2 Settembre
A conferma e integrazione dell’Ordine 111 C.T. del 10 agosto lo Stato maggiore dell’esercito invia ai
Comandi di armata la Memoria 44op: come prevenire e opporsi a eventuali aggressioni delle forze
armate germaniche
Tra le 7 e le 14 di oggi tre tenenti colonnelli sono partiti da Monterotondo in missione segreta.
Monterotondo, a metà strada fra la garibaldina Mentana e la via Salaria, a pochi chilometri da Roma, è la
sede dello Stato maggiore dell’esercito. Dei tre alti ufficiali il primo deve andare in aereo dall’aeroporto di
Centocelle al Comando delle forze armate in Sardegna e poi al Comando in Corsica. Il secondo, anche lui in
aereo da Centocelle, ai Comandi della 2a armata a Susak, in Croazia vicino a Fiume, della 4a, a Sospel, in
Provenza, e dell’8a a Padova. Il terzo, in auto al Comando del gruppo armate sud ad Anagni e poi al
Comando della 7a armata a Potenza. Sono latori di un documento molto importante: la Memoria 44op, che, a
conferma e integrazione del precedente Ordine 111 C.T. del 10 agosto (1), stabilisce le misure da adottare di
fronte ad una probabile imminente aggressione tedesca.
Le date sono da ricordare bene, in vista di quello che accadrà fra sei giorni: l’annunzio dell’armistizio,
martedì 8; non il 12 o il 15 come qualcuno crede di sapere o supporrà. I Comandi destinatari riceveranno la
44op alcuni nel pomeriggio di oggi, altri domani. Il comandante della 5a armata, che non si trova nella sue
sede di Orte, l’avrà il 5 mattina nelle sue mani, convocato a Monterotondo. Non lo riceveranno i Comandi in
Grecia, Albania, Montenegro e Egeo, che non dipendono dallo Stato maggiore dell’esercito ma dal Comando
supremo. Ad essi arriveranno soltanto i Promemoria n. 1 e n. 2. Ma arriveranno o arriveranno a tutti? (2) I promemoria
partiranno il 6.
La Memoria 44op ha una storia lunga. Ce la racconta il colonnello Mario Torsiello (3). Subito dopo l’invio
dell’Ordine 111 C.T., il 10 agosto, lo Stato maggiore dell’esercito ha ritenuto di studiare un piano per
assicurare la funzionalità del governo italiano in previsione di particolari eventi sul territorio nazionale. Il
progetto era di concentrare le forze migliori nell’Italia centrale, per sostenere ogni possibile e prevedibile
minaccia tedesca, e di appoggiarsi alle basi marittime della Spezia e di Gaeta, per aiutare l’auspicato sbarco
angloamericano. Era anche un modo per dimostrare la buona volontà del governo Badoglio, sulle cui
intenzioni gli Alleati erano ancora molto scettici.
Il 22 agosto lo studio viene gettato nel cestino (il colonnello Torsiello non sa perché) e un apposito organo
operativo direttamente dipendente dal Capo reparto operazioni dello Stato maggiore dell’esercito è incaricato
di studiare un nuovo piano, e diverso, “per far fronte all’aggravarsi della situazione”, nel caso che “la
minaccia si muti in atti di guerra”.
Una prima bozza viene sottoposta a “un faticoso lavoro di modifica e di perfezionamento”. I motivi?
Torsiello parla della “ridda di vicende mutevoli”, della “necessità di riconoscere dettagliatamente la
dislocazione ormai variabilissima delle forze germaniche” e anche del “tormento intimo dei capi
responsabili". Il tormento si conclude alla fine del mese. La Memoria viene sottoposta alla approvazione del
Comando supremo e nella notte fra ieri e oggi, dopo aver ricevuto il numero di protocollo (44op) e la data (2
settembre, oggi), viene ricopiata a macchina proprio dal tenente colonnello (colonnello sarà promosso tra
breve) Mario Torsiello. Sono passati 39 giorni dalla fine del fascismo e dal nuovo governo Badoglio.
La Memoria 44op, scrive Torsiello, ha “carattere orientativo” e fa “ritenere molto prossima e probabile
l’aggressione germanica”; non contiene “alcun accenno alle trattative di armistizio in corso e alla prevedibile
data di entrata in vigore dell’armistizio”. I “compiti generici” sono: “evitare sorprese, vigilare e tenere le
truppe alla mano; rinforzare la protezione delle comunicazioni e degli impianti; sorvegliare i movimenti
germanici; predisporre colpi di mano per impossessarsi dei depositi munizioni, viveri, carburanti, materiali
vari e centri di collegamento dei tedeschi, precedendone l’occupazione o la distruzione; predisporre colpi di
mano su obiettivi considerati vulnerabili per le forze germaniche; presidiare edifici pubblici, depositi,
comandi, magazzini e centrali di collegamento italiani”.
I compiti specifici:
“2a armata: far fuori la 71a divisione germanica; agire sui fianchi delle truppe esistenti alla frontiera
orientale per interrompere le comunicazioni da Tarvisio al mare”.
“4a armata: raccogliere la divisione Pusteria e successivamente la divisione Taro nelle valli Roja e
Vermenagna, per interrompere le vie di comunicazione della Cornice;...impiegare il XX raggruppamento
sciatori ai colli del Moncenisio e del Monginevro e a Bardonecchia, per sbarrare i valichi e interrompere la
ferrovia del Frejus”.
“5a armata: con le divisioni Alpi Graje e Rovigo tenere saldamente la Spezia; con la divisione Ravenna
puntare su reparti e magazzini settentrionali della 3a divisione corazzata germanica, dislocati fra il lago di
Bolsena e la zona di Siena”.
“7a armata: tenere saldamente Taranto e Brindisi”.
“8a armata: con le divisioni Tridentina e Cuneense tagliare le comunicazioni rotabili e ferroviarie fra Alto
Adige e Germania”.
“Forze armate Sardegna; far fuori la 90a divisione germanica”.
“Forze armate Corsica; far fuori la brigata corazzata tedesca dislocata nell’isola”.
L’applicazione delle disposizioni contenute nella Memoria - e qui è la parte più importante del documento,
visto quello che accadrà dopo l’annunzio dell’armistizio - si sarebbe dovuta effettuare, scrive Torsiello: “a
seguito di ordine dello Stato maggiore, che sarebbe stato impartito diramando il fonogramma convenzionale
’Attuare misure ordine pubblico Memoria 44’”. Importantissima è l’alternativa: l’applicazione delle
disposizioni si poteva effettuare “di iniziativa dei comandanti in posto in relazione alla situazione
contingente”.
Lo stesso Torsiello si domanderà (4) i motivi per cui queste disposizioni non furono applicate nella notte
fra l’8 e il 9 e nella giornata del 9, dopo l’annunzio dell’armistizio: “Le direttive potevano ritenersi
sufficienti per i Comandi a cui furono inviate?”. Risposta: “La Memoria dava indicazioni a tutti dell’effettivo
schieramento delle forze tedesche in Italia alle ore 0 del 2 settembre, situazione aggiornatissima”. Altra
domanda: “Compiti generici e specifici potevano considerarsi chiaro sintomo di quanto lo Stato maggiore
chiedeva ai Comandi in sottordine all’atto dell’aggressione, fosse o no preceduta da un armistizio del quale
non si parlava?”. Altra risposta: “Visto obiettivamente il problema, sembra che le direttive fossero da
considerarsi sufficienti per i comandanti di alto rango a cui erano dirette. Potevano anche consentire quel
legittimo margine di elasticità all’azione dei comandanti in posto che meglio conoscevano l’esatta situazione
dei rispettivi territori. Sta di fatto che dal ricevimento dell’ordine e fino all’8 settembre non furono richiesti
chiarimenti e delucidazioni sui compiti ricevuti”.
Terza domanda, sempre secondo Torsiello: “Nella situazione ambientale che si era creata, di
frammischiamento delle truppe italo-tedesche, di convivenza e anche di cameratismo, pur se adombrato di
diffidenza, era possibile ad un certo momento considerare nemiche truppe fino a quel momento alleate e
militarmente dominanti?”. Terza e definitiva risposta: “Si può discutere sul sistema seguito nella
diramazione degli ordini, sui tempi osservati, sulla sufficienza delle direttive, sulla possibilità della loro
applicazione, sulla delicata situazione di frammischiamento determinatasi. Ma non si può affermare che
ordini non siano stati impartiti o che ordini impartiti non siano giunti” (5).
-------------------------------------------------------------------------------(1) Si veda la giornata del 10 agosto.
(2) Si veda la giornata del 6 settembre.
(3) Nel numero 3, marzo 1952, della Rivista militare, una pubblicazione del Ministero della difesa-esercito. Il colonnello Mario
Torsiello faceva parte dello Stato maggiore dell’esercito; di lui si parla anche nelle giornate del 10 agosto e del 6 settembre.
(4) Sempre sulla Rivista militare del marzo 1952.
(5) C’è di più: l’ordine di esecuzione, anche se non indispensabile, fu impartito nella notte fra l’8 e il 9. Si veda, nella giornata dell’8
settembre, quello che scrive il colonnello Torsiello a seguito del testo qui sopra citato.
2 settembre – Di più
- Il prof. Nerio de Carlo (http://neriodecarlo.blogspot.com) invia questa memoria inedita di un suo parente,
Giacomo Camillo de Carlo, un eccezionale personaggio che, nato a Venezia nel 1892, ha vissuto in maniera
avventurosa sia la prima, sia la seconda guerra mondiale.
Nel 1915 Camillo de Carlo entrò a far parte del corpo aeronautico in qualità di osservatore e sull’altipiano
carsico ebbe nel 1916 una medaglia d’argento e nel 1917, sempre nel cielo del Carso, una medaglia di
bronzo; un’altra medaglia d’argento la ricevette per le imprese compiute nel cielo carsico tra il maggio e
l’agosto del 1917.
Nella notte tra il 29 e il 30 maggio 1918, a bordo di un piccolo aereo partito dal campo di Mogliano, il
tenente de Carlo scese con il suo attendente Bottecchia e una gabbia di piccioni in un prato nei pressi di
Aviano, nella zona occupata dagli austriaci dopo Caporetto. I due, cambiate le divise con abiti da contadini,
raggiunsero Fregona, dove de Carlo poté incontrarsi con il fattore della sua tenuta agricola e con altre
persone amiche, che agevolarono il suo compito con viveri e soprattutto con preziose informazioni che poi
venivano trasmesse a mezzo di piccioni viaggiatori o con la convenzionale disposizione di lenzuola che gli
aerei italiani potevano rilevare. Compiuta la sua opera, riuscì a rientrare superando in barca il tragitto tra
Caorle e Cortellazzo. Con una motivazione datata Fronte del Piave, agosto 1918, Camillo de Carlo venne
decorato di medaglia d’oro al valore militare:
Dopo la guerra fu segretario della Commissione italiana che partecipò alla conferenza della pace del 1919 a
Versailles. Nel 1931 fu nominato podestà di Vittorio Veneto, nel 1937 partecipò con i franchisti alla guerra
di Spagna e poi, entrato nel SIM (il Servizio segreto dell’esercito), svolse un’azione di spionaggio nella zona
europea e africana dello Stretto di Gibilterra dal 1939 al 1943. Fervente fascista, ebbe anche, per la sua opera
di intelligence internazionale, una croce al merito da Hitler, nonostante fosse figlio di una ebrea triestina,
Paola Morpurgo.
A Vittorio Veneto, nel cinquecentesco palazzo Minucci (Minuccio Minucci, 1591-1596, fu un diplomatico
della Santa Sede ai tempi dei papi Innocenzo IX e Clemente VIII), Camillo de Carlo riunì molte opere d’arte
raccolte nella sua vita dannunzianamente vissuta. Oggi il palazzo è un museo ed è sede della fondazione a lui
intitolata (è morto nel 1968).
Il brano inedito che qui sotto riportiamo (datato Salerno, 5 marzo 1944) conferma idee e orientamenti di
Badoglio nell’agosto del 1943; ci dà anche modo di parlare dei Servizi segreti italiani e di uno straordinario
personaggio che fu l’ammiraglio Canaris, capo dei Servizi tedeschi di spionaggio e controspionaggio.
“Tornai a Roma dalla Spagna il 18 agosto e quella stessa sera, appena sceso dall’aeroplano, fui chiamato a
casa del maresciallo Badoglio da suo figlio Mario… Parlammo a lungo con Mario ed egli mi espose la
situazione: il paese voleva la pace ad ogni costo, gli ultimi bombardamenti avevano fiaccato i nervi della
nazione, gli operai si agitavano, l’esercito tentennava. Non si poteva parlare di tradimento contro la
Germania, quando questa ci aveva traditi, conducendo una guerra egoistica, disinteressandosi del
Mediterraneo, e privandoci di armi. Anche dagli ultimi colloqui era risultato chiaro che l’Italia era
considerata da Hitler soltanto come un campo di battaglia per allontanare la minaccia alleata dal Brennero;
che conveniva quindi, interpretando il pensiero di tutti, trattare con l’Inghilterra e con l’America. E alle mie
obbiezioni circa il punto d’onore di non abbandonare la Germania pericolante, Mario mi rispose che era
impegnato solo l’onore fascista ma non quello italiano; che anzi io gli avrei potuto essere molto utile nelle
presenti circostanze, perché, date le mie conoscenze con i tedeschi, avrei dovuto continuare a frequentarli per
sapere che cosa pensassero e per convincerli che il nostro atteggiamento non era mutato. Mi avrebbe fatto
perciò comandare temporaneamente alle dipendenze della Presidenza del consiglio.
“Accettai, e quando andai a presentarmi al generale Amè, per riferirgli circa il mio viaggio in Spagna,
appresi che egli era stato sostituito da Carboni (1). Amè è un galantuomo, ma è evidente che colui il quale
aveva avuto stretti contatti con il servizio tedesco durante tutta la guerra, risultava incompatibile a quel posto
quando ci si orientava verso l’armistizio. Carboni era l’uomo del momento, egli che aveva dovuto
abbandonare il SIM perché contrario alla guerra, egli di cui sono notissime le simpatie per gli Alleati. Avevo
conosciuto Carboni soltanto nel luglio, ma subito eravamo stati presi da reciproca simpatia, ed egli più volte
mi aveva dimostrato il vantaggio morale e materiale di staccarci dalla Germania. Sentendo quindi l’incarico
che mi era stato dato dal maresciallo, egli se ne rallegrò, mi pregò di tenerlo al corrente dello stato d’animo
tedesco e mi diede l’incarico di cercare un bel quadro, che io stesso avrei portato a suo nome a Canaris (2),
tanto per persuaderlo sempre più che nulla era cambiato.
“Carboni mi rappresentò del resto come fosse molto più proficuo di lavorare in quel momento a Roma
piuttosto che andare a Madrid quale capo di quel centro, dove già mi aveva destinato Amè. Feci quindi la
spola tra i tedeschi, il Viminale, il SIM e casa Badoglio. Per espletare il compito che mi prefiggevo, mi
appoggiai specialmente a Helferich e al tenente colonnello Zolling, capo dell’ufficio informazioni del
maresciallo Kesselring e che già avevo conosciuto ad el-Alamein, quando copriva le stesse funzioni con
Rommel. Chiesi a Zolling di combinarmi un colloquio con Rommel, che sapevo in Italia, e nello stesso
tempo strinsi in contatti con Helferich. A quest’ultimo mi legava una cordiale amicizia cementatasi in
Spagna durante la guerra civile. Eravamo stati assieme a Guadalajara, dove, dopo giornate di battaglia e di
pericolo, egli mi aveva pregato di dargli del tu. Inoltre io sapevo quanto il suo atteggiamento era stato a noi
amichevole in quel doloroso momento, e come sempre avesse cercato di far capire a Berlino le nostre
ragioni.
“Alto, magro, il monocolo sempre incastonato nell’occhio, con un cappello grigio semirigido portato con
qualche eleganza, Helferich ha il fisico e il tratto dell’ufficiale tedesco di buona famiglia. E non dimentica
mai di essere nato a Trieste. Non mi fu quindi difficile di intavolare con lui temi così scabrosi, tanto più che
egli non aveva mai dimostrata una speciale simpatia per il nazismo. Mi diceva che la sfiducia era accresciuta
da ragioni ideologiche, perché, avendo rovesciato il fascismo, noi eravamo passati virtualmente dall’altra
parte. Gli contrapponevo che Badoglio voleva sradicare il marcio del fascismo, e che poteva convenire anche
alla Germania di continuare una guerra con un’Italia onesta piuttosto che con un’Italia imputridita. Mi
lagnavo del continuo afflusso di truppe tedesche in Italia, le quali non potevano che accrescere il disagio, e
lamentavo le voci correnti circa una eventuale marcia su Roma da parte delle S.S.
“’Invano sperate - mi rispose una volta - che noi vi proiettiamo nelle braccia degli Alleati. Noi non faremo
nulla contro di voi senza ragione, ma guai se doveste mancare ai patti’. E credo che fosse sincero. Altra volta
mi parlò del dissidio esistente tra lo stato maggiore germanico e il nazismo. Detto stato maggiore, secondo
lui, unendosi a quello della Finlandia, della Romania, dell’Ungheria e dell’Italia, sarebbe stato pronto a
rovesciare Hitler per trattare una pace onorevole. A cui io gli contrapposi che non era nostra intenzione di
interferire negli affari interni della Germania. Il duello continuò così serrato, ma non convinto che le mie
argomentazioni lo avessero in parte persuaso, dico in parte, perché la moglie di Helferich, anch’essa
appartenete al Servizio, stava nel frattempo montando un centro a Bolzano per sorvegliarci.
“Verso la fine di agosto giunse da Berlino un colonnello incaricato da Canaris di preparare un incontro tra
lui e Carboni. Carboni lo trattò con molta cortesia, ma gli fece intendere che prima di tale convegno egli
desiderava che alcuni punti fossero chiariti, che la sua amicizia personale per Canaris era immutata e che per
provarglielo gli destinava un quadro d’autore che io stesso avrei portato in Germania.
“Nello stesso tempo io frequentavo Zolling von Jena, aiutante di Rintelen (3), ed un altro ufficiale dello
stesso comando. Zolling si dimostrava molto più riservato di Helferich, mi diceva che un incontro con
Rommel sarebbe stato difficile, perché il maresciallo in quel momento si trovava a Monaco e non a Garda,
che comunque la situazione, per quanto difficile, poteva essere risanata con reciproca buona volontà. Volle
sapere se fosse anche mia impressione che gli Alleati avrebbero tentato uno sbarco a Salerno e io glielo
confermai, anche perché sapevo che ne erano già convinti. D’altra parte quello che più importava era di
persuaderli che la nostra collaborazione fosse costante, come del resto avevo avuto modo di constatare anche
da parte tedesca a Madrid, Tetuan e Tangeri. In complesso Zolling rifuggiva dalle questioni politiche per
limitarsi a quelle informative. Grande cordialità e confidenza mi veniva dimostrata da von Jena, già ufficiale
di collegamento in Cirenaica con Bastico e dell’ufficiale suo amico, entrambi agli ordini di Rintelen. Mi
trovavo ad esempio nell’ufficio di von Jena nel giorno in cui l’ufficiale suo amico parlava telefonicamente
con Klagenfurt e Lubiana circa all’entrata in Italia di truppe tedesche. Gli chiesi per discrezione se
desiderava che io mi allontanassi, ma egli mi invitò a rimanere e seppi così che due nuove divisioni avevano
varcato la frontiera dirette a San Pietro del Carso. Lo riferii naturalmente al Maresciallo e a Carboni. Venne
così il 6 di settembre, ed io aspettavo ancora che Canaris m’indicasse il giorno per recarmi in Germania con
il quadro, quando Carboni e Mario mi avvisarono che le cose stavano precipitando e che quindi avrei dovuto
rinunciare al mio viaggio. Chiesi a Mario di recarmi un giorno a casa a Vittorio Veneto. Partii in aeroplano
per Venezia, e la notizia dell’armistizio mi colse in famiglia alle ore venti. Presi immediatamente il treno per
Venezia e ripartii il giorno 9 pomeriggio dal Lido in apparecchio per raggiungere il Maresciallo. A Roma
seppi che il RE e Badoglio si erano allontanati, assistetti al bombardamento della città, non dormii
all’albergo Excelsior, ma dalla contessa Falzacappa, suocera di mia sorella, informato dal SIM che Helferich
mi aveva cercato con molta insistenza nei giorni precedenti. Non rividi più Carboni. La mattina del giorno 11
incontrai Ranieri Campello all’albergo, e temendo che Helferich dopo tante asserzioni di amicizia, mi
obbligasse a qualche gesto di adesione alla Germania partii con Ranieri per Ussita, per organizzarvi la fuga,
onde raggiungere il Maresciallo ed il RE”.
------------------------------------------------------------------(1) Giacomo Carboni era stato capo del SIM (Servizio informazioni militari) dal novembre del 1939 al settembre del 1940. Il SIM,
nato nel 1925 come modesta struttura alle dipendenze del Capo di stato maggiore generale, era diventato nel 1934 un forte organismo
con la nomina alla sua direzione del colonnello Mario Roatta; fu attivo durante la guerra d’Etiopia e impegnato nella persecuzioni
degli antifascisti in Italia e all’estero; nel 1937 fu protagonista dell’uccisione di Carlo e Nello Rosselli a Bagnoles-sur-l’Orne in
Normandia, d’intesa con i gruppi radicali di destra francesi noti come “cagoulards” (in francese “cagoule” significa “cappuccio da
mettere sulla testa con due fori per gli occhi”). Avendo fatto capire la sua contrarietà all’ingresso dell’Italia in guerra, il 20 settembre
del 1940 Carboni venne esonerato e sostituito dal colonnello Cesare Amè (1892-1983), che già lavorava nel Servizio come vicecapo.
Dopo l’arresto di Mussolini il 25 luglio, Badoglio incarico Amè di incontrare l’ammiraglio Canaris, capo del Controspionaggio
tedesco, per convincerlo che niente era cambiato e quindi per dissuadere i tedeschi dall’ingresso in forze in Italia; ma Canaris (si veda
la nota 2) era già in disgrazia e l’incontro (al Lido di Venezia il 3 agosto) non ebbe successo, per cui il 20 agosto Badoglio rimise a
capo del SIM, come commissario, il suo predecessore e superiore diretto Giacomo Carboni.
Dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, il SIM tentò di rinascere, ma, su pressione degli Alleati, fu sciolto ufficialmente il
16 novembre da Umberto di Savoia Luogotenente del regno; rimase però in vita fino alla fine del 1945 come “Ufficio informazioni
dello Stato maggiore generale”. Anche la Repubblica sociale si dotò di un “Servizio informazioni difesa” (SID), composto da ex
carabinieri e elementi dell’esercito della Rsi, con sede a Milano e Como.
Sui Servizi segreti italiani si può vedere http://it.wikipedia.org/wiki/Servizio_Informazioni_Militare e anche un articolo di
Gabriele
Pantucci
sul
“Corriere
della
sera”:
http://archiviostorico.corriere.it/2004/settembre/05/spionaggio_italiano_migliore_dell_Asse_co_9_040905096.shtml
Su “Nuova storia contemporanea” dell’ottobre 2009 Carlo De Risio ha scritto che il 18 agosto del 1943 al passaggio delle consegne
il generale Amé affidò al generale Carboni la dotazione economica del SIM; un verbale indicava un “tesoro”, in valute straniere, pari
a 17 milioni di lire di allora; il verbale non diceva di gioielli e lingotti di platino e d’oro. Nelle sue memoria Carboni scrive solo di
documenti e “poco denaro”. L’articolo di De Risio si può leggere in:
http://iltempo.ilsole24ore.com/spettacoli/2009/10/27/1086316-tesoro_servizi_segreti_rubato_custode.shtml
(2) Wilhelm Canaris (1887-1945), di lontane origini greche o più probabilmente italiane; venti anni di servizio militare in marina;
adesione al Partito nazionalsocialista ai suoi inizi; nel 1939 capo dell’Abwer (spionaggio e controspionaggio militare) e promozione
al grado di ammiraglio. Nel 1941 cominciò a prendere le distanze da Hitler e nel 1944 riunì attorno a sé ufficiali dell’esercito e
funzionari governativi antinazisti allo scopo di eliminare il F hrer e trattare una rese onorevole con gli Alleati. Nel luglio partecipò
con von Stauffenberg al complotto, poi fallito, per uccidere Hitler; arrestato e torturato, fu impiccato il 9 aprile del 1945 nel campo di
concentramento di Flossenburg un mese prima della fine della guerra. Nel 2009 a Gerusalemme una delle correnti ultraortodosse
dell’ebraismo ha proposto di annoverare l’ammiraglio Canaris fra i “Giusti delle nazioni” per avere salvato la vita di molti ebrei.
Di Canaris Giacomo Camillo de Carlo scrive in un altro brano delle memoria inedite (vedi sopra): “…Non ho incontrato Canaris
nel mio recente soggiorno spagnolo, ma lo vidi una sola volta a Madrid, mi pare nel 1941. È un uomo piccolo, freddoloso, che
nasconde il mento anche l’estate sotto un grosso maglione da marinaio. Non è molto loquace, ascolta attentamente, mentre gli occhi
segnano il tempo, e sottolineano le sue impressioni. Dal sangue greco e italiano che gli scorre nelle vene ha ricavato la serpentinità
del suo carattere che ha molti tratti levantini, corretto da un senso di solidità tedesca”.
Su Canaris: http://it.wikipedia.org/wiki/Wilhelm_Canaris; un articolo interessante anche sull’archivio di “Repubblica”, 5 agosto
2009.
(3) Il generale Enno von Rintelen era l’addetto militare all’ambasciata tedesca a Roma: poi sostituito dal generale Rudolf Toussaint.
Il generale Enno von Rintelen a Tobruk con Mussolini