Relaz. arch. A. Mei - Comune di Vidracco

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Lavori di restauro alla tela e all’altare della chiesa cimiteriale di San Giorgio
Relazione tecnico-descrittiva
1.IL TERRITORIO
Il comune di Vidracco fa parte della Riserva Naturale Speciale dei Monti Pelati e di Torre Cives.
La Riserva è una ristretta fascia di circa 3 chilometri quadrati situata nei Comuni di Baldissero
Canavese, Vidracco e Castellamonte.
Ne sono quasi simbolo i “Monti Pelati” modesti rilievi insolitamente brulli e quasi spogli di
vegetazione, incastonati all'estremità occidentale delle verdi colline dell'anfiteatro morenico di
Ivrea.
Le Regione Piemonte ha istituito una riserva naturale regionale nel 1993.
Situata a breve distanza dall'Anfiteatro morenico di Ivrea, l'area ha una natura geologica molto
particolare e completamente diversa dalle zone circostanti. Il substrato costitutivo dei Monti Pelati
è infatti la peridotite, una roccia magmatica di colore verde, molto ricca di magnesio, estratta fin
dalla seconda metà del 1700 per l’utilizzo nella produzione di ceramica e di materiali refrattari
prima e impiegata nell’industria siderurgica e metallurgica, per la produzione di vernici e guaine
impermeabilizzanti in un successivo momento.
La naturale degradazione di questo tipo di roccia dà origine a suoli molto particolari, inadatti alle
coltivazioni o alla crescita di piante.
Vista aerea della zona
I Monti Pelati fanno anche parte di “Rete Natura 2000” che è una vasta area siti protetti che si
trovano all’interno dell’Unione Europea. All’interno di questo progetto europeo l’area dei Monti
Pelati fa parte dei SIC- Siti di Importanza Comunitaria.
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Arch. Alessandra Mei - Studio di Oglianico (TO)
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Il colle più alto dei Monti Pelati, a quota 581 m s.l.m., ospita una torre risalente al XII secolo,
denominata Torre Cives. Situata in posizione dominante, fu edificata con molta probabilità, con lo
scopo di guardia e difesa per il territorio della Valchiusella.
Particolare della Torre Cives risalente al XII sec.
2.RELAZIONE STORICA
2.1. Le vicende del territorio
Vidracco, come ricorda il Bertolotti nella sua opera “Passeggiate in Canavese” è l’ultimo comune
della Valle di Chy, il cui nome ci attesta subito l’origine gallica. Vidracco infatti è un nome unico in
Italia che pare abbia derivazione dalla vicina Francia.
Nelle più antiche carte, note nel periodo medioevale, il territorio della bassa valle del torrente
Chiusella, viene indicato con i nomi: Vallis que Clivis dicitur (prima citazione nel 1003) e Valle
Cluina (nel 1223) nonché Valle Caprina (nel 1387) per poi assumere il nome di Val di Chy.
Le comunità attestate dal XII secolo in questa porzione di territorio coincidono sostanzialmente
con gli attuali comuni tranne che per l’insediamento chiamato Arondello, sede di un antico
castello, che adesso altro non è che un agglomerato di case che fa parte del comune di Pecco.
Nel 1239 facevano capo alla Valle di Chy i comuni di Alice, Pecco, Rueglio, Gauna, Lugnacco,
Issiglio, Vistrorio e Vidracco definito Vederatum o Vidraco.
Con la concessione dell’immunità sul “districtus” i Vescovi, in epoca medioevale, diventavano di
fatto i Signori delle terre diocesane, alla pari dei Conti delle famiglie nobili.
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Dal XI in poi si assiste ad un accrescimento e consolidamento del patrimonio ecclesiastico. E’ in
questo periodo che si evidenziano concreti possedimenti della chiesa anche nella Valle di Chy,
che sembra passare dai possedimenti della Chiesa di Vercelli nel 882 a quelli della potente
Abbazia di Fruttuaria nel 1019, a cui viene donata dal conte Ottone Guglielmo (nipote di Re
Berengario II).
Nel 1171 il territorio sembra venga donato da parte di Ermengarda del fu Costanzo di Gauna al
monastero di Santo Stefano ad Ivrea. Nel documento vengono dettagliatamente descritti 21
appezzamenti di terreno formati da varie colture, intersecati da strade rivi e canali. Questo
documento fa capire come già nel XII secolo il territorio della Valchiusella fosse antropizzato e
adeguatamente parcellizzato.
Nel Medioevo è però soprattutto alla Chiesa di Ivrea che è assegnata la maggior parte delle
proprietà della Valle di Chy.
Una prima citazione della zona risale al 1003 quando il Re Arduino dona alla Chiesa di Ivrea la
“Valle que Clivis dicitur”.
Nell’anno 1223 il Vescovo Oberto ottiene dal papa Onorio III i diritti su chiese, monasteri e
castelli compreso il “castra Arundellum cum Valle Cluina”.
Pochi anni dopo, nel 1227, il Vescovo Oberto procede ad una minuziosa ricognizione dei feudi
della Chiesa di Ivrea, suddivisi per importanza in “maiora”, “media” e “minora”.
Si capisce dal documento la predominanza feudale del Vescovo di Ivrea sul territorio,
predominanza minacciata però dalle turbolenze politiche del XIII secolo. Nel 1313 infatti la
Diocesi di Ivrea entrerà in crisi quando, con la dedizione formale del Comune di Ivrea ad Amedeo
V di Savoia e Filippo d’Acaja, il centro degli interessi politici eporediesi non passerà più attraverso
il vescovado.
Nel 1265 il Procuratore della chiesa di Ivrea Federico di Front, riceve in donazione i diritti che il
dominus Frenzono Modena aveva in “Valle Clibina et Signoria”.
Nel 1323, dopo vari passaggi di alcune terre, gran parte della Val di Chy risulta ancora sotto il
dominio vescovile.
Nello stesso anno il Vescovo Uberto cede il feudo ai fratelli Leone e Rufino di Castelnuovo dei
Conti di San Martino.
Nel 1327 il nuovo vescovo di Ivrea, Palaino Avogadro, riconferma le investiture ai propri vassalli
dove troviamo il Conte Martino di Agliè della famiglia dei San Martino e il Conte Aimone di Brosso
dei Conti di Castellamonte.
In quel tempo però la signoria feudale del Vescovo stava già perdendo importanza. Un duro
colpo arriva da Carlo IV di Lussemburgo che nel 1356 concede un privilegio al conte Amedeo VI
di Savoia attribuendogli il diritto di appello sulle cause di giurisdizione in materia feudale discusse
nelle Curie ecclesiastiche dalle diocesi da lui controllate tra cui quella di Ivrea. Questo fa
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capovolgere la situazione politica perché ora tocca ai Savoia concedere al Vescovo il
riconoscimento dei poteri signorili territoriali goduti dalla Chiesa di Ivrea.
Sul finire del XIV sec., alle soglie della rivolta “tuchina”, la chiesa di Ivrea perde le antiche
prerogative feudali, diventando un semplice vassallo come le grandi famiglie che detengono il
potere nel Canavese.
Verso la seconda metà del 1300 il luogo dove sorgeva il castello di Arondello era uno dei centri
giurisdizionali più conosciuti della Valle di Chy, gestito dai Signori di Arondello, ramo dei Conti di
San Martino di Loranzè. Nel XIV le fortune della famiglia Arondello cambiano e la rivolta tuchina
porta alla distruzione del loro castello. Le terre della valle di Chy vengono così inglobate nei
possedimenti dei Savoia.
Dopo una tregua in cui i Savoia dominano il territorio, il Canavese è nuovamente
teatro di
scontri destinati a durare un ventennio tra le truppe dello spagnolo Cristoforo Morales, che
governa Ivrea dal 1543, e quelle francesi comandate dal francese Cossè de Brissac, che già dal
1554 risulta controllare tutto l’alto Canavese.
Dopo la conquista da parte di quest’ultimo nel 1556, anche Ivrea ed il suo territorio vengono
annesse alla Francia.
Il paese di Vidracco compare in alcuni scritti del 1560 quando Alessio I di Parella risulta
possessore di beni feudali in questo luogo, e poi ancora nel 1654 quando Alessio II di Parella
giura fedeltà ai Savoia. Nel giuramento si fa menzione del Contado del Canavese che risulta
essere diviso in sette parti tra cui il territorio di Vidracco.
Nel 1559 con la pace di Chateau Cambresis il Piemonte viene restituito al Duca Emanuele
Filiberto di Savoia. Nel 1563 Torino diventa capitale del Regno Sabaudo e il Duca provvede a
risanare le terre. L’intero territorio viene diviso in provincie e la Val di Brosso è assegnata alla
provincia di Ivrea.
Già dalla metà del 1500 la valle è un’importante fonte di ricchezza sia per i numerosi giacimenti
minerari, sia per la grande presenza di alpeggi e pascoli. Questo duplice aspetto della valle porta
le comunità che ne fanno parte ad una più marcata vita autonoma rispetto agli altri territori
circostanti.
Alla fine del XVI secolo l’antica comunità di Valchiusella era già composta da una dozzina di
agglomerati abitativi chiamati “cantoni” aventi per centro il cantone di Fondo dove erano situati i
punti aggregativi più significativi: la Chiesa e la Confraternita di Santo Spirito.
Nel 1584-85 anche la Valle di Brosso viene colpita dalla peste. Molte sono infatti ancora le
cappelle disseminate nel territorio dedicate a San Rocco (tra cui una a Vidracco).
Nella metà del 1600 il Canavese è di nuovo al centro di guerre. La “Madama Reale” Maria
Cristina infatti assume la reggenza del Ducato ma i cognati, il Principe Tommaso e il Cardinal
Maurizio alleati con gli spagnoli, l’accusano di voler vendere l’indipendenza del Piemonte alla
Francia. Così scoppia nuovamente la guerra tra i Francesi e gli Spagnoli, ma soprattutto le terre
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piemontesi vengono invase da una vera guerra civile tra gli alleati con i “principisti” e gli alleati
con i “madamisti”. Le terre canavesane sono teatro di dure battaglie, saccheggi e tantissimi
morti.
La pace avvenuta nel 1642 porterà alla spartizione del territorio ed Ivrea ed il Canavese verranno
assegnate al Principe Tommaso fino al 1648 quando, Madama Reale con uno stratagemma, farà
assumere il governo degli stati da Carlo Emanuele II.
Intanto nel 1630 scoppia una nuova epidemia di peste. Le poche notizie ricavate dagli archivi
comunali parlano del tentativo della comunità di proteggersi dal flagello chiudendo ai viandanti e
ai forestieri le vie di accesso ai paesi, quali mulattiere e stradicciole, con i paesi più a valle e
soprattutto con Drusacco dove sembra che il morbo sia stato particolarmente cruento.
Per quanto riguarda le famiglie nobili con giurisdizione sulla valle, come si è detto
precedentemente, nel 1654 in un atto di investitura dei Signori dei Contadi di San Martino e di
Castellamonte, il Conte Alessio II San Martino di Parella risulta fregiato dei titoli oltre che della
altre terra anche del titolo di “Signore di Vidracco”. Nello stesso atto il “Contado di
Castellamonte” è costituito dai feudi di Castellamonte, Strambinello, l’intera Val di Brosso
(Brosso, Vico, Drusacco, Traversella, Meugliano, Novareglia, Valchiusella e Trausella) e di Lessolo.
Dal XIV secolo al XVIII secolo, quando la rivoluzione francese spazzerà via i rimasugli dei “diritti
feudali”, sono ancora gli esponenti della famiglia dei Conti San Martino di Loranzè e dei San
Martino di Parella a tenere la giurisdizione sulle terre della Valle di Chy.
2.2. La chiesa cimiteriale di San Giorgio
Fin dall’inizio del VII secolo, la Val di Brosso, la Valle di Chy e la Pedanea hanno le proprie chiese
come risulta dal Liber Decimarum che fotografa la situazione della diocesi di Ivrea tra gli anni
1368 e 1370.
Occorre però arrivare nell’anno 1000 perché la chiesa canavesana assuma una struttura propria
e lo fa all’epoca di Warmondo eletto vescovo di Ivrea nell’anno 969.
Una dura lotta tra il vescovo e il re Arduino vedono sconfitto quest’ultimo che nel 1016 si ritira
nell’Abbazia di Fruttuaria. Alla morte di Re Arduino l’imperatore Ottone concede al Vescovo grossi
benefici territoriali tra cui l’annessione delle terre confiscate al Re alla Diocesi di Ivrea.
Solo nel XIV secolo si può avere un quadro preciso della struttura della chiesa eporediese il
quanto il libro delle decime (conservato all’archivio della Curia Vescovile) la cui compilazione è
utile per sapere i redditi di ogni struttura religiosa, descrive l’esistenza di 14 pievanie, con
l’esclusione della città di Ivrea ed il suo distretto e la prevostura di Chivasso.
Distinti da questa catalogazione sono inoltre l’Abbazia di Fruttuaria di San Benigno che ha un suo
reddito, le chiese dipendenti dall’Ordine Gerosolimitano e quelle appartenenti all’Ordine dei
Mendicanti.
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Alla nascita della diocesi di Ivrea, la chiesa di Vidracco è sotto la pieve di Lugnacco che si
compone anche delle chiese di Alice Superiore, Vistrorio, Pecco, Strambinello, Quagliuzzo, Parella
e Loranzè.
Dopo molti anni in cui la diocesi si era sostituita al potere temporale cercando di accaparrarsi
terre e beni, i grandi interpreti della svolta, dopo il Concilio di Trento, furono i vescovi Cesare
Ferrero e Ottavio Asinari. Il primo infatti, resosi conto che gli abitanti della val Chiusella facevano
fatica in inverno ad andare a prendere i sacramenti nelle parrocchiali esistenti, fece costruire tre
nuove parrocchie: quella di Fondo, quella di Drusacco e quella di Traversella. Con questo nuovo
impulso, in pochi anni, la diocesi passò da 105 parrocchie a 114.
Mons. Asinari invece, dopo la sua nomina, indisse un sinodo e pubblicò l’elenco delle nuove
circoscrizioni foranee (una sorta di ripartizione territoriale in cui era divisa la diocesi che avevano
ognuna una parrocchia “titolare”).
Tra i vicariati di montagna risultava Drusacco con la locale parrocchia, Rueglio, Brosso, Alice
Superiore, Pecco, Vico, Traversella, Valchiusella, oltre a Bairo, Lessolo e Fiorano.
I vicariati prealpini invece erano due: Castellamonte e Pavone. Al primo erano attribuite le
parrocchie di Vidracco e di Issiglio mentre al secondo erano attribuite le parrocchie di Loranzè,
Colleretto Parella, Lugnacco, Parella, Quagliuzzo, Strambinello e Vistrorio.
In questo periodo le parrocchie di Vidracco ed Issiglio formavano un' unica parrocchia, ma il
parroco, obbligato ad abitare sei mesi in un luogo e sei mesi nell’altro, nel 1693 si rifiutò di
dimorare ad Issiglio. Questo fece scatenare l’ira degli abitanti che, nello stesso anno, chiesero ed
ottennero la divisione delle parrocchie.
Nello stesso anno della nomina e del sinodo, cioè il 1634, Mons. Asinari avvia una visita pastorale
per tutte le parrocchie della diocesi di Ivrea, che durerà più di 5 anni, con varie interruzioni
dovute soprattutto ad eventi bellici.
Nella visita pastorale si rileva che nella Valchiusella e nella Pedanea la chiesa più antica è quella
di Lugnacco, lungo la strada per Vistrorio (che viene descritta come risalente forse all’anno 1000
e che presenta uno stile romanico nuovo con il campanile in facciata).
Dalla lettura di vari testi si evince che Vidracco aveva una chiesa dedicata a San Bartolomeo,
che aveva un impianto risalente al 1300. Era un edificio in stile romanico con un campanile in
facciata (schema romanico consolidato nella valle Chiusella) ed una sola navata.
Lo stesso edificio fu rifatto a metà del Seicento in stile tardo rinascimentale ed ampliato a tre
navate. Questa descrizione fa riferimento all’attuale parrocchiale ora dedicata a San Giorgio.
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Attuale Chiesa Parrocchiale di San Giorgio
In una mappa dell’Archivio di Stato di Torino datata 1744 si nota che l’abitato era meno esteso
dell’attuale, ma che erano già segnalate le due chiese: la parrocchiale, che ha già le dimensioni
dell’odierna chiesa a tre navate, e la chiesetta del cimitero, che sorge su di un’altura.
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Stralcio della Mappa di Vidracco datata 1744 - Archivio di Stato di Torino
“Passai a vedere la chiesa parrocchiale, dedicata a S. Giorgio, la cui festa si solenizza. E’ formata
da tre piccole navate ed ha altrettanti altarucci” (cit.). Così lo storico Bertolotti nelle sue
“Passeggiate nel Canavese” descrive la chiesa parrocchiale di Vidracco.
Il Bertolotti descrive il piccolo paese specificando che, oltre alla parrocchiale, ci sono due
cappellette: una in mezzo al cimitero, dedicata a San Mauro, e l’altra situata sotto l’altura di
Civesso, dedicata a San Grato e San Rocco.
La parrocchiale quindi, dalla data di edificazione, è passata ad essere una chiesa con una navata
unica e campanile in facciata, dedicata a San Bartolomeo, ad una chiesa a tre navate e tre altari
dedicata a San Giorgio, patrono del Paese.
Anche la piccola chiesetta del cimitero ha subito dei rimaneggiamenti ed è passata dalla
dedica a San Mauro (che ha avuto sicuramente fino al 1870 anno in cui è stata scritta l’opera del
Bertolotti) all’attuale dedica a San Giorgio.
La primitiva dedica a San Mauro fa supporre influenze francesi, dove il santo è molto venerato,
ed in realtà la costruzione della cappella potrebbe coincidere con il possesso da parte degli stessi
del territorio della Valchiusella dalla metà del 1600.
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Foto della chiesa cimiteriale di San Giorgio
L’impianto della chiesa cimiteriale di San Giorgio sembra essere seicentesco. La chiesetta sorge
su di una altura ben visibile dalle strade principali e dal centro del paese.
L’accesso al cimitero attualmente avviene dal lato retrostante la cappella mentre in origine
avveniva dal lato sud della stessa, tramite una piccola scalinata ancora esistente, che
sicuramente enfatizzava la vista della chiesetta.
La chiesa è una piccola cappella ad una navata unica, con abside rivolto a nord, intervallata da 3
coppie di paraste che sorreggono una volta a botte lunettata.
La chiesa originaria, probabilmente campestre, ha sicuramente subito dei rimaneggiamenti. Gli
stessi si leggono nel tamponamento delle finestre laterali all’interno delle lunette, che
sicuramente un tempo contenevano delle finestre che davano luce all’interno e si leggono
nell’abside. L’attuale infatti ha una larghezza inferiore rispetto alla navata della chiesa, ed è
coperto anch’esso da una volta a botte. Con molta probabilità la originaria chiesa terminava con
un abside semicircolare ed un catino absidale a volta che è stato poi rifatto e rettificato.
Dalla mappa datata 1744 trovata presso l’Archivio Storico di Torino (una cui riproduzione è
presente anche nelle sale comunali), si legge già l’attuale forma della chiesa con l’abside più
piccolo e con le pareti dritte. Questo fa supporre che l’originale disegno della cappella abbia
subito rimaneggiamenti già alla metà del ‘700.
La chiesa non ha importanti caratteristiche di pregio anche se sarebbe interessante eseguire
delle indagini stratigrafiche per trovare eventuali tracce di affresco.
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2.3. Il dipinto di San Giorgio
All’ interno della chiesa sono contenute due opere interessanti: un altare ligneo ed una pala
d’altare raffigurante San Giorgio, come è stato detto, patrono del comune di Vidracco.
Il culto del martire iniziò quasi subito dopo la sua morte (sembra nel 303 d.c.) mentre la
leggenda del drago compare molti anni dopo, all’epoca del Medioevo, quando Jacopo da Varazze
(o Varagine) nella sua opera “la Leggenda Aurea” ne fissa l’iconografia.
E’ un Santo molto amato e venerato in quanto rappresenta la forza del bene che prevale sul
male. Il cavallo (raffigurato sempre di colore bianco o chiaro) rappresenta la scissione delle
dicotomie del bene e del male; l’animale ha infatti
significato positivo, in quanto rappresenta
l’aspetto umanizzato del simbolo del bene, mentre il drago rappresenta l’animale che è dentro di
noi, che bisogna uccidere, cioè rifiutare.
Nella figura del San Giorgio di Vidracco si scorge nella metà del dipinto il Santo, vestito con una
bella armatura, privo di aureola ma con una piuma sull’elmo, sopra un grande cavallo (che ha la
testa reclinata in una forma particolare per guardare il male), intento ad uccidere il drago che si
trova nella parte bassa del dipinto sulla destra. La lancia che trafigge il drago serve, oltre che per
sconfiggere il male, anche per portare lo sguardo dell’osservatore verso la Madonna, che si trova
alle spalle di San Giorgio e che è presente quasi a legittimare l’azione del Santo (a volte nei
dipinti con lo stesso soggetto si trova la mano di Dio).
Davanti al cavallo, in una posizione secondaria rispetto alla scena centrale, si scorge la figura di
una ragazza, che nella leggenda dovrebbe essere la Principessa Silene, impaurita che rifugge e
fugge dal male.
Il colore della tela, se pur molto rovinata, è vivo e acceso. Il rosso del mantello del Santo
colpisce l’attenzione dell’osservatore, ma richiama anche il rosso del mantello della Madonna ed il
rosso più scuro del drago. Il colore non è stato scelto a caso dal pittore che usandolo per le tre
figure principali, le collega visivamante.
La rappresentazione stessa dei personaggi, la fluidità dei corpi e dei movimenti, la particolarità
delle forme e della criniera del cavallo, i particolari dell’armatura e dell’elmo con la piuma, il
disegno fluente del mantello rosso che cinge il Santo ed i colori stessi della tela fanno pensare ad
una datazione del dipinto risalente alla metà del 1700.
La pala con San Giorgio è stata oggetto di un furto avvenuto circa 15 anni fa e di un
ritrovamento da parte dei Carabinieri in un mercatino locale (sulla parte destra del dipinto è
visibile la tela tagliata e forse delle parti aggiunte).
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2.4. L’altare ligneo
L’alzata lignea dell’altare presente nella chiesa cimiteriale di San Giorgio è un’opera che risale
presumibilmente al XVIII secolo.
Con molta probabilità, vista l’imponenza del manufatto, l’altare era destinato ad una chiesa più
grande oppure è stato portato nella chiesa cimiteriale in un epoca successiva.
L’alzata dell’altare che contiene la pala di San Giorgio è posizionato su di un basamento di
disegno classico, in marmo policromo che presenta una bella lavorazione.
E’ un’opera di pregevole fattura che però nel tempo ha subito diversi furti che ne hanno
snaturato le caratteristiche.
In una fotografia allegata alla relazione fatta dalla restauratrice si vede il disegno originale di
questo manufatto che era composto da dei basamenti quadrangolari su cui si elevavano due
colonne tortili che sorreggevano una trabeazione di disegno classico. I basamenti delle colonne
presentavano delle piccole teste di angioletto incorniciate nelle loro ali. Gli angeli si trovano
spesso sugli altari, soprattutto di questa epoca, in quanto sono testimoni e annunciatori della
gloria di Cristo risorto.
Delle teste di angelo di dimensioni maggiori erano presenti anche nella parte laterale dell’altare,
vicino alle colonne e nella parte alta della trabeazione.
Una decorazione floreale completava il disegno di insieme che era arricchito da molte parti
dorate eseguite con lamine di metallo.
Attualmente molte sono le parti asportate. Tutti gli angeli e le teste dei putti sono state rubate
così come le colonne tortili e la decorazione che componeva il tabernacolo.
Dell’opera è rimasto solo il basamento delle colonne, con alcune parti dorate, alcuni decori
floreali, ed il piccolo timpano, le volute ed il basamento che formano la trabeazione.
3.BIBLIOGRAFIA
1. A. Bertolotti, “Passeggiate nel Canavese”, Ivrea, Tipografia F.L. Curbis, 1872;
2. G. Berattino “Traversella in Val di Brosso. Storia di una comunità alpina nell’alta
Valchiusella”, volume I, Editore GEST.AR.TUR. srl- Traversella, Ivrea 2002;
3. R. Argentero “Il Canavese tra Pedanea e Valchiusella” in “Quaderni del territorio”, a cura
della Provincia di Torino, Ivrea, anno 2010.
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