Ma non sono un cervello in fuga

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Pianeta scienza
MARTEDÌ 17 LUGLIO 2012 IL PICCOLO
La terapia genica nella cura della retinite pigmentosa
di Simona Regina
La retinite pigmentosa è una
malattia genetica dell’occhio
che provoca perdita progressiva della vista fino, nei casi più
gravi, alla cecità totale. Non
esiste al momento una cura risolutiva. Tuttavia, dal mondo
della ricerca stanno emergendo nuove strategie terapeutiche: dalle protesi retiniche alla terapia genica. Anche
l'amaurosi congenita di Leber
è una grave forma di cecità
ereditaria, che provoca danni
alla vista già nei primi mesi di
vita. Anche in questo caso,
correggere il gene difettoso
può essere la chiave perché
gli occhi tornino a vedere la
luce.
Di terapia genica, dei traguardi raggiunti e del percorso ancora da fare per arrivare
alla correzione dei difetti genetici responsabili di gravi
malattie della vista parlerà a
Trieste Enrico Maria Surace,
dell'Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli,
mercoledì 25 luglio alle 12. Il
ricercatore del Tigem sarà
ospite del Centro Internazio-
nale di Ingegneria Genetica e
Biotecnologia per un seminario dedicato al ripristino della
funzione visiva attraverso la
terapia genica retinica.
Nel laboratorio partenopeo, il team di Surace sta sviluppando nuove strategie per
spegnere l'espressione dei geni responsabili di queste malattie attraverso l'uso di proteine artificiali capaci di
“abbracciare” in modo specifico i geni alterati e di impedirne l'azione. Surace si è concentrato in particolare su
quelle forme di retinite pig-
mentosa in cui basta ricevere
il gene difettoso da uno dei genitori (malato a sua volta) per
sviluppare la malattia.
«Le malattie di questo tipo,
dette
a
trasmissione
“autosomica dominante”, sono molto difficili da curare
con la terapia genica - spiega perché il difetto genetico non
determina l'assenza di una
proteina, ma la presenza di
una proteina anomala e tossica per l’organismo. Non serve
a nulla quindi fornire al paziente una copia del gene sano: bisogna cercare di
“spegnere” quello difettoso e
questo è molto più difficile».
I ricercatori Telethon hanno allora cercato di costruire
un interruttore universale per
il gene della rodopsina, che
può
presentare
diversi
“errori” nella sua sequenza
che si traducono poi in un difetto della vista. Un interruttore capace di spegnere sia il gene sano sia quello alterato, indipendentemente dal tipo di
errore genetico. «Potenzialmente questo approccio potrebbe applicarsi a numerose
altre malattie dominanti che
colpiscono anche altri organi,
non solo l’occhio. È importante dunque investire nella terapia genica» conclude.
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Ma non sono un cervello in fuga
Ferlaino, diplomata alla Sissa, ieri a Trieste per parlare dei suoi studi sul “condensato di Bose”
di Marco Di Blas
Un “cervello in fuga”? No,
Francesca Ferlaino, ricercatrice dell’Università di Innsbruck, non si considera tale.
“Ogni ricercatore – minimizza – non deve restare fermo
all’università di partenza. Deve trascorrere un periodo
all’estero e poi riportare a casa l’esperienza acquisita”.
Anche lei aveva percorso
questa strada. Nel 2006 - dopo la laurea in fisica all’Università Federico II di Napoli, il
diploma alla Sissa di Trieste, il
dottorato di ricerca al Laboratorio europeo di spectroscopia non lineare di Firenze –
era partita per Innsbruck, uno
dei 5 centri più importanti al
mondo nel campo della fisica
quantistica. Doveva starci tre
mesi e invece è ancora là e a
soli 34 anni è diventata docente ordinario.
Ieri Francesca Ferlaino era
a Trieste, per partecipare a un
workshop del Centro internazionale di fisica teorica. Ha
portato la sua esperienza sul
“condensato di Bose-Einstein
dell’erbio”. È lo stato della materia che si ottiene quando si
SINCROTRONE
Sigillo trecentesco
domani a Rizzuto
Riconoscimento del Comune al
numero uno del Sincrotrone.
L’amministrazione Cosolini
conferirà infatti domani il Sigillo
trecentesco della città al
professor Carlo Rizzuto,
presidente della società insediata
nel comprensorio di Area Science
Park a Basovizza. La cerimonia
inizierà alle 12, nel Salotto
Azzurro del palazzo municipale di
Trieste in piazza Unità. Sarà il
sindaco Roberto Cosolini a
consegnare il riconoscimento a
Rizzuto. La Sincrotrone Trieste
scpa gestisce Elettra, laboratorio
di luce di sincrotrone dove si
sviluppano piani di ricerca di
base, applicata e pre-competitiva.
Francesca Ferlaino, 34 anni, docente ordinario a Innsbruck
porta un insieme di bosoni a
temperature estremamente
vicine allo zero assoluto, una
condizione in cui è più facile
esaminarli e simulare comportamenti che sono alla base
di diverse moderne tecnolo-
gie.
Questo stato della materia.
predetto da Einstein nel 1925,
ma fu prodotto per la prima
volta in laboratorio 70 anni
dopo con un gas di rubidio.
Da allora lo studio si è esteso a
dodici elementi.
L’erbio, oggetto delle ricerche della Ferlaino, è il tredicesimo. Si tratta di un risultato
importante, perché è un elemento inusuale, che, in virtù
delle sue proprietà, offre nuo-
ve e affascinanti possibilità
nell’esplorazione di questioni
fondamentali della fisica dei
quanti. Ce l’avrebbe fatta la
Ferlaino a raggiungere gli stessi risultati anche in Italia? Lei
si sottrae a sgradevoli confronti, ma spiega come funzionano le cose in Austria.
“Qui esiste un’agenzia di
promozione della ricerca, che
amministra gli aiuti per i giovani ricercatori, anche stranieri. La mia proposta è stata
valutata da un team di esperti
e poi finanziata con una borsa
di studio di due anni. Nel 2009
ero matura per un progetto
più impegnativo, che comportava la costituzione di un
gruppo di ricerca e che è stato
premiato con un milione di
euro dal Ministero”.
Il progetto è poi confluito in
un programma analogo del
Consiglio europeo delle ricerche, che ha portato il budget
complessivo a 1,5 milioni. È
con questo finanziamento
che Francesca Ferlaino ha potuto dirigere un team di sette
ricercatori (tra cui anche uno
sloveno e un giapponese) e indagare sui segreti dell’erbio.
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Sissa, partono due master in comunicazione
C’è tempo fino al 26 settembre per presentare le domande: in totale ci sono trentotto posti
di Matteo Unterweger
Diciotto posti da una parte.
Venti dall’altra. La Sissa ha definito
il
programma
2012-2013 dei master in Comunicazione della scienza e
in Giornalismo scientifico digitale. La scadenza per la presentazione delle domande è
fissata alle 12 del 26 settembre prossimo per entrambi.
Non mancano le novità,
elaborate dal Laboratorio interdisciplinare della Scuola
internazionale superiore di
studi avanzati, che organizza
il tutto. Ai migliori nelle graduatorie di ammissione frutto degli esami, peraltro «mol-
to selettivi» come sottolinea il
direttore della Sissa Guido
Martinelli, saranno assicurati
mille euro ciascuno come
borsa di studio.
Lo stesso premio, con identico importo, lo riceveranno
anche l’autore della tesi più
brillante e l’allievo che si piazzerà al primo posto nella classifica stilata alla fine dell’anno iniziale del biennio previsto dal master in Comunicazione della scienza. Quello in
Giornalismo scientifico digitale, invece, è di durata annuale.
C’è inoltre l’opportunità di
beneficiare del rimborso assicurato attraverso il Fondo so-
ciale europeo, che può arrivare - per chi è domiciliato in regione - sino all’80% della quota di iscrizione al master in
Giornalismo
scientifico.
L’iscrizione costa 3.000 euro
all’anno per il master in Comunicazione della scienza, e
5.000 per l’altra proposta.
È aumentato il numero di
aziende convenzionate con i
master e che saranno coinvolte negli stage. Un dettaglio
che può far ben sperare gli
studenti che avranno accesso
ai corsi: la Sissa, infatti, fa sapere come circa l’80% degli allievi trova lavoro nel mondo
della comunicazione alla fine
dei master.
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
A quello in Comunicazione
della Scienza (diciotto posti
in palio), che punta a formare
in giornalismo scritto, radiofonico, televisivo e online, comunicazione istituzionale e
d’impresa, editoria tradizionale e multimediale, e museologia, aderiscono realtà fra le
quali Wired, De Agostini
Scuola, Fondazione Telethon, Fondazione Ahref,
Editoriale Scienza, Linkiesta.
it, Tbwa Heathcare, Fondazione Bruno Kessler, Instituto
Gulbenkian de Ciencia, Dublin City University e Institut
für Wissenschafts und technologieKommunikation. Al
master in Giornalismo scien-
tifico digitale (venti i posti disponibili), che mira a garantire elevate competenze pratico-teoriche
nell’ambito
dell’informazione scientifica
sui nuovi media, anche 30righe, Formicablu, Multimedia
sas, QbGroup, Scienza in rete, Sissa Medialab, Zadig e
non solo. «Abbiamo inoltre
rinforzato il Comitato scientifico - spiega Martinelli - con
giornalisti specializzati di
grande calibro. Sono professionisti che ci danno anche
consigli sui programmi da
proporre e per le decisioni
sulle tesi». Per ulteriori informazioni sui criteri di ammissione: www.sissa.it
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AL MICROSCOPIO
Ma nessuno
ricorda quasi più
la pecora Dolly
di MAURO GIACCA
È passato in sordina, ma il 5 luglio è stato l’anniversario di un
evento per certi versi storico,
quello della nascita della pecora
Dolly. In quella data, nel 1996,
veniva al mondo il primo mammifero ottenuto grazie alla tecnica della clonazione, sviluppata da un gruppo di veterinari
scozzesi. Questi avevano trasferito il nucleo di una cellula di
una pecora adulta all’interno di
una cellula uovo, prelevata da
un’altra pecora e privata del
proprio nucleo.
Il trasferimento nucleare aveva mimato le condizioni che avvengono nella cellula uovo
quando questa viene fecondata
da uno spermatozoo, e si era formato un embrione. Una volta
impiantato nell’utero di una terza pecora, questo si era sviluppato fino a generare, appunto,
la pecora Dolly.
Questo esperimento ha rappresentato una pietra miliare
nella storia della biologia: per la
prima volta, si è dimostrato in
maniera fattuale che qualsiasi
cellula di un organismo contiene tutta l’informazione genetica indispensabile per generarne
uno nuovo del tutto identico.
Dopo Dolly, furono rapidamente clonati topi, vitelli, maiali, conigli, gatti e cani. Apparve
immediatamente evidente che
la clonazione non poteva essere
di utilità a fini riproduttivi per
l’uomo, soprattutto perchè era
troppo bassa la sua efficienza Dolly nacque unica su 243 embrioni. Ma la tecnica sembrò subito molto interessante per la
zootecnia, perchè consentiva di
ottenere copie uguali di animali
con le qualità desiderate, ad
esempio mucche che producono latte abbondante, vitelli con
ottima carne, o cavalli che vincono corse importanti. Mentre
le qualita’ di questi animali vengono spesso perse quando questi vengono incrociati per la riproduzione, ecco che la clonazione consentiva di generare copie identiche del campione desiderato.
E quasi a celebrare l’anniversario della nascita di Dolly, sono
di questi giorni due notizie, provenienti da fonti diverse ma ciascuna di per sè sorprendente.
La prima viene dalla Commissione Europea, che ha ufficialmente lanciato una consultazione pubblica, aperta fino al prossimo settembre, per chiedere ai
cittadini europei un parere, e
aprire una riflessione, sull’utilizzo di animali clonati a fini alimentari, per poter varare appropriati provvedimenti legislativi.
La seconda, invece, viene dal
mondo dell’equitazione, dove
la Federazione equestre internazionale (Fei), in un meeting tenuto a Losanna, ha stabilito che
i cavalli clonati e i loro figli potranno concorrere alle competizioni sportive internazionali, ribaltando quindi la posizione
che aveva preso nel 2007. I tempi cambiano, è evidente, e possiamo immaginare che Dolly ne
sarebbe soddisfatta.
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