiunturale delle principali aree economiche.
L’intensa accelerazione sperimentata dall’economia italiana alla
fine dello scorso anno influisce sui risultati che potranno essere conseguiti nel 2007, comportando per l’anno corrente un trascinamento
molto favorevole. Se l’attività produttiva rimanesse, infatti, stagnante
ai livelli del quarto trimestre del 2006, ciò di per sé garantirebbe un aumento del PIL dell’1,2% nel 2007, vale a dire un incremento prossimo
a quello che i previsori si attendevano lo scorso autunno, giudicandolo
favorevole dato il periodo di crescita molto bassa da cui si proveniva.
Questa “eredità” ricevuta dal 2006 costituisce, evidentemente, una
base di partenza positiva; essa viene, però, in parte smussata da un’at-
- xvi -
Introduzione e sintesi
tenuazione delle dinamiche produttive sperimentata proprio nei primi
mesi dell’anno.
La moderazione nei ritmi di espansione a inizio 2007 è stata in effetti preannunciata dall’arresto, in autunno, della fase di rialzi che aveva caratterizzato per circa due anni l’indice di fiducia delle imprese;
una stabilizzazione a cui ha fatto poi seguito un leggero ripiegamento
nei primi mesi dell’anno. La pausa congiunturale, anticipata dagli indicatori qualitativi, ha trovato conferma, in gennaio, nella diminuzione
della produzione industriale che ha praticamente compensato il notevole picco del mese precedente. Tali sbalzi hanno probabilmente riflesso
anche l’influenza di fattori irregolari che caratterizzano l’ultimo mese
dell’anno; se si guarda alla media del bimestre dicembre-gennaio si
evince che l’attività produttiva è situata sulla tendenza positiva, ma più
moderata, che ha contraddistinto la seconda metà del 2006.
La flessione di gennaio condiziona comunque il risultato medio
ottenibile nel primo trimestre: nelle stime dell’ISAE, la produzione
manifatturiera dovrebbe risultare ferma o marginalmente inferiore al livello medio del trimestre precedente. Tenuto conto di questo ripiegamento, in parte compensato da segnali di buona tenuta sul fronte dei
servizi, si stima che il PIL a inizio 2007 freni la corsa che ha contraddistinto l’ultima parte dello scorso anno.
Quello che appare come un colpo di freno nei primi mesi del 2007
non preannuncia un esaurimento della ripresa italiana. La congiuntura
internazionale, sebbene meno dinamica, si mantiene infatti su un sentiero positivo, soprattutto in Europa. Inoltre, gli indicatori di fiducia
delle imprese industriali, pur se non più in rialzo, si attestano a inizio
2007 su livelli storicamente elevati, evidenziando un consolidamento
dei favorevoli livelli produttivi conseguiti. Accanto a ciò, il clima di
opinione delle famiglie continua, da diversi mesi, tendenzialmente a risalire, confermando il processo di recupero avviato nel 2004 dopo le
marcate flessioni dei primi anni duemila. Il persistere di una favorevole
prospettiva di crescita per l’economia italiana è, infine, segnalato
dall’indicatore anticipatore elaborato dall’ISAE che, dopo una battuta
d’arresto in settembre-ottobre (presumibilmente anticipatrice della decelerazione di inizio 2007), ha preso nuovamente, tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello corrente, a orientarsi verso l’alto.
Nell’insieme ci si attende che la dinamica produttiva riprenda a incrementarsi, dopo una prima parte del 2007 in tono minore, a ritmi
- xvii -
Pausa a inizio
2007
Consolidamento
di una fase che
resta positiva
Previsione
2007-2008
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Stimolo della
domanda
interna
congiunturali più vivaci. La crescita del PIL potrebbe così risultare,
quest’anno, dell’1,8%, al netto dell’effetto calendario, con una diminuzione del gap di sviluppo dalla zona euro da nove a cinque decimi di
punto. Nei dati grezzi, non corretti per i giorni di lavoro (il 2007 ha tre
giorni lavorativi in più rispetto al 2006), l’incremento del PIL italiano
sarebbe dell’1,9%, in linea con quanto realizzato nel 2006.
Nel 2008, in un contesto internazionale ancora complessivamente
favorevole e in un quadro interno di tipo tendenziale per quanto riguarda gli andamenti della finanza pubblica, la crescita del PIL si situerebbe all’1,7% (l’effetto calendario non incide il prossimo anno); il
divario rispetto ai partner dell’area euro si manterrebbe nell’ordine dei
cinque decimi di punto. La lieve decelerazione della dinamica del 2007
rispetto al 2006 rifletterebbe, fondamentalmente, la diversa incidenza
dei trascinamenti congiunturali che caratterizzano i due anni.
Nel complesso, nel triennio 2006-08 l’economia italiana sperimenterebbe un tasso medio di sviluppo dell’1,8%, in sensibile accelerazione rispetto al quadriennio precedente (+0,4% tra il 2001 e il 2005)
e vicino alla dinamica media che ha caratterizzato la seconda metà del
decennio novanta.
L’evoluzione nel 2007 e 2008, si avvarrebbe soprattutto del contributo positivo della domanda interna, tanto nella componente dei consumi che in quella degli investimenti. Sulla dinamica dei consumi
privati (+1,6% quest’anno e +1,4% nel 2008) inciderebbe l’evoluzione
favorevole del reddito disponibile che dovrebbe risentire, in entrambi
gli anni, del buon andamento del mercato del lavoro e dell’aumento
delle retribuzioni pro-capite; il miglioramento della ragione di scambio, determinato dalla diminuzione dei prezzi petroliferi e dall’apprezzamento dell’euro, contribuirebbe nel 2007 all’aumento delle
possibilità di acquisto dei consumatori. Il recupero del clima di fiducia
delle famiglie potrebbe consentire, nell’anno in corso, la prosecuzione
dell’andamento leggermente più favorevole nella propensione alla spesa che ha iniziato a evidenziarsi nel 2006.
Per quanto riguarda gli investimenti, dopo l’accelerazione di fine
2006 la dinamica dovrebbe mantenersi su ritmi positivi, risentendo
delle persistenti esigenze di ristrutturazione delle imprese, del clima
congiunturale favorevole e del miglioramento della profittabilità
aziendale. Spingono nella stessa direzione anche le indicazioni delle
inchieste ISAE sul grado di utilizzo degli impianti, su livelli ancora
- xviii -
Introduzione e sintesi
PREVISIONE PER L'ECONOMIA ITALIANA: QUADRO RIASSUNTIVO
(variazioni percentuali salvo diversa indicazione)
2006
2007*
2008*
Quadro interno
Prodotto interno lordo
PIL non corretto della stagionalità e delle giornate lavorative
1,9
1,9
1,8
1,9
1,7
1,7
Importazione di beni e servizi
Esportazioni di beni e servizi
4,5
5,5
4,0
4,5
4,4
4,4
1,5
-0,3
1,6
0,1
1,4
0,6
2,4
3,0
2,8
- consumi nazionali
- investimenti totali
- esportazioni nette
- variazioni delle scorte ed oggetti di valore
0,8
0,5
0,2
0,4
1,0
0,6
0,1
0,0
1,0
0,6
0,0
0,1
Prezzi al consumo
Prezzi alla produzione
2,1
5,6
1,8
1,9
2,0
1,4
Retribuzione pro-capite nell'economia
Occupazione totale (1)
Tasso di disoccupazione
2,8
1,6
6,8
2,1
1,0
6,4
2,7
0,9
6,0
-4,4
0,2
42,3
106,8
-2,3
2,5
42,6
105,6
-2,4
2,3
42,4
104,6
3,73
4,20
4,60
1.475.401
1.536.938
1.599.858
5,1
3,3
2,8
4,5
2,0
2,3
4,7
2,8
2,2
Tasso di cambio dollaro/euro (livello)
Domanda mondiale
1,26
9,4
1,32
7,2
1,29
8,1
Tassi d'interesse ufficiali (2)
- BCE
- Federal Reserve
3,50
5,25
4,00
4,50
4,25
4,50
19,2
19,1
65,60
14,0
-11,7
57,00
7,4
-1,4
56,00
Spesa per consumi delle famiglie residenti
Spesa per consumi della AA.PP. e delle ISP
Investimenti fissi lordi
Contributo alla crescita del PIL
Indebitamento netto delle AA.PP. (in % del PIL)
Avanzo primario delle AA.PP. (in % del PIL)
Pressione fiscale delle AA.PP.
Debito delle AA.PP. (in % del PIL)
Tasso sui Bot a 12 mesi (2)
p.m. PIL nominale (milioni di euro) (3)
Riferimenti internazionali
Prodotto interno lordo
- Mondo
- Stati Uniti
- Area euro
Prezzi materie prime in dollari
- non energetici
- energetici
di cui: Brent ($/ barile)
Fonte: ISTAT, Banca d'Italia, BCE, Federal Reserve, FMI, HWWA.
* Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
(1) In unità di lavoro standard.
(2) Tassi annui di fine periodo. Per i Bot tasso lordo.
(3) PIL non corretto della stagionalità e delle giornate lavorative.
- xix -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Si riduce la
perdita di quote
delle
esportazioni
Mercato del
lavoro
storicamente elevati a inizio 2007, e, nel contempo, i minori ostacoli
alla produzione dovuti a insufficiente domanda. Nel complesso, gli
investimenti fissi lordi aumenterebbero del 3% nel 2007 e del 2,8%
l’anno prossimo.
Dal lato della domanda estera, le indicazioni congiunturali disponibili segnalano, dopo il notevole slancio sperimentato al termine del
2006, un minor dinamismo dell’export nei primi mesi dell’anno. Nelle
stime ISAE, superata la pausa di inizio 2007, le esportazioni dovrebbero confermare la migliore tenuta sui mercati internazionali registrata lo
scorso anno. Le vendite all’estero aumenterebbero del 4,5% nel 2007.
Tenuto conto dell’allargamento dei mercati italiani, l’erosione della
quota di mercato in volume, negli sbocchi di destinazione delle merci
dell’Italia, sarebbe di soli 2,5 punti percentuali, con un netto miglioramento, quindi, rispetto al 2006 (circa 5 punti) e, ancor più, rispetto al
periodo di crisi competitiva degli anni precedenti (7-8 punti di flessione nel biennio 2004-05). Nel 2008, le esportazioni di beni e servizi si
incrementerebbero del 4,4%. La riduzione della quota in volume, in
rapporto all’ampliamento del mercato per i prodotti italiani, sarebbe di
circa tre punti, confermando la performance meno negativa dell’ultimo
periodo.
Il buon andamento della congiuntura interna e la dinamica ancora
positiva delle esportazioni (componente di domanda a elevato fabbisogno di input importati) dovrebbero influire sull’evoluzione degli acquisti italiani dall’estero. Nella stima ISAE, le importazioni
aumenterebbero del 4% quest’anno e del 4,4% nel 2008. Il mantenimento di un profilo dell’import inferiore a quello delle esportazione assicurerebbe, nel 2007, un apporto ancora positivo della domanda estera
netta alla variazione del PIL; l’anno prossimo, il contributo tenderebbe,
invece, ad annullarsi, in conseguenza del sostanziale allineamento dei
tassi di crescita delle due correnti di scambio.
La dinamica favorevole dell’occupazione si conferma tanto nel
2007 che nel 2008. In termini di unità standard (ULA), l’input di lavoro aumenterebbe dell’1% quest’anno e leggermente meno (+0,9%) nel
successivo. Tenuto conto dell’andamento dell’attività produttiva, l’elasticità (apparente) dell’occupazione al PIL si attesterebbe su un valore
(0,53) inferiore a quello del 2006 (0,84), ma ancora storicamente elevato. Proseguirebbe la diminuzione del tasso di disoccupazione che si
porterebbe al 6% nella media del 2008, un livello prossimo a quello
- xx -
Introduzione e sintesi
che si registrava nella seconda metà degli anni sessanta. La riduzione si
verificherebbe in presenza di qualche pressione salariale (il 2008 è in
un anno di rinnovi contrattuali), senza che, però, ciò si traduca in un effettivo surriscaldamento. In altri termini, si suppone che l’economia
italiana sia in grado di mantenere una condizione di sostanziale moderazione retributiva anche con un tasso di disoccupazione storicamente
molto basso; ciò è fondamentalmente il risultato del significativo ridimensionamento registrato dalla disoccupazione “di equilibrio”, a seguito dell’aumento di flessibilità nel mercato del lavoro italiano e delle
ripercussioni che ne sono derivate in termini di maggiore elasticità dal
lato tanto dell’offerta che della domanda di lavoro.
Per quanto concerne le retribuzioni, le ipotesi di dinamica salariale per il biennio 2007-08 si basano sulle erogazioni contemplate negli
accordi in essere e sulle nuove tornate contrattuali che interesseranno
soprattutto il prossimo anno. Nel quadro ISAE, le retribuzioni pro-capite aumenterebbero nell’intera economia del 2,1% nel 2007 e del
2,7% nel 2008. Il costo del lavoro per unità di prodotto, riflettendo anche il relativo rafforzamento della produttività, rallenterebbe quest’anno, attestandosi su un aumento dell’1,3%. Nel 2008, le dinamiche
retributive un po’ più sostenute porterebbero a un rialzo del costo unitario del lavoro dell’1,9%. Gli andamenti nell’industria in senso stretto
si collocherebbero al di sotto di questi incrementi, risentendo di un più
consistente rafforzamento della produttività che consentirebbe di compensare dinamiche salariali più elevate di quelle medie dell’economia.
Nel quadro previsivo dell’ISAE, la discesa dei prezzi dei beni
energetici consente di mantenere moderati gli sviluppi futuri dell’inflazione. Al rientro delle spinte provenienti dai combustibili si accompagnerebbe infatti una ripresa della dinamica dei prezzi per le
principali componenti di fondo, come effetto di una più intensa traslazione dei passati maggiori costi intermedi favorita dalla migliore congiuntura. Nella media del 2007, l’inflazione metterebbe comunque in
evidenza una riduzione, risultando pari all’1,8%, tre decimi di punto in
meno rispetto all’anno precedente. In termini di indice armonizzato, la
variazione dei prezzi sarebbe leggermente più elevata, ma sempre in riduzione rispetto al 2006 (1,9% a fronte del 2,2%), con un divario rispetto all’area dell’euro che dovrebbe tornare, anche se
marginalmente, sfavorevole. Nel 2008, l’inflazione risulterebbe un po’
più sostenuta a riflesso dell’accelerazione dei costi unitari in un quadro
- xxi -
Inflazione
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Finanza
pubblica
congiunturale ancora relativamente robusto. Essa si riporterebbe nella
media dell’anno al 2%, due decimi in più rispetto al 2007; anche in termini di indice armonizzato, l’incremento dei prezzi potrebbe essere del
2%, con un divario rispetto all’area euro che tornerebbe ad annullarsi.
Dopo il miglioramento registrato nel 2006, continuano a
manifestarsi nel biennio 2007-08 andamenti favorevoli nei conti
pubblici. Il deficit delle Amministrazioni Pubbliche, infatti, dovrebbe
rimanere quest’anno sostanzialmente sui livelli acquisiti nel 2006,
scendendo appena al 2,3% del PIL, per poi posizionarsi nuovamente al
2,4% nel 2008. La condizione più positiva della finanza pubblica si
accompagna, comunque, a livelli della pressione fiscale storicamente
molto elevati (solo nel 1997, anno di valutazione per l’ammissione
all’area dell’euro, la pressione fu più alta). Livelli sorretti anche dagli
8-10 miliardi di risorse aggiuntive, valutate dal Governo come
strutturali, di cui 7,5 dovrebbero assicurare la correzione permanente
nel 2008. Per l’anno in corso, le previsioni ISAE prudenzialmente
scontano alcuni fattori di cautela, con un impatto della manovra rivisto
alla luce dei risultati dello scorso anno. In particolare, non vengono
contabilizzate le entrate che dovrebbero scaturire dalla riforma
dell’imposizione sui redditi delle attività finanziare, i cui tempi di
approvazione sono incerti. Inoltre, si ipotizzano incassi derivanti dal
complesso delle misure volte a contrastare evasione ed elusione fiscale
inferiori alle quantificazioni ufficiali indicate nelle relazioni tecniche;
ciò per evitare duplicazioni di gettito già incorporato negli andamenti
tendenziali se, come sembra plausibile, parte della favorevole
evoluzione delle entrate del 2006 è collegabile a un miglioramento
della tax compliance indotta anche dagli interventi predisposti. Infine,
dato l’andamento contenuto di talune uscite nel 2006 con forti
riduzioni fatte registrare dallo Stato, si valutano comportamenti di
spesa più dinamici nell’anno in corso, specie con riferimento agli
investimenti sia statali che delle Amministrazioni Locali.
Nel 2008, data l’evoluzione congiunturale con il conseguente andamento delle entrate e grazie all’assenza di una tantum e alla natura
permanente degli interventi di correzione adottati nell’ultima legge finanziaria, le Amministrazioni Pubbliche potrebbero registrare, come
indicato, un disavanzo tendenziale in rapporto al PIL appena superiore
a quello al deficit del 2006.
- xxii -
Introduzione e sintesi
L’avanzo primario dovrebbe aumentare al 2,5% del PIL quest’anno (dal 2,2% del 2006, al netto delle uscite straordinarie) per poi ridursi
al 2,3% nelle tendenze del 2008. La spesa per interessi crescerebbe notevolmente nel 2007, portandosi al 4,8% del PIL (dal 4,6% del 2006),
per poi ridursi appena nel 2008.
Il rapporto debito/PIL dovrebbe ridursi nei due anni, grazie a un
ridimensionamento del fabbisogno della P.A. Esso si porterebbe dal
106,8% del 2006 al 105,6% nel 2007 e al 104,6% nel 2008.
L’ITALIA NELL’INTEGRAZIONE EUROPEA
La fase di ristrutturazione attraversata dall’economia italiana nei
primi anni duemila, su cui si è argomentato nelle pagine precedenti, è
stata innestata in risposta alla formidabili sfide competitive materializzatesi tra la seconda metà degli anni novanta e l’inizio dell’attuale decennio. Degli effetti della “grande” globalizzazione (integrazione della
Cina e degli altri paesi emergenti nel mercato mondiale) sull’Italia si è
detto molto nelle analisi micro e macroeconomiche: si conoscono le ripercussioni e si è cominciato anche a capire il tipo di reazione che ha
interessato i produttori italiani. Meno scandagliata è invece la “piccola” globalizzazione, quella realizzata dall’Italia con le altre economie
nell’area euro. L’aggettivo piccola sta unicamente a indicare che è un
fenomeno avvenuto alle “porte di casa”, tra paesi che condividevano
già un percorso molto importante di interdipendenza commerciale e
produttiva, nonché (dal 1993) istituzioni e legislazioni comuni riguardo ad ampi aspetti della vita economica. Nondimeno, l’integrazione ha
raggiunto in questo caso, con l’adozione della moneta unica, massimi
livelli di intensità, portando a un virtuale azzeramento di tutti i costi di
transazione negli scambi intra-area: per un produttore lombardo vendere a ottocento chilometri a Sud (nel Mezzogiorno) o a Nord (in Germania) dovrebbe essere divenuta, dalla fine dello scorso decennio, la stessa operazione dal punto di vista dei costi di transazione da affrontare.
Nell’analisi delle ripercussioni dell’euro l’attenzione generalmente si focalizza su due effetti macroeconomici: uno, molto positivo per
un paese ad alto debito come l’Italia, rappresentato dall’acquisizione
della stabilità macroeconomica e dall’azzeramento del premio al rischio di cambio (ma, forse, anche dalla diminuzione di quello al rischio
- xxiii -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Modifiche nella
geografia
economica
europea
paese) insito nei tassi di interesse; l’altro negativo, rappresentato dalla
perdita del tasso di cambio come importante strumento di aggiustamento, frequentemente utilizzato nel passato dall’Italia per riallineare i
costi interni a quelli dei concorrenti. Uno strumento che, se fosse stato
ancora a disposizione dell’economia italiana, non sarebbe assolutamente servito a correggere lo squilibrio competitivo nei confronti della
Cina, che ha costi pari a una frazione di quelli italiani, ma solo a rimettere temporaneamente in linea la competitività dell’apparato produttivo
italiano con quello delle economie più simili dell’area industriale, in
primo luogo quelle europee.
Tuttavia, l’esperienza della moneta unica nei primi anni di vita ha
avuto implicazioni ben più complesse di quelle, pur importanti, indicate negli schemi macroeconomici. Nella prima fase di vita dell’euro si
sono ridefiniti alcuni assetti produttivi e si sono manifestati effetti di
integrazione eterogenei a seconda dei paesi e dei settori coinvolti. Ciò
può avere costituito, almeno inizialmente, un fattore di amplificazione
delle diversità tra i sistemi interessati dalla più intensa integrazione,
con la conseguenza di rendere le economie, da un lato, più esposte a
shock specifici e, dall’altro, più propense a subire in modo differenziato gli effetti di shock comuni. Questa osservazione sembra che si attagli particolarmente all’esperienza italiana che avrebbe visto un
aumento dell’eterogeneità rispetto ai partner europei, a seguito sia dei
cambiamenti intervenuti nella geografia economica dell’area, sia degli
effetti differenziati di trade-creation prodotti dalla moneta unica. Nella seconda parte del Rapporto si dedicano, quindi, alcuni capitoli di approfondimento a queste tematiche che possono contribuire a gettare
luce sulle modalità della lunga fase di aggiustamento attraversata
dall’economia italiana.
Che l’integrazione possa produrre un ampliamento dei divari tra
un centro sviluppato e una periferia arretrata e anche un’accentuazione
delle specializzazioni regionali attraverso le agglomerazioni territoriali
consentite dall’azzeramento dei costi di transazione, è una possibilità
da tempo segnalata dai modelli di nuova geografia economica ed evidenziata, soprattutto da alcuni osservatori d’oltreoceano, facendo riferimento a quella plurisecolare esperienza di Unione monetaria
costituita dagli Stati Uniti d’America. Nel capitolo Cambiamenti nella
geografia economica europea dopo il mercato unico e la creazione
dell’Unione monetaria: la collocazione dell’Italia, si cerca di verifica-
- xxiv -
Introduzione e sintesi
re, basandosi sulle evidenze fornite da una batteria di indicatori statistico-spaziali recentemente sviluppati in letteratura, in quale misura
queste predizioni di rafforzamento delle differenze siano in grado di
spiegare il caso europeo. Una prima conclusione è che non sembra essere emerso, tra l’inizio degli anni ottanta e i primi anni duemila, un
approfondimento del divario core-periphery in Europa. Anzi, l’attività
economica si è, in una certa misura, maggiormente diffusa verso le
aree che in origine apparivano più periferiche. Questo processo di
estensione ha, però, preso soprattutto la direzione Nord (coinvolgendo
molte regioni scandinave e l’Irlanda) e Ovest (regioni della penisola
iberica); la direzione Sud (dove si colloca il Mezzogiorno italiano) è rimasta invece periferica.
Per quanto riguarda le specializzazioni regionali, la composizione
dell’output manifatturiero europeo ha visto, nell’arco di tempo considerato, alcuni rilevanti cambiamenti, con una perdita del peso di industrie come il tessile-abbigliamento e, all’opposto, un aumento
dell’importanza di settori come l’elettronica. Al tempo stesso si sono
manifestate modificazioni nella dislocazione delle attività produttive.
In generale, la previsione di un’accentuazione della specializzazione
per aree sembra avere riguardato (con un consolidamento della cosiddetta configurazione di monocentro) l’industria alimentare e delle bevande e il tessile-abbigliamento-calzature. Nel primo caso, il
monocentro ha teso a circoscriversi in alcune regioni spagnole e francesi. Nel caso del tessile-abbigliamento-calzature la crescente concentrazione si è accompagnata a una progressiva polarizzazione che ha
interessato le regioni che erano già fortemente specializzate in queste
attività, vale a dire principalmente quelle italiane la cui antica vocazione produttiva, radicata nel territorio, sembra averle rese naturali candidate a svolgere questi “compiti” nella nuova divisione del lavoro
europea. È emerso, inoltre, un monocentro nell’elettronica che precedentemente non esisteva; esso si è concentrato nelle regioni scandinave che risultavano despecializzate in tali produzioni.
Se i movimenti della geografia economica sembrano essersi accompagnati all’amplificazione di alcune diversità di specializzazione,
effetti asimmetrici emergono con riferimento agli impulsi sugli scambi
intra-area connessi con l’introduzione dell’euro. E’ noto che una letteratura sviluppatasi tra la fine degli anni novanta e l’inizio del decennio
duemila aveva portato a fare ritenere che l’adozione della moneta unica
- xxv -
Moneta unica e
integrazione
commerciale
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
avrebbe determinato elevati effetti di crescita (fino a una triplicazione)
del commercio tra i paesi membri, implicando l’esistenza di un ampio
potenziale di interscambio che in precedenza non era “sfruttato”, a causa delle segmentazioni e dei costi di transazione connessi alle molteplici monete utilizzate. Svariate verifiche empiriche hanno poi
generalmente mostrato che l’impatto dell’euro sugli scambi intra-area
è stato, invece, sì positivo, ma alquanto modesto. Nelle stime presentate nel capitolo Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati
Membri, la posizione competitiva dell’Italia si quantifica l’incremento
del commercio intra-area derivante dall’introduzione della moneta unica nell’ordine del 4-5 per cento, collocandosi piuttosto nella fascia bassa del range delle stime (3-9%) condotte con analoghe metodologie.
D’altro canto, un effetto limitato non dovrebbe sorprendere rappresentando la moneta unica l’ultimo passo di un processo di integrazione avviato ben cinquant’anni fà.
Quel che più conta è che l’effetto, per quanto contenuto, ha riguardato in modo diversificato le varie tipologie di produzioni. In particolare, l’introduzione dell’euro ha determinato conseguenze più rilevanti,
in termini di impulso agli scambi intra-area, soprattutto per i comparti
caratterizzati da economie di scala e a elevata differenziazione di prodotto. Ciò ha fatto sì che si avessero anche ripercussioni diverse della
moneta unica sul trade dei paesi coinvolti, a seconda del tipo di specializzazione commerciale, della dimensione media d’impresa, e della
forma di mercato dei comparti più rilevanti nelle varie economie.
La asimmetria si spinge al punto che per alcune tipologie di beni e
per alcuni paesi dell’UEM sembrerebbe essersi determinata una diminuzione del commercio intra-area, in occasione dell’arrivo della moneta unica. Un’indicazione che potrebbe suggerire un riorientamento
geografico dei flussi di esportazione dal mercato intra-euro a quello
esterno: un (presumibilmente temporaneo) effetto di allontanamento
dall’Europa e di attrazione verso altre aree. Tra questi casi il più rilevante sembra quello del tessile-abbigliamento italiano che avrebbe subito un effetto negativo. Una possibile motivazione di questo
fenomeno potrebbe essere rintracciata in un una sorta di effetto ridistributivo connesso alla limitata creazione di commercio portata dall’euro; in altri termini, l’effetto benefico di impulso agli scambi intra-area,
che è stato assorbito per intero da alcuni comparti (quelli a rendimenti
crescenti di scala, differenziazione orizzontale di prodotto, con imprese
- xxvi -
Introduzione e sintesi
medio-grandi), potrebbe essersi realizzato a scapito di altri settori (privi delle caratteristiche tecnologiche e di dimensione di impresa necessarie per godere dei benefici), i quali hanno, quindi, sperimentato uno
sganciamento relativo dalla destinazione europea.
Anche presumibilmente per questo motivo – e, nonostante, il sostegno agli scambi intra-area che la moneta unica ha portato per altri
settori italiani come gli autoveicoli – l’Italia non sembra essere stata tra
i paesi che hanno, nell’insieme, tratto significativi benefici commerciali, in termini di maggiore integrazione intra-europea, dall’adozione della moneta unica.
Le evidenze fin qui illustrate concorrono a porre in luce alcune
circostanze dell’esperienza di integrazione europea che possono avere
reso, in una certa misura, l’Italia “più esposta” agli shock competitivi
degli anni duemila rispetto agli altri partner dell’area. Le modifiche
nella geografia produttiva, plasmate in alcune industrie sulle vocazioni
originarie dei paesi, hanno teso a rafforzare determinate specializzazioni regionali nella divisione del lavoro europea: questo è il caso dei settori tradizionali dell’industria italiana. D’altro canto, l’effetto (generalmente limitato) di trade-creation intra-area non sembra avere coinvolto (per caratteristiche tecnologiche, dimensionali e di struttura del
mercato) proprio quei settori tradizionali in via di rafforzamento relativo in Italia. E’ possibile che i due fenomeni abbiano finito, da un lato,
per amplificare l’esposizione relativa dell’industria italiana (in rapporto agli altri partner europei) allo shock proveniente dalla Cina e dagli
altri paesi emergenti, senza poter offrire, dall’altro, una “compensazione” con un effetto positivo pro-trade dell’euro all’interno dell’area.
In questa situazione, sembra essersi reso più difficoltoso, rispetto
al periodo antecedente l’euro, il processo di convergenza dell’Italia al
ciclo europeo. Nel capitolo Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione: specificità dell’economia e dell’industria italiana, si evidenzia come, in generale, i paesi europei, e tra essi l’Italia, abbiano
generalmente realizzato nella seconda metà degli anni novanta una
convergenza delle componenti del ciclo economico piuttosto elevata
(la correlazione si colloca tra 0,6 e 0,8). Ciò indicherebbe che, in linea
con l’evidenza sullo scarso effetto di integrazione commerciale indotto
dall’euro, la gran parte della convergenza tra i cicli europei sembrava
essere già realizzata prima dell’arrivo della moneta unica. Non a caso,
negli anni a cavallo della creazione dell’euro non si sono verificate si-
- xxvii -
Convergenza al
ciclo europeo
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Modifiche nel
mercato del
lavoro italiano
gnificative discontinuità in questa situazione. Tuttavia, a partire dal
2001 si osservano flessioni generalizzate, seppur contenute, della correlazione dinamica dell’Italia nei confronti delle maggiori economie
dell’area euro. Un’evidenza che è vieppiù confermata se si depurano i
cicli dei vari paesi dalla componente comune europea. La correlazione
dinamica tra gli indicatori di ciclo specifico dell’Italia mostra cali nei
confronti della Germania e della Spagna e il manifestarsi di valori negativi nei confronti di altre economie (come Austria e Olanda). Solo
con la Francia, per un determinato periodo (tra il 2003 e il 2005), la
correlazione dinamica del ciclo specifico italiano ha teso a innalzarsi.
Un elemento fondamentale nel caratterizzare il particolare aggiustamento italiano degli ultimi anni è stato costituito dal mutato funzionamento del mercato del lavoro. Modifiche si sono, naturalmente,
avute anche negli altri paesi europei. Tuttavia, in Italia questi cambiamenti si sono accompagnati, come visto, a risultati macroeconomici
piuttosto sorprendenti, non riscontrabili in altre economie. Il capitolo
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano evidenzia, effettivamente, l’emergere di rilevanti discontinuità di comportamento tanto dal lato dell’offerta che della domanda
di lavoro, sostanziatesi in aumenti significativi delle elasticità del salario e del costo reale del lavoro a variazioni del tasso di disoccupazione.
E’, in altri termini, aumentata la reattività dei soggetti del mercato del
lavoro (lavoratori e imprese) a squilibri occupazionali; un cambiamento che va nella direzione di una diminuzione della disoccupazione
strutturale italiana.
L’analisi pone in evidenza, peraltro, che questi mutamenti non
sono un fatto recente, ma si sono verificati in periodi piuttosto indietro
nel tempo, a metà del decennio ottanta per quanto riguarda l’offerta di
lavoro e a metà degli anni novanta per quel che concerne la domanda di
lavoro. Tuttavia, non ci si è “accorti” di questi profondi cambiamenti –
la letteratura italiana e internazionale di metà degli anni novanta era
univocamente intonata a sottolineare le rigidità del nostro mercato del
lavoro – se non nel momento in cui l’economia italiana, dopo il 1995, è
tornata a crescere e il tasso di disoccupazione ha preso a diminuire con
continuità, portandosi da quasi il 12% al 6-7% dei livelli attuali. Una
discesa che si è prodotta senza che si manifestassero effetti di surriscaldamento della dinamica retributiva: una evidenza indiretta del ridimensionamento della disoccupazione strutturale.
- xxviii -
Introduzione e sintesi
Osservando le date dei cambiamenti di regime individuati con i
test econometrici (la fine del 1984 dal lato dell’offerta di lavoro, la fine
del 1995 dal lato della domanda) e le riforme negli assetti normativi e
di contrattazione intervenute in tali periodi sembrerebbe che le relazioni del mercato del lavoro siano state investite dalle modifiche che hanno riguardato sia i meccanismi di formazione del salario
(depotenziamento del meccanismo di indicizzazione nei primi anni ottanta, abolizione della scala mobile nel 1992 e Protocollo di luglio
1993), quanto gli aspetti di regolazione del rapporto e dell’orario di lavoro (soprattutto a metà anni novanta). In generale, l’esperienza di
concertazione, il miglior coordinamento delle richieste salariali di imprese e lavoratori e l’introduzione di elementi di flessibilità attraverso
la strada della contrattazione sembrano essere stati i mutamenti istituzionali che hanno contribuito a innalzare l’elasticità del salario e del
costo (reale) del lavoro alla disoccupazione.
E’ bene precisare che le evidenze proposte non implicano una sottovalutazione delle importanti riforme del mercato del lavoro realizzate negli anni successivi a quelli dei cambi di regime individuati nel
capitolo: tali misure sono andate infatti nella stessa direzione di quelle
prime innovazioni e hanno contribuito a rafforzarle; se non si fossero
realizzate, confermando le scelte passate, le modifiche nelle elasticità
individuate nel 1984 e 1995 avrebbero potuto non emergere. Un’ulteriore considerazione riguarda l’anomala esperienza dell’Italia degli
anni recenti di aumento dell’occupazione un contesto di crescita molto
modesta. L’analisi presentata nel capitolo segnala un aumento di flessibilità e un conseguente abbassamento della disoccupazione strutturale.
Questi elementi non aiutano, da soli, a spiegare il verificarsi della fase
di growthless job creation degli anni duemila che appare, quindi, come
un fenomeno distinto. Esso riguarda non la relazione tra salari e occupazione, ma il nesso tra quest’ultima e la crescita economica. Se alla
bassa crescita non ha fatto seguito un andamento parimenti modesto
dell’occupazione – anzi si è verificato l’opposto – ciò è da riconnettere
all’apparente modifica dell’economia italiana da sistema ad alta intensità di capitale in uno che fa un uso più intensivo di manodopera. La
crescita della flessibilità entra in questo meccanismo nella misura in
cui si è tradotta in una riduzione dei costi impliciti connessi nell’impiego di lavoro e ha quindi contribuito a modificare, unitamente ai minori
costi espliciti dovuti alla moderazione salariale, la convenienza relativa
a utilizzare il fattore lavoro.
- xxix -
Economia internazionale e area euro:
evoluzione recente e previsioni 2007-2008
TENDENZE DEL QUADRO INTERNAZIONALE
L’economia mondiale continua a essere caratterizzata da una fase
di espansione; in corso d’anno ci si attende una moderazione ciclica,
cui seguirebbe una nuova, leggera accelerazione nel 2008.
Tra i paesi industrializzati, gli Stati Uniti sperimenterebbero
quest’anno un rallentamento relativamente più marcato di quello atteso
per l’area euro, dove però la crescita rimarrebbe principalmente sostenuta dalle componenti interne, così come in Giappone; tra i paesi
emergenti, la regione asiatica, con Cina e India in testa, continuerebbe
a rappresentare il principale motore dell’economia internazionale. Il
2008 vedrebbe il ritorno di un ritmo di espansione più vicino al potenziale negli Stati Uniti; in Europa e Giappone si determinerebbe una
leggera accelerazione nel profilo trimestrale, tale da stabilizzare la crescita del PIL in termini di media annua.
L’attuale scenario previsivo ISAE per il biennio 2007-08 continua
a non incorporare episodi di “rottura” dell’economia mondiale. Alcuni
degli elementi di criticità per la stabilità dello scenario internazionale,
in evidenza nei mesi scorsi, sono stati infatti in parte ridimensionati; altri se ne sono, però, aggiunti.
Negli Stati Uniti, la flessione dei prezzi nel mercato immobiliare
potrebbe non essere pervenuta al suo punto di minimo. Ciononostante
la paventata brusca decelerazione dell’economia statunitense dovrebbe
rivelarsi più graduale di quanto atteso da alcuni analisti, ma pur sempre
significativa rispetto agli standard di crescita che hanno caratterizzato
questa economa negli anni recenti. Dei “deficit gemelli”, quello pubblico appare in riassorbimento, quello esterno sembra essersi stabilizzato in rapporto al PIL, pur se su livelli elevati.
-1-
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Il prezzo del greggio si è notevolmente ridimensionato rispetto ai
picchi dell’estate scorsa, stabilizzandosi nei primi mesi del 2007; le
quotazioni medie rimangono tuttavia al di sopra di quanto ipotizzabile
sulla base di una analisi dei fondamentali di domanda e offerta.
Qualche nube si è addensata sul fronte dei mercati finanziari.
Dopo aver raggiunto in molti casi i massimi storici, le principali borse
mondiali hanno subito una brusca correzione. L’enorme liquidità che
caratterizza i mercati, alimentata dal fenomeno del carry trade, appare
particolarmente sensibile in questa fase a qualsiasi segnale possa far
presagire la fine, o un deterioramento, delle condizioni di credito eccezionalmente favorevoli finora verificatesi. Un forte ribasso nella borsa
di Shanghai, alimentato da timori di possibili misure da parte delle autorità cinesi atte a limitare l’esuberanza degli investitori, si è propagata
a tutte le principali piazze mondiali. Anche in assenza di fondamentali
in grado di innescare un inversione di tendenza, soprattutto nei paesi
industrializzati, l’aumento dell’avversione al rischio rende i mercati
mobiliari più esposti a un “effetto contagio”.
Tab. 1
Aree
PIL MONDIALE
(variazioni percentuali)
2005
2006*
2007**
2008**
Asia
8,2
8,6
8,0
8,3
Medio Oriente
5,5
5,6
5,2
5,6
America latina
4,3
5,0
4,5
4,1
Africa
5,3
5,3
5,0
4,9
5,3
6,6
6,0
5,5
Paesi emergenti
Europa centro-orientale
6,8
7,3
6,8
6,9
Paesi industrializzati
2,4
2,9
2,2
2,6
Stati Uniti
3,2
3,3
2,0
2,8
Giappone
1,9
2,2
2,1
2,1
Area euro
1,5
2,8
2,3
2,2
UE15
1,6
2,8
2,4
2,4
UE25
2,1
3,3
2,9
2,8
4,6
5,1
4,5
4,7
Mondo (1)
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OEF, FMI, EUROSTAT e OCSE.
(1) Ponderato con pesi FMI sulla base delle PPA del 2004.
* Preconsuntivi.
** Previsioni ISAE.
Nelle nostre ipotesi, il rallentamento ciclico statunitense e l’affievolirsi dei rischi di recrudescenze inflazionistiche indurrebbero la Federal Reserve ad una intonazione più espansiva di politica monetaria.
-2-
Economia internazionale e area euro: ...
Le autorità statunitensi ridurrebbero i tassi di riferimento nella seconda metà dell’anno, per arrivare a fine 2007 a un livello pari al 4,5%
con una stabilizzazione nel 2008.
CRESCITA, CAMBI, PREZZI DELLE MATERIE PRIME E
COMMERCIO MONDIALE
Rispetto al precedente esercizio previsivo dell’ISAE (ottobre
2006), la principale novità è costituita dagli andamenti delle quotazioni
internazionali del greggio e dei combustibili, notevolmente più moderate di quanto ipotizzato in precedenza. Dopo aver raggiunto nei primi
giorni di agosto quotazioni storicamente elevate, con picchi intorno
agli 80 dollari al barile, il prezzo del petrolio ha successivamente subito una forte correzione, sfiorando i 50 dollari nella prima metà di gennaio 2007, per poi tornare su livelli attualmente vicini ai 60 dollari. Il
forte ridimensionamento è da imputarsi al venire meno di alcuni degli
elementi che sostenevano le quotazioni: il diradarsi di alcuni focolai di
tensione geopolitica, le miti condizioni climatiche e i dati confortanti
relativi alle scorte di prodotti raffinati negli Stati Uniti, il rafforzamento delle ipotesi di una decelerazione della domanda internazionale nei
prossimi trimestri. Anche la volontà dei paesi produttori di stabilizzare
il prezzo al di sopra dei 60 dollari annunciando a tale scopo tagli alla
produzione può aver costituito, in questo quadro, un fattore di moderazione dello scenario energetico.
A seguito di tali andamenti, il prezzo medio nel quarto trimestre
del 2006 è così risultato inferiore di circa 5 dollari a barile rispetto a
quanto precedentemente ipotizzato. Tali sviluppi hanno portato a correggere notevolmente, nei livelli, la precedente previsione circa le
quotazioni per il 2007. Le ipotesi formulate sulle tendenze di fondo rimangono, però, sostanzialmente confermate: in assenza di tensioni legate a fattori geopolitici e speculativi, la volontà dei paesi produttori di
stabilizzare il prezzo attraverso tagli alla produzione dovrebbe compensare una possibile riduzione di domanda, implicita nelle nostre ipotesi, in particolare nel corso del 2007. Le aree emergenti, quelle cioè a
maggiore intensità di consumo energetico, continueranno peraltro a sostenere la domanda su buoni livelli.
-3-
Prezzo del
petrolio ...
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Nel corso del 2007 continuiamo quindi a ipotizzare una leggera
discesa delle quotazioni rispetto ai prezzi di inizio anno. Il prezzo medio per l’anno in corso si collocherebbe quindi intorno ai 57 dollari a
barile, con una riduzione media di circa il 13% rispetto al 2006. Per il
2008 ipotizziamo una invarianza sui livelli di fine 2007.
Di conseguenza, anche l’andamento delle altre materie prime
energetiche risentirebbe di una brusca correzione: per l’anno in corso si
determinerebbe una riduzione media di oltre l’11%, nel 2008 di circa
l’1,5 per cento.
Tab. 2
PREZZI COMMERCIO MONDIALE
(variazioni percentuali sui dati in dollari)
2005
2006
2007*
2008*
0,0
10,9
15,8
7,7
b) Altre materie di base (1)
14,5
32,6
11,1
6,8
c) Combustibili (1)
36,5
19,1
-11,7
-1,4
54,7
65,6
57,0
56,0
a) Alimentari (1)
Brent (dollari a barile)
d) tot a+b (2)
5,5
19,2
14,0
7,4
e) tot d+c (2)
19,8
19,2
2,1
3,3
2,5
2,2
4,6
2,0
6,5
6,1
4,0
2,3
f) Manufatti
TOTALE e+f (2)
Fonte: HWWA, FMI, CPB.
* Previsioni ISAE.
(1) Indice HWWA.
(2) Ponderato con la struttura delle esportazioni mondiali 2003.
… e altre
commoditiy non
energetiche
Per quanto riguarda le materie prime industriali, il 2006 si è chiuso con ritmi di espansione moderati, in forte decelerazione rispetto al
primo semestre, i cui andamenti hanno però condizionato il risultato
medio annuo (+32,6%).
Prevediamo la prosecuzione di tale tendenza anche per il 2007, a
seguito di un indebolimento della domanda e della maggiore offerta di
alcune commodity: tali sviluppi porterebbero a un notevole ridimensionamento in termini di variazione media annua (11,1%). Nel 2008, l’ulteriore contenimento (6,8%) sottenderebbe però un profilo trimestrale
in leggera accelerazione grazie a una più vivace domanda mondiale in
corso d’anno.
Nell’ultima parte del 2006, l’andamento dei prezzi delle materie
prime alimentari si è rivelato invece assai più vivace di quanto ipotizzato: l’anno si è chiuso con un incremento medio del 10,9% (indice
-4-
Economia internazionale e area euro: ...
HWWA). Il risultato di fine 2006 ha effetti di trascinamento sull’anno
corrente: nonostante un andamento sostanzialmente moderato, il 2007
vedrebbe comunque una accelerazione nel tasso di espansione medio
annuo (15,8%) come conseguenza degli incrementi precedenti; solo
l’anno successivo si determinerebbe un contenimento (7,7%).
Gli scambi mondiali in volume nel 2006 sono aumentati di oltre il
9%. In corso d’anno, il secondo trimestre ha visto un marcato rallentamento (1,0% rispetto al primo trimestre, dopo il 3,2 e 2,3% precedenti), in coincidenza con le correzioni sui mercati azionari e l’incertezza
generata dal cambiamento nella impostazione seguita dalla politica
monetaria delle principali Banche centrali in Europa e in Asia; nella
seconda metà dell’anno, grazie anche alla discesa delle quotazioni dei
beni energetici, alla ripresa delle quotazioni di borsa, a una decelerazione moderata negli Stati Uniti, si è però tornati a registrare tassi di
Tab.3
AREE
VOLUME DEL COMMERCIO MONDIALE
(variazioni percentuali)
IMPORTAZIONI
ESPORTAZIONI.
2005
2006*
2007**
2008**
2005
2006*
2007**
2008**
6,3
7,7
4,4
6,5
5,3
8,5
5,9
6,4
Europa
5,9
8,9
4,7
6,1
5,0
8,6
5,4
5,5
Area euro
5,5
7,9
5,8
6,2
4,4
7,9
6,2
5,5
OCSE
Stati Uniti
6,9
6,6
3,3
6,4
7,6
10,3
8,0
9,3
Giappone
4,6
2,5
4,2
9,4
5,6
9,6
6,0
7,6
NON OCSE
11,4
11,0
11,9
12,7
14,3
12,2
9,3
10,0
Africa e Medio Oriente
7,0
15,0
14,3
14,0
10,0
6,2
6,4
5,8
America latina
8,7
10,1
7,8
7,4
8,4
7,2
6,9
7,8
Asia
9,6
10,1
13,3
15,1
14,1
13,9
10,4
11,0
Europa centro-orientale
9,5
15,6
10,0
7,5
8,1
11,3
9,0
7,9
MONDO
7,7
9,1
7,2
8,6
7,7
9,7
7,1
7,6
Fonte: elaborazioni ISAE su dati FMI e OCSE.
*Preconsuntivi.
**Previsioni.
crescita sostenuti (2,5% sia nel terzo che nel quarto trimestre). Nel
2007, il rallentamento previsto in alcune economie industrializzate, in
particolare negli Stati Uniti e, in parte, in Asia, sottenderebbe un raffreddamento anche nei tassi di espansione degli scambi: nella previsione ISAE il commercio mondiale registrerebbe nel 2007 un incremento
del 7,2%. Il 2008 vedrebbe una nuova accelerazione (8,1%), grazie al
-5-
Scambi mondali
in decelerazione
nel 2007
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Il tasso di
cambio del
dollaro in
leggero
deprezzamento
rafforzamento della congiuntura statunitense, più in linea con il potenziale, e alla tenuta europea e asiatica.
Nel nostro quadro, date le diverse fasi cicliche che caratterizzano
gli Stati Uniti e l’Europa, l’andamento della politica monetaria nelle
due aree favorirebbe la prosecuzione della riduzione del differenziale
nei tassi di interesse a breve termine. Ciò contribuirebbe a un leggero
deprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro in media d’anno, con
una sostanziale oscillazione all’interno di una banda definita (compresa tra 1,28 e 1,33 dollari) per tutto l’orizzonte previsivo. Nel corso del
2007, i valori medi del tasso di cambio euro/dollaro si collocherebbero
al limite superiore di tale banda, determinando un apprezzamento della
valuta europea pari a circa il 5% (1,318 contro l’1,255 del 2006), a cui
seguirebbe una parziale inversione nel corso del 2008 (1,293, pari a un
deprezzamento medio dell’euro dell’1,9%)
MAGGIORI ECONOMIE AVANZATE
Stati Uniti
Nella seconda parte del 2006 gli Stati Uniti hanno registrato un
evidente rallentamento, guidato, dalla crisi del mercato immobiliare; in
Giappone dopo la decelerazione nel secondo e terzo trimestre, nella
parte finale dell’anno si è evidenziato un forte recupero dei consumi
privati. In prospettiva, per l’economia statunitense ci si attende un rallentamento in corso d’anno, a cui seguirebbe un ritorno verso un ritmo
di espansione più vicino al potenziale nel 2008. In Giappone, la fase ciclica appare oramai ben avviata: le componenti interne di domanda dovrebbero essere in grado di sostenere la ripresa nel biennio di
previsione.
Negli Stati Uniti, nonostante la revisione al ribasso, rispetto alla
prima release, dei dati di contabilità nazionale relativi al quarto trimestre, continua a prevalere l’ipotesi di “atterraggio morbido” nel ritmo
di espansione dell’economia. I timori di un “hard landing”, principalmente legati alla brusca caduta degli indicatori di produzione e domanda edilizia, si sono recentemente ridimensionati, grazie ai primi segnali
di stabilizzazione provenienti dal settore immobiliare. Il rischio che il
recente deterioramento del mercato dei mutui “sub prime” si ripercuota
negativamente sul resto dell’economia appare limitatamente limitato,
-6-
Economia internazionale e area euro: ...
considerando che gli stessi rappresentano circa un decimo del totale dei
mutui immobiliari.
Nella media del 2006, il PIL degli Stati Uniti è cresciuto per il terzo anno consecutivo al di sopra del potenziale, nonostante il rallentamento evidente verificatosi tra il primo e i successivi trimestri: ad una
crescita del 5,6% su base annua registrata nella prima parte dell’anno,
nei mesi successivi il ritmo di espansione ha decelerato, nell’ordine, al
2,6, 2 e 2,2%. Nell’ultima parte dell’anno le singole componenti hanno
mostrato una variabilità marcata: i consumi delle famiglie hanno contributo per 2,9 punti percentuali, mentre gli investimenti totali hanno
ridotto la crescita quasi dello stesso ammontare (-2,8 punti percentuali), con un apporto omogeneo di investimenti fissi e scorte. In particolare, gli investimenti residenziali (-1,2 punti percentuali) hanno
evidenziato una contrazione per il quinto trimestre consecutivo. Le
esportazioni nette hanno fornito il contributo più elevato dal quarto trimestre 1996 (1,5 punti percentuali).
Tab. 4
CONSUNTIVI E PREVISIONI
(variazioni percentuali)
Prodotto interno lordo
Prezzi al consumo (1)
2005
2006*
2007**
2008**
2005
2006*
2007**
2008**
Francia
1,2
2,0
1,9
2,4
1,9
1,9
1,4
1,6
Germania
1,1
2,9
2,3
2,2
1,9
1,8
1,9
1,9
Spagna
3,5
3,9
3,4
3,2
3,4
3,6
2,5
3,2
Regno Unito
1,9
2,7
2,4
2,6
2,1
2,3
2,3
1,9
Stati Uniti
3,2
3,3
2,0
2,8
3,4
3,2
1,9
2,2
Giappone
1,9
2,2
2,2
2,1
-0,3
0,2
0,1
0,2
Area Euro
1,5
2,8
2,3
2,2
2,1
2,2
1,8
2,0
Paesi industrializzati
2,4
2,9
2,2
2,6
2,6
2,6
1,9
2,0
Fonti: elaborazioni ISAE.
(1) per i paesi europei, indice armonizzato dei prezzi al consumo.
* Preconsuntivi.
** Previsioni ISAE.
L’entità del rallentamento si è mantenuta comunque sostanzialmente in linea con le aspettative, smorzando i timori di cadute recessive avvalorate da alcuni analisti. La decelerazione non ha peraltro
determinato forti ripercussioni sul mercato del lavoro, dove si sono
create in media, nella seconda metà dell’anno, circa 186 mila nuove
buste paga mensili. Nei primi due mesi del 2007 il ritmo di creazione
-7-
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
di posti di lavoro si è ridotto; le nuove buste paga sono state 146 e 97
mila rispettivamente in gennaio e febbraio.
La dinamica del mercato del lavoro ancora accentuata, unita a moderazione del ritmo di espansione dell’economia, ha comportato un ridimensionamento della crescita della produttività rispetto a quanto
registrato nei dieci anni precedenti: in particolare, il prodotto per ora
lavorata è cresciuto di appena l’1,7% nella media del 2006 (dal 1998
l’incremento non scendeva sotto il 2%).
Nella seconda metà dello
Graf. 1 - STATI UNITI: PRODUTTIVITÀ
scorso anno la correzione del
12
mercato immobiliare si è resa
10
più evidente. Gli effetti princi8
pali si sono avuti nella ridu6
zione delle quantità scambiate;
i prezzi si sono invece stabi4
lizzati poco al di sotto dei pic2
chi raggiunti a inizio anno.
0
Ciò ha concorso a evitare il te-2
muto effetto negativo sulla
spesa per consumi che hanno,
-4
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
anzi, continuato a rappresentaTotale imprese
Imprese non agricole
re la componente più imporImprese manifatturiere
tante della crescita. La
Fonte: Thomson datastream.
positiva evoluzione del mercato del lavoro e la discesa dei prezzi dei prodotti energetici hanno contribuito a stimolare la spesa delle famiglie americane.
Sul fronte dello squilibrio estero, sul finire dello scorso anno si
sono manifestati i primi segni di stabilizzazione del deficit di parte corrente in rapporto al PIL, grazie ai benefici effetti sulle esportazioni della positiva evoluzione della domanda mondiale e del deprezzamento
del dollaro. Il deficit nell’ultimo trimestre è sceso al 5,8% del PIL, dal
6,9% del periodo precedente; nel totale dell’anno lo squilibrio dei conti
con l’estero è stato pari al 6,5 per cento.
Il disavanzo federale ha mostrato un miglioramento ancora più
consistente di quello della bilancia delle partite correnti, riducendosi,
nel 2006, all’1,9% in rapporto al PIL. Prima della presentazione del
nuovo Bilancio preventivo da parte della Casa Bianca, il Congressional
Budget Office stimava un ritorno al surplus già nel 2012. Il nuovo pia-
-8-
Economia internazionale e area euro: ...
no dell’Amministrazione americana, che prevede minori entrate e
maggiori spese, in particolare per la sicurezza, sposta in avanti la data
del rientro del deficit, sempre secondo i calcoli del CBO, al 2017.
Anche grazie al rientro delle quotazioni del petrolio dai massimi
toccati in agosto, la dinamica inflazionistica statunitense si è moderata
a partire dalla fine dell’estate. Il rallentamento è stato evidente nell’indice dei prezzi al consumo, il cui tasso di incremento è passato dal
4,3% in giugno al 2,1% in gennaio dell’anno in corso; nello stesso periodo l’indice core è rimasto, invece, pressoché stabile al 2,7%. In febbraio si è avuta una nuova inversione di tendenza nell’indice generale,
principalmente a causa del rialzo dei beni alimentari ed energetici, riportando il tasso di variazione annua al 2,4%. Tali variazioni non hanno però modificato l’inflazione calcolata nelle componenti meno
volatili.
Il rallentamento in corso
Graf. 2 - STATI UNITI: INFLAZIONE
(calcolata sulle spese per consumi personali)
dell’economia americana, manifestatosi già sul finire del 4
2006, dovrebbe protrarsi nella 3,5
prima metà dell’anno corrente 3
in via principale per una mo- 2,5
derazione dei consumi delle
2
famiglie e degli investimenti
delle imprese, per poi tornare, 1,5
1
sul finire del 2007 e nell’anno
successivo, verso ritmi vicini a 0,5
quelli potenziali.
0
Sulla base di queste con- gen-00 gen-01 gen-02 gen-03 gen-04 gen-05 gen-06 gen-07
Totale
Core
siderazioni, si conferma la
previsione dello scorso ottobre Fonte: Thomson datastream.
di un profilo trimestrale del
PIL statunitense per il 2007 sostanzialmente in linea rispetto a quanto
mostrato nei due trimestri centrali del 2006; ciò determinerebbe una
decelerazione pari circa a 1,3 punti percentuali nella media 2007
(2,0%, contro il 3,3% del 2006). Nel 2008, un favorevole contesto internazionale e qualche moderato fattore di stimolo proveniente sia dalla politica monetaria che da quella fiscale, determinerebbe il ritorno
verso tassi di espansione più vicini al potenziale (2,8% l’incremento
medio del PIL).
-9-
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Giappone
Con una crescita ininterrotta per otto trimestri, il Giappone ha registrato il periodo di espansione più prolungato degli ultimi dieci anni.
Dopo aver rallentato nel 2005 (all’1,9%, dal 2,7% dell’anno precedente), nel 2006 il PIL giapponese è cresciuto del 2,2%. Di particolare rilievo è stata l’accelerazione, registrata nell’ultimo trimestre dello
scorso anno, dei consumi delle famiglie, con un apporto di 6 decimi di
punto percentuale alla crescita, mentre il contributo degli investimenti
è stato pari a 5 decimi. Nel complesso, nel quarto trimestre il prodotto
interno lordo è aumentato dell’1,3% su base congiunturale (5,5% annualizzato). Le esportazioni nette hanno avuto un ruolo minore, rispetto al trimestre precedente (1 decimo contro 4).
L’economia giapponese, trainata negli anni precedenti dalla domanda estera, sta beneficiando in misura crescente del sostegno della
domanda interna.
Nel corso del 2006 la proGraf. 3 - GIAPPONE: MERCATO DEL LAVORO
duzione industriale si è espan6
sa ad un ritmo sostenuto (4,6%
1
rispetto al 2005); nella prima
parte dell’anno in corso si è
5
però evidenziato un rallenta0
mento che, se limitato al primo trimestre, comporterebbe
4
per il 2007 solo una lieve cor-1
rezione rispetto alla media
2006.
La fase ciclica positiva ha
3
-2
gen-00 gen-01 gen-02 gen-03 gen-04 gen-05 gen-06 gen-07
influito favorevolmente sul
Tasso di disoccupazione
mercato del lavoro che ha viPosti vacanti/candidature (scala destra)
Inflazione al consumo (scala destra)
sto crescere il numero degli
Fonte: Thomson datastream.
occupati totali e diminuire il
tasso
di
disoccupazione.
Quest’ultimo è tornato, dopo il picco raggiunto ad agosto del 2002
(5,5%), ai valori di fine 1998: a gennaio le persone in cerca di occupazione erano il 4% della forza lavoro. Ciononostante, non si sono ancora
manifestati effetti sulle retribuzioni che stentano a mostrare variazioni
positive: in gennaio, queste ultime risultavano inferiori a quelle di 12
mesi prima dell’1,4%. Il forte incremento dei consumi aggregati avvenuto sul finire del 2006 sarebbe quindi da ricondurre principalmente
all’incremento della massa salariale.
- 10 -
Economia internazionale e area euro: ...
Le prospettive di crescita rimangono positive, pur con una moderazione nel ritmo di sviluppo. I processi di riforma che hanno caratterizzato negli ultimi anni il settore industriale e del credito sono
pressoché completati, costituendo una solida base per la ripresa.
Le buone condizioni finanziarie delle imprese dovrebbero comportare, da un lato una prosecuzione dell’ampliamento della capacità
produttiva, e dall’altro, condurre a dinamiche retributive più sostenute.
Ciò dovrebbe permettere alla domanda interna di trainare l’espansione
giapponese a ritmi simili a quelli registrati nel 2006; le esportazioni
nette potrebbero fornire un contributo ancora positivo, anche se di minor rilievo rispetto al passato, grazie ad un contesto esterno, in particolare nell’area asiatica, che rimarrebbe comunque favorevole,
nonostante il previsto apprezzamento dello yen . Alla luce di questi
elementi l’ISAE prevede una crescita del PIL al 2,1 percento in entrambe gli anni.
AREE EMERGENTI
Nel 2006 i paesi emergenti hanno registrato performance di crescita migliori di quelle, già elevate, dell’anno precedente; la dinamica
del PIL si sarebbe attestata, infatti, al 8,6% nell’area asiatica (escluso il
Giappone) e al 5% in quella latino-americana. Per l’insieme delle aree
emergenti, dopo una espansione del 7,3% nel 2006, l’ISAE prevede
uno sviluppo vicino al 7% nel biennio 2007-08.
Nell’area latino-americana sta proseguendo il processo di risanamento economico, dopo le crisi di inizio decennio; per l’area nel suo
insieme, nel biennio 2007-08 l’ISAE stima una decelerazione della
crescita rispetto ai valori del 2006 (4,5 e 4,1% rispettivamente, dopo il
5% dello scorso anno).
Tra i principali paesi, l’Argentina ha tratto giovamento dalla stabilizzazione monetaria, dalla spinta espansiva della spesa pubblica e
dall’incremento dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, che costituiscono parte rilevante delle esportazioni; l’inflazione continua però a
rimanere elevata, rappresentando il principale fattore di rischio per il
prossimo biennio. Dopo l’espansione sostenuta registrata nel 2006
(8,5%), nelle stime ISAE il ritmo di crescita del PIL decelererebbe notevolmente (rispettivamente al 6,2% e 4,1%), anche a causa delle misu-
- 11 -
America Latina
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Asia
BRIC
re restrittive necessarie a riportare la dinamica dei prezzi sotto
controllo.
L’area asiatica continua a presentare una dinamica ciclica assai sostenuta. Per il biennio di previsione, l’ISAE stima un tasso di espansione intorno all’8%, in leggera decelerazione rispetto al picco raggiunto
nel 2006, ma linea con quello registrato negli ultimi anni.
Tra gli elementi di squilibrio che caratterizzano l’economia internazionale, l’accumulo di riserve e la quotazione della valuta cinese
rappresentano ancora un fattore di potenziale instabilità. Il processo di
accumulazione di riserve ufficiali in dollari da parte dei paesi asiatici
non sembra al momento registrare una inversione di tendenza; Cina e
Giappone detengono complessivamente quasi 2 mila miliardi di riserve, in gran parte in dollari statunitensi.
Alla fine del 2006 il PresidenGraf. 4 - PAESI ASIATICI: RISERVE UFFICIALI
te della Repubblica Popolare
(in milioni di dollari)
Cinese ha dichiarato che utilizzerà parte delle riserve uffi1.050.000
ciali per l’acquisto delle
800.000
materie prime necessarie per
l’industria e la realizzazione
550.000
delle infrastrutture di cui ne300.000
cessita il paese. Tale processo
50.000
potrebbe contribuire a ridurre
2003
2004
2005
2006
gradualmente le riserve uffiCina
Giappone
Corea del Sud
ciali, senza intaccare il regime
Singapore
Hong Kong
di cambio, che nelle intenzioni
delle autorità dovrebbe proFonte: elaborazioni ISAE su dati Thomson Financial e
gressivamente divenire più
FMI.
flessibile nel prossimo futuro,
con un allargamento delle bande di oscillazione.
Nel gruppo dei paesi a più rapido sviluppo, i cosiddetti BRIC
(Brasile, Russia, India e Cina), nel 2006 la performance migliore è
nuovamente stata registrata in Cina (10,7%), seguita dall’India (9,1%)
e dalla Russia (6,9%); a una certa distanza si è collocato il Brasile
(2,9%).
Il ritmo di espansione dell’economia cinese, trainato sia dalla domanda estera sia da gli investimenti, non ha finora determinato un surriscaldamento nella dinamica inflazionistica, nonostante le elevate
- 12 -
Economia internazionale e area euro: ...
quotazioni del petrolio e la cattiva efficienza energetica. Per il biennio
2007-08 l’ISAE stima la continuazione di tale tendenza espansiva: la
crescita si attesterebbe intorno al valor medio registrato negli ultimi
quattro anni (10% nel 2007, 10,7% nel 2008).
L’India prosegue lungo il
Graf. 5 - BRIC: PIL DELLE PRINCIPALI
sentiero della stabilizzazione
ECONOMIE EMERGENTI
(variazioni percentuali)
interna, del contenimento del12
la spesa pubblica e dello sviluppo del settore terziario. Lo
squilibrio esterno permane,
ma viene compensato parzial- 8
mente dall’afflusso di investimenti diretti esteri. Questi
elementi caratterizzerebbero 4
anche il biennio 2007-08, per
il quale l’Istituto prevede una
crescita del PIL rispettivamen0
2005
2006
2007*
2008*
te del 8,3 e 7,7 per cento.
Brasile
Russia
India
Cina
In Russia la crescita ha
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OEF e previsioni ISAE
beneficiato lo scorso anno del per il 2007 e 2008.
contributo rilevante sia dei
consumi interni (11,8%) che gli investimenti (12%); l’azione di risanamento della politica fiscale ha contribuito a stabilizzare il quadro macroeconomico. Per il biennio 2007-08 l’ISAE prevede una crescita
media appena superiore al 6 per cento.
L’evoluzione dell’economia brasiliana è stata trainata dalla domanda estera e ha tratto vantaggio dal contenimento monetario degli
shock subiti nel recente passato. La performance di sviluppo dovrebbe
ulteriormente migliorare nel biennio 2007-08, raggiungendo il 4%,
grazie anche al ritorno a una intonazione maggiormente espansiva della politica monetaria a sostegno della domanda interna.
- 13 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
AREA DELL’EURO
Nel 2006, la performance
economica dell’area dell’euro
è stata decisamente positiva. Il
4,0
PIL ha registrato il tasso di
3,5
crescita medio (2,8%) più ele3,0
vato dal 2000, quasi doppio ri2,5
spetto a quello del 2005
2,0
(1,5%). Il profilo trimestrale
1,5
ha mostrato un trend crescen1,0
te, con una moderazione nel
0,5
terzo trimestre, seguita da una
0,0
decisa accelerazione, superio-0,5
re alle attese, nell’ultima parte
-1,0
dell’anno. Tutte le componenti
2006
2004
2005
PIL
Domanda interna
Domanda estera
della domanda interna hanno
Fonte: Eurostat.
contribuito positivamente alla
crescita. I consumi privati, che
nel 2005 stentavano a ripartire, hanno evidenziato segni di ripresa grazie al migliorato clima di fiducia dei consumatori e alle più favorevoli
condizioni del mercato del lavoro. Nonostante l’apprezzamento
dell’euro in corso d’anno, anche le esportazioni nette hanno fornito un
apporto positivo allo sviluppo.
Tra le economie dell’area, la Germania e la Francia, continuano a
procedere a una differente velocità ma a ruoli invertiti rispetto all’esperienza di questo scorcio di decennio. Se negli anni passati la performance economica francese era stata costantemente superiore a quella
tedesca, nel 2006 le posizioni si sono ribaltate. Sostenuta da una crescita generalizzata di tutte le componenti, con un particolare dinamismo
dei consumi privati, in Francia il ritmo di espansione del prodotto è risultato in accelerazione rispetto all’anno precedente (2,0%, contro
l’1,2% del 2005); allo stesso tempo però l’economia tedesca, dopo la
performance deludente degli anni recenti, è risultata come una delle
più dinamiche dell’area. Il tasso di crescita annuo del PIL tedesco è
stato pari al 2,9%, nettamente superiore a quello registrato in media nel
quinquennio 2001-2005 (0,6%). Il profilo trimestrale del PIL della
Germania ha mostrato tassi di sviluppo tendenziali in accelerazione
Graf. 6 - AREA EURO: PIL E CONTRIBUTI
ALLA CRESCITA
(variazioni percentuali annue e punti percentuali)
Andamento nei
singoli paesi
- 14 -
Economia internazionale e area euro: ...
lungo tutto l’arco dell’anno; la crescita è stata trainata principalmente
dagli investimenti, con un particolare dinanismo di quelli residenziali,
stimolati dagli elevati saggi di profitto e dai tassi di interesse ancora
bassi, e dalle esportazioni. Queste ultime, nonostante l’apprezzamento
dell’euro, hanno sperimentato una buona performance, sostenute dalla
competitività di prezzo legata al contenimento dei costi di produzione
delle imprese tedesche. I consumi hanno mostrato una dinamica meno
brillante delle altre componenti con l’eccezione dell’ultimo trimestre,
il cui risultato (1,8% tendenziale), però, è in parte dovuto all’anticipo
di spesa legato all’incremento dell’aliquota dell’IVA atteso per il 2007.
La Spagna continua a segnare tassi di crescita tra i più elevati
nell’area dell’euro. Nel 2006 il PIL (3,9%) è stato trainato dalle componenti interne della domanda. In particolare, i consumi privati hanno
beneficiato della favorevole evoluzione del clima di fiducia e delle positive condizioni del mercato del lavoro. Dal lato degli investimenti,
accanto alla tenuta del settore immobiliare, in espansione oramai da
circa dieci anni grazie anche all’intenso flusso migratorio, è da segnalare l’ottima performance del comparto macchinari e attrezzature, che
nell’ultimo trimestre ha segnato un incremento tendenziale dell’11,4%.
Le esportazioni nette hanno mitigato il loro apporto negativo rispetto al
risultato del 2005.
Tutti gli indicatori conGraf. 7 - AREA EURO: INDICATORI DEL
CLIMA DI FIDUCIA
giunturali con poche eccezio(saldi destagionalizzati)
ni, indicano una prosecuzione
8
-4
clima di fiducia dell'industria
della crescita per la prima parclima di fiducia dei consumatori (scala destra)
te del 2007.
6
Il clima di fiducia nel-6
l’area euro, sia per l’industria 4
sia per i consumatori, ha mo- 2
strato nell’anno una generaliz-8
0
zata tendenza al miglioramento, che si è protratta nei
-2
-10
primi due mesi del 2007. A livello nazionale, i più recenti -4
segnali provenienti dalle in-12
chieste sono orientati all’otti- -6
2004
2005
2006
2007
mismo. In Germania, nonoFonte: Eurostat.
stante il dato sulle vendite al
- 15 -
Tendenze
recenti e
prospettive a
breve termine
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Dinamica dei
prezzi e mercato
del lavoro
dettaglio sia stato peggiore delle attese (-4,3 in gennaio da 2,4%), sul
fronte degli indicatori congiunturali continuano a pervenire delle indicazioni complessivamente favorevoli. Particolarmente buono e al di
sopra delle attese è stato il dato di produzione industriale di gennaio
(1,9% su base congiunturale). L’indice IFO, che ha toccato in dicembre
il suo massimo assoluto, ha registrato nei primi due mesi dell’anno una
correzione al ribasso, mantenendosi però su livelli storicamente molto
elevati. Nello stesso periodo, l’indicatore elaborato dallo ZEW, che
monitora la fiducia degli operatori finanziari, ha segnato un netto recupero (5,8 in marzo da 2,9): in particolare, si sono stabilizzati i giudizi
sulla situazione corrente e sono migliorati quelli sulle attese future,
suggerendo una percezione di un limitato effetto dell’IVA sull’economia tedesca.
Dopo una decisa tendenza
Graf. 8 - Il CLIMA DI FIDUCIA IN GERMANIA
alla decelerazione tra luglio e
80
110,0
ottobre dello scorso anno, do60
108,0
vuta principalmente allo sgonfiamento delle quotazioni dei
40
106,0
prodotti energetici, il tasso di
20
104,0
inflazione al consumo armonizzato ha registrato una dina0
102,0
mica più vivace ma contenuta
-20
100,0
entro il valore target della
Banca Centrale; nella seconda
-40
98,0
metà del 2006 la dinamica in2006
2007
IFO
flazionistica ha subito un riZEW economic sentiment (scala destra)
piegamento, scendendo sotto
Fonte: ZEW e IFO.
il 2%. Le più recenti informazioni, che scontano l’intonazione maggiormente restrittiva della politica monetaria, segnalano un’inflazione ancora stabile (1,8 in febbraio),
nonostante la dinamica del PIL, la riduzione del tasso di disoccupazione e la continua accelerazione della massa monetaria. A partire da ottobre, tuttavia si è registrata una tendenza al rialzo dell’inflazione core
che si era mantenuta su di un trend stabile nei mesi precedenti.
Le condizioni nel mercato del lavoro sono state connotate, per tutto il 2006, da una tendenza al miglioramento. Il tasso di disoccupazione ha mostrato una costante discesa, che si è protratta anche all’inizio
del 2007, toccando livelli storicamente bassi (7,4% a gennaio).
- 16 -
Economia internazionale e area euro: ...
Sulla base delle informaGraf. 9 - INDICE ARMONIZZATO DEI PREZZI
zioni disponibili, l’ISAE pre- AL CONSUMO E TASSO DI DISOCCUPAZIONE
(variazioni percentuali annue)
vede, per il 2007, una crescita
2,6
8,4
del PIL in decelerazione in seguito al manifestarsi, in corso 2,4
8,2
d’anno, degli effetti legati
2,2
8
all’aumento dell’IVA in Ger2
mania, alla moderazione della
7,8
domanda mondiale e all’into1,8
nazione più restrittiva della
7,6
politica monetaria. Tuttavia, in 1,6
linea con le recenti indicazioni
7,4
1,4
di miglioramento del clima di
7,2
fiducia degli imprenditori e 1,2
2006
2007
2004
2005
dei consumatori, la domanda
cpi
CPI core
interna dovrebbe continuare a
tasso di disoccupazione (scala destra)
fornire un apporto positivo Fonte: Eurostat.
alla crescita. Gli investimenti,
nei prossimi trimestri, dovrebbero continuare a beneficiare di condizioni di credito favorevoli, nonostante i recenti rialzi dei tassi di policy,
grazie a rendimenti a lungo termine su livelli ancora bassi.
La buona performance del mercato del lavoro e un tasso di inflazione ancora stabile, dovrebbero determinare un aumento del reddito
disponibile reale e per questa via stimolare i consumi. La riforma
dell’IVA in Germania, pur incidendo negativamente, avrà probabilmente un impatto inferiore sulla dinamica dei consumi rispetto a quanto ipotizzato in precedenza.
Ci si attende, inoltre, che la domanda internazionale seppur meno
dinamica dell’anno precedente, continui a sostenere le esportazioni
nette dell’area. In base a questo profilo, il PIL, nella media del 2007, si
attesterebbe al 2,3%, in ripiegamento di cinque decimi di punto rispetto
al 2006. Nel 2008, il perdurare di un favorevole contesto internazionale
e il venir meno di alcuni degli effetti temporanei di rallentamento, sono
gli elementi che permetterebbero la prosecuzione della fase ciclica positiva, con un profilo trimestrale in leggera accelerazione; il tasso di
crescita medio annuo si confermerebbe sostanzialmente sui livelli del
2007 (2,2%).
- 17 -
Previsione
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
POLITICA MONETARIA E MERCATI FINANZIARI NELL’AREA
DELL’EURO
Sono proseguiti
i rialzi dei tassi
di interesse
ufficiali
Dall’inizio della fase restrittiva, a dicembre 2005, le autorità monetarie dell’area dell’euro hanno attuato complessivamente 7 rialzi da
¼ di punto ciascuno, l’ultimo dei quali nel mese di marzo 20071. Il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali è stato così portato al
3,75%, il tasso di rifinanziamento marginale al 4,75% ed il tasso sui
depositi overnight presso il SEBC al 2,75 per cento.
Graf. 10 - TASSI DI INTERESSE
(valori percentuali, dati giornalieri)
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
2005
2006
2007
Operaz ioni di rif inanz iamento princ ipali
EONIA
Operaz ioni di rif inanz iamento marginali
Depos iti ov ernight pres s o il SEBC
Tas s o a 10 anni
Fonte: Datastream e BCE.
Condizioni
monetarie più
restrittive
In presenza di un rafforzamento del cambio della valuta europea e
di un tasso di inflazione che è sceso rapidamente al di sotto del 2% nella seconda metà dell’anno, l’aumento dei rendimenti a breve termine,
seppure traslatosi solo in parte su quelli a lunga scadenza, ha determinato un sensibile inasprimento delle condizioni monetarie. L’indice
MCI, misurato sul cambio effettivo reale e sui rendimenti reali a sei
mesi, segnala un aumento della restrizione monetaria del 2,5% da dicembre 2005 a dicembre 2006, quando ha raggiunto il massimo
dall’avvio dell’Unione Monetaria. Gli effetti restrittivi sulle condizioni
1
Nel 2006 gli interventi sono stati attuati in marzo, giugno, agosto, ottobre e dicembre.
- 18 -
Economia internazionale e area euro: ...
di finanziamento delle imprese sono stati comunque in parte mitigati
dal buon andamento dei mercati azionari e dai rialzi contenuti dei rendimenti a medio-lunga scadenza. I rendimenti a dieci anni a fine 2006
si sono collocati, infatti, poco al di sopra del 4%, ed il differenziale rispetto ai tassi a tre mesi si è ridotto nella seconda metà del 2006 di
quasi un punto percentuale, a meno di 50 punti base.
Graf. 11 - CONDIZIONI MONETARIE E VARIAZIONI DEL PIL
5
109
4,5
4
107
3,5
105
3
103
2,5
2
101
1,5
99
1
97
0,5
95
0
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Condizioni monetarie, numero indice 2000=100 (sc.sin)
Pil, var.% tendenziale (sc.dx)
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Datastream. Dal 2007 previsioni ISAE.
Sulle decisioni della Banca Centrale Europea di aumentare di 1,75
punti i tassi di interesse nei passati quindici mesi, ha influito il significativo miglioramento delle prospettive di crescita economica dell’area.
In presenza di un rafforzamento della ripresa, infatti, alcuni elementi di
rischio inflazionistico presenti nel sistema possono cominciare ad
esplicare i loro effetti. Tra questi, il possibile pass-through dei passati
aumenti dei prezzi energetici, l’adeguamento dei prezzi amministrati e
delle imposte indirette, i rinnovi dei contratti in scadenza. Le proiezioni di crescita del PIL effettuate dallo staff della BCE sono state significativamente aumentate nel corso dell’anno: la dinamica del PIL nel
2006 è stata rivista al rialzo di ben 8 decimi di punto da dicembre 2005
a dicembre 2006 (dall’1,9 al 2,7%) e quella del 2007 è stata innalzata,
da dicembre 2005 a marzo 2007, di 6 decimi di punto (dall’1,9 al
2,5%). Il sensibile miglioramento delle prospettive intervenuto nel corso dell’ultimo anno è ancora più evidente se si considera che le previ-
- 19 -
Prospettive di
crescita
notevolmente
migliorate
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
sioni più recenti sono state formulate sulla base di tassi di interesse
notevolmente più elevati (di 0,8 punti percentuali nel 2006 e di 1,9 nel
2007) e di un cambio dell’euro più apprezzato di oltre il 9% (1,30 anziché 1,19 nei confronti del dollaro statunitense).
Tab. 5
PROIEZIONI MACROECONOMICHE DELLA BCE
PIL
dicembre 2005
2006
2007
1,9
1,9
Euribor 3m
2008
2006
2,28
2007
Tassi a lunga
2008
2,28
2006
2007
3,6
3,7
marzo 2006
2,1
2,0
2,55
2,55
3,6
3,7
giugno 2006
2,1
1,8
3,10
3,90
4,0
4,3
settembre 2006
2,5
2,1
2,3
3,10
3,90
dicembre 2006
2,7
2,2
2,3
3,10
4,00
3,8
2,5
2,4
4,20
4,3
marzo 2007
IACP
2006
2007
3,9
4,1
3,8
3,8
3,8
4,2
4,2
Cambio euro/$
2008
2006
2007
2008
2008
Petrolio
2006
2007
2008
dicembre 2005
2,1
2,0
1,19
1,19
60,0
59,5
marzo 2006
2,2
2,2
1,21
1,21
66,1
67,5
giugno 2006
2,3
2,2
1,27
1,27
70,3
73,9
settembre 2006
2,4
2,4
1,28
1,28
71,0
77,6
dicembre 2006
2,2
1,28
1,28
1,28
65,5
64,6
67,2
1,30
1,30
59,9
63,4
marzo 2007
2,0
1,9
1,8
2,0
Fonte: Banca Centrale Europea.
Inflazione sotto
controllo
L’inflazione continua a mantenersi al di sotto degli obiettivi (l’indice armonizzato dei prezzi al consumo è sceso nella seconda metà del
2006 sotto il 2% ed a gennaio 2007 è stato pari all’1,8%) e le indicazioni provenienti dai mercati finanziari segnalano che gli operatori si attendono un andamento moderato anche nei prossimi anni. In una fase
di miglioramento delle prospettive di crescita, la contenuta dinamica
dei tassi di interesse sulle scadenze medio-lunghe dovrebbe infatti essere attribuibile a basse attese inflazionistiche. Anche l’indicatore relativo alle aspettative inflazionistiche usualmente considerato dalla BCE,
la break even inflation, segnala che le attese dei mercati relative all’andamento dell’inflazione nei prossimi dieci anni si mantengono basse;
tale indicatore, dopo aver oscillato intorno al 2,2% nella prima metà
del 2006, è sceso verso il 2,1% nella parte finale dell’anno, evidenzia
che gli operatori si aspettano che la dinamica dei prezzi si manterrà sotto gli obiettivi.
- 20 -
Economia internazionale e area euro: ...
Se non ci sono per ora segnali di pressioni inflazionistiche, dati
anche la riduzione dei prezzi del petrolio nella seconda metà del 2006
ed il rafforzamento dell’euro, l’attenzione delle autorità monetarie è
principalmente rivolta ai rischi derivanti dagli andamenti degli aggregati monetari e dei mercati azionari.
Gli aggregati monetari continuano infatti ad espandersi a tassi elevati in un contesto già di ampia liquidità. Quest’ultima potrebbe stimolare, nel contesto delineato di ripresa economica, una domanda
eccessiva e/o alimentare una crescita nei mercati finanziari e immobiliari superiore a quella compatibile con l’andamento dei fondamentali,
con conseguenti rischi di brusche correzioni. L’aggregato monetario di
riferimento M3 è infatti aumentato a tassi elevati per tutto il 2006
(8,5% in media), manifestando una tendenza all’accelerazione nei mesi
finali dell’anno ed ad inizio 2007, quando il tasso di crescita ha raggiunto il 9,8%. Tuttavia, analizzando le componenti dell’aggregato, si
evidenzia come l’espansione si sia accompagnata ad una ricomposizione verso le più lunghe scadenze, soprattutto nella seconda parte
dell’anno. La dinamica delle componenti più liquide comprese in M1
ha infatti registrato un forte rallentamento: da un tasso medio di quasi
il 10,5% del 2005 si è scesi all’8,5% nel 2006 (al 7% nella parte finale
del 2006). In particolare, una significativa accelerazione hanno registrato i titoli fino a due anni ed i depositi di durata superiore ai 3 mesi,
mentre i depositi a brevissima scadenza hanno subito una brusca deceGraf. 12 - AGGREGATI MONETARI NELL'AREA DELL'EURO
(variazioni percentuali annue)
13
11
9
7
5
3
2005
2006
M3
M 3 media mo bile centr. trim.
Valo re di riferimento M 3
M1
Fonte: BCE.
- 21 -
Rischi di
instabilità
finanziaria
preoccupano la
BCE
Espansione
degli aggregati
monetari
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Crescita dei
mercati azionari
lerazione. Una componente in forte espansione continua ad essere il
circolante: il suo tasso di crescita, seppure gradualmente in riduzione,
si mantiene sopra il 10%. Lo stock di monete e banconote in circolazione ha raggiunto livelli molto superiori alle tendenze pre-euro, probabilmente a causa dell’espansione del ruolo della moneta europea
come valuta di riserva internazionale.
Segnali rassicuranti per l’evoluzione dei rischi inflazionistici e finanziari derivano anche dall’andamento delle contropartite di M3. I
prestiti al settore privato infatti, dopo l’accelerazione dell’ultimo biennio, si sono stabilizzati a partire da aprile su tassi intorno all’11%, con
segnali recenti di decelerazione. Tali dinamiche hanno riflesso soprattutto l’andamento dei prestiti alle famiglie, in particolare il rallentamento nell’erogazione di mutui per l’acquisto di abitazioni. I prestiti
alle imprese hanno continuato ad accelerare, soprattutto quelli di durata superiore a 1 anno.
Una seconda fonte di preoccupazione per la BCE è rappresentata
dalla crescita delle quotazioni azionarie. L’indice Dow Jones relativo al
mercato azionario dell’area dell’euro ha proseguito, dopo l’interruzione registrata nel bimestre maggio-giugno, la crescita iniziata alla metà
del 2003. Dal mese di giugno al mese di dicembre, l’indice europeo è
aumentato del 17% e di quasi il 20% rispetto al dicembre dell’anno
precedente. L’indice Standard & Poor relativo al mercato azionario
americano negli stessi periodi è cresciuto di circa il 13%. Tale andaGraf. 13 - INDICI AZIONARI NELL'AREA DELL'EURO E NEGLI STATI UNITI
(1 gennaio 2003=100; dati giornalieri)
220
210
200
190
180
170
160
150
140
130
120
2005
2006
Standard & P o o r 500 (Stati Uniti)
DJ Euro Sto xx (area euro )
Fonte: elaborazioni ISAE su dati Datastream.
- 22 -
2007
Economia internazionale e area euro: ...
mento, se da un lato può riflettere attese di aumento dei profitti e risultare fisiologico all’avvio della fase di espansione economica, dall’altro
può essere in parte il risultato di una sottovalutazione dei rischi da parte degli operatori e dei bassi tassi di interesse. Alla fine di febbraio
2007, i mercati azionari europei, seguendo le borse asiatiche, hanno registrato una brusca flessione e l’indice Dow Jones ha perso circa il 5%
in due settimane. Essa non ha preoccupato le autorità monetarie europee, che l’hanno anzi salutata favorevolmente, definendola una rapida,
ma ordinata, correzione, ed hanno proceduto comunque ad un ulteriore
rialzo dei tassi di interesse lo scorso 8 marzo.
Nell’ultima conferenza stampa dell’8 marzo scorso, il Governatore della Banca Centrale Europea ha lasciato intendere che ci saranno
ulteriori aumenti dei tassi di interesse.
Dalle parole di Trichet si deduce che la prossima restrizione monetaria è resa necessaria soprattutto dall’esigenza di prevenire, in un
contesto di robusta crescita economica, fenomeni di instabilità finanziaria, controllando l’espansione della moneta e del credito e favorendo una ordinata e moderata correzione della valutazione del rischio da
parte degli investitori nei mercati azionari.
I rendimenti impliciti nei contratti futures sui tassi a tre mesi indicano attese di un prossimo aumento dei tassi ufficiali e di un ritorno ai
livelli attuali già a inizio 2008. Indicazioni analoghe provengono
dall’analisi dei tassi di interesse a media e lunga scadenza, rimasti praticamente invariati, su livelli intorno al 4,1%, in seguito alla conferenza stampa del Governatore della Banca Centrale. A metà marzo, la
curva dei rendimenti mostra una gobba sulle scadenze più brevi, con il
rendimento ad 1 anno che raggiunge quasi il 4,2% ed un andamento
lievissimamente ad U su quelle successive, con un minimo sulla durata
quinquennale a circa il 4 per cento.
Secondo le nostre valutazioni, lo scenario di crescita economica e
di inflazione che si delinea per i prossimi mesi non giustificherebbe ulteriori manovre restrittive per tutto il 2007. Nelle nostre stima, infatti,
la dinamica del Pil subisce un rallentamento nel 2007 (2,3%) rispetto
all’anno precedente (2,8%), ed un lieve e graduale miglioramento nel
corso 2008 (per una crescita annua del 2,2%). Valutiamo inoltre che
non vi siano rischi inflazionistici di rilievo, dato anche l’andamento del
cambio, che stimiamo stabile o in leggero apprezzamento, ed il prezzo
del petrolio che prevediamo in calo.
- 23 -
Per la BCE
necessari altri
aumenti dei
tassi ufficiali
Scontato dai
mercati un rialzo
di 25 punti base
nei prossimi
mesi. Attese di
successiva
riduzione
Le nostre
previsioni
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
BCE
particolarmente
fiduciosa sulla
crescita
economica
La consistente espansione della massa monetaria e la prolungata
crescita dei mercati azionari ed immobiliari possono tuttavia essere
fonti di rischi di instabilità finanziaria e pertanto richiedere ulteriori
rialzi dei tassi di interesse. Nelle nostre previsioni la BCE, ottimista
sulle prospettive di crescita e preoccupata degli andamenti monetari e
finanziari, attuerà un altro aumento di ¼ di punto, al 4%, alla fine del
secondo trimestre dell’anno corrente. La fase di rialzi subirà quindi un
arresto fino alla seconda metà del 2008, quando, la crescita economica
si rafforzerà.
Fino ad allora, non riteniamo opportune altre manovre sulla base
di diverse considerazioni.
Innanzitutto, un tasso di interesse a breve termine del 4%, si traduce, nel contesto attuale di bassa inflazione, in un tasso reale di oltre 2
punti percentuali, superiore alla dinamica del PIL potenziale, indicato
dalla BCE all’1,9%, e comunque praticamente uguale a quella che noi
prevediamo sarà la crescita economica nell’area dell’euro. Gli eventi
più recenti inoltre, come i dati macroeconomici statunitensi peggiori
del previsto e la correzione intervenuta nei mercati azionari mondiali,
evidenziano la possibilità di un certo indebolimento della congiuntura
europea che giustificherebbe una certa cautela da parte della BCE. In
terzo luogo la Fed ha concluso la fase dei rialzi e riteniamo procederà
invece a più ribassi. Il differenziale di rendimento a breve termine (3
mesi) tra gli Stati Uniti ed area dell’euro, che si è già ridotto dal 2,5%
dello scorso giugno all’1,5% attuale, scenderebbe a mezzo punto percentuale. Riduzioni più forti risulterebbero eccessive sia alla luce del
differenziale di crescita tra le due aree sia per le conseguenze sui tassi
di cambio.
Inoltre, nel nostro scenario di crescita moderata ed in rallentamento nel corso del 2007, non agirebbero forze tali da alimentare rischi di
instabilità finanziaria, ed i fenomeni che risultano preoccupare attualmente la BCE verrebbero riassorbiti senza bisogno di manovre aggiuntive, le quali potrebbero, anzi, rivelarsi pregiudizievoli per la ripresa.
Scenari di crescita diversi implicherebbero ovviamente tassi di interesse diversi. Al riguardo, sembra che la BCE sia particolarmente ottimista, non temendo una recessione negli Stati Uniti e confidando in
una fase di robusta ed autonoma espansione economica nei paesi
dell’area dell’euro.
- 24 -
Economia internazionale e area euro: ...
Abbiamo allora condotto un ulteriore esercizio, simulando il comportamento dell’autorità monetaria nell’ipotesi di una crescita economica nell’area dell’euro pari al massimo del range previsto dagli
esperti della BCE.(2,9% sia nel 2007 sia nel 2008). La simulazione è
stata effettuata con l’ausilio della Taylor Rule stimata dall’ISAE
nell’ipotesi comunque di assenza di pressioni inflazionistiche di medio-lungo termine e di shock di altra natura e di un tasso di crescita potenziale invariato all’1,9%. Il risultato, puramente indicativo di un
massimo ipoteticamente raggiungibile nel biennio se si verificassero le
più ottimistiche previsioni, suggerirebbe, dopo il rialzo, al 4%, nel secondo trimestre dell’anno in corso, altri rialzi per un totale di 1 punto
percentuale, al 5%, fino alla fine del 2008.
- 25 -
Economia italiana: evoluzione recente
OFFERTA
Dopo un quinquennio di crescita insoddisfacente, contrassegnata
da saltuari episodi di ripresa a bassa intensità e durata (tali da aver dato
luogo al fenomeno delle cosiddette “false partenze”), nel 2006 l’economia italiana ha messo in luce ritmi di sviluppo particolarmente sostenuti, analoghi a quelli sperimentati nei trimestri a cavallo del 2000, il
periodo dell’ultima fase espansiva. Nel corso del 2006, tali dinamiche
hanno avuto carattere continuativo e i segnali di ripresa si sono gradualmente diffusi alla gran parte dei settori produttivi. Questa favorevole performance si è accompagnata all’ulteriore contenimento
dell’incertezza delle imprese e, soprattutto, delle famiglie, che era risultata invece in accentuato ripiegamento negli anni precedenti.
L’inversione di rotta, i cui primi deboli segnali erano emersi a partire dai mesi iniziali del 2005, sembra aver posto fine a un periodo particolarmente complesso per l’economia italiana, dove fattori di natura
istituzionale si sono sovrapposti a fatti di carattere macroeconomico.
Da un lato, l’intensificarsi del processo di globalizzazione ha visto la
crescita eccezionale delle economie asiatiche dirette concorrenti
dell’Italia in alcuni settori merceologici di tradizionale specializzazione del nostro paese. Da pericolo per le nostre produzioni, l’eccezionale
sviluppo di queste aree sta gradualmente lasciando il posto alle pur
molteplici opportunità che sono connaturate al realizzarsi di fenomeni
di così forte trasformazione. Dall’altro, l’inizio del decennio ha coinciso con l’effettiva partenza dell’area a moneta unica. Si è trattato di un
evento che ha coinvolto in ugual misura tutte le economie partecipanti
ma, che ha inciso in misura differenziata per effetto delle specificità
nazionali. È possibile, in particolare, che l’abbandono del cambio flessibile abbia comportato un ritardo di adeguamento delle imprese e un
rallentamento, quindi, del loro processo di ristrutturazione risultato ec-
- 27 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Si consolida la
crescita nei
settori produttivi
cezionalmente lungo, superiore per durata a quello già molto esteso
che aveva interessato la nostra manifattura nei primi anni ’80.
Nel 2006, la ripresa proGraf. 1 - PRODOTTO INTERNO LORDO
(milioni di euro 2000; dati destagionalizzati e
duttiva è stata contrassegnata
corretti per il diverso numero di giornate lavorative)
da ritmi particolarmente soste320000
1,40
nuti nel primo e nel secondo
1,20
318000
1,00
trimestre, grazie a una cresci316000
0,80
ta che ha interessato pressoché
314000
0,60
312000
tutti i comparti. Al rallenta0,40
310000
mento del terzo è poi seguita
0,20
308000
una marcata accelerazione nel
0,00
306000
-0,20
trimestre finale dell’anno. Al
304000
-0,40
netto dei fattori stagionali e
302000
-0,60
aggiustando per il numero di
2003
2004
2005
2006
giorni lavorativi, l’incremento
Variazioni congiunturali (scala a destra)
del prodotto interno lordo nei
Livelli
primi due trimestri è risultato
Fonte: ISTAT.
pari, rispettivamente, allo
0,8% e allo 0,6% e tale da portare il PIL a un livello pari a oltre il 70%
di quello medio dell’intero 2006. Alla decelerazione del terzo (+0,3%)
è seguito un forte, quanto inatteso, impulso nel quarto (pari a circa tre
volte quello dei precedenti tre mesi). Nella media del 2006, la crescita
dell’economia italiana è risultata pari all’1,9%, un risultato favorevole
rispetto all’andamento dei primi anni duemila. Il miglioramento ha, però, provveduto soltanto marginalmente a ridurre il divario di crescita
nei riguardi delle maggiori economie dell’area euro (passato a 0,9 punti percentuali nei confronti dell’UEM, da 1,3 nel 2005). Nello stesso
periodo, la crescita del PIL è stata del 3,9% in Spagna e del 2,9% in
Germania; la Francia ha invece evidenziato dinamiche confrontabili
con quelle dell’Italia (+2%).
L’esame della disaggregazione settoriale offre ulteriori spunti di
analisi della più recente fase ciclica (per considerazioni sulla datazione
del ciclo economico industriale si veda il Rapporto Trimestrale
dell’ISAE di febbraio 2006 e la Nota Mensile dell’ISAE di novembre
2006). Nei trimestri centrali del 2005 era emersa una favorevole, seppur moderata, evoluzione dell’attività produttiva, risultata ancora contrassegnata da sostanziali eterogeneità nelle dinamiche di crescita dei
singoli comparti. La lieve flessione del quarto trimestre di quell’anno
- 28 -
Economia italiana: evoluzione recente
era infatti dovuta a una battuta d’arresto soprattutto delle costruzioni,
in presenza di una tenuta delle attività dei servizi (ad eccezione di quelle del credito, delle attività immobiliari e dei servizi professionali). In
questa chiave, il netto incremento dei primi tre mesi del 2006 sarebbe
dovuto a una ritrovata condivisione della direzione di marcia nei maggiori comparti dell’economia, anche in quelli che avevano accusato le
maggiori difficoltà nel conseguire un cambio di ritmo e avviare, così, il
recupero delle posizioni perdute.
Graf. 2 - VALORE AGGIUNTO NEI PRINCIPALI SETTORI PRODUTTIVI
(variazioni congiunturali)
2,5
20,0
2,0
15 ,0
1,5
10 ,0
1,0
5,0
0,5
0,0
0,0
-5 ,0
-0,5
-1,0
-10,0
-1,5
-15,0
-2 0,0
-2,0
200 3
C o s t ruzio ni
200 4
IS S
200 5
S erv izi
200 6
A gric o lt ura (s c a la a de s t ra )
Fonte:ISTAT.
Misurato sulla base dei dati di contabilità nazionale, all’aumento
del primo trimestre 2006 hanno concorso, pressoché in ugual misura, i
comparti dell’industria e dei servizi il cui valore aggiunto (corretto per
il numero di giornate lavorative) è cresciuto, rispettivamente,
dell’1,5% e dello 0,6%. A ciò ha contributo il netto miglioramento del
settore manifatturiero (+1,6%, tornato in terreno positivo dopo due trimestri consecutivi di lievi decrementi) e, tra i comparti del terziario, il
commercio, trasporti e pubblici esercizi (+1,2%) e le altre attività dei
servizi (+0,6%). L’avanzamento del secondo trimestre è ascrivibile, in
larga parte, alle attività del credito, a quelle immobiliari e a servizi professionali (+1,6%), il cui apporto all’incremento complessivo è stato
pari a circa 0,4 punti percentuali. In questo periodo, il comparto industriale ha messo in luce un visibile rallentamento, condiviso poi dalla
generalità dei comparti produttivi nel terzo trimestre. La netta spinta
del periodo ottobre-dicembre è, di nuovo, stata alimentata da migliora-
- 29 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Ritorno a un
ciclo
manifatturiero
espansivo
menti diffusi in tutti i comparti: nell’industria in senso stretto, la crescita è stata pari al 2,1% (un risultato “straordinario” per tale comparto,
non più toccato dal primo trimestre del 1994), superiore all’1% nelle
maggiori attività dei servizi. Lungo tutto il corso del 2006, le costruzioni hanno mostrato una evoluzione in linea con la dinamica aggregata,
con una consistente accelerazione negli ultimi tre mesi. In contrazione
è apparsa, invece, l’agricoltura che solo nei mesi finali dell’anno ha
evidenziato un ritorno a ritmi di sviluppo favorevoli.
Nel 2006, l’attività industriale ha seguito ritmi di crescita nuovamente soddisfacenti. Pur ancora contrassegnata da una certa erraticità
della dinamica su base mensile (nel 2006, le contrazioni sono risultate
in numero analogo a quelle del 2005), l’evoluzione del settore ha consolidato, sia pure in misura molto graduale, la correzione di rotta emersa nella prima metà del 2005. In quell’anno, nonostante la negativa
performance di crescita media, si era registrata un’inversione nella tendenza dello sviluppo di lungo temine della nostra industria. Quest’ultima, infatti, è risultata in costante deterioramento a partire dal 2001,
anno della breve ma intensa “vera” recessione industriale che, insieme
all’indebolimento della fase ciclica, aveva comportato anche un marcato deterioramento della componente di trend (si veda il capitolo Il ciclo
europeo negli anni dell’integrazione: specificità dell’economia e
dell’industria italiana in questo Rapporto). Con riferimento alle dinamiche più tipicamente cicliche, il 2006 ha soprattutto beneficiato degli
andamenti positivi registrati nei trimestri iniziali e finali dell’anno. Nel
primo, la dinamica molto positiva ha usufruito dei significativi effetti
di trascinamento dovuti al balzo che si era osservato nel mese di dicembre 2005. Ciò ha consentito di compensare, almeno parzialmente,
la caduta del periodo marzo-aprile, in parte dovuta a una particolare distribuzione delle festività pasquali (cosiddetto “effetto ponte”, probabilmente non adeguatamente contemplato nella procedura di
aggiustamento per i giorni di lavoro), che è alla base della evoluzione
stazionaria registrata nel secondo trimestre del 2006. Nella seconda
metà dell’anno si è realizzata una robusta accelerazione dei ritmi industriali (più che raddoppiati tra il terzo e il quarto trimestre) sospinti nel
periodo luglio-settembre dalla crescita particolarmente favorevole osservata in agosto e, negli ultimi tre mesi, dagli intensi incrementi (i più
elevati dell’intero 2006) registrati in ottobre e dicembre.
- 30 -
Economia italiana: evoluzione recente
Sulla base dell’indice generale destagionalizzato e corretto per il
diverso numero di giornate lavorative, nel terzo trimestre la produzione
industriale si è incrementata dello 0,6% e, a un ritmo di crescita più che
doppio, nel quarto (+1,3%). Nella media del 2006, l’incremento
dell’indice grezzo è stato pari all’1,8% (+2,3% sulla base dell’indicatore corretto per i giorni di lavoro), il risultato più favorevole del decennio in corso (se si esclude il 2000, quando il rialzo fu del 2,2%). A
fronte di tale evoluzione, l’attività industriale non avrebbe ancora interamente recuperato le perdite accusate nel periodo compreso tra gennaio 2001 e marzo 2005: a fine 2006, l’indice della produzione
industriale si è riportato sui livelli della metà del 2001.
Tali dinamiche hanno troGraf. 3 - PRODUZIONE INDUSTRIALE E
CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE
vato riscontro negli indici qua(saldi destagionalizzati; variazioni annue)
litativi del ciclo industriale. Il
100
5
clima di fiducia delle imprese,
4
elaborato dall’ISAE come sin- 95
3
tesi delle risposte degli intervi2
stati
sull’evoluzione
del 90
1
portafoglio ordini, delle gia0
85
cenze di magazzino e sulle at-1
tese a brevissimo termine 80
-2
-3
dell’attività produttiva, ha
-4
messo in luce un rialzo costan- 75
2003
2004
2005
2006
2007
te nei primi sei mesi dello
Clma di fiducia
Produzione industriale (scala a destra)
scorso anno (proseguendo la
dinamica favorevole che era Fonte: ISTAT e ISAE.
cominciata durante il 2005). A
giugno 2006, l’indice destagionalizzato ha toccato quota 98,2 riportandosi sui valori massimi che erano stati registrati nella seconda metà del
2000. Questo risultato ha riflesso il significativo miglioramento dei
giudizi sulle condizioni di domanda (sul mercato interno ed estero) e
delle prospettive produttive a breve termine, in presenza di una stazionarietà delle giacenze di prodotti finiti. Nella seconda metà del 2006, al
contrario, la fiducia delle imprese ha mostrato, dapprima, una sostanziale stazionarietà e, successivamente, un lieve ripiegamento. Hanno,
in particolare, mostrato segni di indebolimento le aspettative circa gli
andamenti a breve della produzione e il giudizio sul portafoglio ordini
che, si è in particolare deteriorato nei primi mesi del 2007.
- 31 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
La moderazione nei ritmi
di crescita, anticipata dall’an(indici destagionalizzati 2000=100,
damento più recente dell’indicomponenti di ciclo-trend)
ce di fiducia, ha trovato
104
dati destagio nalizzati
riscontro nella consistente
102
ciclo -trend
flessione della produzione in100
dustriale nel mese di gennaio
2007: questa ha sostanzial98
mente compensato il picco (ri96
visto, peraltro, al ribasso) del
mese precedente. Su tale anda94
mento irregolare ha probabil92
mente influito anche qualche
2003
2004
2005
2006
2007
fattore erratico, legato al miFonte: ISTAT ed elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
* L'area ombreggiata rappresenta il periodo di
nor numero di giorni lavorativi
previsione.
del mese di dicembre. Per i tre
mesi successivi, l’ISAE prevede (sulla base dei segnali provenienti dagli indicatori congiunturali) uno sviluppo complessivamente positivo
della dinamica produttiva, pur su un profilo alquanto irregolare, che
permane, tuttavia, orientata in senso favorevole. In particolare, l’attività industriale aumenterebbe dello 0,7% a febbraio, per poi ridursi dello
0,4% a marzo. Complessivamente, la produzione manifatturiera subirebbe una lieve flessione (-0,1%) nel primo trimestre del 2007 rispetto
al quarto del 2006. Per il mese di aprile, invece, si prevede una crescita
dello 0,3%.
A livello settoriale si registra un aumento dei settori che mostrano
un miglioramento della posizione ciclica. Rispetto ai mesi iniziali del
2006, i maggiori progressi sono stati registrati in alcuni comparti di
produzione di beni intermedi, in particolare, quelli relativi alla fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche, alla produzione di articoli
in gomma e materie plastiche, alla produzione di metallo e prodotti in
metallo, tutti connotatisi per il fatto di aver realizzato una transizione,
nel volgere di un anno, da uno stato di contrazione a uno di espansione.
Analoghe dinamiche hanno, nello stesso tempo, interessato due settori
di tradizionale specializzazione della manifattura italiana, l’industria
tessile e dell’abbigliamento (ora in crescita mentre era risultata in recessione a inizio 2006) e l’industria della produzione di macchine e apparecchi meccanici (che ha consolidato la fase di crescita moderata
Graf. 4 - INDICE GENERALE DELLA
PRODUZIONE INDUSTRIALE
Posizione
ciclica dei
settori
industriali
- 32 -
Economia italiana: evoluzione recente
transitando a una fase espansiva). Si tratta di comparti che, complessivamente, rappresentano oltre il 45% del valore aggiunto industriale
(secondo la struttura di ponderazione dell’attuale indice della produzione industriale), una indicazione che fornisce una stima della diffusione dell’espansione produttiva tra i settori industriali. Passaggi
temporanei a un più favorevole regime di crescita, seguiti da un successivo ritorno alla precedente situazione di stabilità, sono stati registrati per le industrie della lavorazione di minerali non metalliferi,
quelle della produzione di apparecchi elettrici e di precisione e per le
altre industrie manifatturiere (compresi i mobili). Una sostanziale stazionarietà della dinamica positiva ha contrassegnato il settore alimentare mentre, una persistenza in un regime di stabilità è stata riscontrata
per le industrie delle pelli e delle calzature, della produzione di mezzi
di trasporto e per quella del legno e dei prodotti semilavorati in legno.
Un indebolimento ciclico ha, inoltre, interessato il comparto delle raffinerie di petrolio (passato da una fase espansiva a una di stabilità), mentre un più sensibile deterioramento della posizione ciclica (che ha
comportato il passaggio a una fase recessiva) è stato riscontrato per
l’industria della carta, stampa ed editoria e per il comparto di produzione di energia elettrica, acqua e gas.
Tab. 1
SITUAZIONE CICLICA DEI PRINCIPALI SETTORI INDUSTRIALI
Posizione ciclica
(gennaio 2007)
Settore
Estrazione di minerali
espansione
Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco
espansione
Industrie tessili e dell’abbigliamento
espansione
Industrie delle pelli e delle calzature
stabile
Industria del legno e dei prodotti in legno (escl. mobili)
stabile
Industria della carta, stampa ed editoria
contrazione
Raffinerie di petrolio
stabile
Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche
espansione
Produzione di articoli in gomma e materie plastiche
espansione
Lavorazione di minerali non metalliferi
stabile
Produzione di metallo e prodotti in metallo
espansione
Produzione di macchine e apparecchi meccanici
espansione
Produzione di apparecchi elettrici e di precisione
stabile
Produzione di mezzi di trasporto
stabile
Altre industrie manifatturiere (compresi i mobili)
stabile
Produzione di energia elettrica, gas e acqua
contrazione
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
- 33 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Evidenze più disaggregate, desunte dall’indice di diffusione
dell’attività industriale, elaborato dall’ISAE a partire dagli indici di
produzione relativi a 185 settori produttivi (in accordo con la classificazione ATECO 2002), fornirebbero una lettura lievemente differente
sull’evoluzione dell’attività manifatturiera. Se, da un lato, il sostanziale recupero di livelli produttivi (verificatosi nei primi sei mesi del
2006) trova conferma nell’andamento dell’indicatore, dall’altro si evidenzia, nella seconda metà dell’anno, una relativa stazionarietà, seguita negli ultimi mesi da un certo ridimensionamento della quota di
settori in espansione (passati dal 70% al 65% nel periodo luglio-dicembre 2006). Tale evoluzione indurrebbe a ritenere che la marcata accelerazione che ha caratterizzato il secondo semestre della dinamica
industriale sia stata meno diffusa e si sia concentrata su un numero relativamente ristretto di comparti produttivi. Tale ridimensionamento
Graf. 5 - INDICE DI DIFFUSIONE
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
2000
2001
2002
interno
2003
2004
estero
2005
2006
2007
totale
Fonte : elaborazione ISAE su dati ISTAT.
del grado di diffusione (in termini aggregati) non configura, tuttavia,
un indebolimento della crescita industriale: con la quota toccata a gennaio 2007 (65%), l’indicatore si colloca comunque a un livello storicamente elevato, confrontabile con i valori acquisti nella metà del 2000,
in corrispondenza del picco di accelerazione industriale. La flessione
dell’indicatore di diffusione sembrerebbe avere anticipato la correzione che ha contrassegnato la dinamica aggregata dell’attività produttiva
a inizio 2007. A fronte di tale dinamica aggregata, nei comparti in prevalenza orientati al mercato interno si è riscontrata una sostanziale stabilità della quota di settori in espansione (67% la percentuale rimasta
- 34 -
Economia italiana: evoluzione recente
costante a partire dal mese di ottobre 2006). La riduzione dell’indice
complessivo è, pertanto, pressoché interamente ascrivibile ai comparti
industriali orientati all’estero, le cui dinamiche espansive (nel secondo
semestre dell’anno) avrebbero interessato un numero di industrie relativamente ristretto; tra queste figurano le produzioni di pelli e calzature, della chimica e della gomma. Alla riduzione della diffusione ha
contribuito, inoltre, l’effetto della revisione statistica degli indici (intervenuta con ilrilascio dei dati relativi a gennaio 2007) che ha portato
a un marcato ridimensionamento della dinamica di alcuni comparti
dell’industria tessile (tessitura e fabbricazione di articoli di calzetteria),
dei minerali non metalliferi (fabbricazione di prodotti ceramici refrattari, di piastrelle in ceramica per pavimenti e rivestimenti), delle macchine e apparecchi meccanici (fabbricazione di pompe, compressori e
sistemi idraulici, di rubinetti e valvole, di fornaci e bruciatori, di trattori agricoli) e dell’industria delle macchine elettriche (fabbricazione di
fili e cavi isolati, di pile e accumulatori elettrici).
La dinamica favorevole,
Graf. 6 - INDICI DELLA PRODUZIONE
INDUSTRIALE
pur concentrata su un numero
(componenti di ciclo-trend)
più limitato di settori, si è ri105
flessa nell’andamento dell’in- 103
dice aggregato che ha posto in
101
99
luce una maggiore concordan97
za dell’attività dei settori volti
95
all’esportazione con quella dei
93
comparti operanti sul mercato
91
interno. Come discusso nei
89
87
precedenti Rapporti, fino ai
85
mesi finali del 2005, i settori
2003
2004
2005
2006
2007
esportatori avevano accusato
M ercato estero
M ercato interno
una persistente debolezza della dinamica di trend, anche nel Fonte:elaborazione ISAE su dati ISTAT.
periodo in cui i comparti aventi come destinazione prevalente il mercato interno avevano segnato una
inversione di tendenza e si erano posizionati su un sentiero di sviluppo
favorevole. Per le industrie orientate all’export, tale correzione si sarebbe verificata con un ritardo di circa un anno rispetto a quelle operanti sul mercato interno; essa si sarebbe manifestata nei mesi iniziali
del 2006 e, poi proseguita nel corso dell’anno secondo ritmi di svilup-
- 35 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Gli indicatori
qualitativi
segnalano il
consolidarsi
della crescita
Beni di
investimento, di
consumo,
intermedi
po nettamente più intensi di quelli osservati per il comparto industriale
in aggregato (più che dimezzando, così, la differenza in livello dei volumi prodotti).
Le indicazioni di una stabiGraf. 7 - CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE MANIFATTURIERE
lizzazione dell’attività produt(inchieste ISAE, 2000=100)
tiva su livelli soddisfacenti
105
emergono anche dalle più re100
centi inchieste dell’ISAE condotte
presso
i
settori
95
manifatturieri. Il clima di fidu90
cia degli imprenditori ha mes85
so in luce un sostanziale
80
consolidamento su livelli elevati, a seguito di una leggera
75
2003
2004
2005
2006
2007
flessione del portafoglio ordini
Totale
Beni di investimento
complessivo (che ha interrotto
Beni di consumo
Beni intermedi
la brillante performance di
crescita) e di una prolungata
stazionarietà delle giacenze di prodotti finiti intorno a valori di poco
superiori a condizioni giudicate “normali”. Un lieve ripiegamento è
stato registrato dalle aspettative di produzione a brevissimo termine,
che si sono gradualmente ridimensionate a metà 2006, dopo aver raggiunto livelli corrispondenti a quelli di metà 2001. Nel complesso, i segnali tratti dalle business survey, hanno confermato il recupero, da
parte della nostra manifattura, di buona parte del terreno perduto nel
periodo 2001-2004 e suggeriscono, tra fine 2006 e inizio 2007, una
pausa di assestamento, dopo i rialzi che hanno contrassegnato i due
anni precedenti.
La probabile decelerazione che ha caratterizzato i primi mesi del
2007 sembrerebbe scontare minori impulsi dai maggiori comparti industriali. Nel settore dei beni di investimento, l’attenuazione delle
aspettative sugli andamenti a breve potrebbe avere frenato i livelli di
attività, riflettendosi in un accumulo di giacenze (in misura più accentuata che negli altri raggruppamenti di industrie); le indicazioni di una
evoluzione ancora particolarmente favorevole degli ordinativi sembrerebbero prefigurare una ripresa dell’attività industriale, seppur a velocità ridotta. Nei beni di consumo, la flessione degli ordinativi è
attribuibile al calo della componente dei beni non-durevoli (sia per la
- 36 -
Economia italiana: evoluzione recente
domanda dall’estero che dall’interno), in presenza di una stazionarietà
della domanda di prodotti durevoli. Il leggero contenimento dei ritmi
produttivi non è risultato sufficiente a consentire una “normale” gestione del magazzino, il cui decumulo si è interrotto a metà 2006 e le giacenze sono poi rimaste sostanzialmente stazionarie. Le aspettative a
breve, sia di domanda che di produzione, pur ancora favorevoli, hanno
messo in luce un contenimento che tenderebbe a posticipare l’ulteriore
recupero dei livelli persi nel corso dell’ultima fase recessiva.
Indicazioni più favorevoli si desumono per i beni intermedi. Il
comparto ha sperimentato elevati livelli di domanda e, per la componente di provenienza estera, ha toccato valori nettamente superiori a
quelli massimi registrati nel corso della fase espansiva di inizio 2000.
Il rallentamento dei livelli produttivi sarebbe quindi temporaneo, non
contrastando un pur leggero decremento del magazzino. Nel breve periodo, l’attività produttiva è attesa in lieve recupero, sospinta dal perdurare di condizioni di domanda favorevoli.
Un ulteriore segnale di
Graf. 8 - GRADO DI UTILIZZAZIONE DEGLI
IMPIANTI E CONDIZIONI DI DOMANDA
miglioramento (proveniente
(inchieste ISAE)
dalle inchieste congiunturali)
30
79,0
sull’evoluzione a breve del’at28
78,5
26
tività manifatturiera, è costitu78,0
24
ito dalla progressiva diminu22
zione, nel corso del 2006 e 77,5
20
fino al primo trimestre 2007, 77,0
18
16
76,5
della percentuale di imprese
14
che hanno dichiarato ostacoli 76,0
12
alla produzione (risultata pari 75,5
10
2003
2004
2005
2006
2007
al 31% delle imprese del camGrado di utilizzo degli impianti
pione nei primi tre mesi del
Ostacoli - Insufficienza domanda (scala a destra)
2007, con una riduzione di 5
punti percentuali rispetto a un
anno prima). Si è ridotta l’incidenza degli ostacoli connessi a una insufficienza di domanda sui mercati di sbocco (di circa 3 punti percentuali, la flessione su base annua). Al contempo, l’indicatore del grado
di utilizzo degli impianti ha toccato quota 78%, un livello eccezionalmente elevato, analogo a quello registrato nel quarto trimestre del
2000. Evidenze a conferma del fatto che nel periodo luglio-dicembre
2006 si è realizzata una fase di ripresa industriale particolarmente so-
- 37 -
Ostacoli alla
produzione
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
stenuta si desumano dall’insorgere di qualche segnale di tensione dal
lato dei processi produttivi. L’indice che segnala una insufficienza di
impianti e/o materiali è, infatti, più che raddoppiato nel secondo semestre del 2006 rispetto alla prima metà dell’anno, portandosi a quota 4%,
un livello ben superiore anche a quello registrato nel quarto trimestre
del 2000. Anche i vincoli all’attività industriale direttamente connessi
al reperimento di manodopera hanno evidenziato un marcato rialzo (oltre 2 punti percentuali a fine 2006 rispetto al trimestre iniziale dell’anno). Una leggera diminuzione del valore di tali indicatori è, poi,
intervenuta nei primi tre mesi dell’anno in corso.
Graf. 9 - VALORE AGGUINTO NEI SERVIZI
(variazioni annue)
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
-1,0
-2,0
2003
2004
2005
2006
To tale
co m m. alb., trasp. e co munic.
credito , att. imm o b. e serv. pro f.
altre attività dei servizi
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
Forte crescita
dei servizi
Nel 2006, il settore dei servizi ha messo in luce una evoluzione
particolarmente positiva. Essa ha corrisposto a un dinamica in accelerazione che può essere suddivisa in due distinte fasi: la prima, più intensa, ha interessato i due trimestri iniziali del 2006, con incrementi
consecutivi risultati pari, rispettivamente, allo 0,6% e a un più forte impulso nei successivi tre mesi (+0,9%). Analogamente a quanto si è verificato nel comparto industriale, un sensibile rallentamento ha
interessato i settori del terziario tra luglio e settembre (+0,3%). La successiva fase in accelerazione della seconda metà del 2006 è stata contrassegnata da un ulteriore forte balzo nel trimestre finale dell’anno
(+0,9%), periodo in cui il valore aggiunto dell’intero comparto è risultato del 2,6% più elevato rispetto a quello di un anno prima (una variazione particolarmente elevata, inferiore, negli anni duemila, soltanto a
- 38 -
Economia italiana: evoluzione recente
quella registrata nei trimestri iniziali del 2001). Nella media del 2006,
il valore aggiunto a prezzi costanti, corretto per il numero di giorni lavorativi, è aumentato dell’1,9% rispetto a un anno prima. Si tratta del
risultato migliore messo a segno nell’ultimo quinquennio, inferiore di
circa 0,6 punti percentuali a quello conseguito nel 2001. Tali dinamiche hanno, soprattutto, risentito del positivo andamento delle attività
connesse al commercio, ai trasporti e alle comunicazioni: lo sviluppo
di tale comparto è risultato particolarmente sostenuto nei trimestri
esterni del 2006 (quando ha contribuito, in ciascun trimestre, per 0,4
punti percentuali alla crescita complessiva dei servizi). Nel periodo
centrale dell’anno, il concorso alla crescita aggregata è risultato solo
marginalmente positivo (+0,1 punti percentuali). Un notevole impulso
al rialzo del secondo trimestre è venuto dai servizi connessi al credito,
alle attività immobiliari e ai servizi professionali, quando il loro apporto si è commisurato a circa due terzi della crescita complessiva osservata nel trimestre. Anche nel periodo ottobre-dicembre, il notevole
incremento di tali attività (+1,3%) ha concorso per oltre 0,5 punti percentuali allo sviluppo complessivo del settore terziario.
Graf. 10 - GIUDIZI SUL FATTURATO DELLE IMPRESE DI SERVIZI
(inchieste ISAE)
80
60
40
20
0
-20
-40
-60
2003
2004
SERVIZI A LLE FA M IGLIE
2005
2006
SERVIZI FINA NZIA RI
2007
SERVIZI A LLE IM P RESE
Nei primi due mesi del 2007, le inchieste mensili condotte
dall’ISAE presso un campione di imprese dei servizi hanno evidenziato un sensibile miglioramento dei giudizi sul fatturato. Dopo la netta
flessione di ottobre dello scorso anno, quando l’indicatore si è più che
dimezzato, si è delineata una evoluzione in graduale miglioramento
che ha portato l’indice, in media, su livelli superiori a quelli del quarto
- 39 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Costruzioni
attese in
moderato
sviluppo
trimestre 2006. Tale avanzamento è stato interamente sostenuto
dall’andamento dei servizi alle imprese, di nuovo in progresso dai mesi
finali dello scorso anno: a febbraio 2007, l’aumento del saldo (5 punti
rispetto a gennaio, oltre 10 rispetto alla media del 2006) è stato dovuto
a una riduzione delle valutazioni negative, in presenza di una stabilità
dei giudizi favorevoli. Miglioramenti più lievi hanno riguardato i giudizi sul fatturato per i servizi alle famiglie. Flessioni hanno, invece, caratterizzato le valutazioni per il comparto dei servizi finanziari, che si
sono inoltre contraddistinte per l’elevata erraticità. Il significativo deterioramento del saldo è interamente attribuibile a una revisione in negativo delle opinioni di una parte consistente di operatori che,
precedentemente, avevano espresso giudizi di stazionarietà.
Nel complesso, tali indicazioni porterebbero a prefigurare, dopo
gli sviluppi particolarmente favorevoli della fine del 2006, il proseguire di una evoluzione ancora positiva, secondo ritmi più contenuti, nei
mesi iniziali dell’anno in corso.
In linea con gli altri comGraf. 11 - VALORE AGGIUNTO DEL
SETTORE DELLE COSTRUZIONI
parti produttivi, il settore delle
(milioni di euro 2000; dati destagionalizzati e
costruzioni ha fatto registrare
corretti per il diverso numero di giornate lavorative)
performance positive in tutti i
2
16600
trimestri del 2006, con spinte
16400
1,5
particolarmente intense nel
16200
1
primo (+0,8%) e nel quarto tri16000
mestre (+1,4%) dello scorso
0,5
15800
anno. Nello stesso periodo, la
0
15600
dinamica tendenziale ha mo-0,5
strato un sensibile rialzo ritor15400
nando, così, attorno agli
-1
15200
elevati livelli che avevano
15000
-1,5
2003
2004
2005
2006
contrassegnato l’andamento
Variazioni congiunturali (scala a destra)
del settore nel corso del 2003.
Indice
Nella media del 2006, il valore
Fonte: ISTAT.
aggiunto in termini concatenati, aggiustato per gli effetti di calendario, si è incrementato dell’1,8%
su base annua, un risultato positivo, pari a circa due volte la crescita
media dell’ultimo biennio.
A gennaio 2007, la fiducia delle imprese di costruzione, desunta
dalle inchieste dell’ISAE, ha continuato a mostrare un andamento alta-
- 40 -
Economia italiana: evoluzione recente
lenante, a conferma della fase di incertezza vissuta dal settore: l’indice,
considerato al netto dei fattori stagionali, è sceso a febbraio da 92,3 a
91,2 continuando ad oscillare attorno ai valori medi del 2006. Tra le
variabili componenti l’indicatore, hanno mostrato un leggero recupero
i giudizi sui piani di costruzione, ma si sono ridimensionate le prospettive dell’occupazione, dopo il forte balzo in avanti registrato lo scorso
mese. Indicazioni sfavorevoli sono emerse anche dalle previsioni circa
l’andamento delle principali variabili di impresa. Sono diminuite, infatti, le aspettative sui piani di costruzione che, in termini di saldo,
sono passate da 12 a -0,4, sui minimi dal settembre del 2005. Più lieve
è stato il deterioramento delle attese di occupazione, con il saldo che in
questo caso è passato da 9 a 6, assestandosi comunque su valori elevati
dopo il forte miglioramento di dicembre 2006.
- 41 -
Economia italiana: evoluzione recente
Trasformazioni dell’industria italiana
A partire dai primi mesi del 2005, l’industria manifatturiera italiana ha sperimentato una
ripresa dell’attività produttiva. Il miglioramento fa seguito a un periodo molto lungo di stasi/
flessione – senza precedenti per durata (quasi 50 mesi, secondo la datazione ciclica dell’ISAE) – su
cui hanno inciso una crisi competitiva particolarmente intensa e il lento processo di adattamento
che ne è conseguito. L’avanzata della Cina nei mercati internazionali e l’adesione all’UEM hanno
costituito i principali fattori di cambiamento. Il gigante asiatico ha sottoposto le produzioni
tradizionali italiane a una fortissima pressione allo spiazzamento dai mercati internazionali;
l’adozione della moneta unica ha comportato, oltre alla perdita di uno strumento di aggiustamento
ripetutamente usato dall’Italia nel passato, l’esposizione del nostro apparato produttivo ai
sommovimenti nella geografia economica europea indotti dalla fase di più spinta integrazione
dell’area. Il recupero industriale italiano ha evidentemente risentito del rafforzamento del ciclo
mondiale e, in particolare, di quello della Germania. Tuttavia, esso non si sarebbe verificato con
un’intensità apprezzabile se non si fosse fondato sul processo di ristrutturazione operato negli anni
della crisi, in risposta alle spinte alla trasformazione emerse nel periodo. A metà del decennio, il
sistema manifatturiero italiano appare dunque parzialmente modificato rispetto a cinque anni
prima. Esso risulta relativamente più piccolo, anche se le dimensioni sono ancora consistenti se
confrontate con gli standard dei paesi avanzati, dove (con la rilevante eccezione tedesca)
l’industria rappresenta tra il 14 e il 18% dell’intera economia: il peso dell’industria in senso
stretto nel 2006 si attesta in Italia, in termini di valore aggiunto a prezzi (del produttore)
concatenati (base 2000), al 23,8% del PIL, avendo registrato una discesa di circa due punti
percentuali rispetto al 2000 (accelerando la tendenza alla contrazione che caratterizzava il
periodo precedente; cfr. tab. R1); in termini di occupazione, la quota dell’industria si situa nel
2006 al 20,2%, con una diminuzione di 1,5 punti rispetto al 2000 (anche in questo caso con
un’accentuazione della flessione rispetto ai cinque anni precedenti).
Tab. R1
IL PESO DELL'INDUSTRIA ITALIANA
(quote percentuali)
1990
1995
2000
2006
Valore aggiunto
27,2
27,5
25,9
23,8
Unità di lavoro totali
24,3
22,9
21,7
20,2
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
Ma al di là della riduzione di peso – su cui hanno influito tanto perdita di competitività
quanto tendenze naturali alla deindustrializzazione – è interessante indagare su alcune delle
trasformazioni intervenute nell’industria durante il lungo periodo di adattamento sperimentato in
questi anni. Come si noterà si intravedono nel processo di ristrutturazione del passato quinquennio
sia aspetti di novità rispetto alle esperienze di riassetto sperimentate in precedenti occasioni, sia
conferme di caratteri peculiari e piuttosto radicati della nostra industria.
Andamento occupazionale. Il primo punto da porre in luce riguarda l’aggiustamento sul
fronte dell’occupazione. Al contrario degli episodi di ristrutturazione dei primi anni ottanta e dei
primi anni novanta, la riorganizzazione degli anni duemila non sembra essere stata di tipo labour
- 42 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
shedding: l’occupazione nell’industria in senso stretto (misurata in unità standard di lavoro, ULA)
è scesa dello 0,6% all’anno tra il 2000 e il 2005, in corrispondenza di una contrazione media
annua dell’attività produttiva dell’1% (tab. R2); in occasione delle recessioni del 1980-83 e del
1990-93, a fronte di contrazioni dell’industria di entità analoga (-1% all’anno), la riduzione di
manodopera è stata quattro volte superiore rispetto a quella dei primi anni duemila, nell’ordine del
2,7% all’anno (per un periodo di quattro-cinque anni). Una differenza che risalta ancor più
quando si consideri il numero di unità di lavoro “tagliate” nelle varie esperienze: tra il 1980 e il
1985, l’occupazione industriale si contrasse di otre 800.000 unità (circa 165.000 all’anno); tra il
1990 e il 1994, la flessione delle ULA fu di oltre 580.000 (circa 145.000 all’anno); tra il 2000 e il
2005, il calo è risultato intorno a 155.000 unità (poco più di 30.000 all’anno).
Tab. R2
RECESSIONI INDUSTRIALI A CONFRONTO
(variazioni percentuali medie annue).
1980-83
Valore aggiunto industriale
Occupazione industriale (ULA)
1990-93
2000-05
-0,9
-1,0
-1,0
-2,7 (1980-85)
-2,7 (1990-94)
-0,6
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
Queste differenze appaiono vieppiù sorprendenti se si tiene conto delle caratteristiche del
mercato del lavoro con cui hanno interagito, nei vari periodi, le imprese. Le (probabilmente)
maggiori condizioni di flessibilità che contrassegnavano il mercato nei primi anni duemila, rispetto
ai decenni ottanta e novanta, avrebbero dovuto costituire un fattore di amplificazione della
contrazione occupazionale in risposta al ciclo debole, in misura forse più intensa, certamente più
fluida, di quanto si verificò nelle altre due esperienze. Ciò invece non si è, come visto, verificato.
Una risposta a questa apparente contraddizione sta, probabilmente, nel fatto che gli obiettivi di
risparmio di costo da parte delle imprese hanno implicato, nei vari episodi di ristrutturazione, la
necessità di far leva su aspetti diversi del processo produttivo: all’inizio dei decenni ottanta e
novanta il recupero di condizioni di efficienza e l’abbattimento dei costi operativi spingevano al
risparmio del fattore lavoro, divenuto, dopo anni di difficili relazioni industriali, “caro” e
“rigido”. All’inizio del decennio duemila, il lavoro, grazie alla moderazione salariale e alla
maggiore convenienza di impiego indotta dalle riforme di flessibilità, non sembra configurarsi più
come il fattore da risparmiare nei processi produttivi. La ristrutturazione ha invece comportato
sforzi, forse più difficili della mera riduzione del personale, di riorganizzazione interna (con
importanti investimenti organizzativi) per l’efficace, ancorché ritardata, adozione delle nuove
tecnologie e di riposizionamento delle linee di produzione su fasce qualitative più elevate (con
importanti investimenti in attività immateriali, quali ricerca e sviluppo, design, marchio,
marketing, ecc.), soprattutto nei settori apparentemente più maturi e tradizionali della nostra
industria, aggrediti dalla competizione delle economie a basso costo del lavoro.
Il modesto calo dell’occupazione industriale nel periodo 2000-2005 sottende, naturalmente,
andamenti molto differenziati nei vari settori. Nella tabella R3 si riporta il ranking delle industrie
in funzione crescente della dinamica dell’occupazione (dalla variazione negativa più forte a quella
positiva più elevata)1. Come si vede, diminuzioni consistenti dell’occupazione hanno caratterizzato
diversi comparti, tra cui quelli investiti da crisi competitive più acute come l’industria conciaria
(con una diminuzione delle unità di lavoro del 17%), il tessile (-16,4%), gli autoveicoli (-14,3%).
- 43 -
Economia italiana: evoluzione recente
Tab. R3
OCCUPAZIONE E PRODUZIONE INDUSTRIALE NELLA RECESSIONE 2001-05
(variazione percentuale)
Variazione ula
totali
Variazione valore
aggiunto
Fibre sintetiche artificiali
-47,1
-40,5
-11,1
Bevande e del tabacco
-17,3
1,3
-18,3
Industrie conciarie,cuoio, pelle e simili.
-17,0
-22,5
7,1
Coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei
combustibili nucleari
-16,4
-36,4
31,4
Settori
Variazione intensità
di lavoro
Industrie tessili
-14,7
-24,1
12,3
Autoveicoli, rimorchi e
semirimorchi
-14,3
-23,8
12,4
Energia elettrica, gas e acqua
-10,4
7,9
-17,0
Altri mezzi di trasporto
-8,5
-20,7
15,4
Prodotti chimici di base, per agricoltura, edilizia,
stampa ecc.
-8,5
-12,8
4,9
Abbigliamento
-7,9
-26,1
24,5
Macchine. per ufficio, elaboratori. e sistemi informatici
-6,8
-47,1
76,1
Legno e dei prodotti in legno
-5,9
-10,5
5,2
Articoli in gomma e materie plast.
-5,7
-3,5
-2,3
Gioiell., orefic., giochi, altre industrie manif.
-5,1
1,2
-6,3
Estrazione di minerali non energetici
-3,8
-6,1
2,4
Prodotti della lavor. di minerali non metalliferi
-3,0
5,5
-8,1
Totale industria
-2,7
-4,7
2,1
Pasta-carta, della carta e in carta
-2,3
2,2
-4,4
Apparecchi elettr., radiotel. e comunic.
-0,6
-0,4
-0,2
Industrie alimentari
-0,3
-8,2
8,6
Editoria, stampa, riproduz. supporti registrati
0,3
-4,6
5,2
Mobili e strumenti musicali
1,5
-5,2
7,1
Prod. farmac., chimici e botan., per cosm. pulizia
ambienti
2,0
7,1
-4,7
Metallurgia
4,0
-8,7
13,9
Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in
metallo
4,6
11,8
-6,5
Apparecchi medicali, precisione., strumenti. ottici
e orologi
6,0
-5,1
11,6
Macchine ed apparecchi meccanici
Estrazione di minerali energetici
6,4
-0,3
6,6
26,6
-15,9
50,4
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
*In corsivo i settori dove la variazione dell’occupazione è inferiore a quella della produzione.
Tuttavia, se si tiene conto del ridimensionamento subito dai volumi produttivi (seconda
colonna della tabella), i cali occupazionali dei settori in crisi risultano proporzionalmente inferiori
alle perdite di attività.
1
Le elaborazioni nella tabella R3 sono basate sui dati della vecchia Contabilità nazionale, non essendo ancora
disponibile il dettaglio settoriale secondo i nuovi conti diffusi il primo marzo scorso.
- 44 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Nella terza colonna della tabella R3 viene riportato il cambiamento nell’intensità del fattore
lavoro (variazione del rapporto occupazione/valore aggiunto) o, all’opposto, della produttività
(misurata) degli occupati tra il 2000 e il 2005. Come si può osservare, solo in un numero limitato di
settori (quelli in corsivo, vale a dire 10 su 27) l’occupazione è caduta più della produzione (o è
aumentata meno), suggerendo un effettivo fenomeno di labour shedding. In alcuni casi (meccanica,
metallurgia, apparecchi di precisione, mobili, editoria), stasi o flessioni produttive si sono
addirittura accompagnate a un’espansione dell’unità di lavoro.
Cambiamento inter-settoriale. La ristrutturazione degli anni duemila ha comportato un certa
ricomposizione settoriale dell’industria manifatturiera italiana. Tra il 2000 e il 2006, si è
ridimensionato il peso dei comparti del sistema-moda (la quota nella manifattura delle industrie
tessili, dell’abbigliamento, e dei prodotti in cuoio è scesa tra mezzo e un punto percentuale; cfr. tab.
Tab. R4
COMPOSIZIONE DELLA PRODUZIONE MANIFATTURIERA
(quote percentuali e variazioni in punti percentuali)
Totale manifattura
Alimentari
2000
2006
var. 2000-06
100,0
100,0
0,0
10,7
12,0
1,4
Tessile
4,9
4,1
-0,8
Abbigliamento
3,6
3,1
-0,5
Prodotti in cuoio
3,3
2,4
-1,0
Prodotti in legno
2,0
2,2
0,2
Prodotti in carta
2,3
2,7
0,4
Prodotti dell'editoria
3,2
3,3
0,2
Prodotti energetici
7,4
8,2
0,8
Chimica
7,8
8,4
0,6
Gomma, plastica
4,0
3,9
-0,1
Minerali non metalliferi
4,3
4,4
0,1
Metalli di base
4,8
5,4
0,6
Prodotti in metallo
9,1
10,0
1,0
Macchine e attrezzature
11,6
12,3
0,7
Macchine per ufficio ed elaboratori
0,5
0,1
-0,5
Macchinario elettrico
3,8
3,2
-0,6
Radio, televisione e strumenti di comunicazione
2,9
2,0
-0,9
Strumenti medici, ottici, di precisione
1,8
1,7
-0,1
Autoveicoli
5,4
4,5
-0,8
Altri mezzi di trasporto
1,9
1,8
-0,1
Mobili
3,0
3,0
-0,1
Riciclaggio
0,2
0,3
0,0
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat.
- 45 -
Economia italiana: evoluzione recente
R4), degli autoveicoli (otto decimi di punto in meno) e di alcuni settori a più alta tecnologia
(macchine per ufficio, macchinario elettrico, strumenti di comunicazione, scesi tra cinque decimi e
un punto percentuale). Si sono, invece, relativamente espanse l’industria alimentare (con un balzo
di quasi 1,5 punti), quella energetica (di otto decimi di punto), la chimica (di sei decimi), le
macchine e attrezzature (di sette decimi) e alcune produzioni intermedie per la meccanica (prodotti
in metallo e metalli di base, in crescita di sei decimi e un punto percentuale).
Una certa ricomposizione settoriale ha interessato anche le altre economie europee, a loro
volta sottoposte, in questi anni, a stimoli al cambiamento. Tuttavia, le modifiche strutturali
sembrano essere state in Italia relativamente più intense che nei partner. Nella tabella R5 si riporta
un indice di somiglianza tra la struttura dell’industria manifatturiera nel 2006 e quella del 2000,
per l’Italia, i principali paesi europei e un aggregato Europa (comprendente oltre alle economie
Tab R5
INDICE SOMIGLIANZA TRA LA STRUTTURA DELL'INDUSTRIA
NEL 2006 E QUELLA DEL 2000
(0=massima dissomiglianza; 1=perfetta somiglianza)
Italia
0,94
Germania
0,96
Francia
0,95
Spagna
0,95
Regno Unito
0,93
Europa (10 paesi)
0,97
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
considerate in tabella, Austria, Belgio, Finlandia, Irlanda e Portogallo). L’indicatore può variare
tra un valore zero (massima dissomiglianza) e uno (perfetta somiglianza). Come si vede, l’indice di
somiglianza della struttura del 2006 con quella di sei anni prima è in Italia più basso di Germania,
Francia e Spagna, oltre che dell’aggregato Europa evidenziando una diversificazione maggiore
della struttura italiana tra il 2000 e il 2005 rispetto a quanto sperimentato dalle altre economie;
solo il Regno Unito mostra un mutamento strutturale più intenso dell’Italia.
Se la ricomposizione nel mix manifatturiero sembra essere stata relativamente più intensa in
Italia che nei paesi europei (in particolare, quelli dell’area euro), una questione strettamente
connessa è verificare se la modifica che ha interessato il sistema italiano è andata nella direzione
di avvicinare o meno la nostra industria a quella dei paesi partner. Ciò viene analizzato nella tab.
R6, dove l’esame della somiglianza è condotto in modo bilaterale tra i vari sistemi industriali.
L’aggregazione dei paesi europei (UE-9) è effettuata, per rendere il confronto significativo,
escludendo da essa, di volta in volta, l’economia considerata nel raffronto. La tabella porta a
evidenziare che il cambiamento strutturale dell’Italia è andato nel senso di accentuare la
dissomiglianza (l’indice si abbassa tra il 2000 e il 2006) del nostro apparato manifatturiero da
quello delle principali economie dell’area euro (ma non nei confronti del Regno Unito). L’altro
paese “divergente” risulta essere la Spagna, anche se non nell’intensità che caratterizza l’Italia
(gli indici spagnoli di somiglianza bilaterale sono nel 2006 più elevati di quelli italiani).
- 46 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Tab. R6
INDICE DI SOMIGLIANZA TRA LE STRUTTURE DELLE INDUSTRIE
DEI PRINCIPALI PAESI EUROPEI
Italia
Italia
Germania
Spagna
Francia
Regno Unito
UE-9
Spagna
Francia
2000
1
Germania
0,812
0,815
0,766
Regno Unito
0,780
UE-9
0,824
2006
1
0,762
0,762
0,732
0,808
0,797
2000
0,812
1
0,814
0,846
0,846
0,797
2006
0,762
1
0,768
0,849
0,849
0,804
2000
0,815
0,814
1
0,818
0,820
0,870
2006
0,762
0,768
1
0,785
0,840
0,850
2000
0,766
0,846
0,818
1
0,871
0,857
2006
0,732
0,849
0,785
1
0,815
0,844
2000
0,780
0,846
0,820
0,871
1
0,860
2006
0,808
0,849
0,840
0,815
1
0,870
2000
0,824
0,797
0,870
0,857
0,860
1
2006
0,797
0,804
0,850
0,844
0,870
1
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat.
Cambiamento intra-settoriale. Oltre a modifiche inter-settoriali si sono verificati nell’arco di
tempo considerato anche rilevanti cambiamenti di tipo intra-settoriale, soprattutto nelle industrie
tradizionali del Made-in-Italy, nella direzione del miglioramento qualitativo delle produzioni.
Come in altre occasioni nel passato, l’acutizzarsi delle pressioni competitive, da parte dei paesi
emergenti a basso costo del lavoro, non ha comportato il drastico ridimensionamento (e men che
meno la completa marginalizzazione) dei settori italiani del sistema moda-casa: la più intensa
concorrenza internazionale non è stata, in altri termini, occasione di rivoluzionamento della
composizione dell’output industriale. Le attività tradizionali sono risultate bensì scremate, con la
perdita delle produzioni meno pregiate a favore dei competitori e la delocalizzazione di fasi
lavorative più intensive di lavoro. Tuttavia, l’aumento della pressione concorrenziale ha agito
soprattutto nel senso di accentuare ulteriormente la specializzazione within sector, favorendo lo
spostamento verso fasce di prodotto a più elevata qualità, maggiormente al riparo dalla
competitività di costo dei produttori delle aree emergenti e dove, quindi, le imprese italiane
possono godere di un certo grado di potere di mercato (e di fissazione del prezzo).
Nelle tabelle R1, R2 e R3, si riportano gli andamenti dei valori medi unitari all’esportazione
(VMU) e dei prezzi alla produzione per l’industria manifatturiera nel complesso e per due settori
tradizionali, il tessile-abbigliamento e il cuoio-pelli-calzature. Il divario crescente tra i due
indicatori di prezzo, che emerge molto nettamente nei comparti del Made-in-Italy (e meno per
l’aggregato manifatturiero), sembra da attribuire fondamentalmente alla modifica del mix
qualitativo: gli aumenti dei VMU, in presenza di andamenti molto più contenuti (e, per gran parte
degli anni, stagnanti) dei prezzi alla produzione praticati sul mercato interno, risentono dei
mutamenti di composizione nel paniere delle esportazioni italiane di beni tradizionali, conseguenti
alla fuoriuscita dei prodotti a più basso valore unitario e alla sopravvivenza/successo di quelli di
gamma più elevata (a più alto valore unitario). Si sarebbe quindi confermata, anche nella recente
fase in cui l’avanzata massiccia dei prodotti cinesi sembrava poter costituire la spinta decisiva al
cambiamento strutturale della specializzazione italiana, la modalità di aggiustamento che ha
- 47 -
Economia italiana: evoluzione recente
contrassegnato altri periodi di difficoltà competitive: il riposizionamento delle imprese all’interno
dei settori già presidiati, spostando ulteriormente la “barriera” protettiva, costituita dalla
differenziazione qualitativa, nei confronti dei concorrenti; un’indicazione di radicamento delle
vocazioni produttive di tali industrie, non facilmente scalfibili neppure sotto l’azione di competitori
estremamente agguerriti quali quelli venuti alla ribalta dei mercati internazionali negli anni
duemila.
Graf R1 - AGGREGATO MANIFATTURA
130
Prez z i alla produz ione
V alori medi unitari
120
110
100
90
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2005
2006
2005
2006
Graf. R2 - TESSILE ABBIGLIAMENTO
140
Prez z i alla produz ione
V alori medi unitari
130
120
110
100
90
2000
2001
2002
2003
2004
Graf. R3 - CUOIO E CALZATURE
150
P rezzi alla pro duzio ne
140
Valo ri medi unitari
130
120
110
100
90
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
Ciclo-trend estratto con il filtro Band-Pass su dati destagionalizzati. Indici 2000=100.
- 48 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Tendenze della specializzazione. Dalle considerazioni precedenti discende che, nonostante
un pur importante cambiamento settoriale, la specializzazione italiana è uscita dal lungo periodo
di crisi competitiva in apparenza scarsamente modificata. Nella figura R4 è rappresentata la
distribuzione degli indici di specializzazione per circa 20 settori dell’industria manifatturiera
italiana nel 2000 e 2006. Gli indici sono ordinati in senso decrescente, da sinistra a destra, sulla
base dei valori dell’anno iniziale, vale a dire il 2000. Come si può osservare, nonostante i
ridimensionamenti subiti nell’arco di tempo considerato dalle industrie tradizionali, la
specializzazione italiana continua a mostrare, nel 2006, valori molto elevati in tali comparti. Anzi,
si sono addirittura verificati, tra il 2000 e il 2006, incrementi di specializzazione, rispetto al
benchmark europeo, nell’industria conciaria, nell’abbigliamento, nel tessile e (in misura meno
marcata) nei mobili. Sostanzialmente stabile è rimasta la specializzazione nelle macchine e
attrezzature, mentre posizioni di maggior forza competitiva sono state acquisite, rispetto al 2000,
nei prodotti in legno, nei metalli di base, nell’industria energetica, negli alimentari e nei prodotti in
carta. All’opposto si sono accentuati i punti di debolezza nei comparti a tecnologia più elevata
(macchine per ufficio ed elaboratori, elettronica di consumo) e negli autoveicoli.
Graf. R4 - ITALIA: SPECIALIZZAZIONE MANIFATTURIERA IN RAPPORTO ALL’UE
8
7
2000
6
2006
5
4
3
2
1
dl30
dm34
de22
dm35
dg
dl32
dl33
dl31
dn37
da
de21
dh
dj27
df
dd
di
dk
dj28
db17
dn361
dc
db18
0
d c Pr o d o t ti in c u o io
d b 1 8 A b b ig lia m e n to
d b 1 7 T e s s ile
d n 3 6 1 M o b ili
d j2 8 Pr o d o tt i in m e ta llo
d k M a c c h in e e a ttr e z z a t u r e
d i M in e r a li n o n m e ta llif e r i
d f Pr o d o tt i e n e r g e tic i
d d Pr o d o tt i in le g n o
d j2 7 M e ta lli d i b a s e
d h G o m m a , p la s tic a
d a A lim e n ta r i
d e 2 1 Pr o d o t ti in c a r ta
d l3 1 M a c c h in a r io e le t tr ic o
d n 3 7 R ic ic la g g io
d l3 3 S t r u m e n ti m e d ic i, o tt ic i, d i
p r e c is io n e
d g C h im ic a
d l3 2 R a d io , te le v is io n e e s tr u m e n t i
d i c o m u n ic a z io n e
d e 2 Pr o d o tti d e ll'e d ito r ia
d m 3 5 A ltr i m e z z i d i tr a s p o r t o
d m 3 4 A u to v e ic o li
d l3 0 M a c c h in e p e r u f f ic io e d
e la b o r a to r i
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat.
La struttura della specializzazione italiana risulta, quindi, apparentemente poco mutata, in
rapporto ai partner europei, dopo un quinquennio di grandi difficoltà e regressi, in termini di quote
in volume, nei mercati mondiali. Anzi la peculiarità italiana sembra addirittura rafforzata
successivamente a questo periodo. In realtà, come sopra argomentato, i settori storici di vantaggio
comparato si sono sensibilmente modificati al loro interno, a seguito di un severo processo di
selezione che ha portato alla scomparsa dei produttori meno efficienti e alla sopravvivenza di
quelli più competitivi; il mix produttivo è quindi mutato in tali industrie. Inoltre, tra le due code
- 49 -
Economia italiana: evoluzione recente
estreme (molto accentuate in Italia) delle specializzazioni e despecalizzazioni settoriali si sono
rafforzate diverse attività a media tecnologia che hanno contribuito ad arricchire la matrice
dell’offerta italiana. Infine, nel commentare questi indicatori occorre sempre ricordare che il
concetto di specializzazione misura un fenomeno relativo. In altri termini, valori molto elevati degli
indici di vantaggio comparato nelle industrie tradizionali stanno unicamente a segnalare che
questi settori sono proporzionalmente (molto) più “rappresentati” in Italia che nei paesi partner: il
peso di queste industrie, però, si situa tra il 2,5 e il 4,5% della produzione manifatturiera, che è
triplo o quadruplo rispetto a quanto si riscontra nelle altre economie europee, ma è pur sempre
inferiore al peso rivestito nel nostro sistema da comparti come la meccanica, la metallurgia, la
chimica e l’industria energetica.
Cambiamenti nella popolazione delle imprese esportatrici. La prolungata fase di ristrutturazione
industriale ha comportato che vi fossero, tra il 2000 e il 2006, attori “perdenti” e “vincenti” nella
popolazione delle imprese italiane operanti sui mercati internazionali e, in generale, un processo di
ricomposizione della platea degli esportatori. Per cercare di valutare questi fenomeni un utile
punto di osservazione è costituito dal campione delle imprese manifatturiere dell’inchiesta ISAE.
La procedura che qui si segue, per eliminare le influenze spurie dovute ad “attrito” statistico nelle
rilevazioni, è quella di considerare un panel chiuso di imprese costituito dagli operatori presenti
tanto nell’indagine del 2000 quanto in quella del 20062 e di studiare, quindi, i loro movimenti
nell’arco di tempo considerato con riferimento all’attività di esportazione (presenza o meno sui
mercati esteri). Si individuano in questo modo quattro tipologie di imprese: le “scomparse” (quelle
che esportavano nel 2000 e non lo fanno più nel 2006), le “sopravvissute” (quelle che esportavano
nel 2000 e lo fanno ancora nel 2006), le “nuove” (quelle che non esportavano nel 2000, ma lo
fanno nel 2006), le “inattive” (quelle che non esportavano nel 2000 e non esportano nel 2006). Si
può pervenire così ad alcune misure sintetiche di rinnovamento del “parco” degli esportatori. I
risultati sono riportati nella tabella R7 dove i vari comparti sono ordinati in funzione decrescente
di un indicatore di ricambio intra-settoriale (tasso di turnover lordo). In primo luogo, si può
osservare che a livello dell’intera industria manifatturiera (riga del totale complessivo, in tabella)
il tasso di turnover lordo (dato dalla somma tra “imprese nuove” e “imprese scomparse” in
rapporto al totale delle imprese del panel) si è attestato, tra il 2000 e il 2006, al 12,5%, mentre
quello netto (dato dalla differenza tra “imprese nuove” e “imprese scomparse” in rapporto al
totale delle imprese del panel) è stato prossimo a zero, indicando un bilanciamento tra i flussi in
uscita con quelli in entrata. Per quanto riguarda i rapporti “inerziali” nel panel (quelli che
indicano fenomeni di persistenza tra i due anni), il tasso di sopravvivenza (imprese che
esportavano nel 2000 e che esportano anche nel 2006 in rapporto al totale delle imprese del panel)
e di inattività (imprese che non esportavano nel 2000 e continuano a non esportare nel 2006 in
rapporto alla popolazione totale del panel) si sono collocati, rispettivamente, al 43 e al 44 per
cento.
In rapporto al totale delle imprese manifatturiere il reshuffling di esportatori più intenso,
misurato da tassi di turnover lordo superiori alla media, si è avuto in sette settori: due di relativa
despecializzazione della nostra industria e che hanno attraversato un intenso periodo di crisi e
2
Le imprese compresenti nei due periodi – rilevate, cioè, tanto nell’inchiesta ISAE di fine 2000, quanto in quella
di fine 2006 – sono circa 2.200.
- 50 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
ristrutturazione (autoveicoli e mezzi di strasporto, caratterizzati da ampi indotti di produttori di
componenti), due comparti del Made-in-Italy tradizionale investiti anch’essi da forti pressioni
competitive (abbigliamento e cuoio-pelli), un settore di accentuata vocazione produttiva (macchine
e attrezzature) e due attività di media tecnologia in cui è andato emergendo, nel periodo
considerato, un buon vantaggio competitivo (metallurgia e prodotti in metallo). Tassi di turnover
lordo delle imprese appena inferiori alla media della manifattura caratterizzano la gomma e
plastica, gli alimentari, il tessile, le macchine elettriche e la chimica. Tornando ai settori con un
ricambio lordo di esportatori maggiore del valore medio riferito all’intera industria, emergono
alcune differenze per quanto riguarda il bilanciamento tra flussi di imprese esportatrici in uscita e
in entrata. Il tasso di turnover netto segnala, infatti, che per gli autoveicoli e gli altri mezzi di
trasporto si sono avute, tra il 2000 e il 2006, uscite (imprese scomparse come attività di
esportazione) superiori alle entrate (nuove imprese esportatrici); al contrario i nuovi esportatori
hanno superato gli “scomparsi” nelle macchine e attrezzature, nel cuoio-pelli, nella metallurgia e
nei prodotti in metallo; per l’abbigliamento, il dato è lievemente negativo.
Tab. R7
MUTAMENTI NELLA COMPOSIZIONE SETTORIALE DELLE IMPRESE
ESPORTATRICI NELL’INCHIESTA ISAE TRA IL 2000 E IL 2006
(valori percentuali)
turnover
lordo
(1)
turnover
netto
(2)
tasso di
sopravvivenza
(3)
tasso di
inattività
(4)
34 Autoveicoli e componenti
34,4
-15,6
46,9
18,8
35 Altri mezzi di trasporto
30,3
-6,1
48,5
21,2
18 Abbigliamento
16,5
-1,0
32,5
51,0
29 Macchine e apparecchi meccanici
16,0
0,5
56,7
27,3
19 Cuoio, pelli e simili
15,2
3,0
54,5
30,3
27 Metallurgia
13,8
2,3
47,1
39,1
28 Prodotti in metallo
13,0
6,3
40,2
46,9
12,5
-0,1
43,3
44,2
12,2
0,0
63,3
24,5
Totale complessivo
25 Gomma e plastica
15 Alimentari e bevande
11,8
-3,2
43,5
44,6
17 Tessile
11,7
-6,3
54,1
34,2
31 Macchine e apparecchi elettrici
10,7
-5,3
38,7
50,7
24 Chimici e fibre sintetiche
10,1
2,5
50,6
39,2
33 Apparecchi medicali, di precisione, ecc.
9,8
4,9
56,1
34,1
32 Apparecchi radiotelevisivi e di comunicazione
9,4
3,1
53,1
37,5
36 Mobili e altre industrie manifatturiere
9,1
0,6
56,7
34,1
20 Prodotti in legno
8,5
3,4
26,5
65,0
22 Editoria
8,5
2,8
12,7
78,9
23 Coke, raffinerie, combustibili nucleari
7,7
-7,7
15,4
76,9
26 Prodotti dai minerali non metalliferi
6,0
-2,0
27,5
66,5
21 Prodotti in carta
5,1
1,7
35,6
59,3
Fonte: elaborazioni su dati ISAE.
(1) Imprese esportatrici nuove + imprese esportatrici scomparse/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto
nel 2006).
(2) Imprese esportatrici nuove – imprese esportatrici scomparse / totale imprese dl panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto
nel 2006).
(3) Imprese esportatrici esistenti nel 2000 e nel 2006/ totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006).
(4) Imprese non esportatrici nel 2000 e nel 2006/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006).
- 51 -
Economia italiana: evoluzione recente
E’, peraltro, di interesse osservare che nei settori ad alto ricambio delle imprese esportatrici
(quelli cioè con valori superiori alla media), l’intenso turnover si accompagna anche a tassi di
sopravvivenza, tra il 2000 e il 2006, relativamente elevati (sempre in confronto con il dato medio)
e, simmetricamente, a tassi di inattività comparativamente bassi. Fa eccezione, in questo quadro, il
tessile, che si caratterizza per un tasso di sopravvivenza relativamente modesto (circa 30%) e, al
contempo, per un grado di inattività (imprese che non effettuano attività di esportazione tanto nel
2000 quanto nel 2006) elevato (circa 50%).
Ulteriori informazioni utili si possono ricavare osservando i movimenti degli esportatori per
classi dimensionali di impresa (tabella R8). Tassi di ricambio comparativamente più elevati hanno
contraddistinto, tra il 2000 e il 2006, le imprese più grandi, con più di 250 addetti (il cui turnover
lordo è stato di quasi il 17%). Tuttavia, se si esamina il turnover netto si vede che il gruppo delle
grandi imprese è stato anche l’unico a essere interessato, nel panel selezionato dall’inchiesta ISAE,
da deflussi di esportatori maggiori degli afflussi (gli esportatori scomparsi hanno superato i nuovi
di circa il 5% in rapporto alla popolazione di imprese con più di 250 addetti). Entrate nette positive
hanno, invece, caratterizzato solo la classe delle imprese di dimensione medio-piccola (tra i 50 e i
100 addetti), mentre un sostanziale bilanciamento si è verificato per le imprese piccole (sotto i 50
addetti) e per quelle medio-grandi (tra i 100 e i 250 addetti). Per quanto riguarda gli indicatori di
persistenza, le imprese piccole sono quelle che hanno presentato un tasso di sopravvivenza
piuttosto basso (circa il 30%) e, simultaneamente, un tasso di perdurante inattività come
esportatori relativamente elevato (oltre il 55%). Come era da attendersi, inoltre, le imprese mediograndi e quelle grandi si sono contraddistinte per una notevole persistenza nell’attività di
esportazione tra il 2000 e il 2006 e, all’opposto, per un livello di inattività (come esportatori) molto
più basso che negli altri due gruppi dimensionali.
Tab. R8
MUTAMENTI NELLA COMPOSIZIONE DIMENSIONALE DELLE IMPRESE
ESPORTATRICI NELL’INCHIESTA ISAE TRA IL 2000 E IL 2006
(valori percentuali)
Numero addetti
turnover lordo
(1)
turnover netto
(2)
tasso di
sopravvivenza
(3)
tasso di
inattività
(4)
1- 49
imprese piccole
12,2
0,0
31,3
56,5
50-100
imprese medio-piccole
12,5
1,7
64,0
23,6
100-250
imprese medio-grandi
11,4
0,4
74,0
14,6
250 e oltre imprese grandi
16,7
-4,7
76,0
7,3
Totale complessivo
12,5
-0,1
43,3
44,2
Fonte: elaborazioni su dati ISAE.
(1) Imprese esportatrici nuove + imprese esportatrici scomparse/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto
nel 2006).
(2) Imprese esportatrici nuove – imprese esportatrici scomparse / totale imprese dl panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto
nel 2006).
(3) Imprese esportatrici esistenti nel 2000 e nel 2006/ totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006).
(4) Imprese non esportatrici nel 2000 e nel 2006/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006).
In definitiva, sembrano evidenziarsi da questa analisi, basata su un panel di imprese estratto
dal campione dell’inchiesta ISAE, indicazioni di significative ricomposizioni nella struttura degli
esportatori italiani nell’arco di tempo considerato; una fenomeno che è da connettere,
probabilmente, con i movimenti indotti dalle pressioni concorrenziali internazionali e con i
- 52 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
conseguenti processi di ristrutturazione. Il ricambio è stato relativamente intenso (superiore alla
media) in alcuni dei settori che hanno sofferto maggiormente nei primi anni duemila (dall’indotto
degli autoveicoli, al cuoio-calzature, all’abbigliamento); esso ha, però, riguardato anche comparti
contrassegnati da una migliore tenuta o che si sono addirittura rafforzati (come, ad esempio, la
meccanica strumentale, i prodotti in metallo e la metallurgia). Sul piano dimensionale, il
rinnovamento più forte nella composizione degli esportatori sembra avere riguardato le grandi
imprese; ciò ha, però, essenzialmente riflesso un flusso in uscita di imprese esportatrici. Entrate
nette positive (esportatori nuovi in eccesso rispetto a quelli scomparsi) hanno, invece, interessato,
tra il 2000 e il 2006, soprattutto il gruppo di imprese di dimensioni medio-piccole.
- 53 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
DOMANDA NAZIONALE
Consumi privati
Nel 2006 il contributo alla crescita del PIL della domanda nazionale, al netto delle scorte e a prezzi dell’anno precedente, è stato
dell’1,3%. La spesa delle famiglie residenti ha fornito l’apporto più cospicuo, 0,9%, mentre lo stimolo proveniente dagli investimenti è risultato più contenuto (0,5%). I dati, concatenati e corretti per i giorni
lavorativi, segnalano che la crescita annuale della spesa dei residenti è
stata dell’1,5%, realizzando la migliore performance degli ultimi cinque anni. Merita di essere sottolineata, anche alla luce della rivalutazione dell’euro verificatasi durante il 2006, l’inversione di segno che
ha caratterizzato l’andamento dei consumi all’estero dei residenti e degli acquisti degli stranieri sul territorio. I primi hanno decelerato dal
+5,1 del 2005 al -1,1% dell’anno scorso, mentre i secondi, nello stesso
periodo, sono passati da -2,3% a +5,8%. Lo sviluppo degli investimenti fissi lordi si è attestato sul 2,4%, con un picco del 7% per il comparto
degli immateriali che interrompe un triennio di contrazioni. Il contributo delle scorte è tornato, dopo un biennio, positivo per tre decimi di
punto.
Nel 2006 l’aumento dei consumi privati interni è stato pari
all’1,6% (valori concatenati e corretti per i giorni lavorativi), mostrando una ritrovata vivacità dopo un lustro di crescita moderata, pur se,
nel profilo trimestrale, l’evoluzione è andata indebolendosi nell’ultima
parte dell’anno. L’accelerazione degli acquisti è in parte spiegabile con
l’aumentata propensione al consumo dopo le contrazioni registrate nel
periodo 2001-2005. Secondo le nostre stime, il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto, in termini reali, di circa l’1% (non considerando
l’influenza della ricchezza finanziaria), dando luogo a un rialzo della
propensione alla spesa di circa mezzo punto percentuale. Il diverso atteggiamento delle famiglie ha influito in modo difforme sulle varie tipologie di beni, concentrandosi soprattutto sugli acquisti per beni
durevoli e servizi. A questi due comparti è imputabile più dell’80%
dell’incremento dei consumi interni complessivi. Con riferimento alle
altre tipologie di spesa, quella in beni non durevoli ha continuato a mostrare un andamento altalenante e, come consuetudine, oscillazioni
congiunturali poco marcate. Anche per questo, relativo tasso di sviluppo tendenziale, nel quarto trimestre dell’anno scorso, è risultato il più
modesto (1,4%). Gli acquisti di beni semidurevoli hanno evidenziato
una notevole accelerazione nel secondo semestre del 2006.
- 54 -
Economia italiana: evoluzione recente
Graf. 12 - SPESA DELLE FAMIGLIE
(valori concatenati, milioni di euro, anno di riferimento 2000,
dati destagionalizzati e corretti per il numero di giorni lavorativi)
BENI DUREVOLI
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
4,5
3,0
BENI NON DUREVOLI
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
22500
1,0
22000
0,8
21500
1,5
21000
0,0
-1,5
-3,0
-4,5
2003
2004
2005
0,4
0,0
20000
-0,2
1,5
0,5
-0,8
18500
-1,0
0,0
22000
0,8
21800
0,6
21000
-1,5
-2,0
-2,5
2003
2004
2005
2006
56000
2004
2005
2006
SERVIZI
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
21200
-1,0
56500
2003
21400
-0,5
57000
-0,6
19000
21600
1,0
57500
-0,4
BENI SEMIDUREVOLI
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
2,0
58000
0,2
2006
2,5
58500
0,6
20500
19500
59000
89000
88000
0,4
87000
0,2
0,0
86000
-0,2
85000
-0,4
20800
-0,6
20600
-0,8
84000
83000
2003
2004
2005
2006
Fonte: ISTAT.
Dopo tre anni di riduzioni, ciò ha consentito di registrare un consuntivo
annuo positivo e una variazione tendenziale del 2,7% nel trimestre appena concluso. Le differenti dinamiche dei consumi sono in parte collegabili all’andamento dei prezzi relativi. Nel confronto tra il dicembre
scorso e quello del 2005, variazioni tendenziali negative nei capitoli
“comunicazioni” e “servizi sanitari”, si contrappongono a incrementi
dell’ordine del 5% per le bevande, i tabacchi e i combustibili. I prezzi
del comparto “abbigliamento e calzature”, classificati come semidurevoli nella Contabilità Nazionale, sono aumentati dell’1,4%, molto
meno dell’indice generale armonizzato (2,1%). Il rallentamento sperimentato dai consumi durevoli nella parte finale del 2006 potrebbe essere spiegato dal rinvio degli acquisti connesso agli incentivi
governativi, in vigore dal gennaio del corrente anno.
- 55 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Fiducia
Le scelte dei consumatori si
sono realizzate nel contesto di
(inchieste ISAE; indice base 1980=100)
un clima di opinione delle famiglie in graduale, pur se irreCLIM A COM PLESSIVO
golare, miglioramento. In
130
febbraio la fiducia dei consuDati destagionalizzati e depurati
Dati destagionalizzati
120
matori, al netto dei fattori erratici e stagionali, è salita a
110
111,7, un valore superiore a
quello medio registrato lo
100
scorso anno (104). Va notato
90
che le interviste del mese scor2003
2004
2005
2006
2007
so sono state antecedenti la
Clima economico
Clima personale
140
crisi di Governo. In una proDati destagionalizzati
130
spettiva di meno breve perio120
do, si rileva che il suo livello è
110
ancora inferiore alla media del
100
2002 (116), ma la tendenza al
90
rialzo dura dall’inizio 2004
80
(quando l’indice stazionava
70
2003
2004
2005
2006
2007
intorno a valori pari a 100).
Clima corrente
Clima futuro
L’analisi delle componenti del
130
clima evidenzia che, nel corso
Dati destagionalizzati
120
del 2006, sono progredite soprattutto le opinioni sul quadro
110
economico generale e quelle
sulla situazione corrente.
100
Maggiormente riflessive sono
90
risultate le risposte inerenti la
2003
2004
2005
2006
2007
sfera personale e l’evoluzione
economica futura.
Durante il 2006 la crescita degli investimenti è stata pari al 2,4%.
Questo dato è la sintesi di andamenti positivi degli investimenti in costruzioni (2,2%), mezzi di trasporto (3,9%) e beni strumentali (2,4%).
L’ultimo trimestre dello scorso anno ha registrato valori congiunturali
positivi per tutte le poste, riprendendo il sentiero di sviluppo interrotto
durante l’estate del 2006. Ciò vale in particolar modo per l’edilizia che,
forse beneficiando di un autunno particolarmente favorevole, ha fatto
Graf. 13 - CLIMA DI FIDUCIA DEI
CONSUMATORI ITALIANI
Investimenti
- 56 -
Economia italiana: evoluzione recente
segnare i maggiori progressi sia congiunturali (2,3%) che tendenziali
(4,2%). Il ritrovato slancio degli altri investimenti potrebbe essere legato alla necessità di ampliare la capacità produttiva. Secondo le indaGraf. 14 - INVESTIMENTI FISSI LORDI
(valori concatenati, milioni di euro, anno di riferimento 2000,
dati destagionalizzati e corretti per il numero di giorni lavorativi)
MACCHINARI, ATTREZZATURE E PRODOTTI VARI
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
4,0
MEZZI DI TRASPORTO
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
30500
7,5
30000
5,0
2,5
29500
1,0
-0,5
-2,0
7000
6800
2,5
6600
0,0
29000
-2,5
6400
28500
-5,0
6200
28000
-7,5
6000
-10,0
-3,5
27500
-5,0
27000
2003
2004
2005
5800
-12,5
5600
-15,0
2006
2003
2004
2005
2006
COSTRUZIONI
(variazioni congiunturali %scala sinistra)
3,0
30500
2,0
30000
29500
1,0
29000
0,0
28500
-1,0
28000
-2,0
27500
27000
-3,0
2003
2004
2005
2006
Fonte: ISTAT.
gini condotte dall’ISAE, la percentuale di utilizzo degli impianti delle
imprese manifatturiere è da nove mesi su valori superiori al 78%, soglia storicamente elevata. Nel corso di tutto il 2006, inoltre, le inchieste
presso gli operatori mostrano un miglioramento anche delle risposte
inerenti il livello degli ordini, sia di provenienza interna che estera. Infine, è risultato particolarmente positivo il clima di opinione delle imprese produttrici di beni di investimento.
- 57 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
SCAMBI CON L’ESTERO
Esportazioni
Nel 2006 il valore delle esportazioni di beni e servizi dell’Italia si
è accresciuto notevolmente rispetto all’anno precedente. Secondo le
stime di contabilità nazionale dell’ISTAT, a prezzi correnti l’aumento
annuo è stato del +10,8%, mentre nel 2005 è stato poco meno della
metà (+5,1%). A prezzi costanti la variazione è stata del +5,3%, in
forte miglioramento rispetto al risultato negativo registrato del 2005
(-0,5%) ed alla performance degli anni precedenti.
Graf. 15 - ESPORTAZIONI DI BENI E SERVIZI DELL'ITALIA
(valori a prezzi costanti; anno di riferimento 2000=100)
10
10
5
5
0
0
-5
-5
-10
-10
2002
2003
2004
V A R IA ZIONI TENDENZIA LI
2005
2006
V A RIA ZIONI CONGIUNTURA LI
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
Le esportazioni, a prezzi correnti, secondo i dati di contabilità trimestrale dell’ISTAT, hanno mostrato un netto recupero a partire dal periodo aprile-giugno del 2005, nel quale, la variazione congiunturale è
stata del +3,5%. Nei due successivi trimestri le variazioni sono state
pari al +2,5% e del +2,7%. Nel 2006 la variazione è stata molto elevata
e positiva nei primi tre mesi, pari al +3,3%; in lieve rallentamento nel
secondo trimestre, pari a +2,6%; negativa, anche se piccola nel terzo
(-0,5%) e positiva e molto elevata nel quarto (+5,7%). Tale dinamica si
è riflessa sull’andamento tendenziale, che, dopo un risultato non trascurabile realizzato nel quarto trimestre del 2005 (+8,4%), nel primo
del 2006 ha raggiunto il +12,5%, seguito dall’+11,6% nel secondo, dal
+8,4% nel terzo e da +11,5% nel quarto. A prezzi costanti le variazioni
- 58 -
Economia italiana: evoluzione recente
congiunturali, nei quattro trimestri del 2006, sono state rispettivamente
del +2,2%, del +1,4%, del -1,8% e del +4,5%; quelle tendenziali sono
state del +6,8%, del +5,7% del +3,1% e del +6,3 per cento.
Nel 2006 le esportazioni di beni e servizi dei principali paesi industriali, sia in termini di valori correnti sia in termini reali, dopo una notevole accelerazione avvenuta nel 2005, hanno mantenuto una crescita
molto sostenuta. In valori correnti, esse sono aumentate in Germania
del +13,9%; in Francia del +7,5%%; in Spagna del +10,4%, negli Stati
Uniti (+12,5%) e nel Giappone (+13,7%). A prezzi costanti, gli aumenti sono stati del +12,9% in Germania; del +6,2% in Francia; del +6,2%
in Spagna; del +8,9% negli Stati Uniti e del +9,7% in Giappone.
La dinamica delle nostre esportazioni rispetto a quella dei principali paesi industriali, europei ed extraeuropei, appare soddisfacente se
calcolata sulla base dei valori correnti: essa risulta addirittura superiore
a quella della Francia e della Spagna, mentre é inferiore di 2,1 punti
percentuali a quella della Germania, di 1,7 punti a quella degli Stati
Uniti e di 2,9 punti rispetto al Giappone. Se calcolata, invece, sulla
base delle valutazioni a prezzi costanti essa appare insoddisfacente. Il
gap negativo, tuttavia, potrebbe essere ampiamente sopravvalutato se
si tiene conto dell’incerto significato in termini di prezzi delle stime relative ai valori medi unitari dell’Italia, che sono alla base delle valutazioni a prezzi costanti delle esportazioni, notevolmente fuori linea
rispetto sia ai prezzi interni sia ai valori medi unitari degli altri paesi.
Nel 2006 le due componenti delle esportazioni totali, quella dei
beni e quella dei servizi, mostrano dinamiche differenti. Quella dei servizi registra un incremento molto elevato, sia in termini di valori correnti (+10,9%) sia in termini reali (+9,1%), quella dei beni registra
variazioni nei valori correnti analoghe a quelle servizi (+11%), mentre
le variazioni sono molto più contenute in termini reali (+4,6%). Le
esportazioni di servizi, in valori correnti, presentano un recupero notevole, in termini congiunturali, a partire dal secondo trimestre del 2005
(+3,8%) ed una variazione positiva e molto elevata nell’ultimo trimestre dello stesso anno (+11,6%), mentre nel 2006 le variazioni trimestrali sono modeste e di segno alterno tranne che nel periodo ottobredicembre, la cui variazione è salita al +9,6%. A prezzi costanti, esse
hanno registrato incrementi congiunturali di qualche decimo di punto
percentuale inferiori a quelli dei valori. Nel 2006, pertanto, la quota dei
servizi sulle esportazioni complessive è risultata, in termini annui, pari
- 59 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
al 19,5%, la stessa dell’anno precedente; in termini reali è passata dal
20,4% nel 2005 al 21 % nel 2006.
L’aggregato relativo ai beni, espresso in valori correnti, ha mostrato nel 2006 incrementi congiunturali molto sostenuti: + 4,5% nel primo
trimestre, +3% nel secondo e +4,5% nell’ultimo. Nel terzo trimestre
esso ha registrato pressoché lo stesso valore del trimestre precedente.
Nello stesso anno le variazioni congiunturali dell’aggregato, a prezzi
costanti, sono state significativamente più basse di quelle dell’aggregato a prezzi correnti (+3,3% nel primo trimestre; +1,5% nel secondo, 1,1% nel terzo e +3,3% nel quarto). La dinamica tendenziale, riferita ai
valori a prezzi correnti, è stata molto sostenuta in tutti e quattro i trimestri del 2006 (+11,3% nel primo;+10,9% nel secondo; +8,7% nel terzo
e +13,1% nel quarto); la variazioni tendenziali trimestrali dell’aggregato a prezzi costanti sono state pari al +4,7% nel primo trimestre; +4%
nel secondo; +2,6% nel terzo e +7,1 % nel quarto.
Graf. 16 - ESPORTAZIONI DI MANUFATTI DELL'ITALIA PER AREA DI DESTINAZIONE
(indici dei valori, destagionalizzati, 2000=100)
130
110
90
2001
2002
2003
UE
2004
2005
2006
Extra UE
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
La componente principale delle esportazioni di beni dell’Italia è
quella relativa ai manufatti. Il loro valore, secondo le statistiche doganali del commercio con l’estero dell’ISTAT, aggiustato nell’ipotesi che
i ritardi di consegna delle bollette doganali sia proporzionale a quello
dell’anno precedente, è aumentato nei primi undici mesi del 2006 del
+10,7%. Nei primi due trimestri del 2006 la dinamica trimestrale dei
valori, calcolata su dati destagionalizzati, ha mantenuto il trend positivo iniziato l’anno precedente, (+2,6% nel primo e +4,4% nel secondo),
rallentando nel terzo (+ 1,1%).
- 60 -
Economia italiana: evoluzione recente
I valori esportati sono stati in forte aumento per entrambe le grandi aree di destinazione; in netto recupero quelli destinati all’area
dell’UE (25 paesi) che hanno ridotto in tal modo il differenziale negativo conseguito nel 2005. Nei primi undici mesi del 2006, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, il valore delle esportazioni
verso l’area UE è aumentato del +10%, mentre quello verso l’area extra UE è stato del +11,6%. Nei primi tre trimestri del 2006 gli incrementi congiunturali delle esportazioni verso l’UE sono stati molto
sostenuti (+2,7% nel primo, +4,3% nel secondo e +2,3% nel terzo);
quelli verso l’area extra UE sono stati molto positivi ma in netta decelerazione (+4,3% nel primo trimestre, +2,3% nel secondo e nel terzo vi
è stata un calo del +2%).
Graf. 17 - ESPORTAZIONI DELL'ITALIA PER AREE E PAESI
(indici destagionalizzati dei valori correnti; 2000=100)
18 0
14 0
10 0
60
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Fr a n c ia
G e r ma n ia
Re g n o Un ito
Spagna
UE1 5 : A ltr i
Eu r o p a - UE1 5
18 0
14 0
10 0
60
2001
2002
Eu r o p a
2003
S ta ti Un iti
2004
2005
G ia p p o n e
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
- 61 -
2006
Mo n d o :A ltr i
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Nel 2006 (11 mesi) il valore delle esportazioni italiane di beni verso alcuni dei grandi paesi industrializzati, aggiustato come indicato sopra per tenere conto dei ritardi delle bollette doganali ed espresso in
Graf. 18 - ESPORTAZIONI PER SETTORI MERCEOLOGICI
(indici destagionalizzati dei valori correnti; 2000=100)
160
140
120
100
80
2001
2002
2003
A LIM ENT.
CA RTA …
2004
TESSILI
M A NUF.
2005
2006
CUOIO
LEGNO
160
140
120
100
80
2001
2002
CHIM ICA
2003
GOM M A
2004
NO M ETA LL
2005
2006
M ETA LLIF.
M A NUF.
160
140
120
100
80
2001
2002
2003
2004
M ECCAN.
M ACC.ELETTR.
M ANUF.DIV.
M ANUF.
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
- 62 -
2005
2006
M EZZI TRASP.
Economia italiana: evoluzione recente
valori correnti, ha mostrato una dinamica notevolmente più accentuata
di quella dell’anno precedente: in particolare, si è notevolmente accresciuto il flusso di beni verso la Germania, che, dal +2,2% nel 2005 è
salito al +10,3%; quello verso il Regno Unito, in diminuzione del
-2,4% nel 2005, è aumentato del +3,5% nel 2006; mentre quello diretto
in Spagna è passato da un aumento del +9,2% nel 2005 ad uno del
+7,1% nel 2006. Il flusso verso il Giappone, incrementatosi del +5,8%
nel 2005, è stato in diminuzione, pari al -1,9%, nel 2006. Quello verso
gli Stati Uniti ha mostrato una decelerazione dal +6% del 2005 al
+5,4% nel 2006. Un notevolissimo incremento vi è stato nel flusso delle esportazioni verso gli altri paesi dell’Europa, sia di quelli appartenenti all’UE a 15, esclusi i tre grandi paesi europei considerati sopra
(dal +6% nel 2005 al +11,9% nel 2006), sia di quelli non appartenenti
all’UE a 15 (dal +8% al +17,1%). I contributi diretti dei paesi e delle
aree considerate alla crescita del valore delle vendite all’estero di merci
dell’Italia, senza tenere conto, quindi, degli effetti indiretti trasmessi
attraverso gli impulsi alla domanda dei paesi considerati, sono stati di
1,4 punti percentuali quello della Germania; di 0,7 punti quello della
Francia; di 0,5 punti quello della Spagna; di 1,7 punti quello dell’area
UE 15 (esclusi i quattro grandi paesi); di 3,2 punti quello dell’area Europa esclusi i 15 paesi dell’UE; di 0,4 punti quello degli Stati Uniti.
Nei primi undici mesi del 2006 rispetto al corrispondente periodo
del 2005 vi è stato un notevole incremento dei valori esportati in tutti i
settori di attività economica. Se si escludono il settore dei derivati del
petrolio e quello dei prodotti in metallo, i cui elevati incrementi riflettono tensioni sui mercati internazionali delle materie prime, e tre settori, quello del tessile, quello della carta e quello relativo ai manufatti
diversi, il cui incremento dei valori esportati è risultato tra il +4,4 ed il
+5,2%, tutti gli altri hanno registrato incrementi superiori al +8%, particolarmente elevato è stato l’incremento realizzato dal settore delle
macchine ed apparecchi meccanici, pari al +12,1% (+3,2 nei primi undici mesi del 2005).
Le esportazioni mondiali di merci dei paesi industriali, espresse in
valori correnti ed in dollari USA, stimate sulla base degli indici del
Central Plan Bureau, nel 2006 sono aumentate del +11,9%,
incremento superiore a quello stimato nell’anno precedente, pari al
+8,3%. Nel 2006 esse presentano un profilo congiunturale in notevole
accelerazione con tassi trimestrali compresi tra il +3,5% ed il +5%,
- 63 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Graf. 19 - ESPORTAZIONI DI BENI: ITALIA, PAESI INDUSTRIALIZZATI
(indici a prezzi costanti, destagionalizzati; 2000=100; variazioni percentuali)
8
4
0
-4
-8
2001
2002
2003
2004
Italia
2005
2006
P aesi industriali
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
Graf. 20 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI: ITALIA, PAESI INDUSTRIALI
(indici a prezzi costanti, 2000=100)
170
130
90
50
1991
1995
1999
P aesi industriali
2003
Italia/P aesi industriali
Italia
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
Graf. 21 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI: ITALIA, PAESI INDUSTRIALI
(indici a prezzi correnti, 2000=100)
170
130
90
50
1991
1995
1999
P aesi industri (USD)
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
- 64 -
Italia (USD)
2003
Italia/P aesi industr.
Economia italiana: evoluzione recente
mentre nel 2005 le variazioni positive sono state inferiori al +1,2%. La
quota di mercato dell’Italia, calcolata a prezzi correnti sulla base degli
indici del Central Plan e dell’ISTAT, si è ridotta del -2,5% nel 2005 e
si è mantenuta pressoché stabile nel 2006 (+0,2%). La quota è stata
pari al 5,1% nel 2006, pressoché lo stesso livello del 2005. Le
esportazioni di merci dei paesi industriali, espresse in valori costanti,
hanno registrato, secondo le statistiche del Central Plan Bureau, un
aumento del +4,8% nel 2005 e del +8,2% nel 2006. La quota delle
esportazioni di merci dell’Italia rispetto ai paesi industriali, calcolata
utilizzando le stime dei beni esportati a prezzi costanti dell’ISTAT,
risulta essere diminuita del -5,3% nel 2005 e del -3,3% nel 2006. La
differenza tra gli andamenti della quota espressa in valori costanti e
quella in valori correnti è molto significativa soprattutto a partire dal
2002. Essa sembra essere dovuta alle stime dei deflatori delle
esportazioni, basate su quelle dei VMU dell’Italia, che presentano
problemi di affidabilità. Tali stime rispetto a quelle degli altri paesi
mostrano una dinamica molto più accentuata. Il giudizio sulla
competitività delle esportazioni dell’Italia sulla base degli indicatori
disponibili, pertanto, deve essere formulato con grande cautela.
Gli indicatori di competitività di prezzo considerati sono due. Entrambi misurano in modo molto imperfetto l’andamento della competitività, non solo per problemi di affidabilità e di metodo statistico, ma
anche perché colgono specifici aspetti del fenomeno concorrenziale. Il
primo è costruito sulla base degli indici dei valori medi unitari delle
esportazioni di merci, espressi in moneta comune, dell’Italia rapportati
a quelli dei paesi industriali; il secondo utilizza gli indici dei prezzi
dell’output di manufatti in moneta comune dell’Italia rapportato a
quello dei paesi industriali.
Nel 2006 l’indice di competitività dell’Italia in termini di valori
medi unitari ha registrato un peggioramento (variazione in aumento)
del +3,6%. Nel 2005 il deterioramento è stato del +3%. Pertanto il
trend dell’indice, positivo e molto elevato dal 2001 al 2004 a tassi superiori al +5% (peggioramento di competitività) tende a ridursi negli
ultimi due anni pur mantenendosi ancora considerevole. Le sue determinanti sono diverse, importanti risultano quelle relative all’andamento dei tassi di cambio rispetto al dollaro e allo yen. Nel 2006
l’andamento trimestrale dell’indice mostra un peggioramento (aumento dell’indice) compreso tra il +1% ed il +2%. In termini tendenziali il
- 65 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Competitività di prezzo dell’Italia per settori e per paesi
I prezzi relativi dell’output dell’aggregato “manufatti” dell’Italia rispetto a 17 paesi (15
paesi Europa, Stati Uniti e Giappone), dal 1996 al 2006 hanno mostrato, secondo l’indice
elaborato dall’ISAE, un trend stabile attorno al quale vi sono state contenute oscillazioni.1 In
particolare, come mostra l’evidenza grafica, essi sono rimasti pressoché stabili dal 1996 al 1998,
sono migliorati (si sono ridotti) dal 1999 al 2000, quindi hanno perso qualche punto dal 2000 al
2003, e sono rimasti pressoché stabili negli anni seguenti fino alla fine del 2006. In particolare, nel
periodo 1996-2000 essi sono migliorati ad un tasso medio annuale pari a -2,3%; nel periodo 20002003 sono deteriorati ad un tasso del 2,5%, riportandosi sui valori del 1996, e sono saliti
lievemente tra il 2003 ed il 2006 (0,7%). L’indice riferito solo ai paesi europei (15 paesi, incluso
il Regno Unito) ha mostrato variazioni molto più contenute nei tre periodi considerati: un
miglioramento dei prezzi relativi, pari ad un tasso medio annuo del -0,8% nel primo, un
peggioramento dello 0,9% nel secondo (2000-2003) ed una relativa stabilità nel terzo (-0,1% tra il
2000-2003. Nel 2005 l’indice ha registrato un miglioramento di -0,1% e nel 2006 è peggiorato
dello 0,3%. Quello relativo alla Germania ha registrato un lieve ma continuo peggioramento (il
tasso medio annuo è aumentato del +0,5% nel primo periodo; +0,3% nel secondo; +0,7% nel
terzo).Quello relativo alla Francia ha mostrato pressoché lo stesso andamento di quello della
Germania (+0,5% nel primo periodo e nel secondo periodo; +0,6% nel terzo). La competitività
dell’Italia, invece, è migliorata relativamente alla Spagna in tutti e tre i periodi considerati
1
Nota metodologica sulla costruzione degli indici.
L’indicatore di competitività relativa di prezzo elaborato sulla base dei prezzi alla produzione interni del paesi
considerati consente di misurare in modo molto sintetico (vengono trascurati solo aspetti limitati) l’andamento
del fenomeno competitivo con un soddisfacente grado di affidabilità. Altri indicatori presentano caratteri di minore
robustezza. Gli indici elaborati sulla base dei valori medi unitari delle esportazioni sono sempre meno affidabili
come proxy dei prezzi quando sono riferiti a prodotti che hanno un crescente grado di complessità e sono
continuamente soggetti a miglioramenti ed innovazioni. Essi, inoltre, sono influenzati dalle condizioni specifiche
relative di ciascun mercato considerato. Gli indicatori formulati in termini di costi del lavoro per unità di prodotto
trascurano il ruolo degli altri fattori produttivi e sono influenzati pesantemente dalle particolari condizioni
congiunturali dei paesi competitori.
Gli indici di competitività relativa sono stati calcolati come rapporto tra l’indice dei prezzi dell’output relativo a
un settore, ad una classe o ad una sottoclasse di attività economica dell’Italia e l’indice dei prezzi dello stesso
aggregato del paese o di un insieme di paesi in competizione sui mercati internazionali con il nostro. Pertanto
l’aumento dell’indice (diminuzione) assume il significato dei perdita di competitività (guadagno). Gli indici dei
prezzi che si confrontano vengono espressi nella stessa moneta, utilizzando i tassi di cambio. Il periodo
considerato inizia dal 1996 e termina nel 2006. La fonte statistica utilizzata per quanto riguarda gli indici dei
prezzi ed i tassi di cambio è l’Eurostat.
I pesi con cui si ponderano gli indici dei singoli competitori per ottenere un indice relativo ad un insieme di
paesi sono stati calcolati secondo un sistema a doppia ponderazione in cui si tiene conto sia del peso dei diversi
mercati all’esportazione dell’ l’Italia, calcolato sulla base del valore delle esportazioni italiane per paese o area
geografica, sia del peso che i competitori considerati hanno in ciascuno di tali paesi o aree geografiche. I paesi
considerati nella costruzione degli indici di competitività di manufatti sono diciotto: Stati Uniti, Giappone, Belgio,
Cecoslovacchia, Danimarca, Germania, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Olanda, Austria,
Portogallo, Finlandia, Svezia, Regno Unito, Norvegia; per gli indici relativi alle classi ed alle sottoclassi di attività
economia i paesi sono, generalmente, sedici. Gli indici di qualche classe o sottoclasse di attività in alcuni limitati
casi mancano per qualche paese. I mercati considerati sono circa cinquanta. La fonte dei dati del commercio
internazionale bilaterale è l’OCSE.
- 66 -
Economia italiana: evoluzione recente
(l’indice si è ridotto, rispettivamente nei tre periodi esaminati di -0,4%; -0,1% e -0,8%). Nei
confronti del Regno Unito l’indice di competitività ha registrato un forte miglioramento nel primo
periodo (il tasso medio annuo si è ridotto di -5,4%), al quale è seguito un deterioramento nel
secondo (-3,9%), ed un lieve miglioramento nel terzo, pari al -0,6%. Nel complesso dei quattro
grandi paesi europei, l’indice ha registrato nei tre periodi una perdita di competitività di qualche
decimo di punto all’anno. L’andamento dell’indice riferito a 17 paesi, sia in termini di ampiezza
delle oscillazioni, sia in termini di tendenze rispetto a quello riferito a 15 paesi europei è
influenzato dalla dinamica dei tassi di cambio rispetto all’euro della moneta degli Stati Uniti e da
quella del Giappone.
Gli indici di prezzi relativi sono stati calcolati solo in riferimento ai paesi europei, anche per
classi e sottoclassi di attività (gli indici per classi e sottoclassi degli Stati Uniti e del Giappone non
sono disponibili). Il loro andamento presenta andamenti differenziati sia nelle tendenze sia nelle
oscillazioni attorno ad esso.
L’indice relativo alla classe di attività economica “macchine ed apparecchi meccanici” (che
rappresenta circa il 30% delle esportazioni di manufatti dell’Italia) ha mostrato un andamento
molto stabile nella competitività: un aumento del tasso medio annuo dello 0,5% nel periodo 20002003 ed una riduzione pari al -0,2% negli anni 2003-2006. Solo lievissime differenze sono state
evidenziate nell’andamento dell’indice per la sottoclasse “macchine ed attrezzature”, mentre una
dinamica più favorevole dei prezzi relativi si è riscontrata per il settore relativo alla sottoclasse
“strumenti medici, ottici e di precisione” (-1,4% nel periodo 1996-2000; 0,1% nel periodo 20002003 e -0,3% nel periodo 2003-2006).
La competitività di prezzo della classe “attrezzature di trasporto” mostra una lieve perdita di
competitività di prezzo (lievi aumenti), in tassi medi annui, sia nel periodo 2000-2003 (0,7%), sia
nel periodo 2003-2006 (0,4%). L’indice riferito alla Germania, alla Francia ed alla Spagna risulta
pressoché stabile. Tali tendenze derivano dal contributo della sottoclasse “veicoli a motore e
rimorchi”. Anch’esse riflettono molto strettamente quelle degli indici relativi alla Germania ed alla
Francia, mentre l’indice relativo alla sottoclasse “altri mezzi di trasporto” ha una dinamica più
favorevole sia se riferito al complesso dei paesi europei (-2,7% nel periodo 1996-2000; 0,2% nel
periodo 2000-2003 e -1,6% negli anni 2003-2006), sia se riferito, specificatamente, alla Germania,
alla Spagna ed al Regno Unito.
Le classi di attività “alimentari”, “tessile e cuoio”, “legno” e “carta” hanno subito limitate
variazioni nella competitività di prezzo. In lieve miglioramento nel periodo 2003-2006 i prezzi
relativi della “chimica” (-1,2%) e quelli della classe “minerali non metalliferi” (-0,3%); un lieve
deterioramento è registrato per gli articoli in gomma ed in plastica (+0,2).
- 67 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
COMPETITIVITÀ DI PREZZO RELATIVA: ITALIA RISPETTO A PAESI O GRUPPI DI PAESI
Numeri indici trimestrali dei prezzi alla prdouzione relativi in moneta comune, 2000=100
180
140
130
Manufatti
Manufatti
160
140
120
120
110
100
100
80
80
1996
60
1998
2000
Regno Unito
17 paesi
2002
Europa
2004
2006
Giappone
90
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Germania
US
130
130
Spagna
EU 4
Tessili e cuoio
Alimentari
110
Francia
110
90
1996
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
90
1996
2006
Europa
EU 4
130
Ger
130
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
2006
Europa
EU 4
Carta
Legno
110
1998
110
90
1996
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
90
1996
2006
Europa
EU 3
170
1998
2000
Ger
Spa
2002
GB
2004
Europa
2006
UE 3
130
Chimica
Prodotti petroliferi
130
90
1996
110
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
2004
Europa
2006
90
1996
Ger
UE 3
- 68 -
1998
Fra
2000
Spa
2002
2004
GB
Europa
2006
4 Big C EU
Economia italiana: evoluzione recente
COMPETITIVITÀ DI PREZZO RELATIVA: ITALIA RISPETTO A PAESI O GRUPPI DI PAESI
Numeri indici trimestrali dei prezzi alla prdouzione relativi in moneta comune, 2000=100
130
130
Minerali (non metallifer)
Gomma
110
110
90
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Ger
Fra
Spa
GB
Europa
90
1996
UE 4
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
2006
Europa
UE 3
130
130
Prodotti in metallo
Metalli di base
110
110
90
1996
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
90
1996
2006
Europa
130
1998
Ger
UE 4
Fra
2000
2002
Spa
GB
2004
Europa
2006
UE 4
130
Macchianri ed attrezzarure
Meccanica (in senso stretto)
110
110
90
1996
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
90
1996
2006
Europa
150
Attrezzature elettriche ed ottiche
1998
Ger
UE 4
250
Fra
2000
2002
Spa
GB
2004
Europa
2006
UE 4
Attrezzature per ufficio, per calcolo
130
150
110
90
1996
1998
Ger
2000
2002
Spa
GB
2004
Europa
2006
50
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
UE 3
Ger
- 69 -
Spa
GB
Europa
UE 3
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
COMPETITIVITÀ DI PREZZO RELATIVA: ITALIA RISPETTO A PAESI O GRUPPI DI PAESI
Numeri indici trimestrali dei prezzi alla prdouzione relativi in moneta comune, 2000=100
Macchine ed attrezzature elettriche
Attrezzature per comunicazioni, radio, televisione
130
110
110
90
1996
1998
Ger
130
2000
Fra
2002
Spa
2004
GB
90
1996
2006
Europa
UE 4
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
2006
Europa
UE 4
130
Strumenti di prexisione, ottici e medici
Mezzi di trasporto
110
110
90
1996
1998
Ger
2000
Spa
2002
GB
2004
Europa
90
1996
2006
UE 3
1998
Ger
2000
Fra
2002
Spa
GB
2004
2006
Europa
UE 4
130
140
Veicoli a motore
Altri mezzi di trasporto
120
110
100
90
1996
1998
Ger
Fra
2000
Spa
2002
GB
2004
Europa
80
1996
2006
UE 4
130
2002
GB
2004
2006
Europa
Ger = Germania
Fra = Francia
Spa= Spagna
GB = Regno Unito
17 paesi= Europa con il Giappone egli Stati Uniti
Europa= 16 paesi europei
UE 4= Germania Francia Spegna e Regno Unito
UE 3= UE 4 escl indicatore del paese non disponibile.
110
Ger
2000
Spa
Legenda:
Manufatti diversi (incl.mobili)
90
1996
1998
Ger
1998
Fra
2000
Spa
2002
GB
2004
Europa
2006
UE 4
- 70 -
UE 3
Economia italiana: evoluzione recente
deterioramento di competitività è stato progressivamente crescente
(dallo +0,3% nel primo trimestre al +6,1% nell’ultimo).
Graf. 22 - COMPETITIVITA' DI PREZZO: MERCI
(indici dei valori medi unitari in euro, 2000=100)
14 0
12 0
10 0
80
2001
2002
Italia
2003
2004
2005
Pae s i ind us tr . eur o
2006
Italia / Paes i ind eur o
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT, EUROSTAT, OCSE, Central Plan Bureau, Netherland.
Graf. 23 - COMPETIVITA' DI PREZZO DELL'ITALIA: MANUFATTI
(indici dei prezzi alla produzione in euro, 2000=100)
14 0
12 0
10 0
80
2001
2003
Italia
2005
Paes i indus tr .
Italia/Paes i indus tr .
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT, EUROSTAT, OCSE, Central Plan Bureau, Netherland.
Nel 2006 l’indicatore di competitività dell’Italia in termini di
prezzi alla produzione è aumentato (peggiorato) del +1%, mentre
nell’anno precedente è rimasto pressoché stabile (-0,1%). Esso, pertanto, segnala un lieve deterioramento della competitività di prezzo
dell’Italia negli ultimi due anni. Nel periodo tra il 2001 ed il 2004 esso
sarebbe aumentato ad un tasso medio annuo del +3%, più che compensando il vantaggio acquisito nel 2000, pari al -5,5%. L’andamento di
tale indicatore, pur subendo anch’esso gli effetti delle variazioni del
cambio, in particolare di quello dell’euro rispetto al dollaro ed allo
- 71 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Graf. 24 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI IN GERMANIA
(numeri indici dei VMU e dei volumi,destagionalizzati, 2000=100)
140
120
100
80
60
1996
1997
1998
1999
2000
2001
VMU
2002
2003
2004
2005
2006
Ind.quantità
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE.
Graf. 25 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI IN FRANCIA
(numeri indici dei VMU e dei volumi,destagionalizzati, 2000=100)
140
120
100
80
60
1996
1997
1998
1999
2000
2001
VMU
2002
2003
2004
2005
2006
Ind.quantità
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE.
Graf. 26 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI IN SPAGNA
(numeri indici dei VMU e dei volumi,destagionalizzati, 2000=100)
140
120
100
80
60
1996
1997
1998
1999
2000
2001
VMU
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE.
- 72 -
2002
2003
Ind.quantità
2004
2005
2006
Economia italiana: evoluzione recente
Graf. 27 - COMPETITIVITÀ: PREZZI DELL'OUTPUT DELL'ITALIA
RISPETTO ALLA GERMANIA
(numeri indici destagionalizzati, 2000=100)
120
110
100
90
1996
1997
1998
1999
2000
Germania
2001
2002
Italia
2003
2004
2005
2006
Italia/Germania
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE.
Graf. 28 - COMPETITIVITÀ: PREZZI DELL'OUTPUT DELL'ITALIA
RISPETTO ALLA FRANCIA
(numeri indici destagionalizzati, 2000=100)
120
110
100
90
1996
1997
1998
1999
2000
2001
Francia
2002
Italia
2003
2004
2005
2006
Italia/Francia
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE.
Graf. 29 - COMPETITIVITÀ: PREZZI DELL'OUTPUT DELL'ITALIA
RISPETTO ALLA SPAGNA
(numeri indici destagionalizzati, 2000=100)
120
110
100
90
1996
1997
1998
1999
2000
Spagna
2001
Italia
2002
2003
2004
Italia/Spagna
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE.
- 73 -
2005
2006
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Importazioni
Beni e servizi
yen, mostra un deterioramento di competitività di prezzo molto meno
grave di quello valutato dal primo indicatore.
Un’ultima considerazione riguarda l’andamento degli indici di
competitività e delle loro componenti, in termini di prezzi dell’output e
di valori medi unitari dell’Italia rispetto a sei grandi paesi, tre appartenenti all’area dell’euro e tre con propria moneta nazionale. Nei confronti dei paesi europei, Germania Francia e Spagna, non si
evidenzierebbero negli ultimi tre anni, in termini di prezzi dell’output
relativi, deterioramenti di competitività così elevati come quelli impliciti nei valori medi unitari delle esportazioni verso il paese considerato,
che negli ultimi sei anni crescerebbero di circa 10 punti percentuali in
più dei prezzi dell’output del paese considerato, e di circa 5 punti in più
dei prezzi dell’output dell’Italia, pur in condizioni di lieve perdita di
competitività di prezzo. Ciò potrebbe implicare una sopravvalutazione
considerevole dei valori medi unitari che si rifletterebbe sull’andamento piuttosto sfavorevole degli indici di quantità delle esportazioni. La
perdita di competitività è più consistente con i tre grandi paesi non appartenenti all’area dell’euro. La sopravvalutazione in questo caso è più
difficile da stimare in quanto il deterioramento di competitività determinato dai tassi di cambio si è accompagnato ad un aumento più contenuto dei valori medi unitari degli esportatori italiani, superiore a quello
dei prezzi dell’output del paese considerato e inferiore a quello
dell’Italia.
Dopo l’indebolimento del 2005, lo scorso anno le importazioni
complessive dell’Italia hanno mostrato una sensibile accelerazione. Tra
gennaio e marzo, l’aumento dei volumi di import sembra avere risentito della ripresa delle esportazioni.
Nel secondo trimestre, invece, un’attenuazione nella dinamica
delle componenti interne di domanda e delle vendite all’estero ha contribuito a moderare la crescita delle importazioni. Gli acquisti di beni e
servizi dall’estero si sono poi notevolmente rafforzati nella seconda
metà del 2006, incrementandosi a prezzi costanti (al netto della stagionalità) del 2,2% e del 2%, rispettivamente, negli ultimi due trimestri
dell’anno. Tale dinamica ha portato i volumi dell’import su un livello a
fine 2006 superiore del 5,6% rispetto a un anno prima, il rialzo tendenziale più elevato dalla fine del 2002.
Le dinamica delle importazioni complessive nel 2006 ha fondamentalmente riflesso quella degli acquisti di beni all’estero. Sul forte
- 74 -
Economia italiana: evoluzione recente
incremento di tale componente (con tassi di variazione tendenziale leggermente inferiori a quelli relativi al dato aggregato) avrebbe inciso
l’accelerazione delle componenti di domanda a maggior contenuto diretto e indiretto di beni di origine estera. Inoltre, il miglioramento del
tono congiunturale che ha contraddistinto l’attività produttiva nella
maggior parte dei settori della manifattura industriale ha portato al notevole incremento delle scorte di prodotti finiti e semilavorati, stimolando gli acquisti dall’estero. Una dinamica ancor più sostenuta ha
caratterizzato le importazioni di servizi, proseguendo la tendenza in
atto dalla seconda metà del 2004. A fronte di un incremento tendenziale del 7,1% e del 5,9% nei primi due trimestri del 2006, nel terzo trimestre il tasso di crescita tendenziale è balzato al 12,1%, per poi attestarsi
al 7,8% negli ultimi tre mesi.
Graf. 30 - IMPORTAZIONI DI BENI E SERVIZI
(valori a prezzi 2000, variazioni tendenziali)
15
10
5
0
-5
-10
2002
2003
2004
Importazioni di beni
2005
2006
Importazioni di servizi
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT
Sulla base delle più recenti rilevazioni del commercio con l’estero, il rialzo del volume delle importazioni di beni (+2,1%) registrato
nel periodo gennaio-novembre rispetto allo stesso periodo del 2005 è
apparso il risultato di dinamiche settoriali eterogenee. A fronte di una
sostanziale stasi degli acquisti dall’estero di prodotti dell’agricoltura,
silvicoltura e pesca e di minerali energetici e non energetici, si è registrato un forte incremento delle importazioni di beni intermedi, soprattutto nel comparto dei metalli e prodotti in metallo (+12,1%),
- 75 -
Dinamiche per
settore
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
probabilmente in conseguenza del processo di ricostituzione delle scorte e del rafforzamento della ripresa industriale. Gli acquisti di beni di
consumo e di investimento hanno evidenziato un’evoluzione in parte in
controtendenza rispetto alle importazioni complessive. Nel comparto
dei beni di consumo, le importazioni sono state trainate, in misura più
sostenuta, dall’accelerazione della componente del tessile-abbigliamento (+4,2%), del cuoio e dei prodotti in cuoio (6,9%); a ciò ha corrisposto un marcato rallentamento del volume degli acquisti all’estero di
prodotti della carta (-3,2%) e di energia elettrica, acqua e gas (-23,8
per cento).
Graf. 31 - INDICI DI QUANTITA' DEI BENI IMPORTATI PER
PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTI DI INDUSTRIE.
(numeri indice 2000 = 100, variazioni tendenziali)
18
12
6
0
-6
-12
2002
2003
2004
Beni di consumo
Beni intermedi
2005
2006
Beni di investimento
Energia
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT
... e per area
geografica
Le importazioni di prodotti dai paesi dell’Unione Europea hanno
continuato a crescere anche nello scorso anno, prolungando la tendenza in atto dalla fine del 2004. Il tasso di incremento tendenziale dei volumi nel periodo gennaio-novembre 2006 è risultato pari allo 0,9%, per
effetto degli aumenti degli acquisti dalla Germania (+2,9%) e dalla
Spagna (+2,1%), parzialmente controbilanciati dal forte calo di quelle
dal Regno Unito (-12,1%). In riferimento allo stesso periodo, le importazioni dai paesi esterni all’Unione sono cresciute in media ad un tasso
tendenziale maggiore (+3,1%), trainate dal forte balzo degli acquisti di
prodotti provenienti dalla Cina (+15,2%), nonché quelle dal Giappone
- 76 -
Economia italiana: evoluzione recente
(+8,3%) cui ha corrisposto una brusca caduta del volume dei flussi di
beni provenienti dalla Russia e dagli Stati Uniti (-12,8 e –8,5%, rispettivamente).
Graf. 32 - INDICI DI QUANTITA' DEI BENI IMPORTATI PER
AREA GEOGRAFICA
(numeri indice 2000 = 100, variazioni tendenziali)
12
8
4
0
-4
-8
2002
2003
2004
UE(25)
2005
Extra-UE(25)
2006
Mondo
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT
Sulla base del deflatore di contabilità nazionale, dopo il sostenuto
rialzo (+4,1%) nei primi tre mesi del 2006, i prezzi delle importazioni
Graf. 33 - INDICI DI PREZZO DEI BENI IMPORTATI PER
PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTI DI INDUSTRIE
(numeri indice 2000 = 100, dati destagionalizzati)
190
170
150
130
110
90
70
2002
2003
Beni di consumo
2004
Beni intermedi
2005
2006
Beni di investimento
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT
- 77 -
Energia
Deflatore delle
importazioni
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
complessive hanno evidenziato incrementi congiunturali più moderati
nel secondo e nel terzo (+1,5 e +1,3%, rispettivamente), per poi registrare un arretramento dell’1,1% nell’ultimo trimestre. Su base annua,
l’aumento è risultato pari al 9,1%, sostenuto dalla componente dei beni
(+10,5%), a fronte di una più moderata evoluzione di quella dei servizi
(+3,6%). Gli indici dei valori medi unitari, nel periodo gennaio-novembre hanno segnato un incremento tendenziale del 10,8%, in particolare per effetto degli aumenti consistenti registrati per l’energia
elettrica, gas e acqua e per i metalli e prodotti in metallo (+33,2% e
+30,3%, rispettivamente).
Graf. 34 - INDICI DI PREZZO DEI BENI IMPORTATI PER AREA GEOGRAFICA
(numeri indice 2000 = 100, dati destagionalizzati)
150
140
130
120
110
100
90
2002
2003
2004
UE(25)
2005
Extra-UE(25)
2006
Mondo
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT
Con riferimento all’area geografica di provenienza, i valori medi
unitari da paesi esterni all’Unione Europea, sono aumentati del 16,4%
su base tendenziale. Rialzi eccezionali hanno interessato i prezzi delle
importazioni dalla Russia, cui hanno essenzialmente contribuito le
marcate risalite dei corsi dei prodotti energetici. L’incremento degli indici dei valori medi unitari delle nostre importazioni dai mercati
dell’Unione è risultato più limitato (+6,7%); gli acquisti da Francia,
Spagna e Germania hanno mostrato aumenti compresi tra il 5 e il 7 per
cento, mentre quelli provenienti dal Regno Unito hanno sperimentato
rialzi più robusti (+12,9 per cento).
- 78 -
Economia italiana: evoluzione recente
MERCATO DEL LAVORO
I dati della rilevazione ISTAT delle Forze di Lavoro evidenziano,
nella media del 2006, una crescita sostenuta dell’occupazione (+1,9%
pari a 425 mila unità in più) in sostanziale accelerazione rispetto all’anno scorso a quella già favorevole (ma influenzata dalle regolarizzazioni
dei cittadini immigrati) dello scorso anno (+0,7%). Il dato si affianca
ad una consistente diminuzione del tasso di disoccupazione che scende
sotto la quota del 7% (6,8% nella media del 2006, contro il 7,7% della
media del 2005). A differenza dei due anni precedenti, l’incremento
occupazionale si è riflesso in un aumento sensibile del tasso di occupazione, che riflette anche il positivo esaurirsi degli effetti delle regolarizzazioni; queste ultime hanno inciso infatti in modo significativo nel
2005, tanto sull’occupazione quanto sulla popolazione residente in età
di lavoro, comportando che, al rialzo del numero di occupati, non si accompagnasse anche un aumento del tasso di occupazione. A livello aggregato, anche i dati di Contabilità Nazionale, confermano una buona
performance occupazionale complessiva mostrando, in termini di occupazione interna, una crescita pari all’1,7% e, in termini di unità di lavoro, una dinamica altrettanto favorevole (+1,6%). La performance del
mercato del lavoro è il riflesso di una crescita congiunturale sostenuta
soprattutto nei primi due trimestri dell’anno (rispettivamente +0,8% e
+0,6% occupati in più nei dati Forze di lavoro al netto di influenze stagionali), e con una dinamica in decelerazione nel secondo trimestre
(rispettivamente una stasi nel terzo, +0,2% negli ultimi tre mesi).
Il tasso di occupazione relativo alla popolazione dai 15 ai 64 anni
(rapporto tra occupati e popolazione relativo a questa fascia d’età) è
aumentato di 1,3 punti percentuali rispetto al 2005, attestandosi a quota
58,4%. La variazione positiva ha coinvolto entrambi i sessi: per i maschi esso si è attestato al 70,5% (nove decimi di punto in più rispetto al
2005), per le femmine al 46,3% (un punto percentuale in più). Esso è
inoltre cresciuto in tutte le ripartizioni territoriali con l’eccezione del
Mezzogiorno per la componente maschile.
Nel 2006 si è innalzato anche il tasso di attività (di quattro decimi
di punto, fino a toccare quota 62,7%). Nel Mezzogiorno l’indicatore
mostra, anche in questo caso, una contrazione. In questa fascia di popolazione è, di converso aumentata l’area dell’inattività.
- 79 -
Occupazione e
disoccupazione
I principali
indicatori: tassi
di occupazione,
di attività e di
disoccupazione
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Occupazione
per settore e
territorio
Dipendenti ed
autonomi e
diffusione delle
flessibilità
Nella media del 2006, inoltre, il tasso di disoccupazione è sceso al
6,8%, nove decimi di punto in meno rispetto al 2005. Tale andamento
ha avuto luogo per entrambi i sessi e in tutte le ripartizioni geografiche
ed è il riflesso del pronunciato calo delle persone in cerca di occupazione (-11,4%) la cui contrazione è stata particolarmente rilevante nel
Mezzogiorno (dove il tasso è stato pari al 12,2%, 1,2 decimi di punto
percentuale in meno). Notevole è da considerarsi la discesa del tasso di
disoccupazione giovanile (-2,4 punti percentuali in meno rispetto al
2005) fino a toccare quota 21,6 per cento.
La domanda di lavoro presenta andamenti alquanto disomogenei
per settore: nel 2006, la crescita occupazionale coinvolge soprattutto i
servizi (+2,8% rispetto alla media del 2005. L’agricoltura ha registrato
anch’essa una significativa espansione (+3,6% in termini di teste occupato mentre si registra una moderata crescita per l’industria in senso
stretto (+0,4%) a fronte di una contrazione nelle costruzioni (-0,6%).
Diversamente da quanto accade a livello aggregato, i dati di Contabilità Nazionale riferiti ai singoli settori evidenziano, in termini di unità di
lavoro, un quadro in parte diverso dalle stime della Rilevazione delle
Forze di Lavoro. Nel 2006, la crescita occupazionale delle Unità Standard nel settore dei servizi (+1,6%) e in quello dell’agricoltura (+0,6%)
appaiono, in termini percentuali, meno sostenute rispetto a quanto si riscontra a livello di occupazione residente. Più rilevanti appaiono le differenze nel settore delle costruzioni e nell’industria in senso stretto: nel
primo caso si osserva, per il 2006, una dinamica favorevole (+0,6%)
presumibilmente in relazione a nuovi flussi di lavoratori stranieri non
ancora censiti nelle Forze di lavoro; nel secondo, l’espansione in termini di unità di lavoro è più rilevante che in termini di occupati residenti,
pari all’1,3%, coerentemente peraltro con l’evoluzione congiunturale
in ripresa del settore.
La disaggregazione territoriale indica che la crescita dell’occupazione pur presentando, nel 2006, una dinamica leggermente più favorevole nel Nord Est ha interessato tutte le aree del paese (+2,2% nel Nord
Est, +1,8% nel Nord Ovest, +2,1% nel Centro e +1,6% nel Sud).
Nella media del 2006, la crescita occupazionale ha coinvolto sia la
componente dipendente (+2,3%), sia quella indipendente (+0,7%). La
diffusione delle flessibilità continua a rappresentare una componente
significativa dell’espansione della domanda di lavoro. L’incremento
dell’occupazione temporanea (+9,7%, pari a 196 mila unità in più ri-
- 80 -
Economia italiana: evoluzione recente
spetto ad un anno prima) si è riflesso in un aumento di otto decimi di
punto percentuale dell’incidenza del lavoro a termine (13,1% dell’occupazione dipendente). Si osserva anche una crescita sostenuta dell’occupazione a tempo parziale (+6,4%, +137 mila unità). Le donne
impiegate a part-time sono ormai più di un quarto delle occupate dipendenti (26,4%, la quota relativa).
Nel corso del 2006, dopo che nei primi mesi erano entrati in vigore i contratti di importanti settori sia privati (metalmeccanico, telecomunicazioni, carta, imprese conciarie, energia e petroli, chimica,
grafici, nonché, relativamente al secondo biennio, edilizia, tessile e
gomma-plastica) che pubblici (ministeri, scuola, vigili del fuoco, Università e enti di ricerca nonché, per il secondo biennio economico, regioni, enti locali e enti pubblici non economici), l’attività negoziale ha
portato a concludere, a giugno, i contratti delle autostrade, della sanità
e delle agenzie fiscali e, a luglio, quelli delle industrie estrattive; a settembre, sono entrati in vigore i contratti, siglati anch’essi a luglio, del
settore elettrico, nonché delle autorimesse e autonoleggi; a novembre,
quelli dei servizi aeroportuali e, in anticipo rispetto alla scadenza, delle
industrie della concia; infine, a dicembre, quello per il secondo biennio
economico degli autoferrotranvieri.
Per effetto dei rinnovi contrattuali intervenuti, gli accordi vigenti a
dicembre 2006 regolavano il trattamento economico e normativo di 7,7
milioni di dipendenti (in calo rispetto agli 8,4 che risultavano coperti a
dicembre dell’anno precedente), corrispondenti al 62,5% degli occupati dei comparti oggetto di rilevazione (68,3% a dicembre 2005) e al
59,1% del monte retributivo (69,6% un anno prima), laddove all’inizio
dell’anno, per effetto dei contratti andati in scadenza a fine 2005, la
quota di occupati dipendenti coperti da accordi in vigore era scesa al
40,1% (38,7% del monte retributivo). L’attesa media per il totale dei
dipendenti, che si era portata a 5 mesi nel dicembre 2005 per calare a
3,5 mesi nel gennaio 2006 e si attestava su valori ancora inferiori a
metà anno (nel giugno 2006 era di 2,9 mesi per l’insieme dei dipendenti), torna a 4,8 mesi a fine anno, facendo segnare una media di 12,8
mesi se computata sui soli dipendenti in attesa di rinnovo (da 8,5 mesi
a dicembre 2005). A quella data il tasso di copertura era totale nei soli
settori dell’edilizia e dell’agricoltura, sfiorando nell’industria in senso
stretto in ogni caso il 95%, mentre risultava inferiore in altri settori dei
servizi (tra il 60% e il 77%) per scendere al 2,9% nel credito-assicura-
- 81 -
Attività
contrattuale e
relazioni
industriali
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Dinamica delle
retribuzioni nel
settore privato e
pubblico
zioni. Di nuovo in ritardo, con una copertura nulla per tutti i comparti,
appariva infine il settore delle attività della pubblica amministrazione.
Dopo essere cresciute del 3,1% nel 2005, le retribuzioni contrattuali hanno mostrato un rallentamento, attestandosi su un aumento medio del 2,8% rispetto all’anno precedente, che si colloca 0,9 punti al di
sopra del tasso di inflazione registrato per il medesimo periodo. Si deve
peraltro notare come la dinamica tendenziale si dimostri in ascesa, toccando nel mese di dicembre il 3,3% sul corrispondente mese dell’anno
precedente. Secondo le stime dell’ISTAT la proiezione sul primo semestre del 2007, basata sull’andamento effettivo fino a fine 2006 e, per i
mesi successivi, sugli effetti dei contratti attualmente in vigore, si posiziona sul 2,4%, con una ulteriore decelerazione delle dinamiche retributive, connesse a rinnovi contrattuali, nella seconda metà del 2007 per
un incremento medio sull’intero anno stimato all’1,6%.
Tab. 2
RETRIBUZIONI ORARIE CONTRATTUALI PER SETTORE
DI ATTIVITA’ ECONOMICA
(variazioni percentuali tendenziali)
SETTORI DI ATTIVITA’ ECONOMICA
Variazioni % tendenziali
dicembre 2006
Media I° semestre 2007
su contratti vigenti a
dicembre 2006 (1)
Agricoltura
2,7
4,5
Industria
3,7
3,0
Industria in senso stretto
3,7
2,8
Edilizia
3,7
4,6
Servizi destinabili alla vendita
1,8
1,5
- Commercio, pubbl. esercizi, alberghi
2,0
2,0
- Trasporti, comunicazioni e attività connesse
3,0
1,8
- Credito e assicurazioni
0,2
0,1
- Servizi privati
1,4
1,4
Attività della Pubblica Amministrazione
5,0
2,5
TOTALE ECONOMIA
3,3
2,4
Fonte: ISTAT.
(1) Variazioni costruite con riferimento ai valori degli indici delle retribuzioni così come acquisiti fino a dicembre
2006 e alle proiezioni per il primo semestre del 2007 sulla base degli aumenti programmati dai contratti in
vigore a dicembre 2006.
Variazioni tendenziali delle retribuzioni orarie superiori alla media
si sono verificate nel corso del 2006 nell’industria (+3,7% a dicembre
2006, sia per l’edilizia che per l’industria in senso stretto) e soprattutto
in quello della Pubblica Amministrazione che, grazie ai rinnovi
intervenuti, fa segnare a dicembre 2006 un +5% tendenziale. Al di
sotto della media in quello stesso mese risulta la variazione tendenziale
negli altri settori, con un ritardo particolarmente consistente nel credito
- 82 -
Economia italiana: evoluzione recente
e assicurazioni che fa segnare una variazione tendenziale dello 0,2 per
cento.
La dinamica delle retribuzioni lorde per unità di lavoro equivalente a tempo pieno, secondo le informazioni di contabilità nazionale, risulta in decelerazione nel 2006, facendo registrare un aumento del
2,8% in termini di media annua, mezzo punto al di sotto di quella che
era stata la crescita registrata nel 2005 sull’anno precedente (+3,3%).
Si tratta di un andamento che è la risultante di un incremento alquanto
superiore nell’industria (+3,1%, con una punta del +5% nel ramo
estrattivo) e inferiore nei servizi (+2,7%), con la sola eccezione dei trasporti, logistica e comunicazioni (+4%).
Graf. 35 - RETRIBUZIONI CONTRATTUALI PRO-CAPITE
(variazioni % tendenziali)
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Totale economia
Industria in senso stretto
nov-06
set-06
lug-06
mag-06
mar-06
gen-06
nov-05
set-05
lug-05
mag-05
mar-05
gen-05
nov-04
set-04
lug-04
mag-04
mar-04
gen-04
0
Servizi destinabili alla vendita
Fonte: ISTAT
Il costo del lavoro per unità di lavoro dipendente, equivalente a
tempo pieno (ULA), nel corso del 2006 è aumentato del 2,5% rispetto
alla media dell’anno precedente, in virtù di una dinamica degli oneri
sociali che si mantiene al di sotto di quella rilevata per le retribuzioni,
(+1,8%). Prendendo in esame la variazione tendenziale, si può rilevare
come nell’ultimo trimestre, rispetto al corrispondente periodo del
2005, questa subisca un deciso raffreddamento, essendo calcolata in diminuzione di circa un punto (-0,8%).
Quanto all’andamento per settori dei redditi da lavoro dipendente
pro-capite, l’aumento che si è registrato in generale nel 2006 rispetto al
- 83 -
Costo del lavoro
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
2005, calcolato al 2,5% in base ai dati di contabilità nazionale, trova riscontro in un risultato omogeneo sia dell’industria che dei servizi,
mentre il settore agricolo si caratterizza per una dinamica più contenuta
(+1%) che nel resto dell’economia. In termini di andamento tendenziale, l’ultimo trimestre dell’anno presenta una diminuzione sul corrispondente trimestre del 2005 a causa di un calo nei servizi del -2,3%.
Quanto al valore aggiunto (a prezzi concatenati) per unità lavorativa equivalente a tempo pieno, nel 2006 si è registrato un aumento di
+0,3% sull’anno precedente, risultante da un aumento dell’1,5%
nell’industria (in accelerazione rispetto all’anno precedente) e da una
stabilità dei servizi, mentre l’agricoltura fa segnare un calo del -3,8%.
Emerge tuttavia un’accelerazione della dinamica tendenziale nell’ultimo trimestre del 2006 (+1,3% sull’ultimo trimestre del 2005), che trova riscontro sia nell’industria (+2,9%) che nei servizi (+0,9%), laddove
in agricoltura si accentua ulteriormente il calo tendenziale (-4,8%).
Tab. 3
COSTO DEL LAVORO PER UNITÀ DI PRODOTTO *
(variazioni % trimestrali)
ATTIVITA' ECONOMICHE
Variazione % su trimestre
corrispondente anno precedente
Variazione % congiunturale su
trimestre precedente
II 2006 /
II 2005
III 2006 /
III 2005
IV 2006 /
IV 2005
II 2006 /
I 2006
III 2006 /
II 2006
IV 2006 /
III 2006
Agricoltura, silvicoltura e pesca
3,4
10,3
7,5
4,5
0,9
-1,7
Industria
1,8
1,5
-0,6
0,2
-0,5
-1,1
- industria in senso stretto
3,0
1,5
-1,4
0,4
-0,1
-2,2
- costruzioni
-2,1
2,1
3,0
-0,5
-1,9
2,7
Servizi
6,0
4,2
-3,1
2,6
-1,7
-2,1
Totale
4,7
3,5
-2,1
2,0
-1,3
-1,8
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
* Calcolato come rapporto tra redditi da lavoro dipendente per unità di lavoro dipendente e valore aggiunto a
prezzi concatenati per unità di lavoro totale.
Il costo del lavoro per unità di prodotto1 per l’intera economia fa
registrare nel 2006 un aumento del 2,2% rispetto al 2005, nonostante la
dinamica contenuta delle retribuzioni pro-capite, per effetto della sostanziale stagnazione del valore aggiunto pro capite. L’andamento tendenziale nell’ultimo trimestre del 2006 rispetto allo stesso periodo
dell’anno prima fa segnare tuttavia una significativa decelerazione in
1
Il costo del lavoro per unità di prodotto è calcolato sui dati ISTAT di contabilità nazionale come
rapporto fra redditi da lavoro dipendente pro capite e valore aggiunto per unità lavorativa a prezzi
base costanti
- 84 -
Economia italiana: evoluzione recente
cui si coglie l’effetto della ripresa di un trend crescente del valore aggiunto pro-capite (+1,3% sull’ultimo trimestre 2005) che si manifesta
in concomitanza con un calo tendenziale delle retribuzioni pro-capite.
Rispetto a questo fenomeno si deve tuttavia notare come possa risalire
alla circostanza specifica che nel trimestre di riferimento (l’ultimo del
2005) si era verificata l’erogazione di benefici contrattuali in settori nei
quali si era accumulato un forte ritardo nei tempi dei rinnovi (in particolare nella pubblica amministrazione).
- 85 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Un confronto preliminare sull’andamento della produttività settoriale nell’area euro
e in Italia nel periodo 1970-2004
Il 15 marzo scorso è stata diffusa la banca dati del progetto, finanziato dalla Commisione
Europea, EU KLEMS Growth and Productivity Accounts. L’obiettivo perseguito dal consorzio di
18 istituti di ricerca, tra cui l’ISAE1, è stato quello di costruire un dataset su base omogenea per
analizzare crescita e produttività dei paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti e Giappone. La banca
dati si caratterizza per un elevato dettaglio settoriale e per un’attenta ricostruzione degli input di
produzione, in primo luogo, capitale2 e lavoro3; essa rappresenta quindi un importante passo
avanti per le analisi comparate delle performance di sviluppo dei differenti paesi nei diversi settori.
In questo riquadro, si fornisce una prima descrizione degli andamenti che emergono dai nuovi dati
disponibili. L’attenzione viene focalizzata sull’evoluzione della produttività del lavoro, intesa come
rapporto tra valore aggiunto per ora lavorata, per i quattro maggiori paesi europei, per l’insieme
dei paesi che adottano l’euro, e per gli Stati Uniti. Oltre alla dinamica dell’intera economia,
vengono mostrati alcuni dettagli settoriali.
Per quanto riguarda il complesso dell’economia i dati EU KLEMS confermano, in generale,
quanto già conosciuto4: tra il 1970 e il 1995 la dinamica della produttività dei maggiori paesi
europei e quella dell’area euro nel suo complesso è risultata maggiore di quella degli Stati Uniti: in
tale periodo, il valore aggiunto per occupato nell’intera economia è passato dal 75 a poco meno
del 100% di quello statunitense. In questo stesso arco di tempo, la crescita della produttività del
lavoro italiana è stata sostanzialmente in linea con la media degli altri paesi dell’area. Dal 1995
queste evoluzioni subiscono un cambiamento. In concomitanza con la diffusione su larga scala
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), si assiste a una accelerazione del
valore aggiunto per addetto negli Stati Uniti e, contemporaneamente, a una decelerazione in
Europa. Sebbene in tale periodo tutti i paesi europei abbiano sperimentato una crescita inferiore a
quella degli Stati Uniti, emerge tra di essi una chiara dicotomia: mentre Francia e Germania
continuano a registrare, pur decelerando, tassi di variazione superiori all’1%, Italia e Spagna
scendono al di sotto di tale soglia e fanno registrare variazioni nulle o prossime a zero, la prima nel
periodo 2000-2004 e la seconda nel periodo 1995-2000.
Tali andamenti si accompagnano a incrementi considerevoli di ore lavorate in Spagna e
Italia, e molto contenuti o addirittura negativi in Francia e Germania, unitamente a una dinamica
della Produttività Totale dei Fattori (PTF) che mostra variazioni opposte a quelle delle ore
lavorate: negativa in Italia e, soprattutto, in Spagna, in decelerazione, ma comunque positiva in
Francia e Germania.
1
Maggiori informazioni sul progetto, sui partecipanti, e sulla banca dati possono essere reperite all’indirizzo
www.euklems.net.
2
Il capitale viene distinto tra capitale la cui natura è relativa alle tecnologie dell’informazione e comunicazione
(TIC), e capitale che non lo è (non-TIC).
3
Il lavoro viene distinto per i diversi gradi di qualifica.
4
Per una precedente analisi comparata sulle performance economiche dei paesi considerati, basata sui dati del
Total Economy Database del Groningen Growth and Development Centre si veda “Crescita e struttura produttiva
dell’Italia: un confronto con i principali paesi industriali”, Rapporto ISAE febbraio 2005.
- 86 -
Economia italiana: evoluzione recente
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
TOTALE ECONOMIA
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
3,0
2,0
2,4
1,0
0,0
Germania
3,6
2,3
2,6
2,0
1,4
Francia
4,0
3,1
1,9
2,0
1,4
Spagna
3,5
2,6
2,4
0,1
0,4
Area euro
2,7
2,2
2,2
1,5
1,0
Stati Uniti SIC
1,5
1,2
1,2
2,1
2,8
Passando all’esame della produttività del lavoro per i singoli settori, in generale si conferma
il divario tra Italia e Spagna, da un lato, e Francia e Germania, dall’altro, con qualche eccezione.
Per il settore manifatturiero, che per l’Italia, nei dati EU KLEMS, conta ancora per circa il 20%
del valore aggiunto totale, per la Germania più del 22%, mentre per i restanti paesi qui considerati
e l’area euro intorno al 15%, emerge immediatamente come il deterioramento della produttività
italiana sia stato progressivo facendo registrare una crescita media negativa nel periodo 200020004 dello 0,8%. La Spagna, dopo la caduta avuta nella seconda metà degli anni ’90, ha
recuperato nei primi anni del 2000, collocandosi poco al di sotto della media dell’Area euro.
Positive invece sono apparse le performance per Francia e Germania. Quest’ultima in particolare
ha messo a segno incrementi di produttività manifatturiera che non sono stati molto lontani da
quelli statunitensi, in particolare nell’ultimo quadriennio considerato.
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
MANIFATTURA
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
4,9
3,2
3,8
0,5
-0,8
Germania
4,1
2,8
3,0
2,9
2,4
Francia
4,8
3,4
4,8
4,7
3,1
Spagna
4,2
3,9
3,0
-0,4
1,6
Area euro
4,2
3,2
3,6
2,7
1,9
Stati Uniti SIC
2,5
3,2
3,3
6,6
3,6
Al contrario di quanto accaduto negli altri settori, in quello delle Public Utilities la dinamica
della produttività europea è stata, secondo i dati EU KLEMS, superiore a quella degli Stati Uniti
per tutto il periodo osservato, con incrementi per l’Italia addirittura superiori a quelli degli altri
paesi considerati nel corso degli ultimi quattro anni. Da una prima analisi sembra possibile
sostenere che, tale performance nel quadriennio 2000-04 si è realizzata grazie, da un lato,
all’aumento del valore aggiunto e alla contemporanea riduzione delle ore lavorate, dall’altro ad
una positiva dinamica della PTF. E’ da precisare che questa favorevole evidenza non implica, di
per sé, che i guadagni di efficienza che si è riusciti a conseguire siano stati, sempre e in ogni caso,
trasferiti sui consumatori. Infatti, utilizzando sempre la banca dati EU-KLEMS, è possibile vedere
che a fronte di un aumento di produttività del lavoro e riduzione della retribuzione complessiva, in
tale periodo il deflatore del valore aggiunto di questo settore mostra per l’Italia variazioni più
accentuate che per i restanti paesi.
- 87 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
PUBLIC UTILITIES
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
0,5
0,9
3,1
1,7
6,7
Germania
3,9
2,0
4,0
8,6
2,5
Francia
5,7
5,2
2,7
5,2
6,3
Spagna
6,2
6,6
0,6
7,0
5,9
Area euro
4,0
3,1
3,2
5,7
4,7
Stati Uniti SIC
0,5
0,9
3,1
1,7
6,7
Nel commercio, sia al dettaglio sia all’ingrosso, il divario tra gli Stati Uniti e i maggiori paesi
europei torna a essere evidente e non limitato agli ultimi due sottoperiodi. Tra il 1970 e il 2004 solo
la Francia nei periodi 1980-’90 e 1990-’95 e l’Italia nel periodo 1990-’95 hanno avuto una
crescita della produttività del lavoro in tali settori superiore agli Stati Uniti. La differenza così
evidente, soprattutto nel periodo 2000-’04 può essere motivata sia dalla maggiore capacità di
utilizzo delle nuove tecnologie, sia dalle differenze normative e culturali (ampia diffusione negli
Stati Uniti dei Big Box retailers che possono contare su un uso molto flessibile della manodopera)
che hanno reso più produttivi tali settori oltre oceano5.
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
COMMERCIO AL DETTAGLIO E ALL’INGROSSO
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
2,5
1,1
3,1
1,0
-1,1
Germania
3,4
2,3
1,7
2,4
1,6
Francia
3,3
4,9
3,2
2,3
0,2
Spagna
1,2
0,5
2,8
1,0
-1,3
Area euro
2,8
2,2
1,7
1,9
0,4
Stati Uniti SIC
3,4
2,8
2,8
3,7
6,8
Nei trasporti e comunicazioni la performance superiore degli Stati Uniti è evidente solo
nell’ultimo periodo, mentre tra il 1980 e il 2000 i maggiori paesi europei e l’area euro nel suo
complesso hanno realizzato incrementi di produttività sistematicamente superiori.
Tab. 5
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
TRASPORTI E COMUNICAZIONI
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
2.8
2.3
4.6
3.5
2.0
Germania
3.2
2.8
6.4
4.7
4.9
Francia
5.5
4.0
1.7
4.5
2.7
Spagna
6.2
4.4
3.0
2.3
1.1
Area euro
3.6
3.3
3.9
4.0
2.9
Stati Uniti SIC
4.0
1.5
1.4
0.6
6.0
5
Cfr. nota 4.
- 88 -
Economia italiana: evoluzione recente
Nell’intermediazione finanziaria il primato degli Stati Uniti è evidente in tutto il periodo
osservato con rare eccezioni: la Germania nei primi dieci anni osservati e la Spagna tra il 1980 e il
1990. In questo settore la Spagna non è più, insieme all’Italia, tra i peggiori quattro paesi dell’area
euro, ma tra i migliori due nell’arco di tempo 1995-’04, e addirittura il migliore assoluto negli
ultimi quattro anni.
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
-3.9
-1.3
1.2
1.6
0.5
Germania
3.5
1.6
1.7
1.5
-0.6
Francia
1.2
2.4
-0.3
3.9
1.0
Spagna
0.4
3.7
-4.0
1.7
3.4
Area euro
1.1
1.6
0.7
2.6
1.3
Stati Uniti SIC
2.3
2.3
3.6
4.6
5.5
L’ultimo settore analizzato è quello della pubblica amministrazione. In realtà sono note, in
questo caso, le difficoltà di computo del valore aggiunto della PA: esso è calcolato sulle base delle
retribuzioni, talché aumenti di produttività potrebbero riflettere aumenti retributivi più che effettivi
guadagni di efficienza. Inoltre tra paesi esistono differenze nel metodo di calcolo del valore
aggiunto che non rendono direttamente comparabili i risultati. Tali differenze non sono presenti tra
i paesi europei, ma lo sono tra questi e gli Stati Uniti6.
La dinamica della produttività italiana che è sistematicamente migliore di quella statunitense
dal 1980 in poi, e di quella della media dell’area euro dal 1990, e, infine, di tutti i singoli paesi
considerati dal 1995 in poi, fa sorgere il sospetto che ciò sia dovuto, appunto, ad una dinamica
delle retribuzioni italiane più elevata rispetto agli altri paesi. È altresì da notare che parte
dell’avanzamento della produttività del lavoro è da attribuirsi alla riduzione, a partire dal periodo
1990-’95 del totale delle ore lavorate nella pubblica amministrazione, ma questo fenomeno ha
interessato anche la Germania, a partire dal 1980, e la Francia nel periodo più recente.
TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale)
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
1970-1980
1980-1990
1990-1995
1995-2000
2000-2004
Italia
-0.7
1.0
1.9
2.1
3.2
Germania
3.8
2.6
3.2
1.6
1.1
Francia
1.9
1.3
1.0
1.6
2.1
Spagna
-1.6
-1.2
0.4
1.1
1.2
Area euro
1.6
1.3
1.7
1.5
1.5
Stati Uniti SIC
1.7
0.7
0.9
1.0
1.0
6
Si veda il documento metodologico del progetto EU KLEMS disponibile sul sito del progetto.
- 89 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
PREZZI
Confronto
con i paesi
dell’area
dell’euro
Lo scorso anno il positivo andamento della crescita reale si è associato ad una dinamica dell’inflazione nel complesso moderata e rimasta sotto controllo nonostante lo scenario di forti tensioni sui prezzi
internazionali dei prodotti energetici.
Nella media del 2006 l’indice
Graf. 36 - INFLAZIONE AL CONSUMO
(indice nazionale per l'intera collettività;
nazionale dei prezzi al consuvariazioni percentuali)
mo per l’intera collettività è
3,5
su tre mesi annualizzate; dati
aumentato del 2,1%, solo due
destagionalizzati
decimi in più rispetto al risul3,0
su dodici mesi
tato del 2005. La crescita su
base annua ha oscillato nei pri2,5
mi tre trimestri su ritmi appena superiori al 2%; dalla fine
2,0
dell’estate, grazie soprattutto
alla significativa correzione al
1,5
ribasso delle quotazioni del
petrolio, ma anche per alcuni
1,0
fattori interni di natura contin2003
2004
2005
2006
2007
gente, le pressioni sui prezzi si
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
sono allentate e il tasso tendenziale si è portato al di sotto di tale valore (1,8% nel quarto trimestre). Per il secondo anno consecutivo, inoltre, l’inflazione italiana si è
perfettamente allineata a quella dell’area dell’euro (2,2% la crescita
annua in base all’indice armonizzato, come per la media dei paesi aderenti all’UEM). Da settembre, tuttavia, in corrispondenza del riassorbimento dello shock petrolifero, il differenziale inflazionistico è tornato
marginalmente a nostro sfavore, principalmente a causa dei più lunghi
tempi di risposta del nostro sistema alle variazioni dei costi energetici
internazionali.
Le spinte sui prezzi generate all’interno hanno continuato nel
complesso ad essere contenute e l’indicatore delle tendenze di fondo
non ha segnato modifiche sostanziali, oscillando intorno all’1,7% anche nel secondo semestre dell’anno.
Il favorevole andamento della core inflation è stato supportato da
una ancora scarsa traslazione, nel passaggio dalle fasi della produzione
alla prima distribuzione, degli alti costi energetici gravanti sulla strut-
- 90 -
Economia italiana: evoluzione recente
tura produttiva. Procedendo lungo la catena dell’offerta, i segni della
trasmissione dei rincari, sia quelli più recenti sia quelli passati, sono
stati ancora, nell’ultimo scorcio del 2006, relativamente contenuti.
E’ vero che nella media
Graf. 37 - DIFFERENZIALE D'INFLAZIONE
ITALIA - AREA EURO (*)
dell’anno i prezzi dei prodotti
(punti percentuali)
industriali hanno registrato 1,5
una crescita del 5,6%, più elevata di oltre un punto e mezzo 1,0
rispetto al risultato del 2005,
ma gran parte di essa è impu- 0,5
tabile alle voci legate all’energia.
L’inflazione
alla 0,0
produzione ha, infatti, scontato principalmente l’appesanti- -0,5
mento delle condizioni di
totale
core inflation
approvvigionamento
degli -1,0
input intermedi esteri. La di2003
2004
2005
2006
2007
namica complessiva dei listini Fonte:elaborazioni ISAE su dati EUROSTAT.
industriali, in forte accelera- (*) Italia esclusa.
zione nel primo semestre
dell’anno quando era salita di oltre due punti percentuali (7% in luglio
la crescita annua), ha segnato una frenata repentina nell’ultimo trimestre del 2006 (attestandosi intorno al 5%) proprio per effetto dell’allentamento nei corsi internazionali del petrolio e delle altre materie prime.
Le pressioni esercitate dalla componente energetica, dirette ed evidenti sui prezzi dei prodotti intermedi, si sono smorzate di intensità
avanzando lungo le fasi del processo di commercializzazione. Nel settore dei beni destinati al consumo finale, dopo l’accelerazione della
prima parte dell’anno (dall’1% di gennaio al 2% di luglio), l’inflazione
ha oscillato intorno al 2%, chiudendo il 2006 con una crescita media
dell’1,7% (0,6% nel 2005). Più in dettaglio, se per il raggruppamento
dei beni non durevoli l’incremento dei prezzi si è fermato a ridosso del
2%, per quelli durevoli i ritmi di crescita sono risultati ben più sostenuti (+2,5% a fine anno), evidenziando anche una accelerazione più intensa rispetto a quanto sperimentato in occasione della precedente fase
di rialzo dei costi energetici. All’inizio del 2007, gli aggiornamenti dei
listini di gran parte dei prodotti destinati al consumo, durevoli e non,
sono risultati più consistenti rispetto al consueto profilo stagionale, fa-
- 91 -
Prezzi alla
produzione
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Costi e margini
Inflazione al
consumo
cendo registrare una risalita della inflazione nel settore nel suo insieme
al 2,3%. A fronte dell’ulteriore decelerazione per i prezzi dei prodotti
energetici e intermedi, tale tendenza potrebbe riflettere una intensificazione della traslazione dei precedenti rincari sopportati dalle imprese
industriali.
Nel 2006, infatti, i produttori
Graf. 38 - PREZZI ALLA PRODUZIONE
(variazioni percentuali annue)
non sembrano aver trasferito
25
3
sui prezzi dell’output gli au20
menti dei costi non salariali
15
degli ultimi due anni, prefe2
rendo parzialmente assor-birli
10
attraverso più bassi margini di
5
1
profitto, in attesa di un irrobu0
stimento più solido della do-5
manda. I dati di Contabilità
0
-10
Nazionale, relativi all’indu2003
2004
2005
2006
2007
stria in senso stretto, docubeni intermedi (scala destra)
energia (scala destra)
mentano che lo scorso anno i
beni di consumo non durevoli
rincari degli input intermedi
beni di consumo durevoli
Fonte: ISTAT.
sono stati solo in parte frenati
da un andamento ancora relativamente moderato del costo del lavoro per unità di prodotto, ma
anch’esso in ripresa nell’intera economia come effetto di una dinamica
salariale più elevata rispetto a quella della produttività. L’aumento dei
costi totali è così risultato per gran parte dell’anno superiore alla crescita dei prezzi dell’output del settore, delineando una situazione di
contenimento dei margini di profitto unitari. Solo verso la fine del
2006, l’allentamento della pressione sui costi degli input acquistati
all’estero ha consentito di arrestarne l’erosione.
L’argine costituito dalla prudente politica di fissazione dei listini
alla produzione ha permesso che a livello di distribuzione finale l’inflazione non abbia subito forti accelerazioni nonostante le pressioni inflazionistiche di origine esterna, con un profilo sostanzialmente piatto per
gran parte del 2006, ed abbia segnato un rallentamento nell’ultimo
scorcio dell’anno. Il cambiamento della tendenza è stato determinato
essenzialmente dalla discesa delle quotazioni del petrolio, e dei corrispondenti prezzi alla produzione, che hanno portato ad un rapido rientro dei listini dei prodotti energetici non regolamentati e a un
- 92 -
Economia italiana: evoluzione recente
rallentamento della dinamica per quelli controllati. Il contributo
dell’intero raggruppamento alla crescita complessiva dell’inflazione si
è fortemente ridotto nell’ultimo trimestre dello scorso anno, risultando
limitato a due decimi di punto (7 decimi in media nei precedenti nove
mesi). L’altro elemento che ha permesso la discesa dell’inflazione è individuabile nella netta decelerazione della dinamica di crescita dei
prezzi dei beni non alimentari e non energetici, scesa allo 0,3% nell’ultimo trimestre del 2006. Tale risultato è stato peraltro principalmente
determinato dalla riduzione del prezzo dei farmaci decisa dall’Agenzia
del Farmaco, in ottemperanza a disposizioni legislative relative al contenimento della spesa farmaceutica. Al netto di questa voce, la crescita
del raggruppamento dei beni è infatti rimasta su ritmi di poco superiori
all’1%, come nei trimestri precedenti. E’ bene ricordare che un ruolo
fondamentale nel mantenere una inflazione così contenuta nei beni non
alimentari e non energetici è svolto dai prodotti relativi all’elettronica
di consumo, i cui prezzi, in riduzione da ormai dieci anni, sono diminuiti nel 2006 del 10% circa. Qualche spunto di ripresa hanno cominciato
a segnalare i prezzi dei beni di largo consumo e quelli relativi all’abbigliamento e calzature.
I beni alimentari e i serviGraf. 39 - INFLAZIONE AL CONSUMO E
PRINCIPALI COMPONENTI DI FONDO
zi hanno concorso a sostenere
(variazioni percentuali annue)
l’inflazione, anche se le spinte
4
provenienti dai secondi sono
risultate più moderate rispetto
3
al passato. L’accelerazione dei
prezzi degli alimentari è stata
significativa per tutto il 2006 e 2
il loro contributo alla crescita
complessiva dell’indice è rad- 1
doppiato tra inizio e fine anno
(da 0,3 a 0,6 punti percentua- 0
2003
2004
2005
2006
2007
li). Per quanto riguarda i prezservizi
zi dei servizi privati, nel
beni non alimentari escl. energetici
totale
secondo semestre si sono alternati episodi di rallentamen- Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
to a fasi di accelerazione, in
relazione soprattutto alla maggiore dinamicità nei comparti del tempo
libero e del turismo; per la componente sottoposta a controllo pubblico,
- 93 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
accanto alla moderazione di quelle nazionali, si è osservata una attenuazione dell’inflazione relativa alle tariffe locali, con un tasso sceso
dal 4% dei primi mesi dell’anno al 3% circa dell’ultimo trimestre.
Tab. 4
PREZZI AL CONSUMO PER L'INTERA COLLETTIVITÀ
(variazioni percentuali annue)
2005
Componenti
Pesi
(1)
Beni e servizi a prezzo controllato (2)
16,08
3,0
4,92
2,6
IV
Anno
2006
Anno
I
II
III
IV
2,1
3,1
3,1
3,0
1,8
2,7
0,7
2,0
1,7
0,5
-2,5
0,4
di cui:
Beni
di cui:
Tariffe
Energia
2,56
9,9
6,3
9,5
10,8
12,7
10,1
10,7
Comunicazioni
2,57
-0,5
-0,2
-0,6
-0,5
-0,1
0,1
-0,3
Trasporti
1,63
2,5
2,1
3,1
3,2
2,7
2,9
3,0
83,92
2,0
1,9
2,0
2,0
1,9
1,8
2,0
Affitti
2,63
2,1
2,3
2,4
2,3
2,4
2,7
2,5
Assicurazioni
1,18
2,5
1,7
2,6
2,4
2,1
2,0
2,3
Servizi bancari
0,67
8,7
8,3
4,1
1,5
1,1
0,9
1,9
100,00
2,2
1,9
2,1
2,2
2,2
1,8
2,1
Beni e servizi liberi
di cui:
Indice generale
Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT.
(1) peso percentuale riferito al dicembre 2005.
(2) per i medicinali si considera l'intero aggregato ISTAT che comprende anche i prodotti della fascia "C" a
prezzo libero
- 94 -
Economia italiana: evoluzione recente
FINANZA PUBBLICA
Il 2006 si è chiuso con conti pubblici sensibilmente più favorevoli
di quanto atteso in corso d’anno.
L’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche si è attestato al 4,4% del PIL ma, escludendo alcune poste di uscita di natura
straordinaria, il deficit si è ridotto notevolmente, collocandosi al 2,4%
del prodotto dopo il 4,1% registrato nel 2005.
In presenza di una stabilizzazione della spesa in percentuale del
PIL, il miglioramento è scaturito da un andamento molto favorevole
delle entrate, la cui stima è stata più volte rivista al rialzo. L’assai rilevante espansione delle entrate è ascrivibile a fattori di natura congiunturale, temporanea e strutturale. I conti, infatti, hanno beneficiato, in
particolare, della ripresa economica in atto, di realizzazioni di gettito
superiori alle attese per alcune imposte una tantum previste dalla legge
finanziaria per il 2006, di una attività incisiva di contrasto all’evasione
e all’elusione fiscale, degli interventi di incremento permanente di incassi disposti con la manovra di bilancio. Così come importante è risultata l’azione di controllo e contenimento delle spese.
Gli oneri di carattere straordinario (pari a 29.666 milioni di euro,
registrati nel conto della P.A. tra le altre uscite in conto capitale) che
hanno appesantito di due punti percentuali il disavanzo riguardano: per
circa 16 miliardi, i rimborsi dell’IVA sulle auto aziendali dovuti in
seguito alla sentenza del 14 settembre 2006 della Corte di giustizia
europea, che ha dichiarato incompatibili con l’ordinamento
dell’Unione Europea le disposizioni sui limiti della detraibilità
dell’IVA; per circa 13 miliardi, la cancellazione dei crediti dello Stato
nei confronti della società TAV per il finanziamento dell’Alta Velocità,
in conseguenza dell’accollo diretto del debito di Infrastrutture Spa; per
oltre 700 milioni, operazioni relative ai crediti di contributi sociali del
settore agricolo.
Il rapporto debito/PIL si è attestato al 106,8%, risultando ancora in
crescita rispetto al 106,2% del 2005. Considerando la scomposizione
per sottosettori, è da evidenziare che l’incidenza sul PIL del debito delle Ammnistrazioni Centrali è diminuita dal 99,9% al 99,4% mentre
quella relativa alle Amministrazioni Locali è aumentata dal 6,3% al
7,3%. Oltre al fabbisogno delle Amministrazioni Pubbliche (attestatosi
a 54,7 miliardi di euro), vari fattori hanno determinato la variazione del
- 95 -
Deficit e debito
nel 2006
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Evoluzione del
fabbisogno del
Settore Statale e
delle A.P. nel
2006
Obiettivi
programmatici
per il 2006
debito: l’emissione di titoli sotto la pari con un aggravio di circa 2,3
miliardi, l’apprezzamento dell’euro che ha ridotto il valore delle passività denominate in valuta estera di oltre 800 milioni e, soprattutto, l’aumento delle attività detenute dal Tesoro presso la Banca d’Italia per 8,2
miliardi euro. Quest’ultimo deriva dalla volontà dal Governo di costituire una scorta di liquidità con cui poter fronteggiare nel 2007 i rimborsi IVA dovuti alla sentenza della Corte di giustizia europea.
Il fabbisogno del Settore Statale nel 2006 è risultato pari a 34,6
miliardi di euro, il 2,3% del PIL, a fronte dei 60 miliardi registrati l’anno precedente (4,2% del PIL), evidenziando peraltro un livello ben inferiore alla stima di 47,7 miliardi indicata nella Relazione previsionale
e programmatica del settembre scorso. Il notevole avanzo realizzato a
dicembre (21,3 miliardi, due in meno rispetto all’ultimo mese del
2005), nonostante il verificarsi di vari elementi peggiorativi (il venir
meno degli introiti di fine 2005 derivanti dall’operazione di cartolarizzazione dei crediti dell’INPS e dalla vendita di Patrimonio1, l’erogazione di risorse arretrate alle Regioni per il finanziamento della spesa
sanitaria), ha consentito di mantenere il divario rispetto al 2005 sui valori molto elevati manifestatisi a partire dal settembre scorso.
Il fabbisogno cumulato delle Amministrazioni Pubbliche - rilevante per il calcolo del rapporto debito/PIL - ha mostrato dallo scorso
giugno valori inferiori rispetto all’anno precedente e si è poi attestato,
come ricordato, a 54,7 miliardi, pari al 3,7% del PIL (contro i 74,6 miliardi del 2005, il 5,2% del PIL). E’ dunque aumentato il divario tra
fabbisogno e indebitamento, passato da 1,1 a 1,3 punti percentuali di
PIL.
Gli obiettivi di finanza pubblica per il 2006 sono stati indicati, con
modifiche, nei vari documenti ufficiali. I cambiamenti sono derivati,
essenzialmente, da revisioni delle previsioni di crescita del PIL e di alcune entrate, dalla considerazione degli effetti della sentenza della Corte di Giustizia europea emessa il 14 settembre 2006 e relativa alla
detraibilità dell’IVA riguardante le spese per gli autoveicoli aziendali,
nonché dalla disposizione di assunzione a carico del bilancio dello Stato del debito per l’Alta Velocità.
Nel luglio del 2005, il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) per gli anni 2006-2009, scontando una crescita
reale del PIL dell’1,5%, poneva un obiettivo per l’indebitamento netto
delle Amministrazioni Pubbliche pari al 3,8% del prodotto. Nel settem-
- 96 -
Economia italiana: evoluzione recente
bre successivo, la Relazione previsionale e programmatica (RPP) e la
Nota di aggiornamento del DPEF confermavano tali obiettivi. A dicembre del 2005, al fine di raggiungere quanto concordato a livello europeo, veniva approvata una correzione netta dei conti pubblici di oltre
20 miliardi, pari all’1,4% del PIL, che a misure di contenimento del deficit di circa 27,9 miliardi affiancava provvedimenti per favorire lo sviluppo di 7,6 miliardi. Tale intervento rispondeva a due necessità. In
primo luogo, quella di rispettare quanto richiesto in sede Ecofin nel luglio precedente, cioè una correzione del disavanzo - al netto della componente ciclica e delle misure una tantum - non inferiore all’1,6% del
PIL nel biennio 2006-07. In secondo luogo, si prospettava la necessità
di compensare i minori incassi rispetto a quanto atteso in precedenza
derivanti dall’attività di dismissione immobiliare. L’obiettivo di indebitamento era quindi posto al 3,5% nell’Aggiornamento del Programma di stabilità.
Tab. 5
DOCUMENTI UFFICIALI: STIME E OBIETTIVI PER LE
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE E PIL DEL 2006
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE 2006
(miliardi di euro)
Stime tendenziali
Indebit.
netto
Avanzo
Primario
Obiettivi
Indebit.
netto
Avanzo
Primario
DPEF 2006-2009 (luglio 2005)
-
-
-
-
(in % del PIL)
-
-
3,8
0,9
RPP 2006 e Nota agg. DPEF 2006-2009
(settembre 2005)
-
-
54,7
13,1
(in % del PIL)
-
-
3,8
0,9
Agg. Programma stabilità (dicembre 2005)
(in % del PIL)
-
-
-
-
-
3,5
1,3
RTC (aprile 2006)
56,4
9,4
-
-
(in % del PIL)
3,8
0,6
-
-
DPEF 2007-2011 (luglio 2006)
59,3
7,8
-
-
(in % del PIL)
4,0
0,5
-
-
RPP 2007 e Nota agg. DPEF 2007-2011
(settembre 2006)
-
-
71,1
-4,0
(in % del PIL)
-
-
4,8
-0,3
Agg. Programma stabilità (dicembre 2006)
-
-
-
-
(in % del PIL)
-
-
4,8
0,0
- 97 -
PIL 2006
Crescita
reale
Prezzi correnti
(miliardi di
euro)
1,5
1.409,0
1,5
1.435,4
1,5
-
1,3
1.464,0
1,5
1.466,8
1,5
1.468,6
1,6
-
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Nell’aprile del 2006, in occasione della presentazione della Relazione trimestrale di cassa, in seguito all’acquisizione dei dati di consuntivo dell’anno precedente, alla presa d’atto delle revisioni e
riclassifcazioni operate dall’ISTAT e alla modifica al ribasso - all’1,3%
- della crescita, la stima del disavanzo veniva ricollocata al 3,8% del
PIL. Nel mese successivo, la Commissione incaricata dal nuovo Governo di valutare la situazione dei conti pubblici indicava un deficit in
risalita al 4,1% con possibilità di raggiungere il 4,6%. Tali indicazioni
inducevno il Governo a varare dei provvedimenti aggiuntivi che implicavano una correzione netta di un decimo di punto percentuale di PIL.
Con le maggiori entrate attese dagli interventi antielusivi e antievasivi
disposti si intendevano coprire le maggiori spese dovute al finanziamento inderogabile di opere pubbliche, stradali e ferroviarie, ed anche
compensare la mancanza di gettito derivante dalla contestuale abrogazione delle norme sulla programmazione fiscale emanate dal precedente Governo. Così, nel luglio 2006, il DPEF per il periodo 2007-11
riportava la crescita economica all’1,5% e prospettava un indebitamento netto al 4% del PIL. Nel settembre successivo, inoltre, nella nuova
RPP e nella Nota di aggiornamento del DPEF, il disavanzo veniva ampiamente rivisto al rialzo - al 4,8% del PIL - a causa della contabilizzazione degli effetti della citata sentenza della Corte di giustizia europea
in materia di IVA. Tuttavia, al netto di tale impatto (stimato nell’1,2%
del PIL) e scontando la notevole espansione delle entrate fiscali oltre a
una crescita del PIL portata all’1,6%, si riteneva che il deficit potesse
scendere al 3,6% del PIL. L’Aggiornamento del Programma di stabilità
indirizzato alla Commissione Europea nel dicembre scorso cofermava
quanto evidenziato nei documenti ufficiali del settembre precedente.
Infine, le disposizioni della legge finanziaria per il 2007 - riguardanti
l’assunzione a carico del bilancio dello Stato degli oneri per capitale e
interessi dei debiti contratti da Infrastrutture Spa ai fini del finanziamento degli investimenti per la realizzazione del sistema dell’Alta Velocità - comportavano un aggravio dell’indebitamento netto del 2006 di
12.950 milioni (pari allo 0,9% del PIL). Ciò, secondo la documentaione ufficiale, avrebbe implicato un rialzo della stima del disavanzo al
5,7% del prodotto. Né il debito né il fabbisogno avrebbero invece risentito della operazione, essendo già stato incorporato tale effetto nel
biennio 2004-05, come conseguenza di quanto disposto dall’Eurostat
nella decisione del 23 maggio 2005, in cui aveva ritenuto che il debito
- 98 -
Economia italiana: evoluzione recente
contratto da Infrastrutture Spa per il finanziamento dell’Alta Velocità
dovesse essere riclassificato come debito della P.A..
Graf. 40 - SALDI E INTERESSI PASSIVI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
(milioni di euro)
100000
75000
50000
25000
0
-25000
-50000
2004
2005
Indebitamento netto
2006
2007*
Disavanzo primario
2008*
Interessi passivi
Fonte: ISTAT.
*Previsioni ISAE, 2008 tendenziale.
L’avanzo primario della P.A., al netto degli oneri straordinari di
uscita, è tornato sui livelli di cinque anni fa: è infatti notevolmente cresciuto, portandosi al 2,2% del PIL (0,2% comprese le poste straordinarie) dal precedente 0,4%. Il miglioramento di 1,8 punti percentuali di
PIL rispetto al 2005 ha riflesso in massima parte l’incremento della
quota del complesso delle entrate (+1,7 punti), cui si è affiancata una
riduzione di un decimo di punto delle spese primarie.
L’onere per il servizio del debito, dopo un triennio di riduzioni, è
tornato a crescere sia in valore assoluto (+5,2%) che in percentuale del
PIL, con un rialzo dal 4,5% al 4,6% del prodotto. Sull’aumento degli
interessi passivi hanno influito le minori operazioni di swap effettuate,
il cui importo è stato pari a 563 milioni nel 2006, a fronte di un ammontare di 2.387 milioni nel 2005.
Il saldo di natura corrente - negativo dal 2003 - è tornato in consistente attivo, all’1,3% del PIL dopo il precedente -0,5%. Il disavanzo
in conto capitale è aumentato dal 3,6% al 5,7% essenzialmente a causa
dei più volte ricordati oneri straordinari; al netto di questi ultimi, l’incremento si è limitato a un decimo di punto percentuale di PIL ed è derivato sostanzialmente dalla riduzione delle entrate in conto capitale.
- 99 -
Avanzo primario
e spesa per
interessi nel
2006
Saldi corrente e
in conto capitale
nel 2006
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Uscite primarie
nel 2006
Le spese primarie (al netto delle poste straordinarie) hanno registrato una certa decelerazione rispetto all’anno precedente (con un incremento del 3,4% a fronte del +4,1% del 2005), sia quelle di natura
corrente (con un +3,6% dopo un +4%) sia, soprattutto, quelle in conto
capitale (che si sono espanse del 2,3% dopo il +5,3% precedente). L’incidenza sul PIL delle uscite al netto degli interessi è scesa appena, dal
44% al 43,9%, riflettendo riduzioni marginali in entrambe le componenti.
Con riferimento alle principali voci della spesa corrente primaria,
i redditi da lavoro dipendente e le prestazioni sociali in denaro hanno
mostrato incrementi superiori all’espansione del PIL nominale. I primi,
con un incremento del 4,1%, hanno confermato la loro incidenza sul
PIL all’11%, riflettendo gli effetti dei rinnovi contrattuali del biennio
economico 2004-05 stipulati nelle Amministrazioni Locali e, a livello
centrale, negli Enti di ricerca e nelle Università, con la contestuale corresponsione di arretrati. Quanto alle seconde, la crescita del 4,4% ha
elevato di un decimo la loro percentuale sul PIL al 17,1% e ha sostanzialmente rispecchiato, per la componente pensionistica, l’aumento del
numero dei trattamenti e una perequazione automatica degli stessi pari
all’1,9%, e relativamente alle altre voci, una espansione molto forte
delle liquidazioni di fine rapporto nonché la contabilizzazione delle
erogazioni una tantum a sostegno della natalità disposte con la legge finanziaria per il 2006. In decelerazione è risultata l’evoluzione delle
prestazioni sociali in natura (+3,4% in precedenza +5,6%), dopo che il
2005 era stato caratterizzato dal rilevante impatto del rinnovo delle
convenzioni per i medici generici. Al loro interno, inoltre, la spesa farmaceutica è tornata a crescere (+4,1% dopo un -1,2%), seppure in maniera non molto forte essendo stata interessata da ripetuti interventi
dell’AIFA. I consumi intermedi - oggetto di consistenti misure di correzione disposte sia con la finanziaria che con il decreto del luglio 2006
- hanno mostrato una riduzione (pari allo 0,8%), sintetizzando in particolare un incremento modesto di quelli della Amministrazioni Locali e
una forte contrazione a livello centrale, connessa anche alla diminuzione verificatasi nella spesa per servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati.
Per quanto riguarda le uscite in conto capitale, interessate da numerosi interventi correttivi, il modesto incremento riscontrato (+2,3%
al netto degli oneri straordinari, +54,2% al lordo) è derivato sostanzial-
- 100 -
Economia italiana: evoluzione recente
mente da un leggero calo dei contributi agli investimenti (-0,2%) e da
una crescita moderata degli investimenti (+1,8%), su cui hanno inciso
vendite immobiliari di natura ordinaria.
Il complesso delle entrate ha registrato una crescita molto sostenuta (+7,7%), che ha sintetizzato una riduzione di quelle in conto capitale
(-23,5%) e una forte espansione di quelle correnti (+8%). In termini di
PIL, le entrate totali sono passate dal 44,4% al 46,1%.
Graf. 41 - GRADO DI COPERTURA DELLE SPESE E PRESSIONE FISCALE
(valori percentuali)
96
43
95
42,5
94
42
93
41,5
92
41
91
40,5
90
40
2004
2005
2006
Grado di co pertura (scala a sinistra)
2007*
2008*
P ressio ne fiscale (scala a destra)
Fonte: ISTAT.
*Previsioni ISAE, 2008 tendenziale.
Nell’ambito delle entrate correnti, le imposte dirette hanno
evidenziato un incremento molto consistente (+12,4%). Oltre al
favorevole andamento dell’attività economica, molti fattori hanno
contribuito a tale espansione. L’IRE, alimentata dall’aumento nelle
retribuzioni anche a causa dei rinnovi contrattuali pubblici, è cresciuta
- in termini di cassa del bilancio dello Stato - del 6,4%. L’IRES ha
mostrato un incremento notevolissimo (+16,3%) in conseguenza sia
del buon andamento dei profitti sia dell’ingente manovra correttiva
operata. Le varie imposte sostitutive hanno beneficiato di più elementi:
la favorevole evoluzione dei corsi azionari nel 2005 e il
ridimensionarsi dei crediti di imposta che avevano quasi annullato per
talune voci il gettito nel recente passato, la concentrazione di rimborsi
di buoni postali nel 2005 con conseguenti versamenti nell’anno
successivo, il rialzo dei tassi di interesse. Inoltre, le valutazioni
originarie di alcune entrate una tantum sono state largamente superate,
- 101 -
Entrate e
pressione
fiscale nel 2006
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
come nel caso dell’imposta sulla rivalutazione dei beni aziendali, e si è
verificato anche l’impatto del versamento dell’imposta sulle riserve
matematiche delle assicurazioni che non era stato eseguito nel 2005 in
quanto anticipato all’anno precedente.
Le imposte indirette sono aumentate notevolmente (+7,8%) grazie
alla buona evoluzione di molte componenti: imposte di bollo, ipotecaria, sui tabacchi, sulle apparecchiature di gioco e, soprattutto, IRAP e
IVA. Quest’ultima ha mostrato un rialzo del 10,3%, connesso in particolare all’aumento del prezzo del petrolio, per quanto riguarda il prelievo sulle importazioni provenienti dai paesi extra-UE, e ad una
evoluzione del gettito di origine interna superiore rispetto a quello
ascrivibile all’andamento della base imponibile.
I contributi sociali hanno sperimentato una accelerazione (+4,7%)
nonostante i provvedimenti di sgravio predisposti nella manovra correttiva impostata a fine 2005. La loro evoluzione ha riflesso, tuttavia,
l’impatto dei rinnovi dei contratti di alcuni comparti pubblici e privati.
Le entrate in conto capitale proseguono nella loro riduzione, dopo che
nel 2005 gli incassi derivanti dal condono edilizio erano stati ancora
abbastanza elevati.
Dati questi andamenti, la pressione fiscale - calcolata come incidenza sul prodotto di imposte dirette, indirette, in conto capitale e contributi sociali, effettivi e figurativi - è cresciuta di 1,7 punti percentuali
di PIL collocandosi al 42,3%, il livello più elevato degli ultimi sette
anni.
- 102 -
Economia italiana: evoluzione recente
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Descrizione dei provvedimenti
1) IMPOSTE DIRETTE
Entrate
(aumento +)
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
+12.197
--
-12.197
Previste disposizioni volte a favorire il servizio nazionale della riscossione (legge n. 248/2005)..
+300
--
-300
E' elevato da 10 a 20 anni il periodo di ammortamento dell'avviamento (legge n. 248/2005).
+1.680
--
-1.680
E' prevista l’introduzione di una imposta sostitutiva sul reddito, in
caso di cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti
da non più di cinque anni (legge Finanziaria 2006, già citata).
+500
--
-500
Prevista la rivalutazione di beni di impresa e di aree edificabili da
esse possedute (legge n. 342/00 e legge Finanziaria 2006).
+4.126
--
-4.126
Prevista la deducibilità IRES delle quote di ammortamento dei beni
materiali strumentali per l’esercizio delle attività di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica e
gestione della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica
(legge Finanziaria 2006, già citata).
+790
--
-790
Disposta la riduzione al 60% della misura di deducibilità (a fini IRES)
della riserva sinistri relativa ai contratti di assicurazione dei rami
danni, per la parte riferibile alla componente di lungo periodo (legge
n. 248/2005).
+214
--
-214
E' stata modificata (dallo 0,60% al 0,40%) la deducibilità delle svalutazioni dei crediti per le banche (enti creditizi e finanziari), ai fini della
determinazione della base imponibile IRES (legge n. 248/2005).
+1.339
--
-1.339
Prevista la deducibilità degli ammortamenti dei beni strumentali per
l'esercizio di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica e gestione della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica (legge n. 248/2005).
+68
--
-68
Apportate limitazioni alla deducibilità fiscale delle perdite realizzate
dalla Banca d’Italia in occasione di operazioni di concambio (legge n.
248/2005).
+300
Norme varie su indeducibilità minusvalenze da partecipazioni, su leasing, su ammortamenti (legge Finanziaria 2006, già citata; legge n.
248/2005).
+246
--
-246
Disposte misure per rafforzamento e di funzionamento dell'Agenzia
delle entrate, della Agenzia delle dogane e della Guardia di finanza
in funzioni di lotta all'evasione (legge n. 248/2005)
+335
--
-335
Disposta l'indeducibilità delle minusvalenze su dividendi non tassati
(dividendi washing) e previsti accertamenti su operazioni 2004 e
2005 (legge n. 248/2005).
+535
--
-535
E' stata limitata la deducibilità dal canone delle spese di manutenzione ordinaria in caso di locazione di immobili non strumentali di
proprietà delle imprese (legge n. 248/2005).
+98
--
-98
Disposta una detrazione dall’imposta lorda nella misura del 19 per
cento per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido per un importo complessivamente non superiore a 632 euro annui per ogni figlio ospitato
negli stessi (legge Finanziaria 2006, già citata).
-30
--
+30
Disposta l'esclusione della detraibilità IVA per ciclomotori e auto non
adibiti ad uso (legge Finanziaria 2006, già citata).
-217
--
+217
Limitatamente al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre
2005, è ampliata la gamma delle spese non documentate
dell'impresa per cui è consentita la deduzione forfetaria e altre
misure minori (legge Finanziaria 2006, già citata; legge 248/2005).
-180
--
+180
(1) Valutazioni ufficiali.
- 103 -
-300
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Disposta la proroga al 2006 delle agevolazioni tributarie in materia di
recupero edilizio (detrazione pari al 41% e aliquota IVA pari al 10%) e
previste detrazioni per ristrutturazioni ad imprese di costruzione
(legge Finanziaria 2006, già citata).
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
-39
--
+39
Disposte misure per modificare le condizioni di ammortamento di
autovetture aziendali, per i beni immateriali e per i terreni (D.L. 4/7/
2006, n. 223).
+418
--
-418
Previsto il rafforzamento delle attività di accertamento su dichiarazioni “non congrue” relative agli studi di (D.L. 4/7/2006, n. 223).
+305
--
-305
Approvata l’abrogazione dell’aliquota IRPEF agevolata per la tassazione degli importi del trattamento di fine rapporti nei casi di incentivo
all’esodo per i lavoratori; altre disposizioni per redditi diversi; altri
provvedimenti minori (D.L. 4/7/2006, n. 223).
+228
--
-228
Previste misure più stringenti per l’individuazione delle società non
operative con riflessi sulle percentuali di ricalcolo del reddito presunto a fini IRES (D.L. 4/7/2006, n. 223).
+86
--
-86
E’ prevista l’inclusione delle stock options tra i redditi che concorrono
alla formazione del reddito da lavoro dipendente, lasciando invariate
le normative dell’azionariato diffuso (D.L. 4/7/2006, n. 223).
+55
--
-55
2) IMPOSTE INDIRETTE
+2.755
--
-2.755
Prevista la revisione del regime fiscale per la cessione di immobili
effettuate da alcune categorie di soggetti. Altre disposizioni per gli
immobili (D.L. 4/7/2006, n. 223).
+1.573
--
-1.573
Approvata la modifica delle aliquote IVA di alcuni prodotti (innalzamento dal 10% al 20%); disposizioni varie su IVA e IRAP (D.L. 4/7/
2006, n. 223).
+639
--
-639
Stabilite misure per contrastare il gioco illegale (D.L. 4/7/2006, n.
223).
+367
--
-367
Modifica della disciplina di esenzione dall’ICI (D.L. 4/7/2006, n. 223).
+100
--
-100
Prorogata al 2006 la riduzione del 40% dell'aliquota d'accisa per il
gas metano per usi industriali oltre un certo consumo (legge Finanziaria 2006, già citata).
-89
--
+89
Disposta la proroga per il 2006 per le zone montane del prezzo al
litro del gasolio e gpl per riscaldamento (legge Finanziaria 2006, già
citata).
-52
--
+52
Confermate per il 2006 le particolari aliquote d'accisa gas metano per
combustione ad uso individuale e altri usi civili nei comuni di Aosta,
Belluno, Bolzano e Trento e esenzioni per riscaldamento gasolio e
gpl per riscaldamento impiegate nelle frazioni parzialmente non
metanizzate (zona climatica E), oltre ad esenzioni per uso del gasolio
nelle province di Trieste e Udine. Altre norma minori (legge Finanziaria 2006, già citata; legge n. 248/2005).
-184
--
+184
Prevista l'esenzione d'accise per il gasolio da riscaldamento serra
(Legge 350/2003; Legge Finanziaria 2006, già citata).
-23
--
+23
Disposte modifiche alla disciplina dell'imposta regionale sulle attività
produttive per il settore agricolo (legge Finanziaria 2006, già citata).
-389
--
+389
Disposta la proroga delle agevolazioni fiscali per la pesca e la proprietà contadina (legge Finanziaria 2006, già citata).
-117
--
+117
(1) Valutazioni ufficiali.
- 104 -
Economia italiana: evoluzione recente
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Sono previste misure fiscali, amministrative e finanziarie per i distretti
industriali con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei
settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e
nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale (Legge finanziaria 2006, già citata).
-50
--
+50
E' prevista la soppressione delle tariffe delle Concessioni Governative per i brevetti definiti dal DPR 641/72 e l'esenzione dall'imposta di
bollo per istanze, atti e provvedimenti relativi al riconoscimento in Italia di brevetti per invenzioni industriali, di brevetti per modelli di utilità
e di brevetti per modelli e disegni ornamentali (legge Finanziaria
2006, già citata).
-40
--
+40
Prevista la deducibilità IRAP delle quote di ammortamento dei beni
materiali strumentali per l’esercizio delle attività di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica e
gestione della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica
(Legge finanziaria 2006, già citata).
+102
--
-102
Previste misure a sostegno del gioco legale con apparecchi di intrattenimento e misure volte a contrastare il gioco illegale (Legge finanziaria 2006, già citata).
+440
--
-440
Previste modifiche nel criterio di calcolo trimestrale per la determinazione della classe di prezzo della sigaretta più venduta con previsioni
di maggiori entrate fiscali indotte (Legge finanziaria 2006, già citata).
+90
--
-90
E' disposto un rialzo, a decorrere dal 1º gennaio 2006, dell’aliquota
dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti (legge Finanziaria 2006,
già citata).
+90
--
-90
Previste misure per contrastare il gioco illegale e valorizzare quello
legale (legge n. 248/2005).
+80
--
-80
Sono disposte misure per la regolamentazione della raccolta a
distanza delle scommesse, del bingo e delle lotterie attraverso Internet, televisione digitale, terrestre e satellitare, nonché attraverso la
telefonia fissa e mobile; altre misure sui giochi (legge n. 248/2005).
+218
--
-218
3) CONTRIBUTI SOCIALI EFFETTIVI
-2.241
--
+2.241
Previsto a decorrere dal 1 gennaio 2006 un esonero dal versamento
dei contributi sociali alla gestione delle prestazioni temporanee
presso l'INSP nel limite massimo complessivo di un punto percentuale (legge Finanziaria 2006, già citata).
-1.996
--
+1.996
E' riconosciuto per i lavoratori dipendenti con qualifica di autisti di
livello 3º e 3º super, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti all’INPS, per la quota a carico dei datori di
lavoro, nel limite di ore mensili individuali di orario ordinario, comunque non superiori a 20 (legge Finanziaria 2006, già citata).
-120
--
+120
E' previsto che le somme versate nel periodo d’imposta 2005 a titolo
di contributo al Servizio sanitario nazionale sui premi di assicurazione per la responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli a motore adibiti a trasporto merci, di massa
complessiva a pieno carico non inferiore a 11,5 tonnellate, possano
essere utilizzate in compensazione dei versamenti effettuati dal 1º
gennaio al 31 dicembre 2006 nel limite di spesa di 75 milioni di euro
(legge Finanziaria 2006, già citata).
-75
--
+75
Previste riduzioni dei premi INAIL del Fondo pensioni lavoratori
dipendenti, alla gestione esercenti attività commerciali e alla gestione
artigiani (legge Finanziaria 2006, già citata).
4) ALTRE ENTRATE
Previsto un canone aggiuntivo unico ai titolari di concessioni idroelettriche e altre disposizioni in materia di elettricità (legge Finanziaria
2003, già citata).
(1) Valutazioni ufficiali.
- 105 -
-50
--
+50
+149
--
-149
+95
--
-95
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Prevista (dal 2007) la soppressione degli stanziamenti previsti per il
finanziamento della Consob, dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Per il 2006 si prevede un
sistema di finanziamento transitorio (legge Finanziaria 2006, già
citata).
+44
--
-44
Sono aggiornati gli importi fissi delle sanzioni pecuniarie, anche
penali, da attuare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro il 28 febbraio 2006 (legge Finanziaria 2006, già
citata).
+100
--
-100
-90
--
Altre minori entrate (legge Finanziaria 2006, già citata).
+90
5) REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE
--
-294
-294
Previsto che le pubbliche amministrazioni a decorrere dall’anno 2006
possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa,
nel limite del 60 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità
nell’anno 2003 (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-237
-237
E' disposto che a decorrere dall’anno 2006 l’ammontare complessivo
dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle
amministrazioni dello Stato e delle Università, determinato ai sensi
delle rispettive normative contrattuali, non possa eccedere quello
previsto per l’anno 2004 (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-108
-108
E' previsto che le regioni e gli enti locali concorrano alla realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a
garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a
carico delle amministrazioni e dell’IRAP, non superino per ciascuno
degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno
2004 diminuito dell’1 per cento. A tal fine si considerano anche le
spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre
forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-465
-465
Altre misure minori di riduzione della spesa (legge Finanziaria 2006,
già citata).
--
-76
-76
Disposto l'adeguamento delle risorse per la contrattazione collettiva
nazionale previste per il biennio 2004-2005 (legge Finanziaria 2006,
già citata).
--
+280
+280
E' disposto a carico del bilancio dello Stato l'onere derivante dall'adeguamento delle risorse contrattuali per il personale delle amministrazioni diverse da quella statale (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+113
+113
Previsto l'incremento del concorso dello Stato al finanziamento della
spesa sanitaria per contratti a decorrere dal 2006 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311; Legge Finanziaria 2006, già citata)
--
+109
+109
Altre misure minori di aumento della spesa (legge Finanziaria 2006,
già citata).
--
+90
+90
6) CONSUMI INTERMEDI E PRESTAZIONI SOCIALI IN NATURA
--
-5.758
-5.758
Disposti risparmi di spesa per consumi intermedi, sia per le Amministrazioni Centrali e per quelle Locali (Patto di Stabilità Interno) (legge
Finanziaria 2006, già citata).
--
-5.343
-5.343
Previsti stanziamenti al fine di consentire alle istituzioni scolastiche
l'affidamento dei servizi di pulizia e dei servizi amministrativi (legge
Finanziaria 2006, già citata).
--
+50
+50
(1) Valutazioni ufficiali.
- 106 -
Economia italiana: evoluzione recente
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Attesi risparmi di spesa conseguenti all’accantonamento di quote
delle risorse di bilancio al fine di renderle indisponibili (consumi intermedi a carattere discrezionale, e analoghe spese nel comparto della
sicurezza e del soccorso) (D.L. 4/7/2006, n. 223).
--
-665
-665
Disposte riduzioni per l’anno 2006 per le autorizzazioni di spesa per
la Protezione civile, modifiche del pagamento delle spese della giustizia e contrazioni delle spese di funzionamento degli enti e organismi pubblici non territoriali (10% per il 2006) (D.L. 4/7/2006, n. 223).
--
-180
-180
Integrate alcune autorizzazioni di spesa per il Fondo nazionale dei
servizio civile, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e il Fondo
Unico per lo Spettacolo (D.L. 4/7/2006, n. 223).
--
+380
+380
7) PRESTAZIONI SOCIALI IN DENARO
--
+696
+696
E' previsto per ogni figlio nato ovvero adottato nell’anno 2005 un
assegno pari ad euro 1.000 (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+467
+467
E' previsto per ogni figlio nato nell’anno 2006, secondo o ulteriore per
ordine di nascita, ovvero adottato un assegno pari a 1.000 euro
(legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+229
+229
8) TRASFERIMENTI CORRENTI AD IMPRESE
--
-956
-956
E' prevista una razionalizzazione delle risorse stanziate in bilancio
per trasferimenti correnti alle imprese pubbliche e alle camere di
commercio (legge Finanziaria 2006, già citata).
--960
-960
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Poste Italiane Spa determinano con apposita convenzione i parametri di mercato e le modalità di calcolo del tasso da corrispondere a decorrere dal 1º gennaio
2005 sulle giacenze dei conti correnti in essere presso la tesoreria
dello Stato sui quali affluisce la raccolta effettuata tramite conto corrente postale, in modo da consentire una riduzione di almeno 150
milioni di euro rispetto agli interessi a tale titolo dovuti a Poste Italiane Spa dall’anno 2005 (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-150
-150
E' istituito un Fondo di garanzia per agevolare l'accesso al credito
delle imprese che conferiscono il trattamento di fine rapporto (TFR) a
forme pensionistiche complementari. Il predetto Fondo e' alimentato
da un contributo dello Stato (Legge n. 248/2005).
--
+154
+154
9) SPESE IN CONTO CAPITALE
--
-840
-840
Previsti riduzioni apporto di capitale a FS (Legge n. 248/2005).
--
-124
-124
E' disposto, a decorrere dal 2006, un contenimento degli incrementi
di spesa per investimenti fissi lordi discrezionali, con esclusione di
quelle concernenti il comparto delle sicurezza pubblica (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-360
-360
E' disposto un contenimento degli incrementi di spesa in conto capitale per l'Anas Spa per l’anno 2006 (Legge finanziaria 2006,già
citata).
--
-300
-300
E' disposto che per l'anno 2006 le erogazioni del Fondo speciale
rotativo per l’innovazione tecnologica non possano superare
l’importo complessivo di 1.900 milioni di euro (legge Finanziaria
2006, già citata).
--
-1.200
-1.200
Previsto per l’anno 2006, con riferimento a ciascun Ministero, che i
pagamenti per spese relative a investimenti fissi lordi non possano
superare il 95 per cento del corrispondente importo pagato nell’anno
2004 (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-336
-336
(1) Valutazioni ufficiali.
- 107 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Sono previsti per i soggetti titolari di contabilità speciali aperte presso
le sezioni di tesoreria statale limiti nei pagamenti per un importo complessivo superiore all’80 per cento di quello rilevato nell’esercizio
2005 (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-400
-400
Sono previsti limiti agli importi destinati al Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289
(legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-153
-153
Disposizioni su Fondo di garanzia e previdenza complementare
(legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-154
-154
Sono previsti stanziamenti per la realizzazione del programma straordinario a carattere nazionale a sostegno della ricerca oncologica
autorizzata da assegnare ai soggetti individuati ai sensi del decreto
del Ministro della Salute, previa stipula di apposite convenzioni con il
Ministero della salute (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+50
+50
Disposti per il 2006 stanziamenti per le esigenze infrastrutturali e di
investimento delle Forze dell’ordine. Sono inoltre previsti indicennali
per consentire la prosecuzione del programma di sviluppo e di acquisizione delle unità navali della classe FREMM (fregata europea multimissione) e delle relative dotazioni operative, nonché per l’avvio di
programmi dichiarati di massima urgenza (legge Finanziaria 2006,
già citata).
--
+50
+50
Previsti stanziamenti per il Dipartimento della protezione civile per il
finanziamento degli interventi e delle opere di ricostruzione nei territori colpiti da calamità naturali (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+26
+26
Previsto per le Regioni a Statuto Ordinario e per gli Enti Locali il concorso al rispetto del Patto di stabilità interno, prevedendo limiti di
spesa in conto capitale (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+180
+180
Disposti contributi pluriennali alle imprese nazionali nel settore della
difesa al fine di consentire la prosecuzione dei principali programmi
internazionali ed interforze, anche a valenza internazionale, e specialmente europea (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+55
+55
Altri interventi di risparmi di spesa in conto capitale (legge Finanziaria
2006, già citata).
--
-1.010
-1.010
Disposta l’attribuzione di un contributo in conto impianti a favore di
Ferrovie dello Stato SpA o a società del gruppo per la prosecuzione
degli interventi relativi al sistema “Alta velocità/alta capacità” (D.L. 4/
7/2006, n. 223).
--
+1.800
+1.800
E’ innalzato il limite posto a carico dell’Anas per l’effettuazione di
pagamenti relativi a spese di investimento (D.L. 4/7/2006, n. 223).
--
+1.000
+1.000
Disposta l’esclusione dalle regole dal patto di stabilità interno delle
spese in conto capitale effettuate dal Comune di Roma, relative agli
interventi per il trasporto su ferro; altre disposizioni (D.L. 4/7/2006, n.
223).
--
+36
+36
10) ALTRE SPESE CORRENTI E IN CONTO CAPITALE
--
-3.713
-3.713
Interventi di risparmio di spesa contenuti nelle tabelle allegate alla
legge Finanziaria (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-2.536
-2.536
Prevista la riduzione per il 2006 delle risorse finanziarie per il Servizio
sanitario nazionale (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
-2.500
-2.500
E' istituito nello stato di previsione del Ministero della difesa un
Fondo da ripartire per le esigenze di funzionamento dell’Arma dei
carabinieri (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+50
+50
(1) Valutazioni ufficiali.
- 108 -
Economia italiana: evoluzione recente
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
E' prevista l'istituzione di un Fondo nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze in cui confluirà un sesto delle
risorse giacenti sulle contabilità speciali e sui conti correnti di Tesoreria Centrale non movimentati da oltre un anno. Al Fondo potranno
ricorrere le Amministrazioni interessate (legge Finanziaria 2006, già
citata).
--
+50
+50
E' disposta l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero
dell'Economia e delle Finanze, di un Fondo al fine di provvedere
all'estinzione dei debiti pregressi contratti dalle Amministrazioni centrali dello Stato nei confronti delle società, enti, persone fisiche, istituzioni e organismi vari (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+170
+170
Previsto stanziamento per l'attuazione del piano programmatico concernente la riforma degli ordinamenti scolastici (legge Finanziaria
2006, già citata).
--
+44
+44
E' istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti un fondo denominato «Fondo per misure
di accompagnamento della riforma dell’autotrasporto di merci e per lo
sviluppo della logistica» al fine di favorire il processo di riforma del
settore dell’autotrasporto di merci (legge Finanziaria 2006, già
citata).
--
+80
+80
Prevista l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero
dell'interno, di due Fondi da ripartire nella parte corrente (per l'acquisizione di beni e servizi da parte della P.A) e in conto capitale (per
fare fronte alle esigenze infrastrutturali e di investimento delle Forze
dell'ordine). (legge Finanziaria 2006, già citata).
--
+180
+180
Totalizzazione dei periodi assicurativi ed integrazione tabella C della
legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge n. 248/2005).
--
+160
+160
Eccedenze di spesa di natura corrente (legge Finanziaria 2006, già
citata).
--
+589
+589
-11.561
-24.421
TOTALE
+12.860
(1) Valutazioni ufficiali.
- 109 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
Sulle prospettive dell’economia italiana per l’anno in corso incidono gli effetti del trascinamento proveniente dal 2006, la dinamica del
ciclo globale e l’evoluzione dei fattori che influiscono sulle componenti interne della domanda (redditi, profitti, aspettative, propensioni alla
spesa). Gli impulsi dovrebbero risultare, su tutti e tre fronti, sostanzialmente postivi, sebbene la pausa congiunturale sperimentata nei primi
mesi del 2007 potrebbe condizionare parzialmente il risultato medio
conseguibile quest’anno.
Il primo elemento “certo” per gli sviluppi dell’anno corrente è costituito dall’eredità molto favorevole, in termini di dinamica dell’attività economica, che il 2006 consegna al 2007: la forte accelerazione
della fine dello scorso anno comporta una crescita acquisita per il 2007
dell’1,2%; se, quindi, il PIL rimanesse quest’anno stagnante ai livelli
dell’ultimo trimestre del 2006, si avrebbe comunque un incremento,
nella media del 2007, prossimo a quello che era previsto dalla generalità degli analisti lo scorso autunno (le stime di settembre-ottobre per il
2007 si attestavano all’1,2-1,4%, corrette per le giornate di lavoro).
All’intensificazione dello sviluppo a fine 2006 sembra avere fatto
seguito un periodo di contenimento della dinamica produttiva. La moderazione nei ritmi di crescita è stata in effetti anticipata dapprima
dall’arresto, in autunno, della fase di rialzi dell’indice di fiducia delle
imprese e poi, nei primi tre mesi dell’anno, da un suo leggero ripiegamento. Hanno, in particolare, mostrato segni di indebolimento le aspettative circa gli andamenti a breve della produzione e il giudizio sul
portafoglio ordini che ha subito un qualche deterioramento all’inizio
dell’anno.
La pausa produttiva è stata poi confermata, in gennaio, dalla consistente flessione dell’indice della produzione industriale che ha praticamente compensato il picco (rivisto peraltro, nei dati definitivi, al
ribasso) del mese precedente. Su tali sbalzi hanno probabilmente inciso
anche fattori erratici, amplificati dal minore numero di giorni di lavoro
- 111 -
Senza crescita
nel 2007… si
realizzerebbe la
crescita stimata
nelle previsioni
di autunno
Segnali di
rallentamento a
inizio 2007
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Le prospettive
rimangono
favorevoli
che caratterizza normalmente l’ultimo mese dell’anno: considerando la
media del bimestre dicembre-gennaio, l’attività produttiva si è riportata sul trend positivo, ma più moderato, che ha caratterizzato la seconda
metà del 2006.
Nelle stime dell’ISAE, la produzione manifatturiera dovrebbe tornare a incrementarsi in febbraio, mantenendosi, però, su un profilo alquanto irregolare (nuova parziale diminuzione in marzo e leggero
rialzo in aprile). La caduta di inizio anno comporta, comunque, che nel
primo trimestre l’indice della produzione industriale possa risultare
fermo o situarsi marginalmente sotto al livello medio dei precedenti tre
mesi.
I segnali di moderazione sul fronte manifatturiero, compensati in
parte da indicazioni di maggiore tenuta nei servizi, portano a stimare
una dinamica del PIL all’inizio del 2007 in frenata rispetto ai ritmi elevati della fine dell’anno precedente, con un’evoluzione comunque in
territorio ancora marginalmente positivo.
Quella che appare una freGraf. 1 - INDICATORE ANTICIPATORE ISAE
(1995=100)
nata nei primi mesi non indica,
2,0
135
però, un esaurimento della ripresa italiana, ma sembra piut1,5
130
tosto da interpretare come uno
1,0
125
“scalare di marcia” dopo l’accelerazione dei mesi preceden0,5
120
ti. Ciò sia perché la
congiuntura
internazionale,
0,0
115
sebbene meno dinamica, si
-0,5
110
mantiene nella nostra previsio2004
2005
2006
2007
ne su un sentiero complessivavariazioni percentuali sul mese precedente
mente positivo (specie in
indicatore anticipatore (scala destra)
Europa), sia perché gli stessi
Fonte: elaborazioni ISAE.
indicatori delle inchieste presso le imprese industriali, seppure non più in significativo aumento
come nei due anni precedenti, si attestano su livelli storicamente elevati, segnalando un consolidamento dei buoni livelli produttivi conseguiti. Accanto a ciò si aggiunge un clima di opinione dei consumatori
che, pur tra alti e bassi, continua da diversi mesi a orientarsi in senso
positivo, proseguendo il lento processo di recupero avviato nel 2004
dopo le marcate flessioni dei primi anni duemila.
- 112 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
Il permanere per la nostra economia di una prospettiva di crescita,
pur se più moderata rispetto al 2006, è confermato dall’indicatore anticipatore elaborato dall’ISAE che, dopo una lieve riduzione in settembre-ottobre (presumibilmente anticipatrice della decelerazione di inizio
2007), ha preso nuovamente, tra la fine dello scorso anno e l’inizio di
quello corrente, a puntare verso l’alto. La persistente positività del ciclo si sovrappone, inoltre, a una situazione strutturale del Paese rivelatasi migliore rispetto a quanto molti osservatori temevano fino a pochi
mesi or sono per quanto riguarda sia le potenzialità di sviluppo del sistema economico, sia gli squilibri di fondo della finanza pubblica; un
mutamento nel “tono di fondo” dello scenario nazionale che non può
non incidere sulle valutazioni dei previsori.
Nel complesso, quindi, si
Graf. 2 - PRODOTTO INTERNO LORDO
(milioni di euro, valori concatenati, anno di
stima che la dinamica dell’attiriferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti
per diverso numero di giornare lavorative)
vità produttiva possa riprendere ad incrementarsi, dopo una 333.500
prima metà del 2007 relativa- 329.000
1,7
mente contenuta, a ritmi tri- 324.500
1,8
mestrali più vivaci, pur se
320.000
inferiori a quelli che hanno
1,9
contrassegnato mediamente il 315.500
0,2
1,0
2006, dando luogo a un secon- 311.000
0,1
0,3
do semestre in lieve rafforza- 306.500
mento sui precedenti sei mesi.
302.000
2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008*
Tale andamento risentirebbe
ancora del sostegno della doFonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
manda interna e della conferma del sentiero più solido, ritrovato nell’ultimo anno, dalle
esportazioni. Nella media del 2007 la crescita del PIL potrebbe così attestarsi all’1,8%, nei dati al netto dell’effetto delle giornate lavorative,
con una riduzione del divario di sviluppo rispetto all’area euro (attesa
espandersi del 2,3%) da nove a cinque decimi di punto. Non correggendo per il calendario (il 2007 si caratterizza per tre giorni di lavoro
in più rispetto al 2006), l’incremento del PIL italiano quest’anno sarebbe dell’1,9%, in linea con quello avuto nel 2006.
L’evoluzione dell’attività economica stimata per l’anno in corso
consegnerebbe al 2008 un trascinamento nell’ordine di cinque-sei decimi di punto, pari a quindi alla metà di quello su cui può “contare” il
- 113 -
Previsione
2007-2008
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
2007. Sulla base di un simile acquisito congiunturale, in un contesto
internazionale ancora complessivamente favorevole e con un quadro
interno di tipo tendenziale con riferimento agli andamenti della finanza
pubblica, la crescita del PIL potrebbe attestarsi all’1,7% (tanto al netto
che al lordo dell’effetto calendario, avendo il prossimo anno lo stesso
numero di giorni lavorativi del 2007); la distanza nei confronti della dinamica produttiva dei partner dell’area euro si manterrebbe nell’ordine
dei cinque decimi di punto. La lieve decelerazione del 2007 rispetto al
2006 rifletterebbe, fondamentalmente, la diversa incidenza dei trascinamenti congiunturali che caratterizzano i due anni.
Nell’insieme, il triennio 2006-08 segnerebbe un tasso medio di
sviluppo dell’economia italiana dell’1,8%, in sensibile accelerazione
rispetto a quello che ha contraddistinto il quadriennio precedente
(+0,4% tra il 2001 e il 2005); la maggiore crescita per un periodo di più
anni consentirebbe il graduale rafforzamento del potenziale produttivo
dell’economia.
Tab. 1
RISORSE E IMPIEGHI
(variazioni percentuali)
2006
Prodotto interno lordo
2007*
2008
q
p
v
q
p
v
q
p
v
4,1
1,9
1,8
3,7
1,8
2,3
4,0
1,7
2,4
Importazioni di beni e servizi
4,5
9,1 13,9
4,0
1,2
5,2
4,4
2,9
7,4
Esportazioni di beni e servizi
5,5
5,3 11,0
4,5
2,2
6,8
4,4
3,1
7,6
Spesa per consumi delle famiglie residenti
1,5
2,7
4,2
1,6
2,1
3,8
1,4
2,3
3,8
Spesa per consumi della AA.PP. e delle ISP
-0,3
3,4
3,1
0,1
1,8
1,9
0,6
3,0
3,6
Investimenti fissi lordi
2,4
2,4
4,9
3,0
2,0
5,1
2,8
2,0
4,9
- costruzioni
2,2
3,1
5,3
2,5
2,6
5,1
1,3
2,3
3,6
- macchinari, attrezzature, mezzi di
trasporto e beni immateriali
2,7
1,8
4,5
3,4
1,5
5,0
4,2
1,8
6,0
Variazioni delle scorte ed oggetti di valore (1) 0,4
0,0
0,1
Fonte: ISTAT.
* Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
(1) Contributo alla variazione del PIL.
Contributo delle
componenti di
spesa alla
crescita del PIL
L’evoluzione dell’economia nel 2007 si avvale soprattutto del
contributo positivo della domanda interna. La spesa finale nazionale
fornirebbe alla dinamica del PIL un apporto di 1,6 punti percentuali
(1,3 punti nel 2006), grazie all’ancora favorevole stimolo proveniente
dai consumi delle famiglie (per un punto percentuale) e dagli investimenti (per sei decimi di punto). Il contributo della domanda estera net-
- 114 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
ta si confermerebbe, nel 2007, ancora positivo (per un decimo di
punto), risultando in lieve riduzione rispetto all’anno precedente
(quando fu di due decimi di punto).
Nel 2008, la crescita italiana continuerebbe a basarsi sull’impulso
proveniente dalla domanda finale interna (che apporterebbe ancora 1,6
punti percentuali alla dinamica dell’economia), risentendo principalmente dello stimolo fornito da investimenti (intorno ai sei decimi) e
consumi privati (circa nove decimi). Il contributo delle esportazioni
nette risulterebbe, invece, sostanzialmente neutrale.
Tab. 2
CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL IN TERMINI REALI
(punti percentuali)
2006
2007*
2008*
Prodotto interno lordo (var. %)
1,9
1,8
1,7
Saldo estero merci e servizi
0,2
0,1
0,0
Domanda interna
1,7
1,6
1,7
Investimenti fissi lordi
0,5
0,6
0,6
- costruzioni
Spesa per consumi nazionali
- delle famiglie residenti
Variazioni delle scorte ed oggetti di valore
0,2
0,2
0,1
0,8
1,0
1,0
0,9
1,0
0,9
0,4
0,0
0,1
Fonte: ISTAT.
* Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
Consumi
La spesa privata per conGraf. 3 - SPESA DELLE FAMIGLIE
(milioni di euro, valori concatenati, anno di
sumi
dovrebbe
crescere
riferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti
per diverso numero di giornare lavorative)
quest’anno dell’1,6%, venendo stimolata dalla favorevole 195.500
evoluzione del potere d’acqui- 193.000
1,4
1,6
sto delle famiglie connessa al 190.500
buon andamento del mercato
1,5
188.000
del lavoro e al ripiegamento
0,6
dell’inflazione. In particolare, 185.500
0,7
1,0
la dinamica del reddito dispo- 183.000
nibile si avvantaggerebbe del- 180.500 0,1
la crescita dell’occupazione e, 178.000
2002 2003 2004 2005 2006* 2007* 2008*
anche se in misura meno inFonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
tensa rispetto all’anno precedente, dell’aumento delle
retribuzioni pro-capite; il miglioramento della ragione di scambio, determinato dalla diminuzione dei prezzi petroliferi e dall’apprezzamento
- 115 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Investimenti
dell’euro, contribuirebbe all’aumento delle possibilità di acquisto dei
consumatori. Il recupero del clima di opinione delle famiglie osservato
nell’ultimo biennio potrebbe, inoltre, consentire la prosecuzione
dell’andamento leggermente più favorevole nella propensione media
alla spesa per consumi che ha cominciato a evidenziarsi nel 2006.
La capacità di consumo
Graf. 4 - REDDITI E CONSUMI
DELLE FAMIGLIE
delle famiglie si incremente(variazioni percentuali in termini nominali)
rebbe anche nel 2008, persi6,0
stendo i fattori di spinta che
5,0
caratterizzano l’anno corrente. In particolare, la dinamica
4,0
occupazionale rimarrebbe fa3,0
vorevole, mentre quella retri2,0
butiva verrebbe alimentata dai
rinnovi dei contratti in scaden1,0
za. La spesa per consumi pri0,0
vati aumenterebbe dell’1,4%,
2005
2006
2007*
2008*
sostanzialmente in linea con
Reddito lordo disponibile
Spesa delle f amiglie
l’andamento del reddito dispoFonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
nibile.
Per quanto riguarda gli investimenti, dopo l’accelerazione alla
fine dello scorso anno la dinamica dovrebbe mantenersi su ritmi positivi, risentendo delle persistenti esigenze di ristrutturazione delle imprese volte al recupero di competitività, del clima congiunturale che
rimane globalmente favorevole e del recupero delle condizioni di profittabilità aziendale su cui incidono anche le misure prese in sede di
Legge finanziaria per il 2007 (in particolare, la riduzione dell’imponibile IRAP). Le segnalazioni provenienti dalle inchieste ISAE circa il
grado di utilizzo degli impianti, su livelli storicamente elevati a inizio
2007, e i minori ostacoli all’espansione della produzione dovuti a insufficienza di domanda, evidenziati nelle stesse indagini, potrebbero
indurre, oltre che il consolidamento delle spese per la razionalizzazione e per l’aumento dell’efficienza dei processi di produzione, anche
l’attivazione degli investimenti volti all’ampliamento della capacità
produttiva del Paese.
Nella previsione ISAE, la spesa per gli acquisti di macchine e attrezzature e beni immateriali aumenterebbe del 3,8% quest’anno e del
4,2% nel 2008, quella per mezzi di trasporto dell’1,4 e del 3,9% rispet-
- 116 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
tivamente nei due anni. Gli investimenti in costruzione in sensibile rafforzamento alla fine del 2006, beneficerebbero degli effetti di
trascinamento derivanti dalla dinamica dello scorso anno; essi aumenterebbero a ritmi moderati nel corso del 2007, pur con un incremento,
in media d’anno, del 2,5%; nel 2008, la crescita di questa componente
di spesa potrebbe attenuarsi, attestandosi all’1,3 per cento.
Nell’insieme, gli investimenti fissi lordi aumenterebbero del 3%
nel 2007 e del 2,8% l’anno prossimo.
Graf. 5 - INVESTIMENTI FISSI LORDI
(milioni di euro, valori concatenati, anno di riferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti
per diverso numero di giornare lavorative)
71.500
40.600
TOTALE
2,8
70.000
39.000
3,0
68.500
4,2
MACCHINE, ATTREZZATURE, MEZZI
DI TRASPORTO E BENI IMMATERIALI
39.800
38.200
67.000
65.500
37.400
4,0
1,3
-0,2
2,4
3,4
3,4
-1,4
36.600
2,7
-3,9
35.800
-1,5
-0,9
64.000
35.000
62.500
2002
2003
2004
2005
2006*
2007*
34.200
2002
2008*
2003
2004
2005
2006*
2007*
2008*
31.650
1,3
COSTRUZIONI
31.050
2,5
30.450
2,2
29.850
28.650
0,6
1,1
29.250
4,8
1,5
28.050
27.450
26.850
2002
2003
2004
2005
2006*
2007*
2008*
Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
Per quel che concerne la domanda estera, le esportazioni hanno
chiuso il 2006 con una forte accelerazione diffusa alla generalità dei
settori, dando luogo a un trascinamento molto positivo (pari a 2,7 punti
percentuali) per il 2007. Le indicazioni congiunturali disponibili se-
- 117 -
Esportazioni e
importazioni
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
gnalano, tuttavia, un minor dinamismo dell’export nei primi mesi
dell’anno, i cui riflessi si sono avvertiti sul rallentamento dell’attività
manifatturiera; gli elementi di erraticità ricordati nel caso della produzione industriale potrebbero, comunque, avere influito anche sull’andamento delle vendite all’estero. Nelle stime ISAE, superata la pausa
di inizio 2007, le esportazioni dovrebbero confermare la capacità di
migliore tenuta sui mercati internazionali evidenziata lo scorso anno;
l’apprezzamento dell’euro, previsto per l’anno in corso, potrebbe esercitare un qualche effetto di freno all’inizio del 2008.
Nell’insieme, le esportazioni
Graf. 6 - ESPORTAZIONI E MERCATI DI
SBOCCO DELL'ITALIA
di beni e servizi aumentereb(variazioni percentuali)
bero del 4,5% nel 2007. La di10
namica delle vendite all’estero
8
di sole merci si attesterebbe a
6
quasi il 4%; tenuto conto
dell’allargamento dei mercati
4
italiani (che si stima del 6,5%,
2
leggermente inferiore all’aumento della domanda mondia0
le), l’erosione della quota di
-2
mercato in volume, negli
-4
sbocchi in cui si dirigono le
2003 2004 2005 2006 2007* 2008*
merci dell’Italia, sarebbe di
Espo rtazio ni in vo lume
M ercato di espo rtazio ne
soli 2,5 punti percentuali, con
Fonte: ISTAT.
un netto miglioramento, quin* Elaborazioni e previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
di, rispetto al 2006 (quando la
flessione è stata di 5 punti) e, ancor più, rispetto al periodo di più grave
crisi competitiva degli anni precedenti (quando la caduta della quota
nei mercati italiani risultava di 7-8 punti percentuali all’anno). Nel
2008, le esportazioni di beni e servizi si incrementerebbero del 4,4%; a
un ritmo simile aumenterebbero le vendite di sole merci. La riduzione
della quota in volume, in rapporto all’ampliamento del mercato per i
prodotti italiani (stimato in crescita di circa il 7%), sarebbe di circa tre
punti, confermando la performance meno negativa dell’ultimo periodo,
ma risentendo anche, nella prima metà del 2008, di qualche effetto ritardato dell’apprezzamento della moneta unica dell’anno precedente.
Anche per le importazioni di beni e sevizi, la seconda metà dello
scorso anno è stata contraddistinta da una intensa accelerazione che ha
- 118 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
comportato un sostanziale effetto di trascinamento sul 2007 (pure in
questo caso di 2,7 punti percentuali). Rafforzamento della congiuntura
interna e ripresa delle esportazioni (componente della domanda a elevato fabbisogno di input importati) hanno favorito una simile dinamica. Tali fattori dovrebbero continuare a influire sull’andamento degli
acquisti italiani dall’estero nel periodo di previsione; nella stima ISAE,
le importazioni aumenterebbero del 4% quest’anno e del 4,4% nel
2008. Il mantenimento di una dinamica inferiore a quella delle esportazione assicurerebbe, nel 2007, un apporto ancora positivo della domanda estera netta alla variazione del PIL; l’anno prossimo, il contributo
tenderebbe, invece, ad annullarsi, in conseguenza del sostanziale allineamento dei tassi di crescita delle due correnti di scambio.
Graf. 7 - ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI DI BENI E SERVIZI
(milioni di euro, valori concatenati, anno di riferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti
per diverso numero di giornare lavorative)
ESPORTAZIONI
IMPORTAZIONI
95.000
96.000
92.000
4,4
4,4
92.500
89.000
89.000
4,0
4,5
86.000
85.500
4,5
5,5
83.000
82.000
80.000
2,7
-4,0
77.000
0,0
78.500
-2,2
2,0
-0,5
1,0
1,0
75.000
74.000
2002
2003
2004
2005
2006 2007* 2008*
2002
2003
2004
2005
2006 2007* 2008*
Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
In sintonia con l’accelerazione del ciclo economico, l’evoluzione
del mercato del lavoro si è sensibilmente rinvigorita nel 2006, confermando il sostanziale innalzamento del contenuto di occupazione della
crescita del PIL emerso nei primi anni duemila. Tanto nel 2007 che nel
2008, dovrebbe proseguire la dinamica favorevole; in termini di unità
di lavoro standard (ULA), l’occupazione complessiva aumenterebbe
dell’1% quest’anno e marginalmente meno (+0,9%) in quello successivo. Tenuto conto dell’andamento dell’attività produttiva, l’elasticità
(apparente) dell’occupazione al PIL si attesterebbe su un valore (0,53
circa) inferiore a quello del 2006, ma pur sempre storicamente elevato.
- 119 -
Mercato del
lavoro
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Tab. 3
UNITÀ DI LAVORO
(variazioni percentuali)
IN COMPLESSO
DIPENDENTI
2006
2007*
2008*
2006
2007*
2008*
Agricoltura
0,6
0,4
0,2
3,0
-0,6
0,6
Industria
1,1
0,9
0,4
1,5
0,9
0,6
-in senso stretto
1,3
0,3
0,5
1,4
0,4
0,6
-costruzioni
0,6
2,6
0,4
2,0
2,8
0,7
Servizi
1,9
1,1
1,2
2,2
1,2
1,1
-Privati(1)
1,9
1,4
1,4
2,4
1,6
1,5
-Pubblici(2)
1,9
0,5
0,8
2,0
0,8
0,8
1,6
1,0
0,9
2,0
1,1
1,0
TOTALE
Fonte: ISTAT.
* Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
(1) Comprendono commercio, alberghi, trasporti, intermediazione creditizia, servizi vari ad imprese e famiglie.
(2) Comprendono Amministrazioni Pubbliche, istruzione, sanità e altri servizi pubblici, servizi domestici presso
le famiglie.
Il tasso di disoccupazione proseguirebbe nel percorso
(unità di lavoro standard dati destagionalizzati)
25.500
di ridimensionamento in atto
da oltre un decennio, portan0,9
25.250
dosi al 6% nel 2008. Tale ridu1,0
zione si verificherebbe, come
25.000
1,6
di seguito illustrato, in presen24.750
za di qualche pressione salariale in un anno di rinnovi
24.500
-0,4 -0,2
contrattuali, senza che, però,
0,6
24.250
ciò si traduca in un surriscal1,3
damento del sistema produtti24.000
vo. In altri termini, l’economia
2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008*
italiana sembrerebbe in grado
Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
di continuare a mantenere una
condizione di sostanziale moderazione retributiva pur con un tasso di
disoccupazione che si dirige verso una soglia quasi da anni sessanta. Il
motivo è fondamentalmente da ricercare nel significativo abbattimento
del tasso di disoccupazione di equilibrio, conseguente all’aumento di
flessibilità che ha caratterizzato il mercato del lavoro italiano tanto dal
lato dell’offerta che della domanda (si veda per evidenze sull’argomento il capitolo Modifiche istituzionali e cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro italiano nella seconda parte di questo Rapporto). La
Graf. 8 - OCCUPAZIONE TOTALE
- 120 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
diminuzione della disoccupazione strutturale, fenomeno non osservato
e difficile da quantificare, è da tempo andata, probabilmente, ben al di
là di quanto dicono le misure statistiche basate su tecniche di filtro (che
la collocano ultimamente tra il 7 e l’8%). Questa considerazione ha,
evidentemente, implicazioni anche per la stima del prodotto potenziale,
altro fenomeno non osservato e di (molto) imperfetta misurazione. Una
disoccupazione di equilibrio che in effetti si fosse (da tempo) collocata
alcuni punti percentuali sotto il valore che è normalmente incorporato
nelle stime dell’output potenziale italiano (dando luogo, quindi, a una
stima dell’occupazione “teorica” di pieno impiego superiore a quella
ipotizzata) comporterebbe, di per sé, un livello del prodotto di equilibrio di lungo periodo del nostro Paese più elevato di quello indicato
nelle valutazioni correntemente utilizzate.
Tab. 4
RETRIBUZIONE E COSTO DEL LAVORO PRO CAPITE
(variazioni percentuali)
Retribuzione
2006
2007*
Costo del lavoro
2008*
2006
2007*
2008*
Agricoltura
1,4
2,0
1,6
1,0
1,4
1,5
Industria
3,1
2,9
2,8
2,6
2,6
2,7
3,2
3,0
3,0
2,7
2,7
2,9
-in senso stretto
-costruzioni
Servizi
2,9
2,9
2,0
2,3
2,6
2,0
2,7
1,8
2,7
2,5
1,7
2,7
-Privati(1)
2,6
2,4
2,8
2,3
2,0
2,8
-Pubblici(2)
2,8
1,1
2,5
2,8
1,3
2,6
2,8
2,1
2,7
2,5
2,0
2,7
TOTALE
Fonte: ISTAT.
* Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
(1) Comprendono commercio, alberghi, trasporti, intermediazione creditizia, servizi vari ad imprese e famiglie.
(2) Comprendono Amministrazioni Pubbliche, istruzione, sanità e altri servizi pubblici, servizi domestici presso
le famiglie.
Per quanto concerne le retribuzioni, le ipotesi di dinamica salariale per il biennio 2007-08 si basano sulle erogazioni contemplate negli
accordi in essere e sulle nuove tornate contrattuali che interesseranno
soprattutto il prossimo anno. Nel quadro ISAE, le retribuzioni pro-capite aumenterebbero nell’intera economia del 2,1% nel 2007 e del
2,7% nel 2008. Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), riflettendo anche il relativo rafforzamento della produttività (il cui incremento, misurato sul valore aggiunto per addetto, sarebbe pari a poco
meno l’1% nel 2007 e 2008, contro un rialzo marginale registrato lo
- 121 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Inflazione
scorso anno), rallenterebbe quest’anno, attestandosi su un aumento
dell’1,3%. Nel 2008, le dinamiche retributive un pò più sostenute porterebbero a un rialzo del costo unitario del lavoro dell’1,9%. Gli andamenti del CLUP nell’industria in senso stretto si collocherebbero al di
sotto di questi incrementi (+1,2% e +1,7%, rispettivamente nei due anni), risentendo di un più consistente rafforzamento della produttività
(+1,5% e +1,2% nel 2007 e 2008) che consentirebbe di compensare dinamiche salariali più elevate di quelle medie dell’economia.
A inizio d’anno le tendenze dei prezzi a livello di distribuzione finale non sono risultate univoche. Dopo un deciso rallentamento in gennaio, con un tasso sceso all’1,7% (valore più basso dall’agosto del
1999), a febbraio l’inflazione è infatti risultata in leggero aumento
(1,8%). La risalita dell’ultimo mese è riconducibile principalmente ad
una dinamica più vivace nel settore dei servizi privati, in presenza di
alcune tendenze che si sono viceversa consolidate per altre voci. In
particolare, si è accentuata la decelerazione dei prezzi delle voci energetiche, con nuove flessioni per la componente libera e ulteriori rallentamenti in quella regolamentata. Nel quadro previsivo dell’ISAE, la
discesa dei prezzi dei beni energetici, in linea con la prevista normalizzazione delle condizioni sui mercati petroliferi, rappresenta uno degli
elementi più importanti nel mantenere moderati gli sviluppi futuri
dell’inflazione. Al rientro delle spinte provenienti da questo raggruppamento, che potrebbe confermare tassi di variazione tendenziali negativi dal secondo trimestre di quest’anno, si accompagnerebbe infatti
una ripresa della dinamica dei prezzi per le principali componenti di
fondo come effetto di una più intensa traslazione dei passati maggiori
costi intermedi: con ritmi più moderati nei beni e più sostenuti per i
servizi. La crescita su base annua dei prezzi al consumo (misurati in
base all’indice nazionale per l’intera collettività) dovrebbe oscillare
nell’immediato intorno ai tassi attuali, decelerando appena all’inizio
dell’estate; successivamente, la dinamica tendenziale dovrebbe gradualmente accelerare, portandosi a fine anno su tassi superiori al 2%.
Grazie anche ad un acquisito congiunturale ereditato dal 2006 estremamente contenuto (0,5 punti percentuali), nella media del 2007 l’inflazione metterebbe comunque in evidenza una riduzione, risultando pari
all’1,8%, tre decimi in meno rispetto all’anno precedente. In termini di
indice armonizzato, la variazione dei prezzi sarebbe leggermente più
elevata, ma sempre in riduzione rispetto al 2006 (1,9% a fronte del
- 122 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
2,2%), con un divario inflazionistico rispetto all’area dell’euro che dovrebbe tornare, anche se marginalmente, a nostro sfavore (è stato nullo
nel 2005 e nel 2006).
Nel 2008, l’inflazione doGraf. 9 - PREZZI AL CONSUMO
vrebbe risultare un po’ più so(indice nazionale intera collettività, variazioni %)
3,0
stenuta rispetto a quella
dell’anno in corso. In base alle
2,7
2,8
ipotesi precedentemente espo2,6
ste circa lo scenario esogeno
2,2
2,4
di riferimento, accanto a spin2,1
te relativamente contenute sui
2,2
costi intermedi di origine
1,9
2,0
2,0
esterna acquisteranno intensità
1,8
1,8
maggiore le pressioni inflazionistiche endogene. In partico1,6
2003
2004
2005
2006 2007* 2008*
lare, la dinamica dei prezzi
sconterà una accelerazione del Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
costo del lavoro per unità di
prodotto, con tensioni più pronunciate nel settore dei servizi privati. In
un quadro in cui il contributo dei prezzi del raggruppamento degli
energetici nel corso dell’anno tornerà ad essere marginalmente positivo, l’inflazione continuerà ad essere sostenuta principalmente dalle
spinte provenienti dalle componenti di fondo. Il tasso di incremento
tendenziale dovrebbe scendere nei primi mesi su valori appena inferioTab. 5
PREZZI INTERNI
(variazioni percentuali)
2006
Indice generale prezzi al consumo
2007*
2008*
2,1
1,8
2,0
alimentari
2,2
2,7
2,0
energetici
8,1
-1,7
0,2
non alimentari e non energetici
1,5
1,9
2,2
- beni
0,8
1,0
1,4
- servizi
2,1
2,6
2,8
Indice armonizzato prezzi al consumo
2,2
1,9
2,0
Indice generale prezzi alla produzione
5,6
1,9
1,4
alimentari
2,2
2,9
1,7
energetici
16,1
-1,5
0,1
non alimentari e non energetici
3,4
2,7
1,6
p.m.
Fonte: elaborazione ISAE su dati ISTAT.
* Previsioni ISAE; 2008 tendenziale.
- 123 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Deficit e debito
nel biennio
2007-2008
ri a quelli toccati alla fine del 2007 e oscillare intorno ad essi per gran
parte dell’anno. Nella media del 2008, l’inflazione si riporterebbe così
al 2%, due decimi in più rispetto all’anno precedente. Anche in termini
di indice armonizzato, l’incremento dei prezzi potrebbe risultare pari al
2%, con un differenziale rispetto alla media dell’area euro che tornerebbe ad annullarsi
Nel biennio 2007-08 continuano a manifestarsi, secondo le previsioni dell’ISAE, andamenti favorevoli per i conti pubblici, dopo il miglioramento registrato nel 2006 al netto degli oneri straordinari, grazie
anche alla consistente manovra predisposta per il 2007. Il disavanzo
delle Amministrazioni Pubbliche, infatti, dovrebbe rimanere sostanzialmente sui livelli acquisiti lo scorso anno, scendendo appena al
2,3% del PIL nel 2007 per poi posizionarsi nuovamente al 2,4% nel
2008.
La condizione positiva dei conti pubblici appare, tuttavia, connessa a livelli della pressione fiscale molto elevati, mai riscontrati e superati solo nel 1997, anno di valutazione ai fini dell’ammissione all’area
della moneta unica. Livelli sorretti anche dagli 8-10 miliardi di risorse
aggiuntive, ufficialmente valutate come strutturali, di cui, secondo le
indicazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze, 7,5 miliardi
dovrebero assicurare la correzione strutturale per il 2008 e 2,5 miliardi
potrebbero invece essere utilizzati per riduzioni di entrate o incrementi
di spesa. Eventuali ulteriori disponibilità dovrebbero derivare da risparmi di spesa.
Per l’anno in corso, le previsioni del nostro Istituto prudenzialmente scontano alcuni fattori di cautela, con un impatto della manovra
rivisto alla luce dei risultati dello scorso anno. In primo luogo, non
vengono contabilizzate le entrate che dovrebbero scaturire dalla riforma dell’imposizione sui redditi delle attività finanziare, i cui tempi di
approvazione sono incerti. In secondo luogo, si ipotizzano incassi dovuti al complesso delle misure volte a contrastare l’evasione e l’elusione fiscale inferiori alle quantificazioni ufficiali indicate nelle relazioni
tecniche. Ciò per evitare duplicazioni di gettito già incorporato negli
andamenti tendenziali se, come appare plausibile, parte della favorevole evoluzione delle entrate del 2006 è collegabile a un miglioramento
della tax compliance indotta anche dagli interventi predisposti. In terzo
luogo - dato l’andamento contenuto di talune uscite nel 2006, con forti
riduzioni fatte registrare dallo Stato - si valutano comportamenti di
- 124 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
spesa più dinamici nell’anno in corso, specie con riferimento agli investimenti sia statali che delle Amministrazioni Locali. Queste ultime, in
particolare, hanno mostrato nel 2006 un incremento della costituzione
di capitali fissi limitato e inferiore a quanto concesso dalle regole del
Patto di stabilità interno, dopo aver subito nel 2005 una forte riduzione
(-5,5%) a causa dell’inserimento per la prima volta di tale voce nelle
norme pattizie. Così come si ritiene che l’implementazione di talune
misure di razionalizzazione e riorganizzazione della P.A. possa richiedere tempi più lunghi.
Per il 2008, data l’evoluzione congiunturale con il conseguente
andamento delle entrate e grazie alla mancanza di una tantum e alla natura permanente degli strumenti di correzione adottati nell’ultima legge
finanziaria, le Amministrazioni Pubbliche potrebbero mostrare, come
indicato, un disavanzo tendenziale appena superiore a quello dell’anno
precedente.
Graf. 10 - DISAVANZI DEL CONTO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
(milioni di euro)
90000
60000
30000
0
-30000
2004
2005
Disavanzo co rrente
2006
2007*
Disavanzo in co nto capitale
2008*
Indebitamemto netto
Fonte:ISTAT.
* Previsioni ISAE, 2008 tendenziale.
Il rapporto debito/PIL torna a calare: si riduce nei due anni, grazie
a un ridimensionamento del fabbisogno della P.A.. Dal 106,8% del PIL
registrato nel 2006, il debito potrebbe scendere al 105,6% nell’anno in
corso e al 104,6% nel 2008. Nelle valutazioni non sono, peraltro, incorporati eventuali incassi derivanti da dismissioni mobiliari mentre - dati
i tempi necessari all’operazione - viene formulata una ipotesi di rimborsi dell’IVA sulle auto pari a quattro miliardi di euro in ognuno dei
- 125 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Tab. 6
CONTO ECONOMICO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
(milioni di euro)
2006
2007*
2008*
2006
2007
2008
Redditi da lavoro dipendente
162.999
165.400
171.000
4,1
1,5
Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura
119.600
122.200
126.900
0,6
2,2
3,8
16.913
17.700
18.500
11,7
4,7
4,5
299.512
305.300
316.400
3,1
1,9
3,6
USCITE
Altre poste consumi finali
Spesa per consumi finali
Contributi alla produzione
Prestazioni sociali in denaro
Altre spese correnti
Spese correnti al netto interessi
Interessi passivi
3,4
13.539
15.000
14.400
4,4
10,8
-4,0
252.993
264.400
275.700
4,4
4,5
4,3
22.981
25.000
26.500
0,9
8,8
6,0
589.025
609.700
633.000
3,6
3,5
3,8
67.552
73.500
75.600
5,2
8,8
2,9
656.577
683.200
708.600
3,7
4,1
3,7
33.850
36.100
37.200
1,7
6,6
3,0
Contributi agli investimenti
22.067
23.700
23.700
-0,2
7,4
0,0
Altre spese in c/capitale
32.303
4.600
5.500
1.668,1
-85,8
19,6
TOTALE SPESE CORRENTI
Investimenti
TOTALE SPESE IN CONTO CAPITALE
88.220
64.400
66.400
54,2
-27,0
3,1
TOTALE SPESE AL NETTO INTERESSI
677.245
674.100
699.400
8,2
-0,5
3,8
TOTALE SPESE
744.797
747.600
775.000
7,9
0,4
3,7
Imposte dirette
213.664
225.200
233.300
12,4
5,4
3,6
Imposte indirette
218.250
222.300
228.100
7,8
1,9
2,6
Contributi sociali
192.038
207.600
216.400
4,7
8,1
4,2
51.630
52.600
53.900
4,0
1,9
2,5
675.582
707.700
731.700
8,0
4,8
3,4
4.472
4.500
4.700
-23,5
0,6
4,4
680.054
712.200
736.400
7,7
4,7
3,4
ENTRATE
Altre entrate correnti
TOTALE ENTRATE CORRENTI
ENTRATE IN CONTO CAPITALE
TOTALE ENTRATE
SALDO CORRENTE
19.005
24.500
23.100
SALDO IN CONTO CAPITALE
-83.748
-59.900
-61.700
INDEBITAMENTO NETTO
-64.743
-35.400
-38.600
2.809
38.100
37.000
INDEBITAMENTO NETTO AL NETTO INTERESSI
Fonte: ISTAT.
* Previsioni ISAE; anno 2008 tendenziale.
- 126 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
Tab. 7
CONTO ECONOMICO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
(in percentuale del PIL)
2006
2007*
2008*
USCITE
Redditi da lavoro dipendente
11,0
10,8
10,7
Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura
8,1
8,0
7,9
Altre poste consumi finali
1,1
1,2
1,2
20,3
19,9
19,8
Spesa per consumi finali
Contributi alla produzione
Prestazioni sociali in denaro
Altre spese correnti
Spese correnti al netto interessi
Interessi passivi
0,9
1,0
0,9
17,1
17,2
17,2
1,6
1,6
1,7
39,9
39,7
39,6
4,6
4,8
4,7
44,5
44,5
44,3
Investimenti
2,3
2,3
2,3
Contributi agli investimenti
1,5
1,5
1,5
Altre spese in c/capitale
2,2
0,3
0,3
TOTALE SPESE CORRENTI
TOTALE SPESE IN CONTO CAPITALE
6,0
4,2
4,2
TOTALE SPESE AL NETTO INTERESSI
45,9
43,9
43,7
TOTALE SPESE
50,5
48,6
48,4
Imposte dirette
14,5
14,7
14,6
Imposte indirette
14,8
14,5
14,3
Contributi sociali
13,0
13,5
13,5
3,5
3,4
3,4
45,8
46,0
45,7
0,3
0,3
0,3
46,1
46,3
46,0
ENTRATE
Altre entrate correnti
TOTALE ENTRATE CORRENTI
ENTRATE IN CONTO CAPITALE
TOTALE ENTRATE
SALDO CORRENTE
1,3
1,6
1,4
SALDO IN CONTO CAPITALE
-5,7
-3,9
-3,9
INDEBITAMENTO NETTO
-4,4
-2,3
-2,4
0,2
2,5
2,3
42,3
42,6
42,4
106,8
105,6
104,6
INDEB. NETTO AL NETTO INTERESSI (1)
PRESSIONE FISCALE INTERNA (2)
DEBITO PUBBLICO
Fonte: ISTAT.
* Previsioni ISAE; anno 2008 tendenziale.
(1) Eventuali mancate quadrature sono dovute all'arrotondamento delle cifre decimali.
(2) (Imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, imposte in conto capitale)/PIL. Al netto della quota delle risorse proprie IVA di
pertinenza dell'Unione Europea.
- 127 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Manovra per il
2007
due anni. Per tali restituzioni sono previste analoghe riduzioni delle attività del Tesoro detenute presso la Banca d’Italia.
Come già ricordato, determinante ai fini del consolidamento fiscale è la manovra finanziaria per l’anno in corso che ha disposto, secondo
le valutazioni ufficiali, una correzione netta dei conti tendenziali di oltre 15 miliardi di euro, pari all’1% del PIL. Alle misure di contenimento per circa 39,1 miliardi sono state affiancate risorse destinate a
specifiche funzioni dello Stato, al sostegno dell’economia e all’equità
sociale per 24 miliardi.
Con riferimento alle risorse complessive da reperire per il miglioramento del disavanzo e guardando ai principali strumenti identificati,
sul versante delle entrate, gran parte del gettito (prudenzialmente ridotto nelle previsioni) deriva da misure relative al contrasto dell’evasione
e dell’elusione fiscale (4,8 mld.), al recupero di base imponibile (2,1
mld.) e in materia di riscossione (1,2 mld.). Introiti per circa 6 miliardi
sono connessi all’istituzione di un Fondo per l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto (TFR) gestito dall’INPS per conto dello Stato,
alimentato dai datori di lavoro delle imprese con più di 50 addetti, sulla
base del 50% dei flussi inoptati; incassi per 4,8 miliardi sono dovuti
agli aumenti delle aliquote contributive per artigiani, commercianti,
parasubordinati, lavoratori dipendenti, apprendisti e immigrati; 510
milioni discendono da misure di razionalizzazione e valorizzazione del
patrimonio pubblico, 538 milioni sono connessi a norme sul bollo auto,
778 milioni affluiscono dagli interventi sul catasto e 741 da quelli sui
giochi. Ulteriori 1,1 miliardi (prudenzialmente non considerati nelle
previsioni) potrebbero scaturire da quanto disposto in base alla delega
sul riordino della tassazione delle rendite finanziare.
Sul versante delle uscite, i risparmi più consistenti derivano dal
Patto di stabilità interno per 3,3 miliardi, da misure di razionalizzazione della Pubblica Amministrazione, riguardanti sia la spesa corrente
che quella in conto capitale in particolare del bilancio dello Stato, per
un importo complessivo di 3,5 miliardi, nonché da interventi sulla sanità (tra cui ticket sulle prestazioni specialistiche, contenimento spese e
spesa farmaceutica) per 2,9 miliardi.
Per quanto riguarda, invece, le norme a sostegno dell’economia, la
misura più importante, tra quelle che implicano un minor gettito, è riferita alla riduzione del cuneo fiscale (2,5 mld.); inoltre persistono rilevanti proroghe di agevolazioni fiscali (per 1,1 mld.). Le maggiori
- 128 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
erogazioni di natura corrente (9,8 mld.) riguardano - principalmente la rideterminazione degli importi dell’assegno al nucleo familiare
(1 mld.), il pubblico impiego in relazione ai rinnovi contrattuali del biennio economico 2006-07 (1,1 mld.), il fondo per le missioni di pace e
le spese per il funzionamento delle forze armate (rispettivamente 1
mld. e 350 mln.), maggiori trasferimenti alle imprese pubbliche (465
mln.) e interventi a sostegno dell’autotrasporto merci (238 mln.), le
prestazioni TFR da erogare (497 mln.), gli interventi di disoccupazione
ordinaria e mobilità (320 mln.), i fondi per le politiche della famiglia,
per le non autosufficienze e per quelle giovanili (77, 60 e 52 mln.).
Le maggiori spese in conto capitale (6,6 mld.) concernono sostanzialmente - investimenti e apporti di capitale alle Ferrovie (2,4
mld.), l’esclusione dalla regola del limite del 2% alla crescita per
talune spese (cofinanziate dalla UE e relative alle attività portuali, per
550 e 100 mln.) e altre misure per lo sviluppo e la ricerca (FIRST,
fondo competitività e sviluppo, fondo veicoli mobilità pendolari, per
350 mln.).
Secondo le previsioni dell’ISAE, l’avanzo primario del conto delle Amministrazioni Pubbliche dovrebbe aumentare ancora al 2,5% del
PIL nell’anno in corso (dal precedente 2,2% al netto degli esborsi straordinari) per poi ridursi al 2,3% nelle tendenze del 2008. Il maggior
surplus del 2007 riflette una stabilizzazione della incidenza sul PIL
delle spese primarie (al 43,9%) - dovuta a una diminuzione sul PIL di
Graf. 11 - RAPPORTO DEBITO/PIL
(Amministrazioni Pubbliche - definizione UE)
5
110,0
4
108,0
3
106,0
2
104,0
1
102,0
0
100,0
2004
2005
2006
2007*
Variazio ni percentuali del debito pubblico (scala a sinistra)
Variazio ni percentuali del P IL (scala a sinistra)
Rappo rto debito pubblico /P IL (scala a destra)
Fonte: Banca d'Italia e ISTAT.
*Previsioni ISAE, 2008 tendenziale.
- 129 -
2008*
Avanzo primario
e spesa per
interessi
nel biennio
2007-2008
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Uscite primarie
nel biennio
2007-2008
quelle correnti, dato il rialzo delle uscite in conto capitale - e un incremento di due decimi del complesso delle entrate (al 46,3%). Nel prossimo anno, queste ultime dovrebbero invece calare in termini di
prodotto più di quanto atteso per le spese primarie.
L’onere per il servizio del debito cresce notevolmente nel 2007,
portandosi al 4,8% del PIL dopo il 4,6% dell’anno prima, per ridursi
appena nel 2008. Tale andamento sconta anche l’evoluzione attesa dei
tassi di interesse, con l’ipotesi di un saggio medio sui BOT a dodici
mesi che, dopo essere aumentato al 3,3% lo scorso anno dal precedente
2,2%, continua nella sua espansione nei due anni della previsione, portandosi al 4,1% nel 2007 per poi salire ancora al 4,4% nella media del
2008.
Escludendo le componenti straordinarie del 2006, le uscite primarie mostrano un incremento superiore a quello del PIL nell’anno in corso ma inferiore nel prossimo. In termini di PIL, a delle spese correnti
primarie in riduzione nel biennio, si affiancano erogazioni in conto capitale in crescita nell’anno in corso e stabili nel prossimo a causa dei
differenti impatti della manovra nei due anni.
All’interno della spesa corrente primaria, i redditi da lavoro dipendente, dopo le forti crescite registrate negli ultimi due anni a causa dei
rinnovi contrattuali, nel periodo in esame incorporano le risorse stabilite nella legge finanziaria per il rinnovo del biennio economico 2006-07
- con un aumento complessivo del 4,46% -, che impattano maggiormente sul 2008 (al +4,1% registrato nel 2006 fanno seguito un +1,5% e
poi un +3,4%). L’insieme dei consumi intermedi e delle prestazioni sociali in natura mostra una dinamica ancora abbastanza contenuta
nell’anno in corso (+2,2%) ma con una accelerazione successiva
(+3,8%). In particolare, i consumi intermedi tornano a crescere dopo la
riduzione sperimentata nel 2006, legata soprattutto al forte decremento
riscontrato a livello centrale. Mentre le prestazioni in natura segnerebbero un incremento molto modesto nell’anno in corso per poi tornare
ad espandersi a ritmi abbastanza sostenuti. Sul 2007 dovrebbero, infatti, agire i notevoli interventi di correzione, riguardanti sia la spesa farmaceutica sia i ticket sulle prestazioni specialistiche, anche se le
Regioni sperano di poter adottare misure diverse da tali compartecipazioni. Con riferimento, infine, alle prestazioni sociali in denaro, la loro
evoluzione permane su ritmi superiori a quelli del PIL, risentendo tra
l’altro della rideterminazione degli importi dell’assegno al nucleo fa-
- 130 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
miliare, dell’avvio delle erogazioni del TFR e dell’aumento - sia di importo che di durata - dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori
non agricoli.
Quanto alle uscite in conto capitale, particolarmente rilevanti risulteranno gli interventi di aumento di spesa per il 2007; tra questi notevoli sono le risorse destinate alle Ferrovie dello Stato sia per
investimenti sulla rete tradizionale che per il rifinanziamento del sistema dell’Alta Velocità. L’incidenza sul PIL delle spese in conto capitale
raggiunge il 4,2% in entrambi gli anni, in aumento rispetto al 4% del
periodo precedente (sempre al netto degli oneri straordinari).
Dopo la notevolissima crescita registrata nel 2006 (+7,7%),
nell’anno in corso le entrate complessive dovrebbero mostrare una dinamica ancora sostenuta (+4,7%), determinata dalla componente di
parte corrente (+4,8%). Gli introiti in conto capitale, infatti, sono previsti solo in leggero aumento (+0,6), a causa dell’andamento dei contributi agli investimenti.
All’interno delle entrate, tuttavia, gli incrementi appaiono differenziati. In rilevante espansione saranno sia le imposte dirette sia, soprattutto i contributi sociali, mentre ben più modesti dovrebbero essere
gli aumenti riguardanti le imposte indirette, le altre entrate correnti
nonché - come appena ricordato - quelle in conto capitale.
Nell’ambito delle entrate tributarie correnti, le imposte dirette mostrano ancora un buon incremento (+5,4% dopo il +12,4% del 2006),
sorretto dai provvedimenti della manovra e, in particolare, da quelli riguardanti il contrasto all’evasione ed elusione fiscale (seppure valutati
prudenzialmente nell’insieme delle entrate) e dalle norme di compensazione del minor gettito stimato come conseguenza della sentenza della Corte di giustizia europea. Quest’ultimo evento ha, infatti, implicato
un contenimento delle imposte indirette (+1,9%) collegato, tuttavia,
anche agli interventi di riduzione del cuneo fiscale, praticati sull’IRAP.
Quanto ai contributi sociali, nell’anno in corso si registrerà un aumento
molto rilevante (+8,1%) connesso sia agli incrementi delle aliquote
contributive disposti sia alla contabilizzazione delle risorse per il fondo
di erogazione del TFR. La crescita delle altre entrate correnti dovrebbe
decelerare (+1,9% fronte del +4% del 2006), dopo i notevoli introiti
per dividendi registrati lo scorso anno.
Nel 2008, l’incremento del complesso delle entrate dovrebbe risultare più contenuto (+3,4%), rispecchiando il più consistente effetto
- 131 -
Entrate e
pressione
fiscale
nel biennio
2007-2008
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
di riduzione del cuneo fiscale e un impatto più limitato rispetto al 2007
delle misure correttive disposte in precedenza, in particolare nel decreto del luglio 2006.
Secondo le stime dell’ISAE, gli andamenti sopra descritti condurranno nel 2007 a un ulteriore aumento delle pressione fiscale al 42,6%
(dopo quello, si ricorda, notevolissimo registrato nel 2006 dal 40,6% al
42,3%), connesso peraltro sostanzialmente alla contabilizzazione del
fondo per il TFR. Il prossimo anno, secondo gli sviluppi tendenziali, la
pressione fiscale dovrebbe scendere al 42,4% in conseguenza degli impatti delle manovre sopra citate. Al netto degli incassi dovuti per il
TFR, la pressione fiscale nel 2007 rimarrebbe sullo stesso livello
dell’anno precedente e nel 2008 si posizionerebbe al 42 per cento.
- 132 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Entrate
(aumento +)
Spese
(aumento +)
1) IMPOSTE DIRETTE
+ 14.512,51
--
-14.512,51
Disposta la revisione delle aliquote IRPEF. Gli scaglioni sono modificati come segue: Fino a 15.000, aliquota del 23 %; da 15.001 a
28.000 27%; da 28.001 a 55.000 38%; da 55.001 a 75.000 41%; oltre
75.000 43%. Le deduzioni da lavoro dipendente, pensione, lavoro
autonomo e altri redditi introdotte nei due moduli vengono sostituite
da un nuovo sistema di detrazioni (Legge finanziaria 2007, 27 dicembre 2006, n. 296)
+303
--
-303
E’ disposto che la dichiarazione dei redditi deve contenere tutte le
indicazioni utili ai fini del trattamento dell’Imposta Comunale sugli
Immobili (Legge finanziaria 2007, già citata).
+360
--
-360
E’ modificato il versamento dell’addizionale comunale per l’IRPEF: lo
stesso deve essere effettuato in acconto e a saldo unitamente a
quello dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Legge finanziaria 2007, già citata).
+500
--
-500
Prevista l’equiparazione a fini Ires-Ire delle spese per la telefonia
fissa e mobile Altre disposizioni su fringe benefits auto aziendali
(Legge finanziaria 2007, già citata).
+273,7
--
-273,7
E’ prorogato per gli anni d’imposta successivi al 2006 il meccanismo
di incremento automatico delle aliquote di addizionale IRPEF e delle
maggiorazioni IRAP che scatta nel caso di disavanzo sanitario regionale non coperto (Legge finanziaria 2007, già citata).
+ 1.401
--
-1.401
Previste misure in materia di accertamento, riscossione e contrasto
dell'evasione ed elusione fiscale dell’Irpef/Ires e altre imposte dirette
nonche' interventi di potenziamento dell'amministrazione economicofinanziaria (Decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+218,7
--
-218,7
Previste misure in materia di accertamento, riscossione e contrasto
dell'evasione ed elusione fiscale dell’IVA e dell’Irap nonché
2interventi di potenziamento dell'amministrazione economico-finanziaria (Decreto-Legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+745
--
-745
Disposti interventi per il recupero della base imponibile Ires (in particolare, relativamente all’ammortamento di beni immobili in leasing)
(Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+1.292
--
-1.292
Decisi interventi sulle imposte dirette, in particolare in materia di
detraibilità auto ai fini Ires/Irpef (Decreto -legge 3 ottobre 2006, n.
262).
+4.700
--
-4.700
Previsti interventi sulle imposte dirette, in particolare in materia di
detraibilità auto ai fini Irap (Decreto -legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+762
--
-762
Decise misure varie in materia di riscossione Decreto-Legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+1.200
--
-1.200
Previste misure per il recupero della base imponibile Irap (Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262).
+237
--
-237
Disposto l’obbligo per condomini di operare, in qualità di sostituto di
imposta, una ritenuta a titolo di acconto sui corrispettivi per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi effettuate
nell’esercizio di impresa (Legge finanziaria 2007, già citata).
+110
--
-110
Decisi interventi per l’ accertamento e il contrasto all’evasione ed elusione fiscale per l’IVA (Legge finanziaria 2007, già citata).
+964
--
-964
Disposte misure in materia di accertamento e di contrasto all’evasione ed elusione fiscale per l’Irpef/Ires (Legge finanziaria 2007, già
citata).
+1.917
--
-1.917
Previste misure per l’aggiornamento del catasto terreni (Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262).
+570,8
--
-570,8
(1) Valutazioni ufficiali.
- 133 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Previsti sgravi fiscali (Legge finanziaria 2007, già citata).
-482
--
+482
Sono previste estensioni ed incremento franchigia nel caso di successioni per portatori di handicap, fratelli e sorelle (Legge finanziaria
2007, già citata).
-40,5
--
+40,5
Abolita la sostitutiva plusvalenza per i terreni (Legge finanziaria
2007, già citata).
-51,6
--
+51,6
Disposta la proroga per il 2007 delle agevolazioni tributarie in materia
di recupero edilizio (Legge finanziaria 2007, già citata).
-154,5
--
+154,5
Previste detrazioni per i redditi da lavoro dipendente a tempo determinato. Altre disposizioni per detrazione delle spese per la frequenza
degli asili nido (Legge finanziaria 2007, già citata).
-70,09
--
+70,09
E’ confermato il divieto di dedurre ai fini Irpef i costi per le auto
aziendali (Legge finanziaria 2007, già citata).
-243
--
+243
-5.725,45
--
+5.725,45
Previste limitazioni alla possibilità di effettuare “compensazioni”. E’
disposta la comunicazione in via telematica all’Agenzia delle Entrate,
entro il quinto giorno precedente quello in cui hanno intenzione di
effettuare l’operazione di versamento con compensazione, l’importo
e la tipologia di crediti oggetto della successiva compensazione;
entro il terzo giorno successivo alla comunicazione, l’Agenzia delle
Entrate dovrà comunicare l’esito dei suoi controlli al contribuente e in
caso di mancata comunicazione varrà il silenzio-assenso che consentirà quindi che l’operazione di compensazione possa essere effettuata (Legge finanziaria 2007, già citata).
+370
--
-370
Prevista la riduzione dei trasferimenti erariali in favore delle province
autonome di Trento e Bolzano per il pagamento del bollo auto (Legge
finanziaria 2007, già citata).
+538
--
-538
Prevista la riassegnazione al Ministero dell’ambiente delle somme
versate allo Stato a titolo di risarcimento del danno ambientale a
seguito della sottoscrizione degli accordi transattivi negli anni 2005 e
2006 (Legge finanziaria 2007, già citata).
+185
--
-185
Disposizioni in materia di immobili e altre varie (Legge finanziaria
2007, già citata).
+509,7
--
-509,1
Disposto aumento delle tariffe della motorizzazione; previsto incremento canoni autostrade e pedaggi ANAS (Legge finanziaria 2007,
già citata).
+106
--
-106
Disposte misure in materia di accertamento e di contrasto all’evasione ed elusione fiscale per l’Irap (Legge finanziaria 2007, già
citata).
+407
--
-407
Abrogata la disposizione che prevedeva una modifica alla detraibilità
dell’IVA sugli acquisti relativi a esercizio, prestazioni di mandato,
mediazione ed intermediazione su lotto, lotterie, concorsi pronostici
e scommesse. Altre misure varie in materia di giochi (Legge finanziaria 2007, già citata).
+801,35
--
-801,35
Deciso un incremento, rispetto all’anno 2004, dell’aliquota di base
(per accisa ed IVA) per i tabacchi lavorati (Legge finanziaria 2007,
già citata).
+100
--
-100
Disposizioni in materia di IVA per rottamazione veicoli e bonus acquisto autoveicoli (Legge finanziaria 2007, già citata).
+435
--
-435
Altre disposizioni in materia di Iva veicoli (Decreto-legge 3 ottobre
2006, n. 262).
+500
--
-500
Previste misure di accertmaneto e controllo per imposta di registro
(Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+25
--
-25
2) IMPOSTE INDIRETTE
(1) Valutazioni ufficiali.
- 134 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Stabilito l’incremento dell’imposta sostitutiva per le cessioni a titolo
oneroso di immobili e terreni (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262)
+77
--
-77
Disposizioni in materia di razionalizzazione dell’accatastamento degli
immobili nella categoria E ai fini ICI, e adeguamento dei moltiplicatori
degli immobili di categoria B. Altre disposizioni in materia di imposte
ipotecaria e catastale e di registro in caso di successioni e donazioni
(Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+240
---
-240
Nuove previsioni in materia di tasse automobilistiche per cambio di
destinazione veicoli. Previsti altri interventi su tassa motocicli
(Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262).
+152,2
---
-152,2
Interventi su accisa GPL e gasolio carburanti; altri intervanti su fondo
promozione GPL e rimborso autotrasporto (Decreto-legge 3 ottobre
2006, n. 262)
+111,5
---
-111,5
Decisi interventi sul fondo finanziamento comuni per funzioni catastali; altre previsioni su tasse ipotecarie e diritti catastali (Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262)
+92
---
-92
Introdotte modifiche nella disciplina delle società non operative o "di
comodo". In particolare, rilevanza, ai fini dell'imposta regionale sulle
attività produttive, del reddito minimo, e la riproposizione della agevolazioni riconosciute in caso di scioglimento o trasformazione in
società semplice (Legge finanziaria 2007, già citata).
-62,6
---
+62,6
Disposte agevolazioni IRAP per l’agricoltura (Legge finanziaria 2007,
già citata).
-348,1
---
+348,1
Misure volte a ridurre l’incidenza del costo del lavoro ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, introducendo nuove forme di
deduzione dalla base imponibile del tributo regionale aventi ad
oggetto il costo del personale dipendente. Disposizioni rientranti
nella più ampia manovra concernente la riduzione del c. d. cuneo
fiscale e contributivo (Legge finanziaria 2007, già citata).
-2.450
---
+2.450
Sono previsti trasferimenti a favore delle regioni in disavanzo a
garanzia del gettito Irap (Legge finanziaria 2007, già citata).
-89,8
---
+89,8
Effetti della sentenza della Corte di giustizia europea sull’Imposta sul
valore aggiunto (Decreto -legge 3 ottobre 2006, n. 262).
-5.280
---
+5.280
Minori interventi correttivi in sanità (Legge finanziaria 2007, già
citata).
-1.290
---
+1.290
Disposizioni su accisa gas metano per usi industriali (Decreto-legge
3 ottobre 2006, n. 262)
-128,4
---
+128,4
Proroga a tutto il 2007 delle agevolazioni tributarie per formazione e
arrotondamento della proprietà contadina (Legge finanziaria 2007,
già citata).
-112,5
---
+112,5
Prevista la proroga per l’anno 2007 della riduzione del 40% dell’aliquota d’accisa per il gas metano per combustione per uso industriale, laddove si verifichino consumi superiori a 1,2 milioni di mc per
anno. Altre disposizioni per emulsioni stabilizzanti e energia geotermica (Legge finanziaria 2007, già citata).
-96
---
+96
Prorogata fino al 31 dicembre 2007, per particolari zone geografiche
del Paese (zone montane), la riduzione di prezzo per litro di gasolio e
per kg di gpl utilizzati come combustibile per riscaldamento (Legge
finanziaria 2007, già citata).
-51,9
---
+51,9
(1) Valutazioni ufficiali.
- 135 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Confermate, per l’anno 2007, le particolari aliquote d’accisa gas
metano per combustione ad uso individuale a tariffa T2 fino a 250
metri cubi annui, nonché per altri usi civili, nelle province con il 70%
dei comuni nella zona climatica F (Aosta, Belluno, Bolzano e Trento).
Inoltre, proroga della agevolazione sul prezzo del gasolio uso riscaldamento e gpl uso combustione impiegati nelle frazioni parzialmente
non metanizzate di comuni ricadenti nella zona climatica E di cui
all’art. 13, comma 2, legge 448/2001. Prevista l’esenzione accisa per
il gasolio autotrazione utilizzato nelle province di Trieste ed Udine e
per il gasolio utilizzato nelle coltivazioni sotto serra, per l’anno 2007
(Legge finanziaria 2007, già citata).
-80
---
+80
Previste compensazioni ai contributi al SSN versati dagli autotrasportatori (Legge finanziaria 2007, già citata).
-70,5
---
+70,5
Incremento delle deduzioni forfetarie art. 66 nuovo TUIR e estensione anche ai trasporti all’interno del comune per le imprese di autotrasporto merci conto terzi (Legge finanziaria 2007, già citata).
-120
---
+120
Disposta l’esenzione dalle tasse automobilistiche per due annualità
per i veicoli promiscui (Legge finanziaria 2007, già citata).
-65,7
---
+65,7
Prevista l’esenzione dal bollo per i veicoli ad alimentazione alternativa. Altre disposizioni in materia di tasse automobilistiche per i veicoli M1 e N1 (Legge finanziaria 2007, già citata).
- 70,7
---
+70,7
Disposte aliquote agevolate per i trasferimenti aree edilizie ((Legge
finanziaria 2007, già citata).
-59
---
+59
3) CONTRIBUTI SOCIALI EFFETTIVI
+9.855
---
-9.855
Disposta la creazione di un Fondo per l’erogazione ai lavoratori
dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto che
viene gestito, per conto dello Stato, dall’INPS su un apposito conto
corrente aperto presso la Tesoreria statale. Al medesimo Fondo affluisce un contributo pari al 50% della quota di cui all’articolo 2120 del
codice civile, al netto del contributo di cui all’articolo 3, ultimo
comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, maturata a decorrere
dalla predetta data, e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.
(Legge finanziaria 2007, già citata).
+5.938
---
-5.938
Previsto l’innalzamento delle aliquote contributive pensionistiche per
il finanziamento delle gestioni dei lavoratori artigiani e commercianti
presso l’INPS (Legge finanziaria 2007, già citata).
+1.355
---
-1.355
Previsto l’innalzamento di 0,3 punti percentuali dell’aliquota contributiva di finanziamento per gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima per la
quota a carico del lavoratore. In ogni caso, in conseguenza del predetto incremento, le aliquote pensionistiche di finanziamento, nella
somma delle quote dovute dal lavoratore e dal datore di lavoro, non
possono superare il 33 per cento (Legge finanziaria 2007, già citata).
+991
---
-991
E’ disposto l’incremento, con effetto sui periodi contributivi maturati a
decorrere dal 1° gennaio 2007, della contribuzione dovuta ai fini previdenziali dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani. (Legge finanziaria 2007, già citata).
+747
---
-747
E’ disposto che l’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla
gestione separata sia pari al 23%, se non assicurati ad altre forme
obbligatorie, e del 16% per i rimanenti iscritti (Legge finanziaria 2007,
già citata).
+1.287
---
-1.287
Previsto un aumento dei contributi sociali in seguito ai maggiori flussi
di ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali (Dpcm 25
ottobre, 2006).
+765
---
-765
(1) Valutazioni ufficiali.
- 136 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Disciplinate le modalità di regolazione di debito e credito delle
imprese nei confronti dell’INPS relativamente agli sgravi contributivi
previsti dai Decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale
5 agosto 1994 e 24 dicembre 1997. Previste minori entrate Enpals
(Legge finanziaria 2007, già citata).
- 55
---
+55
Istituito fondo erogazione TFR e prevista l’estensione sospensione
quota TFR versata a fondo (Legge finanziaria 2007, già citata).
-60
---
+60
Previste deduzioni per una quota dell’ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari e al Fondo
per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto. Altre misure sul Fondo erogazione TFR
(Legge finanziaria 2007, già citata).
-497
---
+497
Disposto che i contributi previdenziali e assicurativi degli assistenti
domiciliari all’infanzia accreditati presso la provincia autonoma di
Bolzano, siano dovuti secondo le misure previste dall’art. 5 del Presidente delle Repubblica del 31 dicembre del 1971, n. 1403 e successive modifiche (Legge finanziaria 2007, già citata).
-95
---
+95
Decisa la riduzione dei premi Inail per l’anno 2007. Altra riduzione
premi Inail per lavoratori settore autotrasporto (Legge finanziaria
2007, già citata).
-154
---
+154
Altre misure in materia di previdenza (Legge finanziaria 2007, già
citata).
-367
---
+367
4) ALTRE ENTRATE
-250,99
---
+250,99
Altre minori entrate (Legge finanziaria 2007, già citata e Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262).
-397,01
---
+397,01
Altre maggiori entrate (Legge finanziaria 2007, già citata e Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262).
+146,02
---
-146,02
5) REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE
---
+1.904
+1.904
Previsiti incrementi retributivi al personale statale, contrattualizzato e
non, per il biennio economico 2006-2007. Disposte altre misure per il
pubblico impiego (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+1.188,6
+1.188,6
E’ istituito un fondo con particolare riguardo alla tenuta in efficienza
dello strumento militare, anche in funzione delle operazioni internazionali di pace (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+1.000
+1.000
Decisa l’istituzione di un fondo nello stato di previsione del Ministero
della giustizia per le esigenze correnti per l’acquisizione di beni e servizi. Altri stanziamenti per la Guardia di Finanza, l’Arma dei carabinieri, il Fondo capitanerie di porto e il Fondo funzionamento
sicurezza (LF)
---
+286
+286
E’ autorizzata la spesa per garantire il cofinanziamento dello Stato a
carico delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano per il rinnovo del contratto collettivo relativo al settore del trasporto pubblico locale (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+190
+190
E’ stabilito che nel caso in cui le amministrazioni realizzino accantonamenti aggiuntivi, una quota delle predette economie non superiore
al 30 per cento affluisca, attraverso la contrattazione integrativa, ad
appositi fondi da destinare all’incentivazione del personale dirigente
e non dirigente che abbia contribuito al conseguimento degli obiettivi
di efficienza e di razionalizzazione dei processi di spesa (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
-30,0
-30,0
Prevista la riduzione dal 60% al 40% del tetto di spesa consentito
per il ricorso al personale a tempo determinato, con convenzione o
con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
-38,5
-38,5
(1) Valutazioni ufficiali.
- 137 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Disposte misure di contenimento delle spese di professionalizzazione delle forze armate (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-62,6
-62,6
Sono previsti interventi per il contenimento della spesa nel pubblico
impiego quali soppressione del fondo mobilità, riduzione automatismi
stipendiali per il personale in regime di diritto pubblico (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-25,2
-25,2
---
-136,8
-136,8
Disposte varie misure per il personale del comparto scuola quali
monitoraggio e verifica delle assenze del personale, riduzione
docenti di lingua inglese, diminuzione dei carichi orari settimanali
delle lezioni, mobilità del personale docente in soprannumero verso
altre amministrazioni (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-94,9
-94,9
Previste misure per la revisione dell’assetto organizzativo dei ministeri, la riorganizzazione degli uffici periferici ed il riordino, trasformazione e soppressione degli enti pubblici (Legge finanziaria 2007, già
citata).
---
-212
-212
Disposti migliori modelli organizzativi per l’Amministrazione e le Istituzioni scolastiche in relazione ai criteri e ai parametri alla base della
formazione delle classi (in particolare aumento del rapporto alunni/
classi da 20,6 a 21,0) (Legge finanziaria 2007, già citata).
Previste misure sul personale degli enti territoriali che concorrono al
rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno (Legge finanziaria
2007, già citata).
---
-160,6
-160,6
6) CONSUMI INTERMEDI E PRESTAZIONI SOCIALI IN NATURA
---
-8.122,6
-8.122,6
Prevista l’istituzione di un fondo in conto spese per il funzionamento,
ripristino e manutenzione ordinaria e straordinaria delle Forse armate
(Legge finanziaria 2007, già citata)
---
+350
+350
Disposti stanziamenti per l’istruzione (in particolare, per strumentazione tecnologica a supporto dell’attività didattica) (Legge finanziaria
2007, già citata).
---
+220
+220
Sono incrementati gli stanziamenti a favore della scuola paritaria, in
particolare alle scuole d’infanzia (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+100
+100
Sono previste riduzioni di spese a fronte del riordino, trasformazione
e soppressione degli enti pubblici (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-105
-105
Sono ridotte le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa relative
alla tabella C (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-102,7
-102,7
E’ disposto il concorso del sistema universitario e degli enti di ricerca
agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009 (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
-102
-102
Sono disposti la razionalizzazione e il contenimento della spesa,
attraverso l’accantonamento e la conseguente sterilizzazione di una
quota delle dotazioni delle unità previsionali di base del bilancio dello
Stato relative ai consumi intermedi, ai trasferimenti correnti, alle altre
uscite correnti e alle spese in conto capitale. La norma prevede
anche l’esclusione dall’accantonamento di talune tipologie di spesa (i
trasferimenti agli enti territoriali e previdenziali, pensioni di guerra, le
rate di ammortamento, i limiti di impegno già attivati etc) (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
-2.370
-2.370
Previste misure sui consumi intermedi che concorrono al rispetto dei
vincoli del Patto di stabilità interno degli enti territoriali; altri interventi
(Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-3.100
-3.100
Disposte misure strutturali per il contenimento dello spesa del Servizio Sanitario Nazionale (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-944
-944
(1) Valutazioni ufficiali.
- 138 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
E’ introdotto un abbattimento del 50% delle tariffe per le prestazioni
di diagnostica laboratorio eseguibili con metodiche automatiche
(Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-279
-279
Disposto il ticket sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale e sul
pronto soccorso (codici bianchi e verdi) (Legge finanziaria 2007, già
citata).
---
-859
-859
Disposto l’abbattimento dei prezzi per l’acquisizione di dispositivi
medici specifici. E’ previsto che entro il 30 aprile 2007 siano stabiliti,
per le tipologie di dispositivi individuate, i prezzi
minimi da assumere, con decorrenza dal 1° maggio 2007, come
base d’asta per le forniture del SSN, tenendo conto dei più bassi
prezzi unitari di acquisto da parte del SSN. Sono previste misure per
il contenimento dell’uso dei farmaci off label (Legge finanziaria 2007,
già citata).
---
-64
-64
Sono confermate per il 2007 e seguenti tutte le misure di contenimento della spesa farmaceutica deliberate dal Consiglio d’Amministrazione dell’Agenzia italiana per il farmaco (AIFA) a partire dal 22
dicembre 2005 e fino al 27 settembre 2006. In sintesi trattasi di una
riduzione del 10% dei prezzi dei farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale rispetto a quelli praticati nel dicembre 2005, di uno
sconto a carico del produttore pari allo 0,6% del prezzo al pubblico e
di una rimodulazione del prontuario che prevede una riduzione dei
prezzi dei farmaci che hanno evidenziato un rilevante incremento dei
consumi nei primi mesi del 2006 (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-800
-800
E’ ridotta l’autorizzazione di spesa correlata alla costituzione della
Fondazione per la promozione dello sviluppo della ricerca avanzata
nel campo delle biotecnologie e alla Fondazione responsabilità
sociale. Altri interventi in sanità (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-66,9
-66,9
7) PRESTAZIONI SOCIALI IN DENARO
---
+1.987,05
+1.987,05
Sono rideterminati gli importi complessivi dell'assegno al nucleo
familiare indicati nelle relative tabelle, con riferimento ai nuclei familiari con figli, a cominciare dai nuclei familiari fino a tre figli. Altre
disposizioni per nuclei famigliari con più di tre figli (Legge finanziaria
2007, già citata).
---
+966
+966
Prevista la costituzione in Tesoreria di un Fondo a ripartizione per
l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
+424
+424
Prevista l’estensione ai contratti di apprendistato delle disposizioni in
materia di indennità di malattia secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori subordinati. E’ inoltre stabilita l’estensione
dell’indennità giornaliera di malattia ai lavoratori a progetto e a categorie assimilare; altri interventi per previdenza e assistenza (Legge
finanziaria 2007, già citata)
---
+137,8
+137,8
Sono estesi gli incrementi di misura e di durata dell’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori non agricoli
(Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+320
+320
Previsti stanziamenti per il Fondo non autosufficienti, fondo immigrati, fondo politiche sociali, fondo politiche giovanili, fondo per le
comunità giovanili (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+139,25
+139,25
8) TRASFERIMENTI CORRENTI
---
+2.117,9
+2.117,9
Previsti stanziamenti per il fondo trasferimento correnti alle imprese
pubbliche; altri interventi a favore di sviluppo e ricerca (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+572,7
+572,7
(1) Valutazioni ufficiali.
- 139 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
E’ disposta la spesa da riconoscere a Trenitalia Spa a titolo di contributo per gli obblighi di servizio pubblico forniti; altri interventi per Trenitalia (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+428
+428
Disposta la soppressione del sovrapprezzo delle tariffe autostradali e
modifica dei canoni di pedaggio; altri interventi per Anas Spa (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
+301
+301
Disposta la revisione dell’attuale meccanismo di finanziamento
delle Agenzie fiscali (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+200
+200
Previsti incrementi per il Fondo per le politiche per la famiglia; attuazione del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema
territoriale dei servizi socio-educativi; altri interventi per l’equità
(Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+125
+125
Disposti contributi per l’acquisto di autoveicoli non inquinanti; altri
contributi per veicoli gas metano, glp elettrici, rinnovo parco autocarri
e fondo sostegno iniziative autotrasporto (Legge finanziaria 2007, già
citata).
---
+621,2
+621,2
E’ disposto che SACE riduca il capitale sociale in misura adeguata
alla sua attività (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-130
-130
9) SPESE IN CONTO CAPITALE
---
+2.073,8
+2.073,8
Disposte misure per la razionalizzazione e l’efficientamento della
spesa pubblica; Altre misure taglio Tabella C (Legge finanziaria 2007,
già citata).
---
-851,7
-851,7
Prevista la costituzione di un Fondo destinato a neutralizzare gli
effetti sui saldi di finanza pubblica, derivanti dalla eventuale “attualizzazione” dei contributi pluriennali, in relazione all’effettivo stato di
avanzamento delle opere da realizzare (Legge finanziaria 2007, già
citata).
---
+520
+520
Istituito il Fondo per la competitività e lo sviluppo e un Fondo per la
finanza d’impresa (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+110
+110
Prevista l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Fondo per gli Investimenti nella Ricerca
Scientifica e Tecnologica (FIRST) (Legge finanziaria 2007, già
citata).
---
+150
+150
Disposti stanziamenti per il Fondo ricerca bioenergia, per la ricerca
scientifica e teconologica e per il fondo commercio e turismo. Altri
interventi per promuovere ricerca e sviluppo (Legge finanziaria 2007,
già citata).
---
+75
+75
E’ disposta esclusione per le spese per progetti cofinanziati dall’U.E.
dall’applicazione del limite alla crescita del 2 per cento (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+550
+550
Decisa la prosecuzione degli interventi relativi al «Sistema alta velocità/alta capacità» (asse Torino- Milano- Napoli e Milano- Verona,
compreso il nodo di Verona), per i quali è autorizzato un rifinanziamento; altri interventi per la rete tradizionale (Legge finanziaria 2007,
già citata).
---
+2.000
+2.000
Disposto potenziamento e adeguamento delle infrastrutture delle
capitanerie di porto; altri provvedimenti per le autorità portuali
(Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+130
+130
E’ istituito un apposito fondo al fine di realizzare una migliore mobilità
dei pendolari; altri interventi per sicurezza e antinfortunistica stradale
e ferroviaria (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
+133
+133
(1) Valutazioni ufficiali.
- 140 -
Previsioni per l’Italia 2007-2008
MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007
(milioni di euro) (1)
Entrate
(aumento +)
Descrizione dei provvedimenti
Spese
(aumento +)
Effetto
sull’indebitamento
netto (aumento +)
Disposta la riduzione dei trasferimenti alle autorità portuali al fine del
completamento del processo di autonomia finanziaria; riduzione dello
stanziamento per il Fondo progetti ricerca (Legge finanziaria 2007,
già citata).
---
-130
-130
E’ disposta la vendita di immobili delle gestioni liquidatorie di cui alla
legge n. 1404 del 1956 (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-180
-180
Prevista la riduzione del premio concentrazione imprese (Legge
finanziaria 2007, già citata).
---
-92,5
-92,5
Sono ridotte le risorse per Sviluppo Italia-imprenditorialità giovanile
(Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-225
-225
Disposta la riduzione delle dotazioni delle unità previsionali di base
dello stato di previsione del Ministero della Difesa concernenti gli
investimenti fissi lordi (Legge finanziaria 2007, già citata).
---
-50
-50
Prevista la riduzione del FAS per i piccoli comuni (Legge finanziaria
2007, già citata).
---
-65
-65
10) ALTRE SPESE CORRENTI E IN CONTO CAPITALE
---
+1.860,5
+1.860,5
Altre minori spese (Legge finanziaria 2007, già citata e Decreto-legge
3 ottobre 2006, n. 262).
---
-22
-22
Altre maggiori spese correnti e in conto capitale, Tabelle (Legge
finanziaria 2007, già citata e Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262).
---
+3.082,5
+1.882,5
+3.020,35
-15.370,72
TOTALE
+18.391,07
(1) Valutazioni ufficiali.
- 141 -
L’Italia nell’integrazione europea
1 Cambiamenti nella geografia economica europea
dopo il mercato unico e la creazione dell’Unione
monetaria: la collocazione delle industrie italiane
1.1 INTRODUZIONE
Da alcuni anni si assiste ad un rinnovato interesse per il territorio come unità di analisi economica e destinatario di specifiche politiche di sviluppo. La distribuzione asimmetrica dell’attività produttiva nello spazio e la crescente integrazione dei mercati,
soprattutto in seguito alla creazione del Mercato unico in Europa (1992) e, più recentemente, all’introduzione della moneta unica (1999), hanno portato allo sviluppo di nuove
teorie e nuovi modelli economici mirati ad analizzare le forze che governano la dispersione e la concentrazione spaziale dell’attività economica (New Economic Geography,
NEG). Questi modelli forniscono, tra l’altro, alcune predizioni sui possibili esiti del processo di integrazione economica, in termini di distribuzione dell’industria sul territorio.
A loro volta, le predizioni teoriche dei modelli della NEG hanno stimolato la letteratura empirica sul tema, interessata a produrre nuove evidenze sulle caratteristiche (forma
e dinamica) della localizzazione delle attività economiche. In particolare, partendo dal
fatto che il grado di concentrazione regionale è maggiore negli Stati Uniti rispetto all’Europa, ci si è chiesti se la crescente integrazione europea avrebbe portato ad un incremento
del livello di concentrazione territoriale delle attività economiche, ampliando il “core” a
spese di una svantaggiata “periphery”, e della specializzazione regionale, aumentando la
probabilità che le regioni stesse fossero esposte a shock esogeni di tipo asimmetrico
(Krugman, 1993). Tali predizioni hanno, tra l’altro, contribuito a fornire una più forte razionalizzazione della politica regionale europea, volta a favorire uno sviluppo eguale dei
territori incentivando - attraverso l’uso dei Fondi Strutturali e di Coesione destinati proprio alle regioni cosiddette “sottoutilizzate” - la dispersione delle attività economiche
nello spazio dell’Unione Europea.
La letteratura empirica esistente si è occupata della localizzazione delle attività
economiche seguendo due principali approcci: 1) un’analisi sostanzialmente descrittiva,
condotta attraverso il calcolo di indici sintetici di concentrazione (tra gli altri, Aiginger e
Leitner, 2002; Aiginger e Davies, 2004; Brülhart e Traeger, 2005), integrati
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Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
recentemente da indici di autocorrelazione spaziale (Ertur e Le Gallo, 2003; Arbia et al.,
2006; Guillain e Le Gallo, 2006); 2) un approccio orientato alla ricerca delle possibili
determinanti della concentrazione (Brülhart e Torstensson, 1996; Amiti, 1999; Haaland
et al., 1999; Aiginger e Pfaffermayr, 2004), facendo riferimento sostanzialmente alle
teorie del commercio internazionale (intensità fattoriali ed economie di scala), nonché
alla NEG (linkages tra imprese/settori industriali).
Sebbene le conclusioni fornite da questi contributi alla letteratura empirica non siano univoche - sostanzialmente per la mancanza di una rigida definizione del concetto
stesso di concentrazione e per la disponibilità di un cospicuo ventaglio di opzioni metodologiche per misurare il fenomeno1 -, sono emersi nel tempo alcuni fatti stilizzati inerenti alla distribuzione spaziale delle attività economiche sul territorio europeo. Come
rilevano Combes e Overman (2004), si evidenzia una generale tendenza alla riduzione
del grado di concentrazione dell’aggregato manifatturiero nel corso degli anni ’90. Si
può osservare, inoltre, che il livello di concentrazione industriale varia ampiamente da
settore a settore; sarebbero, in particolare, i settori high-tech ed a rendimenti di scala crescenti quelli più concentrati spazialmente.
In questo capitolo si analizzano i cambiamenti intervenuti nella geografia economica europea in seguito al processo di integrazione e si cerca di verificare per alcuni settori
se le predizioni di una crescente specializzazione regionale trovano un riscontro empirico. Ciò verrà fatto attraverso l’uso di una metodologia di analisi statistico - spaziale,
l’“Augmented Exploratory Spatial Data Analysis” (A-ESDA), volta ad integrare misure
sintetiche di concentrazione e dipendenza spaziale con tecniche di analisi non-parametrica per la stima di densità. Da un parte, infatti, gli indici di concentrazione tradizionalmente usati (Gini, Theil, Herfindhal o Ellison e Glaeser) rappresentano indicatori di
concentrazione a-spaziale, nel senso che non tengono conto della posizione geografica
delle unità di analisi e dell’interazione tra le stesse. Per tale motivo, alcuni recenti lavori
sulla distribuzione territoriale dell’attività economica hanno integrato l’analisi attraverso
l’uso di indici di autocorrelazione spaziale che forniscono informazione sul grado di dipendenza spaziale tra le unità territoriali oggetto di analisi (Arbia, 2001; Arbia et al.,
2006; Ertur e Le Gallo, 2003; Guillain e Le Gallo, 2006). Dall’altra, è importante sottolineare che indicatori di concentrazione e indici di dipendenza spaziale costituiscono ambedue misure sintetiche di fenomeni complessi. In quanto tali, essi possono mascherare
l’esistenza di differenti bacini di attrazione. Come si chiarirà nel seguito, diventa quindi
opportuno integrare l’analisi della distribuzione spaziale dell’attività economica con
1
Le opzioni riguardano la variabile utilizzata come proxy dell’attività economica (occupazione, valore aggiunto,
produzione), l’indicatore attraverso cui misurare il fenomeno (indici di Gini, Theil, Herfindahl, Coefficiente di Variazione
(CV), Krugman, Ellison e Glaeser, ed altri ancora), l’articolazione settoriale considerata, nonché le fonti statistiche
utilizzate, diverse per copertura territoriale ed estensione temporale.
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Cambiamenti nella geografia economica europea ...
strumenti di analisi non-parametrica della densità univariata e condizionata. L’approccio
combina, inoltre, indicatori sintetici globali con evidenze locali: da una parte, l’analisi
locale si rende necessaria poiché capace di rivelare cambiamenti (ad esempio, lo spostamento della concentrazione settoriale da una regione ad un’altra) che lasciano inalterati
gli indicatori globali; d’altro canto, le misure sintetiche globali forniscono una rappresentazione più “oggettiva” del fenomeno, essendo sottratte ai criteri - arbitrari - che condizionano gli indicatori locali.
Il capitolo è strutturato come segue. Nel paragrafo 2 si riportano alcuni cenni di richiamo ai modelli della NEG in considerazione delle predizioni che essi forniscono sulla
distribuzione spaziale dell’attività economica a partire dalla relazione che lega quest’ultima al processo di integrazione in atto in Europa. Il paragrafo 3 è dedicato alla descrizione della metodologia statistico-spaziale utilizzata. Nel paragrafo 4 si descrive il legame
tra alcune distribuzioni teoriche coerenti con le predizioni dei modelli della NEG e l’AESDA. Il quinto paragrafo analizza per grandi linee i cambiamenti intervenuti, dal 1980
al 2002, in 15 paesi dell’Unione Europea con una particolare attenzione alla posizione
dell’Italia, sia dal punto di vista del contributo del paese alla formazione del valore aggiunto totale europeo (UE15), sia per quanto riguarda l’importanza relativa rivestita dai
vari settori. Nel paragrafo 6 si presentano i risultati ottenuti applicando l’A-ESDA ai dati
su 162 regioni europee. L’ultimo paragrafo è dedicato alle conclusioni.
1.2 LE IPOTESI TEORICHE SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE
DELL’ATTIVITÀ ECONOMICA
1.2.1 Breve richiamo ai modelli della Nuova Geografia Economica
La distribuzione territoriale dell’attività economica è tradizionalmente spiegata
dalla letteratura empirica facendo riferimento alle teorie del commercio internazionale
ed alla NEG (tra gli altri, Brülhart e Torstensson, 1996; Brülhart, 1998; Amiti, 1999;
Haaland et al., 1999; Paulize et al., 2001). La teoria tradizionale del commercio
internazionale (NCT) fa riferimento sostanzialmente alla specializzazione delle varie
aree economiche, con una scarsa attenzione all’aspetto territoriale dello sviluppo. Le
nuove teorie del commercio internazionale (NTT), enfatizzando il ruolo dei rendimenti
crescenti a livello di impresa, fanno un passo avanti in questa direzione, inserendo
all’interno dei modelli alcuni elementi relativi alla localizzazione, quali l’importanza
della dimensione del mercato e l’esistenza di costi di trasporto, in un contesto di
concorrenza monopolistica (Krugman e Venables, 1990). I modelli della NEG
rappresentano un’evoluzione di quelli della NTT. Caratterizzati da mercati che operano
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Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
in situazioni di concorrenza monopolistica, dalla presenza di economie di scala interne
alle imprese, dall’esistenza di legami input-output con le altre unità produttive, dalla
mobilità dei lavoratori, dalla presenza di costi di trasporto fondamentali ai fini delle
scelte localizzative delle imprese, tali modelli inseriscono alcuni elementi-chiave
dell’economia regionale ed urbana nel contesto analitico dell’equilibrio economico
generale. L’obiettivo è, sostanzialmente, quello di fornire alcune possibili spiegazioni
della localizzazione geografica delle imprese e, conseguentemente, della tendenza
dell’industria a concentrarsi in alcune aree piuttosto che a disperdersi sul territorio. Il
modello che ha segnato la nascita della NEG è il cosiddetto schema core-periphery (CP)
di Krugman (1991), a partire dal quale è stata elaborata una serie di altri sviluppi teorici
nel corso degli anni, che ne hanno modificato le assunzioni ed, in alcuni casi, il
meccanismo di funzionamento.
L’equilibrio di lungo periodo nei modelli della NEG è determinato dal bilanciamento delle forze di agglomerazione e di dispersione, a fronte del ruolo chiave svolto dal livello dei costi di trasporto. In particolare, all’avanzare del processo di integrazione,
dunque al diminuire dei costi di trasporto, sarebbe più conveniente per le imprese concentrarsi in poche aree, per usufruire dei vantaggi dell’agglomerazione, e da lì servire
l’intero mercato. Tuttavia, come evidenziato tra gli altri da Puga (1999), la relazione tra
integrazione e concentrazione non è necessariamente lineare, ma può assumere una configurazione cosiddetta U-Shaped: un’ulteriore successiva riduzione dei costi di trasporto
e l’innalzamento del costo dei fattori produttivi dovuto al proliferare delle imprese nella
stessa area spingerebbero alla de-localizzazione verso aree non “congestionate” (le forze
centrifughe prevarrebbero su quelle centripete), favorendo così la dispersione.
Facendo leva sull’esistenza di questa relazione non lineare tra integrazione e agglomerazione e sulla base delle predizioni teoriche della NEG, Vayà e Suriñach (2003) hanno individuato cinque diverse distribuzioni teoriche delle attività economiche nello
spazio. In base al grado di integrazione economica ed al livello dei costi di trasporto, si
può, dunque, incorrere in diverse configurazioni spaziali dello sviluppo; più precisamente, la distribuzione può essere di tipo omogeneo, centro-periferia, monocentrica, policentrica o, infine, gerarchica. Vediamole più in dettaglio:
- Distribuzione omogenea. Una distribuzione uniforme dell’attività sul territorio si può
verificare sia all’inizio del processo di integrazione, quando i costi di trasporto sono
elevati, per cui è preferibile per le imprese localizzarsi vicino al mercato da servire, sia
nell’ultimo stadio del processo di integrazione, quando la presenza di costi di congestione rafforza la tendenza alla dispersione, nonostante i più bassi livelli di costi di trasporto. Come sottolineato da Vayà e Suriñach (2003), la distribuzione omogenea delle
attività è tipica anche di situazioni di autarchia.
- Distribuzione centro-periferia. Rappresenta uno dei possibili equilibri nello stadio in-
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Cambiamenti nella geografia economica europea ...
termedio del processo di integrazione. I costi di trasporto sono sufficientemente (ma
non eccessivamente) bassi da spingere le imprese a localizzarsi l’una in prossimità
dell’altra, in modo da poter usufruire dei vantaggi derivanti dalle economie di agglomerazione. Si formano, in tal modo, un “centro”, area sviluppata ed economicamente
ricca, nella quale sono localizzate le imprese, ed una “periferia”, costituita da regioni
povere (quasi esclusivamente mercati di consumo, con poca o nulla produzione).
- Distribuzione monocentrica. Anche questo è un equilibrio che può caratterizzare lo
stadio intermedio del processo di integrazione. A differenza della distribuzione centroperiferia, il monocentro è un’area di dimensioni più contenute, così come la periferia
ad esso collegata: la relazione di dipendenza spaziale, positiva fra i territori più vicini e
negativa fra quelli più lontani, si esaurisce in un raggio meno esteso di quanto non accada tra un Centro e una Periferia “tradizionali”. Il resto delle attività è distribuito casualmente sul territorio rimanente.
- Distribuzione policentrica. Terzo equilibrio per stadi intermedi del processo di integrazione. Anche in questo caso si determinano alte concentrazioni di attività economica; al contrario delle distribuzioni centro-periferia e monocentrica, in questo caso le
attività economiche sono concentrate in una pluralità di aree circoscritte (i policentri),
distribuite casualmente sull’intero territorio. A causa della forte attrazione esercitata
sulle imprese da questi policentri, il livello di attività delle regioni confinanti risulta
sensibilmente inferiore.
- Distribuzione gerarchica. Stadio avanzato del processo di integrazione. Si parte
dall’esistenza di un monocentro e si considera l’esistenza di un processo di progressiva diffusione delle attività verso le regioni più vicine al monocentro e, in misura sempre più attenuata, verso quelle più lontane, quasi a formare una gerarchia dell’intensità
dello sviluppo. Ciò avverrebbe in conseguenza di diseconomie di scala nelle regioni
centrali (costi di congestione, esternalità negative), cosa che favorirebbe lo spostamento verso aree diverse dal monocentro (al termine di questo processo, si riproporrebbe
una distribuzione omogenea).
1.3 L’AUGMENTED EXPLORATORY SPATIAL DATA ANALYSIS (A-ESDA)
Le analisi della concentrazione delle attività economiche fanno tradizionalmente riferimento a misure statistiche che non prendono in considerazione la dimensione spaziale del fenomeno. Misure quali il coefficiente di localizzazione di Gini, il coefficiente di
variazione, l’indice di Herfindhal, l’indice di Ellison e Glaeser o gli indici di entropia,
per ricordare solo i più utilizzati nella letteratura empirica, sono “a-spaziali” nel senso
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Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
che non consentono di distinguere fra ineguaglianza della distribuzione e polarizzazione
geografica (Arbia, 2001). Esse non tengono, cioè, conto dell’esistenza di autocorrelazione spaziale tra le unità territoriali di analisi, caratteristiche che contribuiscono a delimitare geograficamente i processi di agglomerazione.
Negli ultimi anni le analisi empiriche dei processi di agglomerazione hanno cercato
di superare il suddetto limite informativo, ricorrendo all’utilizzo dei metodi della cosiddetta Exploratory Spatial Data Analysis (ESDA) (Guillain e Le Gallo, 2006; Arbia et al.
2006). L’ESDA è un insieme di tecniche costruite al fine di descrivere e visualizzare distribuzioni spaziali, identificare localizzazioni atipiche (spatial outlier) e rilevare l’esistenza di cluster.
In quanto segue, accanto alle statistiche sintetiche di concentrazione a-spaziale e
alle misure di autocorrelazione spaziale, si propone l’utilizzo di metodi non parametrici
che consentono di visualizzare l’intera distribuzione della variabile in esame e di metterne in luce la dinamica (stime di densità univariata e condizionata e mappe geografiche di
vario tipo). Inoltre, seguendo la tassonomia recentemente proposta da Bickenbach e
Bode (2006), si tenterà di sintetizzare le informazioni relative alla concentrazione e alla
dipendenza spaziale in un unico indice di “concentrazione spaziale”. Denominiamo tale
insieme di tecniche “Augmented Exploratory Spatial Data Analysis” (A-ESDA).
1.3.1 Indici di entropia e quozienti di localizzazione “spazialmente corretti”
Due sono le misure di concentrazione utilizzate nel presente lavoro, una di tipo
“a-spaziale” e l’altra di tipo “spaziale”. L’analisi della concentrazione consente di
stabilire se in una data area l’importanza relativa di un particolare settore è maggiore
rispetto a quella che ha in media nell’intero territorio. Il no-concentration benchmark si
ha nel momento in cui la distribuzione della variabile sul territorio per un dato settore
industriale è esattamente uguale alla distribuzione del totale delle attività.
Al fine di analizzare le dinamiche della concentrazione si utilizza l’indice di entropia (o indice di Theil):
R
Ts = ∑ λr
r =1


Yrs / Yr
 Yrs / Yr 
log
∑ λr (Yrs / Yr )  ∑ λr (Yrs / Yr ) 
r

 r
dove s indica il settore, r la regione e Y il valore aggiunto; λr è la quota regionale (rispetto al campione) del valore aggiunto totale.
La variabile in esame è il quoziente di localizzazione (LQ), cioè il rapporto tra la
quota di valore aggiunto di un dato settore rispetto al valore aggiunto totale in una data
- 150 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
regione e la stessa quota settoriale relativa all’intero campione esaminato. Più elevato è il
valore dell’indice di Theil, maggiore sarà il grado di concentrazione delle attività economiche.
Seguendo Bickenbach e Bode (2006) nella misura “spaziale” la formula viene modificata inserendo una matrice di pesi spaziali calcolata tenendo conto della prossimità
geografica tra le regioni:
R
T S s = ∑ λr
r =1


∑q φqrYqs / ∑q φqrYq
 ∑ q φqrYqs / ∑ q φqrYq 
log
∑ λr (∑ q φqrYqs / ∑ q φqrYq )  ∑ λr (∑q φqrYqs / ∑q φqrYq ) 
r

 r
dove q ed r sono le regioni ( q ≠ r ) ; φqr è l’elemento della matrice dei pesi spaziali che riflette l’interazione tra la regione q e la regione r.
I quozienti di localizzazione così modificati sono detti LQ “spazialmente corretti”
(spatially rate smoothing, SRS). Tale correzione consente di calcolare l’indice di concentrazione dando un peso maggiore a quelle regioni (osservazioni) che hanno un alto valore
di LQ e che interagiscono spazialmente con regioni anch’esse specializzate in un determinato settore; al contrario, un peso minore sarà dato alle regioni specializzate che rappresentano dei punti isolati nello spazio. Il valore dell’indice di concentrazione spaziale
calcolato per un dato settore sarà quindi necessariamente inferiore a quello a-spaziale, a
meno che il settore in questione non risulti concentrato in regioni geograficamente prossime, che danno vita ad un unico cluster.
1.3.2 Indici di autocorrelazione spaziale globale e locale
Sebbene l’indice di concentrazione spaziale racchiuda un’indicazione dell’interazione tra regioni geograficamente prossime, esso non tiene conto della significatività statistica di tale dipendenza. Per tale ragione è opportuno calcolare un indice di
autocorrelazione spaziale che consenta di rilevare l’eventuale tendenza di regioni simili
(ovvero con LQ simili) ad essere localizzate l’una in prossimità dell’altra. L’indice di
gran lunga più utilizzato a tale scopo è l’I-Moran; esso dà un’indicazione del grado di associazione lineare tra il vettore dei valori osservati della variabile in esame ed il vettore
dei valori spazialmente ritardati. Un valore positivo e significativo di tale statistica indica
che valori simili della variabile analizzata tendono a caratterizzare aree localizzate contiguamente nello spazio. Al contrario, un valore negativo e significativo dell’I-Moran denota la presenza di valori dissimili della variabile in aree contigue. La non significatività
dell’indice implica assenza di autocorrelazione, cioè la presenza di una distribuzione casuale della variabile nello spazio.
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Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
L’indice di Moran, al pari di quello di entropia, è, tuttavia, una statistica sintetica,
che non consente di vedere se la dipendenza spaziale positiva generi cluster di regioni
con livelli alti o bassi di specializzazione, né di individuare i confini geografici degli
stessi. E’ possibile, inoltre, che il grado di dipendenza spaziale vari tra differenti gruppi
all’interno del campione e che ci si trovi, quindi, di fronte a situazioni caratterizzate
dall’esistenza di pochi cluster, localizzati in specifiche parti dell’area in esame, informazione che non emergerebbe da un’analisi di carattere globale.
In considerazione di questi limiti, alcuni lavori sono andati oltre l’analisi globale,
proponendo misure di autocorrelazione locale (LISA, local indicators of spatial
association) in grado di evidenziare la tipologia di concentrazione spaziale delle attività
economiche (in un unico cluster, distribuite su più aree e così via) (Guillain e Le Gallo,
2006). In sostanza, i LISA sono in grado di misurare per ciascuna regione
l’interdipendenza con le altre regioni e di indicarne la tipologia (positiva o negativa) e la
sua significatività. Una rappresentazione visiva di tali processi è fornita dalla cosiddetta
“LISA cluster map”.
1.3.3 Stime di densità univariata e condizionata
Così come l’I-Moran globale, anche l’indice di entropia ha i suoi limiti. Esso è, infatti, un indicatore sintetico della localizzazione (a-spaziale o spaziale), che non esaurisce il complesso delle informazioni contenute nei dati. Queste limitazioni impongono la
necessità di passare da indicatori sintetici di concentrazione a strumenti che descrivano
l’intera distribuzione della variabile in oggetto (ad esempio, dei quozienti di localizzazione). Una distribuzione prossima a quella normale indicherebbe una situazione di equità. Una forte asimmetria a destra della distribuzione segnalerebbe, invece, la presenza di
concentrazione territoriale. L’analisi di densità ha inoltre il vantaggio di evidenziare
l’eventuale presenza di bi-modalità nella distribuzione dei quozienti di localizzazione,
segno dell’esistenza di differenti “bacini di attrazione”. La stima di densità ƒt (x) può essere realizzata per ciascun anno disponibile. Noi ci limitiamo a t = 1980 e 2002 e adottiamo un approccio non-parametrico di stima di verosimiglianza locale della densità
univariata con bandwidth variabile e funzione kernel tricubica (Loader, 1996). Questo
stimatore di densità è particolarmente adatto nei casi, come quello in oggetto, in cui lo
spazio campionario è caratterizzato dalla presenza di valori estremi, ovvero di regioni
molto più specializzate delle altre in un determinato settore.
La dinamica del processo di agglomerazione spaziale dell’attività economica può
essere, infine, studiata ricorrendo ad uno strumento di analisi proposto da Quah (1997)
per esaminare i processi di convergenza economica: la cosiddetta “analisi della dinamica
di transizione”. In breve, questo metodo consiste (nel nostro caso) nello studio della dinamica dell’intera distribuzione dei quozienti di localizzazione delle unità territoriali og-
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Cambiamenti nella geografia economica europea ...
getto di analisi. Esso consente di rappresentare la probabilità che una data regione con un
certo livello, x, di LQ nel periodo iniziale si sposti verso un altro livello, y, di LQ nel periodo finale. Coerentemente con l’analisi univariata di densità, per l’analisi condizionata
si utilizzano stimatori molto robusti ai valori estremi: a) lo stimatore local parametric
conditional density con bandwidth variabile (Hyndman e Yao, 2002) e b) lo stimatore
kernel con mean-bias correction e bandwidth variabile (Hyndman, Bashtannyk e
Grunwald, 1996).
In altre parole, attraverso il calcolo della densità condizionata si descrive la probabilità che una data regione si muova nel periodo finale verso un certo stadio di industrializzazione/specializzazione, dato che essa si trovava in un determinato stadio nel periodo
iniziale. La dinamica della distribuzione spaziale dell’attività economica può quindi essere studiata visualizzando ed interpretando la forma della distribuzione dei valori di LQ
nell’anno 2002 lungo il range di valori di LQ osservati nell’anno 1980. Per visualizzare
la densità condizionata della distribuzione utilizziamo un metodo grafico proposto da
Hyndman (1996): l’“highest conditional density region” (HDR) plot. In esso, ogni banda
verticale rappresenta la proiezione sul piano xy della densità condizionata di y su x; in
ogni banda, inoltre, sono riportate le HDR al 25% di probabilità (regioni grigio scuro),
nonché al 50%, 75% e 90% (regioni grigio chiaro). Una regione a più alta densità è la più
piccola regione dello spazio campionario che contiene una data probabilità. Le HDR offrono una sintesi grafica delle caratteristiche di una funzione di densità: nel caso di distribuzioni uni-modali, esse rappresentano esattamente le probabilità attorno al valore
medio; nel caso di distribuzioni multi-modali, le HDR mostrano, invece, differenti subregioni disgiunte.
Ovviamente, le tecniche di stima della densità univariata e condizionata sono
a-spaziali: non sappiamo se le regioni incluse in una moda sono vicine o lontane nello
spazio. Pertanto, ai fini della descrizione della distribuzione spaziale dell’attività
economica l’analisi di densità deve necessariamente essere integrata dalle tecniche di
analisi spaziale sopra descritte.
1.4 LEGAME TRA DISTRIBUZIONI TEORICHE E GLI ELEMENTI
DELL’A-ESDA
In questo paragrafo si fornirà una chiave di lettura degli indicatori proposti, sulla
base delle caratteristiche riscontrate da Vayà e Suriñach (2003) per ciascuna delle distribuzioni teoriche proposte. La distribuzione omogenea, come si è già accennato, è tipica
degli stadi iniziali del processo di integrazione, quando i costi di trasporto sono così elevati da spingere le imprese a localizzarsi in prossimità dei mercati da servire. Una simile
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Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
distribuzione è rinvenibile anche nello stadio finale dell’integrazione, durante il quale i
costi di congestione contrastano le forze centripete, favorendo la dispersione. E’ chiaro
che una distribuzione di tipo omogeneo sarà caratterizzata da valori bassi dell’indice di
concentrazione e da una funzione di densità univariata dei LQ prossima alla normale
(unimodale e simmetrica), sintomo della presenza di valori simili del quoziente di localizzazione e, dunque, di una ripartizione equa delle attività economiche sul territorio.
Una distribuzione perfettamente omogenea dovrebbe essere anche scevra da particolari
legami di prossimità territoriale, sicché si riscontrano valori non significativi dell’indice
di Moran, per diversi ordini di contiguità considerati, a denotare assenza di autocorrelazione spaziale e, quindi, una distribuzione casuale delle attività nello spazio. La cluster
map evidenzierà la presenza di aree per le quali la statistica considerata è non significativa (almeno in prevalenza). E’ evidente che nella realtà dei paesi industrializzati sia altamente improbabile riscontrare una simile distribuzione per qualsiasi settore di attività
economica.
La distribuzione centro-periferia, al contrario, è caratterizzata dall’esistenza di
due aree distinte: speculari l’una all’altra, entrambe hanno ragione di esistere in funzione
della presenza dell’altra, sintomo di un’elevata autocorrelazione spaziale negativa fra le
stesse. Un valore elevato dell’indice di Theil indica l’esistenza di un’elevata concentrazione che caratterizza tale distribuzione. La funzione di densità sarà chiaramente bimodale, ad indicare la presenza di due distinti bacini di attrazione, uno per valori bassi di
LQ - la Periferia - e l’altro per valori elevati dello stesso - il Centro. L’autocorrelazione
sarà positiva per i primi ordini di contiguità (dunque per le regioni più prossime), ad indicare la presenza di regioni con valori significativamente simili - positivi o negativi dei LQ; all’aumentare della distanza, per ordini di contiguità più elevati, l’autocorrelazione spaziale diventerà negativa. Ne deriva che valori elevati (bassi) dei LQ interagiscono significativamente con valori bassi (elevati): è il Centro che si forma a spese della
Periferia. Le cluster map ripartiranno l’intera area in due sub-regioni, caratterizzate al
loro interno da autocorrelazione spaziale positiva.
Lo stadio intermedio del processo di integrazione identifica altre due possibili distribuzioni, oltre quella centro-periferia: monocentrica e policentrica. In entrambi i casi l’indice di concentrazione assume valori intermedi a quelli riscontrati nelle precedenti
distribuzioni. La densità univariata è sempre asimmetrica. Nel caso della distribuzione
monocentrica, si osserverà la presenza di una moda significativa, dunque una maggiore
presenza di regioni, per valori bassi di LQ e la formazione di un picco (una moda più
bassa non necessariamente significativa) per valori elevati di LQ, a denotare la presenza
di un centro relativamente contenuto (il monocentro). Sulla base delle simulazioni effettuate da Vaya e Suriñach (2003), il correlogramma spaziale dovrebbe essere simile a
quello del centro-periferia, sebbene con alcune importanti differenze: l’autocorrelazione
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Cambiamenti nella geografia economica europea ...
dovrebbe essere inizialmente positiva, diventare negativa per ordini più bassi di contiguità e successivamente annullarsi. La cluster map evidenzierà un gruppo più contenuto rispetto alla distribuzione CP di regioni caratterizzate da dipendenza spaziale positiva,
circondate da altre per le quali la statistica di autocorrelazione è negativa. Nelle restanti
aree le attività si distribuiscono in maniera casuale.
L’analisi di densità nella distribuzione policentrica rivelerà la presenza di una moda
principale e significativa in prossimità del valore medio della variabile e di una o più
mode sia a destra che a sinistra del valore medio. Il grado di asimmetria dovrebbe comunque essere inferiore a quello della distribuzione monocentrica. In un’analisi dinamica, quindi, il passaggio da una distribuzione monocentrica ad una policentrica dovrebbe
essere indicato anche da una riduzione del grado di asimmetria della distribuzione (e,
quindi, un aumento dell’asimmetria potrebbe indicare un rafforzamento del monocentro). La presenza di policentri è evidenziata anche da un’autocorrelazione spaziale negativa tra regioni contigue (dei piccoli sistemi centro-periferia), che si annulla per ordini di
contiguità superiori.
La distribuzione gerarchica rappresenta un’evoluzione della monocentrica: a partire dal monocentro, in seguito all’ulteriore diminuzione dei costi di trasporto, si sviluppa
un processo di diffusione che porta al graduale spostamento delle attività prima verso le
regioni confinanti e poi, a mano a mano, verso quelle più lontane, fino a formare una gerarchia nella quale permane un Centro con valori più elevati di LQ. Nello stadio finale
tale processo porta alla completa dispersione delle attività e, dunque, ad una distribuzione di tipo omogeneo. La densità univariata, in questo caso, è molto simile a quella della
distribuzione monocentrica, ma la concentrazione di probabilità in corrispondenza della
moda significativa si riduce mentre si amplia la coda a destra. La somiglianza tra regioni
sarà più forte per i primi ordini di contiguità (autocorrelazione positiva, più elevata rispetto al caso monocentrico, generata dal processo di diffusione) e si invertirà all’allontanarsi dal monocentro (la dipendenza spaziale diventa negativa), fino ad annullarsi.
1.5 IL RUOLO DELL’ITALIA NELLA GEOGRAFIA ECONOMICA EUROPEA:
UN’ANALISI GENERALE
Prima di procedere all’applicazione dell’A-ESDA ai dati regionali per analizzare la
distribuzione geografica delle attività economiche, è utile fornire un quadro generale del
contributo dei vari paesi dell’UE15 alla formazione del valore aggiunto totale dell’area,
nonché delle modifiche della composizione a livello settoriale.
Il grafico 1 riporta le quote dei paesi (gruppi di paesi) rispetto al valore aggiunto totale dell’area, negli anni 1980, 1992 e 2002. Questa prima informazione molto generale,
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Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
segnala solo qualche marginale modifica nella geografia economica dell’UE-15: più dei
due terzi del valore aggiunto totale continua a formarsi in Germania, Italia, Francia e Regno Unito, sebbene la quota si riduca dal 71,6% del 1980 al 69,7% nel 2002, con la variazione maggiore nel periodo post-Mercato unico. La quota attribuibile all’attività
economica dell’Italia decresce di 1,1 punti percentuali; simile andamento si ha per la
Francia e la Germania, al contrario di quel che accade al Regno Unito che incrementa
(+1,1%) la sua importanza relativa nella produzione di ricchezza in Europa. Tra i paesi
“minori” che aumentano la propria quota, l’Irlanda, la Finlandia, la Grecia e la Svezia accrescono in misura più sostanziale il loro peso nel decennio 1992-2002, rispetto al periodo precedente.
Graf. 1 - VALORE AGGIUNTO TOTALE ECONOMIA: QUOTE PERCENTUALI DEI PAESI
80
71,6
71,4
69,7
70
60
50
40
28,4
30
20
16,9
16,5
28,6
30,3
15,8
10
0
Italia
UE-4*
1980
1992
A ltri**
2002
* Italia, Francia, Germania, Regno Unito
** Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia, Irlanda, Grecia.
Per meglio comprendere le variazioni intervenute nel corso del tempo, è utile analizzare la composizione del valore aggiunto da un punto di vista settoriale, in riferimento
sia alla manifattura, sia ai servizi. Emerge il processo di de-industrializzazione che ha interessato l’Europa negli anni esaminati (tabella 1): la quota dei servizi (di mercato e non)
del nostro campione rappresenta oltre i due terzi del valore aggiunto totale.
Tale peso è, inoltre, crescente nel tempo: nell'arco del periodo considerato aumenta
di ben 5,5 punti percentuali (interamente ascrivibili ai servizi di mercato), mentre si riduce l'importanza relativa dell'industria manifatturiera (dal 22,7 al 20,4%). All'interno del
settore manifatturiero è da segnalare l'aumento della quota dei settori dell'Elettronica (di
- 156 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
oltre tre punti percentuali, anche se la crescita maggiore si è avuta nel periodo 1980-‘92)
e dei Prodotti petroliferi, chimici e della gomma-plastica (di tre punti), mentre si riduce il
peso dei settori tradizionali quali il Tessile e l'abbigliamento (di 3,3 punti) e degli Altri
settori manifatturieri (di 3,2 punti percentuali)2.
Tab. 1
QUOTE SETTORIALI SUL VALORE AGGIUNTO TOTALE E VARIAZIONI
Energia e Minerali
Manifattura
Alimentari, bevande e tabacco
Tessile, abbigliamento e calzature
1980
1992
2002
1980-1992
1992-2002
1980-2002
2,8
2,9
2,5
0,1
-0,4
-0,3
22,7
21,3
20,4
-1,4
-0,9
-2,3
13,7
13,5
13,6
-0,1
0,0
-0,1
9,8
7,8
6,6
-2,0
-1,2
-3,3
14,5
15,9
17,5
1,4
1,6
3,0
Elettronica
9,5
12,0
12,7
2,5
0,7
3,2
Mezzi di trasporto
9,7
10,4
10,1
0,6
-0,3
0,3
Altri manifatturieri
42,8
40,4
39,5
-2,4
-0,8
-3,2
7,2
6,0
5,1
-1,2
-0,9
-2,1
63,9
66,8
69,4
2,9
2,6
5,5
64,0
66,8
69,6
2,8
2,8
5,6
17,7
17,3
16,3
-0,5
-0,9
-1,4
Hotel e ristoranti
4,8
4,4
4,4
-0,4
0,0
-0,4
Servizi finanziari
10,6
8,6
7,1
-2,0
-1,5
-3,4
Trasporti e comunicazioni
10,6
9,9
10,4
-0,7
0,5
-0,2
Altri servizi di mercato
20,3
26,6
31,4
6,3
4,7
11,0
36,0
33,2
30,4
-2,8
-2,8
-5,6
Prodotti petrol., Chimica, Gomma, Plas.
Costruzioni
Totale Servizi
Servizi di mercato
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
Servizi non di mercato
Fonte: elaborazioni su dati Cambridge Econometrics.
Qualche cambiamento sembra, dunque, essere intervenuto nell’UE-15: più modesto
per quel che riguarda la distribuzione geografica dell’attività economica complessiva,
più intenso dal punto di vista della composizione settoriale della stessa. In questo quadro,
l’Italia si differenzia dal resto dell’Europa per quanto riguarda l’andamento delle quote
del valore aggiunto settoriale (grafici 2 e 3): decresce, infatti, tra il 1980 e il 2002 il peso
italiano nel valore aggiunto dei servizi dell’area europea, ad eccezione di quelli finanziari e non di mercato (che, però, segnano una riduzione nel decennio 1992-2002).
Relativamente ai settori manifatturieri, come risulta dal grafico 3, mentre in Europa
si riduce la produzione di beni di consumo tradizionali, anche a causa dei processi di delocalizzazione verso alcuni paesi dell’Est europeo, nonché dell’intensificarsi della concorrenza nel settore da parte delle imprese asiatiche, l’Italia incrementa di ben 8,5 punti
2
La sottosezione “Altri beni manifatturieri” è abbastanza eterogenea, essendo costituita da sei diversi settori industriali:
“Legno e prodotti in legno”, “Carta, stampa ed editoria”, “Minerali non metalliferi”, “Settori non diversamente classificati”,
“Metalli e prodotti in metallo” e “ Macchine ed attrezzature meccaniche”. Gli ultimi due settori rappresentano, nel 2002,
oltre il 50% del raggruppamento.
- 157 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
percentuali (di cui 4,5 nel periodo 1992-2002) la quota del valore aggiunto europeo nel
settore Tessile, Abbigliamento e Calzature, passando dal 30,5 al 39 per cento.
Graf. 2 - SERVIZI. QUOTE DELL’ITALIA SUL CAMPIONE CONSIDERATO (UE-15)
25
22,2
20
20,9
18,2
17,8
17,5
18,7
18,4
15,2
15
15,014,8
14,0 14,5
A ltri
Non Mkt
10
5
0
Hotel
Comm
Fin
Tr&Co
1980
2002
Legenda: Hotel= Hotel e ristoranti; Comm= Commercio all’ingrosso e al dettaglio; Fin= Servizi finanziari;
Tr&Co= Trasporti e comunicazioni; Altri= altri servizi di mercato; Non Mkt= Servizi non di mercato.
Graf. 3 - SETTORI MANIFATTURIERI ED ENERGETICI. QUOTE DELL’ITALIA
SUL CAMPIONE CONSIDERATO (UE-15)
45
39,0
40
35
30,5
30
25
21,1
17,9
20
15
10,6
19,1
18,5
13,6
11,5
11,0
13,6
14,3
15,2
9,6
10
5
0
Min
A li
Tessile
1980
Pet
Ele
Tra
A ltri
2002
Legenda: Min= Prodotti minerari ed energetici; Ali= Alimentari, bevande e tabacco; Tessile= Tessile,
abbigliamento e calzature; Pet= Prodotti petroliferi, Chimica, Gomma e Plastica; Ele= Elettronica, Tra= Mezzi di
trasporto; Altri= Altri manifatturieri.
- 158 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
Un rafforzamento significativo per l’Italia si ha anche nella estrazione di Prodotti
minerari e produzione e fornitura di quelli energetici (da 10,6 a 17,9%, con un incremento di 7,3 punti percentuali, 4,5 dei quali, però, negli anni ’80), mentre una sensibile perdita di quota riguarda la produzione di Mezzi di trasporto (con una caduta di quasi cinque
punti, due terzi dei quali nel periodo 1980-’92). Ciò è verosimilmente il risultato del prolungato ridimensionamento attraversato dall’industria dell’auto, a fronte di una tendenza
opposta in Paesi come la Francia e la Spagna. Stagnante l’apporto nazionale nella produzione europea del settore Elettronico che aumenta, invece, significativamente - e soprattutto nel periodo post-Mercato unico - in Irlanda e nei paesi scandinavi.
1.6 L’APPLICAZIONE DELL’A-ESDA ALL’ANALISI DELLA DINAMICA DELLA
DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELL’INDUSTRIA NELL’UE15 DAL 1980 AL
2002: DATI E RISULTATI
Alla luce del quadro generale tracciato nel paragrafo precedente, l’analisi che segue
ha come principale obiettivo l’identificazione del tipo di distribuzione dell’attività
economica in Europa nel 2002 e la verifica della sua evoluzione dal 1980. La variabile in
esame è il valore aggiunto settoriale di 162 regioni (NUTS-2) appartenenti a 15 paesi
dell’Unione Europea. Più precisamente, il campione include le regioni di Italia, Francia,
Germania, Spagna, Portogallo, Grecia, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Olanda,
Lussemburgo, Danimarca nonché Austria, Finlandia e Svezia, entrate nell’Unione solo
nel 19953. I dati utilizzati sono di fonte Cambridge Econometrics’ European Regional
Databank, basati sulle serie storiche Eurostat. Le informazioni sono disponibili per 12
settori (6 manifatturieri e 6 di servizi), oltre agli aggregati, al settore dei Prodotti
minerari ed energetici e alle Costruzioni. In particolare, si analizzerà la sola dinamica di
localizzazione per il totale della Manifattura e dei Servizi di mercato. Verrà, invece,
mantenuto il riferimento al quadro teorico nell’analisi settoriale limitata, per ragioni di
spazio, a due settori per il manifatturiero, per i quali l’evidenza empirica è più chiara (il
settore tradizionale Tessile, abbigliamento e calzature, e il settore ad alta tecnologia
dell’Elettronica), e ad un settore per i servizi (Servizi finanziari). Qualche nota finale
sarà riservata agli altri settori manifatturieri esaminati nonché al particolare andamento
del settore delle Costruzioni.
3
Per il Regno Unito è stata utilizzata la ripartizione territoriale al livello NUTS-1, mentre la Danimarca, l’Irlanda e il
Lussemburgo sono state considerate come paesi ad unica regione (NUTS-0). Inoltre, al fine di evitare distorsioni nei
risultati, sono state escluse dal campione la Germania Est, i Dipartimenti e Territori d’oltre mare della Francia, le isole
della Spagna (Ceuta e Melilla, le Baleari e le Canarie) e del Portogallo (Azzore e Madeira), nonché le regioni di
Groningen e Flevoland (Olanda) e Vastsverige (Svezia) a causa di missing values e andamenti ritenuti poco verosimili.
- 159 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
E’ il caso di ribadire che le distribuzioni teoriche richiamate nel paragrafo 2 rappresentano solo alcune tra le infinite forme che la localizzazione geografica delle attività
economiche può assumere. Alcune di esse sono tra l’altro difficilmente osservabili nella
realtà, soprattutto per quanto riguarda la produzione manifatturiera. Ciò è particolarmente vero per le configurazioni più “estreme”, quali centro-periferia ed omogenea: è, infatti,
altamente improbabile che le attività economiche siano localizzate interamente in un
Centro ben delimitato e che non vi sia alcuna attività industriale nel resto del territorio;
allo stesso modo non si osserva nella realtà una ripartizione perfettamente equa dell’industria nello spazio. Le cinque tipologie rappresentano, tuttavia, le forme stilizzate a cui
le distribuzioni effettive possono tendere con qualche approssimazione. Esse definiscono
quindi delle ipotesi teoriche a cui rapportarsi nell’interpretazione delle statistiche spaziali. Particolarmente utile ai fini del presente lavoro è il confronto intertemporale: osservare il passaggio - per un determinato settore - da una distribuzione all’altra, il consolidarsi
di una data forma di localizzazione o il verificarsi di modifiche all’interno di questa, può
contribuire a rafforzare o, al contrario, attenuare le predizioni sulla relazione che lega il
processo di integrazione economica alle dinamiche di concentrazione settoriale/specializzazione regionale.
1.6.1 Il settore Manifatturiero
Il grafico A1.a, posto in appendice, riporta i valori degli indici di Theil4 a-spaziale e
spaziale5, nonché il rapporto tra gli stessi per l’intero periodo 1980-2002. L’indice di
Theil a-spaziale diminuisce fino a metà degli anni ’90, segno di una riduzione del grado
di concentrazione delle attività manifatturiere. La contestuale dinamica decrescente
dell’indicatore spaziale indica che il processo di dispersione interessa regioni geograficamente distanti tra loro. Ciò è ben evidenziato anche dal rapporto tra le due misure: il valore dello spatial Theil tende a ridursi più velocemente dell’indice a-spaziale, soprattutto
nel corso degli anni ’90 (periodo della costituzione del Mercato unico). Per contro, a partire dal 1997 sembra esserci una inversione di tendenza, con un innalzamento del grado
di concentrazione.
Lo stesso grafico riporta l’indice di Moran: l’andamento nel tempo della dipendenza spaziale, sostanzialmente decrescente, sebbene con periodiche inversioni di rotta (anni 1989-’92), conferma quanto già rilevato dall’indice di concentrazione spaziale.
4
Al fine di rendere possibile un confronto tra le due misure, gli indici di Theil (spaziale e a-spaziale) sono normalizzati,
cioè divisi per il relativo upper-bound.
5
La matrice dei pesi spaziali utilizzata è del tipo k-nearest neighbors (k-nn), con k pari a 10. E’ stato applicato, cioè, un
criterio di prossimità in base al quale a ciascuna regione vengono “attribuite” esattamente 10 altre regioni con le quali si
sviluppa il sistema di interazioni. La matrice è, inoltre, standardizzata per righe.
- 160 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
L’autocorrelazione resta, comunque, positiva: ciò significa che le regioni nelle quali il
peso relativo della produzione manifatturiera è elevato (basso) continuano ad essere localizzate l’una in prossimità dell’altra, sebbene non formino più un cluster unitario. Ulteriore evidenza è fornita dal correlogramma spaziale, che riporta l’indice di Moran per
10 diversi ordini di contiguità. Ciò consente di verificare la presenza e la tipologia di autocorrelazione all’estendersi del raggio territoriale di riferimento. Come evidenziato nel
grafico A1.b, nel 2002 si riduce il grado di interdipendenza rispetto al 1980: ciò è deducibile oltre che dalla già rilevata diminuzione del valore dell’indice (da 0,3 a 0,2 circa),
dall’allontanarsi delle regioni periferiche da quelle centrali (l’autocorrelazione negativa
raggiunge solo all’8° ritardo spaziale un valore simile a quello che nel 1980 caratterizzava i ritardi spaziali compresi tra il 4° ed il 5°).
Le mappe LISA cluster consentono di distinguere le aree centrali da quelle
periferiche. Nel grafico A1.c l’area in grigio scuro indica la presenza di cluster di regioni
ad alta specializzazione (regioni con valori elevati dei LQ circondate, in maniera
statisticamente significativa, da regioni anch’esse con valori elevati dei LQ); viceversa,
l’area in grigio identifica i cluster di bassa specializzazione (bassi valori dei LQ
circondati da bassi valori dei LQ). La dipendenza spaziale è, invece, negativa nelle aree
con le righe e con i punti: le prime individuano regioni con bassi valori dei LQ
significativamente correlate con regioni ad alto valore dei LQ; il contrario accade nelle
aree con i punti, cosiddette “isolated pole”.
Nel 1980 le aree ad elevata concentrazione relativa delle attività manifatturiere sono
localizzate prevalentemente in Regno Unito, Germania e Nord Italia (Lombardia), mentre gli estremi Sud (Italia meridionale e Grecia) e Nord (Finlandia e Svezia) rappresentano le periferie. I pochi isolated pole sono localizzati in Grecia, Belgio e Svezia. Nel 2002
si assiste al parziale spostamento delle aree con autocorrelazione positiva (relazione altoalto) verso le regioni scandinave, sebbene il “Centro” continui ad essere localizzato nel
territorio tedesco. Si riduce, per contro, l’estensione delle aree periferiche (che continuano ad interessare le regioni del Sud Italia e della Grecia), mentre per una superficie più
ampia del territorio europeo l’interazione spaziale diventa non significativa.
La stima di densità univariata (grafico A1.d) dei LQ mette in luce il cambiamento
intervenuto nella distribuzione e la tendenza all’attenuazione della relazione dicotomica
“centro-periferia”: da asimmetrica a destra nel 1980, la distribuzione assume una forma
sempre unimodale ma asimmetrica a sinistra nel 2002 (l’indice di asimmetria è pari a
0.033 nel 1980 e -0.242 nel 2002); ciò è dovuto alla riduzione della densità in corrispondenza dei livelli di despecializzazione (LQ inferiori ad 1) e al contestuale aumento della
stessa per valori del quoziente di specializzazione superiori all’unità.
L’analisi della dinamica intra-distribuzionale rafforza le conclusioni tratte in precedenza. Il grafico A1.d riporta, a destra, l’HDR plot della stima di densità condizionata
- 161 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
dei valori LQ osservati negli anni 1980 e 2002. In esso sono riportate, inoltre, la bisettrice a 45 gradi e due linee, una orizzontale ed l’altra verticale, in corrispondenza del valore
1 che caratterizza l’ipotesi di una specializzazione regionale pari esattamente a quella
media europea.
Per una corretta interpretazione di questo grafico è opportuno chiarire alcuni punti.
L’intersezione tra le regioni a più alta densità al 25% o al 50% e la diagonale a 45 gradi
indicherebbe che la maggior parte degli elementi della distribuzione restano nella situazione di partenza (nel nostro caso, le regioni manterrebbero nel tempo lo stesso livello di
specializzazione); si avrebbe quindi “forte” persistenza. La persistenza sarebbe, invece,
“debole” nel caso in cui la bisettrice intersecasse solo le regioni a più alta densità al 75%
o 90%. Similmente, qualora la linea orizzontale tracciata in corrispondenza del valore
unitario intersecasse tutte le regioni a più alta densità al 25-50% (75-90%), si tenderebbe
a concludere a favore di un processo di forte (debole) convergenza globale nei livelli di
LQ. Si parlerebbe, invece, di divergenza nel caso in cui tale evidenza si rilevasse in corrispondenza della linea verticale. Infine, se solo alcune regioni a più alta densità fossero
intersecate da una retta orizzontale tracciata in corrispondenza di un qualsiasi valore
dell’asse verticale, la convergenza (forte o debole) si verificherebbe solo localmente o
per club.
I risultati evidenziano come siano le regioni con LQ compresi fra 0,7 e 1,2 nel 1980
a migliorare in misura consistente la loro posizione relativa nella produzione dell’aggregato manifatturiero, passando da una situazione di de-specializzazione ad una di specializzazione manifatturiera: si tratta prevalentemente dell’Irlanda, di alcune regioni svedesi
e finlandesi. Per valori di LQ inferiori a 0,7 e superiori a 1,2 si rileva una convergenza di
tipo locale: le regioni con livelli relativi di produzione manifatturiera inizialmente molto
bassi sembrerebbero convergere su valori di specializzazione ancora molto ridotti, ad indicare una sorta di “trappola di de-specializzazione”. Le regioni con un’iniziale forte presenza relativa di attività manifatturiera mostrano una convergenza locale verso livelli di
specializzazione prossimi a 1,5: si tratta in prevalenza di regioni tedesche e del Regno
Unito.
La distribuzione ergodica indica, infine, la tendenza di lungo periodo del processo
di transizione stocastica. Il grafico 8 mostra chiaramente che il processo tende verso una
distribuzione unimodale, con la moda posizionata a destra del valore medio europeo,
suggerendo una tendenza verso una forte riduzione dei differenziali regionali di LQ nella
manifattura industriale nel lungo periodo.
- 162 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
1.6.1.1 L’analisi settoriale
Sembra, dunque, che le regioni cosiddette centrali perdano parzialmente l’importanza relativa nella produzione manifatturiera europea e che tale attività si diffonda gradualmente in quelle periferiche. Sebbene l’analisi del dato aggregato metta in luce risvolti
interessanti, risulta di rilievo indagare sulle dinamiche di concentrazione settoriale e,
conseguentemente, di specializzazione regionale, al fine di porle in relazione alle predizioni dei teorici della NEG. In quanto segue, pertanto, saranno analizzati due settori manifatturieri: il Tessile, abbigliamento e calzature e il settore dell’Elettronica.
Il settore del Tessile, abbigliamento e calzature è il settore manifatturiero più concentrato e con una tendenza al rafforzamento della clusterizzazione: gli indici di Theil aspaziale e spaziale raggiungono i valori più elevati e sono entrambi crescenti per l’intero
periodo considerato (grafico A2.a). L’aumento della concentrazione spaziale è, inoltre,
più sostenuto tanto che il rapporto tra i due indicatori (spaziale e non) è sempre crescente
e, negli ultimi anni, supera l’unità: ciò indica non solo che l’attività settoriale si concentra in aree sempre più circoscritte, ma anche che tali aree sono sempre più prossime geograficamente ed interdipendenti tra loro. Tale andamento è confermato dall’I-Moran,
sempre positivo e crescente ad indicare il rafforzamento della dipendenza spaziale tra regioni “simili” dal punto di vista dell’importanza relativa che il settore rivestite all’interno
della loro struttura industriale. Il fatto che per l’intero periodo considerato l’autocorrelazione si estenda ai livelli di prossimità successivi al primo (grafico A2.b) lascia supporre
l’esistenza di aree centrali e/o periferiche abbastanza estese, caratterizzate dalla presenza
di un monocentro che tende a rafforzarsi nel tempo (la dipendenza spaziale diventa più
forte nel 2002, ad indicare una maggiore omogeneità delle regioni che ricadono all’interno dei cluster).
La lettura delle mappe (grafico A2.c) può fornire una rappresentazione più dettagliata di quanto avvenuto. Nel 1980 la LISA cluster map evidenzia la presenza di autocorrelazione positiva per le regioni specializzate (con valori alti di LQ) nel Centro-Nord
Est dell’Italia, nonché in Grecia; le regioni periferiche sono situate in prevalenza nel
Nord Europa. Nel 2002 la produzione del Tessile, abbigliamento e calzature si circoscrive ancor di più all’Italia - che intensifica la sua specializzazione nel settore - estendendosi ad altre regioni della penisola. Contestualmente, l’importanza relativa del settore si
riduce in Grecia, anche se sembra aumentare in alcune regioni portoghesi.
L’analisi di densità, univariata e condizionata, evidenzia il consolidarsi di un blocco
ristretto di regioni “centrali” e l’ampliarsi della relativa periferia (grafico A2.d). Aumenta, infatti, la densità in corrispondenza di valori molto bassi dei quozienti di localizzazione. L’aumento dell’asimmetria della distribuzione testimonia l’intensificarsi del divario
di specializzazione conseguente al rafforzarsi del monocentro, rappresentato da alcune
regioni italiane e portoghesi. Al di fuori di questo gruppo ristretto di regioni, nel resto
- 163 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
d’Europa emerge una chiara tendenza verso una minore presenza relativa del settore, con
qualche evidenza di convergenza: sono le regioni con valori più alti di LQ a ridurlo in
misura più consistente nel tempo. In particolare, nel 2002 un folto gruppo di regioni francesi e greche si colloca su livelli di bassa specializzazione o di de-specializzazione.
A parità di condizioni, l’iterazione del processo stocastico descritto dalla stima di
densità condizionata porterebbe nel lungo periodo alla formazione di un monocentro
“puro” nel settore tessile-abbigliamento. La distribuzione ergodica è, infatti, unimodale
con il picco situato in prossimità dello zero: la maggior parte delle regioni tenderebbe
cioè ad abbandonare questo tipo di produzione. Appare inoltre un piccolo addensamento
a destra del valore unitario, a rappresentare il bacino estremamente ridotto di regioni in
cui tenderebbe a concentrarsi tutta l’attività produttiva.
Un particolare andamento si rileva anche per il settore dell’Elettronica, che rimane
geograficamente concentrato: l’indice di Theil, dopo la riduzione intervenuta fino ai
primi anni ’90, nel 2002 ritorna ai livelli del 1980 (grafico A3.a). Fino ai primi anni ’90,
inoltre, la concentrazione spaziale - tra le più elevate settorialmente - è leggermente più
alta di quella a-spaziale, segno che le regioni nelle quali si localizza la produzione del
settore sono geograficamente vicine. E’ opportuno notare che la concentrazione spaziale
nei settori ad alta tecnologia, come l’elettronica, è ritenuta tradizionalmente funzionale
allo sfruttamento di esternalità tecnologiche positive e spillover di conoscenza.
L’inversione di tendenza che caratterizza gli anni successivi segnala una riduzione della
polarizzazione geografica del settore. Le motivazioni dietro questo processo stanno
nell’emergere di alcuni importanti produttori di elettronica in alcune regioni del Nord
Europa. Occorre inoltre osservare che la diffusione di internet avvenuta proprio nel corso
degli anni ’90 ha allentato il vincolo della prossimità spaziale prima necessaria per un
appropriato sfruttamento delle esternalità di conoscenza tecnologica. L’autocorrelazione
spaziale, sempre positiva, si riduce infatti a partire dal 1992; sia nel 1980 che nel 2002,
comunque, la dipendenza resta positiva per i primi tre ordini di contiguità, diventa
negativa per ordini di contiguità superiori e tende, successivamente, ad annullarsi
(grafici A3.a e A3.b). Anche in questo caso la distribuzione sembra assumere una forma
di tipo monocentrico, anche se in misura meno intensa nel 2002. Ciò può essere
attribuito ad una variazione della composizione regionale del Centro, visibile dalle LISA
cluster map (grafico A3.c): mentre nel 1980 le regioni specializzate nella produzione
settoriale occupano il territorio della Germania e il confinante territorio del Sud-Est
francese, nel 2002 le regioni scandinave di Svezia e Finlandia si sostituiscono a quelle
tedesche settentrionali.
L’analisi di densità (grafico A3.d) mette in luce il cambiamento intervenuto: la
moda della distribuzione si sposta da valori di LQ inferiori a 0,5 su valori intorno a 1,2; si
riduce, inoltre, la densità sia in corrispondenza di livelli di de-specializzazione, sia per li-
- 164 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
velli più elevati di specializzazione (la coda a destra della distribuzione). La gobba - ben
chiara nel quadrante in alto a sinistra della stima di densità condizionata - segnala proprio la consistente modifica della posizione relativa di alcune regioni che acquisiscono
nel tempo una specializzazione nel settore dell’Elettronica: sono le regioni svedesi e finlandesi. Persistono, invece, nella loro condizione la maggior parte delle altre regioni che
sono de-specializzate nel 1980. Una tendenza di lungo periodo verso la convergenza su
valori superiori all’unità è messa chiaramente in evidenza dalla distribuzione ergodica.
1.6.1.2 Gli altri settori
Riportiamo, infine, alcuni tratti di sintesi sugli altri settori manifatturieri analizzati,
cioè Alimentari, bevande e tabacco, Mezzi di trasporto, Prodotti petroliferi, chimica,
gomma e plastica e Altri settori manifatturieri. Tale esercizio è utile al fine di fornire una
visione più completa dei movimenti nelle specializzazioni settoriali nel corso del processo di integrazione, sebbene l’evidenza per questi settori fornisca indicazioni meno chiare
rispetto a quelle già discusse per il Tessile, abbigliamento e calzature e per l’Elettronica.
Il settore tradizionale degli Alimentari, bevande e tabacco è caratterizzato da un crescente grado di concentrazione a-spaziale a cui corrisponde, però, un ridotto livello di
concentrazione spaziale. Ciononostante, nel tempo la produzione di tali manufatti tende
a circoscriversi ad alcune regioni della Spagna e del Sud Ovest della Francia, le quali intensificano la propria specializzazione nel settore. A fronte di tale evidenza, si tende ad
interpretare il risultato in favore dell’esistenza di una distribuzione di tipo monocentrico
che tenderebbe a rafforzarsi nel tempo. Si può parlare, invece, di persistenza di una distribuzione monocentrica nel caso dei settori Mezzi di trasporto e Prodotti petroliferi,
chimica, gomma e plastica. Per quanto riguarda quest’ultimo settore, le regioni più specializzate - nell’intero periodo considerato - sono localizzate nel Nord Est della Francia e
in Belgio. Nel caso dei Mezzi di trasporto, la concentrazione (spaziale e non) è tra le più
elevate all’interno della categoria manifatturiera; ciò è da ricondurre sicuramente alla
struttura industriale del settore, caratterizzato dalla presenza di imprese medio-grandi e
da rilevanti economie di scala. E’ vero che in termini dinamici, il lieve incremento del
grado di concentrazione a-spaziale non ha trovato corrispondenza in termini spaziali: tale
evidenza, tuttavia, può essere ricondotta ad eventi isolati legati alle strategie di de-localizzazione di alcune (grandi) imprese operanti nel settore.
Infine, il raggruppamento degli Altri settori manifatturieri ha la caratteristica di essere troppo eterogeneo, essendo costituito da sei diversi settori. Ciò sicuramente costituisce un limite per l’analisi, poiché una simile aggregazione non consente di rilevare i
pattern di distribuzione specifici dei singoli settori. Si può osservare, comunque, come
l’andamento del raggruppamento sia simile a quello descritto per il totale manifatturiero,
di cui lo stesso rappresenta circa il 40% nel 2002.
- 165 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
1.6.2 Servizi di mercato
Per quanto riguarda i Servizi di mercato, il livello di concentrazione è molto più
basso rispetto a quello rilevato per la manifattura (grafico A4.a). Questo risultato non
sorprende dato che la produzione della maggior parte dei servizi è molto meno mobile
della manifattura e deve avvenire in prossimità della domanda, ovvero dappertutto. Lo
sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione può aver allentato il
vincolo della prossimità geografica per lo sfruttamento delle esternalità di conoscenza in
quei settori più mobili come i servizi finanziari. Anche l’autocorrelazione spaziale,
positiva nel 1980, sebbene solo per i primi ordini di contiguità (grafici A4.a e A4.b),
tende ad annullarsi negli anni più recenti: tale risultato, unito al basso valore dell’indice
di Theil denota una distribuzione relativamente omogenea delle attività di Servizi. Le
LISA cluster map (grafico A4.c) sono caratterizzate dalla presenza di ampie aree nelle
quali la dipendenza spaziale è non significativa; ciò si osserva per la maggior parte del
territorio dell’Europa continentale sia nel 1980 che nel 2002.
L’asimmetria nella distribuzione si riduce nel tempo e aumenta la densità in corrispondenza dell’unica moda, collocata su valori di LQ pari a 0,9 in entrambi gli anni considerati. La stima di densità condizionata (grafico A4.d) mette in luce l’esistenza di un
processo di convergenza locale tra le regioni non specializzate (cioè con valori di LQ inferiori all’unità) e un altro più debole processo di convergenza locale tra le altre regioni.
In particolare, alcune regioni scandinave passano da specializzate nel 1980 a de-specializzate nel 2002.
Interessante è il cambiamento osservabile nella distribuzione delle attività relative ai
Servizi finanziari. Il grado di concentrazione, sia a-spaziale che spaziale, non appare
particolarmente elevato, così come in generale si rileva per le categorie di servizi; è, inoltre, decrescente fino a metà degli anni ’90 (grafico A5.a). Particolarmente sostenuta è la
riduzione nello stesso periodo del rapporto fra i due indici di Theil, spaziale e non: ciò
indica che non solo le attività finanziarie si disperdono nello spazio geografico, ma anche
che tale dispersione avviene in modo piuttosto casuale. L’autocorrelazione spaziale, infatti, si annulla nel tempo: l’indice di Moran da un iniziale valore positivo e significativo
si riduce notevolmente fino a raggiungere lo zero (o porsi leggermente al di sotto di questo) a partire dagli anni l994-’95 e seguenti. La distribuzione delle attività finanziarie nel
1980 sembra approssimare la tipologia monocentrica: l’analisi di densità univariata (grafico A5.d) della distribuzione evidenzia la presenza di un secondo picco per i valori più
alti del quoziente di localizzazione, a conferma dell’esistenza di un certo grado di concentrazione; la dipendenza spaziale, come si può notare dal grafico A5.b è positiva per i
primi ordini di contiguità, ad indicare dei cluster di regioni omogenee (centro e/o periferia), diventa negativa per poi tendere verso lo zero. Esiste, dunque, una relazione di dipendenza tra gruppi eterogenei tra loro, omogenei al loro interno, che si annulla nel
- 166 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
lungo raggio. I gruppi omogenei (grafico A5.c, LISA cluster map) sono costituiti da buona parte delle regioni austriache, tedesche e del Sud della Svezia, per quanto riguarda il
“Centro”, da Irlanda, Regno Unito, Grecia e alcune regioni della penisola iberica, per
quanto riguarda la “Periferia”. Il processo di integrazione dei mercati europei non sembra aver prodotto in questo caso gli effetti predetti di aumento della concentrazione e della specializzazione delle aree già individuate. Nel 2002, infatti, gli indicatori sembrano
segnalare una distribuzione piuttosto omogenea delle attività del settore: il livello di concentrazione si riduce (sebbene sia in aumento dal 1996), l’autocorrelazione spaziale si
annulla, per tutti gli ordini di contiguità considerati e la mappa degli I-Moran locali segnala una localizzazione quasi interamente casuale dei Servizi finanziari; uniche eccezioni sono rappresentate dalla regione francese di Parigi (Ile-de-France), dal
Lussemburgo, e dalla regione svedese di Stoccolma.
La tendenza della distribuzione ad assumere una forma piuttosto omogenea si evince anche dall’analisi della densità. La densità condizionata (grafico A5.d) ben evidenzia
la tendenza alla convergenza globale. Permangono, tuttavia, alcune regioni di “eccellenza” (il Lussemburgo, in particolare). La moda della distribuzione non si modifica nel
tempo, mentre aumenta in probabilità il numero di regioni che migliorano la propria posizione relativa nel settore6.
1.6.3 Costruzioni
Qualche nota, infine, sul settore delle Costruzioni. In questo caso, l’evidenza empirica va interpretata alla luce di due considerazioni. La prima è relativa alla natura del settore, che tende a concentrarsi laddove si attivano progetti di edilizia e di
infrastrutturazione territoriale e, per ciò stesso, ad essere meno influenzato dalle logiche
di agglomerazione che operano nei modelli della NEG; la seconda - collegata in qualche
modo alla prima - è che l’andamento del settore potrebbe essere fortemente condizionato
(più di altri settori) dalle politiche regionali europee di ampliamento, ammodernamento e
ristrutturazione della rete infrastrutturale, messe in atto a partire dagli anni ’90.
Se si fa riferimento al grafico A6.a proprio dai primi anni ’90 l’indice di concentrazione (sia a-spaziale che spaziale) recupera una dinamica crescente fino a raggiungere
nel 2002 un valore superiore a quello del 1980. Forte è la dipendenza spaziale: il rapporto tra i due indicatori di Theil è crescente (si intensifica la prossimità geografica delle
aree in cui si sviluppa l’attività settoriale), così come l’indice di Moran. Le mappe (grafi-
6
Una precisazione si rende necessaria per la regione di Londra, che diventa specializzata nel 2002 (non lo era nel
1980). Insieme al Lussemburgo è la regione nella quale il valore aggiunto settoriale ha registrato la maggiore crescita (è
triplicato dal 1980 al 2002); tuttavia, il grado di eterogeneità del tessuto economico locale la pone, al contrario proprio del
Lussemburgo, su livelli di specializzazione nettamente più contenuti.
- 167 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
co A6.c). evidenziano come il processo di intensificazione delle attività legate al settore
delle costruzioni sia stato segnato dall’intervento pubblico: ha, infatti, interessato prevalentemente tre dei quattro paesi destinatari delle Fondo di Coesione, le cui risorse sono
state destinate in larga parte al rinnovamento e all’ampliamento della dotazione infrastrutturale. Le regioni della Spagna, del Portogallo e della Grecia sono, infatti, caratterizzate da dipendenza spaziale positiva per valori alti dei quozienti di localizzazione7.
La stima univariata (grafico A6.d) mostra un consistente aumento della densità per
valori di LQ prossimi all’unità, unitamente ad un leggero incremento della coda a destra
della distribuzione. L’analisi della dinamica intradistribuzionale mette bene in luce la
formazione di due cluster di convergenza, uno per valori di LQ inferiori e prossimi
all’unità, uno per valori superiori a 1,5. La presenza di una gobba per valori di LQ compresi tra 1 e 1,5 segnala, infine, l’intensificarsi del processo di specializzazione regionale/concentrazione settoriale in alcune aree.
1.7 CONCLUSIONI
I risvolti di un processo di integrazione economica come quello europeo sono evidentemente molteplici. Differenti sono, anche, le chiavi di lettura che si possono adottare
per un’interpretazione: in positivo, se si fa riferimento all’incremento del mercato potenziale determinato dalla riduzione dei costi di transazione che caratterizza la crescente integrazione, nonché alla maggiore e, almeno teoricamente, più agevole disponibilità di
fattori produttivi, legata all’incremento della mobilità del lavoro e dei capitali; in negativo, se si guarda alla rinuncia, in un’area a valuta comune, alla gestione della politica monetaria come strumento di aggiustamento a disturbi nazionali specifici.
Alcuni analisti, soprattutto sulla sponda americana, hanno cercato di prevedere, nei
primi anni novanta, gli sviluppi dell’integrazione europea, sulla base sia delle indicazioni
degli schemi teorici della Nuova Geografia Economica, sia dell’esperienza di quella plurisecolare unione monetaria rappresentata dagli Stati Uniti d’America (Krugman, 1993).
Quelle argomentazioni ponevano in luce la possibilità di un’accentuazione, in Europa,
delle eterogeneità territoriali e la conseguente maggiore difficoltà a gestire in modo adeguato la risposta a shock asimmetrici in presenza di una politica monetaria unica. Tale
prospettiva veniva collegata all’intensificazione delle specializzazioni regionali, causata
dall’abbattimento dei costi di transazione e dalla più elevata mobilità di alcuni fattori
produttivi (capitale e lavoro altamente qualificato) che si accompagnano al processo di
7
La mancanza di una simile evidenza per l’Irlanda, quarto paese della Coesione, potrebbe essere dovuta alla matrice
dei pesi spaziali utilizzata, che impone un’interazione con regioni nelle quali l’attività settoriale è più bassa.
- 168 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
integrazione. In assenza di opportuni meccanismi di compensazione, ciò avrebbe reso le
singole aree più vulnerabili a cadute della domanda (dovute al mutamento dei gusti dei
consumatori, anche per l’eventuale apparire di nuovi competitori) che colpiscono in
modo specifico le industrie di specializzazione. A corollario di ciò, si evidenziava anche
il rischio che shock transitori di domanda, per l’assenza di strumenti di rapido aggiustamento, avessero effetti permanenti di ampliamento dei divari di crescita per lo spostamento dei fattori dalle regioni in contrazione a quelle in espansione.
Alla luce di queste predizioni, nel presente lavoro si è cercato di verificare com’è
cambiata la geografia economica europea nel periodo di maggiore integrazione (19802002) che ha visto la nascita del Mercato Unico e l’introduzione dell’euro, riservando
una maggiore attenzione al ruolo rivestito dall’Italia. In particolare, facendo riferimento
ad alcune modalità teoriche di distribuzione geografica delle attività economiche, derivate a partire dalle predizioni della NEG, e con l’ausilio di una serie di indicatori statistici di
analisi globale e locale (A-ESDA), si è analizzata la distribuzione territoriale di alcuni
settori industriali, manifatturieri e dei servizi, nonché i cambiamenti intervenuti nel corso
del tempo.
Una prima conclusione è relativa alle modifiche osservabili in Europa, in generale,
per quanto riguarda la localizzazione territoriale dell’attività economica e la sua composizione settoriale. Relativamente al primo punto, l’evidenza pone in luce un seppur contenuto processo di diffusione della produzione del valore aggiunto, dalle regioni
“centrali” verso quelle “periferiche”, processo che si è orientato soprattutto in direzione
Nord, coinvolgendo principalmente le regioni della Svezia, della Finlandia, dell’Irlanda,
e Ovest, riguardando Spagna e Portogallo; la direzione Sud (Mezzogiorno italiano, Grecia) non sembra invece essere stata interessata da significativi processi di diffusione. Per
quanto riguarda la composizione settoriale del valore aggiunto manifatturiero, dal 1980
al 2002 si è osservata una riduzione del contributo del settore tradizionale del Tessile, abbigliamento e calzature a cui è corrisposto un aumento della quota dei settori più innovativi, come quello dell’Elettronica. In tale contesto, l’Italia sembra aver seguito poco
l’Europa, mostrando una tendenza a rafforzare la sua specializzazione proprio nel Tessile, abbigliamento e calzature e a ridurre la produzione di Mezzi di trasporto, mentre del
tutto trascurabile è la variazione della propria quota nei settori ad alta tecnologia.
Quanto questi cambiamenti sono riconducibili al processo di integrazione economica dell’Europa e, soprattutto, quali sono stati i risvolti di tale processo in termini di incremento della specializzazione regionale? L’analisi settoriale consente di fornire una prima
risposta alla domanda. Si è visto come il settore degli Alimentari, bevande e tabacco possa ritenersi caratterizzato dalla presenza di un monocentro che si consolida nel tempo,
circoscrivendosi ad alcune regioni della Spagna e della Francia che rafforzano la loro
specializzazione settoriale. Anche nel caso dei settori manifatturieri analizzati più in det-
- 169 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
taglio, cioè Tessile, abbigliamento e calzature ed Elettronica, l’evidenza ha portato a concludere il mantenimento nel tempo di una distribuzione di tipo “monocentrico”.
Nonostante la similitudine, questo risultato sottende due comportamenti differenziati. Infatti, mentre per quanto riguarda il settore tradizionale del Tessile e abbigliamento la crescente concentrazione è stata accompagnata da una progressiva polarizzazione che ha
interessato principalmente le regioni che già risultavano specializzate nel settore (quelle
italiane, soprattutto, ma anche alcune regioni portoghesi), ciò non si è verificato per il
settore innovativo dell’Elettronica. In quest’ultimo caso si è osservato un parziale spostamento della concentrazione settoriale verso regioni (scandinave) in precedenza de-specializzate nella produzione settoriale. Non sembra, invece, che si siano prodotte
variazioni significative nella geografia economica per i settori dei Mezzi di trasporto e
dei Prodotti petroliferi, chimica, gomma e plastica.
Si può concludere, dunque, che indicazioni di un rafforzamento della specializzazione regionale in seguito al processo di integrazione sembrano essere rispettate nel caso dei
settori tradizionali del Tessile, abbigliamento e calzature e Alimentari, bevande e tabacco. Nel caso del settore a più elevata tecnologia dell’Elettronica, si è confermata una tendenza alla concentrazione che, però, si è spostata in aree diverse da quelle iniziali e che
in precedenza apparivano come periferiche. Nei settori dei Mezzi di trasporto e dei Prodotti petroliferi, chimica, gomma e plastica si ha evidenza di una persistenza della situazione iniziale. Una possibile spiegazione del diverso andamento dei settori può venire
dalla differente natura della conoscenza tecnologica che li caratterizza: è possibile che
nel settore a più alta intensità tecnologica (Elettronica) una parte crescente dell’informazione che costituisce i cosiddetti spillovers sia divenuta codificabile e, pertanto, più facilmente trasferibile nello spazio, grazie anche alla crescente diffusione delle tecnologie
dell’informazione; al contrario, i settori tradizionali sarebbero maggiormente legati alla
conoscenza derivante dal “sapere locale”, più radicata territorialmente.
Non pare rispettata la predizione teorica nel caso dei Servizi finanziari, la cui distribuzione geografica da sostanzialmente “monocentrica”, qual era nel 1980, appare pressoché “omogenea” nel 2002, anche se con qualche eccezione (come il Lussemburgo).
Infine, il settore delle Costruzioni appare segnato dall’integrazione europea, anche
se attraverso meccanismi che si sottraggono alle regole del mercato. Il consistente incremento del valore aggiunto settoriale che si osserva nel 2002 in paesi quali la Spagna, la
Grecia e il Portogallo è verosimilmente determinato dalla spesa per la dotazione e l’ammodernamento della rete infrastrutturale, sostenuta in tali paesi dalla politica regionale
europea attraverso il Fondo di Coesione.
- 170 -
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
1980
1990
0.0025
0.0040
Spatial Theil
0.0055
Theil
0.0065
A1 - MANIFATTURA
Grafico A1.a - Indici di Theil e indice di Moran
2000
1980
1990
1990
0.26
0.22
0.55
0.40
1980
0.30
Relative Moran index
year
0.70
Ratio between spatial and a−spatial Theil
year
2000
2000
1980
1990
year
2000
year
Grafico A1.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002
1980
0.0
0.1
Moran’s I
0.1
−0.1
0.0
−0.1
Moran’s I
0.2
0.2
0.3
0.3
0.4
2002
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1
lags
2
3
4
5
6
lags
- 171 -
7
8
9
10
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Grafico A1.c - LISA cluster maps
1980
2002
Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione
basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione
basso-alto
1.5
1.5
2.0
2.0
Grafico A1.d - Densità univariata e condizionata
0.5
1.0
2002
1.0
0.0
0.0
0.5
density
1980
2002
Ergodic
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
−0.5
0.0
0.5
1.0
1980
Skewness: 1980= 0.0332019; 2002= -0.2418163
- 172 -
1.5
2.0
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
A2 -TESSILE, ABBIGLIAMENTO E CALZATURE
0.055
0.025
0.040
Spatial Theil
0.045
0.035
Theil
0.055
Grafico A2.a - Indici di Theil e indice di Moran
1980
1990
2000
1980
1990
year
1980
1990
0.26
0.28
0.30
Relative Moran index
0.75 0.85 0.95 1.05
Ratio between spatial and a−spatial Theil
year
2000
2000
1980
1990
year
2000
year
Grafico A2.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002
2002
0.2
0.1
Moran's I
0.0
0.1
-0.1
0.0
-0.2
-0.1
-0.2
Moran's I
0.2
0.3
0.3
1980
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1
lags
2
3
4
5
6
lags
- 173 -
7
8
9
10
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Grafico A2.c - LISA cluster maps
1980
2002
Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva,
relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione
negativa, relazione basso-alto
2002
0.0
0
1
0.5
2
1.0
density
1980
2002
Ergodic
3
4
1.5
5
2.0
6
Grafico A2.d - Densità univariata e condizionata
−1
0
1
2
3
4
5
6
−1
0
1
2
3
1980
Skewness: 1980= 1.640187; 2002= 2.966916
- 174 -
4
5
6
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
A3 -ELETTRONICA
1980
1990
0.010
0.014
Spatial Theil
0.015
0.013
Theil
Grafico A3.a - Indici di Theil e indice di Moran
2000
1980
1990
1980
1990
0.55
0.45
0.35
0.8
1.0
Relative Moran index
year
0.6
Ratio between spatial and a−spatial Theil
year
2000
2000
1980
1990
year
2000
year
Grafico A3.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002
2002
0.1
Moran's I
0.0
0.2
-0.1
0.0
-0.2
-0.2
Moran's I
0.2
0.4
0.3
0.4
0.6
1980
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1
lags
2
3
4
5
6
lags
- 175 -
7
8
9
10
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Grafico A3.c - LISA cluster maps
1980
2002
Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva,
relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione
negativa, relazione basso-alto
1.0
1.5
0.0
−0.5
0.0
0.2
0.5
2002
0.6
1980
2002
Ergodic
0.4
density
0.8
2.0
2.5
1.0
Grafico A3.d - Densità univariata e condizionata
0
1
2
3
0.0
0.5
1.0
1.5
1980
Skewness: 1980= 0.569; 2002= 1.125
- 176 -
2.0
2.5
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
A4 - SERVIZI DI MERCATO
1980
1990
3e−04
6e−04
Spatial Theil
0.0015
0.0013
Theil
0.0017
9e−04
Grafico A4.a - Indici di Theil e indice di Moran
2000
1980
1990
1980
1990
0.00
0.06
Relative Moran index
0.12
year
0.20 0.30 0.40 0.50
Ratio between spatial and a−spatial Theil
year
2000
2000
1980
1990
year
2000
year
Grafico A4.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002
2002
0.00
Moran's I
-0.05
0.05
-0.10
0.00
-0.15
-0.05
-0.10
Moran's I
0.10
0.05
0.15
0.10
0.20
1980
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1
lags
2
3
4
5
6
lags
- 177 -
7
8
9
10
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Grafico A4.c - LISA cluster maps
1980
2002
Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva,
relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione
negativa, relazione basso-alto
1.2
1.0
0.0
0.6
0.5
0.8
2002
1.5
1980
2002
Ergodic
1.0
density
2.0
1.4
2.5
1.6
3.0
Grafico A4.d - Densità univariata e condizionata
0.5
1.0
1.5
0.5
1.0
1.5
1980
Skewness: 1980= 0.885; 2002= 0.488
- 178 -
2.0
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
A5 - SERVIZI FINANZIARI
0.010
0.002
0.006
Spatial Theil
0.010
0.008
Theil
Grafico A5.a - Indici di Theil e indice di Moran
1980
1990
2000
1980
1990
1980
1990
0.0
0.2
0.4
Relative Moran index
year
0.4 0.6 0.8 1.0
Ratio between spatial and a−spatial Theil
year
2000
2000
1980
1990
year
2000
year
Grafico A5.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002
2002
0.05
0.00
Moran's I
0.2
-0.05
0.0
-0.2
Moran's I
0.4
1980
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1
lags
2
3
4
5
6
lags
- 179 -
7
8
9
10
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Grafico A5.c - LISA cluster maps
1980
2002
Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva,
relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione
negativa, relazione basso-alto
1.5
3.0
Grafico A5.d - Densità univariata e condizionata
1.5
0.0
0.0
0.5
1.0
0.5
2002
density
2.0
1.0
2.5
1980
2002
Ergodic
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
0.0
0.5
1.0
1.5
1980
Skewness: 1980= 1.151; 2002= 4.90
- 180 -
2.0
2.5
3.0
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
1980
1990
0.0015
0.0035
Spatial Theil
0.0040
0.0025
Theil
A6 - COSTRUZIONI
Grafico A6.a - Indici di Theil e indice di Moran
2000
1980
1990
1980
1990
0.25
0.10
0.7
0.9
Relative Moran index
0.40
year
0.5
Ratio between spatial and a−spatial Theil
year
2000
2000
1980
1990
year
2000
year
Grafico A6.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002
2002
0.3
0.2
Moran's I
0.1
0.0
-0.1
0.0
-0.1
-0.2
Moran's I
0.1
0.4
0.2
0.5
1980
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1
lags
2
3
4
5
6
lags
- 181 -
7
8
9
10
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Grafico A6.c - LISA cluster maps
1980
2002
Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva,
relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione
negativa, relazione basso-alto
1.5
0.0
0.5
1.0
0.5
density
1980
2002
Ergodic
2002
1.0
2.0
2.5
1.5
Grafico A6.d - Densità univariata e condizionata
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
0.0
0.5
1.0
1.5
1980
Skewness: 1980= 0.212; 2002= 1.210
- 182 -
2.0
2.5
Cambiamenti nella geografia economica europea ...
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- 184 -
2 Gli effetti della moneta unica sul commercio degli
Stati Membri. La posizione competitiva dell’Italia
2.1 INTRODUZIONE
L’incremento dei flussi di commercio rappresenta uno dei benefici attesi dalla costituzione di un’area valutaria. L’interesse su questo aspetto ha assunto maggior rilevanza
in seguito al famoso articolo di Andrew Rose del 20001, secondo il quale i flussi commerciali tra paesi, qualora si introduca una valuta comune, aumenterebbero nell’ordine
del 300%. Nell’ambito del dibattito che ne è scaturito, recentemente alcuni lavori hanno
analizzato il caso specifico dell’UEM.
La letteratura empirica post-Rose, relativa al caso dell’UEM, ha mostrato, con poche eccezioni, che a livello aggregato l’adozione dell’euro ha avuto un impatto positivo,
ma non di grande entità, sul commercio bilaterale dei paesi europei2. Questo risultato, nel
periodo più recente, ha orientato il campo di studio verso un livello più disaggregato di
analisi, per verificare come gli effetti della moneta unica si siano distribuiti tra i diversi
settori industriali.
In tale contesto si inserisce questo capitolo, il cui scopo è quello di studiare attraverso alcune verifiche empiriche se e come l’adozione dell’euro abbia influenzato, nel breve
termine, il commercio degli Stati membri, e in particolare dell’Italia. L’analisi è stata
condotta a livello sia aggregato sia settoriale.
Il capitolo è organizzato come segue: nel secondo paragrafo sono richiamati brevemente gli aspetti teorici relativi ai costi e benefici derivanti dall’adozione di una valuta
comune; nel terzo paragrafo si effettua una breve rassegna della letteratura empirica più
recente limitata agli effetti commerciali dell’adozione dell’euro. Nel quarto, quinto e sesto paragrafo si mostrano i risultati dell’analisi econometrica svolta a livello aggregato,
settoriale e per settore/paese. Infine, vengono riportate alcune conclusioni.
1
Si veda Rose (2000).
2
Per una rassegna sulla letteratura empirica relativa agli effetti commerciali di una unione valutaria, si veda Rose e
Stanley (2005).
- 185 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
2.2 I COSTI E I BENEFICI DELLA VALUTA UNICA
Gli effetti attesi sulle economie nazionali e su quella europea nel suo insieme della
realizzazione dell’UME sono di natura sia micro sia macro-economica. A scopo espositivo, possono essere classificati in effetti diretti e indiretti; entrambe le tipologie precedenti possono a loro volta essere differenziate in effetti statici e dinamici.
Gli effetti diretti sono quelli immediatamente dipendenti dalla Moneta unica (vale a
dire la riduzione dei costi di transazione), quelli indiretti sono determinati dalla conduzione dalla politica monetaria comune3. Gli effetti statici si realizzano una tantum all’inizio del processo di integrazione monetaria, quelli dinamici si manifestano gradualmente
nel medio-lungo termine e si dovrebbero tradurre in un maggiore potenziale di crescita
economica. Una schematizzazione dei costi e benefici è contenuta nella tabella 1.
Tra i vantaggi diretti, uno dei più rilevanti a fini della nostra analisi è rappresentato
dalla scomparsa della variabilità del cambio: attraverso l’eliminazione dei costi di copertura del rischio valutario si favorirebbero i flussi commerciali e gli investimenti diretti
esteri. L’eliminazione dell’incertezza sul cambio dovrebbe anche ridurre il tasso di interesse, attraverso l’abbattimento del premio per il rischio, favorendo maggiori investimenti da parte delle imprese. In aggiunta all’effetto volatilità, è possibile ipotizzare che
l’adozione di una valuta comune venga percepita come un impegno assai più vincolante
rispetto all’istituzione di un regime a cambi fissi e sia in grado, quindi di determinare
cambiamenti strutturali nelle aspettative di mercato.
Tab.1
COSTI E BENEFICI DELL’EURO
Benefici dell’euro
Maggiore efficienza nell’allocazione delle risorse
(attraverso maggiore comparabilità dei prezzi e un aumento del grado di concorrenza).
Maggiore stabilità macroeconomica
(vincoli europei di stabilità macroeconomica e di finanza pubblica).
Eliminazione rischio di cambio, abbattimento costi transazione.
Benefici “esterni”
(l’euro come moneta di scambio nei rapporti commerciali extra-UE, come divisa di portafoglio
per gli investimenti internazionali e come valuta di riserva per le banche centrali).
Costi dell’euro
Perdita della sovranità nazionale sulla politica monetaria.
I costi associati all’euro sono rappresentati dalla perdita di una politica monetaria
nazionale e, di conseguenza, anche dello strumento del tasso di cambio. In particolare,
gli effetti negativi sono commisurati per ciascuna economia all’importanza che veniva
3
Ad esempio, la riduzione dei tassi di interesse derivante dalla stabilità valutaria.
- 186 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
attribuita, prima dell’adesione all’area valutaria, all’indipendenza della politica monetaria e, quindi, al grado di integrazione con gli altri paesi appartenenti all’area valutaria4.
2.3 MONETA UNICA E COMMERCIO: UNA BREVE SINTESI DELLA
LETTERATURA
La letteratura più recente che si è occupata degli effetti dell’euro sul commercio internazionale può essere, a scopo espositivo, classificata sulla base dell’utilizzo di modelli statici o dinamici. Un’ulteriore distinzione va fatta tra i lavori che utilizzano dati di
commercio aggregati e quelli che invece hanno condotto analisi a livello settoriale.
Nella tabella 2 viene riportata una selezione dei lavori più significativi sull’argomento. Dall’esame dei principali lavori emerge che la maggior parte della letteratura empirica è accomunata da tre elementi.
Tab.2
MODELLI DI ANALISI STATICI E DINAMICI
Dati aggregati
Modelli Statici
Modelli dinamici
De Souza (2002)
de Nardis Vicarelli (2003)
Barr et al. (2003)
Bun and Klaassen (2002a)
Micco et al (2003)
Micco et al (2003)
Bun and Klaasen (2006)
de Nardis, de Santis Vicarelli (2007)
Faruquee (2004)
Berger and Nitsch (2005)
Flam and Nordstrom (2003)
Dati settoriali
Fernandes (2006)
Baldwin et al. (2005)
Flam and Nordstrom (2006)
i) Utilizzo di modelli gravitazionali e di tecniche di stima econometriche panel.
E’ interessante notare che a partire dall’articolo di Glick and Rose (2002), la maggioranza dei lavori empirici sul commercio internazionale ha utilizzato tecniche di analisi di
tipo panel anziché di tipo cross section, allo scopo di tenere conto anche della dimensione temporale del commercio.
Gli studi, con pochissime eccezioni, adottano un modello gravitazionale che
include, accanto alle variabili standard (massa e distanza geografica), variabili dummy in
grado di cogliere aspetti istituzionali (UEM, UE, accordi preferenziali); in alcuni lavori,
vengono introdotte varie misure del tasso di cambio e di volatilità 5.
4
Si veda De Grauwe (2004).
5
Si veda de Nardis and Vicarelli (2003), Baldwin et alii (2005), Fernandes (2006), Micco et al.(2003), Flam e Nordstrom
(2003).
- 187 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Per ciò che concerne la specificazione dell’equazione gravitazionale, così come suggerito da Baltagi, Egger e Pfaffermayr (2003), alcuni studi hanno introdotto in stima variabili di controllo per l’eterogeneità (dummy temporali, dummy per il paese importatore
ed esportatore e dummy di interazione tra le precedenti tre dummy). In questo stesso contesto, Bun e Klaassen (2006), hanno inserito nel loro modello anche trend temporali bilaterali specifici per ciascuna coppia paese.
La maggioranza delle stime è stata effettuata su dati relativi a gruppi di paesi
industrializzati (OCSE), ma in molti casi la verifica empirica è stata ripetuta per insiemi
più ristretti di nazioni (UE, UEM). Il sample temporale delle stime è piuttosto
eterogeneo; in alcuni casi è ristretto a un periodo di tempo molto contenuto,
generalmente 1992-2002, per confrontare i risultati con quelli ottenuti da uno dei primi
lavori condotto sull’argomento6.
Dall’esame della letteratura emerge, inoltre, come i risultati delle stime non siano
neutrali rispetto alle variazioni del periodo di analisi. In particolare, l’analisi effettuata su
un periodo di tempo molto lungo (1948-2003), mostra come l’incremento di commercio
tra i paesi UE sia stato graduale sin dal dopoguerra e che, una volta depurata l’analisi da
questa tendenza, l’effetto specifico dell’euro tende a scomparire7.
ii) L’introduzione di una specificazione dinamica nel modello panel. I risultati
della letteratura più recente mostrano con poche eccezioni, un coefficiente della dummy
euro positivo e significativo. Tuttavia, vi è una certa eterogeneità nella grandezza del coefficiente (l’effetto sul commercio varia tra lo 0 e il 112%). Il valore del parametro si riduce drasticamente (tra 3 e 9%) qualora la stima venga effettuata con una specificazione
dinamica dell’equazione gravitazionale. Questo risultato conferma recenti conclusioni
della letteratura teorica ed empirica, che mostrano come il commercio sia un processo dinamico: l’utilizzo di modelli statici può condurre a risultati distorti nelle stime dei parametri.
La ratio che giustifica la dinamicità del commercio risiede nella presenza di costi
fissi che l’esportatore deve sostenere per porre in essere una rete di distribuzione del proprio prodotto sui mercati esteri. Questa persistenza è particolarmente importante nel caso
dell’UEM, dove le relazioni commerciali tra paesi sono influenzate, non solo dagli investimenti in infrastrutture orientate all’export, ma anche da un processo di accumulazione
di asset invisibili come i fattori politici, culturali e geografici.
iii) La microfondazione dell’equazione gravitazionale. Il terzo elemento comune
alla letteratura relativa agli effetti commerciali delle aree valutarie, e quindi anche alla
6
Micco et alii (2003).
7
Si veda Berger e Nitsch (2005).
- 188 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
sua applicazione al caso specifico dell’euro, è il tentativo di microfondare il modello gravitazionale attribuendogli, oltre alla valenza empirica, anche un fondamento teorico.
A tal fine, molti lavori cercano di introdurre nelle stime, come suggerito da Anderson e van Wincoop (2003), una qualche misura del “multilateral trade resistance index”,
un indice basato sull’idea che il commercio tra una coppia di paesi dipenda non solo dalle barriere bilaterali al commercio, ma anche da quelle relative nei confronti di tutti gli
altri partner commerciali8.
2.4 GLI EFFETTI DELLA MONETA UNICA SUL COMMERCIO AGGREGATO
DEGLI STATI MEMBRI: UNA VALUTAZIONE EMPIRICA
In linea con la letteratura empirica, il modello di riferimento per la verifica quantitativa presentata in questo capitolo è quello gravitazionale. La sua semplice formulazione è
stata recentemente arricchita, in modo da cogliere aspetti “istituzionali”, quali appunto
l’introduzione di una valuta unica, economici e geografici9 (si veda il riquadro Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System GMM”).
La variabile dipendente è costituita dal flusso di esportazioni complessivo di beni,
espresso in volume, di 13 paesi UE (sono esclusi Lussemburgo e Irlanda per mancanza di
dati omogenei) verso 23 paesi importatori (i 13 Stati UE più Australia, Canada, Giappone, Messico, Corea del Sud, Svizzera Nuova Zelanda, Stati Uniti, Norvegia, Repubblica
Ceca).
I risultati della stima su dati aggregati, per il periodo 1988-2004, sono presentati
nella tabella 3.
L’adozione di una valuta comune ha avuto un impatto positivo ma di entità ridotta
sul commercio bilaterale dei paesi dell’area dell’euro: i volumi di esportazione intra-area
sono aumentati in media del 4,1 per cento .
Tale risultato, in linea con quelli della letteratura più recente10, può essere spiegato
dalla presenza di legami commerciali già stretti tra gli Stati partecipanti all’area valutaria. Al di là di vincoli culturali, storici e geografici, le relazioni commerciali all’interno
dell’UE si sono infatti intensificate nel corso degli ultimi trent’anni grazie anche alla realizzazione di un processo di integrazione economica determinato dalla creazione dello
8
Rose e van Wincoop (2001) approssimano l’indice di resistenza multilaterale usando effetti fissi per coppie paese,
mentre altri autori (Ritschl e Wolf (2003)) e Estevadeordal et al. (2003) propongono l’uso di dummy “coppia paese”.
9
Quest’ultimo rappresenta gli scambi internazionali bilaterali attraverso una forma funzionale che ricorda la legge di
gravità fisica: il commercio tra due paesi è positivamente correlato alla “massa” (approssimata dal PIL dei due paesi), e
negativamente alla distanza che intercorre tra loro, (intesa come una proxy dei costi di trasporto).
10
Si veda Fernandes (2006), Berger e Nitsch (2005), De Souza (2002), de Nardis e Vicarelli (2003).
- 189 -
Rapporto ISAE: e previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale:
lo stimatore “System GMM”
Strategia empirica. Le stime presentate nel capitolo incorporano alcune delle principali
innovazioni tecniche suggerite dalla recente letteratura econometrica relativa all’analisi panel
applicata a modelli gravitazionali.
In primo luogo, è stata stimata una specificazione dinamica dell’equazione gravitazionale. Si
deve sottolineare che introdurre la dinamica in un modello di analisi panel comporta alcuni
problemi econometrici. Per processi statici, infatti, lo stimatore a effetti fissi è consistente per una
dimensione temporale T finita e per un numero infinito di coppie paese N. Ma se il commercio
viene modellato come un processo dinamico, si genera una correlazione tra la variabile dipendente
ritardata e il termine di errore trasformato. A causa di tale correlazione lo stimatore OLS diviene
distorto e inconsistente.
Per evitare il problema dell’inconsistenza, Arellano e Bond (1991), hanno suggerito di
trasformare il modello in differenze prime e di stimarlo utilizzando lo stimatore “GMM” a due
stadi di Hansen. Arellano e Bover (1995), migliorano questa tecnica di analisi, dimostrando come
se si aggiunge l’equazione originaria in livelli al sistema di equazioni in differenza si può
aumentare l’efficienza dello stimatore. (“System GMM”). Questo stimatore è stato in seguito
perfezionato da Blundell e Bond (1998).
Lo stimatore System GMM presenta una serie di vantaggi rispetto a quello proposto da
Arellano e Bond. Utilizzare un’equazione in differenze prime, infatti, elimina la possibilità di
mantenere in stima tutti i regressori invarianti nel tempo, con una perdita di informazioni.
Nell’approccio gravitazionale, dove la distanza (variabile tipicamente invariante al tempo) è parte
integrante del modello, tale perdita di informazioni risulta rilevante.
Lo stimatore GMM alle differenze prime, inoltre, presenta una scarsa performance in termini di
precisione, soprattutto se applicato in contesti in cui la dimensione temporale T non è
particolarmente ampia e dove i fenomeni analizzati presentano caratteristiche di elevata
persistenza, come nel caso delle serie storiche del commercio bilaterale. Per queste ragioni
l’utilizzo di uno stimatore “System GMM” sembra una scelta appropriata e abbastanza innovativa
rispetto alla recente letteratura sui modelli gravitazionali.1
L’equazione gravitazionale. Abbiamo introdotto nella specificazione dinamica dell’equazione
gravitazionale tre gruppi di regressori: i) variabili gravitazionali standard, ii) variabili di
controllo per l’eterogeneità, iii) altre variabili di controllo specifiche per il caso dell’UME.
i) Variabili gravitazionali standard: distanza geografica bilaterale come proxy dei costi di
trasporto, e il prodotto del valore aggiunto del paese esportatore e di quello importatore come
proxy della massa.
ii) Variabili di controllo per l’eterogeneità. Sono state introdotte in stima una dummy per il paese
importatore, una per quello esportatore e singole dummy annuali2. In questo modo approssimiamo
l’indice di resistenza multilaterale di Anderson e van Wincoop (2003), ottenendo una
specificazione dell’equazione gravitazionale che può essere interpretata come la forma ridotta di
un modello micro fondato.
1
2
De Benedictis e Vicarelli (2005), De Benedictis et al. (2005), Fernandes (2006).
Si veda Baltagi, Egger e Pfaffermayr (2003).
- 190 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
iii) Controlli per altri fattori specifici dell’UME. Nel caso dell’UME ci sono specifici fattori di
natura economica, politica e istituzionale che influenzano il commercio bilaterale. Dopo il 1992,
grazie allo SME e al processo di convergenza verso la moneta unica, la volatilità del cambio tra i
paesi interessati è diminuita sostanzialmente. Noi controlliamo per questo fenomeno introducendo
una misura della volatilità del tasso di cambio nell’equazione.
Sembra importante distinguere l’effetto volatilità dall’effetto “puro” dell’ unione valutaria che
dovrebbe soprattutto cogliere cambiamenti strutturali nelle aspettative di mercato. Essendo l’euro
l’ultimo passo di un processo di integrazione più lungo, abbiamo isolato l’effetto UE membership
introducendo una specifica dummy UE.
La prima equazione stimata è la seguente :
Ln Extotijt = b1 ln( Exptotijt-n) + b2 ln( Massatotijt ) + b3 lnDistij + b4 volijt + b5 dueuroijt +
b6 duUEijt + b7
Trend + b8 aj + b9Bi + b10 τ
(1)
dove:
ln = logaritmo naturale, i è il paese esportatore, j il paese importatore e t l’anno (dal 1988 al
2004), n è la struttura dei ritardi della variabile dipendente
Exptotijt = esportazioni aggregate bilaterali in volume dal paese i al paese j;
Massatotijt = prodotto del valore aggiunto totale in termini costanti del paese esportatore e
importatore
Distij = distanza geografica tra le capitali degli Stati espresso in chilometri.
Dueuroijt = dummy euro che assume valore 1, a partire dal 1999, per il commercio tra nazioni
appartenenti all’UME e 0 nel caso degli altri paesi;
duUEijt = dummy UE membership che assume valore 1 per il commercio tra nazioni
appartenenti all’UE e 0 nel caso degli altri paesi
volijt
= volatilità del tasso di cambio nominale bilaterale;
Trend = trend lineare;
αi = dummy paese esportatore;
βj = dummy paese importatore;
τ = dummy temporale annuale.
Per disaggregare l’”effetto euro” per ciascun paese esportatore dell’UEM, l’equazione (1) è
stata inoltre nuovamente stimata sostituendo la dummy Dueuroijt con i dummy nazionali, una per
ciascun paese UEM esportatore. In altri termini, la dummy euro, ad esempio, per l’Italia, assume
valore 1 per le sole esportazioni bilaterali italiane verso ciascuno degli altri membri UEM, 0 in
tutti gli altri casi.
L’analisi settoriale è stata condotta stimando la seguente equazione:
Ln Expsetijt = b1 ln( Expsetijt-n) + b2 ln( SumVAsetijt ) + b3 lnDistij + b4 volijt + b5 dueuroijt +
b6 duUEijt + b7
Trend + b8 aj + b9Bi + b10 τ
(2)
dove la specificazione è identica alla precedente ma le stime vengono effettuate a livello settoriale
per 25 settori ISIC a 2 digit rev.3. La variabile dipendente Expsetijt è regredita sulle stesse variabili
- 191 -
Rapporto ISAE: e previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
precedentemente descritte con l’unica differenza che la “massa” è definita sulla base del prodotto
dei valori aggiunti per ciascun settore.
Infine, l’equazione 2 è stata stimata per ciascuno dei 10 Stati Membri dell’UEM; in quest modo
l’analisi è stata condotta a livello settore/paese. (equazione 3).
I dati
Le esportazioni bilaterali in dollari, aggregate e settoriali, sono di fonte OCSE STAN-BTD.
I valori aggiunti, aggregati e settoriali, sono di fonte STAN-Industry data base; entrambe le
variabili sono state deflazionate con i deflatori impliciti del valore aggiunto, di fonte STANIndustry data base.
La volatilità del tasso di cambio è stata calcolata come la deviazione standard delle differenze
prime del tasso di cambio nominale bilaterale, espresso in logaritmi e come media annuale di dati
a frequenza mensile.
- 192 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
SME negli anni settanta e, soprattutto, dal completamento del Mercato Unico negli anni
novanta. Da questo punto di vista, la moneta unica ha quindi rappresentato l’ultimo passo di un processo già ampiamente avviato.
Tab 3
RISULTATI DELLE STIMA DELLE ESPORTAZIONI BILATERALI DI UE 15
Numero di osservazioni
1988-2004
1993-2004
3771
2854
I
II
ln(Expij(t-1))
0.75***
(19.41)
0.72***
(18.6)
ln(Massit)
0.44***
(4.96)
0.50 ***
(4.15)
Ln(DISTij)
-0.26***
(6.32)
-0.31 ***
(7.04)
ERvol
-0.26 **
(2.87)
-0.24**
(2.75)
Euro
0.04*
(3.13)
0.05**
(3.05)
UE
0.06**
(3.13)
0.09***
(3.64)
Trend
Si
Si
αi
Si
Si
βj
Si
Si
τij
Si
Si
Hansen test
χ2(239) =270.12
p> c2= 0.08
χ2(238) =269.49
p> χ2= 0.079
Arellano Bond test AR (1)
z=-4.63
P>z=0.000
z=-4.97
P>z=0.000
Arellano Bond test AR (2)
z=-0.86
P>z=0.389
z=−0.45
P>z=0.650
t values in parentesi *p<0,05; **p<0,01, *** p<0,001.
Per quanto riguarda la stima delle altre determinanti, viene confermata la validità
del modello gravitazionale. In particolare, le esportazioni bilaterali dei 13 paesi UE sono
correlate positivamente con la massa e negativamente con la distanza geografica.
Viene, inoltre, avvalorata l’ipotesi che il commercio sia un fenomeno persistente:
dall’analisi emerge una correlazione positiva e significativa tra il volume di esportazioni
e quello del periodo precedente. La stima conferma inoltre come la riduzione della volatilità del cambio favorisca il commercio bilaterale.
Per controllare la robustezza delle stime, si è ripetuta l’analisi anche per un intervallo di tempo più ristretto (1993-2004)11. I risultati sono riportati nella tabella 3. Anche per
il periodo meno ampio si confermano sostanzialmente i risultati precedenti: l’impatto
dell’euro sul commercio intra-area risulta solo marginalmente più elevato e pari al 5%.
E’ interessante notare che, in linea con la letteratura empirica, così come anticipato nel
11
Baldwin (2006) mostra che limitare il periodo di osservazione a partire dal 1993 è appropriato poichè l’Eurostat nel
1992 ha modificato le tecniche di raccolta dei dati del commercio: e questo cambiamento nell’elaborazione delle
statistiche potrebbe distorcere i risultati delle stime.
- 193 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
paragrafo 3, i coefficienti delle dummy euro ed EU mostrano una maggiore significatività
e grandezza al restringersi del periodo di osservazione.
Sulla base della medesima equazione, è stata effettuata una seconda stima con lo
scopo di disaggregare “l’effetto euro” relativamente a ciascun paese dell’area. A tal fine,
si è ripetuta la stima aggregata per ciascun paese esportatore appartenente all’area
dell’euro.
I risultati, riportati nella tabella 4, mostrano come, a livello nazionale, sia osservabile un effetto di stimolo al commercio statisticamente significativo e positivo in soli 3
paesi dell’area (Belgio, Olanda e Spagna). Torneremo a commentare questo risultato nel
paragrafo 2.6, alla luce dei risultati settoriali.
Tab. 4
UNA STIMA DELL’EFFETTO EURO PER PAESE
Nazione
Coefficiente della dummy euro
t values
Austria
-0,02
0,40
Belgio
0,28
3,04
Finlandia
-0,09
3,41
Francia
0,04
1,02
Germania
-0,06
1,43
Grecia
0,06
1,07
Italia
-0,03
0,82
Paesi Bassi
0,05
1,80
Portogallo
0,08
1,41
Spagna
0,11
2,70
2.5 L’ANALISI SETTORIALE
Nel presente paragrafo e in quello successivo, si intende verificare l’impatto dell’introduzione della moneta unica sulle esportazioni settoriali. L’effetto aggregato evidenziato in precedenza potrebbe infatti risultare più o meno diffuso, e di entità differenziata,
tra paesi e comparti merceologici.
Inizialmente viene considerato, per ciascun settore, l’effetto dell’introduzione della
moneta unica relativamente all’insieme dei paesi esportatori appartenenti all’area euro,
quantificando (l’eventuale) vantaggio nei confronti degli altri partner europei.
Nel successivo paragrafo, si fa un incrocio tra i dati settoriali e quelli nazionali, tentando di individuare per quali paesi questo effetto di stimolo (o di contrazione)
dell’export risulti significativo.
A questo scopo, viene replicata la medesima specificazione utilizzata per l’analisi
aggregata per ciascuno dei settori merceologici della classificazione ISIC a due cifre. La
- 194 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
variabile dipendente è quindi rappresentata dal volume di esportazioni settoriali dei 13
paesi UE nei confronti dei 23 mercati di sbocco (per la specificazione, si veda equazione
2 nel riquadro: Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore
“System GMM”).
Nella tabella 5 vengono riportati i coefficienti stimati relativi alla dummy euro (e relativi test di significatività statistica), per ciascuno dei settori merceologici analizzati.
Tab.5
STIME SETTORIALI
Settori ISIC
Descrizione
Totale
Dummy euro
t
p
01_05
agricoltura, caccia, foreste, ittica
-0.009
-0.2
0.839
10_14
minerario-estrattivo
-0.12
-1.62
0.106
15_16
alimentari, bevande e tabacco
17_19
tessile, prod. Tessili, cuoio, calzature
20
21_22
23_25
1.83
0.069
-1.49
0.138
legno, prodotti in legno
0.05
0.77
0.441
polpa, carta, prodotti incarta, stampa, editoria
0.09
2.65
0.009
0.339
chimica, gomma, plastica e pr. energetici
0.029
0.96
23
carbone, pr. Petrol. Raffinati, energia nucleare
0.12
0.86
0.393
24
chimica e prodotti chimici
0
0.34
0.734
25
prodotti in gomma e plastica
-0.01
-0.48
0.632
altri prod. Minerali non metallici
0.842
26
-0.005
-0.2
metalli e prodotti in metallo
0.1
4.07
0
27
metalli
0.09
2.99
0.003
28
prodotti in metallo, eccetto macchinari
0.01
0.3
0.764
27_28
29_33
macchinari e attrezzature
0.06
2.75
0.009
macchinari e attrezzature, altro
0.064
2.91
0.004
apparecchi ottici e elettrici
0.056
1.78
0.076
macchine per ufficio e computer
0.05
0.64
0.525
31
macchinari elettrici
0.01
0.05
0.963
32
radio, tv e apparati di comunicazione
0.13
2.21
0.028
33
strumenti medici, ottici e di precisione
0.107
3.12
0.002
mezzi di trasporto
0.145
2.41
0.017
34
veicoli a motore
0.097
2.26
0.025
35
altri mezzi trasporto
0.03
0.3
0.761
manifatttura, altro
-0.02
-0.85
0.394
29
30_33
30
34_35
36_37
0.04
-0.038
I risultati delle stime evidenziano come ”effetto Euro” non sia diffuso uniformemente tra tutti i settori. Tra i 25 comparti analizzati, sia singolarmente sia in forma aggregata, a seconda della disponibilità dei dati, solo per 11 di questi è stato rilevato un
impatto positivo e statisticamente significativo.
Sulla base di una classificazione “a la Pavitt”, troviamo, tra questi, quattro comparti
caratterizzati da economie di scala (mezzi trasporto, apparati di telecomunicazione, carta
ed editoria, prodotti in metallo), un settore a elevata tecnologia (strumenti medici, ottici e
- 195 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
di precisione), uno di specializzazione (macchinari e attrezzature) e uno tradizionale (alimentari e metalli).
In generale, per quanto una classificazione a due cifre sia ancora abbastanza aggregata (dovuta a mancanza di dati disponibili), si può affermare che buona parte dei settori
per i quali ‘‘effetto euro” risulta positivo e statisticamente significativo è composta da
comparti caratterizzati da economie di scala, e/o in grado di produrre beni altamente differenziati dal punto di vista della varietà e della qualità.
Questi risultati appaiono in linea con quelli evidenziati nei pochi studi empirici a carattere settoriale presenti a oggi in letteratura. In particolare, Baldwin et al. (2003), Flam
e Nordstrom (2003) e Baldwin e Taglioni (2005) hanno evidenziato una presenza positiva e significativa dell’effetto euro all’incirca negli stessi settori.
Diversa risulta invece la stima dell’impatto quantitativo: nei nostri risultati,
quest’ultimo appare assai più omogeneo tra settori di quanto non sia nei lavori citati, oltre che di dimensioni assai più contenute. L’introduzione dell’euro avrebbe infatti determinato un incremento medio di commercio intra-area compreso tra il 4% nel comparto
alimentare e il 15% nei mezzi di trasporto12..
Le motivazioni per le quali appare ragionevole ipotizzare un impatto di tale entità
sono state esposte in precedenza, commentando l’analisi aggregata. Qui si vuole sottolineare come la nostra analisi si differenzi dalle precedenti per diversi aspetti, tra cui, in
particolare, l’utilizzo di un modello dinamico, in grado di controllare per l’ “effetto persistenza”.
Una possibile spiegazione del perchè l’adozione dell’euro avrebbe favorito le esportazioni solo in questi settori viene fornita da Baldwin (2006), richiamando due elementi
propri della nuova teoria del commercio internazionale: i costi fissi di ingresso in un
nuovo mercato e le differenze esistenti tra imprese nei costi marginali di produzione.
Le imprese massimizzano il profitto sulla base di un mark-up rispetto a un costo
marginale di produzione. Quelle che producono per il mercato interno potrebbero non essere in grado di esportare a causa dell’esistenza di costi fissi legati all’attività di esportazione (costi di trasporto, di affermazione del marchio, di costituzione di reti di
distribuzione, di gestione del rischio di cambio quando si ha a che fare con una molteplicità di valute). Ne consegue che sono le imprese di più grandi dimensioni, nella misura in
cui mostrino una maggiore efficienza, organizzazione e capacità di sfruttare economie di
scala, quelle con maggiore facilità a esportare.
Queste, presentando costi marginali più bassi, possono affrontare anche quelli legati
alla vendita sui mercati esteri, mantenendo un margine di profitto. Una volta però che tali
12
Per poter interpretare come elasticità i coefficienti delle dummy euro nelle nostre stime, è necessario considerare
l’esponenziale del valore del coefficiente stesso.
- 196 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
costi si riducono, come potrebbe essere il caso, in seguito all’adozione dell’euro, dei costi fissi di transazione, anche imprese di più piccole dimensioni potrebbero trovare profittevole esportare. Questa interpretazione potrebbe giustificare una dicotomia
riscontrabile nei dati: l’adozione dell’euro sembra aver avuto un impatto sul volume di
esportazioni già a partire dall’anno successivo alla sua introduzione, ma la stessa repentinità non si è osservata per quanto riguarda una convergenza nei prezzi relativi13.
L’effetto positivo sul volume delle esportazioni settoriali potrebbe quindi essere stato determinato dall’ingresso, grazie all’abbattimento di un costo fisso di esportazione, di
nuove varietà di beni, precedentemente prodotte per il solo mercato interno.
Alla luce di tale interpretazione, potrebbero essere letti anche i nostri risultati. L’introduzione della moneta unica sembra aver determinato gli effetti di commercio più rilevanti tra i comparti caratterizzati da economie di scala e da elevata varietà di prodotti.
Naturalmente, anche tra queste tipologie settoriali, le differenze nella dimensione media
d’impresa a livello internazionale può incidere sulla risposta delle imprese a variazione
nei costi fissi di produzione.
In questo senso, nella misura in cui si ipotizzino marcate differenze tra paesi e settori nella dimensione d’impresa, tale linea interpretativa può considerare anche forti disuguaglianze geografiche nell’impatto settoriale dell’introduzione dell’euro. Allo studio di
tali differenze è dedicata l’analisi empirica presentata nel prossimo paragrafo.
2.6 L’ANALISI SETTORE/PAESE
“L’effetto euro”, che nelle stime settoriali precedenti era colto relativamente all’intero insieme di paesi che hanno adottato la moneta unica, in questo paragrafo viene
scomposto per ciascun singolo esportatore dell’area (per la specificazione, si veda il riquadro: Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System
GMM” equazione 3). La tabella 6 mostra i risultati relativi al coefficiente della dummy
“euro” per ciascun settore e paese.
La prima evidenza è relativa al fatto che “l’effetto euro” sui volumi di esportazioni
appare diffuso in maniera non omogenea tra paesi e settori. Anche in quei comparti che,
per l’insieme dell’area, hanno mostrato una creazione di commercio derivante dall’ado13
Sulla base di una specificazione CES di una funzione di domanda, il volume di export della nazione di origine verso un
mercato di destinazione dipende dal numero di varietà di prodotti esportati, dal loro prezzo relativo, dalla elasticità della
domanda di importazioni del mercato di destinazione e dal suo livello di domanda. Baldwin (2006) afferma che
l’incremento in volume osservato in coincidenza con l’introduzione dell’euro possa essere imputato principalmente al
variare del primo di questi elementi. Tale effetto non sembra imputabile al canale dei prezzi, in ciascuna delle sue
componenti (mark-up bilaterale, costi di trasporto bilaterali, costi di produzione marginali, costi di transazione): la maggior
trasparenza avrebbe dovuto determinare una rapida convergenza nei livelli nei prezzi all’interno dell’area euro, un evento
che non è osservabile, almeno nei primi anni successivi all’introduzione dell’euro.
- 197 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
zione della moneta unica, l’effetto è riscontrabile solo in un numero limitato di paesi. Il
comparto dove l’incremento di commercio appare maggiormente diffuso è quello dei veicoli a motore (positivo per Francia, Grecia, Italia e Spagna, negativo per la Finlandia),
seguito da macchinari e attrezzature (positivo per Austria, Olanda e Spagna, negativo per
Finlandia e Francia).
Per quanto riguarda l’entità “dell’effetto euro”, il quadro appare molto eterogeneo.
Le esportazioni di alcuni settori sembrano avere beneficiato maggiormente di altri
dell’introduzione della moneta unica. All’interno dei singoli comparti, inoltre, in alcuni
casi la distribuzione di tali benefici tra singoli paesi rileva differenze più marcate, in altri
casi risulta invece sostanzialmente omogenea; tutto ciò appare in linea con l’esistenza di
specificità settoriali e nazionali in grado di influenzare l’ampiezza dello stimolo
all’export. Sostanzialmente omogeneo ad esempio, risulta “l’effetto euro” nel comparto
alimentare, nei metalli e prodotti in metallo, macchinari e attrezzature, apparecchi ottici
ed elettrici. Maggiori differenze nazionali vengono invece osservate nei veicoli a motore
e negli strumenti ottici e di precisione.
Anche all’interno dei comparti per i quali, per l’insieme dell’area euro, non si era rilevato un effetto positivo e statisticamente significativo, l’analisi effettuata per i singoli
paesi evidenzia un incremento o un decremento di commercio per almeno uno dei mercati esportatori considerati14.
In alcuni casi, tali eccezioni appaiono rilevanti, data l’importanza relativa che questi
settori ricoprono nella struttura del commercio estero di quei paesi (si veda, ad esempio,
il tessile e abbigliamento per l’Italia, il comparto chimico per Francia e Germania, macchine per ufficio in Germania).
Dalla lettura dei risultati settoriali per ciascun paese emergono inoltre, ulteriori considerazioni. L’effetto aggregato sulle esportazioni, esaminato nel paragrafo 2.4, può essere qui interpretato alla luce dell’impatto che l’adozione dell’euro ha avuto nei singoli
settori a livello nazionale.
Specializzazione commerciale, dimensione media d’impresa, numero di imprese
concorrenti presenti nel comparto sono gli elementi in grado di determinare il vantaggio
competitivo di un paese relativamente all’introduzione dell’euro.
Per Olanda, Spagna e Belgio, come visto, l’effetto combinato di questi fattori avrebbe determinato un saldo netto positivo in termini di stimolo alle esportazioni. In altri paesi si sarebbero invece contrapposti effetti settoriali di segno opposto, anche in comparti
manifatturieri rilevanti.
14
La significatività statistica di segno opposto rilevata per i singoli paesi all’interno dello stesso comparto può
determinare una non significatività a livello di Area dell’euro.
- 198 -
- 199 -
36_37
34_35
30_33
29_33
27_28
23_25
21_22
17_19
15_16
10_14
01_05
Settori
ISIC
Tab. 6
34
35
33
32
31
30
29
28
27
26
25
24
23
20
agricoltura, caccia, foreste,
ittica
minerario-estrattivo
alimentari,
bevande e tabacco
tessile, prod.
Tessili, cuoio, calzature
legno, prodotti in legno
polpa, carta,
prodotti incarta, stampa,
editoria
chimica, gomma, plastica e
pr. energetici
carbone, pr. Petrol. Raffinati, energia nucleare
chimica e prodotti chimici
prodotti in gomma e plastica
altri prod. Minerali non
metallici
metalli e prodotti
in metallo
metalli
prodotti in metallo, eccetto
macchinari
macchinari e attrezzature
macchinari e attrezzature, altro
apparecchi ottici e
elettrici
macchine per ufficio e
computer
macchinari elettrici
radio, tv e apparati di
comunicazione
strumenti medici, ottici e
di precisione
mezzi di trasporto
veicoli a motore
altri mezzi trasporto
manifatttura, altro
Descrizione
0.6
-0.19
0.99
0.98
0.3
0.02
0.07
-0.015
0.17
0.07
2
0.8
4.33
1.2
1.26
1.85
0.19
1.54
0.42
0.05
0.39
0.27
0.04
0.48
0.06
0.06
0.08
0.01
0.11
0.02
0
-0.01
0.1
3.81
1.03
0
0.82
1.41
-0.04
0.13
0.26
0.69
-0.03
0.04
0.75
0.42
1.01
t
0.06
-0.07
0.13
Austria
Coeff.
-0.28
-
-
-0.07
-
-0.09
-
0.19
0.24
0.04
-0.09
-0.05
-0.04
0.06
-0.1
0.06
0.34
0.19
0.02
0
0.01
0.05
-0.04
-0.08
Coeff.
Belgio
-1.64
-
-
-1.4
-
-1.7
-
3.65
3.72
1.4
-1.83
-1.26
0.82
1.23
-2.18
2.06
1.27
1.39
0.37
0.06
0.25
0.94
0.21
0.66
t
-0.23
-0.3
-0.33
-0.03
-0.01
0.19
-0.3
-0.02
-0.13
-0.09
-0.07
-0.03
0.06
-0.01
0.12
0.06
-0.07
-0.2
-0.09
0
0.04
-0.11
-0.15
0.02
-0.35
t
-1.31
-2.87
-0.94
-0.4
-0.26
1.55
-5.1
-1.1
-3.45
-1.65
-1.84
-0.5
0.07
0.19
1.54
1.16
1.41
0.35
0.95
0.09
0.25
2.03
1.76
0.14
-2.65
Finlandia
Coeff.
STIME SETTORE/PAESE
-0.25
0.15
0.2
0.14
-0.09
0.03
0
-0.32
-0.13
-0.04
-0.09
-0.03
0.04
0.01
-0.03
-0.11
-0.04
-0.23
-0.11
-0.06
-0.1
-0.01
-0.03
0.16
1.08
0.88
1.55
0.88
1.87
t
1.5
2.76
0.72
-1.1
0.7
0.2
-2.8
-3.21
-3.14
-0.98
-2.64
-0.45
0.7
0.16
0.7
-2.86
-1.73
0.97
-1.89
Francia
Coeff.
0.05
-0.03
0.02
0.07
0.01
0.23
0.04
0.3
0.04
-0.05
0.02
0
-0.04
-0.04
-0.04
-0.05
0
-0.21
-0.15
0.1
0.02
0
0.11
-0.1
-0.16
t
0.43
-0.05
0.1
1.25
0.23
0.6
3.08
0.8
-1.24
0.5
0
-0.75
0.83
0.88
1.35
0.1
0.69
-1.92
1.61
0.24
0.11
2.31
0.68
-1.88
Germania
Coeff.
2.9
0.21
0.46
-0.42
-0.11
0.39
-0.37
0.26
-0.02
-0.08
0.12
0.1
0.04
0.2
0.24
-0.23
0.11
-0.9
-1.29
-0.12
0.08
-0.13
0.13
-0.04
-0.07
0.08
Grecia
Coeff.
1.1
3.02
-1
-0.95
2.22
-1.28
1.96
-0.6
-0.5
0.9
1
0.3
1.74
2.37
1.67
0.97
0.87
1.46
1.16
0.49
0.34
1.69
0.57
0.68
0.58
t
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
alimentari, bevande e
tabacco
tessile, prod. Tessili, cuoio,
calzature
10_14
15_16
17_19
- 200 0.06
macchinari e attrezzature,
altro
36_37
altri mezzi trasporto
manifatttura, altro
35
mezzi di trasporto
34_35
veicoli a motore
0.037
strumenti medici, ottici e di
precisione
33
34
-
radio, tv e apparati di comunicazione
32
-0.11
0.23
0.11
0.29
-
macchinari elettrici
31
-0.01
macchine x ufficio e computer
-0.07
0.001
macchinari e
attrezzature
apparecchi ottici e elettrici
0.06
prodotti in metallo, eccetto
macchinari
28
29
0.1
0.08
metalli
27
metalli e prodotti in metallo
-0.04
altri prod. Minerali non metallici
26
30
30_33
29_33
27_28
0.02
25
0.06
chimica e prodotti chimici
prodotti in gomma e plastica
24
-1.95
1.93
1.94
3.17
0.4
-
-
-0.6
-1.3
0.9
0.2
1.1
1.65
1.57
0.87
0.1
1.69
0.23
-0.1
carbone, pr. Petrol. Raffinati,
energia nucleare
23
-
-
-
-0.01
-
-
-
-
0.12
0
0.13
-0.1
0.09
0.03
0.05
0.02
0.02
0.4
0
0.06
chimica, gomma, plastica e pr.
energetici
23_25
0.93
0.12
0.06
0.1
0.08
-0.19
Coeff.
21_22
2.76
0.11
1.25
0.87
t
0.24
Italia
polpa, carta,
prodotti incarta, stampa,
editoria
-0.14
0
-0.19
0.06
Coeff.
Olanda
-
-
-
-0.2
-
-
-
-
3.76
0
3.2
-1.76
1.93
0.67
0.94
0.61
0.88
1.95
0.13
1.92
2.41
1.71
2.47
0.47
2.57
t
STIME SETTORE/PAESE
legno, prodotti in legno
20
minerario-estrattivo
01_05
Descrizione
agricoltura, caccia, foreste,
ittica
Settori ISIC
Segue: Tab.6.
-
-
-
-
-
-
-
-
-0.01
0.035
0.05
-0.09
-0.05
0.27
0
0.19
0.03
0.09
0.06
Coeff.
Portogallo
-
-
-
-
-
-
-
-
-0.13
1.04
0.6
-1.83
-1.26
2.68
0.04
2.01
0.4
1.26
0.39
t
0.05
0.29
0.19
0.31
0.18
0.42
0.12
0.03
0.15
0.07
0.14
0.05
0.08
0.09
0.02
0.05
0.08
0.33
0.16
0.07
0.01
-0.01
0.06
-0.3
0.3
Coeff.
Spagna
0.7
1.54
1.82
1.9
1.56
3.5
1.4
1.2
2.73
1
2.95
0.55
1.14
1.62
0.3
1.07
2.03
1.28
2.62
0.5
0.12
0.34
1.55
2.37
2.76
t
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
Qualche ulteriore riflessione, infine, sul caso italiano. Dalle stime emerge che l’introduzione dell’euro sembra aver determinato un effetto negativo di commercio in due
importanti settori: il tessile e il comparto “altra manifattura”, comprendente tra l’altro la
produzione di mobili. Si sarebbe invece determinato un incremento di commercio nella
chimica, nei metalli e nei mezzi di trasporto, in quest’ultimo caso sia nei veicoli a motore
sia negli altri mezzi di trasporto.
Si tratta quindi di settori rilevanti nell’ambito del modello di specializzazione commerciale del nostro paese. Colpisce l’effetto negativo rilevato nel tessile-abbigliamento e
nei mobili. Sulla base delle considerazioni espresse nel paragrafo precedente, ci si poteva
attendere un effetto nullo (o statisticamente non significativo) in settori tradizionali quali
appunto quelli in oggetto, anche in considerazione della peculiare dimensione mediopiccola che caratterizza le imprese italiane in questi comparti. L’adozione della moneta
unica sembra invece essere stato un fattore che ha contribuito alle difficoltà del settore
osservate negli anni recenti, determinando un decremento delle esportazioni all’interno
del mercato dell’area euro rispetto a quelle dirette verso il resto del mondo. Ciononostante, non si è assistito a un cambiamento rilevante nel modello di specializzazione italiano:
come noto, il tessile-abbigliamento figura ancora tra i settori di punta dell’export nazionale. E’ possibile che le difficoltà nel mercato europeo abbiamo spinto vieppiù verso un
processo di ristrutturazione che sembra cominciare a produrre finalmente i suoi frutti,
considerando la ripresa delle vendite in volume e la stabilizzazione delle quote di esportazioni osservate nel corso del 2006.
Per i settori nei quali l’Italia ha beneficiato di un incremento di export legato
all’adozione dell’euro, il comparto dei veicoli a motore è sicuramente il più rilevante.
Date le peculiarità che lo caratterizzano (economie di scala, ampiezza dimensionale elevata e varietà qualitativa), è risultato essere quello dove più diffusi sono stati i vantaggi
a livello nazionale. Ciò può aver consentito di attenuare gli effetti del processo di ristrutturazione operato in questi anni dall’industria italiana in tale settore. L’effetto quantitativo risulta però, nel caso italiano, inferiore a quello osservabile nei due principali partner
europei (Francia e Spagna). Sicuramente meno rilevanti sono i settori della chimica e dei
metalli, caratterizzati in Italia da un processo di de-industrializzazione già nei decenni
scorsi.
La sostanziale assenza nella produzione di beni negli altri comparti che hanno beneficiato, nella media europea, di incrementi di commercio a seguito dell’adozione
dell’euro ha sicuramente indebolito, a parità di altre condizioni, la posizione competitiva
italiana nei confronti dei partner europei.
- 201 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
2.7 CONCLUSIONI
Per l’insieme dei paesi UEM, l’introduzione della moneta unica sembra aver avuto
un effetto positivo sulle esportazioni aggregate, ma di entità assai limitata, in particolare
se confrontato con i risultati evidenziati in letteratura relativamente ai casi più generali di
unioni valutarie. Sulla base delle nostre stime, l’incremento di commercio intra-area derivante dall’introduzione dell’euro sarebbe stato, in media, tra il 4-5 per cento.
Considerando la particolarità dell’UEM, tuttavia, tale risultato non sorprende; la
moneta unica europea si configura come l’ultimo passo di un lungo e intenso processo di
integrazione economica e commerciale, realizzato nell’arco di 50 anni.
La disaggregazione settoriale ha rivelato come tale incremento abbia riguardato solo
alcune tipologie di prodotto. In particolare, l‘introduzione della moneta unica sembra
aver determinato gli effetti di commercio più rilevanti tra i comparti caratterizzati da
economie di scala e da elevata differenziazione di prodotto.
La sensibilità commerciale di un paese all’introduzione dell’euro, e più in generale
il vantaggio competitivo che ne può trarre, appare quindi legato alla combinazione di diversi fattori: specializzazione commerciale, dimensione media d’impresa, forma di mercato del comparto.
Nella misura in cui i paesi membri dell’UEM sono caratterizzati da differenze in
questi elementi, è quindi possibile spiegare le forti disuguaglianze geografiche nell’impatto settoriale (e nazionale) dell’introduzione dell’euro riscontrate nelle stime.
Per alcune tipologie di beni e/o in alcuni dei paesi membri dell’UEM, sembrerebbe
essersi determinata una diminuzione di commercio intra-area legata all’introduzione della moneta unica. Tale effetto può essere riscontrato sia in alcuni dei settori “vincenti”,
che hanno cioè beneficiato in media di un incremento positivo di commercio, sia in
quelli dove tale effetto è risultato statisticamente non significativo. In altri termini, all’introduzione dell’euro potrebbe anche essere legato, in alcuni casi, un riorientamento geografico dei flussi di esportazione, dal mercato intra-area a quello esterno.
Tra questi casi, quello rappresentato dal comparto del tessile-abbigliamento in Italia
appare il più rilevante, per l’importanza che lo stesso ricopre nel modello di specializzazione commerciale del nostro paese. Se l’adozione dell’euro ha avuto un ruolo nella “redistribuzione” geografica dei flussi di esportazione settoriale intra-area, l’incremento di
cui alcuni comparti hanno beneficiato potrebbe essere avvenuto a scapito di altri. In questo contesto, è possibile che le difficoltà incontrate nel mercato europeo abbiano ulteriormente spinto verso un processo di ristrutturazione nel tessile-abbigliamento, processo in
gran parte guidato da fattori di competitività esterni, che però sembra aver cominciato a
produrre i suoi frutti.
- 202 -
Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ...
Nel complesso, pur avendo riscontrato un incremento di export in alcuni settori importanti, tra i quali quello dei veicoli a motore è senza dubbio il più rappresentativo,
l’Italia non sembra essere tra i paesi che hanno tratto significativi benefici commerciali
dall’adozione della moneta unica.
Più in generale, la scarsa rilevanza nel modello di specializzazione italiano di alcuni
dei comparti che hanno beneficiato, nella media europea, di incrementi di commercio a
seguito dell’adozione dell’euro e la tipologia dimensionale delle imprese hanno presumibilmente ridotto, a parità di altre condizioni, la possibilità dell’Italia di trarre beneficio
dai (peraltro limitati) effetti di incremento degli scambi indotti dalla moneta unica.
- 203 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
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- 205 -
3 Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione:
specificità dell’economia e dell’industria italiana
3.1 INTRODUZIONE
Tra la fine degli anni ’90 e la metà degli anni 2000, l’economia italiana è stata
contrassegnata da andamenti fortemente eterogenei: alla sostenuta accelerazione del
tasso di crescita del prodotto lordo dell’ultima parte dello scorso decennio, culminata con
il massimo ciclico di dicembre 2000, è seguita una fase in cui vere tendenze recessive si
sono accompagnate a segnali di ripresa non sufficientemente intensi e duraturi da
innescare delle espansioni ben delineate1. Le indicazioni disponibili concordano nel
fissare solo all’inizio del 2005 l’avvio di una ripresa produttiva particolarmente
sostenuta, cui l’economia italiana è arrivata dopo un lunghissimo periodo sfavorevole,
che, tra false partenze e ricadute, è durato 48 mesi. Secondo la datazione ISAE dei cicli
economici dell’economia italiana non ci sono precedenti per un periodo negativo così
lungo (la durata media di un ciclo recessivo è in Italia di 18 mesi). Solo tra la primavera
del 1980 e quella del 1983 si ebbe un’altra fase negativa anormalmente lunga di 39 mesi.
Poiché questo lungo periodo negativo per l’economia italiana si è manifestato in
coincidenza con l’adozione della moneta unica e, quindi, con una fase di più intensa
integrazione con le economie europee, è interessante investigare se tali andamenti
abbiano implicato modifiche nei processi di convergenza tra i cicli nazionali. In
particolare, è opinione condivisa che la sincronia e la convergenza alle frequenze
cicliche di un ristretto insieme di indicatori economici svolgano un ruolo cruciale ai fini
del successo di una integrazione monetaria. L’ipotesi di riferimento è che quanto più è
elevata la similarità tra componenti cicliche, tanto minore risulterà il costo connesso
all’adozione di politiche economiche volte ad attenuare l’ampiezza e la durata di
performance cicliche negative.
Tale investigazione si pone anche nella prospettiva della cosiddetta endogeneità
delle aree valutarie ottimali, secondo cui l’omogeneità nei comportamenti ciclici
(fondamentale requisito per la condotta della politica monetaria unica) può essere una
1
Si vedano i Rapporti Trimestrali dell’ISAE di febbraio 2006, luglio 2006 e la Nota Mensile dell’ISAE di novembre 2006.
- 207 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
conseguenza dello stesso accordo monetario. Risultati empirici a sostegno di tale tesi
sono in Frankel e Rose (1998), che verificano l’esistenza di un legame positivo tra
integrazione commerciale e correlazione alle frequenze cicliche, e in Rose (2000),
secondo cui la creazione di un’area monetaria si riflette in un significativo impulso degli
scambi commerciali all’interno dell’area medesima. La gran parte delle evidenze
empiriche (si veda il capitolo Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati
Membri. La posizione competitiva dell’Italia in questo Rapporto) ha però ridimensionato
nettamente tale impatto positivo sul volume degli scambi commerciali, limitando,
quindi, la possibilità che il canale commerciale possa essere veicolo di una maggiore
omogeneità2.
L’interesse, in particolare, è rivolto a quanto si è verificato nei settori industriali (al
netto delle costruzioni) dei paesi membri dell’area euro. Nell’Europa continentale, come
noto, il settore industriale contribuisce alla formazione del prodotto interno lordo per una
quota compresa tra il 18% e il 30%, un fatto che rappresenta una specificità, se non una
anomalia, rispetto alle altre principali economie post-industrializzate. A fronte di un peso
largamente inferiore rispetto a quella del comparto dei servizi (in cui una quota rilevante
è rappresentata dal settore pubblico), l’industria è il comparto che maggiormente
determina il ciclo aggregato. Appare dunque rilevante fornire evidenze che indichino
come la costituzione dell’area a moneta unica abbia contribuito alla convergenza tra le
performance cicliche dei settori industriali.
L’obiettivo del capitolo è pertanto quello di dare conto di tali fatti attraverso due
distinte analisi empiriche: la prima riguardante il ciclo europeo in aggregato e la seconda
attinente, in modo più specifico, alle cause che hanno contribuito a determinare le
fluttuazioni cicliche dell’industria italiana in tale contesto. Per quanto concerne il primo
aspetto, nel paragrafo 3.2 e 3.3 si forniscono evidenze sulle attuali caratteristiche del
ciclo economico, aggregato e industriale, con riferimento ai paesi membri dell’area euro
a 12. L’interesse, inoltre, è volto alla stima di indicatori in grado di segnalare come si è
modificata la convergenza tra le componenti cicliche nel corso degli ultimi 25 anni. Tale
approccio, ha consentito di trarre indicazioni significative sull’effetto che il processo di
unificazione ha esercitato sui co-movimenti alle frequenze cicliche tra i partecipati
all’integrazione, confermando parte dei risultati emersi nella letteratura recente
(paragrafo 3.4). Tra i molteplici indicatori di convergenza utilizzati in letteratura,
l’analisi empirica viene qui incentrata sulla stima degli indici di correlazione dinamica
(Croux, Forni, Riechlin, 2001). In particolare, si studiano i comportamenti alle frequenze
2
Sempre dalla prospettiva degli effetti prodotti dall’ingresso in un’area monetaria ottimale, l’analisi della sincronia ciclica
è rilevante anche dal lato delle componenti di domanda del prodotto interno lordo, in particolare di quelle che hanno
maggior impatto sulla dinamica dei prezzi.
- 208 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
cicliche dei principali settori industriali (Divisioni, secondo la classificazione
ATECO2002) in cui il benchmark è rappresentato dagli analoghi settori dell’area euro.
Riguardo al secondo aspetto (l’evoluzione del nostro paese), nei paragrafi 3.5 e
seguenti di questo capitolo si effettua un approfondimento relativo alle dinamiche
cicliche del settore industriale italiano. Nell’ambito del processo europeo e mondiale di
integrazione economica, l’industria italiana si è infatti contraddistinta per peculiarità sia
nella struttura produttiva (che differisce da quella degli altri paesi europei per il fatto di
caratterizzarsi per la maggiore presenza di processi produttivi inerenti settori
tradizionali) sia per quanto riguarda le caratteristiche macroeconomiche (mercato del
lavoro, dinamiche di offerta nei comparti dell’industria). Per tali ragioni, al fine di
valutare come le specificità dell’industria italiana possano aver contributo a
determinarne una differente dinamica ciclica nel periodo dell’integrazione, rispetto a
quanto è avvenuto per le altre economie europee, si effettua una analisi delle cause delle
fluttuazioni del settore industriale italiano (in aggregato, al netto delle costruzioni).
A tal riguardo, si quantificano le risposte della crescita della produzione industriale
italiana a diversi disturbi di origine sia nazionale che internazionale che si sono registrati
tanto nel corso degli anni ‘70 e ‘80 che durante gli anni ‘90 e nel periodo più recente. I
disturbi interni consentono, infatti, di tenere conto delle condizioni macroeconomiche
proprie dell’Italia riguardanti sia le condizioni di domanda nel mercato del lavoro, sia le
dinamiche di offerta nell’industria; la seconda tipologia di disturbi (shock internazionali)
permette invece di valutare gli effetti dell’integrazione economica e dello scenario
economico mondiale sulla performance del comparto industriale italiano.
3.2 COMPORTAMENTI DEI SINGOLI PAESI
Il ciclo economico dell’area euro è ampiamente documentato attraverso le analisi e
gli indicatori congiunturali elaborati dalle Istituzioni europee e dalle principali
organizzazioni internazionali. Le inchieste congiunturali (business survey), condotte
presso tutti gli stati dell’Unione Europea secondo procedure armonizzate (e in una buona
parte dei paesi che prendono parte alla politica di allargamento), costituiscono uno dei
principali strumenti per monitorare l’evoluzione delle dinamiche cicliche dei principali
settori produttivi dell’area euro. La Commissione Europea, ad esempio, diffonde
indicatori sintetici settoriali (climi di fiducia) e indici aggregati per ciascun paese
(economic sentiment indicator, ESI), ottenuti come media ponderata degli indici
settoriali e del clima di fiducia dei consumatori. Indicatori compositi, anticipatori del
ciclo economico (Composite Leading Index), sono elaborati e resi disponibili
dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), sulla base
- 209 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
dei quali si definisce una datazione delle fasi cicliche che caratterizzano le evoluzioni di
medio termine delle maggiori economie industrializzate3. In questo lavoro, tali fonti
informative sono integrate con l’evidenza sui principali fatti stilizzati del ciclo
economico dei paesi dell’area euro, desunta con riferimento alle serie storiche del
prodotto interno lordo (a valori concatenati e a parità dei poteri di acquisto) relativo
all’intervallo temporale compreso tra il primo trimestre 1970 e il terzo trimestre 20064.
In una prima fase, l’analisi delle fluttuazioni cicliche è stata effettuata applicando la
tradizionale metodologia del ciclo classico5. Attraverso l’algoritmo di calcolo dovuto a
Bry-Boschan (1971), nella versione modificata per le serie trimestrali secondo HardingPagan (2002), sono state calcolate le usuali statistiche sul numero e sulla durata media di
ciascun ciclo completo (massimo-massimo, minimo-minimo) e delle singole fasi
congiunturali (espansione, recessione). E’ opportuno rilevare che tali evidenze, in
particolare per alcuni paesi, sono risultate sensibilmente differenti rispetto a quelle che si
desumono attraverso gli indicatori coincidenti e anticipatori citati in precedenza. Si tratta
di un risultato noto in letteratura, attribuibile alla maggiore sensibilità dell’approccio dei
cicli di crescita alla definizione delle fasi cicliche6. Tale metodologia, tuttavia, non
farebbe venire meno l’interesse verso un insieme di fatti stilizzati rilevanti per la politica
economica e che fanno riferimento al livello della serie storica di interesse.
Dall’identificazione dei punti di svolta rispetto ai livelli delle serie storiche si sono
desunte indicazioni sulle potenziali non-linerarità che contraddistinguono i movimenti
del ciclo aggregato di ciascuna economia nazionale. A questo fine, nella tabella 1 si
presentano indici relativi all’ampiezza (Ai) e durata (Di) delle fasi congiunturali e, una
ulteriore misura di ampiezza, standardizzata rispetto alla durata della singola fase
(steepness).
Nell’area euro, la durata media delle espansioni (nel periodo 1970-2006) è risultata
pari a 21 trimestri. Francia, Finlandia e Portogallo hanno rappresentato i paesi con le
durate nettamente superiori, l’Italia (14 trimestri) e soprattutto la Grecia (10 trimestri)
quelli con le estensioni più contenute. La durata media delle recessioni è risultata
sostanzialmente analoga tra le maggiori economie dell’area (circa 3 trimestri); parziali
eccezioni, con contrazioni leggermente più ampie, sono rappresentate dalla Finlandia e
3
Altre istituzioni di riferimento a questo fine sono rappresentate dal CEPR, che produce un indicatore coincidente del
ciclo economico dell’area euro (EuroCoin), dall’ECRI, che produce datazioni del ciclo secondo la metodologia NBER.
4
Le serie storiche sono state ricostruite, per gli anni ’70, sulla base di statistiche di fonte OCSE. Il Lussemburgo è stato
considerato insieme al Belgio. Per l’eccessiva irregolarità della serie del PIL e, a causa della carenza di informazioni
relative gli anni ’70 e ’80, l’Irlanda è stata esclusa dall’analisi.
5
Burns, A.F. - Mitchel, W. C., (1946).
6
Su questo punto, si veda Harding-Pagan (2001).
- 210 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
della Grecia. L’ampiezza media delle fasi di crescita è risultata particolarmente elevata in
Francia (nettamente al di sopra della media dell’area, pari al 15%), in Finlandia e in
Portogallo. L’Italia e la Grecia, per contro, hanno presentato le ampiezze più contenute
(circa il 10% nel caso italiano, il 9% per quello greco). Le differenze più accentuate tra
fasi espansive e recessive (tali che le prime sono risultate nettamente più ampie delle
seconde) si sono riscontrate per l’Olanda e l’Austria. Le asimmetrie nelle oscillazioni
cicliche, valutate in termini degli indici di steepness, sono risultate di grado pressoché
analogo nella gran parte dei paesi dell’area e hanno riflesso una ampiezza relativa delle
espansioni superiore a quella delle contrazioni. Tali divergenze sono risultate
particolarmente marcate per l’Olanda e l’Austria. Al contrario, sono apparse pressoché
assenti nel ciclo aggregato del Portogallo che, insieme alla Finlandia, hanno costituito i
paesi con la più elevata ampiezza di fase ciclica.
Tab.1
FATTI STILIZZATI
Euro
DE
FR
IT
ES
NL
BE
AT
FI
PT
GR
Numero di cicli (MM)
4
7
3
8
4
6
6
6
3
5
Numero di cicli (mm)
3
6
2
7
3
5
5
5
2
4
6
5
Durata media (MM)
23,3
20,0
41,5
17,1
23,0
22,6
22,4
21,2
30,0
28,3
14,8
Durata media (mm)
23,6
19,5
41,5
17,0
24,0
22,8
22,2
21,0
35,0
27,5
15,0
Durata media delle
espansioni (mM)
21
16,8
38,5
13,9
20,6
18,6
19,2
18,4
27,5
24,3
10,6
Durata media delle
recessioni (Mm)
2,8
3,0
2,7
3,1
3,0
3,8
3,0
2,7
6,0
3,6
4,3
Ampiezza media delle
espansioni (mM) %
15,0
11,7
22,9
10,3
14,6
16,1
13,9
14,0
25,3
24,4
8,8
Ampiezza media delle
recessioni (Mm) %
-1,1
-1,3
-1,0
-1,3
-1,1
-1,8
-1,7
-1,0
-6,4
-3,7
-2,5
Steepness (mM)
0,714
0,694
0,595
0,744
0,709
0,868
0,723
0,761
0,918
1,007
0,830
Steepness (Mm)
-0,400
-0,441
-0,376
-0,426
-0,367
-0,470
-0,553
-0,376
-1,067
-1,014
-0,581
98,231 441,016
71,328 150,483 150,102 133,344 128,800 347,188 295,971
46,640
-5,375
Triangle approximation (mM) 157,500
Triangle approximation (Mm)
-1,513
-1,984
-1,330
-2,078
-1,650
-3,450
-2,490
-1,330 -19,200
Excess (mM) - HP
-0,123
-0,124
0,204
0,251
-0,007
0,372
-0,296
-0,058
-0,479
-6,570
0,054
0,197
Excess (Mm) - HP
-0,030
0,199
-0,074
-0,056
-0,060
0,019
-0,018
-0,003
-0,267
-0,141
0,153
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat.
Nota: “m” indica il punto di minimo locale, “M” il punto di massimo locale. I paesi considerati sono i seguenti: Area euro a 12 (Euro), Italia
(IT), Germania (DE), Francia (FR), Spagna (ES), Grecia (GR), Portogallo (PT), Austria (AT), Finlandia (FI), Olanda (NL), Belgio (BE).
Una ulteriore misura di asimmetria delle oscillazioni di medio periodo è
rappresentata dalla cosiddetta “approssimazione triangolare” (Harding e Pagan, 2002),
che fornisce una stima della perdita cumulata (guadagno cumulato) associata a una
recessione (espansione) ed è approssimata dall’area di un triangolo avente per base la
durata della fase ciclica e per altezza la sua ampiezza7. Associata a tale misurazione vi è
7
Formalmente, CTi = 0,5 · Ai · Di.
- 211 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
quella nota come excess of cumulated movements8 (Ei) che indica scostamenti da tale
approssimazione triangolare, ovvero da un’evoluzione dell’economia (in espansione, in
recessione) secondo un tasso di crescita costante. Un valore di tale indice prossimo allo
zero, quindi, segnala un andamento che non si discosta da dinamiche lineari: l’attività
economica si sviluppa senza accelerazioni o decelerazioni lungo le diverse fasi cicliche.
Il segno positivo dell’indicatore suggerisce, in media, un guadagno (in espansione) o
minori perdite (in recessione), in entrambi i casi rispetto al benchmark lineare. Valori
negativi corrispondono a performance insoddisfacenti, dovute a un intensificarsi delle
contrazioni ovvero a un certo di contenimento di dinamica delle espansioni, sempre
valutate rispetto all’ipotesi di evoluzione con tasso di crescita costante.
Tale indicatore consente di dare conto di una ulteriore importante dimensione dei
cicli economici aggregati dell’area euro, associata alla cosiddetta shape delle fasi
cicliche. L’indice Ei può essere considerato, infatti, come una misura della concavità o
convessità del ciclo economico: fasi cicliche convesse (concave) sono caratterizzate da
misure di slope positive (negative) e (secondo la definizione adottata in questo lavoro) da
valori dell’indice excess negativi (positivi). Il segno dell’indice, in altri termini,
segnalerebbe l’intensità in dinamica del fenomeno di interesse, sia all’inizio che alla fine
della fase ciclica. Nelle fasi espansive, valori negativi corrispondono ad andamenti
graduali dell’attività economica nella parte iniziale della fase di crescita e, al contrario, a
una accentuazione della velocità in prossimità del punto di svolta superiore (espansioni
convesse). Valori positivi di Ei (espansioni concave) indicherebbero una attenuazione
della dinamica nella parte finale delle fasi di crescita, su ritmi nettamente inferiori a
quelli registrati nei periodi immediatamente successivi alla fine delle fasi recessive. Nel
caso di recessione, valori positivi segnalerebbero una generale tendenza a contenere le
perdite produttive (recessioni convesse): le fasi cicliche sarebbero contrassegnate da
tassi di sviluppo più accentuati nei periodi iniziali e da dinamiche particolarmente
contenute in prossimità del temine dalla fase ciclica. Quelle “concave” (Ei>0), infine, si
connotano per l’intensificarsi delle cadute produttive nei periodi finali della fase stessa.
Valori medi di questi indici, relativi al periodo 1970-2006, sono presentati nella
tabella 1. Secondo tali indicazioni, l’area euro nel suo complesso e, in particolare, la
Germania, il Belgio e la Finlandia si caratterizzano per dinamiche in uscita dalle fasi
8
In media, per ciascuna fase ciclica, il risultato effettivo cumulato (guadagno in espansione, perdita in recessione) è
stato
calcolato
come
D
C i = ∑ ( yi − y 0 ) −
i =1
A
2
;
lo
scostamento
da
tale
dinamica
lineare
è
dato
da
E i = (C i − CTi ) / Di . Si veda, ad esempio, Camacho, Perez-Quiros e Saiz (2006) e Clements e Krolzig (2003) per
definizioni alternative di questi indicatori.
- 212 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
recessive particolarmente graduali, destinate ad intensificarsi nei periodi finali dei cicli
espansivi. Si tratta di una caratteristica opposta a quella che contraddistingue le riprese
produttive dell’economia statunitense, in cui i ritmi di sviluppo sono risultati
particolarmente marcati negli stadi iniziali delle fasi di crescita. Tale fatto stilizzato trova
riscontro per la Francia, l’Italia, l’Olanda e, anche per il Portogallo e la Grecia: in questi
paesi, i sostenuti ritmi di crescita che connotano l’uscita dalle contrazioni tenderebbero
ad attenuarsi nel corso della stessa fase espansiva9. Una maggiore omogeneità ha, invece,
contrassegnato i comportamenti dei paesi dell’area euro durante i periodi di contrazione
dell’attività economica. Recessioni particolarmente intense, ma tendenti ad attenuarsi
dopo i momenti iniziali (contrazioni convesse) avrebbero contraddistinto la larga
maggioranza dei paesi membri (Austria e Belgio in misura minore) e l’area euro nel suo
complesso. Eccezioni a questo comportamento sono state rappresentate da Germania,
Olanda e Grecia che, avrebbero evidenziato una tendenza ad accentuare le cadute
produttive negli stadi finali delle fasi recessive.
3.3 CICLO “COMUNE” E CICLI SPECIFICI
Nel complesso, i fatti stilizzati corrispondenti all’area euro indurrebbero a
descriverne il ciclo come contraddistinto da una moderata asimmetria, dovuta
essenzialmente all’ampiezza estremamente contenuta delle fasi recessive.
In questa sede, tuttavia, si ritiene di notevole interesse valutare sia l’entità degli
scostamenti, sia la reattività di ciascun paese membro rispetto alle oscillazioni di medio
periodo dell’area nel suo complesso. A questo fine, si adotta una metodologia che si
caratterizza per l’estrema accuratezza nella stima delle componenti di trend e di ciclo.
Nel modello di riferimento adottato in questo lavoro10, il ciclo dell’area euro è
specificato nella forma di common cycle rispetto alle componenti cicliche dei singoli
stati membri,
y k ,t = µ k ,t + δ kψ t + ε k ,t
dove y k ,t indica le serie del prodotto interno lordo per i singoli paesi considerati nel
lavoro (k=1,2,…,K), µ k ,t è la corrispondente componente di trend stocastico,ψ t è la
9
Tali evidenze sono in linea a quanto riportato in Harding e Pagan (2001) e in Artis, Krolzig e Toro (1999). Con
riferimento all’Italia, in quest’ultimo lavoro è stato stimato che il tasso di crescita del PIL, registrato dopo il primo anno di
uscita da un minimo ciclico risulterebbe, in media, di circa il 7% più basso rispetto a quanto osservato nei momenti iniziali
della fase espansiva.
10
Il modello e la procedura di stima adottata nel lavoro sono descritti in Pelagatti, M., (2004).
- 213 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
componente ciclica comune a tutte le economie considerate, che contribuisce alle
fluttuazioni cicliche di ciascun paese sulla base dal parametro incognito δ k (loading), ε k ,t
è un termine di errore con le usuali proprietà stocastiche. Adottando la specificazione
suggerita in Harvey e Trimbur (2003), il filtro ottimale per l’estrazione simultanea delle
componenti di ciclo e di trend del modello è noto come Generalized Butterworth Filter
di ordine (m,n) 11. Specificato nella forma di un modello multivariato a componenti nonosservabili, le componenti di interesse sono state estratte applicando il filtro di Kalman
sulle informazioni disponibili relative al periodo 1972:1-2006:2 e i parametri di loading
sono stimati con metodo di massima verosimiglianza. Fissando a 1 il peso della
componente ciclica del PIL dell’area euro, tali parametri sono stati normalizzati
attraverso il rapporto tra le deviazioni standard corrispondenti alle serie differenziate del
σ ( ∆y Euro ,t )
~
PIL, rispettivamente, dell’area euro e di ciascun stato membro ( δ k = σ
,
σ ( ∆y k ,t )
colonne 2 e 3 della tabella 2).
Tab. 2
INCIDENZA DEL COMMON CYCLE DELL’AREA EURO NELLE ECONOMIE DEI PAESI MEMBRI
Paesi
Parametro di loading
Area euro
Deviazione standard
0,0059
Italia
1,30
(0,145)
0,0078
Francia
0,84
(0,044)
0,0053
Germania
1,04
(0,103)
0,0095
Spagna
0,61
(0,129)
0,0080
Belgio-Lussemburgo
1,37
(0,127)
0,0074
Olanda
0,95
(0,107)
0,0121
Finlandia
0,22
(0,199)
0,0140
Austria
0,95
(0,131)
0,0093
Portogallo
1,09
(0,140)
0,0125
Grecia
0,98
(0,315)
0,0296
Nota: errori standard in parentesi.
11
Il modello è stato stimato con riferimento all’intervallo di frequenze [0,2-1,05] corrispondenti, nel caso di serie storiche
trimestrali, alle fluttuazioni cicliche relative all’intervallo temporale compreso tra 1,5 e 8 anni. Il modello è stato stimato
con parametri m=2, n=4 (rispettivamente, ordine della componente di trend e di ciclo stocastico), ρ = 0 . 7 (dumping
factor), λ
= 0,5 (frequency cycle).
- 214 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
Questi ultimi sono fortemente informativi sull’importanza che la componente di
common cycle riveste nell’influenzare le dinamiche cicliche complessive di ciascun
paese dell’area e, quindi, la tendenza ad accentuare o meno l’intensità delle oscillazioni
di medio periodo provenienti dall’area monetaria nel suo complesso.
Sulla basi di tali evidenze, l’Italia, il Belgio-Lussemburgo e, in minor misura il
Portogallo, sono risultate le economie europee più sensibili alle oscillazioni cicliche
provenienti dell’area euro, ovvero quelle in cui i segnali di tipo common cycle verrebbero
amplificati nell’ambito delle dinamiche cicliche nazionali. Confermando le attese a
priori, il parametro di common cycle per la Germania è stato stimato con valore unitario,
fornendo supporto all’ipotesi secondo cui l’economia tedesca determinerebbe in larga
misura le evoluzioni di breve-medio periodo dell’economia continentale (analoga
evidenza si riscontra con riferimento alle dinamiche cicliche dei settori industriali
nell’area euro, si veda il paragrafo 3.5 di questo capitolo). La Francia e, in particolare, la
Spagna sono risultate le economie europee in cui le dinamiche cicliche nazionali hanno
mostrato la relazione più debole nei confronti della componente di common cycle, con il
risultato di attenuare l’importanza di tali fluttuazioni aggregate nell’ambito delle
dinamiche di medio termine. Tale risultato è, probabilmente, dovuto a motivazioni
sostanzialmente differenti. La relativa “autonomia” dell’economia francese rispetto agli
andamenti ciclici predominanti nell’area euro potrebbe essere maggiormente attribuibile
ad alcune caratteristiche specifiche della struttura produttiva di questo paese, come il
ruolo svolto dal settore pubblico, i cui livelli di intervento (e di efficienza) nel sistema
economico sono probabilmente superiori rispetto a quanto si riscontra nelle altre
maggiori economie continentali. Motivazioni diverse sono individuabili per l’economia
spagnola, che è stata attraversata da un profondo processo di trasformazione,
particolarmente intenso nell’ultimo decennio, che ha probabilmente segnato un cambio
strutturale di tale sistema economico. Il caso della Spagna potrebbe delinearsi come un
vero e proprio processo di convergenza verso le dinamiche delle maggiori economie
continentali. Evidenze a sostegno di ciò sono rintracciabili anche nell’analisi delle
convergenze cicliche tra i paesi dell’area euro (si veda il paragrafo 3.4 di questo
capitolo).
Nel complesso, i parametri stimati (risultati staticamente significativi, con l’unica
eccezione della Finlandia) hanno evidenziato una azione particolarmente rilevante della
componente di common cycle nelle oscillazioni di medio termine dei paesi membri
dell’area euro, nel senso di una loro amplificazione per alcune economie, tra cui l’Italia,
e di una attenuazione per altre (Francia e Spagna). In funzione di “boa” per l’intero
sistema economico europeo risulta la Germania.
Una volta definita l’influenza del ciclo europeo sulle singole economie, è opportuno
interrogarsi su quali siano le caratteristiche dei cicli “specifici” nazionali al netto, cioè,
- 215 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
della componente comune relativa all’area euro. Ciò può fornire un importante
strumento interpretativo sulla natura delle oscillazioni cicliche nazionali una volta
depurate degli effetti di quello che può essere considerato come il principale “attrattore”
delle frequenze cicliche all’interno dell’area.
E’ tuttavia rilevante considerare che le componenti nazionali sono sì al netto del
ciclo comune “euro”, ma continuano a essere comprensive di tutti quegli effetti derivanti
dalle interazioni attraverso link commerciali e di integrazione produttiva con le singole
economie dell’area. I country-specific cycle corrispondono alla componente ciclica
relativa alle serie del prodotto interno lordo, una volta depurata della corrispondente
quota di common cycle,
~
y k ,t = y k ,t − δˆkψ t 12.
In questo lavoro, le componenti country specific sono state estratte dalle serie
storiche ~
y k ,t attraverso l’applicazione di tre distinte metodologie: il filtro di ChristianoFitzgerald (1999), il filtro di Hodrick e Prescott (1997), l’usuale operatore differenza
stagionale.
L’analisi che segue si pone l’obiettivo di valutare come si è modificata nel tempo
l’eterogeneità tra le componenti cicliche dei paesi membri e, in particolare, se si è
eventualmente manifestata una crescita di tale fenomeno nel corso degli anni 2000. In
questo lavoro, l’omogeneità tra componenti è stata misurata attraverso la stima (per
ciascun trimestre dell’intervallo 1972:1-2006:2) di indici di deviazione standard tra le
componenti cicliche nazionali. In particolare, accanto a quelle stimate al netto del
common cycle, in questo ambito sono state considerate anche le componenti cosiddette
“complete”, ovvero quelle usualmente ottenute applicando le metodologie citate in
precedenza alle serie storiche del prodotto interno lordo di ciascun paese.
L’evidenza proveniente dagli indici di variabilità calcolati sulle due tipologie di
componenti (net e gross of common cycle) appare concorde nell’indicare una
attenuazione della variabilità tra gli andamenti ciclici dei paesi membri dell’area euro a
partire dal terzo/quarto trimestre del 1994 (grafico 1). La differenza tra i valori di
deviazione standard relativi, rispettivamente, ai periodi 1972-1994 e 1995-2006 è
risultata significativamente diversa da zero. Ciò indicherebbe che, sul finire della prima
metà degli anni ’90, si era realizzato un sensibile contenimento del grado di eterogeneità
tra le componenti cicliche aggregate di quei paesi che, a distanza di pochi anni, sarebbero
confluiti nell’area valutaria a moneta unica.
12
y k ,t
indica le serie del prodotto interno lordo per il paese k,
componente ciclica comune.
- 216 -
δˆk è il corrispondente parametro di loading,ψ t
è la
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
Nel corso degli anni 2000, si è, invece, registrato un lieve incremento degli indici di
variabilità, prevalentemente in corrispondenza dell’inversione ciclica che ha
caratterizzato l’inizio di questo decennio. Secondo le indicazioni riportate nel grafico 2,
il ciclo dell’area euro ha raggiunto un massimo nel quarto trimestre del 2000, un
andamento seguito strettamente dall’Italia e dalla Francia (che hanno fatto registrare un
massimo nello stesso periodo) e con un trimestre di anticipo dalla Germania.
Graf. 1 - ETEROGENEITÀ TRA LE COMPONENTI CICLICHE DELL’AREA EURO
0,07
0,01
0,06
0,00
0,05
0,00
0,04
0,03
0,00
0,02
0,00
0,01
0,00
0
71
73
75
77
79
81
83
85
87
89
CF
91
93
D
95
97
99
01
03
05
97
99
01
03
05
HP
4
3
2
1
0
-1
-2
-3
71
73
75
77
79
81
83
85
87
89
CF
91
HP
93
95
D
Nota: CF: Christiano-Fitzgerald; HP: Hodrick-Prescott; D:differenza stagionale.
Il grafico in basso riporta le deviazioni standard riscalate rispetto alla media delle componenti cicliche.
La Spagna, al contrario, ha messo in luce una marcata asincronia rispetto a tali
dinamiche, avendo anticipato l’inizio della fase recessiva ai primi mesi del 2000. Lo
stesso paese, tuttavia, ha nettamente anticipato l’uscita dalla contrazione (datata nel terzo
trimestre del 2002) mentre, nell’area euro la stessa fase recessiva è, invece, terminata
soltanto a distanza di un anno. Anche in questo caso, un andamento fortemente
- 217 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
simmetrico all’andamento ciclico dell’area è stato riscontrato per la Francia; la Germania
e l’Italia (quest’ultima, tra tentativi di ripresa e “false partenze”) hanno rappresentato i
paesi che hanno attraversato la recessione più lunga, durata fino al primo trimestre del
2005. Per alcune delle altre economie “minori” dell’area euro si sono riscontrate
asimmetrie anche più accentuate.
Graf. 2 - DINAMICHE CICLICHE NEGLI ANNI DELL’EURO
0,02
0,02
0,01
0,01
0,00
-0,01
-0,01
-0,02
-0,02
-0,03
1999
2000
Common cycle
2001
2002
2003
Germania
Spagna
2004
2005
Francia
2006
Italia
Tali dinamiche hanno portato a un aumento della eterogeneità ciclica dell’area,
come si rileva dalle deviazioni standard costruite sulle due tipologie di componenti
cicliche. Questa, tuttavia, non è stata caratterizzata da una elevata persistenza. Con
l’eccezione di un più lieve balzo a cavallo del 2002, gli indici di variabilità hanno poi
mostrato un ridimensionamento (a partire dall’ultimo trimestre del 2003), riportandosi su
valori analoghi a quelli registrati tra il 1997 e il 1998.
Queste evidenze risultano di particolare interesse se interpretate anche alla luce del
fatto che nel 2001 è diventata operativa l’area europea a moneta unica. L’avvio
dell’unione monetaria è, dunque, avvenuto in un periodo di generale difficoltà per
l’economia europea. I segnali che lasciavano presumere l’avvio di una fase recessiva si
erano consolidati già nel corso del 1999; questi, tuttavia, non lasciavano presumere
l’inizio di una fase congiunturale così complessa. In particolare, l’evidenza fornita dagli
indici di variabilità relativi a tale periodo (sempre calcolati su cicli “completi”)
sembrerebbe confermare il fatto che all’introduzione della moneta unica non si è
accompagnata una ulteriore riduzione dell’eterogeneità tra componenti cicliche.
L’unificazione monetaria, in altri termini, sembrerebbe non avere avuto significativi
riflessi sulle caratteristiche dei co-movimenti di medio termine tra i paesi dell’area. Se,
tuttavia, l’analisi di variabilità è effettuata considerando gli specific cycles gli indici di
- 218 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
correlazione cominciano a registrare un lieve aumento dall’inizio del 2005.
L’interpretazione di questo risultato richiede cautela: in particolare, potrebbe incorporare
una distorsione dovuta alle maggiori revisioni che caratterizzano le estrazioni delle
componenti cicliche agli estremi dell’intervallo temporale di riferimento. Una analisi,
con metodologie differenti, degli effetti che il processo di unificazione avrebbe prodotto
sui cicli gross e net of common cycle, è condotta nel paragrafo che segue.
3.4 UNA ANALISI DELLA CONVERGENZA CICLICA
I risultati presentati nel paragrafo precedente potrebbero essere considerati come
evidenze preliminari in una analisi volta alla verifica dell’ipotesi di endogeneità
dell’unione monetaria. Da un lato, le stime riportate nella tabella 2 hanno mostrato la
marcata sensibilità delle economie europee al ciclo aggregato dell’area. In secondo
luogo, una significativa attenuazione della eterogeneità tra le dinamiche cicliche dei
paesi europei si è realizzata proprio in un periodo in cui poteva considerarsi, al più,
appena cominciato il percorso che avrebbe portato all’unificazione monetaria.
Piuttosto, la costituzione dell’area euro sembrerebbe poter essere considerata come
il più importante, e anche il più recente, punto di arrivo della lunga esperienza di accordi
e scambi commerciali che ha visto le economie europee cooperare sin dal secondo
dopoguerra. Tale esperienza, incoraggiata dalla vicinanza geografica, avrebbe favorito il
processo di integrazione commerciale e produttiva tra le principali economie
continentali, contribuendo a un significativo impulso degli scambi commerciali
all’interno dell’area medesima (si veda il capitolo Gli effetti della moneta unica sul
commercio degli Stati Membri. La posizione competitiva dell’Italia sugli effetti di trade
creation dell’euro).
In altri termini, pur da queste evidenze preliminari, la ricerca di un effetto del tipo
endogeneity of the OCA properties, incentrato sul fatto che la partecipazione a un’area
monetaria ottimale dovrebbe produrre, come effetto endogeno, il conseguimento di una
più elevata sincronia tra i cicli economici dei paesi membri, non sembra trovare supporto
nei dati.
Tale tema costituisce l’oggetto di questo paragrafo. L’approccio seguito per la
verifica empirica di potenziali effetti derivanti dall’unificazione monetaria trae spunto
dall’ipotesi di lavoro espressa in Frankel and Rose (1998), secondo cui la presenza di
effetti di endogeneità corrisponde alla verifica di una relazione positiva tra integrazione
commerciale e correlazione alle frequenze cicliche.
In quanto segue, la misura della correlazione alle frequenze cicliche è stata condotta
attraverso la stima di indici di correlazione dinamica, proposti in Croux, Forni e Riechlin
- 219 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
(2001), elaborati in un contesto time-varying. Le componenti cicliche (“complete” e
country specific), ottenute dall’esercizio di stima descritto nel paragrafo precedente,
sono state utilizzate per la stima di modelli VAR (a due o più equazioni, dove ogni
equazione rappresenta un paese) e per la successiva costruzione delle matrici di densità
spettrale13
F (ω ) = 1
2π
A(ω ) −1 ∑ A(ω ) −*
.
Il focus dell’analisi è riferito all’esperienza italiana. Tale approccio ha consentito di
evidenziare, da un lato, in quali periodi si sarebbe intensificato il processo di
convergenza dell’Italia rispetto alle principali economie europee; dall’altro, come tale
fenomeno si è evoluto nel corso dell’ultimo decennio, un periodo che include la
costituzione formale dell’area a moneta unica e in cui, allo stesso tempo, le performance
cicliche dell’economia italiana sono risultate particolarmente complesse. In entrambi i
casi, l’evidenza è stata costruita rispetto sia alle componenti cicliche “complete” sia a
quelle di tipo country-specific. Per la componente di ciclo comune, si assume che rifletta,
in larga parte, sia i fattori connessi all’integrazione commerciale e produttiva delle
economie continentali, sia quelli dovuti alle riforme istituzionali realizzate dagli
organismi dell’Unione Europea che hanno, quindi, interessato tutti i sistemi economici
facenti parte dell’area.
L’analisi condotta rispetto alle componenti cicliche country specific si propone, in
particolare, di verificare se e, in che misura, le specificità cicliche dell’economia italiana
abbiano beneficiato del processo di integrazione commerciale ed istituzionale. In altri
13
∑ è la matrice di varianze e covarianze stimata, A(ω ) la trasformata di Fourier di una matrice polinomiale nei ritardi
del modello VAR. Usualmente, i comportamenti lead e/o lag tra due o più fenomeni sono analizzati in termini degli indici
di explained variance o di squared coherency. Tali indicatori consentono di valutare le relazioni di anticipo/ritardo tra due
fenomeni in corrispondenza di ogni singola frequenza (frequenza per frequenza), ma non consentono di inferire tali
elementi rispetto alle componenti cicliche rappresentative di due o più fenomeni. Una soluzione a tale problema è stata
proposta in Croux et al. attraverso una misura alternativa della correlazione alle frequenze cicliche (indice di correlazione
dinamica),
ρ (ω ) =
dove
c xy (ω )
f x (ω ) f y (ω )
− 1 ≤ ρ (ω ) ≤ 1 , c xy (ω ) è il cospettro, f x (ω ) e f y (ω ) sono gli autospettri desunti dalla matrice di densità
spettrale, per ogni coppia di matrici, rispettivamente, di parametri e di varianza-covarianza. La stima VAR condotta in un
contesto time-varying ha consentito di pervenire alla stima di matrici di densità spettrale time-dependent e, di
conseguenza, degli stessi indici di correlazione dinamica. Tale indicatore presenta il vantaggio di misurare la correlazione
contemporanea (in-phase) tra le componenti di due o più serie storiche per un determinato intervallo di frequenze.
- 220 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
termini, se si è effettivamente verificata un’accelerazione della convergenza alle
frequenze cicliche dell’Italia rispetto agli altri paesi dell’area a moneta unica.
La prima significativa evidenza è relativa agli indici di correlazione dinamica
calcolati prendendo a riferimento le componenti cicliche complete per quattro maggiori
economie dell’area euro (Francia, Germania, Italia e Spagna)14. I risultati della stima
time-varying, relativi al periodo 1996:1-2006:2, riportati nel grafico 3, segnalano indici
di correlazione dinamica tra componenti cicliche sempre particolarmente elevati. Con
riferimento all’Italia, il valore della correlazione nella media del periodo (calcolato
rispetto a ciascuno degli altri paesi europei) si è attestato intorno allo 0,6, con picchi che
hanno raggiunto lo 0,8 in corrispondenza dei periodi di più forte espansione del ciclo
economico. Le flessioni, al contrario, sarebbero essenzialmente imputabili alla maggiore
incidenza, soprattutto nei periodi di deterioramento del ciclo, delle componenti a più alta
frequenza. Le contrazioni più significative si sono registrate, nei confronti della
Germania e della Spagna, nei trimestri iniziali degli anni ’90 (quando la correlazione è
risultata marcatamente negativa), e anche verso la Francia (nei primi due trimestri del
1998) pur se con diminuzioni più contenute. In quest’ultimo caso, infatti, l’indice di
correlazione si è mantenuto positivo. Si tratta, in ogni caso, di periodi ben noti del
recente ciclo economico di queste tre economie, caratterizzati da deterioramenti, anche
particolarmente intensi, della dinamica ciclica.
Di particolare interesse appaiono le evidenze relative alla convergenza ciclica della
Spagna rispetto alle altre tre economie europee. Come si è accennato nel paragrafo
precedente, tale evidenza fornirebbe un più robusto supporto analitico per
l’interpretazione delle peculiari dinamiche cicliche di tale economia. Il netto aumento
degli indici di correlazione dinamica osservato tra il 1986 e il 1988 dovrebbe
corrispondere alla fase in cui si sarebbe definitivamente realizzato gran parte del
processo di convergenza dell’economia spagnola rispetto alle maggiori economie
dell’area euro. L’aumento della correlazione tra componenti cicliche è apparso
particolarmente intenso nei confronti della Germania; è, invece, risultato più graduale
rispetto all’Italia e alla Francia. Questi due paesi, nel periodo più recente, avrebbero
sperimentato un divario nei confronti del più sostenuto ciclo che ha caratterizzato la
ripresa economica della Spagna, più strettamente accostato dall’inizio del 2000 al ciclo
economico tedesco.
14
L’analisi è stata condotta rispetto all’intervallo di frequenze [0,2-1,05], corrispondente alle dinamiche (cicliche) delle
serie trimestrali comprese tra 1,5 e 8 anni).
- 221 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Graf. 3 - CORRELAZIONI DINAMICHE TRA COMPONENTI CICLICHE DEL PIL
Italia-Germania
Italia-Francia
1
Italia-Spagna
1,2
0,8
0,8
1
0,6
0,8
0,4
0,6
0,2
0,4
0
0,2
-0,2
0
-0,4
-0,2
-0,6
-0,4
-0,8
-0,6
ciclo completo
0,6
0,4
0,2
0
-0,2
-0,4
ciclo specifico
ciclo completo
Italia-Belgio
Italia-Olanda
0,9
0,4
0,87
0,3
0,2
0,84
0,1
0,78
0,9
0,8
0,8
0,7
0,7
0,6
0,6
0,5
0,4
0,5
0,3
0,4
-0,1
0,2
0,3
0,1
0,75
-0,2
0,72
-0,3
0,2
0
0,1
-0,1
0
-0,2
cic lo co m pleto
c ic lo c o m pleto
cic lo specifico (sc ala a destra)
Germania-Francia
ciclo specifico
ciclo specifico
Italia-Finlandia
0,9
0
0,81
ciclo completo
ciclo completo
ciclo specifico
ciclo co m pleto
c ic lo s pec ific o
Germania-Spagna
ciclo completo
1
ciclo specifico
ciclo specifico
Francia-Spagna
1
ciclo completo
ciclo specifico
1
0,75
0,75
0,5
0,5
0,25
0,25
0
0
-0,25
-0,25
-0,25
-0,5
-0,5
-0,5
-0,75
-0,75
-0,75
0,75
0,5
0,25
0
-1
-1
-1
96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06
96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06
96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06
Fonte: elaborazione ISAE su dati OCSE e Eurostat.
Negli anni dell’euro, l’evoluzione di medio periodo dell’Italia è risultata
sostanzialmente in linea con quella delle maggiori economie dell’area. Con riferimento
alla Germania, l’indice di correlazione contemporanea si era attestato su livelli
particolarmente elevati già nel biennio 1998-1999. L’indice ha poi mostrato un rialzo
- 222 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
all’inizio degli anni 2000, non tuttavia particolarmente significativo e tale da poter
configurarsi come un “effetto unificazione”. Si è, invece, osservato, un progressivo calo
della correlazione negli anni immediatamente successivi al 2000: nel quarto trimestre del
2002, l’indice è risultato pari a 0,5 (accusando una perdita di oltre il 30%), il valore più
basso toccato dall’inizio del decennio in corso. A partire dal 2003, si è invece registrata
una lieve evoluzione al rialzo.
La correlazione tra componenti cicliche della Francia e dell’Italia si è mantenuta
invariata, su livelli elevati (0,9), tra il 1999 e il 2001, per poi ridiscendere (a quota 0,55)
tra il secondo e il terzo trimestre del 2002. Dinamiche analoghe della correlazione tra
cicli sono state osservate tra Italia e Germania e tra quest’ultima e la Francia.
Nello stesso periodo, l’evoluzione della correlazione tra i cicli di Italia e Spagna ha
seguito dinamiche nettamente differenti. Il sostanziale calo, emerso nel periodo che ha
preceduto la costituzione dell’area a moneta unica, è poi proseguito ininterrotto negli
anni dell’euro. Col minimo toccato nel quarto trimestre del 2003, la perdita di
correlazione (valutata rispetto al primo trimestre 1995, quando ha raggiunto il suo valore
più elevato) è risultata pari circa a 0,6 punti. Nel biennio 2004-2005, il valore si è
mantenuto positivo ma su livelli insoddisfacenti. Una analoga perdita di livelli di
“convergenza”, avvenuta a ritmi più accentuati, si è registrata anche tra Francia e
Spagna.
Nel complesso, dall’evidenza ottenuta rispetto alle componenti cicliche
comprensive di common cycle non sono emerse significative discontinuità nella
dinamica della correlazione. A partire dal 2001, tuttavia, si sono registrate flessioni
generalizzate, seppur contenute, degli indici di correlazione dinamica dell’Italia nei
confronti delle maggiori economie dell’area euro. Ciò sembrerebbe portare a due
principali conclusioni: da un lato, i risultati dell’esercizio di stima sembrerebbero
confermare la tesi secondo cui, nell’intervallo di tempo considerato, larga parte della
convergenza tra i cicli delle economie europee più sviluppate si era già realizzata prima
degli anni dell’euro; dall’altro, l’attenuazione degli indici di correlazione dinamica
osservata nel corso degli anni 2000 porterebbe a diagnosticare una riduzione, per quanto
contenuta, del grado di sincronia dell’economia italiana nei primi anni di vita della
moneta unica. E’ probabile che tale diminuzione sia stata attenuata dal fatto che le
componenti cicliche “complete” dei paesi dell’area avrebbero incorporato, pressoché
integralmente, il “fattore comune” connesso alla partecipazione al processo di
integrazione monetaria, un fatto che ha contribuito a mantenere particolarmente elevato
il grado di sincronia tra gli andamenti ciclici complessivi.
Se, dunque, le riforme istituzionali e le politiche di integrazione monetaria e
finanziaria attuate nel corso degli ultimi 15 anni hanno interessato sistemi economici già
fortemente integrati, si potrebbe presumere che gli effetti prodotti da tali politiche
- 223 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
possano aver maggiormente interessato, dopo la creazione dell’UEM, il processo di
convergenza tra le componenti cicliche country-specific.
L’evidenza al riguardo non ha trovato un riscontro favorevole per l’Italia. La
correlazione dinamica tra i cicli specifici di Italia e Germania è risultata in progressiva
diminuzione, fino ad azzerarsi (tra metà 2002 e la fine del 2003) per poi toccare valori
negativi nel periodo successivo. Verso la Spagna, l’indice di correlazione ha mostrato
una forte erraticità dall’inizio del 2000 ed è risultato decrescente lungo tutto il decennio
in corso, pur mantenendosi sempre lievemente positivo. I risultati rispetto agli altri paesi
dell’area euro hanno messo in luce una perdita di convergenza tra le componenti
cicliche, con valori negativi degli indici di correlazione dinamica, nei confronti
dell’Austria e, sia pure in minor misura (e sempre a partire dal 2002), nei confronti
dell’Olanda. Risultati marginalmente più favorevoli per l’Italia sono stati registrati nei
confronti della Francia, in particolare tra il 2003 e il 2005, periodo in cui l’indicatore di
correlazione dinamica ha toccato livelli particolarmente elevati, di poco inferiori a quelli
ottenuti con riferimento alle componenti cicliche comprensive del common cycle. Nei
trimestri successivi, tuttavia, la perdita di correlazione tra cicli specifici è risultata molto
netta: l’indicatore è tornato fortemente negativo, sui livelli non più toccati dal 1996. Si è
invece consolidata quella nei confronti della Finlandia, pur se intorno a livelli moderati.
3.5 L’INDUSTRIA NEGLI ANNI DELL’EURO
Tra la fine dello scorso decennio e l’inizio degli anni 2000, il settore industriale
italiano ha registrato una profonda crisi strutturale. Gli effetti dell’ultima recessione che
ha interessato la maggior parte delle economie dell’area euro, attesa già a fine ’99, sono
risultati particolarmente acuti per i settori industriali del nostro paese. Al termine di tale
fase, conclusasi nei primi mesi del 2005, il semplice confronto degli indici generali della
produzione industriale relativi alle principali economie europee ha messo in luce non
solo un peggioramento delle performance cicliche quanto, soprattutto, la riduzione del
ritmo di sviluppo di lungo termine. All’eccessiva durata del periodo di recessione/
stagnazione, si sarebbe aggiunta la maggiore inerzia delle pur spontanee correzioni
settoriali, connaturate al nostro sistema produttivo. A tali elementi, si sono sovrapposti
gli effetti derivanti dall’eccezionale sviluppo dei mercati asiatici ed altri di carattere
istituzionale, dovuti al processo di riforme che ha accompagnato la costituzione dell’area
europea a moneta unica.
Nel complesso, tra il 2001 e la fine del 2004, pur venendo meno una efficace leva a
sostegno della competitività dei prodotti nazionali sui mercati esteri, l’industria italiana
ha messo in luce una sostanziale tenuta del processo di specializzazione (si veda il
- 224 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
riquadro Trasformazioni dell’industria italiana in questo rapporto), rafforzando, in
termini relativi, le proprie posizioni nei confronti dei principali partner commerciali. A
ciò ha probabilmente concorso il marcato processo di improvement qualitativo delle
produzioni nazionali (si veda, tra gli altri, Basile, de Nardis e Girardi, 2006).
Un ulteriore aspetto peculiare della contrazione dell’industria italiana negli anni
2000 è rappresentata dal sostanziale mantenimento dei livelli occupazionali, in misura
non confrontabile a quanto osservato nel corso dell’ultima forte recessione verificatasi
all’inizio degli anni ’90. Le varie riforme del mercato del lavoro succedutesi a partire dal
1996 avrebbero aumentato la convenienza del fattore produttivo “lavoro”: in una fase di
contrazione dei livelli produttivi, ciò si è riflesso in una brusca caduta della produttività
aggregata dell’industria italiana (si veda in questo Rapporto il riquadro Trasformazioni
dell’industria italiana e il capitolo Modifiche istituzionali e cambiamenti strutturali nel
mercato del lavoro italiano).
A fronte di tali fenomeni, qual è stata la performance del sistema industriale italiano
nei confronti dei paesi membri dell’area a moneta unica? In quanto segue si presentano
alcune evidenze sulla natura delle dinamiche industriali intercorse tra i paesi dell’area
euro negli ultimi quindici anni. L’attenzione, in particolare, si è soffermata dapprima
sulla valutazione delle dinamiche cicliche dei settori industriali dei paesi membri (in
aggregato al netto delle costruzioni). Indicazioni di natura descrittiva sono state ottenute
dagli indicatori del ciclo economico tratti dalla datazione secondo l’approccio del ciclo
classico. Successivamente, l’interesse si è soffermato su una più accurata valutazione
delle oscillazioni di medio periodo e delle dinamiche di lungo termine dei settori
industriali nei singoli paesi. Entrambe le applicazioni sono state condotte sugli indici
generali della produzione industriale di fonte OCSE e Eurostat, destagionalizzati e
corretti per i giorni lavorativi, disponibili su base mensile per il periodo 1975:1-2006:12.
Secondo la datazione del ciclo industriale sui livelli (tabella 3), la durata media delle
espansioni del settore industriale nell’area euro è risultata particolarmente elevata (circa
12,8 trimestri), un valore cui si avvicinano le durate dei cicli espansivi registrati in
Germania, Spagna e Irlanda. L’Italia è risultata contrassegnata dalle più brevi fasi
espansive del settore industriale. Se si tiene conto della durata delle fasi cicliche
(indicatore di steepness), l’ampiezza dei cicli espansivi dell’industria italiana è risultata
superiore rispetto all’evidenza in media riscontrata per le principali economie dell’area,
in particolare più che doppia rispetto alla Francia e nettamente maggiore anche rispetto
alla Germania.
Cicli tendenzialmente simmetrici (in cui la rilevanza delle fasi espansive è risultata
analoga a quella dei periodi di contrazione) sono stati rilevati per Olanda, Finlandia,
Belgio e Lussemburgo; una maggiore incidenza delle recessioni rispetto alle espansioni è
stata invece registra per la Germania. Al contempo, i settori industriali caratterizzati da
- 225 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
più forti accelerazioni negli stadi finali delle fasi di crescita (in eccesso a quanto previsto
dall’approssimazione triangolare) sono quelli di Spagna, Irlanda, Austria e Portogallo.
L’Italia risulterebbe una delle economie dell’area euro maggiormente esposta a perdite di
volumi produttivi durante le fasi recessive.
Tab. 3
FATTI STILIZZATI DEL CICLO INDUSTRIALE NEI PAESI UEM
Euro12
DE
FR
IT
ES
NL
BE
IE
AT
FI
PT
GR
LU
Numero di cicli (MM)
5
7
8
11
5
8
8
6
8
5
8
8
9
Numero di cicli (mm)
6
8
8
12
5
8
8
6
8
5
8
8
10
Durata media (MM)
19,400 14,857 14,625
9,818 17,000 13,000 14,125 16,167 11,750 23,600 14,125 14,500 11,222
Durata media (mm)
17,500 14,000 14,875
9,833 15,800 15,000 13,500 16,000 11,625 22,200 14,375 14,500 12,300
Durata media delle
espansioni (mM)
12,833 10,875
9,667
5,417 12,000
9,667 10,375 13,500
7,750 16,667
9,875
9,875
9,100
Durata media delle
recessioni (Mm)
4,667
3,125
4,500
4,417
4,833
4,375
3,556
2,857
3,667
4,600
4,222
4,333
3,200
Ampiezza media delle
espansioni (mM)
0,126
0,099
0,080
0,091
0,117
0,092
0,092
0,382
0,126
0,303
0,155
0,102
0,130
Ampiezza media delle
recessioni (Mm)
Steepness (mM)
Steepness (Mm)
-0,037 -0,039
0,010
-0,028 -0,048 -0,039 -0,038 -0,035 -0,047 -0,039 -0,087 -0,049 -0,045 -0,046
0,009
0,008
-0,008 -0,013
-0,006
0,017
0,010
0,009
0,009
0,028
0,016
0,537
0,387
0,248
0,699
0,443
0,476
Excess (mM) - HP
0,052
0,031
0,269
0,083 -0,050
0,093
0,306 -1,225 -0,018
Excess (Mm) - HP
0,116
0,025
0,010
0,014
0,487
0,809
-0,086 -0,061
0,016
-0,011 -0,019 -0,012 -0,010 -0,014
Triangle approximation
(mM)
Triangle approximation
(Mm)
0,018
-0,011 -0,008 -0,009 -0,010 -0,017
2,579
2,521
0,768
0,501
0,591
1,459 -0,198
0,217
0,192
-0,063 -0,107 -0,095 -0,084 -0,062 -0,068 -0,072 -0,199 -0,103 -0,098 -0,073
0,018
-0,086
0,244
0,059 -0,037
-0,011 -0,099
0,418
0,014 -0,171
-0,110
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat.
Nota: “m” indica il punto di minimo locale, “M” il punto di massimo locale. I paesi considerati sono i seguenti: Area euro a 12 (Euro), Italia
(IT), Germania (DE), Francia (FR), Spagna (ES), Irlanda (IE), Grecia (GR), Portogallo (PT), Austria (AT), Finlandia (FI), Olanda (NL),
Lussemburgo (LU), Belgio (BE).
Tale analisi segnalerebbe due principali punti sfavorevoli dell’industria italiana. Da
un lato, la modesta durata delle fasi di crescita produttiva (in rapporto alle caratteristiche
cicliche degli altri paesi dell’area), cui si accompagnano periodi di fiacca evoluzione se
non di stagnazione dell’attività economica; dall’altro, l’estrema debolezza cui il sistema
industriale sarebbe esposto nel corso delle fasi recessive.
Tenendo conto di ciò, appare rilevante valutare come si è evoluta la posizione
ciclica del sistema industriale italiano, nei confronti delle economie dell’area euro, nel
corso dell’ultimo decennio. A questo fine, lo studio ha riguardato, da un lato, gli
andamenti aggregati delle componenti di trend e di ciclo dell’industria italiana nei
confronti di quelle dell’area a moneta unica. Dall’altro, con riferimento ai settori
industriali, l’analisi si è proposta di verificare il grado di sincronia, e l’evoluzione nel
tempo di tale sincronia, tra le componenti cicliche dei settori italiani e quelle di un
benchmark di riferimento rappresentato, in questo lavoro, dai corrispondenti comparti
produttivi dell’area euro.
- 226 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
Con riferimento al primi elemento di analisi, la valutazione della posizione
dell’Italia nei confronti del ciclo economico dell’unione monetaria è stata effettuata
considerando le caratteristiche di ciclo e di trend dei comparti dell’industria in senso
stretto dei singoli paesi dell’area15. Sulla base di questa elaborazione, la prima metà degli
anni 2000 è stata caratterizzata da marcate asimmetrie tra le dinamiche cicliche delle
industrie nazionali, tali da far venir meno l’ipotesi di un ciclo industriale unico dell’UEM
(grafico 4). Soltanto un ristretto numero di paesi, infatti, ha mostrato andamenti di medio
Graf. 4 - COMPONENTI CICLICHE NELLA FASE RECESSIVA 2001-2003
0,06
0,04
0,03
0,04
0,02
0,02
0,01
0
0
-0,01
-0,02
-0,02
-0,04
-0,03
-0,04
-0,06
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
1999
2006
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Germania
Austria
Francia
Olanda
Finlandia
Common cycle
Belgio
Common cycle
0,05
0,05
0,04
0,04
0,03
0,03
0,02
0,02
0,01
0,01
0
0
-0,01
-0,01
-0,02
-0,02
-0,03
-0,03
-0,04
-0,04
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
1999
2006
2000
2001 2002
2003
2004
2005 2006
Irlanda
Portogallo
Italia
Spagna
Lussemburgo
Common cycle
Grecia
Commoncycle
termine strettamente accostati a quello della componente di common cycle
(corrispondente al ciclo industriale dell’area a moneta unica). Prendendo a riferimento
gli ultimi due punti di svolta di tale componente (corrispondenti al massimo del quarto
15
Tali componenti sono state specificate nella forma di un filtro di Butterworth Generalizzato. La componente ciclica
dell’industria in senso stretto nell’area euro è stata specificata nella forma di un common cycle, che entra, attraverso
opportuni parametri (loading), nelle componenti cicliche dei singoli Stati Membri.
- 227 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
trimestre del 2000 e al minimo del terzo trimestre del 2003), i co-movimenti più
sincronici sono stati osservati per la Germania, l’Austria e la Finlandia. Un secondo
gruppo di paesi, inoltre, ha condiviso l’evoluzione del “ciclo comune” fino al minimo del
2003 e soltanto per una parte della successiva fase di ripresa. Nei trimestri successivi,
tuttavia, tali industrie hanno messo in luce una maggiore erraticità delle fasi cicliche, che
ha portato, per alcuni paesi, a recessioni vere e proprie (è questo il caso del Belgio e
dell’Olanda); per la Francia, si è trattato di un sostanziale indebolimento della ripresa
produttiva che, tuttavia, nel corso dell’ultimo biennio, ha evidenziato una crescente
divergenza nei confronti della sostenuta dinamica espansiva del common cycle. Un
insieme particolarmente numeroso, infine, è risultato costituito dalle industrie nazionali
con significative asincronie rispetto alla fase recessiva del ciclo industriale dell’area
euro. Queste hanno registrato un miglioramento del ciclo industriale, risultato più o
meno prolungato, che ha interessato il periodo compreso tra il quarto trimestre del 2001 e
il primo del 2004.
Le dinamiche più marcatamente anticicliche sono state rinvenute in Irlanda,
Portogallo e in Lussemburgo, paesi in cui si sarebbe registrato un massimo ciclico
compreso tra il quarto trimestre del 2003 e il primo del 2004. Per la Spagna e la Grecia,
la ripresa ciclica cominciata a fine 2001 è risultata più moderata. Si è trattato (pur con
qualche differenza) di un andamento condiviso anche dall’industria italiana. Dopo la
brusca discesa che ha caratterizzato tutto il corso del 2001, le industrie di questi tre paesi
hanno messo in luce moderati segnali di recupero. La perdita di livelli produttivi,
tuttavia, è stata particolarmente netta per la Spagna e la Grecia, più contenuta per l’Italia.
Ciò ha fatto in modo che il periodo di crescita moderata compreso tra il 2002 e il 2004
abbia rappresentato una “vera” fase espansiva per l’industria spagnola, una lunga
stagnazione per quella italiana. La successiva perdita di livelli produttivi del 2004,
terminata nei primi mesi del 2005, ha portato a delineare una fase ciclica completa per la
Spagna (2002-2005), il termine di una fase recessiva eccezionalmente lunga,
contrassegnata da una lunga fase di stagnazione, per l’Italia (si veda al riguardo, il
Rapporto Trimestrale dell’ISAE di febbraio 2006 e la Nota mensile dell’ISAE di
novembre 2006). Per la Grecia, la flessione del periodo 2004-2005 non è risultata
particolarmente forte e tale fase potrebbe essere anche interpretata come un temporaneo
indebolimento di una moderata espansione in atto dal terzo trimestre del 2001.
Tali diffuse eterogeneità potrebbero riflettere la differente sensibilità delle singole
industrie nazionali alle fluttuazioni cicliche del sistema industriale dell’area euro. A
questo proposito, i coefficienti di loading, stimati attraverso l’applicazione del filtro
multivariato, hanno nuovamente confermato una estrema reattività del ciclo industriale
italiano che, con un fattore di ponderazione superiore all’unità, tenderebbe ad
amplificare le oscillazioni osservate a livello dell’intera area (tabella 4). L’evidenza
- 228 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
relativa alla Germania (peso unitario), sembrerebbe confermare le indicazioni emerse in
precedenza relative al fatto che tale nazione è tra le principali determinati delle
fluttuazioni aggregate.
Tab. 4
INDUSTRIA: INCIDENZA DEL COMMON CYCLE DELL’AREA EURO NEI SISTEMI
INDUSTRIALI DEI PAESI MEMBRI
Paesi
Parametro di loading
Area euro
Deviazione standard
0,0289
Italia
1,32
(0,145)
0,0431
Francia
0,82
(0,075)
0,0267
Germania
1,08
(0,076)
0,0331
Spagna
0,44
(0,140)
0,0336
Belgio
1,06
(0,115)
0,0350
Lussemburgo
1,54
(0,170)
0,0512
Olanda
0,86
(0,106)
0,0287
Finlandia
0,97
(0,368)
0,0456
Austria
1,17
(0,114)
0,0329
Portogallo
0,64
(0,186)
0,0410
Grecia
0,66
(0,115)
0,0366
Irlanda
0,90
(0,204)
0,0592
Nota: errori standard in parentesi.
Negli anni 2000, anche gli andamenti delle componenti di trend sono risultati
significativamente diversificati. Alcune industrie nazionali hanno messo in luce un
deterioramento, con divari progressivamente in aumento rispetto alle tendenze di lungo
periodo dell’area. Tali dinamiche hanno, in particolare, riguardato le tendenze dell’Italia.
Tra il primo trimestre del 2003 e il quarto del 2006, la perdita cumulata del livello del
trend dell’industria risulterebbe pari allo 0,7%. Flessioni meno accentuate hanno
interessato le dinamiche di lungo termine del settore industriale in Francia, Olanda e
Grecia. Una lieve attenuazione del trend, risultato comunque in crescita, ha invece
caratterizzato il Portogallo, il Lussemburgo e la Spagna.
Sulla base di tali evidenze, è possibile concludere che le difficoltà sperimentate dal
settore industriale tedesco nel corso dei primi anni 2000 sarebbero da attribuirsi
interamente a oscillazioni di medio periodo, a carattere generalizzato e ricorrente, che
non hanno coinvolto fattori strutturali del sistema produttivo. La componente tendenziale
dell’industria tedesca non ha, infatti, mostrato un ripiegamento in seguito a tale periodo
- 229 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
di crisi ma, al contrario, si è attestata lungo un sentiero di crescita di lungo termine
ancora favorevole. Dall’inizio del 2000, una tenuta dei ritmi di sviluppo di lungo termine
ha contraddistinto anche la Spagna e il Belgio mentre, un miglioramento ha riguardato la
Finlandia e l’Austria. In Italia, al contrario, si è registrata una netta perdita del ritmo di
crescita di lungo periodo. Il grafico 5 mette in luce la notevole flessione accusata dal
trend dell’industria italiana a partire dal 2003 e l’ampio divario che si è determinato
rispetto all’UEM e alle dinamiche, pur in deterioramento, della Francia e dell’Olanda.
Graf. 5 - COMPONENTI DI TREND
4,9
4,68
4,85
4,66
4,8
4,64
4,75
4,62
4,7
4,6
4,65
4,6
4,58
4,55
4,56
4,5
4,54
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Euro
DE
ES
BE
Euro
IT
FR
FI
AT
LU
IE
NL
PT
GR
Legenda: Area euro (Euro); Germania (DE); Spagna (ES); Belgio (BE); Finlandia (FI); Austria (AT);
Lussemburgo (LU); Irlanda (IE); Italia (IT); Francia (FR); Olanda (NL); Portogallo (PT); Grecia (GR).
Gli andamenti fortemente differenziati delle oscillazioni di medio termine nei settori
industriali dell’area euro hanno portato a un lieve aumento della eterogeneità tra tali
componenti cicliche tra il 2002 e il 2004 (grafico 6). Rispetto alla seconda metà degli
anni ’90, tuttavia, il grado di eterogeneità tra i cicli industriali ha evidenziato un
significativo contenimento negli anni dell’euro. Tale indicazione trova conferma negli
indici di variabilità calcolati sulle componenti cicliche industriali sia gross che net of
common cycle. A differenza di quanto osservato considerando le serie del prodotto
interno lordo, l’unificazione monetaria sembrerebbe aver portato a un maggiore
sincronismo tra le dinamiche di medio periodo nei settori industriali dell’UEM.
Occorre, tuttavia, considerare che tale elemento, per quanto rilevante, costituisce
una condizione necessaria, ma non sufficiente per poter affermare che il processo di
unificazione abbia aumentato il grado di similarità tra le dinamiche cicliche dei settori
industriali.
- 230 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
Graf. 6 - ETEROGENEITÀ TRA LE COMPONENTI CICLICHE DEI
SETTORI INDUSTRIALI NELL’AREA EURO
0,07
0,02
0,06
0,02
0,05
0,04
0,01
0,03
0,01
0,02
0,00
0,01
0
0,00
76
78
80
82
84
86
88
90
92
CF
94
D
96
98
00
02
04
06
98
00
02
04
06
HP
0,016
0,014
0,012
0,01
0,008
0,006
0,004
0,002
0
76
78
80
82
84
86
88
90
92
CF
94
96
HP
D
Nota: CF: Christiano-Fitzgerald; HP: Hodrick-Prescott; D:differenza stagionale.
Il grafico in basso riporta la variabilità calcolata su cicli specifici.
Ulteriori evidenze a questo proposito sono ottenute dal cosiddetto Concordance
Index (CI, Harding e Pagan, 1999)16, una statistica non-parametrica che misura la
proporzione di tempo in cui due cicli economici si trovano nello stesso stato. Tali
indicatori sono stati elaborati a partire dalle datazioni di ciclo classico delle industrie di
ciascun paese dell’area euro con riferimento a due sottoperiodi. Nella parte inferiore
della tabella 5 si presentano gli indici relativi all’intervallo 1975:1-1990:4, in quella
sopra la diagonale principale si riportano le statistiche relative al periodo 1991:1-2006:4.
I principali risultati possono essere così sintetizzati: il grado di co-movimento tra
l’industria tedesca e quella dell’UEM è, seppur lievemente, aumentato nel corso degli
16
T
Cij = T −1 ∑ ( Si ,t S j ,t ) + (1 − Si ,t )(1 − S j ,t ) ,

t =1
dove S
i ,t
è la variabile indicatrice degli stati del ciclo
economico (0=recessione, 1=espansione) per il settore j, T la dimensione dell’intervallo temporale.
- 231 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
ultimi 15 anni rispetto al periodo precedente; più rilevanti incrementi si sono registrati
per la Spagna, la Grecia, l’Austria e la Finlandia. Una stazionarietà, al contrario, ha
caratterizzato la Francia, una lieve diminuzione l’Italia e l’Olanda. Nel complesso, il
valore medio dell’indice nel secondo sotto-periodo è risultato pari a 69, un valore
soltanto di poco superiore a quello osservato nel primo (risultato pari a 65), una evidenza
che indurrebbe a sostenere l’ipotesi di un modesto aumento della sincronia ciclica dei
sistemi industriali dell’area euro.
Tab. 5
CONCORDANCE INDEX
AE
IT
DE
FR
ES
IE
GR
PT
AT
FI
NL
LU
BE
AE
1,00
0,66
0,91
0,72
0,84
0,70
0,72
0,63
0,86
0,75
0,77
0,73
0,75
IT
0,70
1,00
0,63
0,56
0,53
0,58
0,56
0,59
0,52
0,53
0,64
0,55
0,59
DE
0,86
0,69
1,00
0,75
0,84
0,70
0,69
0,59
0,86
0,75
0,70
0,67
0,78
FR
0,72
0,77
0,77
1,00
0,72
0,58
0,63
0,69
0,73
0,72
0,64
0,55
0,66
ES
0,69
0,61
0,64
0,56
1,00
0,73
0,81
0,56
0,89
0,75
0,64
0,73
0,84
IE
0,69
0,67
0,64
0,69
0,81
1,00
0,73
0,67
0,72
0,80
0,53
0,69
0,83
GR
0,56
0,58
0,64
0,69
0,56
0,63
1,00
0,63
0,77
0,75
0,55
0,73
0,75
PT
0,61
0,53
0,63
0,70
0,64
0,77
0,55
1,00
0,67
0,69
0,48
0,48
0,53
AT
0,67
0,50
0,72
0,61
0,64
0,64
0,61
0,59
1,00
0,80
0,69
0,72
0,77
FI
0,63
0,67
0,67
0,81
0,66
0,72
0,69
0,77
0,58
1,00
0,61
0,70
0,81
NL
0,80
0,69
0,78
0,70
0,64
0,70
0,55
0,63
0,63
0,64
1,00
0,69
0,58
LU
0,64
0,63
0,78
0,70
0,64
0,61
0,73
0,63
0,59
0,73
0,69
1,00
0,73
BE
0,61
0,59
0,59
0,64
0,64
0,70
0,67
0,75
0,53
0,61
0,59
0,63
1,00
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat.
Legenda: Area euro a 12 (AE), Italia (IT), Germania (DE), Francia (FR), Spagna (ES), Irlanda (IE), Grecia (GR), Portogallo (PT), Austria
(AT), Finlandia (FI), Olanda (NL), Lussemburgo (LU), Belgio (BE).
Nel periodo 1991-2006, l’industria italiana ha subito cali generalizzati della
sincronia ciclica (nel confronto con le statistiche del periodo 1975-1990) nei riguardi dei
settori industriali degli altri paesi dell’area. Per la Francia, riduzioni dell’indice hanno
trovato riscontro soltanto verso la Grecia e l’Olanda; in Germania analoghe flessioni si
sono riscontrate soltanto nei confronti del Portogallo e Lussemburgo, più lievemente
verso l’Olanda.
A questo fine, risulta di particolare interesse valutare come i principali comparti
industriali italiani abbiano contribuito a tali dinamiche fornendo una misura del grado di
co-movimento tra i principali settori dell’industria italiana e i corrispondenti comparti
dell’area euro. L’obiettivo è valutare come la perdita di sincronia che ha caratterizzato
l’intero comparto industriale abbia connotato i singoli ambiti produttivi mettendo in luce,
quindi, quali di questi comparti hanno contribuito a significativi rialzi del grado di
sincronia ovvero, a temporanei periodi di a-sincronia.
- 232 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
In quanto segue, si adotta la tecnica di analisi di cui in Selover, Jensen e Kroll
(2003) e Sussmuth e Woitek (2005). In particolare, dalla stima VAR a parametri variabili
si perviene al calcolo di una serie di indicatori di sincronizzazione: i) la varianza
corrispondente alle fluttuazioni cicliche della serie storica che, fornisce una indicazione
della importanza relativa delle componenti cicliche nella serie di riferimento e, ii)
l’indice di explained variance, che rappresenta una statistica sul grado della sincronia tra
cicli economici, costruito come una misura della dipendenza lineare tra la varianza di
due serie storiche in corrispondenza di un opportuno intervallo di frequenze.
Questi indicatori sono elaborati in termini di quote percentuali rispetto alla varianza
complessiva della serie storica di riferimento (rappresentata, nel caso in esame, dagli
indici di produzione industriale settoriali per l’Italia). L’indice di explained variance,
inoltre, può essere ulteriormente suddiviso nella proporzione di varianza in-phase,
attribuibile alle oscillazioni che risultano sincrone tra le serie storiche settoriali e, nella
componente out-of-phase, che esprime la parte dell’indice di explained variance dovuta
a dinamiche non sincrone17. In generale, maggiore è la varianza in-phase, più elevato è il
grado di co-movimento tra le due serie storiche nell’intervallo di riferimento.
Nella tabella 6 si riportano le misure di explained variance e della sua
decomposizione in-phase e out-of-phase con riferimento all’intervallo temporale
1990:1-2006:4. Il comparto industriale italiano più strettamente accostato all’analogo
settore dell’area euro è costituito dalle produzioni di apparecchiature meccaniche e di
precisione. Anche le produzioni di articoli in gomma e materie plastiche hanno
evidenziato un elevato co-movimento con le dinamiche cicliche delle analoghe
produzioni dell’area a moneta unica. Livelli di poco inferiori si sono registrati per le
produzioni di metallo e prodotti in metallo (il principale settore italiano di produzione di
materiali intermedi), per l’industria del legno e prodotti in legno e per la produzione di
macchine e apparecchi meccanici. Le industrie alimentari, quelle tessili e
dell’abbigliamento e quelle della fabbricazione di prodotti chimici, pur con un elevato
valore di explained variance, si sono caratterizzate per valori degli indici di sincronia
lievemente più contenuti e per misure della varianza out-of-phase più elevate. I comparti
con il minor grado di co-movimento rispetto agli analoghi settori dell’UEM sono
rappresentati dalle produzioni di mezzi di trasporto, dall’industria della carta, stampa ed
editoria. I comparti in cui tale asincronia è risultata particolarmente elevata sono
rappresentati dalle lavorazioni di non metalliferi (che, tra tutti i comparti, hanno
evidenziato il più basso indice di sincronia in-phase) e dall’industria delle pelli e
calzature, due settori di tradizionale specializzazione della manifattura italiana. In media,
17
Tali misure sono ottenute dalla decomposizione dell’indice di squared coherency attraverso l’indice di correlazione
dinamica di cui al lavoro di Croux, Forni e Riechlin (2001).
- 233 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
i valori di explained variance relativi al comparto dell’industria in senso stretto e a
quello della manifattura industriale sono caratterizzati da bassi livelli della varianza inphase e da una misura di quella out-of-phase relativamente elevata.
Tab. 6
INDICI DI SINCRONIA DEL CICLO INDUSTRIALE
Explained variance
in-phase
out-of-phase
Industria in senso stretto
0,217
0,189
0,028
Attività manifatturiere
0,218
0,187
0,030
Alimentari, bevande, tabacco
0,269
0,263
0,006
Tessile e abbigliamento
0,273
0,261
0,012
Cuoio, pelli e calzature
0,280
0,223
0,057
Carta ed editoria
0,271
0,268
0,003
Legno e prodotti in legno
0,233
0,209
0,024
Derivati del petrolio
0,248
0,245
0,003
Chimica e fibre sintetiche
0,269
0,262
0,007
Gomma e materie plastiche
0,276
0,275
0,001
Trasformazione di minerali non metalliferi
0,203
0,151
0,052
Metallurgia e prodotti in metallo
0,274
0,271
0,003
Macchine e apparecchi meccanici
0,273
0,270
0,003
Macchine elettriche ed elettroniche
0,280
0,279
0,001
Mezzi di trasporto
0,252
0,234
0,018
Energia elettrica, gas e acqua
0,259
0,253
0,006
Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat.
(*) I settori dell’estrazione di minerali (C) e delle Altre industrie manifatturiere (DN) non sono stati considerati a causa dell’eccessiva eterogeneità dei dati disponibili.
L’esercizio in un contesto time-varying ha riguardato esclusivamente le misure di
sincronia in-phase nel periodo compreso tra il 1996 e il 2006 con l’obiettivo di valutare
eventuali modifiche, in ogni trimestre dell’intervallo temporale, della relazione lineare
che intercorre tra la varianza dei settori industriali (italiani, dell’area euro) alle frequenze
cicliche (1,5-8 anni). I risultati sono presentati nel grafico 7. La sincronia ha mostrato
andamenti oscillanti nei comparti dell’industria tessile e dell’abbigliamento e del legno e
prodotti in legno, dove è risultata in diminuzione dall’inizio del 2000 e per buona parte
del quinquennio. Alcuni settori di produzione di prodotti intermedi (carta, prodotti
chimici) hanno messo in luce una marcata perdita di co-movimento (fino alla fine del
2004) e, nel periodo successivo, un recupero del grado di sincronia, risultato più graduale
per le produzioni di prodotti chimici. Anche le industrie del metallo e di prodotti in
metallo hanno accusato una progressiva perdita di varianza in-phase: a un recupero nel
2003 è seguita una nuova flessione. Una eccessiva erraticità del grado di sincronia ha
riguardato le produzioni di articoli in gomma e materie plastiche e le industrie degli
- 234 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
Graf. 7 - INDICE DI SINCRONIA: QUOTA DI EXPLAINED VARIANCE
CDE
D
0 ,3
0 ,3
0 ,2 5
0 ,2 5
0 ,2
0 ,2
0 ,15
0 ,15
0 ,1
0 ,1
0 ,0 5
0 ,0 5
0
0
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
DA
01
02
03
04
05
06
03
04
05
06
03
04
05
06
03
04
05
06
DB
0 ,3
0 ,2 9
0 ,2 8
0 ,2 8
0 ,2 6
0 ,2 7
0 ,2 4
0 ,2 6
0 ,2 2
0 ,2 5
0 ,2
0 ,2 4
0 ,18
0 ,2 3
0 ,16
0 ,14
0 ,2 2
0 ,12
0 ,2 1
0 ,1
0 ,2
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
01
DC
02
DD
0 ,2 5 5
0 ,2 9
0 ,2 5
0 ,2 8
0 ,2 4 5
0 ,2 7
0 ,2 4
0 ,2 3 5
0 ,2 6
0 ,2 3
0 ,2 2 5
0 ,2 5
0 ,2 2
0 ,2 4
0 ,2 15
0 ,2 3
0 ,2 1
0 ,2 0 5
0 ,2 2
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
01
DE
02
DF
0 ,3
0 ,3
0 ,2 5
0 ,2
0 ,2 5
0 ,15
0 ,1
0 ,2
0 ,0 5
0
0 ,15
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
01
02
Nota: I settori considerati sono i seguenti: Industria in senso stretto (CDE), Industrie manifatturiere (D), Alimentari, bevande, tabacco
(DA), Tessile e abbigliamento (DB), Cuio, pelli e calzature (DC), Carta ed editoria (DD), Legno e prodotti in legno (DE), Derivati del
petrolio (DF), Chimica e fibre sintetiche (DG), Gomma e materie plastiche (DH), Trasformazione di minerali non metalliferi (DI), Metallurgia e prodotti in metallo (DJ), Macchine e apparecchi meccanici (DK), Macchine elettriche ed elettroniche (DL), Mezzi di trasporto
(DM), Energia elettrica, gas e acqua (E).
- 235 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
segue Graf. 7 - INDICE DI SINCRONIA: QUOTA DI EXPLAINED VARIANCE
DG
DH
0 ,3
0 ,3 0
0 ,2 9
0 ,2 5
0 ,2 8
0 ,2 7
0 ,2
0 ,2 6
0 ,2 5
0 ,15
0 ,2 4
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
DI
01
02
03
04
05
06
03
04
05
06
03
04
05
06
03
04
05
06
DJ
0 ,18
0 ,3 0
0 ,17
0 ,2 9
0 ,16
0 ,2 8
0 ,15
0 ,2 7
0 ,14
0 ,2 6
0 ,13
0 ,12
0 ,2 5
0 ,11
0 ,2 4
0 ,1
0 ,2 3
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
01
DK
02
DL
0 ,2 9
0 ,3 0
0 ,2 8
0 ,3 0
0 ,2 7
0 ,2 9
0 ,2 6
0 ,2 9
0 ,2 5
0 ,2 8
0 ,2 4
0 ,2 8
0 ,2 3
0 ,2 7
0 ,2 2
0 ,2 7
0 ,2 1
0 ,2 6
0 ,2
0 ,2 6
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
01
DM
02
E
0 ,2 9
0 ,2 9
0 ,2 8
0 ,2 8
0 ,2 7
0 ,2 7
0 ,2 6
0 ,2 6
0 ,2 5
0 ,2 5
0 ,2 4
0 ,2 4
0 ,2 3
0 ,2 3
0 ,2 2
0 ,2 2
0 ,2 1
0 ,2 1
0 ,2
0 ,2
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
96
97
98
99
00
01
02
Nota: I settori considerati sono i seguenti: Industria in senso stretto (CDE), Industrie manifatturiere (D), Alimentari, bevande, tabacco
(DA), Tessile e abbigliamento (DB), Cuio, pelli e calzature (DC), Carta ed editoria (DD), Legno e prodotti in legno (DE), Derivati del
petrolio (DF), Chimica e fibre sintetiche (DG), Gomma e materie plastiche (DH), Trasformazione di minerali non metalliferi (DI), Metallurgia e prodotti in metallo (DJ), Macchine e apparecchi meccanici (DK), Macchine elettriche ed elettroniche (DL), Mezzi di trasporto
(DM), Energia elettrica, gas e acqua (E).
- 236 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
apparecchi elettrici e di precisione. Le produzioni di mezzi di trasporto e quelle di
minerali non metalliferi sono state caratterizzate da una sostanziale stabilità dei comovimenti ciclici; una tendenza a comportamenti marginalmente più asincroni è stata
rintracciata nelle produzioni di macchine e apparecchi meccanici e in quelle per la
produzione e distribuzione di energia elettrica acqua e gas.
3.6 SPECIFICITÀ DELL’INDUSTRIA ITALIANA
La analisi sviluppata precedentemente ha evidenziato come la recente una fase
ciclica (anomala sia per intensità che per durata) registrata negli ultimi anni dal nostro
paese, sia risultata in contrasto sia rispetto alle altre fasi cicliche verificatesi durante gli
anni ‘80 e ‘90, sia rispetto a quanto ultimamente sperimentato dai principali partner
europei.
Come si è detto, nel precedente paragrafo, l’industria italiana ha attraversato, a
partire dal 2001, una fase di stagnazione/recessione, peraltro, inserita, come già ribadito,
in uno scenario di aumento dell’occupazione e di approfondimento del processo di
integrazione nel contesto europeo.
Alla luce di tali evidenze, nel seguito ci si interroga sulle cause che hanno
contribuito alle recente dinamica ciclica dell’industria italiana e sugli effetti dei possibili
cambiamenti intervenuti nella sua performance a seguito del percorso di integrazione
che è divenuto sempre più approfondito rispetto al passato. Nel paragrafo viene in
particolare effettuata un’analisi della reazione dell’industria italiana a diversi tipi di
disturbi sia interni che internazionali, quantificandone il contributo relativo alle
fluttuazioni cicliche del comparto industriale.
Per verificare la presenza di eventuali cambiamenti nella risposta del settore
manifatturiero italiano a tali shock nel corso degli anni, si comparano i risultati relativi a
due distinti sottoperiodi. Il primo è compreso tra il 1976 ed il 1990 e comprende una fase
in cui il processo di integrazione, non risultava ancora in uno stadio avanzato. Il secondo
periodo che va dal 1991 al 2006 racchiude diversi avvenimenti quali l’introduzione del
mercato unico, la crisi valutaria del 1992, l’adozione della moneta unica nel 1999 da
parte degli undici paesi membri, il rallentamento dell’economia mondiale del 2001 e
rappresenta il momento in cui, il processo di integrazione dei diversi paesi dell’area euro,
ha raggiunto un maggior grado di approfondimento.
- 237 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
3.7 IL MODELLO DI ECONOMIA APERTA PER L’ITALIA
Poiché l’economia italiana appare fortemente interdipendente con l’estero sia per
quanto riguarda l’acquisizione di beni intermedi sia per lo sbocco della propria
produzione, nell’analisi si è considerato un piccolo modello di economia aperta nel quale
i fenomeni internazionali (commercio/integrazione, cambio reale/competitività, prezzo
del petrolio), si affiancano, come importanza, a quelli legati alle condizioni interne di
domanda e di offerta. Il modello stimato include pertanto sia variabili interne (indice di
produzione industriale, ore lavorate) che internazionali (il tasso di cambio reale, il prezzo
del petrolio ed il commercio mondiale). Gli shock associati alle prime due variabili,
consentono di tenere conto di dinamiche proprie della struttura economica dell’Italia in
grado di incidere sulla performance dell’industria. Gli shock alle restanti tre variabili,
permettono di considerare gli effetti legati a cambiamenti nello scenario internazionale in
grado di influire anch’essi sulle fluttuazioni cicliche della produzione del comparto
industriale italiano.
Al fine di analizzare il contributo relativo alle fluttuazioni dell’industria
manifatturiera italiana di tutti gli shock associati alle variabili incluse nel nostro schema,
si utilizza un modello autoregressivo vettoriale. Esso può essere visto come un sistema di
equazioni in forma ridotta in cui ogni variabile endogena è regredita sui suoi valori
passati e su quelli passati delle altre variabili del sistema. Per poter dare
un’interpretazione economica ai disturbi, dalle innovazioni stimate della forma ridotta
occorre risalire a quelle della forma strutturale18 che rappresenta il sistema economico di
riferimento.
Per ricavare le innovazioni relative al modello teorico per l’intera economia, si
utilizza a tal fine un modello VAR strutturale che permette, di identificare i disturbi
(strutturali) utilizzando restrizioni provenienti dalla teoria economica19. Tutte le variabili
menzionate inserite nel modello, sono state inoltre trasformate in modo da risultare
stazionarie20. La forma ridotta del modello VAR utilizzato nella nostra analisi è data da:
xt = Φ 0 + Φ1 (L )xt −1 + ε t
dove xt = [hw, tcreal , ∆y, ∆wt , ∆oil ] rappresenta il vettore delle variabili endogene
rappresentate dalle ore lavorate (hw), dal tasso di cambio reale (tcreal), dall’indice di
18
Per approfondimenti vedere Amisano Giannini (1992) “Topics in structural VAR econometrics”.
19
Tale tecnica si contrappone a quelle classiche basate ad esempio sulla scomposizione di Choleski.
20
Test di cointegrazione effettuati sulle variabili non evidenziano l’esistenza di legami di equilibrio di lungo periodo tra tali
variabili.
- 238 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
produzione industriale in differenze ( ∆y ), dall commercio mondiale in differenze ( ∆wt )
e dal prezzo del petrolio in differenze ( ∆ oil ). Φ 0 e Φ 1 indicano le matrici dei parametri
del modello ed ε t rappresenta il vettore dei residui. Per ottenere le funzioni di risposta ad
impulso dalla forma ridotta del modello VAR si passa alla sua rappresentazione a media
mobile21:
xt = K + C (L )ε t
dove C(L) rappresenta una matrice polinomiale nell’operatore di ritardo L22. Dato che i
residui della forma ridotta ε t non sono potenzialmente correlati, per poter dare
un’interpretazione di tipo economico agli shock, dalle innovazioni correlate della forma
ridotta, occorre risalire alle innovazioni incorrelate della forma strutturale. Le
innovazioni della forma ridotta sono legate a quelle della forma strutturale tramite la
seguente relazione:
S (0)vt = ε t
dove xt = [hw, tcreal , ∆y, ∆wt , ∆oil ] sostituisce il vettore degli shock strutturali con
matrice di varianze e covarianze E[vt v't]=In ed S(0) è la matrice degli effetti
contemporanei dei disturbi strutturali sulle variabili macroeconomiche. Più in
dettaglio, v d rappresenta un disturbo alle ore lavorate (shock di domanda interna), v comp
indica uno shock alla competitività, v AS rappresenta un disturbo di offerta interno (shock
di tipo tecnologico), v INT indica lo shock al processo di integrazione mondiale e
v OIL rappresenta uno shock di offerta petrolifero internazionale. Ciascuno di tali disturbi
sono considerati rilevanti per spiegare le fluttuazioni dell’industria e per tale motivo
vengono utilizzati per effettuare un’analisi delle funzioni di risposta ad impulso
riguardante il tasso di crescita del comparto industriale.
Dato il modello considerato, i residui della forma strutturale vengono nel seguito
identificati applicando restrizioni sulla matrice dei moltiplicatori di impatto di lungo
periodo S(1) associata alla matrice della rappresentazione a media mobile della forma
strutturale S(L). Applicare tale tipologia di restrizioni equivale a imporre che tutti gli
shock esaminati possano generare effetti di carattere temporaneo sulle variabili
K = ( I − Φ1 ) Φ 0
21
Dove
22
L(Xt)=Xt-1.
−1
e
C (L ) = (I − Φ1 (L )L )
−1
- 239 -
.
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
analizzate, e che soltanto alcuni di essi, siano in grado di produrre su tali variabili, anche
effetti di carattere permanente. A tal riguardo sono state effettuate le seguenti ipotesi di
seguito descritte:
1) Sulla variabile ore lavorate non vengono applicate restrizioni di nessun tipo e si
assume che tutti gli shock, interni ed internazionali, possano produrre su di essa sia
effetti transitori che di lungo periodo.
2) Per il tasso di cambio effettivo reale si assume che tutti i disturbi, eccetto quello
sulle ore lavorate (impulso di domanda nel mercato del lavoro) possano determinare su
di esso un impatto nel lungo periodo.
3) Per quanto attiene alla produzione industriale, si segue l’ipotesi del tasso naturale
dell’output assumendo che il livello della produzione di lungo periodo sia determinato da
fattori dal lato dell’offerta quali ad esempio, shock aggregati di offerta (tecnologici) e sul
prezzo del petrolio. Dato il modello di economia aperta considerato si assume inoltre che
nel lungo periodo la dinamica della produzione industriale italiana, possa anche essere
influenzata da shock al commercio mondiale ipotizzando che, la fonte principale delle
fluttuazioni per tale variabile, sia rappresentata da shock politici ed istituzionali legati al
processo di integrazione tra le economie. Essi dovrebbero pertanto potenzialmente
produrre effetti di lungo periodo sulla produzione industriale. Per contro si assume che
né il tasso di cambio, né le ore lavorate siano in grado di determinare effetti di lungo
periodo sulla produzione industriale.
4) Per il commercio mondiale si ipotizza che soltanto lo shock di offerta sul prezzo
del petrolio e i disturbi di carattere istituzionale al processo di integrazione ( v INT ) siano
in grado di influenzarne nel lungo periodo il percorso, mentre ore lavorate, produzione
industriale e tasso di cambio reale determinano su di esso solo effetti di carattere
temporaneo.
5) Infine, per la variabile prezzo del petrolio, si ipotizza che il solo disturbo in grado
di produrre su di esso un effetto nel lungo periodo sia quello petrolifero (shock di offerta
di fonte internazionale). Le restrizioni 1-5 sopradescritte sono inserite nell’espressione di
lungo periodo S(1) della rappresentazione a media mobile del modello VAR all’interno
del seguente sistema matriciale:
 hw   S11 (1) S12 (1) S13 (1)
tcreal   0
S 22 (1) S 23 (1)
 

 ∆y  =  0
S 33 (1)
0
 

0
0
 ∆ wt   0
 ∆ oil   0
0
0
S14 (1) S15 (1)  v d 
S 24 (1) S 25 (1)  v dcomp 
S 34 (1) S 35 (1)  v AS 


S 44 (1) S 45 (1)  v INT 
S 55 (1)  v oil 
0
dove gli zeri rappresentano le restrizioni di lungo periodo sopra descritte.
- 240 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
3.8 RISULTATI EMPIRICI
Al fine di verificare eventuali cambiamenti intervenuti nella risposta dell’industria
ai disturbi considerati nel corso del tempo, l’analisi dell’impatto dei diversi disturbi
interni ed internazionali al settore industriale italiano, viene nel seguito presentata
comparandone gli effetti in due sottocampioni. I periodi considerati sono il 1975-90 ed il
1991-06. La scelta dell’anno 1991 per suddividere il campione è legata sia alla necessità
di usufruire per le stime di un numero di osservazioni sufficientemente ampio in
entrambi i sottoperiodi, sia all’esigenza di ottenere un campione bilanciato.
Per l’analisi sono state selezionate quali variabili l’indice di produzione industriale
destagionalizzato di fonte ISTAT, le ore lavorate di fonte ISAE, il commercio mondiale
ed il prezzo del petrolio in dollari di fonte OCSE ed i numeri indici del tasso di cambio
effettivo reale di fonte Banca d’Italia. Tutte le serie presentano frequenza trimestrale.
Sia nel primo sottoperiodo (1975-90) che nel secondo (1991-06), sulla base del
criterio di selezione dei ritardi di Schwartz, è stato adottato un modello autoregressivo
vettoriale con un ritardo. In entrambi i sottoperiodi i modelli stimati superano le
diagnostiche. In particolare, l’analisi dei residui condotta attraverso gli usuali test,
mostra assenza di autocorrelazione ed omoschedasticità.
Lo studio delle funzioni di risposta ad impulso permette di comprendere il modo in
cui l’economia e, nel nostro specifico caso il comparto industriale italiano, ha risposto ad
un particolare tipo di disturbo. A tal riguardo nel seguito vengono riportati i grafici delle
funzioni di risposta ad impulso del modello VAR strutturale stimato nei due sottoperiodi
analizzati.
Nel grafico 8 vengono riportate le risposte dei diversi tipi di shock considerati sul
tasso di crescita della produzione industriale nel periodo 1975-90. In particolare si
esaminano nell’ordine: i disturbi alle ore lavorate (domanda interna), alla competitività
(cambio effettivo reale), alla tecnologia (offerta interna), di tipo istituzionale (processo di
integrazione), e petrolifero (shock sull’offerta di fonte internazionale).
Osservando i grafici emerge che l’impatto dello shock di domanda interna (aumento
delle ore lavorate) sulla crescita della produzione industriale, non appare statisticamente
significativo nel 1975-90. Tuttavia, il suo effetto iniziale, è quello di produrre un
aumento istantaneo della crescita della produzione che viene gradualmente riassorbito
nell’arco di due anni.
Lo shock di competitività (perdita di competitività) determina una riduzione della
crescita della produzione industriale nel sottoperiodo considerato. Tuttavia, come nel
caso precedente, tale effetto inizialmente non appare statisticamente significativo.
Uno shock positivo di offerta interna, risulta statisticamente significativo e
determina da subito, come ci si attendeva, un effetto favorevole sulla crescita dell’indice
di produzione industriale che si riassorbe dopo circa 2 anni e mezzo.
- 241 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Graf. 8 - RISPOSTA AD IMPULSO DELL'INDICE DI PRODUZIONE INDUSTRIALE. PERIODO 1975-90
Shock di domanda
Shock di competitività
0,0020
0,0025
0,0020
0,0010
0,0015
0,0000
0,0010
-0,0010
0,0005
-0,0020
0,0000
-0,0030
-0,0005
-0,0040
-0,0010
-0,0050
-0,0060
-0,0015
1
3
5
7
9
11
13
15
17
1
19
3
5
Shock di offerta
7
9
11
13
15
17
19
17
19
Shock di Integrazione
0,0070
0,0070
0,0060
0,0060
0,0050
0,0050
0,0040
0,0040
0,0030
0,0030
0,0020
0,0020
0,0010
0,0010
0,0000
0,0000
-0,0010
1
3
5
7
9
11
13
15
17
1
19
3
5
7
9
11
13
15
Shock Petrolifero
0,0016
0,0012
0,0008
0,0004
0,0000
-0,0004
-0,0008
1
3
5
7
9
11
13
15
17
19
Lo shock positivo al commercio mondiale, che come già detto riflette cambiamenti
istituzionali nel processo di integrazione, sembra aver determinato un effetto favorevole
e statisticamente significativo sulla crescita della produzione industriale italiana anche
tra gli anni ‘70 ed ‘80. Tale risultato conferma l’importanza rivestita dal contesto
internazionale sulla performance industriale italiana anche in anni in cui il grado di
apertura e di integrazione delle economie non appariva ancora così elevato.
- 242 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
Lo shock petrolifero (aumento del prezzo del petrolio) non sembra invece aver
prodotto né dal punto di vista economico né statistico un effetto significativo sulla
crescita della produzione industriale italiana nel primo sottocampione. Tale risultato può
essere in parte legato al fatto che tale disturbo, potrebbe non aver generato un impatto
diretto sulle fluttuazioni del comparto industriale anche a seguito di possibili incrementi
di efficienza nell’utilizzo di input energetici nei processi produttivi attuati a seguito degli
shock petroliferi dei primi anni ‘70 (che sono fuori dal nostro campione di stima).
Per fornire una quantificazione del contributo relativo dei diversi tipi di shock alle
fluttuazioni della produzione industriale, la tabella 9 riporta la scomposizione della
varianza del tasso di crescita della produzione industriale nel periodo 1975-90. In
particolare vengono riportati i contributi in percentuale degli shock considerati alla
varianza totale della crescita della produzione industriale nei primi 10 trimestri
corrispondenti ad un orizzonte temporale di circa due anni e mezzo.
Tab. 9 SCOMPOSIZIONE DELLA VARIANZA – TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE
Std error
Ore lavorate
Tasso di
cambio reale
Offerta
Integrazione
Shock petrolifero
1
0.008962
5.833609
30.27658
45.25723
18.25087
0.381715
2
0.011852
3.698769
25.05101
29.73835
40.85099
0.660881
3
0.013138
3.502867
22.62613
26.07109
46.49181
1.308103
4
0.013601
3.613694
21.328
24.93005
48.22106
1.907199
5
0.013762
3.696418
20.85132
24.62239
48.56152
2.268351
6
0.013832
3.71374
20.8557
24.51198
48.46888
2.449697
7
0.013878
3.704642
21.08027
24.43417
48.24986
2.531059
8
0.013915
3.688551
21.37119
24.35924
48.01547
2.565545
9
0.013947
3.672703
21.6545
24.28911
47.80406
2.579628
10
0.013973
3.659087
21.90213
24.22764
47.62604
2.585106
Periodo
La analisi della scomposizione della varianza conferma all’incirca i risultati già
forniti nei grafici delle funzioni di risposta ad impulso. Lo shock interno di offerta (alla
tecnologia) è quello che sembra aver contribuito in modo maggiore a spiegare la
varianza complessiva associata alle fluttuazioni della produzione industriale italiana.
Anche gli shock di competitività e al processo di integrazione appaiono molto
importanti, mentre quelli alle ore lavorate (domanda aggregata) e al prezzo petrolio
(shock esterno di offerta) presentano nel primo sottoperiodo contributi trascurabili.
Per analizzare eventuali cambiamenti intervenuti nell’importanza dei diversi tipi di
shock sulle fluttuazioni nel settore industriale nel periodo più recente, nel seguito
vengono presentati i risultati degli effetti degli stessi disturbi alla crescita della
produzione industriale nel sottoperiodo più recente (1991-06).
- 243 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Graf. 9 - RISPOSTA AD IMPULSO DELL'INDICE DI PRODUZIONE INDUSTRIALE. PERIODO 1991-06
Shock di domanda
Shock di competitività
0,0040
0,0040
0,0030
0,0030
0,0020
0,0020
0,0010
0,0010
0,0000
0,0000
-0,0010
-0,0010
-0,0020
-0,0020
1
3
5
7
9
11
13
15
17
19
1
3
5
7
9
11
13
15
17
19
Shock di Integrazione
Shock di offerta
0 ,00 50
0,0040
0 ,00 40
0,0030
0 ,00 30
0,0020
0 ,00 20
0 ,0 010
0,0010
0 ,00 00
0,0000
-0 ,0 010
-0,00 20
-0,0010
1
3
5
7
9
11
13
15
17
1
19
3
5
7
9
11
13
15
17
19
Shock Petrolifero
0,0 00 6
0,0 00 5
0,0 00 4
0,0 00 3
0,0 00 2
0 ,00 01
0,0 00 0
-0,00 01
1
3
5
7
9
11
13
15
17
19
Osservando le risposte ad impulso riportate nel grafico 9, si evince che lo shock
positivo di domanda (un aumento delle ore lavorate) determina dapprima un immediato
aumento della crescita della produzione industriale. Successivamente tale crescita si
sarebbe progressivamente ridotta fino a divenire negativa per poi aumentare di nuovo e
riassorbirsi dopo circa 4 anni e mezzo. Tale risultato evidenzia che un rialzo delle ore
lavorate, sebbene generi nell’immediato un aumento della produttività oraria nel
manifatturiero, produce successivamente un deterioramento della crescita di tale
produttività. Lo shock al mercato del lavoro sembra dunque aver rivestito un ruolo
significativo nello spiegare la performance del comparto industriale nel periodo più
- 244 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
recente al contrario di quanto si evince dall’analisi relativa al periodo comprendente gli
anni ‘80 e ‘90.
Lo shock di perdita di competitività, determina invece, contrariamente a quanto ci si
attendeva, un immediato aumento del tasso di crescita del produzione che man mano si
riduce divenendo negativo dopo circa sei mesi ed riassorbendosi dopo due anni e mezzo.
Ciò può essere legato al fatto che a seguito della perdita di competitività, l’output
industriale non reagisce immediatamente, ma ne risente negativamente con ritardo dopo
due trimestri. Nel valutare la dinamica della produzione industriale a seguito del disturbo
al cambio effettivo reale, occorre comunque tener conto anche degli importanti
cambiamenti a seguito dell’entrata nella parte finale del periodo, nella scena
internazionale di paesi emergenti e di competitori quali la Cina che hanno determinato
riposizionamenti strategici all’interno dei comparti dell’industria.
Il disturbo positivo di offerta nazionale (shock tecnologico) produce un balzo
immediato verso l’alto della produzione che si riassorbe gradualmente nell’arco di circa
tre anni.
Lo shock al commercio mondiale, che in tale contesto si suppone determinato, da
cambiamenti al processo di integrazione globale, appare statisticamente significativo e
genera, un aumento della crescita della produzione industriale, analogamente a quanto
riscontrato nell’analisi sul primo sottoperiodo.
Infine, lo shock internazionale di offerta (al prezzo del petrolio) non risulta
statisticamente significativo e produce, un lieve aumento della crescita della produzione
industriale analogamente a quanto riscontrato nell’analisi sul primo sottoperiodo,
confermando la maggiore impermeabilità dell’attività industriale alle fluttuazioni del
prezzo del petrolio.
La tabella 10 riporta la scomposizione della varianza del tasso di crescita della
produzione industriale nel periodo 1991-2006.
Tab. 10
SCOMPOSIZIONE DELLA VARIANZA – TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE
Std error
Ore
lavorate
Tasso di
cambio reale
Offerta
Integrazione
Shock
petrolifero
1
0,005886
32,11895
31,35782
24,55137
11,96132
0,010533
2
0,007914
20,70499
19,32481
28,98636
30,97802
0,00583
3
0,008875
16,60951
15,38299
30,29514
37,36242
0,349942
4
0,009313
17,01953
14,27267
30,08897
37,93344
0,685386
5
0,009527
18,84704
14,38344
29,22707
36,69121
0,851236
Periodo
6
0,009657
20,10229
14,78126
28,44844
35,77411
0,893899
7
0,009746
20,42414
15,03504
28,019
35,63351
0,88832
8
0,009801
20,3035
15,1049
27,84644
35,86678
0,878384
9
0,009829
20,18944
15,08989
27,77487
36,07108
0,874724
10
0,009841
20,20391
15,06407
27,72778
36,13014
0,874101
- 245 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Contrariamente a quanto evidenziato nel primo sottoperiodo, nel periodo più
recente, più dell’80% della varianza totale, risulterebbe spiegata da uno shock interno di
domanda sulle ore lavorate, da uno nazionale di offerta e da quello di competitività. Il
contributo dello shock all’integrazione appare sempre molto importante sebbene
lievemente più contenuto rispetto al passato.
Il disturbo petrolifero, analogamente a quanto riscontrato nel periodo 1975-90,
sembra aver contribuito viceversa in modo trascurabile alla dinamica ciclica
dell’industria.
3.9 CONCLUSIONI
Nel capitolo si sono presentati i principali risultati di un insieme di analisi su alcuni
rilevanti aspetti del ciclo economico italiano, sia aggregato che relativo al settore
industriale. Si tratta, in particolare, di alcuni temi divenuti di volta in volta più stringenti
a partire dal periodo che ha preceduto l’unificazione monetaria. In più di un caso, le
evidenze emerse per l’Italia non sono risultate in linea con quelle della maggioranza dei
paesi dell’area euro.
In primo luogo, il confronto tra le caratteristiche dei cicli che caratterizzano le
economie dell’area euro ha posto in luce una sostanziale eterogeneità: le oscillazioni
cicliche sono in larga parte caratterizzate da una maggiore durata e ampiezza delle fasi di
crescita rispetto alle recessioni. Sono emerse, tuttavia, diversità con riferimento alla
capacità di “durata” nelle accelerazioni e, differenze in quella di contenere la rapidità
della discesa durante le fasi recessive. In entrambi i casi, l’Italia ha mostrato
performance poco soddisfacenti. Mediamente, a un anno dall’inizio della fase espansiva,
la crescita del PIL italiano si è ridotta di circa il 7% rispetto a quanto registrato nei
trimestri appena successivi al minimo ciclico. Nell’analisi condotta attraverso la stima di
un modello multivariato a componenti non-osservabili, inoltre, l’economia italiana (con
Belgio e Lussemburgo) è risultata la più sensibile alle oscillazioni cicliche provenienti
dell’area euro, con la conseguenza di amplificare i segnali di tipo common cycle nelle
dinamiche cicliche nazionali. L’estrema erraticità del ciclo aggregato (gross of common
cycle) non rappresenta, di per sé, un risultato negativo. Al contempo, ciò fornisce una
ulteriore indicazione, pur indiretta, a favore di un elevato grado di integrazione
commerciale e produttiva raggiunta dall’Italia rispetto alle restanti economie dell’area
euro.
Nello studio sul processo di convergenza tra le componenti di ciclo economico
relative ai paesi dell’area euro si è pervenuti alla stima di indici di correlazione dinamica
(in un contesto time-varying) particolarmente elevati (0,8) e raramente al di sotto della
- 246 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
quota pari a 0,6, anche nel corso delle più drastiche cadute del ciclo economico (come
accaduto nella generalità dei paesi dell’area nella prima metà dello scorso decennio). E’
il caso di osservare che non necessariamente cadute del ciclo aggregato si riflettono in
“salti” (verso il basso) degli indici di correlazione dinamica. Un esempio è rappresentato
dalla relazione tra Italia e Francia, in cui la più forte riduzione della correlazione tra
componenti di ciclo si è registrata nei trimestri a cavallo il 1998. Ciò mette in chiaro un
ulteriore importante “fatto”, quello secondo cui le fasi di recessione possono essere
interamente ascrivibili a pur consistenti, ma temporanee, perdite dei livelli produttivi
(come accaduto in Germania negli anni successivi al 2001), oppure a cambiamenti delle
prospettive di crescita tendenziale, che usualmente si riflettono in (o sono segnalate da)
una attenuazione (o inversione) della componente di trend (come accaduto in Italia nello
stesso periodo).
L’analisi condotta attraverso la tecnica delle correlazioni dinamiche, ottenute con
riferimento alle componenti cicliche “complete”, non ha inoltre messo in luce
significative discontinuità nell’intorno di tempo che include gli anni immediatamente pre
e post unificazione monetaria. A partire dal 2001, tuttavia, si sono registrate flessioni
generalizzate, seppur contenute, degli indici di correlazione dinamica dell’Italia nei
confronti delle maggiori economie dell’area euro. Ciò sembrerebbe portare a due
principali conclusioni: da un lato, i risultati dell’esercizio di stima sembrerebbero
confermare la tesi secondo cui, nell’intervallo di tempo considerato, larga parte della
convergenza tra i cicli delle economie europee più sviluppate si era già realizzata prima
degli anni dell’euro; dall’altro, l’attenuazione degli indici di correlazione dinamica
osservata nel corso degli anni duemila porterebbe a diagnosticare una riduzione, per
quanto contenuta, del grado di sincronia dell’economia italiana rispetto ai cicli
economici prevalenti nelle economie dell’area euro.
Anche l’analisi condotta sulla base degli specific cycles non ha trovato un riscontro
favorevole per l’Italia. La correlazione dinamica tra i cicli specifici di Italia e Germania è
risultata in progressiva diminuzione; verso la Spagna, l’indice di correlazione ha
mostrato una forte erraticità dall’inizio del 2000 ed è risultato decrescente lungo tutto il
decennio in corso. In generale, i risultati rispetto agli altri paesi dell’area euro hanno
messo in luce una perdita di convergenza tra le componenti cicliche, con valori negativi
degli indici di correlazione dinamica, nei confronti dell’Austria e dell’Olanda. Verso la
Francia, in particolare tra il 2003 e il 2005, l’indicatore di correlazione dinamica ha
toccato livelli particolarmente elevati, di poco inferiori a quelli ottenuti con riferimento
alle componenti cicliche comprensive del common cycle. Nei trimestri successivi,
tuttavia, l’indicatore è tornato fortemente negativo.
Anche la sezione dedicata agli andamenti ciclici del comparto industriale italiano si
apre con una descrizione dei caratteri delle fasi congiunturali italiane a confronto con
- 247 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
quelli riscontrati negli analoghi settori dei paesi dell’area a moneta unica. Il focus
sull’ultimo decennio ha evidenziato come l’insoddisfacente fase ciclica attraversata dal
settore industriale italiano tra il 2001 e il 2005 possa essere interpretata in una chiave di
maggiore ottimismo (debole crescita produttiva) se confrontata con gli andamenti di
importanti settori industriali dell’eurozona (su tutti, quello tedesco), risultati, nello stesso
periodo, nettamente più negativi. Ben più consistente e, nettamente sfavorevole, è
risultato il divario dell’industria italiana rispetto ai paesi dell’area euro se valutato
rispetto alle componenti di trend. Tra il primo trimestre del 2003 e il quarto del 2006, la
perdita cumulata sarebbe stata di poco inferiore all’0,7%. Flessioni meno accentuate
hanno interessato, nel corso degli anni 2000, le dinamiche di lungo termine del settore
industriale in Francia, Olanda e Grecia.
Nel capitolo, con riferimento ai settori industriali, si presentano stime sul grado di
sincronia tra cicli economici misurata attraverso la dipendenza lineare tra la varianza
degli indici di produzione settoriali relativi, rispettivamente, all’Italia e dell’area euro.
Nel complesso, la varianza delle produzioni industriali italiane spiegata dalla relazione
lineare con le corrispondenti componenti dell’area euro è risultata compresa tra il 20% e
il 30%. In generale, la varianza in-phase ha spiegato la gran parte della varianza
complessiva. Il comparto industriale italiano più strettamente accostato all’analogo
settore dell’area euro è costituito dalle produzioni di apparecchiature meccaniche e di
precisione. Queste produzioni hanno evidenziato anche il più elevato grado di sincronia
con le corrispondenti dinamiche del settore UEM. Anche le produzioni di articoli in
gomma e materie plastiche hanno evidenziato un elevato co-movimento con le
dinamiche cicliche delle analoghe produzioni dell’area a moneta unica. Livelli di poco
inferiori si sono registrati per il comparto del metallo e prodotti in metallo. I comparti
con il minor grado di co-movimento rispetto agli analoghi settori dell’UEM sono
rappresentati dalle produzioni di mezzi di trasporto, dall’industria della carta, stampa ed
editoria e, soprattutto, dalle lavorazioni di metalli non metalliferi (un settore di
tradizionale specializzazione della manifattura italiana); tra tutti i comparti considerati,
quest’ultimo ha evidenziato il più basso indice di sincronia in-phase; l’industria delle
pelli e delle calzature, inoltre, ha mostrato la più elevata misura della varianza out-ofphase. In media, i valori di explained variance relativi al comparto dell’industria in
senso stretto e a quello della manifattura industriale sono caratterizzati da bassi livelli
della varianza in-phase e da una misura di quella out-of-phase particolarmente elevata.
Nella parte finale del capitolo ci si è posti nell’ottica di interpretare il ruolo giocato
da diversi tipi di disturbi sulle fluttuazioni cicliche del comparto industriale italiano. In
particolare l’obiettivo è stato quello di focalizzare le cause che hanno determinato le
dinamiche del comparto industriale italiano in diversi periodi e di valutare eventuali
cambiamenti intervenuti nella risposta dell’industria ai vari tipi di shock nel corso del
- 248 -
Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ...
tempo. A tal fine nell’analisi svolta è stato valutato il contributo fornito, alla
performance dell’industria italiana, sia di disturbi legati alle condizioni
macroeconomiche prettamente interne proprie dell’Italia (shock di tipo tecnologico alla
produzione industriale e al mercato del lavoro) sia di disturbi internazionali in grado di
tener conto dell’interdipendenza dell’economia italiana dal resto del mondo (shock
petroliferi, di competitività sul tasso di cambio reale e al commercio mondiale).
L’analisi delle funzioni di risposta ad impulso nei sottocampioni 1975-90 e 1991-06,
ha evidenziato l’importante ruolo svolto in entrambi i sottoperiodi considerati dagli
shock al processo di integrazione (disturbi istituzionali che hanno contribuito
all’approfondimento del processo di integrazione e globalizzazione delle economie),
sulle dinamiche cicliche dell’industria.
L’analisi della scomposizione della varianza ha mostrato inoltre che, mentre in
passato le fluttuazioni risultavano causate prevalentemente da disturbi di offerta interni,
negli anni recenti esse sembrerebbero determinate piuttosto da shock di domanda
nazionali (nel mercato del lavoro). In entrambi i sottoperiodi, il processo di integrazione
(e dunque lo scenario internazionale) sembra aver giocato un ruolo rilevante nella
dinamiche della crescita della produzione industriale italiana. Tuttavia, il contributo dei
disturbi al processo di integrazione in termini percentuali appare grosso modo uniforme
in entrambi i sottoperiodi considerati.
- 249 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
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- 250 -
4 Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali
nel mercato del lavoro italiano
4.1 INTRODUZIONE
In uno dei diversi studi che a metà degli anni novanta venivano dedicati ai problemi
del mercato del lavoro italiano si osservava: “…i divari e le rigidità nei tassi di
disoccupazione, pur presenti in Europa, assumono nel nostro paese un carattere cronico,
vere e proprie sacche di concentrazione di disoccupati che persistono e tendono anzi ad
ampliarsi nel tempo. Questa forte e persistente concentrazione è sintomo di sclerosi del
mercato del lavoro, di mancato funzionamento dei suoi meccanismi elementari, di
segmentazione del mondo del lavoro tra chi ha un’occupazione altamente tutelata e chi è
escluso da ogni prospettiva occupazionale, a volte in forma permanente…”1. Questa
descrizione è ancora valida, negli stessi termini, a dieci anni di distanza? Le statistiche
segnalano che, superata la boa della metà del decennio duemila, l’Italia è ancora in
ritardo rispetto a gran parte dei partner europei in molti degli indicatori di partecipazione
della popolazione alle forze di lavoro e di utilizzo della manodopera, continuando a
evidenziare ampi squilibri di genere, età, territorio. Purtuttavia, i progressi compiuti nel
volgere di un arco di tempo relativamente breve, a partire dalla metà del decennio
novanta, sono stati rimarchevoli e, in una certa misura, inattesi: la percentuale dei
disoccupati sulle forze di lavoro si è praticamente dimezzata (attestandosi da alcuni anni
sotto la media europea), il tasso di occupazione è aumentato di circa sette punti
percentuali, quello femminile di oltre nove, la quota di attivi sulla popolazione in età di
lavoro si è incrementata di cinque punti. Anche la differenziazione geografica, per
quanto ancora eccessiva per un mercato “nazionale”, ha mostrato segni di
ridimensionamento: la distanza tra il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno e quello
dell’Italia pari a oltre nove punti percentuali dieci anni fa, oggi si attesta tra i cinque e i
sei punti.
1
Il brano è tratto da un volume del Centro Studi Confindustria sulla disoccupazione italiana, curato da de Nardis e Galli
(1997); valutazioni non molto dissimili circa le rigidità e le segmentazioni del mercato si ritrovano in gran parte della
letteratura di quel periodo, si veda ad esempio l’importante studio di Ichino (1996). Per una panoramica ad ampio raggio
sugli squilibri del lavoro nell’ Italia della metà degli anni novanta, cfr. Rossi (1997).
- 251 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Alla base di questi risultati, su cui pochi scommettevano dieci-quindici anni fa, sono
le modifiche apportate, a partire dai primi anni ottanta, nelle istituzioni del mercato del
lavoro e, più in generale, nelle relazioni industriali che hanno giocato una parte
importante nell’evoluzione della nostra economia. Tali cambiamenti hanno
probabilmente contribuito a spostare la segmentazione “tra chi ha un’occupazione
altamente tutelata e chi è escluso da ogni prospettiva occupazionale”, che veniva notata a
metà degli anni novanta, verso un’altra forma di dualismo tra chi è occupato con un alto
grado di tutela e chi, pur trovandosi ad accedere con maggiore facilità rispetto a prima a
un’occupazione, affronta condizioni di insicurezza molto più acute dei lavoratori tutelati.
Nondimeno, le modificazioni sono state rilevanti e piuttosto radicali, soprattutto tenuto
conto del contesto di partenza caratterizzato da lavoro relativamente “caro” e “rigido”; le
risultanze statistiche in termini di disoccupazione e dinamiche salariali suggeriscono la
possibilità di cambiamenti di regime2.
In questo capitolo si indaga, quindi, su tale questione. In particolare, si intende
esaminare, seguendo un approccio macroeconomico, se - e, nel caso, quando - i
mutamenti istituzionali si sono tradotti in episodi di rottura significativi delle relazioni
fondamentali che legano salari/costi (reali) e occupazione, tanto dal lato di coloro
(lavoratori) che “offrono” quanto di quello dei soggetti (imprese) che “domandano”
lavoro. Nel paragrafo 4.2 vengono illustrate le innovazioni normative e contrattuali
intervenute, a partire dai primi anni ottanta, negli schemi di determinazione delle
retribuzioni e nelle modalità di impiego. Nel paragrafo 4.3 si verifica la possibilità che le
modifiche istituzionali si siano accompagnate a discontinuità strutturali (vale a dire, a
salti di regime) nei comportamenti degli operatori nel mercato del lavoro, facendo uso di
una metodologia volta a individuare in modo endogeno gli episodi di cambiamento. Il
paragrafo 4.4 è dedicato ad alcune considerazioni conclusive.
2
Sul possibile mutamento di regime occorso con le misure dirette a realizzare maggiore flessibilità e con la
sopravvenuta moderazione salariale (nonché con specifici interventi di sussidio dell’occupazione nei primi anni duemila)
si vedano le considerazioni contenute in Bertola e Garibaldi (2003).
- 252 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
4.2 CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI NEL MERCATO DEL LAVORO:
IL MECCANISMO DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E
L’INTRODUZIONE DELLA FLESSIBILITÀ
4.2.1 Il sistema di contrattazione salariale
Agli inizi degli anni 80, la situazione economica italiana si caratterizzava per la
presenza di un’accentuata dinamica dei prezzi e per un tasso di disoccupazione in
costante aumento. A ciò contribuiva un meccanismo di formazione delle retribuzioni
che, da una lato, tendeva a mantenere in circolo e ad amplificare le tensioni
inflazionistiche e, dall’altro, scoraggiava l’uso del fattore lavoro nei processi produttivi.
Il sistema di determinazione dei salari si caratterizzava per due elementi principali.
- L’esistenza di due livelli di contrattazione sovrapposti tra loro: i contratti nazionali
settoriali (a frequenza triennale), la cui competenza si estendeva alla maggior parte
degli ambiti della prestazione lavorativa; i contratti aziendali (a cadenza irregolare)
presenti nelle imprese di maggiori dimensioni. La durata dei contratti collettivi era, sia
per la parte normativa, sia per quella retributiva, pari a tre anni.
- Un meccanismo di indicizzazione automatica dei salari ai prezzi: l’incremento delle
retribuzioni dipendeva da quello del costo della vita dei tre mesi precedenti, tramite la
corresponsione della cosiddetta indennità di contingenza. Dalla metà degli anni ‘70,
tale meccanismo veniva modificato con la definizione tra le parti sociali del punto
unico di contingenza (uguale per tutti i lavoratori); in tal modo si tutelavano
maggiormente dall’inflazione i redditi più bassi3, per i quali si introduceva una
copertura più che proporzionale rispetto all’inflazione, con una conseguente riduzione
dei differenziali salariali.
A partire già dai primi anni ottanta, il meccanismo della contingenza subisce un
progressivo depotenziamento che avrebbe portato, dieci anni dopo alla sua completa
cancellazione4. Il primo cambiamento si verifica il 22 gennaio 1983, nell’ambito del
Protocollo d’Intesa sul Costo del Lavoro (noto anche come Accordo Scotti), che
costituisce, fra l’altro, anche il primo rilevante esperimento di politica dei redditi; con
esso, il sindacato accettava un taglio del grado di indicizzazione pari a circa quindici
punti percentuali5.
3
Prima di allora, il meccanismo di adeguamento dei salari variava infatti secondo la qualifica. Erano state abolite tra la
fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70 le differenziazioni in base alla collocazione geografica, all’età e al sesso.
4
La discussione circa gli effetti di tali accordi nell’influire sulla riduzione dell’inflazione (effettiva e attesa) verificatasi a
metà anni ottanta è controversa, essendo una parte del merito attribuibile anche alla forte stretta monetaria operata in
quegli anni dalla Banca d’Italia; cfr. Brandolini et al. (2006) e Acocella (2005).
- 253 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Un secondo intervento di politica dei redditi che ha significativamente inciso sul
meccanismo di indicizzazione dato dal noto accordo di San Valentino (D L. del 14/2/
1984 e la successiva legge del 12 Giugno 1984 n 219). Nell’ambito di un più ampio
insieme di provvedimenti diretti al controllo dei prezzi e delle tariffe, il meccanismo
della scala mobile veniva in quell’occasione sostanzialmente rallentato, attraverso la
predeterminazione del numero degli scatti di contingenza6.
Un’ulteriore modifica si concretizza nel 1986, a seguito della riforma che prevedeva
una differenziazione degli importi delle indennità con un collegamento dei contratti
collettivi, una diminuzione della frequenza di interventi e una conseguente, ulteriore
discesa del grado di copertura medio.
All’inizio degli anni novanta, in una fase particolarmente negativa per l’economia
italiana, la struttura della contrattazione viene messa ulteriormente alla prova
dall’accelerazione che investe il processo di integrazione europeo (il Consiglio Europeo
di Maastricht era stato tenuto nel 1991, mentre la versione definitiva del Trattato che
sanciva l’Unione monetaria avveniva nel 1992). Nella prospettiva della moneta unica, si
evidenziava vieppiù l’inadeguatezza del sistema di contrattazione riguardo alla capacità
far fronte agli shock macroeconomici (per via della rigidità delle retribuzioni reali) e alla
possibilità di legare la dinamica salariale più strettamente all’andamento della
produttività.
Già nel 1991 un accordo tra Governo e parti sociali (cosidddetto tripartito) aveva
sospeso l’operare della scala mobile, poi definitivamente abbandonata nel luglio 1992,
quando un nuovo accordo “triangolare” abolisce del tutto il meccanismo di
indicizzazione. Il nuovo sistema di contrattazione prende avvio con il Protocollo del 23
luglio del 1993.
La nuova struttura della contrattazione che emerge dagli accordi mantiene i due
livelli, istituendo però una maggiore specializzazione per ciascuno di essi (le rispettive
competenze vanno a coprire istituti diversi). La durata diviene quadriennale per la parte
normativa, biennale per quella economica. Il primo livello contrattuale si indirizza alla
difesa del potere d’acquisto dei salari e al contenimento dell’inflazione. Il secondo - la
contrattazione decentrata - è dedicato alla distribuzione, a livello di impresa, dei
guadagni di produttività.
L’obiettivo della salvaguardia del potere d’acquisto dei salari viene perseguito
tramite un meccanismo di adeguamento ex post alla dinamica dei prezzi: la crescita delle
retribuzioni viene collegata al tasso d’inflazione programmata dal Governo, con la
5
Brandolini et. al. (2006) pag 6.
6
Di fatto si sono fissati a due gli scatti di contingenza per i primi due trimestri dell’anno, quando l’andamento effettivo
avrebbe portato a scatti di quattro punti. Per la descrizione delle vicende degloi anni 70 e 80 si veda Brunetta R. (1999) p.
421-p. 432.
- 254 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
possibilità di recupero dei minimi contrattuali nel caso, sempre verificatosi, di
un’inflazione effettiva superiore a quella prevista (salvo che lo sforamento fosse
imputabile a perdite di ragioni di scambio)7.
Con tale accordo, pertanto, oltre ad accrescere il livello di coordinamento tra i soggetti del mercato del lavoro e a contenere le aspettative di inflazione8, si volevano legare
maggiormente i salari alla produttività, aumentare il grado di flessibilità delle retribuzioni e modificare la tendenza all’appiattimento dei differenziali salariali che aveva caratterizzato il precedente decennio. Per quel che riguarda gli effetti del cambiamento nella
contrattazione sulla reattività del salario alla situazione del mercato del lavoro ci si attendeva, fra l’altro, un maggior coordinamento tra le richieste salariali delle parti9 e, di
conseguenza, qualche ripercussione favorevole sul tasso di disoccupazione strutturale,
allora stimato su livelli molto elevati10. Gli accordi del 1992/1993 avrebbero iniziato ad
espletare i propri effetti sulla dinamica delle retribuzioni con i primi rinnovi contrattuali
basati sul nuovo sistema; ciò avveniva con i round salariali del 199511.
4.2.2 La flessibilità del rapporto di lavoro in Italia: la regolazione normativa e
quella contrattuale
Alla riduzione delle pressioni salariali e dei costi di aggiustamento ha contribuito
anche il modificato assetto istituzionale che, tra gli anni ottanta e novanta, ha introdotto
elementi di flessibilità del rapporto di lavoro, agendo soprattutto in entrata e al margine
della dinamica occupazionale (vale a dire, incidendo non sullo stock, mai sui flussi di
nuova occupazione). In generale, non è stato cambiato (almeno sino al 2001, con il
recepimento della direttiva sui contratti a termine) l’impianto generale delle regole
basate sul contratto a tempo pieno e determinato. Si è agito, piuttosto, nel senso di
estendere progressivamente le possibilità di deroga a tali fattispecie contrattuali12; un
ruolo rilevante nell’introduzione di elementi di flessibilità è stato svolto, almeno dopo il
1993, anche dalla contrattazione.
Nel periodo preso in esame, le prime modificazioni al quadro normativo sono
intervenute nel biennio 1983/84. Con il già citato “Accordo Scotti” si decideva di
7
Tronti (2005).
8
Oltre a modifiche al meccanismo di indicizzazione dei salari ai prezzi il governo si impegnava a mantenere una politica
tariffaria coerente con il Tasso d’Inflazione Programmata.
9
Si veda ad esempio Fabiani et al. (1998).
10
Esso veniva collocato, secondo diverse stime, tra l’11 e il 12%; cfr. ad esempio Malgarini e Paternò (1997).
11
Casadio et al. (2005) p. 192.
12
Sestito (2001) p. 201.
- 255 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
regolare esplicitamente l’istituto del part-time, allo scopo di ampliare il ricorso a forme
di occupazione allora poco diffuse. Tale Protocollo, assieme al patto di San Valentino,
costituiva la base del testo normativo sul lavoro a tempo parziale (contenuto nel Decreto
Legge 30.10.1984 n. 726 e convertito dalla Legge n. 863 del 1984), la cui disciplina,
modificata poi più volte, riguarda attualmente una parte rilevante (circa un quarto)
dell’occupazione dipendente femminile. Con la stessa legge, si introduceva
nell’ordinamento il contratto di formazione lavoro caratterizzato sia dalla possibilità di
rapporto di lavoro a termine, sia da sgravi contributivi, sia dall’opzione del
sottoinquadramento13. La possibilità di apporre un termine al contratto di lavoro
costituiva un’eccezione alla regola generale di divieto di utilizzazione di tale forma
contrattuale.
Nel 1991 si è sostanzialmente modificata la disciplina della cosiddetta flessibilità in
uscita con la regolazione dei licenziamenti collettivi: la legge 223, colmando un vuoto
legislativo in materia di riduzione della manodopera per motivi economici, introduceva
l’istituto della mobilità che prevedeva, diversamente dalla Cassa Integrazione,
l’interruzione del rapporto di lavoro e, in linea di principio cercava di confinare
l’utilizzazione dell’istituto della “Cassa” ai casi in cui il rapporto di lavoro può
effettivamente essere ristabilito14. Tale normativa, grazie alla possibilità di agganciare
l’istituto della “mobilità lunga” ai pensionamenti, ha consentito, da un lato, di governare
il mercato del lavoro nella pesante fase recessiva del 1992-94 e, dall’altro, di fare fronte,
al di là delle esigenze connesse al ciclo economico, ai problemi cronici di esubero e di
mismatch che contrassegnavano le aziende medio-grandi; essa è stata quindi ampiamente
utilizzata nella profonda ristrutturazione industriale di quel periodo, facilitando una
consistente riduzione di manodopera prolungatasi fino al 1995; contropartita del
ridimensionamento occupazionale fu un peggioramento delle condizioni della finanza
pubblica15.
A partire dalla seconda metà degli anni ’90, il compito di introdurre elementi di
flessibilità nel rapporto di lavoro, è toccato alla contrattazione (soprattutto aziendale) che
avrebbe agito, secondo alcuni, “meglio e prima della normativa”16. Le maggiori novità
13
Sestito (2001) op. cit. p. 202.
14
Sestito (2001) op cit. p. 203.
15
Alla questione del ruolo dello stato nel favorire la ristrutturazione delle imprese (soprattutto medio grandi) nella prima
metà degli anni novanta è stata dedicata un’intensa discussione in quel periodo. Alcuni osservatori sottolinenavano,
all’epoca, come la regolazione del licenziamento collettivo, consentito dalla legge 223, rappresentasse un passo
importante, ancorché parziale, verso la flessibilizzazione dei vincoli di licenziamnto (Bertola e Ichino, 1995). Secondo un
altro punto di vista, quella modalità di intervento - in particolare, l’istituto della mobilità lunga finalizzato al raggiungimento
dei requisti pensionistici da parte del lavoratore - costituiva un ulteriore esempio di “legislazione di emergenza”, diretta ad
affrontare una difficile, ma specifica, fase di riorganizzazione con il consenso del sindacato (Ganoulis, 1997)
- 256 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
hanno riguardato soprattutto la possibilità di apposizione di un termine al contratto e una
maggiore flessibilità riguardo all’orario di lavoro. La legge 56 del 1987 infatti aveva
stabilito che tali eccezioni potessero essere individuate anche in ambito contrattuale17
(prima erano prerogativa della sola normativa). I maggiori effetti sulla struttura
dell’occupazione possono essersi verificati proprio a partire dal 1995 in quanto nella fase
di ripresa successiva alla ristrutturazione industriale, la contrattazione del periodo ha
consentito alle imprese di utilizzare forme di flessibilità del rapporto e di orario.
Dalla metà del decennio novanta, si intensifica inoltre il ricorso da parte di imprese
e, successivamente, Amministrazioni pubbliche alle cosiddette collaborazioni coordinate
e continuative (altrimenti dette lavori para-subordinati): una figura contrattuale già
esistente dagli anni settanta, che riceve, però, una rinnovata attenzione proprio nel 1995,
in occasione dell’imposizione di un contributo previdenziale (del 10%) nell’ambito della
riforma del sistema pensionistico adottata quell’anno; la diffusione di questa forma di
impiego subisce poi un’ulteriore accelerazione tra la fine degli anni novanta e l’inizio di
questo decennio in corrispondenza dell’innalzamento del peso, nei processi produttivi,
delle varie modalità di impiego a termine.
Un intervento normativo molto rilevante avviene con la legge Treu (96/1997) con il
quale le istituzioni del mercato del lavoro vengono modificate sotto una pluralità di
aspetti: si introduce la possibilità per le imprese di usufruire di lavoro temporaneo
tramite agenzia (interinale), mentre vengono incentivati e rafforzati i rapporti di lavoro a
finalità formative (apprendistato, tirocinio, borse di lavoro e Piani di Inserimento
Professionale). Si conferma la destinazione dei contratti di lavoro flessibile verso i
segmenti marginali della forza lavoro mentre la disciplina relativa ai rapporti di lavoro a
tempo indeterminato non viene modificata in modo sostanziale.
La legge Treu, intervenendo sul piano sanzionatorio, modifica nel senso della
riduzione dei vincoli anche il contratto a termine, la cui disciplina viene tuttavia
completamente riformata con il cosidetto decreto dei 100 giorni (268/2001) che
recepisce la direttiva europea del lavoro a termine: il contratto a termine non si configura
più come un’eccezione ad un divieto di carattere generale; si può ricorrere ad esso
qualora esistano “ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo”.
In un mercato del lavoro dall’assetto istituzionale ormai profondamente modificato,
nel 2003 prende corpo una nuova riforma, la legge Biagi, che interviene anch’essa in una
pluralità di campi. Sotto l’aspetto dei rapporti di lavoro atipici, da un lato cerca di
delimitare il ricorso alle collaborazioni coordinate all’effettivo svolgimento di un
16
Casadio et. al (2005).
17
In Casadio et al. “(2005) si afferma che “I contratti nazionali del periodo consentirono 1) di ampliare i tetti quantitativi
del lavoro a termine; 2) Di estendere le motivazioni ammissibili ricorso a tali contratti (che includere di fatti anche i picchi
produttivi) ; 3) di rimandare esplicitamente ai contratti aziendali.
- 257 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
progetto e introduce il contratto di inserimento riformulando il CFL18 e destinandolo a un
insieme di fasce definite deboli; dall’altro introduce una serie di figure contrattuali quali,
il job on call o lavoro a chiamata (possibilità per l’impresa di stipulare con il lavoratore
un contratto di lavoro che prevede che l’impresa paghi al lavoratore una indennità di
disponibilità in cambio dell’impegno a rispondere in qualsiasi momento alla chiamata e a
prestare la propria attività), lo staff leasing (possibilità, per apposite agenzie di fornire
alle imprese interi reparti aziendali da impiegare a tempo indeterminato, piuttosto che
singoli lavoratori), il lavoro ripartito (job sharing, per cui una singola prestazione di
lavoro presso l’impresa può essere ripartita tra due o più lavoratori). Si tratta peraltro di
tipologie che, nella fase iniziale di applicazione della normativa appaiono poco
conosciute e scarsamente utilizzate dalla imprese19.
4.3 MODIFICHE STRUTTURALI NELLE RELAZIONI TRA SALARI E
DISOCCUPAZIONE
4.3.1 Schema teorico di riferimento
In che misura e con quali tempi le modificazioni sopra descritte nel sistema di
formazione dei salari e nelle modalità d’impiego della manodopera hanno influito sul
funzionamento del mercato del lavoro italiano? Per cercare di rispondere a questa
domanda si deve disporre di un schema teorico che si presti alla verifica dell’esistenza di
eventuali break strutturali nelle relazioni (di lungo periodo) che legano retribuzioni e
disoccupazione. Si fa, in particolare, riferimento a un framework di concorrenza
imperfetta tanto nel mercato dei fattori (del lavoro, in particolare), quanto in quello dei
prodotti. La presenza, in entrambi i mercati, di vischiosità nominali e soprattutto di attori
(imprese e lavoratori) dotati di un potere, più o meno forte, di fissazione delle
remunerazioni e dei prezzi a livelli diversi da quelli che sarebbero necessari per
eliminare gli squilibri, spinge ad allontanarsi da ipotesi (poco realistiche) che
presuppongono meccanismi perfettamente competitivi. Ciò comporta che nel modello di
riferimento non si considerino vere e proprie funzioni di offerta e di domanda di lavoro
che implicherebbero flessibilità completa dei prezzi nei mercati dei fattori e del prodotto
e un equilibrio pressoché continuo in entrambi. Seguendo la letteratura consolidatasi
18
La Commmissione europea aveva rilevato per alcuni aspetti una lesione dei principi di concorrenza (cfr. decisione
dell’11.05.99 della Commissione europea (pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Comunità europea del 15.02.2000) in
merito alle agevolazioni contributive.
19
Si veda ad esempio ISAE (2006).
- 258 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
nella seconda metà degli anni ‘8020, le relazioni fondamentali che descrivono le
interazioni tra i soggetti che si incontrano e contrattano nel mercato del lavoro sono,
invece, rappresentate rispettivamente un’equazione del salario (wage equation) e da una
dei prezzi (price equation). La wage equation esprime il salario reale desiderato, per
ogni livello di occupazione/disoccupazione e di altre variabili rilevanti, dai lavoratori (o
wage setters); la price equation descrive il margine dei prezzi sul costo del lavoro - e,
quindi, in modo simmetrico il costo reale del lavoro (o margine del costo sul prezzo
dell’output) - fattibile per l’impresa, per ogni dato livello di occupazione/disoccupazione
e di altre variabili rilevanti, coerentemente con il processo di massimizzazione del
profitto in condizioni imperfettamente concorrenziali. Com’è noto, l’equazione del
salario è l’analogo, in concorrenza imperfetta, di un’equazione di offerta di lavoro in un
mercato perfettamente competitivo, così come l’equazione del prezzo corrisponde alla
domanda di lavoro (si veda ad esempio Blanchard, 1997).
Sulla base delle indicazioni della letteratura teorica ed empirica sull’argomento
(oltre al lavoro di Layard, Nickell e Jackman citato, Nickell 1997, Hecq e Mahy 1997), le
equazioni del salario e del prezzo qui considerate risultano descritte, rispettivamente,
come segue:
lwpt = µ + β1lut + β 2lprt + β 3limpt +ν t ,
(1)
lcrt = µ + α1lut + α 2lprt + ε t ,
(2)
Nella wage equation (eq. (1)), il logaritmo del salario reale, lwpt dipende
negativamente dal logaritmo del tasso di disoccupazione lut (all’aumentare di
quest’ultimo, si intensifica la concorrenza tra i wage setters e si riduce il loro potere di
contrattazione), positivamente dal logaritmo della produttività del lavoro lprt (al crescere
della produttività i lavoratori possono puntare su maggiori salari reali) e negativamente
dalla ragione di scambio, qui approssimata dal logaritmo del deflatore delle importazioni
di beni e servizi (al deteriorarsi della ragione di scambio col resto del mondo si riduce la
possibilità di strappare incrementi salariali in termini reali). Nella price equation (eq.
(2)), il logaritmo del costo del lavoro reale, lcrt, dipende positivamente tanto dal
logaritmo del tasso di disoccupazione lut (all’aumentare di quest’ultimo, si riducono la
domanda aggregata e il prodotto, diminuisce il mark up praticabile sui salari e quindi,
simmetricamente, aumenta il margine del costo del lavoro sul prezzo dell’output
dell’impresa), quanto dal logaritmo della produttività lprt (al crescere di quest’ultima,
20
Layard e Nickell (1996), Blanchard (1986).
- 259 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
aumenta il costo reale che l’impresa è disposta a pagare)21. Nell’insieme, questo
framework, per quanto semplificato, contiene le caratteristiche essenziali che consentono
di indagare sull’esistenza di eventuali episodi di rottura (come diverrà più chiaro in
seguito, veri e propri cambiamenti di regime) nelle relazioni fondamentali che hanno
contraddistinto il funzionamento del mercato del lavoro italiano negli ultimi anni,
considerando tanto il lato della cosiddetta pseudo-offerta di lavoro (salario desiderato dai
lavoratori), quanto quello della pseudo-domanda di lavoro (costo del lavoro fattibile per
l’impresa).
4.3.2 Verifica di cambiamenti strutturali nelle relazioni tra salari e disoccupazione
in Italia
Come discusso nel paragrafo 4.2, il mercato del lavoro italiano ha subito negli
ultimi anni importanti modifiche negli assetti istituzionali che hanno investito le
relazioni tra i principali attori che in esso operano. Alcuni studi hanno cercato di
investigare su tali cambiamenti strutturali, concentrando l’attenzione principalmente su
relazioni di tipo wage equation.
Tra la letteratura che descrive, a livello macroeconomico, gli effetti dei grandi
mutamenti istituzionali sul mercato del lavoro nel nostro paese si prende in esame in
particolare quella relativa agli effetti del protocollo del 1992-9322. Quanto ai periodi
precedenti, esiste un ampio di numero di lavori riguardanti la rigidità del salario reale
nella seconda metà degli anni ‘7023. Un importante contributo alla definizione degli
effetti dell’accordo del 1992-93 nella dinamica salariale è evidenziato in Casadio (2002)
che ne enfatizza il ruolo nell’attenuazione della spirale salari prezzi per via della
riduzione delle aspettative inflazionistiche e il conseguente determinarsi della
moderazione salariale.
In ambito di verifiche econometriche, Fabiani et. al (1998), stimano sulla base di
dati trimestrali, una curva dei salari (più precisamente una curva di Phillips), effettuando
un’analisi della stabilità dei parametri attraverso un test LM (nell’ipotesi nulla di
costanza di parametri). Il test effettuato (Hansen, 1994) si limita a verificare la stabilità
della relazione considerata, senza peraltro poter identificare la collocazione temporale
21
Nelle equazioni del salario e del prezzo - la 1) e la 2) - dovrebbero cartterizzarsi per la presenza nel lato sinistro dei
valori attesi, rispettivamente, dei prezzi e del costo del lavoro, poiché i comportamenti dei wage setters (nel perseguire
un salario reale desiderato) e dei price setters (nel determinare un mark-up “fattibile”) si basano su aspettative circa le
variabili che non rientrano nella loro diretta capacità di influenza. Le due relazioni riportate nel testo implicano l’ipotesi di
una coincidenza tra valori effettivi e attesi del prezzo dei beni e del costo del lavoro.
22
Data la natura del nostro lavoro, in questa sede non indagheremo sulla letteratura, a base microeconomica, di
valutazione dei singoli provvedimenti normativi.
23
Per la quale si rimanda a Destefanis (2004).
- 260 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
dell’eventuale break24; gli autori quindi impongono esogenamente sullo stesso modello
la possibilità di una diversa modalità di aggiustamento dei salari ai prezzi per il periodo
successivo al 1993 (coefficiente di aggiustamento dei salari all’inflazione), ponendo in
evidenza il maggior ruolo svolto dall’inflazione programmata nella determinazione della
dinamica salariale rispetto a quella corrente. L’elemento di valutazione di impatto degli
accordi 1992-93 risulta da simulazioni controfattuali effettuate dagli stessi autori sul
modello della Banca d’Italia (sul periodo 1993-97) secondo le quali l’inflazione sarebbe
stata, in assenza di accordi, nel 1996 circa di 2-3 punti percentuali più elevata; sulla base
di questa evidenza, dunque, i maggiori effetti sulla dinamica dei prezzi si sarebbero
riscontrati qualche anno dopo la stipula dell’accordo di luglio. Un analogo test di
stabilità di Hansen è stato eseguito da Destefanis et. al. (2004), i quali stimano un set di
quindici equazioni dei salari su dati di contabilità nazionale per il periodo 1975-2002;
salvo alcune eccezioni il test di stabilità non presenta, anche in questo caso, rilevanti
break nell’equazione dei salari nel periodo considerato.
Venendo alla stima della relazioni di lungo periodo, in particolare, Marcellino and
Mizon (2001) studiano un modello di salari reali, inflazione, disoccupazione e PIL per
l’Italia per il periodo 1970-1994 usando un metodo VAR cointegrato. Da un esame
preliminare delle variabili considerate, emerge che il tasso di disoccupazione e la
produttività del lavoro in Italia avrebbero subito un cambiamento strutturale intorno ai
primi anni ottanta25. Sulla base di tale osservazione, i due autori “suddividono” l’arco di
tempo analizzato in due periodi (1970-1979; 1980-1994) e stimano un VAR cointegrato
per il mercato del lavoro. Rispetto a tale approccio, seguito tra l’altro anche da Binotti e
Ghiani (2004) in uno studio su flessibilità salariale e curva di Phillips, il presente
contributo si propone di identificare in modo endogeno (vale a dire non sulla base di
valutazioni a priori) gli eventuali cambiamenti strutturali intervenuti nel mercato del
lavoro italiano e di stimare le relazioni di lungo e di breve periodo delle equazioni di
wage/price setting, tenendo conto di tali mutamenti. L’analisi si basa su una metodologia
di singole equazioni proposta da Gregory e Hansen (1996) diretta a verificare,
endogenamente, i cambiamenti nel livello (cioè, spostamenti “paralleli” a se stessi delle
“curve”, senza che si modifichino le elasticità che le contraddistinguono) e
nell’inclinazione (cioè, nel grado di influenza delle variabili “di destra” su quelle “di
sinistra”) delle equazioni di lungo periodo di determinazione del salario e di formazione
del prezzo26. E’ da notare che dei due tipi di modifica (nel livello e/o nella pendenza
24
Fabiani et. al. (1998).
25
Marcellino e Mizon (2001) usano le funzioni di autocorrelazione per stabilire cambiamenti strutturali nelle variabili del
tasso di disoccupazione e del tasso di inflazione. L’andamento di tali funzioni è interpretato nel senso che i cambiamenti
strutturali sembrano emergere agli inizi degli anni ottanta.
- 261 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
delle relazioni), quello relativo all’inclinazione viene a caratterizzare un effettivo cambio
di regime (o regime shift), comportando una modifica permanente, oltre che nel livello,
nell’intensità di risposta delle variabili dipendenti (nel caso in esame, il salario e il costo
reale del lavoro) a mutamenti di quelle indipendenti (cioè al tasso di disoccupazione e
alla produttività nel caso della price equation, a questi stessi fenomeni e alla ragione di
scambio nel caso della wage equation).
L’analisi che segue si articola in quattro passi. Nel primo si applicano i test di radice
unitaria, senza e con break, per verificare la non-stazionarietà delle singole variabili
considerate; si investiga, poi, sulla presenza di cointegrazione, senza e con break, nelle
equazioni dei salari e dei prezzi, utilizzando l’approccio Gregory-Hansen;
successivamente, si stimano le relazioni di lungo periodo descritte da tali equazioni,
tenendo conto delle eventuali discontinuità individuate in modo endogeno; in ultimo, si
stimano le dinamiche di breve periodo, al fine di verificare se la presenza dei break nelle
relazioni di lungo ha inciso sulla velocità di convergenza verso l’equilibrio (di lungo
periodo) del modello.
4.3.3 Primo passo: test di radici unitarie, senza e con break
Nel campione da noi considerato si utilizzano dati trimestrali per il periodo 1981(1)2005(4). Si sceglie di lavorare con dati grezzi, poiché le procedure di
destagionalizzazione possono portare a espellere dal campione dati che hanno, invece,
natura di break (Ghysels e Perron, 1996). Per quanto riguarda le variabili utilizzate, il
salario reale è dato dal rapporto tra retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente e il
deflatore dei consumi delle famiglie residenti (fonte: ISTAT, Contabilità Nazionale); il
costo reale del lavoro è ottenuto come rapporto tra redditi da lavoro (che comprendono
gli oneri sociali a carico dell’impresa) per unità di lavoro dipendente e il deflatore del
valore aggiunto ai prezzi base (fonte: ISTAT, Contabilità Nazionale); la produttività è
ottenuta dividendo il valore aggiunto ai prezzi base (nei valori concatenati con il 2000
come anno di riferimento), per le unità di lavoro totali (fonte: ISTAT). Il deflatore delle
importazioni di beni e servizi e il tasso di disoccupazione, sono rispettivamente di fonte
ISTAT e ISTAT-OCSE; per il tasso di disoccupazione ci si è avvalsi della ricostruzione
operata dall’OCSE per gli anni antecedenti al 1993, per i quali non è ancora disponibile
una elaborazione ufficiale ISTAT coerente con la nuova Indagine Trimestrale delle Forze
di Lavoro.
26
Un’applicazione di questa metodologia per analizzare le modificazioni intercorse in alcune economie in transizione è
stata effettuata da Golinelli e Orsi (2000). Al momento non sembra che nella letteratura siano ancora stati proposti
modelli multivariati di cointegrazione che permettano di identificare endogenamente i cambiamenti strutturali sia nel
livello sia nell’inclinazione.
- 262 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
Nella tabella 1 sono riportati i valori delle statistiche utilizzate per verificare la
presenza di stazionarietà nelle variabili. Il test Augmented Dickey-Fuller (ADF) indica
che tutte le serie considerate sono nonstazionarie27. Il passo successivo consiste nel
chiedersi se le variabili (espresse nei livelli), che appaiono nelle equazioni di wage/price
setting, siano legate tra loro da relazioni di equilibrio lungo periodo.
Tab. 1
AUGMENTED DICKEY-FULLER TEST
Variabili
Valori della statistica
K
lcr
-1.371(0.593)
4
lwp
-1.352(0.602)
4
lu
-1.546(0.543)
4
lpr
-1.667(0.439)
4
limp
-2.135(0.312)
1
Nota: I valori della statistica test sono non significativi. K indica i ritardi nella regressione aumentata. In parentesi sono riportati i p-values.
4.3.4 Secondo passo: test di cointegrazione, senza e con break
Per aversi cointegrazione è necessario che le variabili siano integrate dello stesso
ordine (Engle e Granger, 1987)28. Una volta verificata la presenza di radici unitarie nelle
singole variabili (non-stazionarietà), si può quindi procedere a investigare sull’esistenza
di cointegrazione tra di essi, ovvero di una relazione di equilibrio nelle equazioni dei
salari e dei prezzi. Come nella procedura di Engle-Granger (1987, EG), si stimano le
equazioni (1) - (2) con il metodo dei minimi quadrati. Sui residui della stima vengono
poi condotti dei test di radici unitarie per verificarne la stazionarietà. Nelle tabelle 2-3 si
riportano i risultati del test ADF. Per entrambe le equazioni di wage e price setting, il test
ADF indica non-stazionarietà dei residui e quindi assenza di cointegrazione. Tra le
variabili considerate non sembra quindi esistere un legame stabile. Tuttavia, ciò non
esclude la presenza di relazioni tra di esse una volta che si sia considerata l’eventualità di
break nelle relazioni stesse. Poiché il mercato del lavoro italiano è stato, negli anni
esaminati, caratterizzato da cambiamenti istituzionali, l’eventualità che l’assenza di
cointegrazione sia dovuta a mutamenti strutturali deve essere ulteriormente indagata. A
questo scopo, seguendo la metodologia Gregory-Hansen si stimano nuovamente le
equazioni (1) - (2), modificandole con l’introduzione di un level e di un regime shift, e si
27
Risultati simili si ottengono anche con i test di Phillips e Perron (1988) e Elliott, Rothenberg e Stock (1996). Qui i
risultati non vengono riportati per ragioni di spazio. Allo stesso modo si ottengono risultati di radici unitarie per le serie
considerate con il test di Zivot e Andrews (1992). Anche in questo caso, i risultati non vegnono riportati per ragioni di
spazio.
28
Nel nostro caso le variabili risultato integrate del primo ordine.
- 263 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
procede a verificare la presenza di stazionarietà nei residui in tale specificazione. Per
modellare i cambiamenti di livello e di regime, si definisce la seguente variabile dummy:
0 se t ≤ [nτ ]
DU t = 
1 se t > [nτ ]
dove il parametro τ ∈(0,1) denota il momento nel tempo a partire dal quale si registra il
cambiamento, mentre [] denota la parte intera. Per l’equazione del salario (la relazione
(1)), si ha dunque:
lwpt = µ1 + µ 2 DU t + α1lut + α 2lprt + α 3limpt + ν t ,
lwpt = µ1 + µ2 DU t + α1lut + γ 1lut DU t + α 2lprt + γ 2lprt DU t + α3limpt + γ 3limpt DU t +ν t ,
(3)
(4)
dove µ1 e µ2 indicano rispettivamente l’intercetta prima dello shift e il cambiamento
dell’intercetta al tempo dello shift; α1 α 2 e α 3 sono i coefficienti della cointegrazione
del salario reale con, rispettivamente, il tasso di disoccupazione, la produttività e il
deflatore delle importazioni prima del cambiamento di regime; γ 1 γ 2 , e γ 3 costituiscono i
coefficienti di queste stesse variabili modificate per tenere conto del mutamento di
regime.
Per l’equazione del prezzi (la relazione (2)) si ha:
lcrt = µ1 + µ2 DU t + α1lut + α 2lprt + ε t ,
(5)
lcrt = µ1 + µ2 DU t + α1lut + γ 1lut DU t + α 2lprt + γ 2lprt DU t + ε t ,
(6)
dove i coefficienti sono interpretabili in modo analogo al caso precedente.
Sempre nelle tabelle 2-3, si riportano i risultati del test ADF riferiti alle equazioni
(3) - (6). Per il cambiamento sia di livello, sia di regime, il test ADF pone in luce, in
effetti, la presenza di cointegrazione29, a indicare l’emergere di relazioni di lungo
periodo nella wage e nella price equation, una volta che si controlla per i cambiamenti
strutturali30. In particolare, l’evidenza empirica mostra che gli shift (di livello e di
regime) nell’equazione del salario precedono cronologicamente quelli nell’equazione del
29
Simili risultati sono ottenuti anche con il test di Phillips ae Perron (1998).
30
La procedura di Gregory e Hansen (1996) considera anche i casi con time trend. Tuttavia,come evidenziato da Hall
(1986), vi è almeno una ragione importante per escludere l’uso del trend nell’equazioni di prezzo e salario: l’esistenza di
un incremento del salario reale è ampiamente associato con una crescita di lungo periodo nella produttività.
- 264 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
prezzo, suggerendo che le modifiche strutturali nei comportamenti dei wage setters
(descritti nella relazione che si è definita anche come una pseudo-offerta di lavoro) si
sono manifestate prima di quelle attribuibili ai price setters (identificati nella pseudo
domanda di lavoro). Le date dei break identificate dal test di Gregory-Hansen appaiono,
dal punto di vista economico, significative se si tiene conto dei mutamenti di tipo
istituzionale intervenuti nel periodo considerato e descritti nel paragrafo 4.2. La prima
discontinuità si manifesta in occasione degli iniziali esperimenti di concertazione
(politica dei redditi con inflazione programmata) e delle misure di depotenziamento
dell’indicizzazione salariale (accordi Scotti e di San Valentino), nonché
dell’introduzione di elementi di flessibilità del rapporto di lavoro “al margine”, nei primi
anni ottanta e coinvolge l’equazione del salario (mutamento di regime nel IV trimestre
del 1984). Successivamente, sembra che siano le riforme nei meccanismi di
determinazione delle retribuzioni dei primi anni novanta (abolizione della scala mobile
nel luglio del 1992 e Protocollo del luglio 1993) e l’introduzione di elementi di
flessibilità a incidere tanto sulla relazione del salario (mutamento di livello a partire dal
II trimestre del 1992), quanto (e soprattutto) su quella del prezzo (cambio di regime dal
IV trimestre del 1994 e di livello dal II trimestre del 1996). Nello specifico, il “salto”
indotto dalle modificazioni verificatesi all’inizio del decennio novanta - con il passaggio
da un sistema di adeguamento dei salari di tipo backward looking (indotto dall’operare
della scala mobile) a uno di tipo forward looking (basato sul tasso di inflazione
programmato) e con una certa diffusione della contrattazione a livello aziendale delle
forme di lavoro a tempo determinato e dell’uso flessibile dell’orario - potrebbe avere
influito sul mutamento di regime dell’equazione del prezzo individuato alla fine del
1995, in occasione dei primi rinnovi contrattuali, realizzati in quell’anno, secondo il
nuovo assetto di relazioni industriali.
Nell’insieme sembrerebbe che gli episodi di rottura, che si individuano con la
metodologia Gregory-Hansen, siano essenzialmente legati ai mutamenti introdotti nel
lasso di tempo considerato nei meccanismi di formazione delle retribuzioni e nel grado
di flessibilità consentito alle imprese per quanto riguarda rapporto e orario di lavoro. Tali
modifiche hanno avuto un passaggio essenziale nella fine delle indicizzazioni. Tuttavia,
in un contesto di concorrenza imperfetta, un ruolo rilevante dovrebbe essere stato svolto
anche dal miglioramento del grado di coordinamento consentito dall’introduzione del
tasso di inflazione programmata, che ha rappresentato, nel periodo antecedente
l’adozione della moneta unica, un’importante ancora di riferimento nelle dinamiche tra
le parti sociali. Accanto a ciò, la distinzione effettuata negli ambiti e nelle materie
negoziali, a livello nazionale e aziendale, può avere ulteriormente contribuito alla
diminuzione delle pressioni salariali (anche se gli effetti, in questo caso, potrebbero
essere stati maggiormente distribuiti nel tempo).
- 265 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
Tab. 2
TEST DI COINTEGRAZIONE. EQUAZIONE DEI SALARI
Tb
Test
Valori della statistica
EG
-2.564
EG/T
-2.747
C
-5.652**
1993:2
C/S
-6.427**
1984:4
Nota : EG e EG/T indicano il test di Engel e Granger rispettivamente con la costante e con la costante e trend. C e C/S indicano il test di
Gregory e Hansen con level e regime shift.
Tab. 3
Tb
indica il “timing” del break.
TEST DI COINTEGRAZIONE. EQUAZIONE DEL PREZZO
Tb
Variabili
Valori della statistica
EG
-2.553
EG/T
-2.728
C
-5.642**
1996:2
C/S
-6.456**
1995:4
Nota : EG e EG/T indicano il test di Engel e Granger rispettivamente con la costante e con la costante e trend. C e C/S indicano il test di
Gregory e Hansen con level e regime shift.
Tb
indica il “timing” del break.
4.3.5 Terzo passo: stima delle relazioni di lungo periodo
Una volta verificata la presenza di cointegrazione con cambiamenti strutturali, si
procede alla stima delle relazioni di lungo periodo includendo i cambiamenti stessi
(break). In un secondo momento, si stimano le dinamiche di breve periodo con un
modello a correzione dell’errore. Nella stima di lungo periodo si deve, evidentemente,
operare una scelta sul tipo di shift (di regime oppure “unicamente” di livello) da prendere
in considerazione, non potendo incorporare nella stessa relazione due cambiamenti di
intercetta (quello individuato dalla discontinuità del solo livello e quello che si
accompagna al mutamento di regime). L’opzione va al modello più generale e flessibile,
quello del regime shift - rappresentato dalle equazioni (4) e (6) -, perché esso consente di
inglobare nelle relazioni da stimare tanto la variazione nell’interazione tra le variabili
(cioè il mutamento di elasticità), quanto quella nell’intercetta31. Nelle tabelle 4-5 si
riportano i risultati della stima per le equazioni di wage e price setting.
31
Le dummy di livello e di interazione si riferiscono in questo caso allo stesso punto nel tempo.
- 266 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
Tab. 4
Variabile
STIMA DI LUNGO PERIODO. EQUAZIONE DEI SALARI. VARIABILE DIPENDENTE: lwp
Coefficienti
Std. Error
t-statistics
Prob
Costante
0.793
0.249
3.174
0.000
lu
-0.108
0.106
-6.600
0.000
lpr
0.635
0.084
7.510
0.000
limp
-0.737
0.159
-2.351
0.021
DU
-6.303
2.524
2.249
0.014
luDU
-0.217
0.061
-4.256
0.000
lprDU
0.704
0.861
-3.026
0.003
limpDU
-0.338
0.167
-2.019
0.034
R2
0.938
R 2 ADJ
0.914
DW
2.022
Nota: la variabile DU indica la dummy di livello e le variabili luDU e lprDU indicano le dummy di interazione. Le dummy sono fissate al
1984:4.
Tab. 5
Variabile
STIMA DI LUNGO PERIODO. EQUAZIONE DEL PREZZO. VARIABILE DIPENDENTE: lcr
Coefficienti
Std. Error
t-statistics
Prob
Costante
7.342
0.282
26.023
0.000
lu
0.105
0.009
11.006
0.000
lpr
0.737
0.137
5.391
0.000
DU
-5.464
2.039
-2.679
0.009
luDU
0.333
0.142
2.348
0.021
lprDU
1.830
0.753
2.431
0.017
R2
R 2 ADJ
DW
0.931
0.913
2.064
Nota: la variabile DU indica la dummy di livello e le variabili luDU e lprDU indicano le dummy di interazione. Le dummy sono fissate al
1995:4.
Per entrambe le equazioni i modelli stimati mostrano la significatività statistica di
tutte le variabili considerate che influenzano, rispettivamente, salario reale e costo (reale)
del lavoro secondo la direzione attesa. Di notevole rilievo sono, evidentemente, i
mutamenti di regime che si riscontano nelle due relazioni. Per quel che concerne la wage
equation la stima dell’intensità di risposta dei salari reali alla disoccupazione
praticamente raddoppia tra il periodo che precede e quello che segue il IV trimestre del
1984, epoca in cui è stato individuato il salto di regime: l’elasticità stimata tra le due
variabili, misurata lungo la curva della pseudo-offerta di lavoro, passa infatti da un
valore di -0,108 - sostanzialmente in linea con le valutazioni di altri studi condotti su
- 267 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
diversi paesi industriali32 - a uno di -0,217 (cfr. i coefficienti associati rispettivamente
alle variabili lu e luDU). Il mutamento di regime è, invece, quantitativamente meno
rilevante (ma pur sempre statisticamente significativo) per quanto riguarda l’influenza
della produttività sul salario desiderato (il coefficiente che moltiplica la variabile lprDU
è solo marginalmente superiore a quello associato alla variabile lpr), mentre opera nel
senso di una riduzione (del valore assoluto) dell’elasticità con riferimento all’incidenza
delle variazioni delle ragioni di scambio (cfr. i coefficienti di limp e limpDU).
Anche dal lato dell’equazione del prezzo si evidenziano modificazioni di rilievo.
Come sopra ricordato, questa relazione è interessata da un regime shift in un periodo
successivo a quanto osservato per la wage equation; esso si verifica nel IV trimestre del
1995 presumibilmente a seguito della completa cancellazione della scala mobile e della
riforma del sistema di contrattazione avvenute tra l’estate del 1992 e quella del 1993. Nel
caso della price equation, l’elasticità del costo reale del lavoro alla disoccupazione,
lungo la curva della cosiddetta pseudo-domanda di lavoro, tende a triplicare tra il periodo
precedente e quello susseguente l’ultimo trimestre del 1995 (la stima passa da un valore
0,105 a uno di 0,333). Accanto a ciò, è interessante notare che il mutamento di regime
coinvolge pure un aumento della “sensibilità” del costo del lavoro a variazioni della
produttività; un effetto da interpretare con cautela che potrebbe essere in parte connesso
anche con la “specializzazione” del secondo livello di contrattazione introdotta dalle
riforme delle relazioni industriali dei primi anni novanta.
Nell’insieme, queste stime sembrerebbero indicare che i break di regime,
individuati nell’analisi di cointegrazione, hanno comportato un effettivo innalzamento
della elasticità complessiva del mercato del lavoro italiano, con un conseguente
ridimensionamento dello squilibrio strutturale che ne caratterizzava il funzionamento
negli anni in cui il lavoro risultava “caro” e “rigido”. In particolare, gli incrementi,
verificatisi in fasi temporali diverse, del grado di reattività alle variazioni
dell’occupazione da parte tanto del salario reale (perseguito dai lavoratori), quanto del
costo reale del lavoro (fattibile per le imprese) suggeriscono l’avverarsi, tra la metà degli
anni ottanta e la metà degli anni novanta, di un sostanziale abbattimento del tasso di
disoccupazione di equilibrio della nostra economia. Di questo ridimensionamento non
“ci si rende conto” nel momento in cui avviene33, poiché le conseguenze cominciano
emergere solo nella successiva fase di accelerazione dell’attività economica a partire
dalla metà degli anni novanta, quando il tasso di disoccupazione “osservato” prende a
32
La stima è prossima a quelle proposte da Blanchflower e Oswald (1994) per diverse economie industriali e da Estevao
e Nigar (2002), sulla base di micro-dati, per la Francia.
33
Si vedano le valutazioni pessimistiche, ricordate nell’introduzione al capitolo, circa le rigidità del mercato del lavoro e la
disoccupazione strutturale italiana avanzate a metà degli anni novanta.
- 268 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
scendere in modo graduale, ma pressoché continuo, verso valori storicamente bassi per
gli standard italiani, senza che si innestino processi di rafforzamento delle dinamiche
retributive: un fenomeno che “rivelerebbe” indirettamente l’avvenuto abbassamento
della disoccupazione strutturale.
4.3.6 Quarto passo: stima delle dinamiche di breve periodo
Nella precedente sezione sono stati discussi i risultati della stima di lungo periodo
una volta considerata la presenza di cambiamenti strutturali. Un’analisi di breve periodo
implica la specificazione di un modello a correzione dell’errore per le variabili di
interesse. Le equazioni 1-2 vengono riparametrizzate, considerando il termine a
correzione dell’errore (ECM):
∆lwpt = µ1 + Σ φ1 ∆lwpt −i + Σ φ2 ∆lut −i + Σ φ3 ∆lprt −i + Σ φ4 ∆ lim pt −i + δνˆt
(7)
∆lcrt = µ1 + Σ φ1' ∆lcrt −i + Σ φ2' ∆lut −i + Σ φ3' ∆lprt −i + θεˆt
(8)
i
i
i
i
i
i
i
dove νˆt e εˆ indicano i termini a correzione dell’errore derivanti dalla stima delle
equazioni di lungo periodo. Nelle tabelle 6-7 sono riportati i risultati delle stime. E’
importate notare come i termini a correzione dell’errore risultino statisticamente
Tab. 6
STIMA DELLA DINAMICA DI BREVE PERIODO. EQUAZIONE DEI SALARI
VARIABILE DIPENDENTE:
∆ lwp
Variabile
Coefficienti
Std. Error
t-statistics
Prob
Costante
0.001
0.001
1.000
0.257
∆ lwp t −1
0.635
0.081
7.816
0.000
∆ lu t − 4
-0.087
0.013
-6.919
0.000
∆ lp rt − 4
-5.585
0.007
-8.863
0.000
∆ lim pt −1
-0.266
0.013
-2.059
0.042
νˆt − 4
0.025
0.012
2.111
0.033
R
0.691
R 2ADJ
0.662
DW
2.002
- 269 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
significativi in entrambi i casi. L’evidenza di lungo periodo ha mostrato che le relazioni
di wage e price equation si sono mosse in un regime che implica una disoccupazione di
equilibrio più bassa, a seguito dell’aumento delle elasticità di salario e costo reale alla
disoccupazione. Però, ciò non implica un aumento delle velocità di aggiustamento delle
relazioni al nuovo regime. Anzi, le relazioni di lungo periodo, incorporando i
cambiamenti strutturali, sembrano necessitare di un tempo considerevole per riportarsi al
nuovo equilibrio, come si evince dal basso valore del coefficiente a correzione
dell’errore.
Tab. 7
STIMA DELLA DINAMICA DI BREVE PERIODO. EQUAZIONE DEL PREZZO
VARIABILE DIPENDENTE:
∆ lcr
Variabile
Coefficienti
Std. Error
t-statistics
Prob
Costante
0.150
0.001
10.267
0.00
∆ lc rt − 1
0.760
0.068
11.026
0.000
∆lcrt − 4
-0.238
0.073
3.276
0.001
∆lut −1
0.031
0.014
2.161
0.010
∆ l prt −3
-0.279
0.105
-2.644
0.009
∆ l prt − 4
0.365
0.101
3.593
0.000
εˆt − 4
-0.066
0.011
6.000
0.000
R2
0.691
R 2ADJ
0.662
DW
2.002
- 270 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
4.4 CONCLUSIONI
L’analisi presentata in questo capitolo indica che il mercato del lavoro italiano è
stato interessato, a partire dagli anni ottanta, da rilevanti discontinuità di comportamento
tanto dal lato dell’offerta quanto da quello della domanda. Tali mutamenti si sono
sostanziati in un apprezzabile innalzamento delle elasticità del salario e del costo reale
del lavoro a variazioni del tasso di disoccupazione, rispettivamente nelle equazioni di
wage e price setting: l’aumento nel grado di reattività dei soggetti del mercato del lavoro
a squilibri occupazionali va nella direzione di una diminuzione della disoccupazione
strutturale italiana.
Quando si sarebbero verificati questi mutamenti? L’evidenza proposta li colloca
relativamente indietro nel tempo, a metà degli anni ottanta per quanto riguarda la wage
equation, a metà anni novanta per quel che concerne la price equation. Le conseguenze
dell’abbassamento del tasso di disoccupazione di equilibrio hanno, però, potuto
emergere solo successivamente, quando, in connessione con l’accelerazione dell’attività
economica a partire dalla metà degli anni novanta, la disoccupazione ha preso a scendere
in modo pressoché continuo - fino ad attestarsi, secondo i dati più recenti, sotto la soglia
del 7%, da circa il 12% di dieci anni prima -, senza che ciò comportasse un
surriscaldamento della dinamica retributiva: un’indicazione indiretta, ma alquanto
esplicativa, del ridimensionamento intervenuto nella disoccupazione strutturale della
nostra economia.
Quali innovazioni istituzionali avrebbero prodotto una simile modifica? In un
mercato del lavoro altamente regolamentato e irrigidito come quello che caratterizzava
l’Italia alla fine del decennio settanta e nei primi anni ottanta, anche cambiamenti
inizialmente limitati e “al margine” hanno probabilmente indotto rilevanti ripercussioni
strutturali. Osservando le date dei salti di regime individuati con i test econometrici (la
fine del 1984 per l’equazione del salario e la fine del 1995 per quella dei prezzi) e le
riforme negli assetti normativi e di contrattazione intervenute in tali periodi sembrerebbe
di poter dire che le relazioni fondamentali del mercato del lavoro siano state investite da
due principali ondate di “deregolamentazione”34, aventi per oggetto tanto i meccanismi
di formazione del salario, quanto gli aspetti di regolazione del rapporto e dell’orario di
lavoro. La prima si esplicita, all’inizio degli anni ottanta, con l’avvio di un significativo
depotenziamento del meccanismo di indicizzazione delle retribuzioni e con
l’inaugurazione di esperimenti di concertazione (politica dei redditi e tasso di inflazione
programmata); essa modifica, secondo l’evidenza empirica, l’elasticità del salario reale
alla disoccupazione sul lato dell’offerta del lavoro (equazione di wage setting). La
34
Per una simile linea interpretativa, si veda anche Rodriguez e Russo (2006).
- 271 -
Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007
seconda ondata si concretizza con gli accordi intervenuti tra l’estate del 1992 (abolizione
della scala mobile) e quella del 1993 (Protocollo di luglio) e comporta un
“perfezionamento” dell’esperienza di coordinamento delle richieste salariali di imprese e
lavoratori (grazie all’ancora efficace, prima che intervenisse l’euro e la BCE,
dell’inflazione programmata), nonché l’introduzione di importanti elementi di flessibilità
attraverso la strada della contrattazione; essa sembra riguardare soprattutto l’elasticità
del costo (reale) del lavoro alla disoccupazione sul lato della domanda (equazione di
price setting).
La discussione delle evidenze empiriche di questo capitolo richiede, infine, due
ulteriori qualificazioni. La prima riguarda il fatto che la metodologia che si è impiegata
mira a individuare cambiamenti discreti (vale a dire, non graduali) nei modi di operare
dei soggetti del mercato del lavoro; essa, inoltre, non può (ovviamente) identificare
break multipli di regime in ciascuna relazione esaminata. Ciò significa che i risultati
ottenuti non implicano una “svalutazione” delle misure di riforma del mercato del lavoro
realizzate negli anni successivi ai regime shift qui rilevati: esse sono andate, con ogni
probabilità, nella stessa direzione degli interventi che, all’inizio dei decenni ottanta e
novanta, sembrano avere comportato, sulla base delle verifiche empiriche, “salti”
permanenti nei comportamenti adottati degli operatori rispetto alla storia precedente. La
seconda qualificazione concerne l’anomala (e sorprendente) esperienza dell’Italia degli
anni recenti di aumento occupazionale in un contesto di crescita economica molto
modesta. L’analisi presentata nel capitolo segnala un aumento di flessibilità (indicata
dall’innalzamento delle elasticità) e un conseguente abbassamento della disoccupazione
strutturale. Questi elementi non aiutano, di per se, a spiegare il fenomeno di growthless
job creation degli anni duemila; un’evoluzione che rimanda, piuttosto, a un’apparente
modifica dell’economia italiana da un sistema ad alta intensità di capitale (quale quella
che si osservava fino agli anni ottanta) in uno che fa un uso più intensivo di manodopera
(con ripercussioni avverse sulla produttività). La crescita della flessibilità, in senso lato,
può contribuire a dare conto di questo cambiamento nella misura in cui ha significato
anche un abbattimento dei costi impliciti connessi alla legislazione di protezioene del
lavoro35, modificando per un certo periodo, unitamente ai minori costi espliciti derivanti
dalla moderazione salariale, la convenienza relativa del fattore lavoro rispetto agli altri
input produttivi.
35
Per una stima della riduzione dei costi impliciti nel settore meccanico indotti dai lavori di natura temporanea si vedano
le valutazioni, realizzate sulla base delle informazioni fornite dall’utilizzo dei sussidi all’assunzione di lavoratori a tempo
indeterminato vigenti all’inizio degli anni duemila, condotte da Cipollone e Guelfi (2006).
- 272 -
Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano
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