Sindrome da lisi tumorale
Descrizione della patologia
- Serie di anormalità metaboliche che derivano dalla distruzione acuta delle cellule neoplastiche con il
conseguente rilascio delle sostanze intracellulari nel circolo, come acido urico, potassio e fosfati, in
seguito a trattamento oncologico. A seconda dei fattori di rischio del paziente e del tipo di neoplasia,
l’incidenza della TLS può variare dal 3 al 20%. Le complicanze più serie della TLS sono l’insufficienza
renale, con una incidenza riportata del 25-38%, e la morte, nel 5-14% dei casi.
- Si verifica soprattutto in neoplasie bulky altamente chemio sensibili come linfomi ad alto grado,
leucemie con alte conte di blasti, tumori germinali, microcitomi e sarcomi). Fattori di rischio
dell’insorgenza della TLS, oltre all’istotipo ed all’estensione della malattia oncologica (carico della massa
tumorale >10 cm), sono il riscontro di elevati valori pretrattamento di acido urico, LDH, creatinina, urea e
potassio oppure di PH urinario acido in campione urinario concentrato..
Principali squilibri metabolici e sintomi
- Iperuricemia per aumentato catabolismo di RNA e DNA, conseguente all’apoptosi cellulare indotta
dai chemioterapici. L’iperuricemia è l’anomalia metabolica più comune nella TLS. La precipitazione
dell’acido urico in eccesso nell’ambiente acido dei tubuli renali distali può essere causa di insufficienza
renale acuta. L'iperuricemia può provocare anche episodi acuti di gotta e sintomi di letargia, nausea e
vomito.;
- Iperfosfatemia per rilascio di fosfati da parte delle cellule neoplastiche, inizialmente compensata
dall’aumentata escrezione renale degli stessi. All’aumentare della concentrazione, i fosfati si combinano
con il calcio e precipitano nei tubuli renali e nei tessuti molli con conseguente sviluppo di insufficienza
renale;
- Ipocalcemia che clinicamente si può manifestare con agitazione, tetania e dolore osseo. Anche la
precipitazione di cristalli di fosfato di calcio nei reni può provocare vari gradi di disfunzione renale,
aumento dell’azotemia, oliguria e anuria.
- Iperpotassiemia dovuta al rilascio del potassio in circolo dalle cellule lisate. Rappresenta lo squilibrio
metabolico più pericoloso dal punto di vista clinico, per la comparsa di aritmie cardiache anche gravi con
rischio di morte del paziente. Elevati livelli sierici di potassio si accompagnano anche a sintomi
gastrointestinali, letargia, debolezza muscolare e parestesie.
Tali squilibri metabolici, che complicano il trattamento di tumori a rapida velocità di proliferazione,
chemiosensibili e con vasta estensione di malattia, possono causare come evento finale insufficienza
renale grave e morte.
Trattamento
Trattamento profilattico risulta essere l’atteggiamento terapeutico più importante prima dell’inizio della
chemioterapia, dopo identificazione dei pazienti a rischio per sindrome da lisi tumorale. Il trattamento
comprende:
- allopurinolo (inibitore della xantinossidasi che blocca la trasformazione delle xantine e delle
ipoxantine in acido urico). La terapia deve essere iniziata almeno 24 ore prima dell’avvio del trattamento
citotossico, effettuando comunque un’abbondante idratazione per evitare la formazione a livello tubulare
di cristalli di xantina. Riduce la secrezione di chemioterapici (purine) quali la 6-mercaptopurina e
l’azatioprina, con la necessità di ridurre il dosaggio di tali farmaci se somministrati in contemporanea.
L’allopurinolo deve essere somministrato per via orale alla dose di 300 mg 1 cp/die.
- idratazione per via endovenosa, abbondante. Devono essere infusi nelle 24 ore almeno 2000 cc di
soluzione fisiologica 0.9%, con stretto monitoraggio del bilancio urinario, al fine di ottenere un abbondante
flusso urinario che permetta l’escrezione di acido urico e fosfati attraverso l’aumento del volume
intravascolare, del flusso sanguigno a livello renale e della filtrazione glomerulare. L’utilizzo dei diuretici
può essere necessario per mantenere un’adeguata diuresi, ma l’utilizzo di tali farmaci è controindicato in
caso di ipovolemia o di uropatia ostruttiva.
- alcalinizzazione delle urine (pH 7.0 - 7.5) con sodio bicarbonato che aumenta la solubilità dell’acido
urico e riduce la precipitazione intratubulare di urati. L’alcalinizzazione delle urine non aumenta in modo
sostanziale la solubilità delle xantine e delle ipoxantine. Nei casi in cui tali metaboliti siano abbondanti,
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come dopo terapia con allopurinolo, è possibile che precipitino cristalli di xantina a livello dei tubuli renali,
con una conseguente uropatia ostruttiva da xantine. Il quantitativo di bicarbonati è di almeno 150 mEq da
infondere in infusione continua nelle 24 ore. I bicarbonati possono essere o aggiunti nell’idratazione di
base o infusi separatamente in 500 cc di soluzione fisiologica 0.9%. Occorrerà un monitoraggio del pH
urinario almeno due volte al giorno. La dose definitiva di bicarbonati dipenderà dal pH urinario.
- rasburicase (Fasturtec) un urato ossidasi ricombinante in grado di convertire l’acido urico nella più
solubile allantoina. Deve essere utilizzato in caso di sviluppo di iperuricemia in corso di trattamento con
allopurinolo, oppure in pediatria. Ottiene una più rapida riduzione dell’acido urico rispetto ad allopurinolo e
idratazione. Viene solitamente somministrato al dosaggio di 0.2 mg/kg/die una volta al giorno per via
endovenosa. Possibile innalzamento degli enzimi epatici.
Nel corso del periodo iniziale ad alto rischio
- monitorare nel sangue i valori biochimici (creatinina, urea, sodio, potassio, fosfati, LDH, acido urico)
ogni 24 ore
- monitorare il bilancio idrico (fino a ogni 8 ore in caso di bulky mediastinici o presenza di patologie
concomitanti come la sindrome della vena cava superiore o pazienti anziani o cardiopatici)
- monitorare il peso corporeo quotidianamente
In caso di iperpotassiemia iniziare trattamento con:
- calcio gluconato, per ridurre il rischio di fibrillazione atriale (10 ml. di una soluzione al 10% in 3 - 5 min.
e.v., ripetibile dopo 5 min in caso di potassiemia > 7 ed evidenti variazioni nell’ecg). Il calcio gluconato non è
da usare assolutamente in caso di terapia o tossicità digitalica perché il Ca può aumentare gli effetti deleteri
della digossina sul cuore.
- insulina e soluzione glucosata, per facilitare l’assorbimento del potassio e del glucosio a livello
intracellulare (10 U. di insulina regolare in 500 ml di soluzione glucosata al 10% in 60 min. oppure Insulina
regolare 10 U.+ glucosio 50% 20 ml. e.v. in 5 min.). La durata d'azione e' di 4-6 ore. Se la glicemia e' elevata
non e' necessaria la somministrazione di glucosio.
- agonisti dei beta2-adrenergici, che promuovono il riassorbimento intracellulare del potassio.
L’inalazione di un beta-agonista ad alte dosi come l'albuterolo (da 10 a 20 mg) in 10 minuti (a una
concentrazione di 5 mg/ml) si è dimostrato efficace e sicuro nel trattamento dell'iperkaliemia. L'inizio
dell'azione si verifica entro 30 minuti. La durata dell'effetto è di 2-4 h.
- diuretici, che causano la perdita di potassio a livello renale
- resine a scambio ionico, che promuovono lo scambio tra potassio e sodio a livello del tratto
gastrointestinale (Kayexalate sospensione, 1 o 2 cucchiaini per os ai pasti o15 g in sorbitolo 1 o 2 volte die
come clistere)
L’utilizzo di agenti alcalinizzanti quali farmaci in grado di causare il passaggio temporaneo del potassio
dall’ambiente extracellulare a quello intracellulare (somministrati in corso di sindrome da lisi tumorale
anche per aumentare la solubilità dell’acido urico), è stato recentemente messo in discussione.
In caso di insufficienza renale grave e/o di iperpotassiemia non responsiva al trattamento medico, può
essere indicata la terapia dialitica.
Bibliografia
Howard SC, Jones DP, Pui CH. The tumor lysis syndrome. N Engl J Med 364: 1844-54, 2011.
Coiffier B, Altman A, Pui CH et al. Guidelines for the management of pediatric and adult tumor lysis
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Pession A, Masetti R, Gaidano G et al. Risk evaluation, prophylaxis and treatment of tumor lysis
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Howard SC et al. N Engl J Med 2011
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Sindrome della vena cava superiore
Descrizione della patologia
- La sindrome della vena cava superiore (sindrome mediastinica) deriva dalla presenza a livello del
mediastino di una lesione occupante spazio, che, in virtù dell’effetto massa, può interferire con la normale
funzione degli organi ivi presenti. Tale quadro clinico può manifestarsi in modo differente a seconda delle
dimensioni della lesione che ne è la causa e della sua velocità di crescita. In genere si osservano segni e
sintomi di tipo compressivo, derivanti cioè dalla compressione esercitata dalla lesione sui diversi organi e
strutture. In particolare si verifica un aumento della pressione venosa centrale nella parte superiore del
corpo, dovuta all’ostruzione della vena cava superiore.
- Le patologie oncologiche che più frequentemente causano una sindrome della vena cava superiore
sono il microcitoma, il carcinoma del polmone non a piccole cellule, i linfomi, i tumori germinali, il
carcinoma della mammella, i timomi, alcune forme di sarcomi.
- La compressione della vena cava in corso di patologia tumorale è di solito dovuta allo sviluppo di
masse a livello della parte centrale o anteriore del mediastino (linfoadenomegalie paratracheali destre o
precarenali, tumori che si sviluppano a livello del bronco lobare superiore destro).
- L’aumento della pressione venosa a livello della vena cava superiore causa la formazione di circoli
collaterali, come vie alternative di scorrimento del flusso sanguigno, a livello delle vene azygos,
intercostali, mediastiniche, paravertebrali, emiazygos, toracoepigastriche, mammarie interne,
toracoacromioclavicolari e toraciche anteriori.
- La severità dei sintomi è correlata al grado di ostruzione, alla possibilità di sviluppare circoli collaterali
di compenso (prognosi peggiore per ostruzioni al di sotto dell’insorgenza delle vene azygos) ed alla
rapidità d’insorgenza dell’ostruzione.
- La sindrome della vena cava superiore è caratterizzata dalla comparsa di edema con aspetto “a
mantellina”, confinato cioè alla parte alta del torace, al collo ed al volto. Si associa spesso alla comparsa
di turgore giugulare (congestione delle grosse vene del collo che appaiono francamente dilatate) e di
circoli venosi superficiali di aspetto reticolare confinati ai fianchi o nella stessa sede dell’edema.
- Solo nelle forme più severe si assiste alla compromissione dell’attività cardiaca, con perdita della
normale ritmicità del battito e della funzione di pompa del cuore. Si dice allora che il cuore “si scompensa”
in quanto non più in grado di fornire all’organismo una quantità sufficiente di sangue per far fronte alle sue
necessità.
Sintomi
Sindrome di Horner (ptosi palpebrale, enoftalmo, miosi, anidrosi)
Dispnea
Gonfiore facciale e senso di testa pesante
Tosse
Gonfiore alle braccia
Dolore toracico
Disfagia
Disfonia
Segni
Turgore delle vene giugulari
Dilatazione delle vene toraciche
Edema a mantellina
Cianosi cutanea
Pletora della faccia
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Valutazione e diagnosi per immagini
- Esame fisico per la verifica dei sintomi che classicamente tendono a peggiorare a paziente supino
(soprattutto il gonfiore facciale e la pletora).
- Ecografia addome e torace da parte del medico d’urgenza. L’ecografia del mediastino rappresenta una
efficace metodica d’imaging, con elevata sensibilità rispetto alla radiografia tradizionale in pazienti con
masse mediastiniche ed è inferiore solo alla TC per certi compartimenti come il mediastino posteriore e la
regione paravertebrale. Permette inoltre di valutare la presenza di versamento pleurico e/o pericardico. La
biopsia eco guidata può essere una reale alternativa a quella TC guidata ed ancor più a quella eseguita in
corso di mediastinoscopia.
- TC del torace/addome/pelvi con contrasto esame fondamentale che permette di valutare la causa, il
livello e l’estensione dell’ostruzione e la presenza di circoli collaterali. Inoltre, l’esame può permettere di
identificare la sede più accessibile per la biopsia al fine di avere la diagnosi istologica. In caso di
ostruzione significativa della vena cava superiore, l’esame permette anche di fornire un’indicazione al
posizionamento di uno stent cavale.
- RMN da effettuarsi solo nel caso non sia possibile somministrare il mezzo di contrasto iodato della TC,
al fine di studiare il torace e le vene mediastiniche in pazienti che non possono essere sottoposti a TC
con contrasto.
Trattamento
- Il trattamento della sindrome della vena cava superiore dovuta a patologia oncologica dipende
dall’eziologia del tumore, dall’estensione della malattia, dalla severità dei sintomi e dalla prognosi del
paziente.
- La terapia comprende sia trattamenti per il tumore che trattamenti volti a ridurre i sintomi da ostruzione
che devono essere utilizzati dai curanti in modo flessibile tanto da permettere il miglioramento delle
condizioni generali del paziente.
Trattamento sintomatico
Riconoscimento di sintomi gravi
- Se presenza di sintomi suggestivi di compromissione delle vie aeree (stridore respiratorio con
evidenza TC di edema laringeo o ostruzione tracheale), posizionamento di tubo endotracheale per
garantire la pervietà delle vie aeree. Compressione ab estrinseco delle vie aeree superiori, possono
talvolta meglio giovarsi di una tracheotomia in cui il paziente continua a ventilare spontaneamente ma ha
le vie aeree tenute pervie dalla protesi tracheostomica.
- Se presenza di sintomi da edema cerebrale, mettere in atto tecniche rianimatorie con utilizzo dei di
diuretici osmotici (mannitolo) e della sopraelevazione del capo. L’iperventilazione non è più
raccomandata come trattamento di un edema cerebrale.
Trattamento sintomatico standard
-
ossigenoterapia
Al fine di ridurre la pressione a livello della parte superiore del corpo
- diuretici (trattamento d’efficacia non comprovata da studi) come furosemide 1 fiala iv bolo una o due
volte/die
- posizionamento della testa sollevata rispetto al corpo
- trattamento steroideo (efficace soprattutto in caso di linfoma o timoma) per ridurre l’edema e i
sintomi associati. Solitamente utilizzato desametasone 8-12 mg in 100 cc soluzione fisiologica iv 30
minuti
- trattamento anticoagulante indicato esclusivamente in presenza di accertata trombosi o
compressione franca ab estrinseco della massa neoplastica: eparina a basso PM 100 U/Kg sottocute ogni
12 ore (la dose deve essere adattata in caso di rischi di sanguinamento). La somministrazione di eparine
frazionate deve essere accompagnato da un controllo seriato delle piastrine ogni 2-3 giorni per 15-20
giorni al fine di evidenziare precocemente una trombocitemia indotta da eparina.
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In casi di sintomatologia grave, e/o in presenza di malattia neoplastica chemio resistente o in presenza di
un trombo ostruente, indicazione a posizionamento di stent per via percutanea a livello dell’ostruzione
della vena cava superiore.
Dopo diagnosi istologica e la valutazione dell’estensione di malattia, indicazione frequente a trattamento
della patologia neoplastica tramite chemioterapia e/o radioterapia.
Radioterapia
- deve essere effettuata nei casi di rischio di compressione/ostruzione completa della vena cava
superiore e/o istologia chemio resistente.
- efficace nel migliorare i sintomi in circa i ¾ dei pazienti con microcitoma ed in circa 2/3 dei pazienti con
carcinoma polmonare non a piccole cellule.
- risposta evidenziabile dopo 7-15 giorni, anche se primi segni di risposta dopo circa 72 ore.
- rappresentando la sindrome della vena cava superiore un’urgenza, il
trattamento radiante può essere avviato anche se il medico radioterapista non è ancora in possesso
dell’esame istologico, previa valutazione collegiale della verosimile natura neoplastica della malattia
mediastinica (per esempio, in presenza di marcatori tumorali specifici di patologia tumorale oncologica
francamente patologici, come AFP, NSE, Beta-2-microglobulina).
- l’avvio del trattamento è comunque esito di una discussione mutidisciplinare tra oncologo e
radioterapista.
- dose, frazionamento e volume da trattare vanno valutati dal medico radioterapista in funzione delle
caratteristiche cliniche individuali. In caso di pregressa irradiazione mediastinica o toracica, la valutazione
in merito alla fattibilità di un ritrattamento deve essere fatta caso per caso e deve prevedere adeguata
conoscenza dei parametri tecnici della radioterapia precedentemente eseguita
Chemioterapia
- effettuata soprattutto in caso di neoplasie altamente chemiosensibili quali i linfomi, i tumori germinali
ed il microcitoma, patologie nelle quali si ottiene un’elevata percentuale di risposta con una veloce e
cospicua riduzione dimensionale della massa tumorale.
- utilizzare gli schemi terapeutici previsti per le specifiche patologie, cercando di evitare, se possibile,
una sindrome da lisi tumorale
- l’aggiunta di radioterapia concomitante alla chemioterapia va discussa caso per caso (può essere
effettuata, per esempio, nei microcitomi dopo un ciclo di chemioterapia).
- Indicazione a trattamento radioterapico sequenziale va discussa sulla base dello stadio e dell’istologia
(neoplasie germinali, linfomi)
Bibliografia
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Mc Curdy MT, Shanholtz CB. Oncologic emergencies. Crit Care Med 40: 2212 – 2222, 2012.
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Halfdanarson TR, Hogan WJ, Moynihan J. Oncologic emergencies: diagnosis and treatment. Mayo Clin
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Wilson LD et al. N Engl J Med 2007
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Ipercalcemia
Descrizione della patologia
Definizione
Si definisce ipercalcemia la condizione in cui i livelli sierici di calcio totale superano i 10.5 mg/dL (o quelli
del calcio ionizzato 5.5 mg/dL).
Epidemiologia
In generale l’ipercalcemia può essere riscontrata nel 10-20% di tutti i pazienti neoplastici.
Il riscontro di ipercalcemia in un paziente oncologico deve essere posto in diagnosi differenziale con le
altre cause comuni di ipercalcemia (iperparatiroidismo primitivo, uso di diuretici tiazidici, malattie
granulomatose ecc.) (Tab 1).
La neoplasia ematologica che più frequentemente induce ipercalcemia è il mieloma (20-40%), accanto ai
linfomi (in particolare la leucemia/linfoma a cellule B dell’adulto), e si può osservare anche durante il
decorso delle leucemie acute (nelle fasi avanzate di malattia ematologica l’ipercalcemia può manifestarsi
nel 30-40% dei casi) (Tab.1).
I tumori associati ad ipercalcemia umorale sono generalmente estesi e riscontrabili facilmente (con
l'eccezione di neoplasie neuroendocrine come i tumori insulari e il feocromocitoma).
Tab.1 - Comuni cause di ipercalcemia
-
Iperparatiroidismo
-
Neoplasie maligne
-
Diuretici tiazidici
-
Immobilizzazione
-
Sarcoidosi
-
Ipercalcemia ipocalciurica familiare
-
Tireotossicosi
-
Intossicazione da vitamina D
-
Insufficienza surrenale
-
Ipotiroidismo
-
Trapianto di rene
Sindrome latte/alcali
Eziopatogenesi
Esistono diversi modelli eziopatogenetici, a seconda della causa dell'ipercalcemia in corso di neoplasia.
Nei pazienti con metastasi ossee lo sviluppo di ipercalcemia è determinato dal rilascio di calcio e fosfati
nelle sedi di osteolisi (in particolar modo nei linfomi).
La causa più comune di osteolisi e ipercalcemia nei pazienti oncologici è la produzione di proteine
correlate al paratormone (parathyroid hormone-related pepide, PTHrP) da parte delle cellule tumorali
(ipercalcemia umorale), più frequentemente in caso di carcinoma polmonare a cellule squamose e
mammario.
Più rara è la produzione ectopica di paratormone.
L’attivazione di recettori nucleari fattore K ligandi (RANKL) permette la differenziazione, l’attivazione e la
sopravvivenza degli osteoclasti e ha un ruolo nell’assorbimento mediato del paratormone da parte del
tessuto osseo. Nuovi farmaci (denosumab) sono a disposizione per il blocco di tali recettori.
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In corso di mieloma multiplo il rimaneggiamento osseo avviene attraverso la produzione da parte delle
cellule neoplastiche di Osteoclast Activating Factor (OAF), che promuove l’attività osteoclastica; altri
fattori che promuovono tale meccanismo sono IL1-beta, TNF-alfa, TNF-beta, IL6, il recettore solubile di
IL6.
Nelle neoplasie vi può essere inoltre un aumento del calcitriolo, che stimola l’assorbimento del calcio a
livello intestinale.
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Tab.2 - Tipi di ipercalcemia oncologica
Tipo
Frequenza (%)
Metastasi
ossee
Agente causale
Neoplasie tipiche
Ipercalcemia
osteolitica locale
20
Comuni,
estese
Citochine,
chemochine,
PTHrP
Cancro mammario, mieloma multiplo,
linfoma
Ipercalcemia
umorale
neoplastica
80
Minime
o assenti
PTHrP
Carcinoma a cellule squamose (es.
della testa, del collo, esofago, cervice
uterina, polmone), cancro renale,
ovarico, endometriale, mammario,
linfoma HTLV-associato
Linfomi secernenti
1.25(OH)2D
<1
Variabili
1.25(OH)2D
Linfomi
Iperparatiroidismo
ectopico
<1
Variabili
PTH
Variabili
PTHrP= parathyroid hormone-related pepide, PTH=parathyroid hormone, 1.25(OH)2D=1,25diidrossivitaminaD,
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Quadro clinico
Dipende dai livelli di calcio e dalle modalità di insorgenza.
Un aumento rapido dei livelli di calcemia frequentemente provoca sintomi neurologici che vanno dai
disturbi di personalità (agitazione psicomotoria iniziale, depressione, letargia, sonnolenza) al coma. I
pazienti anziani con preesistenti disfunzioni neurologiche o cognitive possono presentare un severo
peggioramento con ipercalcemia moderata. La somministrazione di sedativi o narcotici può peggiorare la
risposta neurologica all'ipercalcemia.
Un aumento più lento invece provoca sintomi quali nausea, vomito, poliuria, polidipsia, perdita della
memoria e riduzione dell’intervallo QT all’ECG.
Un aumento rapido della calcemia o un’esposizione cronica dei tubuli renali ad aumentati livelli sierici di
calcio possono determinare una riduzione della filtrazione glomerulare e del flusso ematico renale,
risultanti in un’insufficienza renale acuta.
La comparsa di uno qualunque di questi sintomi deve far sospettare al presenza di ipercalcemia; il
medico in emergenza dovrebbe in ogni caso porre particolare attenzione a quei pazienti neoplastici con
letargia, disturbi mentali o simil-psichiatrici.
I pazienti possono inoltre presentare sintomi di condizioni che possono essere causate direttamente o
indirettamente dall'ipercalcemia (ad esempio dolore addominale associato a pancreatite acuta, colica
ureterale secondaria a calcoli renali o pseudogotta associata a condrocalcinosi).
Tab 3 - Segni e sintomi acuti più frequentemente associati ad ipercalcemia
Apparato/sis
tema
Segni e sintomi
Cute
Prurito
Nervoso
Astenia, debolezza muscolare, agitazione psicomotoria, psicosi,
allucinazioni, deliri, letargia, iporeflessia, apatia, disturbi sensitivi,
stupore, coma
Urinario
Poliuria, polidipsia, insufficienza renale, colica ureterale
Gastro
intestinale
Anoressia, nausea, vomito, costipazione, dolore addominale
Cardio
vascolare
Ipertensione, aritmie (bradicardia, blocco AV), arresto cardiaco
improvviso
Muscolo
scheletrico
Artrite acuta (pseudogotta)
Diagnostica di laboratorio
La diagnosi è confermata da elevati livelli sierici di calcio totale (>10.5 mg/dL) o di calcio ionizzato (>5.5
mg/dL). Sopra i 14 mg/dL è considerata ipercalcemia severa.
Il 45% del calcio sierico è legato alle sieroproteine (albumina e globuline); la forma ionizzata,
metabolicamente attiva, rappresenta il 55%.
Nei pazienti con ipoalbuminemia i valori di calcemia sono da correggere in base all’albuminemia.
Esistono formule per il calcolo del calcio ionizzato anche se non sempre precise ed attendibili:
Aggiungere 0.8 mg per decilitro al livello di calcio totale
per ogni 1 g per decilitro di albumina sierica al di sotto
del livello di 3.5 g per decilitro
Aggiungere (40 – albumina sierica) X 0.025 ai livelli di calcio totale sierico
Molto meglio è ottenere valori di calcio ionizzato direttamente calcolato dal laboratorio.
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Poiché una quota di calcio è legata alle globuline plasmatiche (anche se con minore affinità rispetto
all'albumina), in alcuni casi di mieloma può essere riscontrata una falsa ipercalcemia.
Una calcemia superiore a 14 mg/dL costituisce un’emergenza medica. Nei casi di ipercalcemia cronica è
possibile riscontrare livelli sierici di calcio superiori a 15 mg/dL, ma associati a sintomi lievi; viceversa in
caso di rapido aumento della calcemia è possibile vedere pazienti in coma con livelli compresi tra 12 e 13
mg/dL.
Pazienti con ipercalcemia resistente, con o senza localizzazioni ossee, possono presentare livelli
misurabili di PTH; alcune caratteristiche possono suggerire la presenza di secrezione ectopica di PTH
(calcemia 14 mg/dL, bassi livelli di 1,25-diidrocalciferolo, nefrolitiasi), tuttavia l'iperparatiroidismo ectopico
è estremamente raro, mentre non lo è la forma primitiva, anche nei pazienti oncologici.
Altri esami di laboratorio utili sono il dosaggio degli elettroliti sierici, inclusi fosforo e cloro, e della fosfatasi
alcalina (come marcatore di turnover osseo); il PTHrP può essere richiesto nei casi in cui l'percalcemia
umorale tumorale non sia diagnosticabile in base al quadro clinico o quando la causa dell'ipercalcemia sia
oscura; il dosaggio del 1,25(OH)2D deve essere effettuato nel sospetto di malattia granulomatosa, o di
linfoma 1,25(OH)2D-secernente.
Trattamento
I principi generali comprendono il trattamento della patologia sottostante, una corretta idratazione, la
stimolazione dell'escrezione urinaria di calcio, la riduzione della mobilizzazione del calcio dal tessuto
osseo e la riduzione dell'introito di calcio (Tab 4).
Devono essere sospesi farmaci potenzialmente ipercalcemizzanti (diuretici tiazidici, litio, calcitriolo, antiinfiammatori non steroidei), narcotici, sedativi.
Idratazione
I pazienti si presentano tipicamente disidratati per difetto del riassorbimento tubulare renale con la
conseguente perdita di liquidi e/o per assunzione di un ridotto introito di liquidi per via orale,. L'idratazione
costituisce quindi il primo intervento. Nei pazienti asintomatici con calcemia <12.5mg/dL può essere
sufficiente un aumento dell'idratazione orale (2-4 litri al dì).
Nei pazienti sintomatici con calcemia >12.5 mg/dL è necessario monitoraggio elettrocardiografico e
idratazione tramite somministrazione parenterale di liquidi (125-300 ml di soluzione fisiologica per ora).
Diuretici dell’ansa
L'idratazione parenterale va associata a somministrazione endovenosa di diuretici dell'ansa per stimolare
l'escrezione urinaria di calcio (es. furosemide al dosaggio di 20-80 mg ev ogni 6 ore), con controllo dei
livelli di magnesio e potassio (per possibile ipokaliemia e ipomagnesiemia da diuresi forzata).
Fosfati
Si somministrano fosfati per os nei casi di ipofosfatemia ( 3.0 mg/dL). L’ipofosfatemia si riscontra
facilmente in corso di ipercalcemia (per l'utilizzo di diuretici dell’ansa, l'effetto fosfaturico del PTHrP, il
trattamento con la calcitonina e con gli antiacidi). La presenza di ipofosfatemia rende più difficoltoso il
trattamento dell’ipercalcemia.
Glicocorticoidi
L'utilizzo di prednisone (1-2 mg/Kg/die) può ridurre il riassorbimento osseo di calcio nel caso di mieloma
multiplo e linfomi; l'effetto si attua nel giro di alcuni giorni.
Calcitonina
Il trattamento con calcitonina è efficace rapidamente alla dose di 100-400 UI/sc ogni 6 ore. Tale effetto
spesso è transitorio; può insorgere tachifilassi.
Difosfonati
Le molecole più utilizzate sono: il pamidronato (30-90 mg/die ev in 2 ore ogni 3 settimane), il
disodioclodronato (300-600 mg/die ev in 3 ore per 5 giorni, seguiti da somministrazione di 100 mg im una
volta la settimana), lo zoledronato (monosomministrazione di 4 mg ev in 15 min), con lieve maggiore
efficacia ma di maggiore costo.
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Emodialisi
Se la diuresi è ridotta e non si ottiene l'effetto previsto entro alcune ore, il trattamento di scelta è
l'emodialisi presso un centro specializzato. Il bagno dialitico deve essere senza calcio o con piccole dosi,
a seconda della gravità del paziente. Va inoltre attuata nei casi di ipercalcemia non responsiva ad altri
trattamenti, che mettono a rischio la vita del paziente.
Altro
Mitramicina e nitrato di gallio sono terapia attualmente in disuso per il rischio elevato di insufficienza
renale e, nel caso della mitramicina, di trombocitopenia e riduzione dell'aggregazione piastrinica.
Tab. 4 – Trattamento farmacologico dell'ipercalcemia oncologica
Terapia
Dose
Effetti avversi
Soluzione fisiologica ev
200-500 ml/h a seconda
dello stato cardiovascolare
e renale
Scompenso cardiaco
Furosemide
20-40
mg
idratazione
Disidratazione, ipokaliemia
Fosforo per os (fosforemia
 3.0 mg/dL)
250 mg per os 4 volte/die
Insufficienza
renale,
ipocalcemia, anomalie della
conduzione
cardiaca,
diarrea
Pamidronato
60-90 mg ev in 2 ore in 200
cc sol. Fisiologica
Insufficienza
renale,
sindrome
parainfluenzale
transitoria (artralgie, brividi,
febbre)
Zoledronato
4 mg in 15 min in 100 cc
sol. Fisiologica
Insufficienza
renale,
sindrome
parainfluenzale
transitoria (artralgie, brividi,
febbre)
Glicocorticoidi
Prednisone 1 mg/Kg per
os/die per 10 giorni
Ipokaliemia,
iperglicemia,
ipertensione, sindrome di
Cushing,immunosoppressio
ne
Calcitonina
4-8 IO/Kg sc o im ogni 12
ore
Flushing, nausea
ev,
dopo
Bibliografia
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Neutropenia febbrile
Descrizione della malattia
Definizione :
-
Febbre: riscontro con singola misurazione di temperatura orale al di sopra dei 38.3°C o riscontro di
temperatura orale ≥ 38 °C della durata di almeno un’ora.
Neutropenia: conta dei neutrofili < 500/mmc o conta che ci si attende possa scendere < 500 mmc
nelle successive 48 ore. Si definisce neutropenia grave/profonda” una conta assoluta di neutrofili < 100
mmc. Il termine "neutropenia funzionale" si riferisce a pazienti ematologici con difetti qualitativi dei
neutrofili (inefficacia di killing o fagocitosi); questi pazienti devono essere considerati a rischio di infezioni,
nonostante una conta di neutrofili "normale".
Epidemiologia, eziologia e mortalità:
- Emergenza oncologica solitamente correlata ad un trattamento chemioterapico con farmaci
leucopenizzanti.
- Il 10-50% dei pazienti con neoplasie solide e più dell’80% dei pazienti con neoplasia ematologica
presenta un episodio di neutropenia febbrile durante uno o più cicli di chemioterapia.
- Nella maggior parte dei pazienti non viene identificata una precisa eziologia infettiva
- Infezioni documentate clinicamente si rilevano nel 20-30% degli episodi febbrili: le sedi più frequenti di
infezioni sono il tratto intestinale, il polmone e la cute.
- Una batteriemia viene rilevata nel 10-25% di tutti i pazienti e la maggior parte dei casi nel sottogruppo di
pazienti con prolungata e severa/profonda neutropenia (conta assoluta di neutrofili < 100 /mmc).
- La frequenza delle batteriemie da gram-positivi è del 57%, quelle da gram-negativi del 34% e quelle da
associazioni microbiche del 9%.
- Attualmente l’agente infettivo più frequentemente isolato in corso di batteriemia è lo Staphylococco
coagulasi-negativo; le enterobacteriaciae (ad es Enterobacter species, Escherichia coli e Klesbiella
species) e i bacilli gram negativi quali Pseudomonas aeruginosa vengono isolati meno frequentemente.
- Le batteriemie da gram-negativi sono associate a maggiore mortalità (18%) rispetto a quelle da grampositivi (5%)
- I funghi raramente sono identificati come causa del primo episodio febbrile nel paziente neutropenico a
basso rischio; generalmente un’infezione fungina viene riscontrata dopo una settimana di neutropenia
prolungata e di terapia antibiotica empirica.
- tra i fattori di rischio per infezione:
a) grado, rapidità d’insorgenza e durata della neutropenia.
b) basso performance status ed età anziana del paziente
c) patologia neoplastica non in remissione, soprattutto se con infiltrazione
midollare
d) catetere venoso centrale o catetere vescicale in sede
e) precedente episodio di neutropenia febbrile
f) effetto dei trattamenti sulle barriere mucose
g) utilizzo di anticorpi monoclonali che inducono immunosoppressione (es.
Rituximab)
- la mortalità globale per neutropenia febbrile si è costantemente ridotta negli ultimi anni, ma rimane
comunque elevata:
a) mortalità globale del 5% in pazienti con tumore solido (1% in quelli a basso rischio)
b) mortalità globale dell’11% in neoplasie ematologiche
Valutazione del paziente con febbre e neutropenia
Definizione del rischio per serie complicanze infettive: determina il tipo di terapia antibiotica empirica da
somministrare (orale o endovenosa), luogo di trattamento (domicilio o ricovero) e durata della terapia
antibiotica
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Distinzione tra pazienti ad alto rischio e a basso rischio di complicanze infettive
Alto rischio che devono essere necessariamente ricoverati e trattatati con terapia
empirica antibiotica per via ev:










neutropenia anticipata e attesa prolungata (> 7 giorni)
neutropenia grave (< 100 mmc)
presenza di significative condizioni cliniche quali :
ipotensione
mucosite orale o gastrointestinale (diarrea)
sintomi gastrointestinali: dolore addominale, nausea o vomito, diarrea
polmonite
sintomi neurologici e/o alterazione dello stato mentale
evidente infezione di CVC
evidenza di insufficienza epatica o renale
Basso rischio che possono essere candidati a una terapia empirica antibiotica orale:



neutropenia anticipata di breve durata (< 7 giorni)
assenza di significative condizioni cliniche
normale e stabile funzione epatica e renale
In alternativa può essere utilizzato il MASCCC prognostic index ideato dalla Multinational Association
for Supportive Care in Cancer che definisce ad alto rischio i paziente con score < 21 e a basso rischio
quelli con score ≥ 21 :
nessuno o lievi sintomi per la neutropenia febbrile
sintomi moderati per la neutropenia febbrile
non ipotensione (pressione sistolica > 90 mmHg)
non broncopneumopatia cronica ostruttiva
tumori solidi o ematologici senza precedenti inf. fungine
non disidratazione
paziente ambulatoriale al momento di insorgenza neutropenia febbrile
età inferiore ai 60 anni
5
3
5
4
4
3
3
2
Per un MASCC score > 21 è stata valutata una percentuale di mortalità del 3%, mentre per un MASCC
score < 15 la mortalità sale al 36%.
Valutazione iniziale ed esami da effettuare:
attento esame obiettivo (segni e sintomi di infiammazione sono spesso ridotti o assenti nel
paziente neutropenico)
dettagliata raccolta anamnesi
esami ematochimici completi comprendenti :
emocromo completo con formula
esami funzionalità renale: azotemia, creatinina, elettroliti
esami funzione epatica: GOT GPT bilirubina
almeno due serie di emocolture da vena periferica e da CVC se presente
Colture di ogni sede sospetta per infezione: coprocoltura in caso di diarrea con ricerca
Clostridium, urinocoltura, esame colturale di lesioni cutanee sospette, escreato etc.
RX torace se clinicamente indicato, in caso di presenza di sintomi respiratori.
Markers sierici di infiammazione (PCR , procalcitonina)
Trattamento empirico: i seguenti criteri generali devono necessariamente considerare il profilo
individuale di resistenza/colonizzazione ed i dati di epidemiologia locale
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Paziente ad alto rischio:
è richiesta l’ospedalizzazione
monoterapia con:
cefalosporine ad ampio spettro (cefepime, ceftazidime)
carbapenemico (meropenem o imipenem-cilastina)
piperacillina-tazobactam
- altri antibiotici (aminoglicosidici, chinolonici e/o vancomicina) possono essere aggiunti alla
terapia iniziale per il trattamento di complicanze (es. ipotensione e polmonite) o nel caso
venga sospettata o provata antibiotico resistenza
- L’uso di vancomicina o altri farmaci attivi su cocchi aerobi gram positivi non è raccomandato come
terapia standard iniziale antibiotica in presenza di neutropenia febbrile.Va considerato in caso di infezione
sospetta del CVC, infezione dei tessuti molli o cute, polmonite o instabilità emodinamica.
- Nei pazienti allergici ai beta lattamici utilizzare combinazioni di vancomicina + aztreonam
oppure ciprofloxacina + clindamicina
- Modificazione della terapia empirica iniziale può essere considerata nei paziente clinicamente
instabili o in quelli in cui le emocolture fanno sospettare infezioni da batteri resistenti quali lo
Staphyloccocco meticillino-resistente (MRSA) (glicopeptidi, linezolid o daptomicina),
Enterococco vancomicina-resistente (VRE) (linezolid o daptomicina),
Klesbiella pneumoniae carbapenemase-producing (KPC) (tigeciclina, colistina).
- La terapia antifungina empirica può essere considerata nei pazienti con neutropenia prolungata (>7
gg) e febbre persistente/ricorrente dopo 4-7 gg di terapia antibiotica empirica. In alternativa può essere
accettabile una terapia "preventiva" basata su criteri clinici, strumentali (Tc seni, polmone) o sierologici
(Mannano/antimannano, β (1-3)-D- glucano, Galattomannano)
-
Paziente a basso rischio:
-
trattamento antibiotico orale:
ciprofloxacina + amoxicillina/ac. clavulanico
ciprofloxacina + clindamicina
- I pazienti in profilassi con fluorochinolonici non devono ripetere una terapia empirica orale con un
chinolonico
- in casi selezionati il paziente può essere trattato a domicilio ma il ricovero deve essere prontamente
effettuato in caso di febbre persistente o in caso di comparsa di segni o sintomi che indicano un
peggioramento dell’infezione per iniziare un trattamento antibiotico parenterale ad ampio spettro.
-
non è raccomandata la terapia antifungina empirica
Uso terapeutico G-CSF
Non è raccomandato di routine in associazione alla terapia antibiotica anche se può essere considerato
nei pazienti ad alto rischio.
Riduce la durata della neutropenia e della ospedalizzazione, ma la mortalità correlata all’infezione appare
influenzata solo marginalmente
Bibliografia
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Pagina 18 di 54
Sepsi severa e shock settico
Definizioni
La sepsi è un processo infettivo noto e documentato microbiologicamente o clinicamente fortemente
sospetto associato ad una eterogenea sindrome definita SIRS (Sindrome da Risposta Infiammatoria
Sistemica ) che risulta da una complessa interazione tra difese dell’ospite e patogeno invasore.
La SIRS è caratterizzata da almeno 2 delle seguenti condizioni:
- Temperatura  38oC o 36 o C
- Frequenza Cardiaca  90 battiti/min
- Frequenza respiratoria  20/min, paCO2 < 32mmhg
- Leucociti 12,000/mm3 o  4,000/mm3 o >10% neutrofili immaturi.
La sespi severa è caratterizzata da ipotensione arteriosa associata ad almeno 1 insufficienza d’organo:
- Renale (oliguria)
- Respiratoria (ipossiemia PaO2 < 72 mm Hg)
- Epatica (iperbilirbunemia)
- Ematologica (DIC)
- Sistema Nervoso Centrale (alterazione dello stato di coscienza)
- Acidosi metabolica (aumento dei lattati)
Lo shock settico è uno stato di insufficienza cardio-circolatoria acuta caratterizzata da ipotensione
arteriosa persistente da almeno un’ora non spiegabile da altre cause e che non risponde alla
somministrazione di liquidi e vasopressori.
L’ipotensione è definita come Pa < 90 mmHg o 40 mmHg inferiore alla pressione abituale del paziente.
Test diagnostici della sepsi
Nessuno dei markers sierologici disponibili è specifico per sepsi e devono necessariamente essere
integrati con gli aspetti clinici suggestivi per sepsi.
I più utilizzati nella pratica clinica come marcatori di stati infiammatori sistemici (SIRS), sepsi, sepsi
severa o di shock settico sono le proteine della fase acuta: PCR (Proteina C reattiva) e PCT
(Procalcitonina)
Procalcitonina: In caso di sepsi severa, la concentrazione plasmatica di procalcitonina è direttamente
proporzionale alla gravità del quadro clinico
- Prodotta dalle cellule C della tiroide e da cellule neuroendocrine extratiroidee (polmone, intestino,
fegato)
- Emivita di 25-30 h
- Prodotta selettivamente in risposta ad infezioni batteriche (stimolo più potente è l’endotossina
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batterica) e in corso di MOF (Multi Organ Failure).
- Non aumenta (se non in modo poco significativo) nelle infezioni fungine, virali, in malattie
autoimmunitarie e neoplasie
- individuo sano: indosabile o < 0.1 ng/mL
- paziente infetto: 1-1000 ng/mL NB: mancano cut-off
- Si eleva anche in corso di: politrauma, post-operatorio, infarto miocardio, arresto
cardiocircolatorio,ustione.
PCR: Ottimo marker di infiammazione, è più aspecifica:
- si eleva sia in corso di infezione virale che batterica
- non sembra essere correlata con l’entità della sepsi (raggiunge i suoi massimi livelli anche nelle
sepsi meno gravi, oppure rimane elevata per poco tempo rispetto alla severità della prognosi del
paziente).
Una meta-analisi (Simon et al. 2004), ha evidenziato come la PCT sia un marker più accurato rispetto alla
PCR nella distinzione fra infiammazione batterica e quella di origine non infettiva:
sensibilità dell’88% vs 75% e specificità dell’81% vs 67%
Trattamento
Una volta sospettato/identificato il quadro di sepsi severa o shock settico, va contattato il rianimatore e
comunque è prognosticamente importante procedere immediatamente con:
1. Iniziale “resuscitazione”
2. Riconoscimento sede infezione
3. Antibioticoterapia empirica
4. Controllo glicemico
5. Steroidi
6. Proteina C ricombinante attivata
1. Resuscitazione
Infusione rapida (in 30 minuti) di liquidi:
cristalloidi 500 ml (reidratante, soluzioni Ringer) o colloidi 300 ml (Emagel, Gelplex, Voluven) ogni 30’.
Nella scelta dei liquidi da infondere non ci sono differenze significative dimostrate tra cristalloidi e colloidi,
tuttavia l’infusione di cristalloidi impone l’utilizzo di volumi maggiori e quindi di tempi di infusione più
prolungati. Inoltre l’infusione di colloidi artificiali potrebbe essere preferibile in presenza di gravi alterazioni
della permeabilità capillare o in caso di cardiopatie che aumentino il rischio di scompenso cardiaco.
Se non si riesce ad ottenete il controllo pressorio, bisogna iniziare l’infusione di vasopressori.
Da precisare che la dopamina a basse dosi (< 4 mcg/Kg/min) non è considerata un vasopressore ed è
ormai controindicata anche nella prevenzione dell’insufficienza renale. Il dosaggio pressorio di questa
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ammina prevede la somministrazione di almeno 25 ml/h (0,35 ml/kg) di soluzione fisiologica 500 ml + 2
fiale Revivan.
Ossigenazione: flussi di 4 -12 l/min, in modo da portare la SpO2 > 90 % (saturimetro) o la PaO2 > 60
mmHg (EGA)
Emotrasfusione per mantenere livelli di Hb tra 7-9 gr/dl (Hct > 30) allo scopo di garantire adeguata
ossigenazione a tutti i tessuti
2. Riconoscimento sede infezione
Colture appropriate dovrebbero sempre essere effettuate prima dell’inizio dell’antibioticoterapia:
- almeno 2 emocolture sia da vena periferica che da CVC se in situ da > 48h
- colture di ogni possibile sede sospetta per localizzazione di processo infettivo (urine, escreato e/o BAL,
liquido cefalo-rachidiano, liquidi da drenaggio, diarrea, etc)
Diagnostica per immagini quando clinicamente indicato ( Rx torace, eco addome, TC)
3. Antibioticoterapia empirica
Iniziare quanto prima (entro 1 ora) una terapia antibiotica empirica per via parenterale.
Sulla base del quadro clinico, della possibile sede del focolaio sepsigeno e dei rispettivi agenti patogeni,
nonchè dell’epidemiologia locale in termini di antibiotico-resistenza, lo schema terapeutico empirico deve
comprendere molecole ad ampio spettro d’azione.
Una volta disponibile l’agente eziologico, è indicato impostare una terapia antibiotica mirata
L’inadeguatezza della terapia antibiotica empirica è correlata in maniera statisticamente significativa ad
un outcome peggiore
4. Controllo glicemico
Mantenere i livelli di glicemia compresi tra 80 e 110 mg/dl, sia nel paziente diabetico che non, si associa
ad una minore morbidità e mortalità
Si raccomanda pertanto l’utilizzo di insulina sc o ev sulla base di controlli seriati della glicemia mediante
glucostick.
5. Steroidi
L’impiego di steroidi è ancora controverso.
L’impiego di steroidi ad alte dosi è da evitare
(es.METILPREDNISOLONE 30 mg/Kg) nei pazienti che, con adeguata terapia infusionale e
vasopressoria, risultano emodinamicamente stabili
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6. Proteina C ricombinante attivata
Primo agente anti-infiammatorio dimostratosi efficace nel trattamento della sepsi riducendo il tasso di
mortalità dal 30.8% dei trattati al 24.7% dei non trattati. Viene somministrata in infusione continua di 24
μg/kg/h per 96 ore.
Terapia empirica della sospetta sepsi da fonte non definita in paziente NON
NEUTROPENICO
1) Possibilità di scelta tra:
· Cefalosporina di 3a generazione: Ceftazidime 2g EV ogni 8 ore
· Cefalosporina di 4a generazione: Cefepime 2g EV ogni 8-12 ore
· Piperacillina-tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore
· Ticarcillina-acido clavulanico: 3.2g EV ogni 4-6 ore
· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore
· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore
+
· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina
15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore
· Fluorchinolone: Ciprofloxacina 400 mg EV ogni 8-12 ore o
Levofloxacina 750-1000 mg EV nelle 24 ore.
2) In caso di allergia agli antibiotici beta-lattamici possibilità di scelta
tra:
· Glicopeptide: Vancomicina 500 mg EV ogni 6 ore o 1 gr ogni 12 ore o Teicoplanina 400 mg ogni 12 ore
per 3 volte, poi 400 mg ogni 24 ore
+
· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina
15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore
+
· Fluorchinolone: Ciprofloxacina 400 mg EV ogni 8-12 ore o
Levofloxacina 750-1000 mg EV nelle 24 ore.
Qualora l’Aminoglicoside non possa essere praticato per insufficienza renale, si consiglia l’associazione
Glicopeptide + Fluorchinolone.
La durata della terapia non deve essere inferiore ai 10-14 giorni.
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Terapia empirica della sospetta sepsi da fonte non definita in paziente NEUTROPENICO
1) Monoterapia
Possibilità di scelta tra:
· Cefalosporina di 3a generazione anti-Pseudomonas: Ceftazidime 2g EV ogni 8 ore
· Cefalosporina di 4a generazione: Cefepime: 2g EV ogni 8-12 ore
· Piperacillina- tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore
· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore
· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore.
2) Terapia di associazione (due farmaci) senza glicopeptide
Possibilità di scelta tra:
· Cefalosporina di 3a generazione anti-Pseudomonas: Ceftazidime 2g EV ogni 8 ore
· Cefalosporina di 4a generazione: Cefepime 2g EV ogni 8-12 ore
· Piperacillina-tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore
· Ticarcillina-acido clavulanico: 3.2 g EV ogni 4-6 ore
· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore
· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore
+
· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina
15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore
2) Terapia di associazione con glicopeptide (‫)٭‬
Possibilità di scelta tra:
· Cefalosporina di 3a generazione anti-Pseudomonas: Ceftazidime 2g EVogni 8 ore
· Cefalosporina di 4a generazione Cefepime 2g EV ogni 8-12 ore
· Piperacillina-tazobactam: 4.5g EV ogni 6 ore
· Ticarcillina-acido clavulanico: 3.2g EV ogni 4-6 ore
· Imipenem-cilastatina: 500 mg EV ogni 6 ore/1 g EV ogni 8 ore
· Meropenem: 1g EV ogni 8 ore
+
· Glicopeptide: Vancomicina 500 mg EV ogni 6 ore o 1 gr ogni 12 ore o Teicoplanina 400 mg ogni 12 ore
per 3 volte, poi 400 mg ogni 24 ore
±
· Aminoglicoside: Gentamicina 5-7 mg/Kg EV nelle 24 ore o Amikacina
15-20 mg/Kg (max. 1.5g) EV nelle 24 ore
(‫ )٭‬Situazioni che richiedono l’inclusione del glicopeptide nella terapia
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empirica iniziale:
· sospetto clinico di severa infezione CVC-correlata (es. batteriemia, cellulite…)
· colonizzazione nota con S. pneumoniae resistente a penicilline ecefalosporine o con S. aureus
meticillino-resistente
· positività delle emocolture per
batteri Gram-positivi in attesa dell’identificazione finale e
dell’antibiogramma
· chemioterapia intensiva ad alte dosi
· recente profilassi con fluorchinoloni, prima dell’insorgenza della febbre, in pazienti neutropenici apiretici.
La durata della terapia va stabilita in base alla persistenza o meno della febbre e della neutropenia
nonché alla stima iniziale del rischio, rivalutando il paziente a 3-5 giorni.
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Iponatriemia e SIAD
Descrizione della patologia
- L’iponatremia, definita come un eccesso di acqua rispetto al sodio presente nei fluidi extracellulari, è il
più comune disordine elettrolitico nei pazienti ospedalizzati, definito da una concentrazione plasmatica <
136 mmol/l.
- Una iponatremia lieve (135>Na+>130 mmol/l) è presente nel 15-30% delle persone ospedalizzate ed
una moderata (130>Na+>125 mmol/l) nel 7%; una iponatremia con Na+ < 125 mmol/L è presente nel 4%
dei pazienti con tumore.
- L’iponatremia è importante clinicamente per l’alto rischio di mortalità nelle forme acute sintomatiche e
per il rischio di insorgenza della sindrome da demielinizzazione osmotica (o mielinolisi centrale pontina)
da correzione troppo rapida delle forme croniche. Valori < 120 mmol/L determinano infatti un incremento
esponenziale della mortalità.
- L’iponatremia può essere:
a) iso-osmolare o pseudoiponatremia (osmol. plasmatica 280-295): iperprotidemica, iperlipidemica.
b) iper-osmolare (osmol. plasmatica >295): iperglicemica, per somministrazione di mannitolo, glicerolo,
sorbitolo, immunoglobuline ev in soluzione di maltosio al 10%
c) ipo-osmolare (osmol.plasmatica <280) a sua volta classicamente distinta in: ipovolemica,
euvolemica e ipervolemica
- La sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (SIADH) è la causa più frequente di
iponatremia (30-40% di tutti i casi) ed è definita come una condizione nella quale l’organismo sviluppa un
eccesso d’acqua e una carenza nella concentrazione del sodio come risultato di impropri segnali di
omeostasi chimica dell’organismo, in assenza di una patologia del rene o di qualsiasi stimolo identificabile
non osmotico a rilasciare ADH.
- Normalmente l’organismo mantiene un controllo molto stretto tra l’ammontare totale d’acqua e la
concentrazione del sodio. L’ormone antidiuretico o arginina-vasopressina, viene secreto dalla ghiandola
pituitaria ed esercita una funzione molto importante sull’omeostasi sodio/acqua. La ghiandola pituitaria
rilascia ADH nel sangue quando i recettori presenti in vari organi (reni, cuore, ghiandole surrenali, tiroide)
indicano una carenza d’acqua o una troppo alta concentrazione di sali e causa una ritenzione di acqua
libera da parte del rene.
- Esistono molteplici cause di SIAD (tab 2)
- In alcuni casi la SIAD è la conseguenza della produzione e secrezione di ADH da parte del tumore
(soprattutto in caso di microcitoma). In alcuni pazienti, le mutazioni del recettore per la vasopressina
regolanti i canali dell’acqua causano un’aumentata concentrazione delle urine in assenza di ADH.
Siccome non tutti i pazienti con tale sindrome hanno aumentati livelli di ADH circolante, è stato proposto il
termine di sindrome da inappropriata antidiuresi (SIAD) e non da inappropriata secrezione di ADH
(SIADH).
Sintomi e segni
I sintomi dell’iponatremia sono prevalentemente neurologici, sono correlati all’entità e alla velocità della
riduzione della concentrazione plasmatica del sodio e sono espressione della disfunzione indotta
dall’edema cerebrale.
- L’ iposodiemia severa (Na+<125 mmol per litro), soprattutto se a sviluppo rapido (insorta entro 48 ore)
può causare una sintomatologia grave:
a) confusione mentale
b) allucinazioni
c) convulsioni
d) coma
e) erniazione cerebrale
f) arresto respiratorio e morte
- L’iposodiemia cronica può essere relativamente
aspecifici:
a) cefalea
asintomatica o manifestarsi con sintomi lievi e
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b)
c)
d)
e)
f)
g)
difficoltà di concentrazione
deficit mnemonici
crampi muscolari
astenia
disgeusia
deficit della deambulazione con facilità alle cadute soprattutto negli anziani
Diagnosi
Elementi essenziali
- osmolarità plasmatici effettiva < 275 mOsm/kg d’acqua (osmolarità effettiva o tonicità = osmolarità
misurata – urea plasmatica / 2.8)
- osmolarità urinaria >100 mOsm/kg d’acqua in presenza di ipotonicità plasmatica e inappropriata per
valori normali di pOsm
- euvolemia clinica:
a) non segni clinici di deplezione del volume dei fluidi extracellulari (ipotensione ortostastica,
tachicardia, ridotto trofismo della cute, secchezza delle mucose)
b) non segni clinici di eccessivo volume dei fluidi extracellulari (edemi o ascite)
- sodio urinario >30 mmol/litro con normale introito di sale con la dieta
- normale funzione tiroidea e surrenalica
- non uso recente di diuretici.
Elementi supplementari
- acido urico plasmatico < 4 mg/dl
- urea plasmatica < 10 mg/dl
- escrezione frazionata del sodio > 1%; escrezione frazionata dell’urea > 55%.
- mancata correzione dell’iponatremia con infusione di soluzione fisiologica allo 0.9%
- correzione dell’iponatremia tramite restrizione dell’introito di fluidi.
- anormali risultati del test da carico d’acqua (escrezione < 80% di 20 ml d’acqua per kg di peso corporeo
in un periodo di 4 ore) o inadeguata diluizione urinaria (<100 mOsm/Kg di acqua)
- elevati livelli plasmatici di arginina-vasopressina, nonostante la presenza di ipotonicità e la presenza di
euvolemia clinica.
Trattamento
L’unico trattamento definitivo della SIAD è l’eliminazione della causa sottostante (sospensione del
farmaco responsabile, trattamento efficace della neoplasia causale ecc.)
- In caso di iponatremia acuta (insorta entro 48 ore) o con presenza di gravi sintomi neurologici,
indipendentemente dalla durata che spesso non è nota, il trattamento consiste nell’ infusione di
soluzione fisiologica ipertonica al 3% alla velocità di 1 o 2 ml per Kg di peso corporeo all’ora per
ottenere un incremento della sodiemia, rispettivamente, di 1 o 2 mmol/l all’ora; in presenza di coma o
convulsioni si può utilizzare una velocità di infusione doppia (2-4 ml per kg al’ora) per la prime 2-4 ore,
mentre nei pazienti con sintomatologia lieve può essere utilizzata una velocità di infusione di 0.5 ml per kg
all’ora. La sodiemia deve essere controllata ogni 2-3 ore e la velocità di infusione della soluzione salina
modificata di conseguenza. Un’alternativa alla infusione continua di soluzione salina ipertonica, nei
pazienti gravemente sintomatici, è rappresentata dall’iniezione di un bolo di 100 ml di soluzione fisiologica
al 3% ripetibile dopo 10 minuti per un massimo di 3 volte. Alcuni autori raccomandano di associare
all’infusione di soluzione salina l’uso di furosemide (20-40 mg ev) perché promuove l’escrezione di acqua
libera e previene l’espansione del volume extracellulare, mentre altri autori ne consigliano l’uso solamente
in presenza di segni di sovraccarico di volume. Secondo gli esperti, anche in caso di iponatremia acuta e
sintomatica, la correzione della sodiemia non deve essere maggiore di 8-10 mmol/l nelle prime 24 ore e di
18 mmol/l nelle prime 48 ore. Il trattamento in acuto deve essere interrotto una volta raggiunto uno
qualunque dei seguenti obiettivi:
1) risoluzione dei sintomi da iponatriemia;
2)un livello sicuro di [Na], (generalmente ≥ 120 mmol/l);
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3) una correzione totale della [Na] di 18 mmol/l.
- La correzione troppo rapida dell’iponatriemia cronica (insorta ≥ 48 ore) è assolutamente da evitare
perché gravata dal rischio di insorgenza della sindrome da demielinizzazione osmotica. Questa
complicanza, che può comprendere sia una mielinolisi centrale pontina che una mielinolisi extrapontina,
da segno di sè (di solito dopo un iniziale miglioramento dei sintomi da iponatremia) inizialmente con
sintomi quali letargia e cambiamenti dell’affettività e successivamente con disartria, disfagia, quadriparesi
spastica, paralisi pseudo bulbare. La prognosi è pessima e il danno neurologico è spesso irreversibile.
- Nei pazienti con iponatriemia cronica pauci- o asintomatica la correzione deve essere molto graduale. Il
trattamento di prima scelta è in genere rappresentato dalla restrizione dell’introito di fluidi:
1) tutti i fluidi, non solo l’acqua, devono essere inclusi nella restrizione;
2) l’entità della restrizione richiesta dipende dalla diuresi (generalmente l’introito di liquidi
deve essere 500 ml al di sotto della diuresi nelle 24 ore precedenti, di media 800 ml/die)
3) sono necessari diversi giorni per avere un aumento significativo dell’osmolarità
plasmatica;
4) il massimo apporto di fluidi tollerato è proporzionale al carico osmotico assunto per via
orale, cosicchè un adeguato apporto di proteine e sali con la dieta deve essere
incoraggiato. Il limite principale di questo regime è rappresentato dalla scarsa compliance
dovuta a un intatto meccanismo della sete.
Spesso è perciò necessario un trattamento farmacologico:
- Il trattamento con urea (30 g al giorno) incrementa l’escrezione di acqua libera da soluti. Efficace nel
trattamento a lungo termine, con effetto protettivo sulla mielinolisi ed il danno cerebrale, ma è mal
tollerato per il suo sapore sgradevole ed è controindicato nei pazienti con cirrosi poiché in grado di
generare o peggiorare i sintomi dell’encefalopatia.
- Demeclociclina (da 300 a 600 mg due volte al giorno) derivato della tetraciclina agisce provocando un
diabete insipido nefrogeno. L’effetto si manifesta dopo 2-5 giorni dall’inizio della terapia con un profilo
tossicologico che comprende fotosensibilità cutanea e nefrotossicità.
- Antagonisti dei recettori per la vasopressina o Vaptani:
Conivaptan (Vaprisol, Astellas Pharma) antagonista dei recettori per la vasopressina V1a e V2,
inibendo quindi il riassorbimento di acqua dal dotto collettore. Disponibile solo in preparazione parenterale
e quindi somministrabile esclusivamente in ospedale, è approvato dalla FDA per la terapia
dell’iponatremia euvolemica ed ipervolemica, specialmente nello scompenso cardiaco congestizio. Vista
la scarsa selettività del farmaco, che blocca anche i recettori V1 della vasopressina inducenti
vasocostrizione, vi è il rischio di indurre ipotensione da trattamento.
Tolvaptan (Samsca, Otsuka Pharmaceutical Europe Ltd. OPEL), antagonista del recettore per la
vasopressina V2, disponibile per via orale, è stato approvato dalla FDA nel maggio 2009 e dall’Unione
Europea nell’agosto dello stesso anno per il trattamento della SIADH. La sua efficacia e sicurezza a lungo
termine con effetti collaterali assolutamente minimi è convalidata inoltre dagli studi “EVEREST” del 2007
e “SALTWATER” del 2010.
È necessario sospendere l’infusione di soluzione fisiologica ipertonica in corso di trattamento con Vaptani,
idratando il paziente in modo appropriato.
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Tabella 1: Cause di iponatriemia in base alla volemia
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IPOVOLEMICA
EUVOLEMICA
IPERVOLEMICA
Nefropatia con perdita di sali
Deficit di glucocorticoidi
Ipotiroidismo
Scompenso cardiaco congestizio
Cirrosi
Terapia con diuretici
SIADH
Insufficienza
cronica
Perdita di sali da causa cerebrale (Cerebral salt wasting): traumi,
interventi neurochirurgici
Eccessivo introito di
birra associato a ridotta
assunzione di cibo
(Beer potomania)
Dieta con contenuto
proteico molto ridotto
Perdita renale di sodio con ritenzione di acqua
Bicarbonaturia, chetonuria, glicosuria
renale
acuta
e
Sindrome nefrosica
Deficit di mineralcorticoidi
Perdita extrarenale di sodio con ritenzione di acqua
Perdite gastroenteriche (vomito, diarrea)
Sudorazione profusa (esercizio fisico prolungato)
Perdite nel terzo spazio
intestinale,traumi muscolari)
(pancreatiti,
ustioni,
occlusione
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Tabella 2: Cause di SIAD
NEOPLASIE
MALATTIE
POLMONARI
MALATTIE
SNC
Neoplasie
polmonari:
-carcinoma
piccole cellule
-mesotelioma
Infezioni
(batteriche, virali,
tubercolosi,
ascessi)
Carcinomi
dell’orofaringe
Carcinomi del tratto
gastro-enterico:
-stomaco
-duodeno
-pancreas
a
Carcinomi del tratto
genitourinario:uretere,ves
cica,prostata,
endometrio
DEL
FARMACI
ALTRE CAUSE
Infezioni (meningiti,
encefaliti,
ascessi,
AIDS)
Farmaci che stimolano
il rilascio di ADH:
-clorpropamide
-inibitori del reuptake
della
serotonina
-antidepressivi triciclici
-clofibrato
-carbamazepina
-nicotina
-narcotici
-antipsicotici
-antineoplastici
(vincristina, ifosfamide,
ciclofosfamide)
-FANS
-Ecstasy
Ereditaria
Stato asmatico
Lesioni
emorragiche/masse:
-ematoma subdurale
-emorragia
sub
aracnoidea
-accidenti
cerebrovascolari
-neoplasie cerebrali
-trauma cranico
-idrocefalo
-trombosi del seno
cavernoso
Analoghi dell’ADH:
-desmopressina
-ossitocina
-vasopressina
Idiopatica
Fibrosi cistica
S. di Guillain-Barrè
Transitoria (nausea, dolore,
stress, anestesia generale,
esercizio fisico prolungato)
Sclerosi multipla
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Timoma endocrino
Linfomi
Sarcomi
Ewing)
S. di Shy-Drager
(S.
di
Delirium tremens
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Figura 1: algoritmo per il trattamento della iponatremia severa
[Na] <125 mmol/L
Insorgenza acuta (< 48 ore)
o coma, convulsioni
Insorgenza di durata non nota,
sintomi moderati
asintomatica
Infusione immediata di soluzione
fisiologica 3% 1-2 ml/kg/h sino a
miglioramento dei sintomi oppure
bolo di 100 cc ogni 10 min sino a
un massimo di 3 volte
Controllo della sodiemia ogni 2 h e
aggiustamento della velocità di
infusione
Valutazione diagnostica
Valutazione diagnostica
Escludere deplezione del volume
extracellulare (2L di sol.
Fisiologica 0.9% in 24 ore)
L’obiettivo è aumentare [Na] di
0.5-2 mmol/l/h
Controllo della sodiemia ogni 2-4 h
e aggiustamento della velocità di
infusione
Considerare furosemide o vaptani
Interrompere quando [Na]
aumenta di 8-10 mmol nelle prime
24 h
Valutazione diagnostica
Trattamento dei fattori correggibili
Bibliografia
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Parenti G. et al. Iponatremie: aspetti generali, principi di diagnosi e terapia.
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Coagulazione intravascolare disseminata
Descrizione della patologia
- la coagulazione intravascolare disseminata (CID) è una sindrome caratterizzata dall’attivazione
sistemica della coagulazione, con formazione intravascolare di fibrina e conseguente frequente
occlusione trombotica di vasi di piccolo e medio calibro che può compromettere la perfusione degli organi
con scompenso funzionale.
- la CID può complicare una varietà di patologie quali sepsi, traumi, neoplasie (tumori solidi soprattutto
mucinosi, leucemia).
- clinicamente la CID associata a neoplasia ha generalmente una presentazione meno drammatica
rispetto alla CID che complica la sepsi o i traumi. Una più graduale, ma anche più cronica attivazione
sistemica della coagulazione può progredire in maniera subclinica.
Presentazione clinica e diagnosi
La CID può associarsi a sanguinamento da piastrinopenia, da consumo dei fattori della coagulazione e
da iperfibrinolisi.
- il sanguinamento, talvolta di grado severo, è solitamente la prima e più frequente manifestazione
clinica indicante la presenza della CID, dovuto ad un esaurimento di piastrine e fattori della coagulazione
da parte del processo coagulativo in atto, con evidenza agli esami ematochimici di piastrinopenia,
ipofibrinogenemia ed alterazione dei test emocoagulativi.
- se la funzionalità epatica non è compromessa, l’aumentata sintesi di proteine della coagulazione
potrebbe mascherare il sottostante consumo di fattori ed in questo caso la piastrinopenia è il segno più
prominente di una CID sottostante.
- la misura dei markers correlati alla fibrina come la fibrina solubile e i prodotti di degradazione
della fibrina possono essere utili a stabilire la diagnosi in un ambito di routine, tuttavia la specificità di tali
tests nella CID correlata al cancro non è stata stabilita.
- non possiamo a tutt’oggi avvalerci di un singolo test di laboratorio in grado di stabilire o escludere la
diagnosi di CID. Sono stati proposti score diagnostici che combinano segni clinici e parametri di
laboratorio anche se rimane difficile stabilire la loro reale applicabilità ed affidabilità dal momento che
l’evidenza disponibile è scarsa. Pur tuttavia, in pazienti con sospetta CID si suggerisce l’ uso dello score
dell’ International Society of Thrombosis and Haemostasis per effettuare la diagnosi. Tale score
prevede una valutazione iniziale del rischio che un paziente con una data patologia possa incorrere in
una CID: si utilizzano poi dei test coagulativi quali il tempo di protrombina (TP), il dosaggio del fibrinogeno
e dei prodotti della degradazione del fibrinogeno-fibrina (D-Dimero) ed il conteggio delle piastrine
assegnando ad un dato valore un punteggio.

Piastrine > 100 mmc = 0; < 100 = 1; < 50 = 2.

D-Dimero v.n.= 0; fino a 10 volte la norma = 1; superiore a 10 volte la norma = 2.

PT <1.25 = 0; tra 1.25 e 1.50 = 1; > 1.50 = 2.
Un punteggio uguale o superiore a 5 è compatibile con la diagnosi di CID.
Levi M et al. Intern Emerg Med 2012
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Levi M et al. Intern Emerg Med 2012
Trattamento
- la terapia più importante nel tentativo di controllare una CID è il trattamento della patologia che ne
ha causato l’insorgenza.
- una terapia si supporto (plasma, piastrine, crioprecipitato) è frequentemente necessaria allo scopo di
correggere le alterazioni emo-coagutative indotte dalla CID:
Piastrine
Valori bassi di piastrine e dei fattori della coagulazione possono accrescere il rischio di sanguinamento.
Tuttavia la terapia sostitutiva non deve essere istituita solo sulla base di risultati di laboratorio, ma è
indicata:
- in pazienti con sanguinamento in atto,
- in quelli che richiedono una procedura invasiva
- in quelli che siano di per sé a rischio di sanguinamento.
La soglia per trasfondere piastrine dipende dallo stato clinico del paziente. In generale la trasfusione di
piastrine viene riservata a pazienti che sanguinano e che hanno un numero di piastrine inferiore a 50
x109/L. Nei pazienti che non sanguinano si trasfondono piastrine a una soglia di 10-20 x109/L.
Plasma
Per correggere il difetto della coagulazione potrebbe essere necessaria una dose iniziale di plasma fresco
congelato pari a 15 ml/kg anche se c’è evidenza che una dose pari a 30 ml/kg possa produrre una miglior
correzione del livello dei fattori della coagulazione.
Crioprecipitato
Se i livelli di fibrinogeno circolante sono inferiori a 1 g/L si suggerisce la somministrazione
di crioprecipitato o concentrato di fibrinogeno.
 Non si suggerisce l’uso di Eparina non frazionata o a basso peso molecolare ad esclusione della
profilassi del tromboembolismo venoso nella CID senza sanguinamento
 Non si suggerisce l’uso dell’antitrombina.
 Non si suggerisce l’uso di dermatan solfato
 Non si suggerisce l’uso routinario di fattore VII attivato ricombinante; solo nel caso di sanguinamento
non controllato da precedenti misure terapeutiche si suggerisce l’uso del fattore VII ricombinante alla
dose di 90 microgrammi/kg
 Non si suggerisce l’uso di gabesato
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 In generale non si suggerisce l’uso di agenti antifrinolitici; in pazienti con CID che è caratterizzata da
uno stato iperfibrinolitico primario e che si presentano con un sanguinamento severo potrebbero essere
trattati con ac. tranexamico (es. alcuni casi di leucemia promielocitica o tumore della prostata).
Levi M et al. Intern Emerg Med 2012
Bibliografia
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Compressione midollare da localizzazione metastatica
Descrizione della patologia
- Definita come compressione del midollo spinale o della cauda equina, dovuta alla compressione
diretta da parte della neoplasia e/o dal crollo o instabilità vertebrale indotte dalla malattia metastatica o
dall’estensione diretta della neoplasia, che si teme possa causare o che già causi disabilità neurologiche.
- E’ una grave complicanza che riguarda il 5-10% dei malati neoplastici.
- Fondamentale per aumentare le possibilità di cura di questi pazienti è effettuare un trattamento
precoce di questa complicanza, laddove viene frequentemente descritto in letteratura un ritardo dal
momento della comparsa dei primi sintomi al momento nel quale vengono messe in atto le appropriate
terapie.
- Circa la metà dei pazienti con compressione midollare da neoplasia non è in grado di camminare al
momento della diagnosi; di questi la maggior parte (circa il 67%) non ottengono il recupero funzionale ad
una valutazione ad 1 mese.
- La capacità di camminare autonomamente al momento della diagnosi viene mantenuta nella maggior
parte dei casi (circa 81% dei casi) dopo un mese dall’inizio delle cure.
- La capacità di camminare autonomamente al momento della diagnosi risulta significativamente
correlata alla sopravvivenza globale dei pazienti.
Sintomi e segni
- sensazione di tensione spinale localizzata.
- dolore radicolare
- dolore alla colonna: è il sintomo più caratteristico di compressione midollare. Tale dolore può essere
progressivo o acuto e difficilmente controllabile (come in caso di collasso vertebrale). Tale dolore viene
accentuato dallo sforzo o da manovre tipo il tossire, lo starnutire, lo sforzarsi per andare di corpo.
- deficit sensoriali
- ipostenia a livello degli arti
- difficoltà nel camminare
- disfunzioni degli sfinteri vescicali ed anali
Diagnosi
- la risonanza magnetica nucleare della colonna in toto deve essere effettuata in tempo utile, a
meno che non esistano specifiche controindicazioni alla sua esecuzione.
- deve essere effettuata entro una settimana in caso di dolore alla colonna sospetto per metastasi alla
colonna ed entro 24 ore nel caso di dolore alla colonna e sintomi o segni neurologici suggestivi per
compressione midollare. Talvolta la RMN deve essere effettuata immediatamente se esiste evidenza
clinica per un intervento chirurgico d’urgenza nel tentativo di preservare la funzionalità d’organo.
Trattamento
- I paziente con dolore severo suggestivo per instabilità della colonna o con qualsiasi sintomo o segno
neurologico suggestivo per compressione midollare, dovrebbe essere posizionato in maniera idonea su
una superficie piana e con mezzi di contenimento in modo da ottenere un allineamento della colonna in
posizione neutrale fino a quando sia assicurata una stabilità dell’osso e neurologica.
- Effettuare trattamento steroideo
- Iniziare il trattamento definitivo (chirurgia, radioterapia), se possibile, prima di qualsiasi segno di
peggioramento neurologico e comunque, idealmente, entro le 24 ore dalla conferma della diagnosi di
compressione midollare.
- Pianificare la chirurgia per massimizzare la possibilità di preservare la funzione neurologica, nel
caso non esista eccessivo rischio per il paziente, tenendo conto delle sue condizioni generali, della sua
prognosi e di cosa egli preferisca fare.
- Assicurarsi un accesso urgente (entro 24 ore) e la disponibilità di un trattamento radioterapico,.
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Trattamento radioterapico
- Esiste indicazione al trattamento radiante solo se i sintomi neurologici non sono consolidati e non è
fattibile un trattamento chirurgico.
- L’avvio del trattamento deve avvenire entro 24 ore dalla prescrizione espressa dal medico
radioterapista.
- Dose frazionamento e volume da trattare vanno valutati dal medico radioterapista in funzione delle
caratteristiche cliniche individuali.
Bibliografia
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Porpora trombotica trombocitopenia (PTT)
Descrizione della patologia
- definita come disordine della coagulazione che causa una microtrombosi estesa dei piccoli vasi di
tutto il corpo (microangiopatia trombotica).
- la maggior parte dei casi insorge per l’inibizione dell’enzima ADAMTS13, una metalloproteasi
responsabile del clivaggio dei multimeri del fattore di vonWillebrand (vWF) in unità più piccole. In
presenza di grossi multimeri del vWF, si verifica un aumento dei fenomeni coagulativi.
- esiste una forma di PTT idiopatica, di natura autoimmune, dovuta all’inibizione dell’enzima
ADAMTS13 da parte di autoanticorpi, una rara forma ereditaria, la sindrome di Upshaw-Schulman, dovuta
al deficit dell’enzima e una forma secondaria correlata a diversi fattori:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
tumori
trapianto di midollo
gravidanza
uso di farmaci (quinine, inibitori dell’aggregazione piastrinica come la ticlopidina ed il
clopidogrel)
immunosoppressori (ciclosporina, tacrolimus), ed immunostimolanti (interferone-)
chemioterapici (mitomicina, gemcitabina)
infezione da HIV-1
casi di microangiopatia trombotica sono stati correlati a trattamenti con nuovi farmaci a
target molecolare (bevacizumab, sunitinib, imatinib, immunotossine)
- nelle forme secondarie il meccanismo eziopatogenetico è poco compreso; l’attività dell’enzima
ADAMTS13 non è generalmente depressa come nella forma idiopatica e non sono solitamente presenti in
circolo inibitori dell’enzima.
- difficoltà nella diagnosi differenziale tra PTT e sindrome uremica emolitica (SUE). Entrambe sono
caratterizzate da una anemia emolitica microangiopatica e da trombocitopenia, ma la sintomatologia
neurologica è più facilmente associata alla PTT mentre l’insufficienza renale alla SUE (anche se in
entrambe le patologie possono esserci nessuno o entrambi i sintomi). Nella PTT esiste frequentemente
un deficit severo dell’attività dell’enzima ADAMTS13, cosa che non si verifica in caso di SUE. Bambini nei
quali si evidenzia un’anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia ed insufficienza renale,
tipicamente dopo un periodo di diarrea, sono considerati affetti da SUE. In caso di SUE il plasma
exchange non è considerato trattamento standard.
- la sintomatologia è dovuta al ridotto flusso sanguigno dovuto alla trombosi a livello degli organi irrorati,
con presenza di danno d’organo. Il passaggio dei globuli rossi attraverso i microcoaguli causa una
emolisi intravascolare con danneggiamento della membrana cellulare e formazione di schistociti.
Sintomi e segni
Insorgenza acuta o subacuta di sintomi correlati a disfunzione neurologica, insufficienza renale, anemia e
piastrinopenia. Classicamente le seguenti cinque caratteristiche sono indicative di PTT anche se, nella
maggior parte dei casi, non sono tutte presenti:
- sintomi neurologici: allucinazioni, comportamenti strani, stato mentale alterato, mal di testa, stroke,
deficit neurologici focali fluttuanti.
- insufficienza renale
- febbre
- trombocitopenia causante ematomi o porpora
- anemia emolitica microangiopatica
I sintomi di PTT possono essere inizialmente assai sfumati con evidenza esclusivamente di malessere
generale, febbre, mal di testa e, qualche volta, dolore addominale e diarrea. Con la progressione della
microangiopatia trombotica si manifestano i sintomi emorragici (porpora, ecchimosi, sanguinamento
soprattutto di naso e gengive) ed i sintomi dovuti a deficit del flusso sanguigno a livello di alcuni organi,
soprattutto rene ed encefalo.
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Data l’alta mortalità della PTT quando non trattata, una diagnosi presuntiva di PTT deve essere fatta in
presenza anche solo di anemia microangiopatica e piastrinopenia.
Esami di laboratorio
-
Emocromo completo con piastrine
a) piastrinopenia spiccata (solitamente PLT 20000 – 50000 per microlitro)
b) emoglobina moderatamente ridotta (solitamente 8-9 g/dl)
c) globuli bianchi normali o solo lievemente ridotti
- Vetrini di sangue periferico: Schistociti. Considerati da alcuni la “conditio sine qua non” per la
diagnosi, possono non essere presenti nelle fasi iniziali della coagulopatia
- Coagulazione (PT ed aPTT) sono solitamente normali o solo lievemente allungati
- D-dimero (indicatore di attivazione della trombina e di fibrinolisi) normale o solitamente solo
lievemente aumentato
- Fibrinogeno tipicamente alto/normale
- Azotemia e creatinina elevata in caso di danno renale
- Latticodeidrogenasi elevata (non raramente sopra 1000 IU/L)
- Bilirubina indiretta elevata
- Emoglobinuria con urine scure
L’esecuzione dei test di coagulazione risultano importanti nel differenziare PTT e SUE dalla CID.
Altri esami che possono avere una valenza clinica sono:
-
Test di Coombs diretto negativo (se positivo più facilmente anemia emolitica autoimmune)
Test HIV nelle PTT di nuova diagnosi, vista possibile correlazione con il virus
La misurazione dell’attività dell’enzima ADAMTS13, non disponibile di routine, non possiede un’utilità
clinica dimostrata.
Trattamento
- Plasma exchange con plasma fresco congelato. Solo in caso di non immediata disponibilità della
procedura, si ricorre alla semplice infusione di plasma, stando attenti a non sovraccaricare il circolo, fino
al momento in cui sia possibile effettuare il plasma exchange.
- Di solito almeno 5 procedure di plasma exchange sono effettuate nei primi 10 giorni
- In caso di SUE è talvolta necessario sottoporre il paziente a dialisi.
- La comparsa di ipotensione è l’effetto collaterale più frequente della procedura.
- I criteri per definire una risposta completa sono la scomparsa dei sintomi neurologici, la
normalizzazione di emoglobina, piastrine, LDH, bilirubina e creatinina.
- Nei pazienti refrattari al plasma exchange è possibile ottenere efficacia utilizzando plasma
“cryopoor” o “cryosupernatant”, plasma fresco congelato dal quale viene rimosso il crioprecipitato, in
questo modo ottenendo la deplezione dei multimeri ad alto peso molecolare del fattore von Willebrand
che hanno un valore patogenetico fondamentale nell’insorgenza della PTT (la maggiore efficacia del
plasma supernatant rispetto al plasma fresco congelato normale deve essere comunque ancora
dimostrata in studi randomizzati).
- In casi di malattia refrattaria al plasma exchange, viene talvolta associato trattamento
immunosoppressivo con steroidi, vincristina, ciclofosfamide, ciclosporina o rituximab. Mancano
evidenze scientifiche forti che indirizzino in maniera più precisa all’utilizzo delle varie terapie
immunosoppressive.
- Le trasfusioni piastriniche devono essere evitate se non in presenza di emorragie pericolose per la vita
del paziente (soprattutto a livello del SNC).
Pagina 39 di 54
Bibliografia
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Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare
Descrizione della patologia
- La trombosi venosa profonda (TVP) è l'ostruzione parziale o completa di una vena della circolazione
venosa profonda da parte di un coagulo di sangue o trombo. Maggiormente interessati sono gli arti
inferiori (90% dei casi), ma può interessare tutto il sistema venoso, localizzandosi più frequentemente alla
vena cava, alle vene iliache, alla vena femorale superficiale, alla vena poplitea, alle vene tibiali anteriori e
alle vene tibiali posteriori. L’embolia polmonare (EP), complicanza della TVP, è l'ostruzione acuta,
completa o parziale, di uno o più rami dell'arteria polmonare da parte di materiale trombotico proveniente
dalla circolazione venosa sistemica. Pertanto viene anche meglio definita tromboembolia polmonare
(TEP).
- Il tromboembolismo venoso rappresenta una delle più importanti e frequenti cause di morbidità e
mortalità nei pazienti oncologici con un’incidenza dello 0.8-8% in questi pazienti.
Esistono fattori di rischio in pazienti con tumore:
Generali:
a) neoplasia attiva
b) stadio avanzato
c) sede (pancreas, stomaco, tumori ginecologici, vescica, polmoni, encefalo, linfoma, patologie
mieloproliferative, rene)
d) masse linfonodali determinanti compressione vascolare estrinseca.
e) Ipercoagulabilità acquisita
f) sindromi trombofiliche congenite
g) patologie mediche associate (infezioni, malattie renali, malattie polmonari, scompenso
cardiocircolatorio, tromboembolismo arterioso)
In corso di chemioterapia:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
tipo di neoplasia
conta piastrinica pre-chemioterapia > 300.000/mcL
leucociti pre-chemioterapia > 11.000/mcL
emoglobina < 10 g/dL
uso di fattori stimolanti l’eritropoiesi
indice di massa corporea > 35 Kg/m2
precedenti episodi di tromboembolismo venoso
Legati al trattamento
a)
b)
c)
d)
chirurgia maggiore
catetere venoso centrale; catetere venoso
chemioterapia
Altri trattamenti oncologici
Bevacizumab
Talidomide/lenalidomide con desametasone ad alte dosi
e) terapia con estrogeni (Dietilstilbestrolo)
f) terapia ormonale sostitutiva
g) contraccettivi
h) Terapia con antiestrogeni (Tamoxifene/Raloxifene)
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Altri fattori di rischio
a)
b)
c)
d)
e)
allettamento
immobilizzazione di un arto (gesso)
fumo
obesità
ridotta attività fisica
Fattori di rischio specifici per mieloma
a) picco monoclonale > 1.6 g/dL
b) malattia in progressione
c) iperviscosità (soprattutto in Waldenstrom).
Diagnosi di trombosi venosa profonda o superficiale
Sospetto clinico
 edema di un’estremità
 senso di peso ad un’estremità
 dolore spontaneo o evocato alla dorso flessione del piede
 persistente inspiegabile crampo ad un polpaccio
 edema al volto, al collo ed allo spazio sovraclaveare
 malfunzionamento di CVC
 Riscontro radiografico in pazienti asintomatici
Accertamenti
 Esame emocromocitometrico completo con conta piastrinica
 PT
 aPTT
 Didimero (falsi positivi in corso di malattia neoplastica o infezioni in atto)
 Eco-color Doppler venoso
 Compressive Ultrasound (l’ecografia compressiva della vena femorale, compreso l’across safenofemorale, e della vena poplitea, ha un elevatissimo valore predittivo nel confermare o escludere la
presenza di trombi nel distretto venoso degli arti inferiori)
In caso di negatività, con sospetto persistente
 Ripetizione di eco-color Doppler venoso
 TAC con mdc
 Flebografia RM
Diagnosi di embolia polmonare
Sospetto clinico
 Trombosi venosa profonda in atto o recente
 Dispnea, dolore toracico, tachicardia, tachipnea, oppressione toracica inspiegabile
 Ipotensione non altrimenti spiegabile. Sincope
Accertamenti
 Esame emocromocitometrico completo con conta piastrinica
 PT
 aPTT
 Didimero
 ECG
 Emogasanalisi (valutazione della desaturazione di O2)
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 Ecocardiogramma
 Compressive Ultrasound (l’ecografia compressiva della vena femorale, compreso l’across safenofemorale, e della vena poplitea, ha un elevatissimo valore predittivo nel confermare o escludere la
presenza di trombi nel distretto venoso degli arti inferiori).
 Angio-TC
 Scintigrafia polmonare perfusionale eventuale.
Terapia della trombosi venosa profonda ed embolia polmonare
Fase acuta
- Eparina a basso peso molecolare (EBPM)
Dosi fisse aggiustate al peso corporeo
200 U/Kg 1 volta/die (nadroparina o dalteparina)
100 U/Kg 2 volte/die (enoxaparina)
- Eparina non frazionata (ENF)
Bolo iniziale di 5000 UI.
Infusione endovenosa continua di dosi variabili (in genere circa 30.000 U/24 ore) per ottenere e
mantenere aPTT compreso tra 1.5 e 2.5 volte il basale.
Tale trattamento è attualmente effettuato sempre meno frequentemente per la maggior sicurezza e
maneggevolezza del trattamento con eparine a basso peso molecolare.
- Antagonisti della vitamina K
Embricatura tra trattamento eparinico e trattamento con antagonisti della vitamina K. Al raggiungimento
del range terapeutico, mantenuto per almeno 2 giorni consecutivi, si sospende la terapia con eparina.
NOTA: il fondaparinux è un altro farmaco approvato per la fase acuta della terapia della trombosi venosa
profonda. Le dosi giornaliere raccomandate, da somministrare sottocute una volta al giorno, sono:
 5 mg per pazienti con peso < 50 kg
 7.5 mg per pazienti con peso compreso tra 50 e 100 kg
 10 mg per pazienti con peso > 100 kg.
Il farmaco è controindicato in pazienti con creatinina clearance < 30 ml/min, e deve essere usato con
cautela in pazienti con creatinina clearance compresa tra 30 e 50 ml/min, o con peso < 50 kg o con età >
75 anni
- Terapia trombolitica
Da considerare in specifici sottogruppi di pazienti come casi di embolia polmonare con severa disfunzione
ventricolare destra, o con trombosi iliaco-femorale massiva a rischio di gangrena dell’arto, quando è
richiesta una rapida decompressione venosa con un ripristino del flusso.
Durata del trattamento anticoagulante
La terapia va mantenuta almeno tutto il tempo in cui la malattia è in fase attiva, o sono in corso terapie
antitumorali (fatte salve le controindicazioni).
Terapia a lungo termine
I pazienti neoplastici con tromboembolia venosa, durante il trattamento con anticoagulanti orali sono
esposti a rischio significativo sia di recidive trombotiche sia di complicanze emorragiche.
La terapia con Warfarin è spesso di gestione complessa:
 è difficile mantenere INR entro il range terapeutico soprattutto in caso di:
Vomito
Inappetenza
Dieta obbligata
Alterazioni dell’assorbimento e/o della funzionalità epatica
 sono frequenti le interazioni farmacologiche
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 è spesso necessario interrompere il trattamento per l’esecuzione di procedure mininvasive
(toracentesi, biopsie) o per piastrinopenia intercorrente.
La terapia con EBPM è considerata oggi lo standard nella profilassi secondaria della trombo embolia
venosa.
La dose di EBPM raccomandata è pari al 75-80% di quella iniziale.
La durata del trattamento anticoagulante per la prevenzione delle recidive non è stata espressamente
studiata. Si considera necessario proseguire la terapia fino a quando vi è evidenza di malattia attiva.
In assenza di malattia attiva (ad esempio, in pazienti in trattamento adiuvante) si prosegue il trattamento
per sei mesi (un mese alla dose per la fase acuta, cinque mesi alla dose di mantenimento). In caso di
embolia polmonare viene consigliato un trattamento per 6-12 mesi.
Terapia delle recidive
 Se la recidiva si verifica in corso di terapia con anticoagulanti orali con INR al di sotto del range,
occorre adeguare la dose per riportare INR entro il range (2-3);
 Se la recidiva si verifica in corso di trattamento con anticoagulanti orali con INR entro il range
terapeutico, si considera il raggiungimento di un range terapeutico superiore (3.5) o il passaggio ad ENF
o ad EBPM;
 Se la recidiva si verifica in corso di terapia con EBPM alla dose di mantenimento (75-80% della dose
della fase acuta), si somministra nuovamente EBPM alla dose piena;
Utilizzo del filtro cavale
 pazienti ad alto rischio di estensione della trombosi venosa prossimale
 pazienti con embolie polmonari ricorrenti nonostante un trattamento anticoagulante adeguato
 pazienti in cui la terapia anticoagulante sia controindicata
sanguinamento attivo (> 2 U trasfuse in 24 ore) non controllato
emorragia cerebrale attiva
lesioni intracraniche o spinali a rischio di sanguinamento
pericarditi
ulcera peptica o altre ulcere gastrointestinali
ipertensione arteriosa severa, non controllata o maligna
sanguinamento cronico clinicamente significativo
piastrinopenia < 50.000
disfunzione piastrinica severa
recente intervento ad alto rischio di sanguinamento.
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Khorana AA et al. J Clin Oncol 2009
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Bibliografia
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Anafilassi da farmaci anti-neoplastici
Virtualmente tutti i farmaci utilizzati nelle chemioterapie possono provocare reazioni avverse di
ipersensibilità. Conoscere le reazioni di ipersensibilità ai chemioterapici e distinguerle dai più frequenti
effetti collaterali degli stessi è fondamentale in quanto permette di indirizzare il paziente oncologico al
protocollo terapeutico più adeguato. Non sempre infatti è necessario sospendere la terapia e sostituirla,
quanto piuttosto è talvolta possibile agire modificando le modalità di somministrazione e la velocità di
infusione, associare la somministrazione di premedicazioni a base di anti-istaminici e corticosteroidi,
oppure, più raramente, approntare protocolli di desensibilizzazione. Si tratta di accorgimenti che
permettono al paziente di ricevere le cure più adeguate e mirate alla sua patologia di base.
Introduzione
Le reazioni di ipersensibilità a farmaci sono definite come reazioni non prevedibili, non dovute all’azione
farmacologica o al profilo di tossicità della molecola in causa, e sono in genere mediate da un
meccanismo immunologico. Virtualmente, quasi tutti i chemioterapici possono provocare reazioni di
ipersensibilità, ma in letteratura è descritto come alcune classi di farmaci presentino un rischio più elevato
di altre: in particolare si tratta dei derivati del platino (cisplatino, carboplatino e oxaliplatino), dei taxani
(paclitaxel e docetaxel), le asparaginasi, le epipodofillotossine (etoposide/VP16, temiposide/VM16) e gli
anticorpi monoclonali. Le reazioni di ipersensibilità possono essere causate direttamente dal principio
attivo, dai suoi metaboliti oppure dal solvente.
Fattori di rischio per le reazioni di ipersensibilità ai chemioterapici:
Pregressa esposizione più di 12 mesi prima
Numero di somministrazioni effettuate (derivati del platino)
Età <70 anni
Regime chemioterapico
Radioterapia associata
Storia di atopia o pregresse reazioni di ipersensibilità a farmaci
Via di somministrazione
Tipo di farmaco (es. non pegilato)
Presenza di eccipienti (es. Cromophor)
Altre terapie concomitanti
Velocità di infusione
Le manifestazioni cliniche osservate sono estremamente eterogenee e possono coinvolgere cute
(orticaria, angioedema, rash, prurito, eritema palmare), apparato respiratorio (broncospasmo, dispnea),
apparato gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, dolore addominale), sistema cardiovascolare
(alterazioni della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, angina), fino a forme severe quali
l’anafilassi, che può condurre il paziente all’exitus.
Le reazioni di ipersensibilità nei confronti di tali farmaci possono riconoscere una patogenesi Ig-E
mediata, ovvero, previa iniziale sensibilizzazione nei confronti della molecola farmacologica antigenica,
tramite produzione di IgE che rimangono sulla superficie di mastociti e basofili; successivamente alla
riesposizione all’antigene, si determina la degranulazione di tali cellule, con rilascio di istamina ed altri
mediatori vasoattivi e proinfiammatori responsabili delle manifestazioni cliniche. In altri casi, il
chemioterapico sembra agire da superantigene o da istamino-liberatore aspecifico, inducendo, mediante
l’attivazione del complemento o tramite stimolazione diretta delle cellule effettrici, il rilascio degli stessi
mediatori, con manifestazioni cliniche analoghe.
Il National Cancer Institute ha proposto una classificazione delle reazioni di ipersensibilità in base alla
gravità dei sintomi:
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Grado
1
2
3
4
5
Descrizione
Eritema transitorio, Temperatura corporea <38°C
Rash, eritema, orticaria, dispnea, febbre >38°C
Broncospasmo, orticaria, edema/angioedema, ipotensione
Anafilassi
Morte
Questo tipo di classificazione risulta particolarmente utile nella pratica clinica, in quanto pazienti con
reazioni di grado 1 o 2 possono generalmente proseguire la chemioterapia senza variazioni, pazienti con
reazioni di grado 3 devono sospendere il trattamento oppure, qualora il farmaco risulti indispensabile,
devono modificare la velocità di infusione, utilizzare la premedicazione con steroidi o anti-istaminici,
oppure, molto più raramente, essere sottoposti a protocolli di desensiblizzazione. Nei pazienti con
reazioni di grado 4 è invece obbligatorio sospendere la terapia e sostituire il farmaco responsabile.
Sali di platino
Sono considerati i chemioterapici a maggior rischio di scatenare reazioni di ipersensibilità. I principi più
utilizzati nella pratica clinica sono: cisplatino, carboplatino ed oxaliplatino.
L’incidenza di reazioni di ipersensibilità al cisplatino è relativamente bassa, variando dall’1 a 5%. La
maggior parte delle reazioni di ipersensibilità si manifesta pochi minuti dopo l’inizio dell’infusione e più
spesso dopo la somministrazione di 6 o più cicli ben tollerati. Le reazioni al cisplatino sono state
ampiamente studiate, grazie anche al suo più largo utilizzo nella pratica clinica. Il principale fattore di
rischio per il loro sviluppo sembra essere il numero di cicli somministrati: non più dello 0.92% dei pazienti
a cui sono stati somministrati meno di 5 cicli sviluppa manifestazioni avverse, mentre l’incidenza aumenta
con il numero di cicli fino ad arrivare al 20% nei soggetti sottoposti all’ottavo ciclo di terapia. Altri fattori di
rischio sembrano essere rappresentati da una pregressa storia di farmaco-allergia o stato atopico, rapida
velocità di infusione, radioterapia associata e somministrazione del cisplatino dopo un intervallo superiore
a 12 mesi.
Riscontri analoghi sono stati osservati per il carboplatino: anche per questo farmaco il rischio di reazioni
di ipersensibilità sembra aumentare con il numero di cicli somministrati. E’ stato inoltre riscontrato come
l’utilizzo di una premedicazione con anti-istaminici possa ridurre il rischio di reazioni avverse di tipo
allergico.
L’oxaliplatino è un composto di terza generazione, sempre più ampiamente utilizzato nel trattamento del
carcinoma colon-rettale metastatico. L’incidenza di reazioni avverse da ipersensibilità oscilla tra il 12 e il
15%, ma solo tra lo 0.5 e il 2% di queste reazioni è grave (grado 3-4). Anche in questo caso sembrano
rappresentare un importante fattore di rischio il numero di cicli somministrati e la dose complessiva. E’
stato inoltre osservato che pazienti sottoposti a pregressi regimi chemioterapici presentino un rischio
raddoppiato di sviluppare reazioni avverse. E’ stato inoltre dimostrato come una riduzione dalla velocità di
infusione da 2 a 6 ore riduca significativamente l’incidenza delle reazione avverse, mentre l’utilizzo di
premedicazione non sembra influire in questo senso.
Le reazioni di ipersensibilità ai Sali di platino sembrano essere frequentemente IgE mediate, essendo
quindi necessaria una iniziale sensibilizzazione. Le manifestazioni cliniche sono di tipo lieve (grado 1 e 2)
nella maggiore parte dei pazienti (60-70%), mentre in un 30-40% dei casi possono risultare gravi e
potenzialmente fatali. Le manifestazioni cliniche possono insorgere durante l’infusione, poco dopo il
termine o anche a distanza di giorni dalla somministrazione (reazioni ritardate).
Gestione clinica del paziente con ipersensibilità nei confronti dei sali di platino





Eventuale premedicazione
Variazione della velocità di infusione
Test cutanei
Desensibilizzazione
Passare ad altro sale di platino previa esecuzione di test cutanei
I pazienti che sviluppano reazioni lievi con sintomi esclusivamente cutanei non presentano in genere
controindicazioni alla prosecuzione del trattamento. E’ prevista la somministrazione di anti-istaminici e
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corticosteroidi e, dopo la completa risoluzione delle manifestazioni cliniche, sarà possibile riprendere la
terapia.
Nei pazienti che abbiano sviluppato reazioni di ipersensibilità moderate-gravi (grado 3), la successiva
riesposizione al farmaco dovrà invece essere attentamente valutata caso per caso, in base alla gravità
con cui si è sviluppata la reazione e in base alla disponibilità di alternative terapeutiche. Nel caso in cui
sia strettamente necessario proseguire la somministrazione del farmaco, sarà possibile ricorrere a
premedicazione con anti-istaminici ed eventualmente corticosteroidi, che tuttavia nel caso dei derivati del
platino non si è rivelata particolarmente efficace, rallentare la velocità di infusione oppure ricorrere a
protocolli di desensibilizzazione. Qualora anche nonostante questi accorgimenti il paziente sviluppi
nuovamente una reazione avversa moderata-grave, sarà tassativo interrompere la terapia.
Un’altra soluzione possibile è quella di somministrare un derivato del platino alternativo. Nel caso delle
reazioni all’oxaliplatino la possibilità di ricorrere ad un composto alternativo sarà limitata dalla chemio sensibilità del tumore, mentre sono stati descritti numerosi casi in cui è stato possibile trattare con
cisplatino pazienti che avevano sviluppato reazioni di ipersensibilità nei confronti del carboplatino.
Nonostante l’incidenza di reattività crociata tra i composti del platino non sia stata valutata, sono stati
descritti casi di soggetti che hanno sviluppato reazioni avverse, anche gravi, a più composti. Pertanto,
prima di sostituire un farmaco con uno alternativo, è indicata l’esecuzione di test cutanei.
Protocollo di premedicazione consigliato dallo Sloan-Kettering Cancer Center
:
Desametasone 20 mg per os la sera prima e prima dell’inizio dell’infusione
Difenidramina 50 mg ev prima dell’infusione
Ranitidina 50 mg ev prima dell’infusione
Eventualmente ridurre la velocità di infusione da 30 minuti a 3 ore.
Test cutanei con i Sali di platino
I test cutanei con i Sali di platino, da eseguirsi sotto stretto controllo medico in ambiente ospedaliero, in
caso di difficile sostituibilità del farmaco con altro tipo, trovano principalmente due indicazioni: i)
valutazione dei pazienti con pregressa reazione di ipersensibilità al farmaco e ii) identificazione dei
pazienti con test cutanei positivi da sottoporre eventualmente a protocollo di desensibilizzazione. Non
devono invece essere utilizzati come screening, dal momento che presentano un elevato valore predittivo
negativo ma, in caso di positività senza una storia clinica suggestiva a supporto, la loro interpretazione
rimane dubbia. Alcuni autori tuttavia eseguono i test cutanei prima della somministrazione della settima o
ottava dose del farmaco e, in caso di negatività, anche in caso di pregressa reazione avversa è possibile
continuare la terapia. Si segnala comunque che reazioni di ipersensibilità alla risomministrazione del
farmaco sono possibili anche in caso di test cutanei negativi.
In genere è consigliato eseguire i prick test con il farmaco indiluito e le intradermoreazioni con dosi
crescenti da 10^-3 a 10^-1 di farmaco. Questi test risultano utili nei soggetti che abbiano sviluppato
reazioni immediate nei confronti dei derivati del platino (< 3 ore) mentre non sono diagnostici per le
reazioni ritardate (>3 ore). L’utilizzo dei patch test con tali farmaci non è stato valutato.
E’ buona norma testare tutti e tre i composti per valutare l’esistenza di cross-reattività. Uno dei protocolli
più utilizzati prevede di eseguire prick test con cisplatino (1 mg/ml), carboplatino (10 mg/ml) e oxaliplatino
(5 mg/ml). In caso di esito dubbio dei prick test può essere utile ricorrere alle intradermoreazioni con dosi
scalari di cisplatino (0.01, 0.1 e 1 mg/ml), carboplatino (0.1, 1 e 10 mg/ml) e oxaliplatino (0.05, 0.5 e 5
mg/ml).
Test cutanei con i Sali di platino
Farmaco
Cisplatino
Carboplatino
Oxaliplatino
Test cutaneo e relativa concentrazione
Prick test 1 mg/ml
Intradermoreazione 0.01, 0.1 e 1 mg/ml
Prick test 10 mg/ml
Intradermoreazione 0.1, 1 e 10 mg/ml
Prick test 5 mg/ml
Intradermoreazione 0.05, 0.5 e 5 mg/ml
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Protocolli di desensibilizzazione ai sali di platino.
I protocolli di desensibilizzazione si basano sulla reintroduzione graduale del farmaco in piccole dosi e in
un intervallo di tempo prolungato (4-12 ore), fino al raggiungimento della dose terapeutica. Questo
dovrebbe permettere di ottenere una temporanea tolleranza del farmaco, permettendo la prosecuzione
delle cure nei pazienti che non dispongono di alternative terapeutiche. I meccanismi immunologici non
sono del tutto noti, si pensa che la somministrazione graduale e a basse dosi permetta di saturare le IgE
presenti sulla superficie di mastociti e basofili senza indurne la degranulazione, così che
successivamente possano essere tollerate dosi sempre maggiori di farmaco.
Esistono diverse varianti dei protocolli di desensibilizzazione nei confronti dei Sali di platino. La maggior
parte prevede l’utilizzo di tre soluzioni standard da somministrare in dodici step, aumentando ogni volta
gradualmente la velocità di infusione e la concentrazione del farmaco in un periodo complessivo di 6-8
ore. La prima volta che il paziente viene sottoposto ad un protocollo di desensibilizzazione deve essere
ricoverato in una Unità di Terapia Intensiva e strettamente monitorato. In caso di desensibilizzazioni
successive sarà possibile effettuare la procedura anche in Day Hospital ma sempre sotto stretta
sorveglianza medica.
Si riporta di seguito un esempio di protocollo standard di desensibilizzazione.
Esempio per
una
dose
complessiva
di 500 mg
Volume
solvente
250 ml
250 ml
250 ml
Soluzione A
Soluzione B
Soluzione C
Step
Solu
zione
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
A
A
A
A
B
B
B
B
C
C
C
C
Velocità
infusion
e (ml/h)
2
5
10
20
5
10
20
40
10
20
40
75
Concentrazion
e soluzione
0.02 mg/ml
0.2 mg/ml
2 mg/ml
Tempo
(minuti)
15
15
15
15
15
15
15
15
15
15
15
184.4
Tempo
totale
5,82
ore
Dose
complessiva
soluzione
5 mg (1/100)
50 mg (1/10)
500 mg (indiluito)
Dose
somministr
ata (mg)
0,010
0,025
0,050
0,100
0,250
0,500
1,000
2,000
5,000
10,000
20,000
461,065
Dose totale
500 mg
Dose
cumulativa
(mg)
0,010
0,035
0,085
0,185
0,435
0,935
1,935
3,935
8,935
18,935
38,935
500,000
Dose totale
500 mg
Taxani
I principali taxani utilizzati nella pratica clinica sono paclitaxel e docetaxel. L’incidenza di reazioni di
ipersensibilità nei confronti di questi farmaci è relativamente alta, arrivando ad interessare fino al 30% dei
soggetti trattati. Tuttavia, la somministrazione concomitante di una premedicazione a base di anti-
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istaminici (anti-H1 e anti-H2) e corticosteroidi riduce significativamente il tasso delle reazioni avverse fino
al 2-4%.
A differenza dei Sali di platino le reazioni di ipersensibilità nei confronti di questi farmaci si sviluppano
precocemente, già alla somministrazione della prima o seconda dose. I taxani non sembrano causare
reazioni allergiche propriamente IgE-mediate, pertanto non è necessaria l’iniziale sensibilizzazione e
l’evento avverso può manifestarsi già in occasione delle prima somministrazioni. Sembra infatti che i
taxani agiscano da istamino-liberatori aspecifici causando direttamente la degranulazione di basofili e
mastociti (reazione anafilattoide).
I taxani sono inoltre composti idrofobi che necessitano di appositi solventi per la somministrazione per via
parenterale. Nel caso del paclitaxel si utilizza il Cremophor (Limburgerhof, Germania) e nel caso del
docetaxel il polisorbato 80. Il Cremophor è stato chiamato in causa nelle reazioni da ipersensibilità al
palcitaxel, dal momento che possiede proprietà istamino-liberatrici. E’ stata quindi introdotta sul mercato
una formulazione di paclitaxel in cui il farmaco è solubilizzato in albumina, ed è stata osservata una
riduzione nel numero di reazioni avverse (Abraxane; Windsor, UK). Si sottolinea tuttavia come le reazioni
avverse a docetaxel, che non contiene Cremophor, siano sovrapponibili per incidenza a quelle del
paclitaxel.
Tra i fattori di rischio di sviluppare reazioni di ipersensibilità identificati sembrano rilevanti una pregressa
storia clinica di allergia/atopia e la velocità di infusione del farmaco: l’aumento da 1 a 3 ore per la
somministrazione sembra ridurre significativamente l’incidenza di eventi avversi.
Gestione clinica del paziente con ipersensiblità nei confronti dei taxani
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Premedicazione
Variazione della velocità di infusione
Eventuale passaggio a paclitaxel senza Cremophor
Desensibilizzazione
Nella maggior parte dei pazienti che abbiano sviluppato una reazione lieve-moderata dopo la prima
somministrazione di paclitaxel, è in genere possibile proseguire il trattamento, una volta ottenuta la
completa remissione delle manifestazioni cliniche, senza recidive. Questo riscontro potrebbe dipendere
da una saturazione dei recettori sulla superficie di mastociti e basofili da parte del farmaco alla prima
somministrazione, che non risultano quindi accessibili nel corso di successive infusioni.
I soggetti che invece sviluppano una reazione grave oppure una seconda reazione avversa dopo la
reintroduzione del farmaco, sono candidati alla desensibilizzazione in caso il farmaco sia difficilmente
sostituibile con altro. Anche nel caso dei taxani sono numerosi i protocolli di desensibilizzazione, in
genere sviluppati in dieci-dodici step da somministrare nell’arco di 6-7 ore, portati a termine con
successo. In caso di recidiva durante o dopo la desensibilizzazione sarà invece tassativo sospendere la
somministrazione del farmaco e proporre uno schema terapeutico alternativo.
Un’alternativa possibile nei pazienti che sviluppano reazioni gravi al paclitaxel è la sostituzione con
docetaxel. In letteratura sono presenti dati incoraggianti, anche se la reattività crociata tra i due farmaci è
stimata in circa il 90% nell’unico studio ad oggi disponibile. Questo dato supporta tra l’altro il ruolo attivo
del principio farmacologico nello sviluppo della reazione di ipersensibilità rispetto al solvente, dal
momento che i due farmaci vengono diluiti in soluzioni diverse. Nel caso si sospetti un ruolo eziologico del
solvente è possibile ricorrere al palclitaxel senza Cremophor, che tuttavia presenta costi elevati e sono
ancora limitati gli studi sulla sua efficacia clinica.
Premedicazione nelle reazioni avverse a Taxani
(Piccart et al J Clin Oncol 1997, Markman J Clin Oncol 1997).
Paclitaxel
Docetaxel
clorfenamina 1 fl + ranitidina 1 fl +
desametasone 20 mg 30’ prima
dell’infusione
desametasone 8 mg per os per 5 giorni (-1 +3)
clorfenamina 1 fl + ranitidina 1 fl 30’ prima
dell’infusione
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L-Asparaginasi
Si tratta di un agente enzimatico anti-neoplastico di origine batterica utilizzato nel trattamento della
leucemia linfoblastica acuta. Tale principio può essere derivato da E. coli (Kydrolasi; Limonest, Francia) o
Erwinia chrysantemi (Erwinasi; Salisbury, UK). Esiste inoltre un composto di L-asparaginasi pegilata con
immunogenicità ridotta ed emivita prolungata (Oncaspar; Amburgo, Germania).
Le reazioni di ipersensibilità sono frequenti, con un’incidenza tra 6 e 43% ed i casi di anafilassi grave
arrivano al 10% dei casi. Tali eventi avversi si verificano con maggior frequenza in caso di
somministrazione endovenosa, rispetto alla somministrazione intramuscolo o sottocute, ed è stato
riscontrato un incremento delle reazioni di ipersensibilità in caso di un intervallo tra le somministrazioni
superiore ad una settimana, rispetto alle somministrazioni quotidiane. Altri fattori di rischio sono la
pregressa esposizione al farmaco, la somministrazione di dosi superiori a 6000 UI/m2/die e la
somministrazione in monoterapia.
Le reazioni avverse tendono a manifestarsi dopo la somministrazione di alcuni cicli di terapia ed entro
poche ore dall’assunzione. Il meccanismo patogenetico non è completamente chiarito, sono stati
dimostrati casi di sensibilizzazione IgE mediata, ma è ipotizzato anche una possibile azione istaminoliberatrice aspecifica, probabilmente legata all’attivazione del complemento.
E’ stato dimostrato come pazienti che sviluppano reazioni di ipersensibilità alla L-asparaginasi derivata da
E.coli possano essere sottoposti a trattamento con il derivato da Erwinia o la forma pegilata, senza
sviluppare reazioni avverse, anche se sono stati comunque descritti casi di reattività crociata. Un’altra
opzione è quella di sottoporre il paziente ad un protocollo di desensibilizzazione, in caso non ci siano
alternative terapeutiche.
E’ stato proposto un protocollo per l’esecuzione di test cutanei con L-asparaginasi che prevede
l’esecuzione di prick test con il farmaco indiluito e l’intradermoreazione con 0.1 ml di una diluizione di 20
IU/ml, tuttavia sono numerosi i casi di falsi negativi.
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


Variare la via di somministrazione (da ev a im o sc)
Variare lo schema terapeutico (somministrazioni quotidiane)
Variare il preparato (da e. coli a Erwinia asparaginasi o asparaginasi pegilata)
Eventuale premedicazione
Eventuali test cutanei
Desensibilizzazione
Epipodofillotossine
L’incidenza delle reazioni da ipersensibilità all’etoposide è stimato essere del 6% e sembra essere
implicato anche il solvente, il polisorbato 80. Sono frequenti le reazioni avverse alla prima
somministrazione e pertanto sembra ipotizzabile l’induzione diretta della degranulazione mastocitaria. Le
reazioni all’etoposide somministrata per os sono estremamente rare. La premedicazione con
corticosteroidi ed anti-istaminici, così come la riduzione della velocità di infusione, si sono rivelate misure
utili nella prevenzione di tali reazioni avverse. Sono inoltre disponibili protocolli di desensibilizzazione.




Premedicazione
Riduzione della velocità di infusione
Somministrazione per os
Desensibilizzazione
Anticorpi monoclonali
Gli anticorpi monoclonali di maggior interesse in ambito oncologico sono: rituximab, trastuzumab,
cetuximab, bevacizumab e panitumumab. Gli anticorpi monoclonali sono in genere meglio tollerati e meno
frequentemente implicati nelle reazioni di ipersensibilità rispetto ai chemioterapici tradizionali. La loro
immunogenicità sembra almeno in parte dipendere dalla struttura molecolare. In particolare, rituximab e
cetuximab sono anticorpi chimerici, trastuzumab e bevacizumab sono anticorpi umanizzati e il
panitumumab è completamente umano.
In genere le reazioni di ipersensibilità nei confronti di anticorpi monoclonali sono lievi o moderate (grado 1
e 2) e varia da un farmaco all’altro (77% per il rituximab, 40% per il trastuzumab, 19% per il cetuximab, 13% per bevacizumab e panitumumab). Le reazioni gravi sono estremamente rare. Nel caso del rituximab
l’incidenza di reazioni di ipersensibilità si riduce con le somministrazioni successive, passando dal 77%
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alla prima infusione al 30% alla quarta e al 14% all’ottava. In genere le reazioni si verificano al primo o
secondo ciclo di infusione, entro 30 minuti-2 ore dall’inizio della somministrazione.
Il meccanismo patogenetico non è del tutto chiarito: le reazioni IgE-mediate sono possibili, ma più
frequentemente sembrano forme anafilattoidi da attivazione diretta di mastociti e basofili o dal rilascio di
citochine, cosa che spiegherebbe la maggior frequenza di reazioni avverse alla prima somministrazione.
La strategia di prevenzione delle reazioni da ipersensibilità causate da questi farmaci consiste nella
premedicazione con corticosteroidi ed anti-istaminici e nella riduzione della velocità di infusione, da
aumentare gradualmente durante le successive somministrazioni.
In pazienti con reazioni gravi, in cui non sia disponibile un’alternativa farmacologica, sono proposti anche
in questo caso schemi di desensibilizzazione.
 Premedicazione
 Riduzione della velocità di infusione all’inizio
 Desensibilizzazione
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