UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di laurea in Fisica Tesi di laurea CONVERSIONE DELL’ENERGIA SOLARE TRAMITE CELLE FOTOELETTROCHIMICHE Relatore Candidato prof. Michele Saba Nicola Podda Co-relatore prof. Andrea Mura Anno Accademico 2012/2013 Sessione di laurea 23 aprile 2013 Abstract L’energia rappresenta uno dei pilastri fondamentali della civiltà umana. Il nostro stesso corpo, come quello di tutti gli esseri viventi, ne ha bisogno per vivere; gli oggetti che ci circondano, e di cui facciamo uso quotidianamente hanno bisogno di energia per funzionare o ne hanno avuto bisogno per essere costruiti; l’energia riscalda le nostre case, ci consente di spostarci comodamente, di curarci, e alimenta le macchine con cui produciamo il cibo. In altre parole, ogni ambito della nostra vita, è basato direttamente o indirettamente sull’utilizzo di energia. E così, l’umanità ha imparato nel corso della storia a riconoscere le fonti energetiche più abbondanti, economiche e accessibili, e a sfruttarle con efficienze sempre maggiori. Da ciò è sempre dipeso il raggiungimento di un maggiore benessere materiale, e il progresso della civiltà umana è andato di pari passo con la scoperta di nuove fonti energetiche primarie. Il modello energetico attuale, pur avendo garantito un tasso di sviluppo economico e sociale senza precedenti nella storia dell’uomo, ha portato alla nascita di un problema di dimensioni globali, le cui origini derivano da uno sfruttamento incontrollato delle risorse energetiche del pianeta, a ritmi tali che esse non possano essere ripristinate. Problemi, quali il deterioramento delle risorse, la perdita della biodiversità, la produzione di rifiuti, l’inquinamento prodotto dall’impiego dei combustibili fossili, dimostrano che le questioni ambientali ed energetiche sono una priorità assoluta per l’uomo, e lo sviluppo di una produzione energetica pulita e sostenibile costituisce una delle sfide più ambiziose e necessarie per il futuro. Nel 1987 il concetto di “sviluppo sostenibile” trovò un’adeguata espressione e diffusione con il “Rapporto Brundtland” della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, che lo definì come “lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni”. Pertanto il conseguimento di quest’obiettivo nel settore dell’energia implica le seguenti tre condizioni: i - per quanto riguarda le risorse rinnovabili, i tassi di consumo non devono superare i loro tassi di rigenerazione; - per le risorse non rinnovabili i tassi di consumo non devono superare i tassi di sviluppo di risorse sostitutive rinnovabili; - per quanto riguarda l’inquinamento, i tassi di emissione degli agenti inquinanti non devono superare la capacità di assorbimento e rigenerazione da parte dell’ambiente. In questa tesi verrà studiato nei suoi fondamenti uno dei processi più promettenti per quanto riguarda la sostenibilità energetica del futuro: la produzione di idrogeno tramite fotoelettrolisi dell’acqua. Essa è infatti un metodo ecologico e abbastanza semplice di sfruttare la fonte energetica più abbondante e accessibile del pianeta, l’energia luminosa ricevuta del Sole, e convertirla in energia chimica sotto forma di idrogeno, il miglior combustibile dell’Universo. Il primo capitolo di questa tesi illustrerà in breve i temi del fabbisogno energetico mondiale e i problemi derivanti l’attuale infrastruttura energetica. Verrà inoltre introdotto l’idrogeno come vettore energetico, e indicato il modo in cui il suo utilizzo può condurre a uno sviluppo sostenibile. Nel secondo capitolo verrà descritta la natura dell’energia solare, e introdotti alcuni concetti fondamentali legati al suo sfruttamento. Nel terzo capitolo verranno affrontati i fondamenti della conversione di energia solare nelle celle fotoelettrochimiche, con particolare attenzione alla fisica dei componenti fondamentali di questi dispositivi: i semiconduttori. Nel quarto capitolo verranno introdotti i metodi di indagine più appropriati per il calcolo dell’efficienza delle celle solari, e verranno discussi i risultati ottenuti, confrontando l’attuale stato di sviluppo con i limiti teorici imposti sui vari sistemi. ii INDICE Capitolo I Il problema energetico 1 1.1. Il fabbisogno mondiale ............................................................. 1 1.2. I combustibili fossili e l’emissione di gas serra .............................. 2 1.3. Un futuro sostenibile ............................................................... 4 1.4. L’economia dell’idrogeno ......................................................... 5 Capitolo II Il Sole come fonte di energia 6 2.1. L’energia solare ..................................................................... 2.2. La conversione di energia solare ................................................ - La conversione in energia chimica: combustibili .............................. - Introduzione alle celle solari ..................................................... 6 8 8 9 Capitolo III I principi di conversione dell’energia solare 10 3.1. L’elettrolisi dell’acqua ........................................................... 10 - Introduzione ...................................................................... 10 - Caratteristiche chimiche e termodinamiche ................................... 11 3.2. Fotoelettrolisi dell’acqua ........................................................ 14 - Considerazioni generali ......................................................... 14 - 3.2.1. Le celle fotoelettrochimiche ............................................. 15 Reazioni agli elettrodi ................................................... 16 3.3. I principi della fotoelettrolisi ................................................... 17 - 3.3.1. Foto-fisica e livelli energetici nei semiconduttori ..................... 19 Struttura energetica ..................................................... 19 Drogaggio dei semiconduttori .......................................... 21 Carica spaziale e piegatura delle bande ................................ 23 - 3.3.2. La giunzione semiconduttore elettrolita ................................ 25 iii L’interfaccia semiconduttore/elettrolita ................................ 25 I potenziali d’elettrodo, livello di vuoto e energia di Fermi della soluzione ................................................. 26 Il diagramma a bande …................................................ 29 Trasporto di elettroni all’interfaccia .................................... 32 - 3.3.3. Fisica delle PEC in condizioni di illuminazione ....................... 34 Il quasi-Fermi level ...................................................... 34 Caratteristiche tensione-fotocorrente .................................... 35 - 3.3.4. Requisiti di elettrodo e configurazioni di cella ........................ 36 Requisiti e compromessi ................................................. 36 Capitolo IV Efficienze di conversione solare 39 Introduzione .............................................................................. 39 4.1. Il caso ideale ........................................................................ . 40 - 4.1.1. Limite teorico generale per l’efficienza delle celle solari ............. 41 - 4.1.2. Limite teorico per l’efficienza di immagazzinamento di energia solare .......................................................... 44 - 4.1.3. L’efficienza della conversione fotoelettrochimica ..................... 45 4.2. Il rendimento reale ................................................................ 47 - 4.2.1 Impostazione del problema ............................................... 49 Calcolo dell’efficienza di conversione in presenza di bias esterno ..... 50 - 4.2.2 L’efficienza quantistica: IPCE e APCE ................................. 51 - 4.2.3 Approcci alternativi ....................................................... 54 Primo metodo ............................................................ 54 Secondo metodo ..........................................................56 Terzo metodo .............................................................56 4.3 Cenni su altri metodi .............................................................. 59 Capitolo Finale Conclusioni 61 Bibliografia 63 iv Capitolo I Il problema energetico 1.1. Il fabbisogno mondiale Riferendosi ai dati inseriti nell’IEO1 2011, il consumo energetico mondiale potrebbe aumentare del 53% circa fra il 2008 e il 2035, con un tasso di crescita del 2%. L’utilizzo di energia passerà dai 148·1015 kWh del 2008 ai 225 ·1015 kWh del 2035. Figura 1.1. Consumo mondiale nel periodo 2008-2035. Btu: british heat unit (1 Btu = 1.055 kJ). Attualmente è necessaria una potenza istantanea maggiore a 17 Terawatt per soddisfare i consumi dei 7.000.000.000 di individui sul nostro pianeta, con una richiesta sempre maggiore da parte dei paesi in via di sviluppo. Il consumo energetico è diviso nei vari settori nelle proporzioni riportate in Figura 2.2. Per quanto riguarda il futuro, ci si aspettano incrementi simili in tutti i settori, per cui la loro quota nella domanda finale rimarrà, in linea di massima, costante a livello mondiale. 1 IEO: International Energy Outlook 2011. http://www.eia.gov/forecasts/ieo/ 1 Figura 1.2. Domanda di energia suddivisa per settori. 1.2. I combustibili fossili e l’emissione di gas serra In decine di milioni di anni, processi biologici e non, hanno consentito di immagazzinare enormi quantità di energia solare al di sotto della crosta terrestre, sotto forma di composti organici minerali. Queste sostanze comprendono quelli che comunemente vengono chiamati combustibili fossili, fra i quali si possono citare petrolio, carbone e gas naturale. Quando ebbe inizio l’estrazione commerciale del petrolio, nel 1859 in Pennsylvania, con una produzione di 15-20 barili di greggio al giorno, il mondo poteva contare su una riserva di questo combustibile che all’incirca corrispondeva a 18.000 miliardi di barili. Attualmente ne sono rimasti all’incirca 9.000 miliardi, mentre il consumo è cresciuto fino a 105 milioni di barili al giorno. Considerando l’aumento della popolazione mondiale, che potrebbe raggiungere i dieci miliardi entro il 2050, e l’arricchimento di paesi attualmente in via di sviluppo, la richiesta mondiale di petrolio potrebbe duplicarsi entro il 2050. Si è stimato che le scorte di petrolio non possano essere sfruttate per ancora più di qualche decade, a causa delle crescenti difficoltà tecnologiche ed economiche legate all’estrazione. Gli altri combustibili fossili sono attualmente meno scarsi, soprattutto grazie al loro minore sfruttamento fino ad ora. Una stima [3] afferma che il mondo ha all’incirca ancora 250 anni di energia “recuperabile” (soprattutto dal punto di vista economico) dalle varie fonti: 250 anni per il carbone, 60 anni per il gas naturale, e 200 anni per i combustibili nucleari. Questi dati sono calcolati utilizzando i tassi di consumo attuali. Questi numeri, uniti all’aumento della domanda energetica globale mettono in luce immediatamente la necessità, da parte della società umana, di trovare una valida alternativa al modello energetico attuale, per evitare il collasso del modello stesso. 2 La natura non rinnovabile dei combustibili fossili costituisce probabilmente l’aspetto meno pericoloso e inquietante del loro utilizzo. Il problema degli idrocarburi è costituito principalmente dall’inquinamento prodotto in seguito alla loro combustione. Senza tenere conto delle particelle velenose, è ormai dimostrato che la semplice CO 2 prodotta e riversata in atmosfera possa contribuire al cambiamento climatico del pianeta, inducendo il cosiddetto effetto serra. Attualmente l’umanità produce 6.000.000.000 di tonnellate di CO2 all’anno, di cui l’80% deriva dai combustibili fossili. La concentrazione atmosferica di CO 2 è ora facilmente misurabile, e le stime future ottenibili attraverso la semplice chimica e stechiometria. Da quando si è iniziato a condurre queste misurazioni, tutti gli studi hanno mostrato un inaudito e continuo aumento nei livelli di anidride carbonica (Figura 1.3.), specialmente nella seconda metà del XX secolo. All’inizio della rivoluzione industriale, nel XVIII secolo, il livello atmosferico di CO2 era di 270 ppm, un valore che era rimasto tale per milioni di anni. Esso è salito a 370 ppm durante tutto il 1900, e ha raggiunto i 383 ppm nel 2007. E’importante notare come dal 1990 al 2004 le emissioni di anidride carbonica siano aumentate del 24,4%. Se non si dovesse fare nulla per ridurre le emissioni e i consumi di idrocarburi (si pensi che attualmente nel mondo circolano un miliardo di veicoli alimentati da idrocarburi) livelli di 600 ppm sarebbero facilmente raggiungibili, anche nel breve periodo. Modelli climatici indicano che una concentrazione di 550 ppm indurrebbe un aumento medio della temperatura globale paragonabile in ampiezza al congelamento a cui si è assistito durante l’ultima era glaciale. Le autorità scientifiche più eminenti in ambito climatico hanno concluso che una riduzione del 55-85% nell’emissione di gas serra è necessaria per stabilizzare le concentrazioni atmosferiche attuali. Per eliminare l’emissione antropogenica di CO2 in atmosfera è necessario trovare le giuste fonti energetiche. Figura 1. 3. Concentrazione atmosferica di CO2 negli ultimi 800.000 anni e previsioni future 3 1.3. Un futuro sostenibile La cattura di CO2 dall’atmosfera e il suo immagazzinamento costituiscono delle soluzioni temporanee e costose, soprattutto dal punto di vista energetico. La CO 2 potrebbe essere recuperata e utilizzata per produrre biocombustibili; purtroppo però i costi ancora elevati di questi processi rendono il tutto non utilizzabile su larga scala. Qualsiasi sia la struttura energetica per il futuro, essa sarà necessariamente basata su un mix di tecnologie, a seconda delle circostanze locali (geografica, climatiche, demografiche). Di tutte le attuali risorse rinnovabili, solamente l’energia solare può essere in grado di soddisfare il fabbisogno energetico dell’intero pianeta. Essa può essere sfruttata per produrre energia elettrica, calore, e combustibili. Le prime due forme sono utilizzabili solo localmente, e sono di difficile immagazzinamento; i combustibili prodotti utilizzando il Sole costituiscono la soluzione alternativa all’attuale utilizzo dei combustibili fossili, e consentono un aggiornamento della struttura energetica mondiale senza che essa sia rivoluzionata dalle fondamenta. Il combustibile a cui si fa riferimento più spesso è l’idrogeno. Esso è il l’elemento più diffuso dell’Universo, presente sulle Terra in grandi quantità in molti composti, il più importante dei quali è l’acqua. Allo stato molecolare (H2) l’idrogeno è un gas trasparente, inodore e insapore, praticamente assente nella nostra atmosfera a causa della sua bassissima densità. Esso è inoltre il combustibile migliore dell’Universo: se fatto reagire con l’ossigeno dell’aria, produce come scarto solamente acqua rilasciando un’energia di 285 kJ per mole. L’idrogeno ha la densità energetica (energia per unità di massa) maggiore rispetto a qualsiasi altro combustibile, come è possibile vedere nella seguente tabella: Figura 1.4. Densità energetiche volumetriche e di massa dei combustibili più comuni. A differenza dei combustibili fossili, l’idrogeno è da considerare un vettore energetico, e non una fonte; esso non è disponibile direttamente in natura, e bisogna utilizzare una fonte di energia per produrlo. È ovviamente imperativo che esso venga prodotto da fonti rinnovabili, e la scelta più logica ricade nell’utilizzo dell’energia solare. 4 1.4. L’economia dell’idrogeno Con l’espressione “hydrogen economy”, coniata per la prima volta nel 1970, si intende un sistema energetico sostenibile, in cui tutte le infrastrutture energetiche sono basate sull’uso dell’idrogeno e dell’energia elettrica. Perché ciò sia fattibile è necessario che l’idrogeno sia prodotto a partire da fonti energetiche rinnovabili, preferibilmente utilizzando la fotoelettrolisi dell’acqua. L’idrogeno potrebbe sostituire completamente i combustibili fossili ed essere usato come carburante, o come riserva di energia. Esso è infatti il più appropriato mezzo di stoccaggio e di trasporto dell’energia. Si possono elencare le sue proprietà di vettore energetico nei seguenti punti: a) può essere prodotto e convertito in elettricità con efficienze relativamente alte; b) la materia prima per la sua produzione è l’acqua; c) è un carburante rinnovabile; d) può essere trasportato in forma gassosa, liquida e idruri metallici; e) può essere trasportato per lunghe distanze tramite gasdotti e cisterne; f) può essere convertito in altre forme di energia in più modi e con efficienze maggiori rispetto a qualsiasi altro combustibile; g) è eco-compatibile, in quanto nessun agente inquinante è rilasciato durante la sua produzione, stoccaggio o utilizzo. h) Figura 1.5. Schematizzazione della possibile struttura energetica basata sull’energia solare e sull’idrogeno Attualmente i problemi principali legati all’uso dell’idrogeno risiedono negli elevati costi di produzione, di stoccaggio e di trasporto. 5 Capitolo II Il Sole come fonte di energia 2.1. L’energia solare Il Sole emette radiazioni in un ampio intervallo di lunghezze d’onda, coprendo dalla banda infrarossa all’ultravioletto, nello spettro elettromagnetico. Lo spettro solare misurato in alta atmosfera è assimilabile allo spettro di emissione di un corpo nero a 5760 K. Il corpo nero emette uno spettro continuo di fotoni, la cui distribuzione energetica, descritta dalla legge di Planck, è caratteristica per ogni data temperatura T. Il seguente grafico mostra l’irradianza solare misurata in funzione della lunghezza d’onda, in condizioni di AM 1.5: Figura 2.1. Spettro solare misurato in condizioni di AM 1.5 Come si vede dal grafico, l’irradianza è maggiore nella banda visibile dello spettro, fra i 300 e gli 800 nm, con il picco sul blu-verde. La potenza ricevuta da una superficie di area unitaria, disposta fuori dall’atmosfera terrestre ad una distanza pari al valor medio della distanza Terra-Sole e perpendicolare ai raggi solari, è pari a 1.353 W/m2. Ci si riferisce a questa quantità come costante solare. 6 Approssimando la Terra ad una sfera, si può calcolare la potenza totale ricevuta istantaneamente dal pianeta, considerando il prodotto della costante solare per la proiezione della calotta emisferica irraggiata su un piano ortogonale ai raggi solari. Si ottiene così una potenza totale ricevuta di circa 175.542 Terawatt, una quantità che eccede di ben quattro ordini di grandezza l’attuale fabbisogno energetico dell’umanità. Chiaramente non tutta la potenza che raggiunge l’atmosfera è utilizzabile: essa ne riflette il 31% verso l’esterno e ne assorbe il 18%, mentre un ulteriore 4% è riflesso dalla crosta terrestre. Considerando quindi il 47% di radiazione rimanente, la frazione che raggiunge le terre emerse rappresenta una potenza che vale ancora 1500 volte il fabbisogno mondiale. È chiaro come lo sfruttamento diretto dell’energia solare possa effettivamente costituire un contributo sostanziale al problema energetico mondiale. - L’Air Mass La quantità di energia solare disponibile per la conversione dipende in maniera sostanziale dalla posizione relativa della superficie assorbente rispetto al Sole, e dalle condizioni atmosferiche. L’atmosfera terrestre infatti funge da filtro, in grado di assorbire determinate lunghezze d’onda, soprattutto al di sotto dei 300 nm. L’attenuazione da parte dell’atmosfera viene quantificata introducendo il concetto di Air Mass (AM), la cui espressione generale è: 1 AM cos in cui è l’angolo del Sole rispetto allo zenit. Il fattore di air mass esprime il rapporto fra la lo spessore di atmosfera che i raggi solari attraversano quando il Sole è a un determinato angolo, e lo spessore allo zenit. L’immagine a fianco rappresenta la situazione indicata con AM 1.5 (air mass 1.5), in cui il piano di assorbimento è inclinato di un angolo di 37° rispetto all’orizzonte e il Sole si trova a 48,19° rispetto allo zenit. Nella configurazione AM 1.5, a luce solare attraversa nell’atmosfera una distanza 1.5 volte maggiore rispetto a quella che attraverserebbe se il Sole fosse allo zenit. Figura 2.2. Air mass 1.5. 7 L’irradianza totale può essere si calcola come: P0 P( )d 0 e vale circa 964,1 W/m2 in condizioni di AM 1.5. Considerando gli effetti delle condizioni atmosferiche (nuvolosità, particelle di polvere, umidità relativa, ecc…), lo spettro viene normalizzato a 1000 W/m2, e generalmente ci si riferisce a questa grandezza come a “1 sole”. La potenza media, invece, calcolata includendo l’alternanza di notte e dì e le condizioni atmosferiche, varia in generale a seconda della latitudine e dell’altitudine, assumendo valori che vanno da 100 W/m2 a oltre 300 W/m2 2.2. La conversione di energia solare Il Sole costituisce la fonte energetica rinnovabile più importante a nostra disposizione. Essa è molto abbondante, intrinsecamente pulita e potenzialmente infinita, se paragonata ai tempi umani. L’energia solare è inoltre accessibile in tutte le zone del pianeta, se pur in proporzioni differenti. Per generare 20 TW di potenza sfruttando il Sole, occorrerebbe coprire un’area quadrata di lato 900 km con celle solari di efficienza del 10%. La realizzazione di un impianto simile, delle dimensioni di Francia e Germania messe assieme, è sicuramente impossibile, e la strada da seguire è quella dello sfruttamento locale. Il Sole è attualmente sfruttato per produrre energia elettrica (celle fotovoltaiche) e calore. Nonostante l’attuale diffusione di queste tecnologie, il problema che impedisce una loro diffusione massiccia (a parte i costi) è il fatto che l’energia elettrica sia difficilmente stoccabile, su scala industriale. La disponibilità di energia dalle fonti rinnovabili varia a seconda dello spazio e del tempo, e un mezzo di immagazzinamento è fondamentale. Nell’attuale economia le riserve di energia sono costituite dai carburanti, e tutto quanto, tecnologia compresa, ruota intorno ad essi. La produzione di combustibili basata sullo sfruttamento dell’energia solare rappresenta al giorno d’oggi uno degli obiettivi principali della ricerca. All’interno di questo contesto trova spazio l’idrogeno, la cui produzione tramite celle solari costituisce l’argomento di questa tesi. - La conversione in energia chimica: combustibili La possibilità di immagazzinare l’energia solare come energia chimica sotto forma di combustibili è molto interessante, in quanto combina i vantaggi di un’elevata densità energetica alla facilità di trasporto. La conversione di energia solare in idrogeno combustibile rappresenta la strada più attraente e affascinante. Nonostante non sia disponibile in natura, se non in piccolissime quantità, l’idrogeno forma assieme all’ossigeno una delle sostanza più 8 abbondanti sul nostro pianeta: l’acqua. L’acqua è una fonte di idrogeno conveniente, pulita e abbondante; si può calcolare che sono necessari all’incirca 3,5 · 1013 litri di acqua per produrre abbastanza idrogeno da soddisfare il fabbisogno energetico mondiale. Questa quantità corrisponde allo 0,01% dell’acqua piovana in un anno, e lo 0,000002% delle acque oceaniche. - Introduzione alle celle solari Lo conversione di energia solare in idrogeno si conduce in quelle che vengono chiamate celle solari. Se l’idrogeno viene ricavato dalla dissociazione della molecola d’acqua, si sfrutta la seguente reazione netta: H 2 O en. solare H 2 1 2 O2 Questa è una semplice reazione di ossidoriduzione, in cui si assiste a una semireazione di riduzione dell’idrogeno al catodo, e all’ossidazione dell’acqua all’anodo. L’idrogeno prodotto costituisce una riserva di energia, e può essere riconvertito in elettricità tramite celle a combustibile. Tutto ciò offre la possibilità di uno sviluppo energetico ed economico futuro basato sul Sole, sull’ idrogeno, e sull’elettricità. La conversione dell’energia solare e dell’acqua in idrogeno può essere ottenuta in diversi modi: Dissociazione fotoelettrochimica dell’acqua Dissociazione fotocatalitica dell’acqua Sistemi elettrolitici fotovoltaici Conversione termochimica Metodi fotobiologici Fotosintesi artificiale, ecc… In questa tesi ci si occuperà esclusivamente del primo metodo: la dissociazione fotoelettrochimica dell’acqua, ottenuta utilizzando fotoelettrodi a semiconduttore. I vantaggi di questa tecnologia sono molteplici, e possono essere riassunti nei seguenti punti: - idrogeno e ossigeno sono prodotti in elettrodi diversi; ciò garantisce maggiore sicurezza ed evita i costi (soprattutto energetici) di una separazione post-produzione; - essa può essere condotta a temperatura ambiente, senza l’esigenza di grandi concentratori di energia solare, che limiterebbero l’utilizzo solo a grandi strutture nelle regioni soleggiate del mondo; - gli interi dispositivi possono essere costituiti interamente di materiale inorganico, con il vantaggio di avere a disposizione dei gradi di robustezza chimica e durabilità consistenti. 9 Capitolo III I principi di conversione dell’energia solare 3.1. L’elettrolisi dell’acqua Introduzione L’elettrolisi dell’acqua è un fenomeno nel quale la molecola di H2O viene scissa nei suoi costituenti, idrogeno e ossigeno, sfruttando l’energia elettrica. E’ un processo semplice e pulito per la produzione di idrogeno, e vista l’assenza di emissioni inquinanti, costituisce senza dubbio un’alternativa interessante per quanto riguarda il nostro futuro energetico. Il processo è basato sulle reazioni di ossidoriduzione che avvengono agli elettrodi di una cella elettrolitica; la reazione netta può essere così espressa: H2O (g,l) + en. elettrica → H 2 (g) + ½O2 (g) È una reazione nota da più di 200 anni e ha un limite teorico massimo per l’efficienza che arriva al 90% circa. Attualmente la produzione mondiale di H2 per elettrolisi dell’acqua costituisce soltanto una piccola frazione, circa il 3,9% del totale, a causa dell’elevato costo economico dell’energia elettrica; gli elettrolizzatori industriali attingono infatti l’energia direttamente dalla rete. Questo tipo di produzione, attualmente necessaria a un utilizzo industriale dell’idrogeno, non è percorribile per quanto riguarda il suo sfruttamento come vettore energetico; il prodotto infatti deriva, seppur in maniera indiretta, dai soliti combustibili fossili, e non si ha nessun risparmio energetico (è esattamente il contrario), tanto meno una soluzione dal punto di vista ecologico. Nonostante ciò, l’elettrolisi costituisce probabilmente il miglior metodo per ottenere idrogeno gassoso a partire dall’acqua, ma poiché essa possa essere considerata una valida alternativa nell’ambito di un modello energetico ecosostenibile, è necessario l’utilizzo di energia elettrica pulita, derivante da fonti rinnovabili e sostenibili. 10 - Caratteristiche chimiche e termodinamiche Una cella elettrolitica, o elettrolizzatore, è costituita da due elettrodi metallici, anodo e catodo, immersi in un elettrolita; in essa avvengono simultaneamente reazioni di ossidazione e di riduzione agli elettrodi, dando luogo alla formazione di H2 gassoso (al catodo) e O2 gassoso (all’anodo). La Figura 3.1. rappresenta lo schema fondamentale di una cella elettrolitica. L’elettrolita è una soluzione acquosa contenente ioni (anioni e cationi) liberi, e costituisce il mezzo conduttore per la corrente elettrica. In una cella di questo tipo l’energia è fornita applicando una tensione fra anodo e catodo. La conversione dell’energia elettrica in energia chimica avviene alla superficie di contatto fra gli elettrodi e la soluzione, e ha luogo con trasferimento netto di carica. La fisica di questo processo verrà studiata poco più avanti, nel caso particolare degli elettrodi a semiconduttore, che costituiscono l’elemento fondamentale delle celle solari fotoelettrolitiche. Figura 3.1. Schematizzazione di una cella elettrolitica. Il caso ideale. A temperatura ambiente ( T=25° C) e pressione atmosferica (P=1 bar), la variazione di energia libera di Gibbs ΔG per questa reazione è maggiore di 0, per cui la reazione non è spontanea. Poiché l’elettrolisi avvenga è necessario quindi fornire una quantità di energia elettrica uguale o maggiore a ΔG. Se chiamo Vrev il voltaggio minimo per avere la separazione della molecola posso scrivere la relazione G nFVrev (dove F è la costante di Faraday) in cui ΔG rappresenta il lavoro minimo che si deve compiere, o in alternativa, il lavoro massimo che si ricava dalla reazione inversa. Vrev è il potenziale relativo alla trasformazione reversibile, ed è chiamato potenziale reversibile termodinamico. In condizioni standard, (T=25° C e P=1 bar), questo potenziale vale: Vrev G 1,229 V nF 11 essendo G 237,178 kJ mol misurato sperimentalmente. Per come è definita, la tensione Vrev è la minima tensione che si deve fornire per avere l’elettrolisi, che sotto queste condizioni è un processo endotermico; alla dissociazione dell’acqua corrisponde inoltre un aumento dell’entropia ΔS totale del sistema. In condizioni isoterme, per sopperire a questa variazione, deve corrispondere un assorbimento di calore (=T·ΔS ) dall’ambiente esterno (per esempio un bagno termostatico). Se si opera a tensioni superiori a Vrev, la reazione diventa esotermica e si ha produzione di calore nella cella ad opera di perdite; parte di questo calore va a compensare l’aumento antropico descritto in precedenza. Si può aumentare la tensione fino al punto in cui il calore prodotto dalla reazione permette di eguagliare la variazione ΔS. Esiste un valore specifico del potenziale per il quale il calore prodotto eguaglia l’entalpia totale di reazione per la scissione dell’acqua ΔH = ΔG + TΔS ( 285,83 kJ mol a T=25°C e P=1 bar), e non si ha più nessuno scambio di calore con l’esterno. Il potenziale relativo a questa condizione, chiamato potenziale termoneutrale Vtn, è dato da: H 1,482 V nF Sotto queste condizioni l’elettrolisi genera abbastanza calore da compensare il termine T ΔS Vtn contenuto in ΔH. Al di sopra di questa tensione verrà prodotto del calore in eccesso, che dovrà essere in qualche modo rimosso se si vuole operare in condizioni isoterme. Il caso reale. La breve introduzione fatta fin’ora rappresenta il caso ideale. Nella realizzazione concreta di una cella elettrolitica bisogna tenere in conto anche delle perdite energetiche dovute alla cinematica delle reazioni in gioco (trasporto di carica fra elettrodi ed elettrolita), per cui il voltaggio operativo sarà sempre maggiore di Vtn. Un’efficace modellizzazione per il potenziale di lavoro consiste nell’esprimere la tensione finale come la somma di diversi termini: Vop Vrev Va | Vc | V in cui troviamo - Va e Vc: termine di sovratensione anodica e catodica, dovute a effetti di polarizzazione. - VΩ: termine di sovratensione di natura ohmica dovuta alle perdite resistite della cella. 12 Con il termine sovratensione si intende il voltaggio in eccesso rispetto a Vrev, necessario a compensare le perdite energetiche della cella, e garantire i risultati desiderati per quanto riguarda la densità di corrente in uscita e la produzione di H2. Reazioni fra elettrodi e elettrolita particolarmente lente e grandi perdite resistive richiederanno sovratensioni elevate. La sovratensione agli elettrodi nasce da effetti di polarizzazione: la bassa attività di elettrodi e soluzione (sovratensione di attivazione), per esempio, porta ad un trasferimento di carica lento; si può inoltre avere carenza di ioni alla superficie degli elettrodi, dovuta allo scarso trasporto di massa per diffusione, migrazione o convezione (sovratensione di diffusione). Per ottimizzare la densità di corrente in uscita è necessario ridurre al minimo le sovratensioni. La sovratensione agli elettrodi aumenta in maniera logaritmica con la densità di corrente, seguendo la legge di Tafel: Vel a b log( j ) in cui j è la densità di corrente e a e b sono delle costanti caratteristiche per il sistema di elettrodi. La costante a racchiude le informazioni riguardo la natura elettro-catalitica di anodo e catodo, mentre b è la pendenza della curva di log(j) in funzione di j, e racchiude in sè tutte le informazioni riguardo ai meccanismi di reazione. Questa sovratensione può essere ridotta utilizzando dei materiali con elevata attività elettro-catalitica e massimizzando il rapporto fra superficie reale e superficie apparente. La sovratensione ohmica è una conseguenza delle perdite resistive della cella elettrolitica, che possono avvenire principalmente agli elettrodi, nei cablaggi e nelle giunzioni, e all’interno dell’elettrolita. Questa sovratensione può essere ridotta rimpicciolendo la separazione fra gli elettrodi e minimizzando la resistenza dell’elettrolita. Anche la presenza di bolle gassose nella cella da luogo a perdite di tipo ohmico. Una strategia per ridurre entrambe le sovratensioni di attivazione e ohmica è lavorare a temperature relativamente elevate, permettendo così un aumento del tasso di reazioni e riducendo la resistenza ohmica dell’elettrolita. Chiaramente ridurre al minimo le sovratensioni è necessario per massimizzare l’efficienza della cella elettrolitica. 13 3.2 Fotoelettrolisi dell’acqua - Considerazioni generali La fotoelettrolisi consiste in un elettrolisi ottenuta utilizzando direttamente energia luminosa. In pratica si ha che l’energia solare ricevuta viene convertita direttamente in energia elettrica, la quale è poi subito utilizzata, in luogo a quella della rete, per produrre l’energia chimica sotto forma di combustibile. La fotoelettrolisi dell’acqua si realizza nelle celle fotoelettrochimiche, dispositivi il cui elemento principale è costituito da un fotoelettrodo a semiconduttore, in grado di generare la tensione necessaria a scindere le molecole d’acqua. In un tale dispositivo, in seguito all’esposizione luminosa vengono prodotti simultaneamente sia voltaggio che corrente, e la cella può essere può essere utilizzata per produrre sia energia chimica sotto forma di combustibili che semplicemente energia elettrica. Figura 3.2. Modello di sfruttamento dell’energia solare basato sulla produzione di idrogeno per fotoelettrolisi. La fotoelettrolisi racchiude in sè sia la raccolta di energia solare che la produzione di H2 per elettrolisi dell’acqua, operando tramite un singolo fotoelettrodo, ed è considerata attualmente la tecnologia rinnovabile più promettente ed efficace per il futuro. L’interesse verso 14 l’idrogeno è dovuto al fatto che esso rappresenta un vettore energetico, così come i combustibili fossili, in grado di fornire elevata densità energetica e facilità di trasporto e stoccaggio, ma a di differenza di essi è disponibile in quantità pressoché illimitate e non produce gas serra se bruciato con aria o ossigeno. 3.2.1 Celle fotoelettrochimiche Una cella in grado di convertire l’energia luminosa in un prodotto energetico più utile, come un combustibile, attraverso processi elettrochimici indotti dalla luce è comunemente chiamata Cella Fotoelettrochimica o PEC (Photoelectrochemical Cell). Una PEC come quella raffigurata in Figura 3.3 è costituita da tre elettrodi immersi in una soluzione elettrolitica; essi hanno nomi e funzionalità ben definite: - elettrodo di lavoro (o anodo) chiamato anche fotoelettrodo (fotoanodo), costituito solitamente da un materiale semiconduttore di tipo-n; - controelettrodo (o catodo) solitamente costituito da un metallo altamente anti-corrosivo; - elettrodo di riferimento. Figura 3.3. Rappresentazione schematica di una PEC con configurazione a tre elettrodi. 15 - Le reazioni agli elettrodi Quando un elettrodo è illuminato con fotoni di energia E h maggiore o uguale al bandgap caratteristico del semiconduttore di cui esso è costituito, si ha la formazione di portatori di carica, elettroni in banda di conduzione e lacune in banda di valenza; ecco il bilancio completo delle reazioni: all’anodo si ha 2h semiconduttore 2h 2e 2h H 2 O 1 2 O2 ( g ) 2 H mentre al catodo 2 H 2e H 2 ( g ) Alla superficie di separazione fra il fotoelettrodo e l’elettrolita, le lacune h + reagiscono con l’acqua per formare ossigeno gassoso O2 e ioni H+ (seconda equazione) . Questi ioni migrano nella soluzione fino ad arrivare alla superficie di separazione fra l’elettrolita e il catodo, dove incontrano gli elettroni (prodotti al fotoelettrodo e trasferiti attraverso un circuito esterno) per formare idrogeno gassoso H2 (terza equazione). In condizioni standard l’acqua può essere elettrolizzata reversibilmente con un potenziale di 1,23 V, calcolato dalla seguente relazione: G0 nF E 0 dove ΔG0 e ΔE0 sono rispettivamente la variazione standard in energia libera di Gibbs e il potenziale standard per la reazione. In ogni reazione di ossido-riduzione, la variazione di energia in seguito alla migrazione dei portatori di carica prodotti da origine a una differenza di potenziale. La d.d.p. massima è la forza elettromotrice della cella, e si indica con fem o ΔE. Figura 3.4. Principi di funzionamento di una cella che opera la fotoelettrolisi 16 La reazione totale in una cella fotoelettrolitica, espressa nel seguente modo H 2 O h H 2 1 2 O2 ha luogo quindi quando l’energia del fotone assorbito è maggiore o uguale all’energia di soglia per la dissociazione dell’acqua, che vale 1,23 eV. La reazione è endotermica e implica una variazione dell’energia libera di Gibbs di 237,14 kJ per mole. Perché la cella funzioni correttamente è necessario che venga generata una forza elettromotrice superiore a 1,23 V. A seconda della geometria utilizzata, le celle elettrochimiche possono essere a due elettrodi o tre. Per l’anodo è quasi sempre utilizzato un semiconduttore di tipo-n, sulla cui superficie, in seguito all’illuminazione, avviene la reazione di ossidazione dell’acqua in O2, mentre al catodo metallico si produce l’H2 per riduzione. Soluzioni di cella alternative sono allo stesso modo realizzabili. Talvolta si utilizza un fotocatodo costituito da un semiconduttore di tipo-p, il quale riduce lo ione H+ in H2, mentre all’anodo metallico si produce O2. Un altro schema realizzativo prevede l’utilizzo di entrambi gli elettrodi costituiti da semiconduttori otticamente attivi. In questo caso l’elettrodo di tipo-n costituirà il fotoanodo per l’ossidazione dell’acqua e il rilascio di ioni H+, mentre l’elettrodo di tipo-p agirà come fotocatodo, in cui gli ioni H+ sono ridotti in molecole di H2. Come elettrodo di riferimento è utilizzato quasi sempre un elettrodo in calomelano immerso in una soluzione acquosa di KCl. 3.3. I Principi della fotoelettrolisi La fotoelettrolisi è generalmente condotta in celle che hanno una configurazione del tutto analoga alle classiche celle elettrolitiche, ma in cui almeno uno dei due elettrodi è costituito di un semiconduttore. L’elemento principale di una cella fotoelettrochimica è proprio il semiconduttore, il quale è in grado di convertire i fotoni incidenti i coppie elettrone-lacuna. La fotofisica e le proprietà di questi materiali saranno presentati nel prossimo paragrafo. I portatori fotoprodotti vengono separati spazialmente dall’azione di un campo elettrico presente all’interno del semiconduttore, le cui origini e caratteristiche saranno introdotte nel paragrafo 3.3.1. Nel caso di un semiconduttore di tipo-n, gli elettroni (portatori maggioritari) vengono raccolti dal contatto elettrico adiacente al semiconduttore, e condotti al controelettrodo attraverso un circuito esterno. Le lacune si portano invece sulla superficie di contatto semiconduttore/elettrolita, in cui ossidano l’H2O per formare ossigeno gassoso. Gli spettri energetici del semiconduttore e della soluzione elettrolitica presentano dei livelli caratteristici, dal cui valore dipende l’intero funzionamento delle PEC; dopo aver introdotto una scala di riferimento, tramite la quale è possibile comparare i diversi livelli energetici, (nel paragrafo 3.3.2.) verranno introdotte le caratteristiche della giunzione 17 semiconduttore/elettrolita. Per una coppia redox disciolta in soluzione acquosa si possono definire dei potenziali di reazione riferiti ai processi di semireazione agli elettrodi. Nel caso della dissociazione dell’acqua si hanno un potenziale di standard di riduzione e un potenziale standard di ossidazione. Le semireazioni agli elettrodi consistono in un trasporto netto di carica, e perché esso avvenga è necessario che il bordo inferiore della banda di conduzione del semiconduttore si trovi ad un’energia più negativa rispetto al potenziale di riduzione dell’acqua, mentre il bordo superiore della banda di valenza sia più positivo rispetto al potenziale di ossidazione. Queste condizioni non sono sempre realizzabili nei dispositivi reali, in cui capita spesso che il margine energetico della banda di valenza si trovi vicino, o sia più positivo, rispetto al potenziale di riduzione dell’acqua. Figura 3.5. Posizione delle bande energetiche di un elettrodo in TiO2 (bandgap = 3,2 eV) in presenza di elettrolita acquoso a pH=1 Un esempio è dato dal sistema costituito da un elettrodo in Titania e un elettrolita acquoso a pH=1, come si può vedere in Figura 3.5. In parecchi casi, il fotovoltaggio ottenuto può essere inferiore a 1,23 V. In questo caso la dissociazione può essere condotta ugualmente fornendo l’energia elettrica necessaria attraverso un generatore esterno, oppure con accorgimenti di natura chimica. In generale quindi, per la scomposizione fotoelettrochimica dell’acqua devono essere soddisfatti tre requisiti fondamentali: 1. i bordi delle bande di valenza e di conduzione del semiconduttore in esame devono sovrapporsi ai livelli energetici relativi alla riduzione e ossidazione dell’acqua; 2. il sistema semiconduttore deve essere stabile in condizioni di fotoelettrolisi; 18 3. il trasferimento di carica dalla superficie del semiconduttore deve essere abbastanza rapido da evitare fenomeni di corrosione e ridurre le perdite energetiche dovute a sovratensione, o innalzamento dei potenziali (in seguito all’ossidazione). 3.3.1 Fotofisica e livelli energetici nei semiconduttori - Struttura energetica Alcuni fra i requisiti necessari per un fotoelettrodo a semiconduttore sono una buona efficienza di assorbimento luminoso, soprattutto nel visibile, e caratteristiche di trasporto di carica adatte. Queste qualità variano notevolmente a seconda dei materiali in esame, ma è comunque possibile tracciare delle caratteristiche comuni a tutta la classe di fotoelettrodi semiconduttori. L’aspetto fondamentale da cui partire per una descrizione completa è senza dubbio la struttura elettronica di questi materiali. Inoltre è importante sottolineare come i legami chimici fra gli atomi possano in qualche modo influenzare la struttura elettronica. In semiconduttori convenzionali, come il Si o il Ge, i legami covalenti dominano. Esiste una classe particolare di semiconduttori, costituita dagli ossidi metallici, in cui predominano invece i legami polari e ionici. Le differenze nei due casi sono consistenti: nel primo si ha una completa delocalizzazione degli elettroni lungo il reticolo, mentre nel secondo caso è possibile attribuire gli elettroni ai particolari nuclei. La descrizione della struttura elettronica di un semiconduttore è basata sul concetto di bande energetiche; queste sono considerate come uno spettro continuo di livelli energetici, essendo i livelli elettronici orbitali delle molecole molto vicini fra loro. È chiamata banda di valenza (VB), la banda di energia massima che comprende tutti orbitali elettronici occupati, e il suo limite superiore si indica con EVB. La banda con maggiore energia, contenente gli orbitali molecolari non occupati, o stati energetici vuoti, è chiamata banda di conduzione (CB), e il suo valore inferiore è indicato con ECB. Nei comuni metalli queste due bande sono attaccate o sovrapposte. Nei semiconduttori si ha un salto energetico fa il limite inferiore della banda di conduzione e il limite superiore della banda di valenza; questa differenza prende il nome di energia di bandgap EBG, spesso indicata con il solo nome bandgap. In formule si ha: E BG ECB EVB . Gli elettroni di valenza di un semiconduttore posso essere eccitati, termicamente o in questo caso per effetto fotoelettrico, assorbendo un’energia maggiore o uguale a EBG, e passare dalla banda di valenza a quella di conduzione, con il conseguente trasferimento di una carica negativa (un e-) in banda di conduzione, e la creazione di una carica positiva in banda di valenza, chiamata lacuna, e indicata con h +. Le lacune sono considerate come dei veri e propri portatori di carica, la cui mobilità può essere calcolata. 19 Si può inoltre definire un’energia di Fermi EF, come il livello energetico la cui probabilità di occupazione è uguale a ½. Quest’energia è calcolata con la seguente formula: 4 EF * 1 E VB E CB 1 kT ln N VB* 2 2 N CB in cui ECB e ECV sono, rispettivamente,i valori ai margini inferiore della banda di conduzione e superiore della banda di valenza, k è la costante di Boltzmann e T è la temperatura assoluta; N*CB e N*VB solo le densità di stati energetici delle rispettive bande, e possono essere calcolati come: 2 mh* kT * N VB 2 2 h N * CB 2 me* kT 2 2 h in cui h è la costante di Planck, mentre m*e e m*h sono le cosiddette masse effettive dell’elettrone e della lacuna, due quantità che raccolgono tutte le informazioni riguardanti la mobilità dei portatori di carica attraverso il reticolo cristallino. In un semiconduttore intrinseco il numero di elettroni eguaglia il numero di lacune, e il livello di Fermi si trova esattamente a metà del bandgap. Figura 3.6. Schematizzazione della struttura energetica a bande di un semiconduttore intrinseco. Dalla struttura energetica a bande derivano alcune importanti caratteristiche dei semiconduttori: - la prima è la natura delle transizioni ottiche; esiste una classe di semiconduttori chiamati diretti, in cui la transizione non comporta di una variazione nel momento dell’intero reticolo; nei semiconduttori indiretti, invece, le transizioni ottiche avvengono assieme all’assorbimento o all’emissione di fononi (vibrazioni del 20 reticolo); il coefficiente di assorbimento dei semiconduttori diretti è più grande di circa due ordini di grandezza rispetto a quello dei materiali indiretti; - la seconda è la mobilità dei portatori di carica, che dipende dalla larghezza delle bande di conduzione e di valenza. Una maggiore sovrapposizione delle funzioni d’onda atomiche causa delle bande più spesse, e facilita il trasporto di cariche libere nel reticolo; - una terza informazione deducibile dalla struttura a bande è la densità di stati, ossia il numero di stati elettronici consentiti per unità di intervallo energetico. Oltre a identificare le bande stesse e la loro larghezza, la densità di stati permette di valutare le probabilità di transizione ottica, tramite la Regola d’Oro di Fermi. - Drogaggio dei semiconduttori In un semiconduttore intrinseco le concentrazioni di elettroni in banda di conduzione e lacune in banda di valenza, indicate con n0 e p0, all’equilibrio può essere espresso come: n0 N * CB p0 N e * VB ECB E F kT e E F EVB kT moltiplicando membro a membro queste due equazioni, trovo n0 p 0 N N * CB * VB e ECB EVB kT ni2 dove si con ni2 la concentrazione intrinseca di portatori di carica, la quale decresce esponenzialmente con l’aumentare del bandgap. Un semiconduttore può essere drogato con l’aggiunta di quantità controllate di atomi di altri elementi con lo scopo di aumentare la concentrazione di un particolare portatore di carica. Nel caso in cui venga aggiunto un elemento con un elettrone in più rispetto al semiconduttore intrinseco si parla di semiconduttore drogato di tipo-n, e si ha un eccesso di portatori di carica negativi (elettroni) rispetto alle lacune; come conseguenza il livello di Fermi aumenta in energia. Nel caso di semiconduttori di tipo-p varrà il contrario. Un drogante è chiamato donatore nel primo caso, mentre si parla di accettore nel secondo. Il drogaggio è usato principalmente per controllare e aumentare la conducibilità del materiale; essa si esprime come n0 e e p 0 e h . Le concentrazioni di elettroni e di lacune può essere ottenuta in funzione delle concentrazioni di donatori Nd o accettori Na. All’equilibrio valgono e seguenti relazioni: 21 2 N n0 d 2 Nd ni2 2 N p0 a 2 Na ni2 2 2 La differenza energetica fra i bordi delle bande e il livello di Fermi si ottiene come: ECB E F ,n kT ln * N CB n0 E F , p EVB kT ln * N VB p0 Per un semiconduttore di tipo-n, se la concentrazione di donatori è superiore rispetto alla concentrazione intrinseca di portatori di carica Nd >> ni, si avrà che n0 Nd, e l’equazione precedente può essere riscritta come: E F ECB kT ln * N CB Nd Da questa relazione è possibile notare come il gap energetico fra la banda di conduzione e l’energia di Fermi sia una funzione logaritmica della concentrazione di donatori Nd; all’aumentare di Nd aumenta il numero di elettroni in banda di conduzione, e l’energia di Fermi si avvicina al bordo inferiore di questa banda. Un discorso analogo può essere fatto per un semiconduttore di tipo-p, in cui la distanza fra l’energia di Fermi e la banda di valenza è una funzione logaritmica della concentrazione di accettori, e all’aumentare di questa quantità aumenta il numero di lacune in banda di valenza, e il livello di Fermi si sposta vicino al margine superiore di questa banda. N* E F EVB kT ln VB Na Figura 3.7. Rappresentazione del modello energetico a bande per i semiconduttori in funzione del tipo di drogaggio. 22 I fotoelettrodi utilizzati nelle celle fotoelettrochimiche sono costituiti da semiconduttori drogati, in modo da migliorarne le caratteristiche. Alcuni dopanti sono in grado di aumentare lo spettro di assorbimento di semiconduttori con ampio bandgap, migliorare la diffusione di carica, e catalizzare le reazioni superficiali all’interfaccia elettrodo/elettrolita. - Carica spaziale e piegatura delle bande Una delle caratteristiche fondamentali nei semiconduttori è il comportamento superficiale in presenza di un contatto con un altro materiale. Il contatto con un conduttore generico, che abbia una natura chimica e quindi un potenziale elettrochimico diverso, da origine a un campo elettrico interno, dovuto a una regione di carica spaziale (space-charge region o SCR) vicino alla superficie di interfaccia. Nei dispositivi per la conversione di energia solare questo campo è necessario alla separazione degli elettroni e delle lacune fotogenerati, e ne previene la ricombinazione. Per la maggior parte dei semiconduttori, la creazione della regione spaziale di carica è dovuta al contatto con altri metalli o semiconduttori. L’interfaccia di contatto, solitamente, è costituita da due materiali diversi, i quali differiscono per il loro potenziale elettrochimico (livelli di Fermi). Una volta che il sistema è messo in contatto elettronico, si ha un trasferimento di carica attraverso l’interfaccia, e in condizioni di oscurità (equilibrio) si assiste ad una ridistribuzione totale delle cariche. Sotto l’azione della differenza di potenziale elettrochimico gli elettroni vengono pompati dai livelli energetici più alti verso i livelli accettori più bassi del materiale con minore potenziale, finché non viene raggiunto l’equilibrio dei due livelli di Fermi. In un contatto allo stato solido, ciò da vita a una giunzione p-n. Nei sistemi fotoelettrochimici il contatto è fra un mezzo solido e uno liquido, e la giunzione che si viene a creare è molto simile a una giunzione di Schottky metallo/semiconduttore, nella quale si assiste a una ridistribuzione di carica dalla parte dell’elettrolita, per motivi legati all’ampia mobilità degli ioni portatori. Anche in questo caso la ridistribuzione di carica porta allo sviluppo di un campo elettrico alla superficie del semiconduttore. La presenza del campo elettrico è accompagnata da una caduta di potenziale alla superficie del semiconduttore. Valori tipici di questa d.d.p. sono dell’ordine di 1 V, ed essa causa lo svuotamento di portatori maggioritari dalla regione superficiale. I portatori di carica minoritari, vengono invece accumulati alla superficie, creando una densità di carica. Siccome i portatori nella fase liquida sono ioni mobili, una carica corrispondente ai portatori maggioritari nel semiconduttore si accumula alla superficie di contatto, formando uno strato di Helmholtz. La neutralità totale è mantenuta dalla presenza degli atomi dopanti ionizzati all’interno del semiconduttore. Il reticolo confina infatti questi ioni in maniera tale da creare una regione superficiale in cui è presente un gradiente di carica; ci si riferisce a questa 23 regione anche con il nome di zona di svuotamento, ed è fondamentale per il funzionamento del dispositivo in quanto è una zona isolante. Se la direzione del campo è opposta, si verificano i fenomeni opposti, e si assiste alla formazione di una zona di accumulazione di carica. Le caratteristiche della zona di svuotamento, o depletion layer, come la distribuzione del potenziale, lo spessore, e la carica accumulata, dipendono dalla quantità di carica trasferita alla superficie e dalla concentrazione dei donatori. Le relazioni per queste quantità possono essere ricavate, nel caso di un semiconduttore di tipo-n integrando l’equazione di Poisson, scritta nel caso monodimensionale: 2 ( x) 2 x x in cui ξ è il campo elettrico e ρ(x) è la densità di carica totale data dalla concentrazione di elettroni liberi n più la concentrazione di donatori ionizzati ND+ ; in formule: ( x) e( N d n( x)) Si ricordi che la concentrazione di elettroni liberi a dipende dalla distanza fra il minimo della banda di conduzione e l’energia di Fermi. All’interno della regione di carica spaziale, questa distanza non è costante, ma si assiste a una curvatura (x) della banda di conduzione derivante dalla presenza del gradiente di carica; la densità di elettroni liberi in funzione di x nella regione di carica spaziale è data dalla seguente espressione: n( x) N CB e ECB E F e ( x ) kT nb e e ( x ) / kT La carica totale presente nella SCR è data da: kT QSCR 2 0 r eN d A 2 SCR e In condizioni di lavoro normali, la caduta di potenziale SCR lungo questa regione è almeno di 0,1 V. La carica e lo spessore W dello strato, sono legati dalla relazione QSCR eN d AW dalla quale si può ricavare la seguente espressione per quel che riguarda lo spessore : W 0 r kT SCR eN d e Questo risultato, derivato per materiali di tipo-n, può essere esteso anche a materiali di tipo-p semplicemente rimpiazzando Nd con Na. Valori tipici per questo spessore vanno da 5 a 500 nm. La carica totale accumulata nella zona di impoverimento deve essere compensata da uno strato di carica opposta, alla superficie del materiale. 24 Figura 3.8. Curvatura delle bande alla superficie di un semiconduttore ti tipo-n in caso di svuotamento. I + rappresentano i donatori ionizzati, mentre i – rappresentano gli elettroni liberi. 3.2.2. La giunzione semiconduttore/elettrolita Gli effetti di campo descritti in precedenza hanno luogo anche quando si studia il comportamento di una giunzione semiconduttore/elettrolita. Quando un semiconduttore viene immerso in soluzione acquosa, come nelle celle fotoelettrochimiche, la situazione però si complica leggermente. La distribuzione di carica all’interfaccia è modificata dall’assorbimento di protoni o ioni in soluzione, e il potenziale risulta modificato. Un diagramma energetico in grado di descrivere la distribuzione del potenziale nell’intera PEC è necessario per capire la termodinamica e il trasporto di carica che avviene in questi dispositivi. - L’interfaccia semiconduttore/elettrolita La Figura 3.9. mostra la struttura dell’interfaccia semiconduttore/elettrolita nel caso di una soluzione acquosa; le cariche alla superficie consistono in elettroni (o lacune) intrappolate in stati superficiali, più gli ioni OH- e H+ in soluzione, che costantemente vengono adsorbiti e rilasciati dal materiale. Si trovano inoltre cariche opposte all’interno del semiconduttore, sotto forma di droganti ionizzati, e altre come ioni in soluzione. A causa del momento di dipolo elevato dell’acqua, ciascuno ione carico in soluzione è circondato da una nube solvente di molecole acquose. Questo fa si che gli ioni possano avvicinarsi alla superficie di contatto per non più 2 , 5 Ångstrom. La regione compresa fra gli ioni adsorbiti e i più vicini ioni in soluzione è chiamata strato di Helmholtz, e in esso si verifica una caduta di potenziale, data da: VH d QS d 0 r 25 Questa caduta di potenziale assume tipicamente valori compresi fra 0,1 e 0,5 V; lo strato può essere visto schematicamente come un condensatore, la cui capacità vale tipicamente 10-20 μF/cm2. Il potenziale di Helmholtz varia di circa -59 mV (2,3 kT/e) per unità di pH a 25°C. Figura 3.9. Modello schematico dell’interfaccia semiconduttore/elettrolita e dello strato di Helmholtz - I potenziali d’elettrodo, livello di vuoto e energia di Fermi della soluzione In fotoelettrochimica è spesso necessario che i livelli energetici degli elettroni di elettrodi e soluzione siano espressi rispetto a una stessa scala di riferimento comune. Ciò può essere ottenuto introducendo la cosiddetta scala di vuoto per il potenziale di elettrodo. La più semplice cella elettrolitica utile per misurare il potenziale di un elettrodo è costituita da due semicelle, una delle quali contiene l’elettrodo di riferimento e l’altra l’elettrodo da studiare. In tutto si hanno due contatti, due elettrodi e tre interfacce, come si può capire da questo schema: M | sl | el | M’ 26 in cui sl e el sono la soluzione e l’elettrodo della semicella di cui si vuole misurare il potenziale, mentre M è l’elettrodo di riferimento, che è costituito dello stesso metallo del contatto; M’ è il secondo contatto, fatto dello stesso materiale del precedente. La forza elettromotrice della cella può essere scritta come la differenza fra i potenziali interni fra i due contatti chimicamente identici M e M’, e si può scrivere in ciascuno dei seguenti modi: U cell M ' M ................................ ( M ' el ) ( el sl ) ( M sl ) ................................. Mel ' elsl Msl ................................................................ in cui è la differenza di potenziale interna fra due diverse fasi α e β. Vorremmo a questo punto poter esprimere Ucell come la differenza fra due potenziali d’elettrodo: E cell U el / sl U rev ma dalla terza delle equazioni precedenti è chiaro che quest’operazione non è realizzabile, in quanto sono presenti 3 interfacce in cui abbiamo una d.d.p. all’interno della cella. Per ovviare a questo problema si utilizza l’elettrodo standard di idrogeno (SHE) come riferimento; in 0 questa scala, si definisce il punto di zero U SHE 0 per l’elettrodo standard di idrogeno a tutte le temperature. Il potenziale di un qualsiasi sistema di elettrodo rispetto allo SHE non è altro che la fem di una cella costituita per metà dal SHE e metà dall’elettrodo/elettrolita di cui si vuole misurare il potenziale. Un altro elettrodo di riferimento largamente utilizzato, in luogo al SHE troppo difficile da settare e utilizzare, è l’elettrodo standard in calomelano saturo (SCE) per il quale U SCE 0,2444 0,0024(T 298)V rispetto a USHE. Le scale di SHE e SCE non consentono comunque di comparare i potenziali di elettrodo con livelli energetici elettronici nell’elettrodo, come possono essere i margini delle bande del semiconduttore. Per fare ciò è necessario che il potenziale sia espresso non rispetto a un elettrodo di riferimento, bensì a un livello energetico di riferimento. Una scelta per questo riferimento che consente di comparare diversi elettrodi immersi nello stesso solvente, è il cosiddetto livello locale di vuoto della soluzione. Esso è l’energia potenziale di un elettrone che si trova nel punto P1 dell’immagine precedente, appena al di fuori della fase liquida, e in assenza di campi. A questo punto il potenziale di elettrodo assoluto Uel/sl(abs) può essere definito come il lavoro da compiere per estrarre un elettrone dall’interno dell’elettrodo e 27 portarlo nel vuoto locale subito al di sopra della soluzione. Questa quantità può essere espressa in termini di quantità misurabili. Il concetto di energia di Fermi può essere esteso anche per la soluzione elettrolitica. Essa può essere definita anche in questo caso come l’energia (espressa rispetto a qualsiasi riferimento conveniente) per cui la probabilità di occupazione è uguale ad un mezzo. Il livello di riferimento più conveniente in fotoelettrochimica è il livello di vuoto locale della soluzione, così che il livello di Fermi di qualsiasi conduttore nella fase α sia uguale al potenziale elettrochimico dell’elettrone in quella stessa fase: E F ~e Le soluzioni di una cella elettrochimica non contengono elettroni liberi, bensì una coppia redox in grado di equilibrare la presenza di elettroni liberi agli elettrodi. Si può sfruttare ciò per estendere il concetto di energia i Fermi alla soluzione. Si consideri la coppia redox O, R in contatto con un elettrodo el in cui avviene la reazione In condizioni di equilibrio, il lavoro fatto per trasformare (1/n)O in (1/n)R trasferendo un elettrone stravero la superficie di contatto elettrodo/soluzione, è zero, e si può scrivere Il potenziale elettrochimico dell’e- all’equilibrio, corrisponde al livello di Fermi EFel di qualsiasi elettrodo in equilibrio con la coppia redox O, R. Si può definire così il livello di Fermi per la coppia redox in soluzione, che indico con EF,redox: 1 E Fel (eq.) ~eel (eq.) ( ~Rsl ~Osl ) E F ,redox n La Figura 3.10. mostra quest’equivalenza, assieme alle funzioni di distribuzione delle densità di stati per i livelli energetici in un elettrodo a semiconduttore interfacciato con un elettrolita contenente una coppia redox. Si è in grado ora di mettere a confronto i livelli energetici della soluzione e dell’elettrodo, sulla stessa scala. Dalla definizione di potenziale assoluto di elettrodo e il suo valore rispetto all’SHE, segue che l’energia di Fermi EF,redox di una coppia redox, è correlata al suo potenziale d’elettrodo Vredox (rispetto a SHE) dalla relazione: E F ,redox eVredox (abs ) eVredox ( SHE ) 4,44 0,02 La Figura 3.11. seguente mostra la differenza fra queste due scale: la direzione positiva della scala SHE corrisponde ad un aumento positivo del potenziale interno, con una conseguente diminuzione dell’energia degli elettroni nell’elettrodo. 28 Figura 3.10. Diagramma che mostra l’equivalenza fra il livello di Fermi del semiconduttore (in questo caso di tipo-n) e il livello di Fermi della soluzione, in condizioni di equilibrio. Le parti più scure rappresentano gli stati energetici occupati. Figura 3.11. Relazione fra la scala di vuoto dell’energia elettronica E, e la scala SHE per il potenziale di elettrodo. - Il diagramma a bande In Figura 3.12. si ha il diagramma energetico per una cella fotoelettrochimica basata su un semiconduttore di tipo-n e catodo metallico. 29 Figura 3.12. Diagramma energetico per una PEC con semiconduttore di tipo-n e catodo metallico. E’ stato preso come riferimento il livello di vuoto. È importante notare che esso viene piegato dalla presenza del campo elettrico, e segue i gradienti di potenziale presenti nella cella. L’affinità elettronica e l’energia di ionizzazione (IE) sono costanti del materiale, mentre la funzione di lavoro ( S ) varia con la coordinata x, aumentando dal bulk verso la superficie. Dall’immagine si nota che anche alla superficie di separazione elettrodo metallico/elettrolita è presente uno strato di Helmholtz, a cui è associata una caduta di potenziale. Si dia uno sguardo alla fase elettrolita. Il livello di vuoto sopra di essa è piatta, in quanto si assume l’assenza di campi; elettroliti altamente concentrati consentono infatti di evitare sovratensioni di natura ohmica. I parametri chiave per quanto riguarda i semiconduttori sono la posizione delle bande, l’ampiezza della loro curvatura, e la differenza fra ECB e EF, che dipende dalla concentrazione di elettroni liberi nel bulk ( = Nd+ - Na- ). Negli elettroliti si trovano 3 diversi livelli energetici di riferimento, EF,redox , Eox e Ered. I livelli energetici d’interesse di una coppia redox in soluzione elettrolitica sono l’energia di ionizzazione della specie ridotta Ered e l’affinità elettronica della specie ossidata Eox, i quali possono dipendere dallo stato di soluzione. A causa delle variazioni nelle interazioni con l’elettrolita, in questi livelli energetici avvengono consistenti fluttuazioni. Figura 3.13. Distribuzione energetica del sistema redox dell’elettrolita. 30 Il potenziale redox standard EF,redox è dato, come si nota dalla figura 3.13 per motivi di simmetria, dal valor medio dell’energia di ionizzazione e dell’affinità elettronica. Questo livello energetico è atteso con la stessa probabilità di fluttuazione dell’energia di ionizzazione della specie ridotta e l’affinità elettronica della specie ossidata. Il diagramma energetico precedente mostra anche sotto quali condizioni le reazioni di ossidoriduzione agli elettrodi sono termodinamicamente possibili. Le lacune fotogenerate sono in grado di ossidare l’acqua se l’energia di riduzione associata alla coppia H 2O/O2 si trova al di sopra della banda di valenza. Allo stesso modo solo gli elettroni fotogenerati che possiedono un energia superiore al potenziale di riduzione dell’idrogeno possono reagire e operare la riduzione. I potenziali di ossidazione e di riduzione dipendono dal pH della soluzione, secondo l’equazioni di Nernst: 2 1 RT pH 2 2,3 RT 0 Ered E ln Ered log pH 2 2 pH 4 4F [H ] F RT 2,3 RT Eox Eox0 ln pO2 [ H ]4 Eox0 log pO2 pH 4F F 0 red I margini delle bande del fotoelettrodo hanno la stessa dipendenza funzionale dal pH (-59 mV per unità di pH), e ciò significa che la loro posizione è fissa rispetto ai potenziali redox dell’acqua. Il seguente grafico mostra le energie di banda per alcuni semiconduttori, assieme ai potenziai redox dell’acqua. Figura 3.14. Posizione dei margini di banda per diversi semiconduttori, immersi in soluzione acquosa a pH=14; assieme, alcuni fra i più importanti potenziali redox. 31 Il potere riducente degli elettroni nel fotoanodo è sempre meno rispetto a quello suggerito teoricamente dal limite della banda di conduzione, e lo stesso vale per le lacune generate in un fotocatodo. Questo perché i portatori perdono parte della loro energia nell’attraversamento della regione di carica spaziale. Ulteriore energia viene perduta quando i portatori maggioritari passano dalla banda di conduzione del semiconduttore ed entrano nell’elettrodo metallico, con un energia uguale al livello di Fermi. Per un semiconduttore di tipo-n, l’energia totale perduta vale Eloss e SC ( ECB E F ) , e corrisponde tipicamente a 0,1-0,5 eV. - Trasporto di elettroni all’interfaccia Da ciò che è stato detto fin’ora si può pensare che il trasferimento di elettroni dal semiconduttore all’elettrolita sia possibile semplicemente se l’energia dell’elettrone nello stato solido supera l’energia delle specie in soluzione; sfortunatamente questa descrizione è troppo banale e non rende conto di molti fenomeni superficiali. La teoria del trasferimento elettronico superficiale è tutt’ora in fase di sviluppo, ed è affrontata con una moltitudine di approcci differenti. Un elemento comune a tutte le teorie di trasporto elettronico alla superficie è il concetto di fluttuazione dei livelli energetici nell’elettrolita. In seguito all’agitazione termica nella soluzione, i livelli energetici degli ioni possono fluttuare; inoltre dopo le reazioni di ossidazione e riduzione, le molecole solventi che circondavano l’elemento reagente si riposizionano, in seguito al nuovo stato di carica. L’energia elettrostatica richiesta per questa riorganizzazione è data da 2λ, in cui λ è chiamata energia di riorganizzazione. Essendo le fluttuazioni energetiche casuali, si ha una distribuzione gaussiana per i livelli delle specie redox in soluzione. Figura 3.15. Modellizzazione dei livelli energetici per il trasferimento di carica alla superficie. 32 Per ogni singola specie si può definire una distribuzione di probabilità per gli stati energetici, la cui forma analitica è la seguente: (E E) 2 Wox ( E ) exp ox 4kT ( E red E ) 2 Wred ( E ) exp 4kT Per ottenere la densità di stati D(E) relativa ad ogni distribuzione, è necessario conoscere la concentrazione delle specie reagenti in soluzione; si ha Dox ( E ) coxWox ( E ) Dred ( E ) c red Wred ( E ) I livelli energetici più probabili Eox e Ered sono collegati o al potenziale redox standard o livello di Fermi redox standard attraverso le seguenti relazioni simmetriche: E red E F ,redox E ox E F ,redox Il valore di λ può essere abbastanza grande paragonato al bandgap del semiconduttore, ed assume valori che vanno tipicamente da 0,3 a 1,0 eV. La Figura 3.15 sopra rappresenta il caso di trasferimento elettronico dalla soluzione verso la banda di valenza del fotoanodo, per cui è necessaria la presenza di lacune fotogenerate; perché il trasferimento si possa verificare è necessario che la densità di stati redox dell’elettrolita Dred si sovrapponga con l’energia della lacuna. Possono esistere comunque altri cammini di reazione, per esempio a partire dalla banda di conduzione o dagli stati energetici superficiali. È importante notare come la probabilità che un elettrone venga trasferito diminuisce se Ered è troppo lontano da EVB Sup. Il processo di trasferimento ha luogo per effetto tunnel; questo fenomeno richiede che il livello energetico (fluttuante) delle specie in soluzione, sia ad un certo istante uguale all’energia di elettroni o lacune nel semiconduttore. Durante il trasferimento si assume che l’energia dello ione rimanga costante, e ciò è garantito dal fatto che il processo di trasferimento avviene in tempi molto più rapidi della riorganizzazione ionica della soluzione. Il tasso di trasferimento è proporzionale alla concentrazione dei portatori (nsup e psup) alla superficie del semiconduttore, alla densità di stati delle specie elettrolitiche, e al coefficiente di trasmissione quantomeccanico legato all’effetto tunnel. Si possono così ottenere le correnti anodiche (+) e catodiche (-) di banda di valenza e banda di conduzione, come: sup jVB ek v psup c red Wred ( EVB ) sup jVB ek v N VB cox Wox ( EVB ) sup jCB ek c N CB c red Wred ( ECB ) sup jCB ek c nsup cox Wox ( ECB ) 33 Da ulteriori analisi si possono modificare queste relazioni, includendo un termine di sovratensione (dovuta alla presenza della specie redox) Vover: eVover 0 jVB jVB exp kT 1 eVover 0 j CB j CB exp kT 1 In un semiconduttore, in condizioni di oscurità, si può registrare una corrente dovuta al moto termico dei portatori maggioritari. In condizioni di illuminazione la corrente aumenta ed è dominata dal trasferimento di portatori minoritari lungo l’interfaccia semiconduttore/elettrolita. 4.3.4. Fisica delle PEC in condizioni di illuminazione La maggior parte delle caratteristiche elencate fin’ora riguardano i semiconduttori, e l’interfaccia semiconduttore/elettrolita, in condizioni di equilibrio, ossia di oscurità. - Il “quasi-Fermi level” La Figura 3.16 mostra il diagramma energetico di una PEC in condizioni di oscurità e di illuminazione. In caso di oscurità, domina il potenziale elettrochimico della coppia redox H2O/O2 in soluzione. I livelli di Fermi del semiconduttore e del metallo, connessi elettricamente tramite un circuito esterno, si portano allo stesso potenziale, molto vicino a Eox. In seguito all’esposizione alla radiazione, all’interno del semiconduttore vengono generate delle coppie elettrone-lacuna, e il livello di Fermi si sposta verso l’alto di una quantità ΔVphoto, uguale al fotovoltaggio interno. Essendo il livello in una situazione di non equilibrio, soprattutto nella regione di carica spaziale del semiconduttore, in cui delle coppie elettrone-lacuna vengono costantemente prodotte, l’uso di un solo livello di Fermi diventa inappropriato. Figura 3.16. Diagramma energetico a bande per una PEC con fotoelettrodo di tipo-n connesso elettricamente cn il controelettrodo metallico; a sinistra si ha equilibrio; a destra è descritta la situazione in condizioni di illuminazione. 34 utile introdurre il concetto di “quasi-Fermi level” EF*, che esprime l’energia di Fermi degli elettroni e delle lacune in condizioni di non equilibrio; esso va inteso come la misura diretta della concentrazione di elettroni e lacune in una certa coordinata x del semiconduttore, ed è definito tramite le seguenti espressioni per le concentrazioni: È n n0 n N CB e ( E CB E F* ,n ) / kT p p 0 p N VB e (E * F ,p E VB ) / t in cui n0 e p0 sono le concentrazioni di portatori all’equilibrio, in condizioni di oscurità, mentre Δn e Δp sono i portatori aggiunti dall’illuminazione. Per un semiconduttore di tipo-n, n n0 n n0 e p p 0 p p , così che E F* ,n rimane praticamente piatta, mentre E F* , p , come si può vedere in Figura 3.16., varia parecchio passando dal bulk del semiconduttore alla regione attiva. - Caratteristiche tensione-fotocorrente La descrizione teorica delle caratteristiche tensione-fotocorrente è un aspetto controverso, e numerosi modelli e approcci differenti sono stati proposti. Secondo un modello sviluppato da Reichman, la fotocorrente totale presente nella banda di valenza di un semiconduttore di tipon è: eV jG j0 exp over kT jVB j eV 1 00 exp over jVB kT in cui jV0 è il tasso di trasferimento di lacune alla superficie, j0 è la densità di corrente di saturazione (la corrente di lacune in banda di valenza a x = W, spessore della zona di svuotamento, quando il flusso luminoso è uguale a 0), Vover è la sovratensione, definita come la differenza fra il potenziale applicato e il potenziale a circuito aperto in condizioni di illuminazione; jG è il valore di fotocorrente ottenuto con il metodo di Gärtner, e vale: exp W jG j0 e1 1 L p dove Φ è il flusso luminoso incidente, α è il coefficiente di assorbimento (assumendo radiazione monocromatica), Lp è il coefficiente di diffusione delle lacune. Il modello di Reichman include la possibilità di ricombinazione nella zona di carica spaziale, che diventa un fenomeno importante quando la fototensione è abbastanza elevata da appiattire i margini delle bande. Il valore della corrente di saturazione, j0 = (eLpNCNV / τND) exp{-Eg/kT} gioca un ruolo fondamentale nel modello, soprattutto per quanto riguarda 35 semiconduttori con bandgap stretto, bassa densità di elementi droganti e grande lunghezza propria di diffusione per le lacune. Questo modello però, considera solamente la fotocorrente dovuta ai portatori minoritari. In condizioni di banda piatta, anche la corrente dovuta ai portatori maggioritari diventa importante, come si può notare dalla presenza di corrente anche in condizioni di oscurità. Un’altra assunzione implicita fatta dal modello è l’assenza di limiti legati al trasporto di massa nell’elettrolita (che è abbastanza plausibile, soprattutto quando le soluzioni sono molto concentrate). Infine si esclude la possibilità di ricombinazione alla superficie di interfaccia semiconduttore/elettrolita. 3.4. Requisiti dei fotoelettrodi 3.4.1. Requisiti e compromessi L’aspetto più complicato nella progettazione di una cella fotoelettrochimica è la scelta dei materiali adatti per i fotoelettrodi. Sono necessari alcuni requisiti, spesso apparentemente in conflitto fra loro, per cui è necessario talvolta ricorrere a dei compromessi. La maggior parte dei requisiti richiesti ai materiali per i fotoelettrodi possono essere riassunti nei seguenti punti: Buon assorbimento luminoso (specialmente nel visibile) Alta stabilità chimica in condizioni sia di buio che di illuminazione Posizioni dei margini di banda che ben si sovrappongono ai potenziali redox dell’acqua Trasporto di carica efficiente nel semiconduttore Basse sovratensioni per la riduzione/ossidazione dell’acqua Costi economici a) Per quanto riguarda il primo punto, la regione spettrale in cui il semiconduttore è in grado di assorbire la luce dipende dal bandgap del materiale. Il minimo bandgap necessario per la fotoelettrolisi dell’acqua è dato dall’energia di legame della molecola (1,23 eV) a cui vanno aggiunte le perdite termodinamiche (0,3- 0,4 eV) e le sovratensioni richieste per garantire reazioni sufficientemente rapide in ogni punto del sistema (0,4 – 0,6 eV). Considerato ciò, il bandgap ideale dovrebbe corrispondere a circa 1,9 eV, che tradotto in lunghezze d’onda equivale a 650 nm. Al di sotto dei 400 nm però, l’irradianza spettrale diminuisce bruscamente, imponendo un limite di 3,1 eV per il bandgap. Il valore ottimale dal bandgap, dovrebbe essere così compreso fra 1,9 e 3,1 eV, includendo principalmente la regione visibile dello spettro solare. Da un analisi approfondita, Murphy e collaboratori, 36 hanno suggerito un bandgap ottimale di 2,03 eV, che corrisponde a un efficienza di conversione da energia solare a idrogeno del 16,8%. b) La stabilità chimica costituisce un requisito fondamentale che spesso limita l’utilità di molti materiali foto-attivi. Molti ossidi metallici semiconduttori, per esempio, si dissolvono in acqua, e altri formano strati impermeabili, rendendo impossibile il trasferimento di carica all’interfaccia. La tendenza generale di questi materiali è un aumento della stabilità rispetto alla (foto)corrosione con l’aumentare del bandgap. Nonostante questo sia in contrasto con il requisito di ampia banda di assorbimento, un bandgap piccolo e una buona stabilità chimica sono caratteristiche che talvolta coincidono. c) Pochissimi semiconduttori soddisfano il terzo requisito, e i pochi che lo fanno hanno un bandgap molto grande, e un’alta instabilità in soluzione acquosa. È doveroso far notare, per come sono state definite, sono i quasi-Fermi levels a dover sovrapporsi ai potenziali di ossidazione e di riduzione dell’acqua. d) Il quarto requisito, che riguarda il trasporto di carica efficiente, è facilmente soddisfatto da parecchi materiali, soprattutto gli ossidi metallici. Negli altri materiali esso è una causa principale di perdita di efficienza di conversione. Si possono solitamente distinguere fattori intrinseci ed estrinseci per quanto riguarda il trasporto di carica. La struttura elettronica a bande dei materiali fornisce degli indizi importanti per quanto riguarda le proprietà intrinseche. I fattori estrinseci, come i centri di ricombinazione, giocano spesso il ruolo più importante. La tendenza alla ricombinazione viene espressa in funzione della vita media dei portatori τR, o della lunghezza di diffusione, due grandezze legate dalla relazione LD D R ; la diffusività D dei portatori liberi è legata alla loro mobilità dalla legge di Nernst-Einstein: D kT e e) Il quinto requisito, implica per semiconduttori di tipo-n che il trasferimento delle lacune all’interfaccia semiconduttore/elettrolita sia abbastanza veloce da impedire la reazione di decomposizione anodica. In generale il trasporto di carica superficiale dovrebbe essere abbastanza veloce da impedire l’accumulo di carica alla superficie, in quanto ciò abbasserebbe il campo elettrico presente con il conseguente aumento del tasso di ricombinazione elettroni-lacune. In generale per migliorare il trasferimento di carica, vengono aggiunte delle sostanze catalitiche attive alla superficie. In questo momento non esiste nessun materiale in grado di soddisfare contemporaneamente tutti questi requisiti, ed è necessario ricorrere a dei compromessi fra: bandgap ↔ stabilità raccolta fotoni ↔ trasporto di carica 37 ricombinazione ↔ catalisi performance ↔ costi Del primo compromesso si è gia parlato. Per quanto riguarda il secondo, esso è fondamentale in quei semiconduttori, come gli ossidi metallici a bandgap indiretto, con basso coefficiente di assorbimento. In questi materiali la maggior parte delle coppie elettrone-lacuna vengono generate alla superficie, e la ricombinazione avviene spesso prima che i portatori abbiano raggiunto l’interfaccia. Il terzo compromesso riflette la tendenza da parte di importati elementi attivi catalitici di fungere anche da importanti siti di ricombinazione. 38 Capitolo IV Efficienze di conversione solare Introduzione L’utilità della foto-elettrolisi dell’acqua è determinata fondamentalmente dall’efficienza con cui l’energia solare viene convertita in energia chimica, sotto forma di combustibile (idrogeno molecolare). Nel caso della dissociazione fotoelettrochimica dell’acqua, i fattori principali che concorrono a determinarne l’efficienza sono le proprietà ossido-riduttive dell’elettrolita, la raccolta della luce e le proprietà di utilizzo dei materiali foto-assorbenti (fotoelettrodo/i o particelle sparse). Per stabilire le caratteristiche di questi ultimi bisogna studiare inoltre l’efficienza legata alla foto-produzione di portatori di carica, all’inserimento e il trasporto di carica nel circuito esterno, e l’immagazzinamento di energia chimica a partire dalle cariche prodotte. L’efficienza relativa al processo di conversione luce-energia elettrica trova spontaneamente le basi nel processo fotovoltaico, ed esistono dei modi standard per determinarne l’efficienza. Per quanto riguarda la conversione di luce in energia chimica il discorso si fa ben più articolato e complesso, a causa delle numerose diverse definizioni e configurazioni di cella utilizzate. In questo capitolo saranno mostrati i limiti teorici per quanto riguarda l’efficienza di conversione di energia solare, e gli approcci più ragionevoli per quanto riguarda il calcolo dell’efficienza dei dispositivi reali. Il rendimento di un sistema di conversione dell’energia solare è sempre influenzato in qualche modo dalla natura dei suoi prodotti. Confrontare il rendimento di un sistema che trasforma l’energia solare in energia chimica con il rendimento di un altro sistema, che per esempio produce energia elettrica, costituisce un operazione non banale e soprattutto ambigua. È necessario sviluppare delle linee guida, le quali consentano di confrontare in maniera lecita e univoca i rendimenti ottenuti per dispositivi diversi, o tramite approcci differenti . In generale, l’efficienza di fotoconversione totale può essere definita come il rapporto fra il massimo valore di energia che può essere ottenuto dai prodotti finali (nel nostro caso dalla combustione dell’H2), rispetto all’energia luminosa totale fornita in ingresso. Una definizione del tutto simile prende in considerazione le potenze, al posto delle energie. 39 Siccome qualsiasi sistema fotoelettrolitico opera utilizzando l’energia solare, prima di introdurre le varie metodologie di calcolo dell’efficienza, è utile dare uno sguardo ai limiti fisici dell’energia solare ed esaminare il caso ideale di conversione di energia solare in energia chimica sotto forma di idrogeno. 4.1. Il caso ideale La quantità di energia solare disponibile per la conversione dipende fondamentalmente dalla posizione relativa della superficie assorbente rispetto al Sole, e dalle condizioni atmosferiche. L’irradianza spettrale P(λ) del Sole, ossia la densità di potenza in funzione della lunghezza d’onda, misurata in condizioni di AM 1.5 appare come in questa figura: Figura 4.1. Spettro di irradianza solare misurato a AM 1.5. e l’irradianza totale vale circa 964,1 W/m2. D’ora in poi verrà considerato lo spettro normalizzato a 1000 W/m2, una quantità a cui generalmente ci si riferisce come “1 sole”. La dissociazione fotoelettrochimica dell’acqua è rappresentata dalla seguente reazione: e perché essa avvenga è necessario fornire un energia di 1,229 eV per elettrone. Sono necessari come minimo due fotoni per poter generare una molecola di idrogeno. 1,229 eV 40 corrispondono a una lunghezza d’onda λmin di 1010 nm, e quindi circa il 77% dello spettro solare può essere utilizzato per dissociare la molecola d’acqua. Il parametro fondamentale che stabilisce la capacità di raccogliere la radiazione luminosa da parte di un fotoelettrodo è il bandgap caratteristico del materiale di cui esso è composto. Esistono diversi fattori di perdita energetica che sono comuni a tutti i processi di conversione solare che utilizzano semiconduttori: a) primo fra tutti, il fatto che soltanto fotoni con energie superiori al bandgap E>Eg (o in maniera equivalente con lunghezze d’onda inferiori a λg; λ < λg) possono essere utilizzati per la reazione, mentre il resto viene perduto; b) dell’energia per fotone che viene assorbita, la quantità in eccesso data dalla differenza E - Eg viene perduta come calore, in seguito al rilassamento del portatore verso l’energia Eg; c) l’energia dello stato eccitato è dal punto di vista termodinamico un’energia interna che entra in gioco soprattutto per il suo contributo nel termine di entropia, mentre soltanto una parte (tipicamente 75%) di questa energia è convertita in lavoro (elettrico) o immagazzinata come energia chimica. d) nonostante siano solitamente trascurabili, perdite dovute a emissione spontanea (es. fluorescenza) possono contribuire a limitare l’efficienza. 4.1.1. Limite teorico generale per l’efficienza delle celle solari Il rendimento delle celle solari dipende in maniera diretta dal fotovoltaggio che essa è in grado di generare agli elettrodi in seguito all’illuminazione. Esiste comunque un limite termodinamico, spesso chiamato limite di bilancio dettagliato, sul fotovoltaggio, che si ripercuote sull’efficienza di conversione della cella. La teoria prevede un limite inferiore al tasso di ricombinazione delle coppie elettrone-lacuna, che non può essere superato; la trattazione è basata sui seguenti concetti. In condizioni di oscurità, all’equilibrio, il flusso di fotoni di ricombinazione, indicato con Fr,dark , relativo a ciascun piano di una cella ideale è uguale al flusso di fotoni Fbb emesso per unità di area e di tempo da un corpo nero alla stessa temperatura; in formule si ha: 1 Fr ,dark hc Fbb (2 cn / exp 1 ( )d kT 2 r 4 dove λ è la lunghezza d’onda, nr è l’indice di rifrazione del corpo nero e σ(λ) è la probabilità di assorbimento, che vale 1 per λ λg e 0 per λ λg. Assumendo che il flusso di fotoni di 41 ricombinazione Fr in condizioni di illuminazione, sia proporzionale a (np – ni2), in condizioni di non equilibrio esso è dato da: ~ Fr Fbb exp kT dove ~ è la differenza fra i “quasi-Fermi level” degli elettroni e delle lacune. Il flusso di fotoni di radiazione di eccitazione assorbito dal semiconduttore è dato invece dalla seguente relazione: Fe f 0 ( )d dove f 0 è il flusso spettrale di fotoni incidenti. La massima differenza fra i due “quasiFermi levels”, indicata con ~max , corrispondente al massimo fotovoltaggio ottenibile in una cella, si ottiene quando Fr Fe . Mettendo assieme tutte queste relazioni si ottiene un espressione per questa quantità: j ~max kT ln e jbb Da quest’equazione si può notare come il fotovoltaggio ottenibile sia sempre inferiore al bandgap. Se si definisce l’efficienza come il rapporto fra la potenza in uscita e quella in ingresso, è necessario considerare la condizione di massima potenza in uscita come caso particolare. La figura 4.2 mostra il grafico tensione-corrente in condizione di oscurità e di luce, per una cella elettrochimica. Figura 4.2. Curva tensione-corrente in condizione di oscurità e di luce, per una cella elettrochimica. 42 Si può notare come in condizioni di massima potenza in uscita il fotovoltaggio sia inferiore al potenziale massimo appena calcolato, ed è quindi necessario introdurre un’energia ~mp al posto di ~ . max In accordo con la teoria di Ross e Hsiao (1977), in condizioni di massima potenza si ha: kT P Fe 1 ~ ~mp max con ~ ~mp ~max kT ln max kT Si hanno ora a disposizione tutte le informazioni per calcolare l’efficienza limite della cella. Assumendo che tutti i portatori minoritari creati siano trasferiti lungo l’interfaccia (equivale a dire che si ha efficienza quantistica uguale a 1), la densità di fotocorrente nella cella vale esattamente j ph Fe e , dove e è la carica dell’elettrone. Il rendimento massimo può essere calcolato come: ~ Pout Fe e mp P0 P0 dove P0 è la potenza totale ricevuta per unità di superficie, mentre le altre quantità sono calcolabili a partire dalle equazioni scritte in precedenza. Figura 4.3. Efficienza teorica calcolata per una cella con singolo fotosistema semiconduttore. 43 La Figura 4.3 mostra l’efficienza limite ideale calcolata per quanto riguarda dispositivi caratterizzati da un solo bandgap. Si può notare un massimo di circa 33% vicino ai 900 nm. Questo valore può essere aumentato con dispositivi caratterizzati da due fotosistemi. 4.1.2. Limite teorico per l’efficienza di immagazzinamento di energia solare Se l’energia solare è immagazzinata come combustibile, come nel nostro caso in H2, è necessario tenere in considerazione ulteriori perdite, derivanti dalle sovratensioni incontrate. Definisco le due sovratensioni Vred e Vox, rispettivamente come la differenza fra i quasiFermi level e i corrispondenti potenziali redox. Usando l’espressione per la potenza, introdotta nel paragrafo precedente, posso scrivere l’efficienza di conversione come: conv j Pstor kT ph 1 ~ ~stor P0 P0 max in cui ~stor è l’energia immagazzinabile. In quest’espressione si sta assumendo che ~mp ~stor eVox eVred D’altra parte, la potenza immagazzinata è nulla se: ~ eV eV stor ox red ~max Studiando comportamento di Pstor vicino allo zero, nell’intervallo compreso fra ~mp e ~max , si ha: ~ eVox eVred ~max Pstor j ph 1 exp stor kT ~ stor Nell’intervallo in cui quest’equazione è valida, la differenza fra i quasi-Fermi level ~ dovrebbe essere abbastanza piccola, in modo da evitare perdite per ricombinazione; in altre parole ~ ~stor eVox eVred . Nel caso dell’acqua il valore di ~stor è 1,23 eV. Il seguente grafico mostra le curve di efficienza calcolate per varie sovratensioni in funzione del bandgap, utilizzando l’approccio appena esposto. La curva (a) in figura è stata calcolata per una cella consistente in un fotoelettrodo semiconduttore di tipo-n e un controelettrodo metallico, cortocircuitati fra loro. I dati (b) sono riferiti ad una cella composta da due elettrodi semiconduttori di cui uno tipo-n (per la semireazione di ossidazione) e l’altro di tipo-p (per la riduzione) di uguale bandgap. Si può notare come in entrambi i casi l’efficienza decresca con l’aumentare delle sovratensioni. 44 Figura 4.4. Efficienze di conversione teoriche per celle fotoelettrochimiche; (a) fotoelettrodo di tipo-n combinato a un controelettrodo metallico; (b) fotoelettrodo di tipo-n cortocircuitato con un altro fotoelettrodo di tipo-p di uguale bandgap. Calcolato per sovratensioni di a) 0 V; b) 0,3 V; c) 0,5 V; d) 0,7 V. Fonte: Memming (1990) 4.1.3. L’efficienza della conversione fotoelettrochimica Nel caso di celle fotoelettrolitiche a semiconduttore, i tre processi fondamentali che portano alla dissociazione dell’acqua sono: - assorbimento di fotoni di energia E > Eg; - conversione dei fotoni assorbiti in portatori di carica: coppie elettrone-lacuna (eventualmente stati eccitati o eccitoni); - utilizzazione delle cariche così prodotte (eventualmente conversione degli stati eccitati) per condurre l’elettrolisi. L’efficienza dell’intero processo di conversione dell’energia solare, indicata con ε0, può essere quindi espressa come il prodotto di tre diverse efficienze, legate ai processi appena citati: 0 g c dove indichiamo - con εg, l’efficienza di irradianza solare, definita come la frazione di irradianza solare incidente per la quale E > Eg; in formule avremo 45 g g Fg Eg P0 Eg P ( ) 0 (hc / ) d oppure P( )d g Eg 0 N ( E )dE Eg E N ( E )dE 0 dove N(E) è la distribuzione energetica dei fotoni. - con l’efficienza quantistica, data da NE NT in cui NE è il numero di fotoni utilizzati per generare una coppia elettronelacuna, mentre NT è il numero totale di fotoni assorbiti. Il valore 1 rappresenta il caso ideale in cui sono utilizzati tutti fotoni con E > Eg. - con εc, l’efficienza chimica, che rappresenta la frazione di energia proveniente da stati eccitati che viene convertita ed immagazzinata come energia chimica. In formule c E g Eloss Eg dove Eloss è l’energia perduta per molecola in tutto il processo di conversione fotochimica. Eloss avrà sempre un valore maggiore di 0, dovuto al fatto che si assiste a una variazione entropica durante il processo. Nel caso ideale ( 1 ) essa assume il valore Eg – (ΔG0 / n), dove n è il numero di fotoni richiesti per attivare la reazione e ΔG0 è l’energia di Gibbs standard per la reazione. Il massimo valore dell’efficienza di irradianza solare, indicata con εg, corrisponde a circa il 10% in semiconduttori caratterizzati da un’energia di bandgap compresa fra 1.0 ≤ Eg ≤ 1.4 eV. Si può studiare il comportamento dell’efficienza totale massima nel caso ideale ( 1 ), sostituendo i termini appena introdotti. Si trova: 0 Fg G (1 loss ) P0 se E g G 0 Eloss in cui loss è il rendimento quantistico dato dal rapporto fra il numero di fotoni che vengono ri-irradiati e quelli che vengono assorbiti. Fg è il flusso di fotoni assorbito, ottenuto come: g Fg P ( ) (hc / ) d 0 46 Il rendimento totale è nullo quando E g G 0 Eloss , nel caso ideale. Altrimenti si ha un valore di loss corrispondente al massimo dell’efficienza, dato da loss [ln( Fg / Fbb )]1 , in cui Fbb è il flusso emesso (di corpo nero) al di sotto dell’energia di bandgap. Nonostante il valore minimo di bandgap necessario per la dissociazione dell’acqua sia 1,229 eV, dall’aumento di entropia citato per quanto riguarda Eloss, segue che in generale saranno necessari dei materiali con un bandgap più alto. L’efficienze massime di fotoconversione corrispondenti a diversi valori di Eloss sono mostrate in Figura 4.3. Per un’apparecchiatura che usa un singolo fotosistema (si ha un solo bandgap e l’assorbimento di due fotoni), in cui minimo due fotoni devono essere assorbiti perché avvenga la reazione, il limite ideale per ε0 è 30,7%, che corrisponde a una lunghezza d’onda di 775 nm (1,6 eV), e Eloss vale 0,38 eV. Questo significa che il minimo bandgap del fotoelettrodo richiesto è di 1,6 eV. Nel caso di un fotosistema doppio (che implica 2 bandgap diversi e quattro fotoni), l’efficienza può essere aumentata fino al 41%. 4.2. Il rendimento reale Nei casi reali, a differenza della trattazione ideale, si hanno perdite energetiche Eloss più grandi di 0,8 eV. Le origini di queste perdite sono da ricercare in diversi fattori: il trasporto di elettroni nel/i fotoelettrodo/i durante la separazione delle cariche, il trasporto di elettroni dal fotoelettrodo verso il controelettrodo (per materiali di tipo-n è dal fotoanodo verso il catodo), il trasporto di elettroni/lacune attraverso la superficie di separazione elettrolita/elettrodo, il riscaldamento per effetto Joule nel circuito esterno, e le sovratensioni agli elettrodi. Le sovratensioni associate agli elettrodi dipendono (anche matematicamente, a livello funzionale) dai meccanismi di reazione, dalla densità di corrente, dalla conformazione e dalle proprietà superficiali degli elettrodi, dalla temperatura, dalla composizione dell’elettrolita e altri simili fattori. Mettendo tutto assieme in una formula si ottiene la seguente espressione per Eloss: Eloss 0,5 e (Va Vc RI ) in cui Va ed Vc sono rispettivamente le sovratensioni anodica e catodica. Alla luce di tutte queste perdite, è spesso necessario un bandgap che vada da 2,0 a 2,5 eV. Nei casi pratici vengono raggiunti dei rendimenti di efficienza di conversione solare totale del 10% per sistemi con singolo bandgap e 2 fotoni, e un’efficienza del 16% per sistemi duali (2 materiali, quindi 2 bandgap) e 4 fotoni richiesti. 47 La seguente figura esprime il valore dell’efficienza calcolato per diversi materiali, in funzione dei loro bandgap. I calcoli sono effettuati tenendo in considerazione lo spettro solare in condizioni di air mass 1.5, o usando lo spettro di una lampada allo xeno, che simula la radiazione solare. Figura 4.5. Massima efficienza possibile in funzione del bandgap del semiconduttore; la curva continua è ottenuta con illuminazione solare in condizioni di AM 1.5, la curva tratteggiata è riferita a una lampada allo xeno. Nei casi reali i margini di assorbimento sono abbastanza variabili, in quanto i coefficienti di assorbimento dei semiconduttori variano al variare di λ, e decrescono all’avvicinarsi al bandgap. Il flusso di fotoni assorbito può essere espresso come: g Fx ( ) P ( )d dove ( ) 1 e k ( ) h 0 e in cui k è il coefficiente di assorbimento del semiconduttore, mentre h è lo spessore dello strato. Chiaramente se uno strato non è abbastanza spesso da far si che tutta la luce venga assorbita, si ha una perdita di efficienza. Altre fonti di perdita di efficienza sono la riflessione da parte dell’elettrolita e del contenitore, nonché l’assorbimento da parte dell’elettrolita. Le celle solari fotoelettrochimiche possono essere impiegate sia per la produzione di energia elettrica che per la produzione di idrogeno per dissociazione dell’acqua. In entrambi i casi, l’energia libera prodotta è legata al fotovoltaggio agli elettrodi, il quale è necessario a guidare i portatori attraverso il circuito, e a fornire le cariche elettriche utilizzate nella produzione di idrogeno/ossigeno. Il valore della tensione che verrà utilizzato per la caratterizzazione delle celle è il voltaggio a circuito aperto, indicato con Voc. In condizioni di cortocircuito il fotovoltaggio si annulla e la corrente diventa massima (Isc). 48 In condizioni di buio e di cortocircuito, i livelli di Fermi dell’elettrodo semiconduttore e del controelettrodo, e il potenziale redox dell’elettrolita si equivalgono, mentre le bande di conduzione e di valenza sono piegate verso EF – EF,redox (dove EF è il livello di Fermi del semiconduttore, mentre EF,redox è il potenziale redox delle coppie in soluzione). L’altezza della barriera rappresenta il limite superiore del voltaggio a circuito aperto, che può essere raggiunto in condizioni di irraggiamento intenso. In seguito all’esposizione alla luce, nel caso di materiali di tipo-n, la popolazione di elettroni in banda di conduzione aumenta, il livello di Fermi si sposta verso di essa, e la curvatura della banda diminuisce. In queste condizioni, la differenza fra il potenziale elettrochimico degli elettroni del semiconduttore (quasi-Fermi level) e il potenziale chimico degli elettroni in soluzione (potenziale redox) da il voltaggio a circuito aperto, che indico con VOC. Questa grandezza non può superare il valore |EF – EVB| per il fotoanodo, in cui EVB è l’energia superiore della banda di valenza. Inoltre, il potenziale VOC non può mai essere più grande dell’energia di bandgap. Tutto ciò è una diretta conseguenza del fatto che l’energia degli stati eccitati può essere considerata termodinamicamente come un’energia interna, e non come un’energia di Gibbs dovuta a un termine entropico ( ΔG = U + PV – TΔS ). Più del 75% dell’energia interna può essere convertita in energia libera. Quindi, materiali con bandgap più alti sono più utili, per quanto riguarda la dissociazione dell’acqua, in quanto forniscono una tensione a circuito aperto elevata la quale da sola basta per lo scopo, e si evita quindi l’utilizzo di generatori esterni. Va comunque detto che all’aumentare del band gap, i materiali sfruttano una parte sempre più piccola dello spettro solare, e quindi bisogna cercare un compromesso. Nei casi pratici, valori di VOC superiori a 1 Volt sono molto comuni. 4.2.1 Impostazione del problema La formula per il calcolo dell’efficienza definita nel paragrafo precedente, è utile solamente in casi ideali. Per scopi pratici, quando si vuole misurare l’efficienza di conversione in idrogeno, si preferisce utilizzare un metodo più diretto, basato sulla misura sperimentale di idrogeno prodotto; l’efficienza è sempre espressa come rapporto fra la potenza in uscita e la quella assorbita; si ha G 0 RH 2 0 P0 in cui RH2 è tasso di produzione (in moli al secondo) di idrogeno, misurato sperimentalmente con spettroscopia di massa e cromatografia, in condizioni standard per unità di superficie del fotoelettrodo. L’energia di Gibbs standard vale ΔG0 = 237,2 kJ/mole a 25°C e 1 bar, mentre Po è la di potenza di illuminazione. Il numeratore rappresenta la potenza in uscita prodotta dalla cella sotto forma di idrogeno combustibile, e l’intera equazione è basata sull’assunzione 49 che l’energia libera ΔG0 possa essere interamente recuperata in un ideale cella a combustibile utilizzatrice, che bruci i prodotti della fotoelettrolisi. Al posto dell’energia libera ΔG0, può essere talvolta utilizzata anche l’entalpia standard ΔH0 della reazione di dissociazione dell’acqua. In questo caso si assume che il calore della dissociazione dell’acqua sia completamente recuperato bruciando l’idrogeno. A 25°C e 1 bar, si ha ΔH0 = 285 kJ/mole. Nella maggior pare dei casi la forma più utilizzata è quella con ΔG0. Se jph è la densità di fotocorrente responsabile della generazione dell’idrogeno al tasso RH2, allora in condizioni di conversione di Faraday (il caso ideale in cui tutti i portatori di carica sono coinvolti nelle reazioni agli elettrodi) RH2= jph / nF. Il voltaggio corrispondente all’energia di Gibbs standard è Vrev = ΔG0 / nF = 1,229 V ed n, il numero di moli di elettroni necessarie a produrre una mole di idrogeno, è uguale a 2. Mettendo assieme tutte queste relazioni si trova la seguente espressione 0 1,229 j ph P0 Se invece dell’energia di Gibbs utilizzo l’entalpia ΔH0, dovrò sostituire 1,229 V con 1,482 V. - Calcolo dell’efficienza di conversione in presenza di bias esterno La dissociazione spontanea dell’acqua in seguito all’illuminazione solare, necessita di semiconduttori con appropriate affinità elettronica e condizioni di banda piatta. Le posizioni di banda cambiano al variare del pH dell’elettrolita. In molti casi è quindi necessario un aiuto (un bias) esterno, di natura elettrica o chimica, il cui contributo va sottratto alla formula precedente. In caso di bias elettrico, la relazione diventa: Efficienza potenza immagazzinata (in idrogeno) potenza di bias potenza solare in ingresso che in formule diventa 0 G 0 RH 2 Vbias j ph P0 oppure 0 (1,229 V Vbias ) j ph P0 Alla base di questa definizione sta il fatto che una cella a combustibile alimentata dai prodotti della cella fotoelettrochimica fornisca parte della sua energia prodotta al cella stessa, come bias elettrico. Questo sistema combinato deve avere un output in energia positivo e consistente, per essere considerato utile. 50 4.2.2 L’efficienza quantistica: IPCE e APCE Un parametro molto utile per valutare le prestazioni di una cella fotoelettrochimica è l’IPCE (acronimo di Incident Photon to Current conversion Efficiency), che è una misura della capacità effettiva della cella di convertire i fotoni incidenti in una fotocorrente, circolante fra l’elettrodo di lavoro e il controelettrodo. L’IPCE è anche chiamata efficienza quantistica esterna. In formule essa può essere definita in maniera equivalente nei seguenti modi: j ph ( ) IPCE ( ) hc j ph ( ) IPCE ( ) e P ( ) IPCE ( ) 1240 eF ( ) j ph ( ) P ( ) in cui jph(λ) è la densità di fotocorrente alla lunghezza d’onda λ. L’IPCE diventa 1 quando ogni fotone genera una coppia elettrone-lacuna. Nei casi pratici l’efficienza quantistica è sempre inferiore a 1, a causa di riflessioni, assorbimento parziale o ricombinazione di portatori di carica nel semiconduttore, ecc. L’IPCE è calcolata misurando la corrente in una cella in cui ho una lunghezza d’onda (o un piccolo intervallo, solitamente di 12 nm) incidente di potenza spettrale nota P(λ). Essa è solitamente misurata per il voltaggio di bias corrispondente al punto di massima potenza Vmp (che coincide con il fotovoltaggio del punto di massima efficienza). Per esempio il grafico seguente mostra l’IPCE di un array di nanotubi in titanio, con voltaggio di bias uguale a 0,5 V, e illuminato con una lampada allo xeno da 300 W con monocromatore e un passo di misura uguale a 4 nm: Figura 4.6. Andamento dell’IPCE in funzione della lunghezza d’onda, in un fotoelettrodo in nanotubi di titanio 51 Questo particolare materiale ha un bandgap di circa 3,0- 3,2 eV, e quindi l’IPCE tende a zero alle lunghezze d’onda corrispondenti al bandgap. L’IPCE, oltre all’efficienza, permette di stimare la fotocorrente totale di una cella fotoelettrolitica sotto ogni tipo di illuminazione, per esempio lo spettro solare totale. Se per esempio jph(λ) è la densità di corrente relativa a una particolare λ, lo spettro della fotocorrente corrispondente a una particolare distribuzione di energia può essere calcolato moltiplicando l’IPCE per la densità di flusso corrispondente a quella distribuzione. j ph ( ) d IPCE ( ) F ( ) e d per esempio, lo spettro di fotocorrente solare relativo al fotoanodo in nanotubi di titanio calcolato con la formula precedente, è mostrato nel grafico seguente. Figura 4.7. (a) Spettro di fotocorrente solare in un fotoelettrodo in nanotubi di titanio; (b) fotocorrente totale ottenuta integrando la curva (a) su tutto lo spettro solare. La fotocorrente totale ottenuta da quest’elettrodo, quando esposto alla radiazione solare (viene usata come densità spettrale quella teorica, ottenuta dalla legge del corpo nero), si calcola come: j ph 0 j ph ( ) d 0 [ IPCE ( ) F ( ) e] d La curva (b) in Figura 4.7 è ottenuta come l’integrale della curva (a). Come si può nel grafico, jph = 847 μA/cm2; le misure sperimentali sono in perfetto accordo con questi valori (Pennsylvania college, latitudine 40.79°N, longitudine 77,86°W, il 3 aprile 2007 alle 3:00 PM, con condizioni di cielo limpido e irradianza di 950 W/m2). 52 L’efficienza di fotoconversione solare può essere misurata sostituendo la fotocorrente così ottenuta nella formula per l’efficienza introdotta nel paragrafo precedente: [ IPCE ( ) F ( ) e] d e 0 (1.229 V Vbias ) 0 hc P 0 Questa forma modificata costituisce la relazione più accettabile per calcolare l’efficienza di fotoconversione. Con un bias di 0,51 V, l’efficienza totale di fotoconversione solare calcolata per elettrodi in nanotubi in titanio (di spessore 6 μm) vale circa 0,6%. Un altro parametro di interesse, usato per quanto riguarda l’efficienza delle celle fotoelettrochimiche è l’efficienza di conversione da fotone assorbito a corrente. Essa è indicata con APCE (acronimo di Absorbed Photon to Current conversion Efficiency), ed è spesso chiama anche efficienza quantistica interna. Quest’efficienza è definita come il numero di elettroni (o di lacune) raccolti per fotone assorbito. Essa è calcolata considerando perdite per riflessione, assorbimento parziale, diffusione, ecc, ed è legata all’IPCE dalla seguente relazione: APCE ( ) IPCE ( ) IPCE ( ) A( ) 1 R T in cui A, R e T sono rispettivamente l’assorbimento ottico e i coefficienti di riflessione e trasmissione del materiale. Considerando l’efficienza LHE di raccolta della luce (Light Harvesting Efficiency), espressa come: LHE 1 1 10 a in cui a è l’assorbanza del materiale, posso riscrivere l’APCE come: APCE ( ) IPCE ( ) IPCE ( ) LHE ( ) 1 10 a L’APCE è il parametro più utile quando si deve valutare il tasso di ricombinazione all’interno del semiconduttore. L’IPCE, come si è visto, è utile a fornire una stima appropriata dell’efficienza di conversione dei dispositivi solari. L’IPCE e l’APCE possono entrambi avere dei valori molto vicini al 100%. Come è stato detto in precedenza, la massima efficienza di fotoconversione legata a una cella fotoelettrolitica ideale a singolo bandgap è del 30,7%. Anche se stabile, le efficienze di fotoconversione della maggior parte dei semiconduttori sono basse, solitamente al di sotto del 2%, a causa dei oro elevati bandgap. 53 4.2.3 Approcci alternativi Le definizioni introdotte fin’ora danno una misura termodinamica dell’efficienza, e sono generalmente applicate a configurazioni a due elettrodi. I diversi gruppi di ricerca operano comunque seguendo approcci diversi fra loro, specialmente quando è utilizzata una geometria a tre elettrodi. In laboratorio, gli studi sulla fotoelettrolisi dell’acqua vengono spesso condotti con geometrie di cella a tre elettrodi, con lo scopo di isolare e studiare più in dettaglio le semireazioni e i fenomeni ai fotoelettrodi. La geometria a tre elettrodi si differenzia da quella a due per l’introduzione di un elettrodo di riferimento, la cui scelta diventa fondamentale. A livello internazionale viene quasi sempre utilizzato come elettrodo di riferimento l’SCE, anche se si preferisce esprimere i potenziali rispetto alla scala dell’NHE (il potenziale del SCE vale 0,232 V rispetto all’NHE). - I. Primo metodo - risparmio di potenza Un primo approccio di calcolo dell’efficienza si basa sul concetto di potenza elettrica salvata; si indica con questo termine la differenza fra la potenza elettrica ottenuta usando la luce in un processo fotoelettrolitico e quella ottenuta utilizzando invece elettrodi otticamente inerti. In formule si può scrivere: P V j 0 saved saved P0 P0 Il metodo si realizza misurando la corrente in un fotoelettrodo a semiconduttore (uno qualsiasi, anodo o catodo) a vari potenziali applicati, e ripetendo ogni misura rimpiazzando al posto del semiconduttore un elettrodo in normale metallo, per esempio platino. Il seguente grafico corrente-tensione riguarda un catodo di tipo-p in 1 M HClO4 per la produzione di idrogeno, e la stessa relazione se si sostituisce l’elettrodo con uno in platino. Figura 4.8. Caratteristiche tensione-corrente di un fotocatodo di tipo-p e quelle ottenute con un elettrodo in platino otticamente inerte. 54 La Figura 4.8. spiega graficamente il calcolo dell’efficienza, utilizzando quest’approccio: l’area del rettangolo riempito rappresenta la massima potenza risparmiata dal processo di fotoelettrolisi. La potenza salvata Psaved per una particolare densità di corrente j, è uguale a Vsaved · j, in cui Vsaved è la differenza fra i vari voltaggi relativi agli elettrodi in semiconduttore e in metallo. Il grafico seguente rappresenta la reazione fra la foto-corrente e l’efficienza: Figura 4.9. Efficienza calcolata a varie densità di corrente, utilizzando gi stessi dati di figura 4.8. La potenza è massima quando entrambi gli elettrodi operano in condizioni di massima corrente (jmp); chiamo Vmp voltaggio corrispondente al punto di massima potenza di conversione del processo fotoelettrolitico. La potenza massima salvata, rappresentata dall’area colorata del grafico in Figura 4.8, vale quindi: 0, max power Vmp j mp P0 in cui ΔVmp = Vsaved(mp) rappresenta la differenza fra voltaggi relativi ai due elettrodi (semiconduttore e metallo) nel punto di massima potenza di conversione. Per esempio, in esperimenti con fotocatodi fati di InP (semiconduttore di tipo-p), Heller e Vadimsky hanno ottenuto una corrente di 23,5 mA/cm2 nel punto di massima potenza. È stato applicato un voltaggio di 0,11 V (rispetto allo SCE) nel caso dell’elettrodo in InP, e un voltaggio di -0,33 V (rispetto allo SCE) nel caso dell’elettrodo di platino, per ottenere tale corrente. Così, il voltaggio massimo è di ΔVmp =0,11-(-0,33) V = 0,43 V, mentre la potenza salvata è Psaved =0,43 V x 23,5 mA/cm2 = 10,1 mW/cm2. Siccome è stata utilizzata una illuminazione solare di 84,7 mW/cm2, l’efficienza è dell’11,9%. Il problema nell’utilizzare quest’approccio consiste nel fatto che nelle equazioni precedenti, il termine di potenziale contiene implicitamente le perdite dovute a sovratensioni. 55 Si possono utilizzare materiali altamente catalitici, con basse sovratensioni, altrimenti finisce che la stima dell’efficienza viene esagerata, spesso in maniera inquantificabile. - II. Secondo metodo Un secondo approccio è quasi del tutto identico al primo, tranne per il fatto che si evita l’utilizzo di metalli nobili come elettrodi di riferimento e trascurando così le perdite di sovratensione agli elettrodi. In questo metodo viene calcolata la differenza tra la tensione applicata all’elettrodo di riferimento di idrogeno (o di ossigeno) e il potenziale generato all’anodo (o al catodo) di una cella a combustibile ideale (in altre parole il potenziale standard di tale elettrodo). Nel caso di un fotoanodo costituito da semiconduttore di tipo-n, si avrà: 0 (Vapp VH02 ) j ph (evoluzione dell’idrogeno al fotocatodo) P0 oppure 0 (Vox0 Vapp ) j ph (evoluzione dell’ossigeno al fotoanodo) P0 dove Vox0 e VH02 rappresentano i potenziali standard degli elettrodi in idrogeno e ossigeno. Vox0 vale +0,401 V rispetto all’NHE in elettrolita alcalino (pH=14) e +1,229 V rispetto all’NHE in elettrolita acido (pH=0). I corrispondenti valori per VH02 sono -0,828 V (rispetto all’NHE) e 0 (rispetto all’NHE). Per citare un esempio, Ang e Sammells, hanno ottenuto una fotocorrente di 24 mA in un catodo di InP (semiconduttore di tipo-p) utilizzando un voltaggio di -0,65 V rispetto allo SCE (oppure di 0,408 V rispetto all’NHE) immerso in un elettrolita di KOH.. Così l’efficienza calcolata utilizzando le equazioni precedenti, con VH02 =0,828 V rispetto all’NHE, vale 10,1%. - III. Terzo metodo Un ulteriore elaborazione della definizione di efficienza appena presentata, è quella in cui si prende come Vapp il valore assoluto della differenza fra il potenziale Vmeas dell’elettrodo di lavoro (misurato rispetto a un elettrodo di riferimento), e il potenziale di circuito aperto Voc (misurato rispetto allo stesso elettrodo di riferimento e sotto le stesse condizioni: illuminazione, natura dell’elettrolita ecc...). Nel caso di un fotoanodo a semiconduttore, in cui avviene l’evoluzione dell’ossigeno, l’efficienza può essere calcolata come: 0 0 (Vrev | Vapp |) j ph P0 56 0 0 (Vrev | Vmeas Vaoc |) j ph P0 0 dove Vrev 1,229V è il potenziale reversibile standard per la dissociazione dell’acqua e Vaoc è il potenziale anodico di circuito aperto. Il termine Vmeas - Vaoc è giustificato dal fatto che Vaoc contiene al suo interno il contributo dato dall’illuminazione rispetto al minimo voltaggio necessario per la dissociazione dell’acqua (1,229 V), mentre il potenziale anodico Vmeas, misurato in condizioni di lavoro, contiene implicitamente i contributi dei potenziali di circuito aperto e di bias, applicati da un potenziostato esterno. Da ciò deriva l’assunzione fatta per cui Vmeas = Vapp + Vaoc. Il termine |Vmeas - Vaoc| fa si che le relazioni appena scritte per l’efficienza siano indipendenti dal pH dell’elettrolita e dal tipo di elettrodo di riferimento utilizzato, ed è 0 quindi giustificato l’uso di Vrev . Questo metodo è comunemente utilizzato, ma non accettato dall’intera comunità scientifica, a causa dello scetticismo che ruota attorno alle stime di efficienza così ottenute, ritenute troppo grandi e esagerate. Sia nella configurazione a due elettrodi che in quella a tre, la misura della tensione fra l’elettrodo di lavoro e il controelettrodo costituisce il voltaggio istantaneo di bias Vapp(wc) applicato. Nella pratica, quanto viene utilizzato un potenziostato per fornire un bias esterno al fotoelettrodo, la quantità Vapp(wc) misurata può però superare il voltaggio di bias calcolato come Vapp = Vmeas - Vaoc rispetto all’elettrodo di riferimento. Ciò mette in evidenza che come l’uso di questo termine nell’espressione precedente possa effettivamente condurre ad un valore dell’efficienza maggiore rispetto a quello che si ottiene utilizzando direttamente Vapp(wc); in genere si preferisce utilizzare le formule generali introdotte all’inizio del paragrafo, ossia 0 G 0 RH 2 Vbias j ph P0 in cui Vbias = Vapp(wc). In Figura 4.10. è possibile vedere un confronto fra le efficienze calcolate con i tre metodi appena esposti. Come fotoanodo è stato usato un film di un reticolo a nanotubi di titanio policristallino sopra un foglio di titanio, come controelettrodo è stato usato del platino, e come elettrolita una soluzione 1 M di KOH. Nella configurazione a tre elettrodi è stato utilizzato come riferimento un elettrodi di Ag/AgCl, per misurare la tensione al fotoanodo. Il bandgap del titanio va da 3,0 a 3,2 eV, ed è stato illuminato da una lampada da 50 W ibrida che produce luce ultravioletta. Per la configurazione a due elettrodi è stato applicato un bias elettrico esterno. L’asse x del grafico mostra: il voltaggio misurato fra l’elettrodo di lavoro 57 (array di nanotubi di titanio) e il controelettrodo, nel caso del metodo I; il voltaggio fra il fotoanodo e l’elettrodo di riferimento in Ag/AgCl nel caso dei metodi II e III. Figura 4.10. Efficienza in condizioni di illuminazione UV, per una cella composta da fotoanodo in nanotubi di titanio e controelettrodo in Pt. Il calcolo dell’efficienza utilizzando il primo metodo è effettuato su una cella a due elettrodi, mentre per gli altri due metodi è stata usata una cella a tre elettrodi Dalla figura 4.10 è possibile notare come l’ultimo metodo proposto dia effettivamente la stima più grande per l’efficienza (9,5% rispetto al 7% calcolato con il primo metodo e la configurazione a due elettrodi). Nonostante i valori relativi possano variare rispetto alle condizioni sperimentali, tutto ciò ci mostra come un certo grado di esagerazione sia introdotto dal terzo metodo. La figura sopra mostra che l’efficienza calcolata usando il metodo I, con una geometria a due elettrodi, presenta un massimo per Vbias = +0,65V. Nel caso della geometria a tre elettrodi invece, il bias è calcolato come Vapp = Vmeas - Vaoc. Con una tensione Vaoc = -0,98 V (rispetto all’ Ag/AgCl) e una tensione Vmeas = 0,5V (rispetto all’ Ag/AgCl), corrispondenti al massimo dell’efficienza, Vapp assume il valore di 0,48 V. La tensione di bias applicata fra l’elettrodo di lavoro e il controelettrodo è sicuramente maggiore (di 0,17 V) rispetto alla tensione misurata fra l’elettrodo di lavoro e quello di riferimento. Alla luce di tutto ciò che è stato detto fin’ora si può affermare come la stima più plausibile dell’efficienza di una cella fotoelettrochimica, sia quella ottenuta utilizzando come Vbias semplicemente a tensione misurata fra elettrodo di lavoro e controelettrodo. Per ovviare a quest’inconveniente dovuto all’utilizzo di Vapp dell’approccio precedente, 0 0 si può sostituire Vrev con un termine Vrev + Vovervoltage, grazie al quale le perdite dovute a sovratensione sono sommate al lavoro in uscita sotto forma di idrogeno. Ma questo non permette di fornire delle stime realistiche per l’efficienza, in quanto essa tenderebbe ad 58 aumentare all’aumentare di Vovervoltage; inoltre, nella combustione dell’idrogeno non tutta l’energia (o il calore) può essere recuperata. Lo scetticismo riscontrato nei confronti dei metodi fin’ora esposti, deriva soprattutto dal fatto che essi permettono anche soluzioni negative per l’efficienza, in particolare quando il voltaggio ausiliario di bias supera 1,229 V. In questo caso il regime cambia da fotoelettrolisi a elettrolisi diretta, e l’energia minima necessaria alla scissione della molecola d’acqua è fornita completamente dall’esterno. 4.3. Cenni su altri metodi Oltre ai metodi fin’ora esposti, è possibile citare qualche altro approccio empirico talvolta utilizzato per il calcolo dell’efficienza di conversione solare nelle celle fotoelettrochimiche. Questi metodi possono non rappresentare direttamente l’abilità della cella di convertire l’energia luminosa del sole in energia chimica. 1. Una definizione per l’efficienza è a seguente: 0 0 Vrev j ph ( P0 Vbias j ph ) Questa relazione non da l’efficienza di conversione solare, bensì efficienza di produzione di combustibile. Come si può notare, infatti, il numeratore rappresenta la potenza istantanea ricavata dall’utilizzo dell’idrogeno prodotto in una fuel cell ideale, che lavora a una densità di corrente uguale a jph; il denominatore rappresenta invece la potenza istantanea impiegata per produrre il combustibile, ed è composto dalla somma della potenza solare ricevuta e della potenza elettrica ausiliaria fornita dall’esterno. Nel caso in cui la cella fotoelettrolitica fornisca il carburante a una cella a combustibile, e questa fornisca a sua volta una tensione di bias alla cella fotoelettrolitica, quest’ultima relazione va modificata come segue: 0 0 (Vrev Vbias ) j ph ( P0 Vbias j ph ) Essa non dipende dalla potenza luminosa ricevuta, e va a 0 per voltaggi di bias maggiori di 1,229 V (che possono essere riguadagnati in una cella a combustibile ideale). 2. Un metodo proposto recentemente, calcola la potenza in uscita di una cella a tre elettrodi considerando l’aumento di tensione fra catodo e anodo dovuto all’esposizione alla luce, sotto condizioni di bias esterno. In formule si ha: 59 0 j ph E P0 in cui jph è la densità di fotocorrente, ΔE è la differenza di potenziale fra l’elettrodo di lavoro e il controelettrodo in condizioni di illuminazione a cui è sottratta la differenza di potenziale fra gli stessi elettrodi ma misurata in condizioni di oscurità. È quindi il fotovoltaggio a cui è sottratto il voltaggio di buio. Quest’equazione nasce da un approccio concettuale, non ha alcuna base termodinamica, ed è particolarmente fuorviante. ΔE infatti non rappresenta necessariamente il comportamento di un campione, ma dipende soprattutto dalle condizioni sperimentali. Inoltre l’idrogeno prodotto da una fotocorrente jph, se bruciato, può ridare una potenza superiore a jph ΔE. 3. Un altro metodo è introdotto per i casi in cui è utilizzato un bias chimico al posto del bias elettrico di cui abbiamo parlato fin’ora. L’efficienza è qui definita in termini di calore di combustione per 1 mole di idrogeno (285,6 kJ) e di neutralizzazione di due moli di H+ (117,6 kJ); la relazione è la seguente: j ph 0 nF (285600 117600) P0 in cui n=2, F è la costante di Faraday F = 96485 C. Nel caso di geometria a due fotoelettrodi, in cui l’anodo è di tipo-p e il catodo è di tipo-n, e in cui l’energia luminosa è convertita sia in energia chimica che elettrica, Kainthla propone la seguente relazione: 0 1,23 j ph j phVcell P0 L’energia chimica in uscita è data da 1,23 jph , mentre quella elettrica è data da jph Vcell. Il fattore 2 è introdotto per tener conto dell’illuminazione simultanea di entrambi gli elettrodi (di ugual superficie). 60 Capitolo Finale Conclusioni La conversione elettrochimica diretta dell’energia solare in combustibili porta in sè il beneficio della produzione di un vettore energetico facilmente immagazzinabile ed integrabile con qualsiasi altra produzione rinnovabile, come ad esempio il fotovoltaico. Dal 1970, anno in cui lo scienziato giapponese Fujishima presentò la sua prima cella fotoelettrochimica con efficienza dell’1%, la ricerca ha compiuto enormi passi in avanti per quanto riguarda la comprensione dei processi che stanno alla base della conversione dell’energia solare in combustibili. Dopo circa 40 anni di lavoro ci si trova ancora in una fase di ricerca e sviluppo pre-commerciale, e la realizzazione di un dispositivo efficiente, stabile e poco costoso rimane tuttavia un traguardo lontano. Per quanto riguarda la fotoelettrolisi e la tecnologia di conversione fotoelettrochimica, diversi aspetti rimangono tutt’ora poco chiari. La possibilità di scoprire metodi economici ed efficienti per produrre idrogeno è comunque molto promettente, e le strade percorribili sono numerose. L’efficienza di conversione di questi dispositivi nel corso degli anni è aumentato dall’1% della cella di Fujishima al 12 % circa raggiunto dei più recenti sistemi avanzati PEC/PV. Attualmente il maggiore interesse è rivolto verso lo sviluppo di fotoelettrodi nanostrutturati, le cui potenzialità sono innumerevoli, e i quali consentono di ridurre o aggirare i limiti teorici legati ai semiconduttori convenzionali. - Confronto fra PEC e elettrolisi accoppiata al PV doveroso sottolineare che tutte le caratteristiche citate finora riguardo le potenzialità della produzione fotoelettrochimica, possono essere applicate anche a un sistema elettrolitico alimentato da celle fotovoltaiche. Tutti i componenti necessari ad un impianto simile (elettrolizzatore, cella PV) sono attualmente disponibili sul mercato a prezzi relativamente accessibili, e rendimenti di conversione dell’8% sono facilmente raggiungibili. Attualmente questo tipo di produzione è ancora più economica ed efficiente rispetto alla dissociazione fotoelettrochimica dell’acqua, e il confronto può costituire un vero e proprio banco di prova per i sistemi PEC. È L’approccio fotoelettrochimico offre comunque due potenziali vantaggi rispetto all’elettrolisi associata al PV. Il primo consiste in un’efficienza teorica di conversione energia solare-idrogeno maggiore nel caso delle PEC. Attualmente la tecnologia fotovoltaica è abbastanza matura, e per quanto riguarda gli usi commerciali, i rendimenti dei dispositivi attualmente in vendita si avvicinano al limite teorico massimo. Nel caso delle celle a 61 giunzione singola in Si, si ha un rendimento del 18 ± 2%, rispetto al 25% di rendimento massimo misurato in laboratorio, e al 30% circa imposto dalla teoria. Lo sviluppo di sistemi a giunzioni multiple consentono inoltre di doppiare questi rendimenti teorici. L’efficienza degli elettrolizzatori si aggira intorno all’80%. Va tenuta in conto però anche la perdita di rendimento dovuta al fatto che la tensione in uscita da una cella PV in Silicio può assumere solo valori multipli di 0,7 V. Si è visto in precedenza come la tensione necessaria per l’elettrolisi debba essere superiore al potenziale termoneutrale di dissociazione dell’acqua, che vale 1,48 V; un valore plausibile è di 1,9 V. Il voltaggio minimo applicabile in questo caso è di 2,1 V (tre celle in serie) e si ha un rendimento dello: el 1,23 V 2,1 V 0,58 Se si moltiplica questa quantità per l’efficienza teorica massima di una cella PV a giunzione singola in Si, si ottiene: el PV el PV 0,58 0,3 0,17 che costituisce il limite teorico per la conversione di energia solare in idrogeno tramite elettrolisi congiunta alle celle PV in silicio. Da quanto è stato detto nel capitolo precedente, il limite teorico imposto all’efficienza di conversione fotoelettrochimica dipende dal bandgap del fotoelettrodo, e per il silicio si aggira intorno a 0,25 (Figura 4.4). Ciò deriva dal fatto che le sovratensioni agli elettrodi possono essere ridotte arbitrariamente, nel caso delle PEC. Il secondo vantaggio consiste nel fatto che un sistema PEC può essere costruito come un unico dispositivo monolitico, riducendo le spese e i materiali di costruzione. Il costo di produzione dell’idrogeno costituisce l’aspetto più importante per una diffusione commerciale di questo combustibile a livello mondiale. Si stima che la produzione di 1 Kg di idrogeno sfruttando il sistema elettrolisi + fotovoltaico costi attualmente più di 8$, un prezzo ben al di sopra dei 2-4 $/Kg indicati come obiettivo futuro dal Dipartimento per l’Energia del Governo degli Stati Uniti. Per quanto riguarda la scissione fotoelettrochimica dell’acqua, gli addetti ai lavori contano di raggiungere il traguardo dei 3-5 $/Kg, in termini di costi di produzione dell’idrogeno. Tali costi di produzione sarebbero molto competitivi, se paragonati alle attuali fonti energetiche. 62 Bibliografia Libri di testo: 1. Archer M, Nozik A (2008) - Nanostructured and photoelectrochemical systems for solar photon conversion, Imperial College Press 2008. 2. Grätzel M, van de Krol R (2012) - Photoelectrochemical Hydrogen Production, Springer 2012. 3. 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