1989 Dalla rivolta pacifica di Lipsia al crollo del muro di Berlino

1989
Dalla rivolta pacifica di Lipsia al crollo del muro di Berlino
Incontro della Ccdc a Brescia con Christian Führer, già Pastore della Nikolaikirke di Lipsia, e
Paola Rosá, autrice del libro "Lipsia 1989. Nonviolenti contro il Muro", ed. Il Margine
3 novembre 2009
Paola Rosà
Gli spunti per iniziare questa serata potrebbero essere molti. Inizio chiedendo al Pastore come era quella
mattina del 9 ottobre 1989, per capire poi come quella giornata così importante andò diversamente da come lo
Stato, le forze dell’ordine e l’esercito si erano aspettati. Come era il clima, che cosa ha fatto lui, cosa si ricorda di
quella giornata, prima delle cinque del pomeriggio?
Christian Führer
In realtà quel giorno è incominciato due giorni prima, il 7 ottobre, 40° anniversario della fondazione della
Repubblica Democratica tedesca, quando centinaia di manifestanti davanti alla chiesa di San Nicola vennero
brutalmente percossi dalle forze dell’ordine, con diversi arresti.
Proprio in quei giorni precedenti sui giornali si scriveva "adesso dovremmo farla finita" e "la faremo finita con
la contro-rivoluzione, usando anche la violenza, se necessario". E la domenica alcuni medici mi dissero di essere
stati allertati e avvisati di preparare letti e barelle per eventuali feriti da arma da fuoco, poiché il lunedì – giorno
tradizionale delle preghiere per la pace – si voleva evitare che la gente andasse prima nella chiesa e poi per
strada.
La settimana come sempre da noi incominciava con la preghiera del mattino alle otto. Mi ricordo ancora la
lettura tratta dalla Lettera di San Paolo ai Galati: "Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di
Cristo".
Quella mattinata del 9 ottobre è incominciata innanzitutto anche con diverse telefonate. Le ho ricevute io, che
ero in parrocchia, e anche mia moglie, in ufficio e a casa. Telefonate di minaccia, minacce ufficiali, che venivano
dai funzionari del partito. E da queste telefonate ho capito che centinaia e centinaia di iscritti alla SED, cioè il
partito socialista al governo, erano stati convocati al municipio e nelle diverse sedi del partito per poi essere
impiegati quel pomeriggio.
La città aveva l’aspetto di una vera e propria guerra civile, le scuole erano state chiuse, ai negozi era stato detto
di chiudere in anticipo, nelle fabbriche era stata sparsa la voce che nessuno avrebbe dovuto entrare nel centro
di Lipsia quel pomeriggio. Alle due e mezza arrivò da me il custode della chiesa chiedendomi: "Pastore, la chiesa
è piena, cosa dobbiamo fare?". Allora mi sono precipitato subito in chiesa a vedere cosa stava accadendo. Mi
sono trovato davanti la mia chiesa piena di seicento persone. Non erano fedeli come tutti gli altri, erano i
Genossen, i compagni, cioè i membri iscritti e funzionari di partito. Forse erano in chiesa per la prima volta
nella loro vita, e tutti avevano quell’atteggiamento di chi è pronto ad agire. Non si sapeva però a quale fine.
Quando la situazione si fa seria, io reagisco sempre con estrema tranquillità, mi viene naturale. E inoltre mi
viene uno spontaneo umorismo. Un umorismo che è fratello intimo della fede, anche se purtroppo la chiesa
non mi ha ancora santificato.
E allora cosa ho fatto? A questi seicento membri del partito davanti a me ho detto: "Come c’è scritto fuori dalla
Nikolaikirche, la nostra chiesa è aperta a tutti. Quindi vi auguro un sincero benvenuto, anche se non capisco
come mai siete qui così presto". Erano infatti le due e mezzo, e di solito la funzione si tiene dopo le quattro
poiché i lavoratori sono occupati fino a tale ora.
A queste mie parole c’è stata una reazione un po’ strana e quelli si sono messi a gironzolare tra i banchi della
chiesa. Allora ho detto: "Mi volete scusare se tengo ancora chiuso il matroneo per lasciare un po’ di spazio a
qualche proletario e a qualche fedele. Intanto voi cari compagni, se volete, potete dare un’occhiata al nostro
libretto delle preghiere".
E adesso che si sentivano riconosciuti, dato che sapevo chi erano loro, e loro avevano intuito che li avevo
riconosciuti, si sentivano più tranquilli. Il clima si è disteso. Il giorno dopo infatti tre di loro sono venuti da me e
mi hanno addirittura ringraziato per quella preghiera della pace del giorno prima. Perché infatti il partito aveva
detto loro che nella chiesa di San Nicola, durante le preghiere per la pace, si praticava l’istigazione alla rivolta
contro lo Stato. Ed invece ora si erano resi conto di cosa succedeva realmente, e che non era vero quello che
diceva il partito.
E adesso per la prima volta assistevano di persona alla preghiera per la pace, avevano capito quante menzogne
erano state istigate loro da parte del partito. Ed allora si sono accorti che il partito aveva mentito. Quella bugia,
confrontata con quella realtà a cui avevano assistito, emerse in tutta la sua crudezza. E questi compagni,
mandati dal partito a sorvegliare la chiesa, durante la preghiera non hanno assolutamente disturbato. Sono stati
coinvolti e hanno partecipato alla preghiera per la pace. Questo segno lo interpreto con un po’ di umorismo: il
Signore mi ha mandato questi seicento membri del partito, ed io in tutti quegli anni non ero mai riuscito a
convincerli a venire nella mia chiesa.
Già mezzora prima dell’inizio ufficiale della preghiera per la pace, verso le quattro e mezzo, la chiesa era
stracolma ed era piena anche la piazzetta davanti. Ma per fortuna, siccome c’era stata molta gente anche la
settimana prima, con il super-intendente (una figura intermedia tra vescovo e pastore) c’eravamo messi
d’accordo, in modo che la preghiera per la pace si potesse tenere contemporaneamente anche in altre chiese
del centro storico della città di Lipsia. Così era possibile mandare il messaggio di nonviolenza a più persone.
E quindi quel lunedì siamo riusciti ad avere con noi, alle preghiere per la pace nelle diverse chiese, seimila
persone. Però, come abbiamo saputo dai media occidentali, in realtà le persone a Lipsia, quel giorno, erano
settantamila. Si trattava della più grande manifestazione pacifica di tutta la storia della Germania socialista.
Poi ad un certo punto abbiamo dovuto aprire le porte perché la preghiera era finita. L’importante è stato il fatto
che la gente ha seguito il nostro appello di praticare la nonviolenza. Certamente praticare la nonviolenza in una
chiesa è molto facile, dato che non si viene aggrediti né provocati. Noi spingevamo affinché la gente riuscisse a
portare la nonviolenza anche fuori dalle porte della chiesa. E quindi raccomandavamo sempre di non reagire
alle provocazioni e di portare questo messaggio anche fuori dalle porte della Nikolaikirche.
Non dimenticherò mai quello che vidi una volta aperte le porte della chiesa. La piazzetta davanti a San Nicola
era stracolma di persone che ci aspettavano. Ognuno di loro aveva una candela in mano. Come si sa, le candele
per essere sorrette e per non spegnersi hanno bisogno di due mani. Non è perciò possibile tenere né un
manganello né un sasso. E quindi la candela equivale alla nonviolenza. Ad un certo punto, a questa marea di
persone ho chiesto di spostarsi, poiché c’erano altre duemila persone che stavano uscendo dalla chiesa e che
volevano unirsi a loro. E questo è successo in maniera molto tranquilla, nonostante la grande massa di persone.
E così questo enorme corteo, di cui non sapevamo ancora di quante persone fosse composto, si è messo
lentamente in moto per la città. Un corteo di persone animate da paura e da speranza. E ancora non sapevano
cosa sarebbe accaduto. I bambini ovviamente non c’erano, poiché era estremamente pericoloso per la loro
incolumità. Le due parole d’ordine di questa rivoluzione pacifica erano: "Noi siamo il popolo" e "No alla
violenza".
Quello che mi ha colpito, come uomo, come cristiano, ma anche come pastore, è il fatto che questi slogan sono
stati presi proprio dal ‘discorso della montagna’ di Gesù, e sono stati tradotti in pratica tramite il no alla
violenza.
Dobbiamo pensare chi erano queste persone. I più anziani di loro erano cresciuti ancora con l’educazione del
nazismo, e dunque educati al razzismo e all’amore per la guerra e al disprezzo per i più deboli. E quelli più
giovani, invece, erano cresciuti secondo l’ideologia del socialismo reale, con la lotta di classe, un sistema che
disprezzava e vedeva come nemici soprattutto i cristiani, un sistema che disprezzava il cristianesimo e che dava
importanza solo al potere, ai soldi e all’economia.
Queste erano le persone, i tedeschi che erano per strada quel giorno. Educati da decenni di ateismo sia sotto i
nazisti sia sotto i comunisti. Ed il fatto che tutti siano riusciti ad interpretare il ‘Discorso della montagna’ di Gesù
in questo modo così pratico, praticando per strada la non violenza, desta certamente stupore e ammirazione.
Von Weizsäcker mi ha detto che è stato un processo davvero sconvolgente. E da parte mia, da pastore
protestante, posso dire che, se esistono i miracoli, l’atteggiamento delle persone quel giorno è stato un
miracolo di proporzioni bibliche.
E così questo corteo ha iniziato a muoversi lentamente, all’inizio in silenzio. Ed i generali di Lipsia, già pronti a
soffocare la rivolta, non sapevano cosa fare. Ho saputo poi che telefonavano a Berlino per chiedere istruzioni,
per sapere cosa fare. Mielke, il ministro della sicurezza, capo della Stasi, ha detto che occorreva usare la mano
dura.
Però quel giorno le cose non andarono così. Nessuno osò ordinare di usare la mano dura. Da Berlino infatti non
arrivò la risposta a queste telefonate. Ecco che Egon Krenz, vice di Erich Honecker, una delle figure più alte del
regime, per una volta ha fatto qualcosa di buono nella sua vita, dato che quel giorno appunto non ha fatto
nulla.
E così il corteo è riuscito ad arrivare al viale a quattro corsie che circonda la città di Lipsia. Si continuava a
muovere e i generali non sapevano cosa fare. Da Berlino non arrivavano ordini. A Lipsia nessuno si è assunto la
responsabilità dell’azione. E quindi il potere dello stato era per la prima volta paralizzato. Più tardi un membro
del comitato centrale del partito dirà: “Quel giorno eravamo pronti a tutto, ma non eravamo pronti ad
affrontare delle candele e delle preghiere”. E quando il corteo è riuscito a compiere il giro completo della città
ed è ripassato davanti alla chiesa di San Nicola predominavano due sensazioni. La prima sensazione era quella
di un enorme sollievo, dato che la tanto temuta soluzione-cinese come in piazza Tian’anmen non si era
verificata, non c’era stato il massacro. Perché noi conoscevamo bene i comunisti. Sapevamo che cosa avevano
fatto nelle repressioni. Era successo così il 17 giugno 1953 a Berlino in tutta la DDR. Era successo così anche nel
’56, in Ungheria e in Polonia, e a Praga nel ’68. E nello stesso anno, il 4 giugno 1989, a Pechino in Piazza
Tian'anmen. In quella stessa estate i nostri dirigenti, Egon Krenz su tutti, erano stati proprio a Pechino, ed il
governo della DDR si era congratulato per l’atteggiamento che i cinesi avevano avuto nel reprimere la
rivoluzione. Quindi la prima sensazione era quella del sollievo, di avercela fatta.
La seconda sensazione riguardava la forza di questa cosa straordinaria, di questo corteo che continuava a
muoversi senza che nessuno potesse fermarlo. E questo per tutti significava una sola cosa: la DDR, la Repubblica
socialista, non è più la stessa. Le cose possono cambiare.
Il giorno dopo, poi, quando le riprese effettuate di nascosto dal campanile di una delle chiese furono trasmesse
dalla televisione, tutto il Paese vide cosa era successo a Lipsia. Da qui le cose hanno cominciato ad accavallarsi
una dopo l’altra. In altre chiese sono state organizzate preghiere per la pace, seguite dalla manifestazione. Il 18
ottobre si dimette Honecker, capo del partito della DDR, e ai primi di novembre l’intero Governo. Il 4 novembre
si tenne una manifestazione gigantesca a Berlino, la capitale, ma si trattò di una manifestazione autorizzata,
senza la paura di essere aggrediti o picchiati. E poi il 9 novembre accadde ciò che tutti aspettavamo.
Perché proprio il 9 novembre? Nel 1848 a Vienna fu fucilato Robert Blum. Nel 1918 in Germania invece la
rivoluzione di novembre fu un insuccesso. Il 9 novembre 1923 ci fu il fallito putsch di Hitler a Monaco. Il 9
novembre del 1925 vengono fondate le SS. Il 9 novembre 1938 avviene la Notte dei Cristalli, il pogrom durante
il quale vengono devastati migliaia di negozi ed uccisi anche centinaia di ebrei, con una retata definitiva contro
gli ebrei.
Quindi questo 9 novembre è anche fin troppo affollato di ricorrenze nella storia tedesca. Non abbiamo
assolutamente nulla da festeggiare. Ed invece quel 9 novembre le cose andarono diversamente. Faccio
riferimento alla conferenza stampa che poi ha dato il via all’apertura delle frontiere. Per quel giorno infatti ci si
poteva aspettare che i gruppi di base, che ormai erano attivi da più di un mese nella Germania dell’Est, avessero
occupato i tavoli della conferenza per un’occupazione pacifica di quella conferenza stampa di Stato. Invece le
cose non andarono così. Schabowski, portavoce del Governo, doveva comunicare delle cose ai giornalisti
occidentali, ma un giornalista italiano chiese a che punto si era arrivati con il regolamento sugli espatri. E
Schabowski, con una famosa esitazione, disse che era in vigore da subito. Praticamente Schabowski stava
dicendo, in diretta tv, che ora i cittadini della DDR potevano espatriare, A quel punto tutti capiscono che i muro
è aperto.
Dopo la trasmissione della conferenza stampa in tv la gente si precipita al varco della Bornholmer Strasse ed
assalta il muro pacificamente secondo lo stesso spirito del 9 ottobre. Quindi alla fine il muro viene abbattuto da
est, non con i carri armati, ma secondo lo stesso spirito popolare partito da Lipsia. E quindi questo 9 ottobre, un
mese prima, è il risultato più spettacolare di questa storia che porterà al crollo del muro. [47:30]
Paola Rosà
Adesso si potrebbe entrare più nel concreto per capire cosa accadeva durante le preghiere per la pace. Queste
continuano per un intero decennio, dall’ '82 all’ '89, con questo esito spettacolare del 9 ottobre, che porta al
crollo del muro di Berlino. In realtà proseguono anche nei periodi più duri, quelli che il Pastore definisce "una
traversata nel deserto", poiché se i frequentatori delle preghiere per la pace, nell’autunno dell’ '89 sono
centinaia (e addirittura duemila quel 9 ottobre nella chiesa di San Nicola), in altri periodi più tranquilli i
frequentatori sono solo cinque o sei. Eppure il Pastore è sempre lì per loro, ogni lunedì, alle cinque. Quindi è
interessante capire cosa accadeva durante le preghiere per la pace.
Christian Führer
Tutto ha avuto inizio nella chiesa. Come ci dicono anche le parole di Gesù, "tutto inizia come un granello di
senape, che continua a crescere e non si può più fermare". Nel 1980 si è sviluppato quel movimento di protesta
soprattutto giovanile contro lo stazionamento dei missili a media gittata in Europa. E quindi quando nel 1981
c’erano questi primi volantini che invitavano alla pace, io ho deciso di proporre all’interno della Decade della
pace, che già esisteva nella chiesa evangelica, dieci preghiere per la pace. Queste erano previste tutti i giorni,
dall’8 al 18 novembre 1981. L’ultimo giorno della Decade della pace, un giorno festivo per gli evangelici, ho
indetto una meditazione della Croce fissata per le dieci di sera. E a questa preghiera serale si sono presentati
130 ragazzi. Erano ragazzi che il regime chiamava "elementi", poiché erano strani: qualcuno aveva della tinta
verde nei capelli, i vestiti molto colorati. Per il regime erano elementi molto pericolosi, da sorvegliare. Ed io mi
sono trovato 130 di loro davanti a me.
Nella sala dietro il nostro altare ci sono parecchie tele che rappresentano scene bibliche, ci sono rilievi in
alabastro e scene dal Nuovo Testamento tratte dall’ultima settimana di vita di Gesù. Praticamente si sta con i
piedi immersi nella Bibbia. E quindi, dato che in quel periodo da noi i non cristiani erano sempre in
maggioranza, ho pensato di dover mostrare ai ragazzi che cosa è una croce e che cosa significa.
Mi ero fatto costruire una croce con due travi di legno, della stessa grandezza della croce su cui venne crocifisso
Gesù, e l’avevo appoggiata sul pavimento tra la fonte battesimale e l’altare. E attorno alla croce c’erano questi
ragazzi, che potevano vedere da vicino che cosa fosse una croce, cosa significasse essere crocifissi. Vicino alla
croce avevo messo un cesto con delle candele normali da cucina, e ho chiesto ai ragazzi: "Dove ai nostri giorni si
viene crocifissi, e chi viene crocifisso? Se qualcuno di voi vuole dire qualcosa, può farlo: prende una candela, la
accende, la mette sulla croce e racconta la sua storia. Chi è cristiano può aggiungere una preghiera, ma tutti
devono sentirsi liberi di dire qualcosa".
Quello che mi ha sorpreso è che tutti avevano qualcosa da dire. Abbiamo incominciato verso le dieci, e non
abbiamo finito prima di mezzanotte. Ma in quella notte era nato qualcosa, un’atmosfera molto particolare,
molto intensa, che ha sorpreso anche me.
A quei tempi, specialmente ai ragazzi, veniva prescritto tutto: cosa dovevano pensare, cosa dovevano dire, cosa
dovevano fare. Ed invece lì, in quella chiesa, si è espresso qualcosa d’altro: quello che di solito assumeva la
forma di rabbia e aggressività lì è diventato parola e scambio. E quella croce, simbolo di violenza e di tortura,
grazie a tutte quelle candele è diventata una croce di luce, un’immagine meravigliosa in mezzo alla chiesa e in
mezzo a tutti quei ragazzi. Quindi, alla fine di quell’incontro, i ragazzi hanno capito che la chiesa è un luogo dove
si poteva parlare ed esprimere il proprio pensiero, senza essere interrotti. E la cosa non accadeva certo a scuola,
in cui veniva appunto prescritto che cosa dire e in cui non si potevano fare discorsi pericolosi poiché si pativano
conseguenze dannose.
L’atmosfera che si era creata lì in quel momento era un’atmosfera serena, di estrema serenità e di liberazione.
Quei ragazzi si sentivano liberi di potersi esprimere, tanto che non volevano più andarsene, mentre io ed il
sacrestano li invitavamo a cantare l’ultima canzone per poi andare a casa, vista la tarda ora. E quella canzone
conclusiva ovviamente non la conosceva nessuno, poiché la maggioranza di loro non era mai stata in chiesa, ed
è diventata una specie di mormorio, ma comunque era un bel canto.
E quando io ho visto questi ragazzi seduti dietro l’altare ho subito pensato dentro di me che prima della riforma
lì stavano sedute soltanto le grandi autorità ecclesiastiche. Non si potevano sedere i laici, le donne, e
soprattutto ragazzi del genere. Ed invece ora eccoli lì seduti, hanno occupato quello spazio che sembra quasi
essere stato costruito per loro. E quindi se noi accogliamo queste persone che fuori vengono letteralmente
bastonate, se apriamo la chiesa a questo tipo di persone, non facciamo altro che quello che Gesù ha sempre
voluto che noi facessimo. E quindi non facciamo altro che ribaltare l’immagine della Chiesa che i comunisti
stavano propagando, in quanto dicevano che la Chiesa è un semplice museo religioso in cui ci stanno solo un
paio di vecchiette; e quando queste moriranno non ci andrà più nessuno. Secondo loro, dopo Karl Marx la
Chiesa non doveva più esistere. E quindi quando arriva questo tipo di gente in chiesa e viene accolta, tale
immagine viene completamente ribaltata.
Quindi abbiamo aperto la chiesa in maniera dimostrativa. I battenti del grande portone della chiesa di San
Nicola, quando sono spalancati, sembrano proprio le braccia di Gesù pronte ad accogliere la gente. Da quel
momento la gente ha cominciato a venire in chiesa, e lo scalino di San Nicola si è sempre più abbassato per far
passare le sedie a rotelle e anche i laici e i non credenti.
Dopo sei mesi, era già il 1982, un anno molto difficile per la situazione internazionale. In Polonia c’era
Solidarność, Lech Wałęsa, con le prime difficoltà. In Cecoslovacchia il movimento di Charta 77 con Václav Havel,
con il quale avevamo contatti.
Alla periferia di Lipsia c’era una comunità di ragazzi, una comunità giovanile, che era particolarmente inquieta
per quei tempi. E gli anziani di quella parrocchia hanno detto loro di non lamentarsi, ma di andare a pregare. Ed
è quello che hanno fatto: si sono presentati alla chiesa di San Nicola ed hanno chiesto di mantenere quelle
preghiere per la pace, non solo 10 giorni all’anno, ma una volta alla settimana per tutte le settimane. Ed è
quello che poi abbiamo cominciato a fare a partire dal 1982. Il Consiglio parrocchiale ha accettato questa
proposta ed il primo giorno è stato il 20 settembre 1982. Da allora tutti i lunedì si tiene una preghiera per la
pace.
Quando si prega, non preghiamo nell’aria e non preghiamo semplicemente contro il muro. Preghiamo per
qualcosa di concreto, e quindi siamo convinti che prima o poi qualcosa accadrà.
Quando nel 1983 è cominciato lo stazionamento di quei missili, quel clima ha influenzato i partecipanti alle
preghiere per la pace, che ormai i lunedì durante l’anno erano scesi a meno di 10 partecipanti. Restavano
intorno ai cento i partecipanti alla Decade per la pace, quei dieci giorni a novembre. Una volta eravamo soltanto
in sei ad una preghiera per la pace, cioè erano quattro fedeli, senza contare me ed il sovrintendente. E però,
una di quelle fedeli mi ha detto di continuare con le preghiere, di non lasciare perdere. Quella signora mi ha
detto: "Se lasciamo perdere anche noi, che cosa resta a questo Paese dominato ormai dalla rassegnazione?". E lì
ho capito che quella signora aveva ragione.
Come pastore, ho la fortuna che mi vengono sempre in mente citazioni bibliche. Quindi in questo caso,
sentendo la signora che parlava del numero dei fedeli e di speranza, ho pensato alla parola di Gesù, quando
dice: "Se due o tre si riuniranno a pregare insieme nel mio nome anch'io sarò con loro". E noi eravamo in sei, il
doppio di quello che aveva detto Gesù. Quindi non potevamo lasciar perdere.
Questo periodo duro, caratterizzato dalla poca partecipazione alle preghiere per la pace durante l’anno e dalla
concentrazione di fedeli durante la decade autunnale, è durato fino al 1986. In questo anno arrivarono da me
un gruppo di "Ausreisewillige", cioè di coloro che avevano fatto domanda di espatrio. Dalla DDR infatti si poteva
espatriare facendo domanda, tramite un processo burocratico molto lungo che portava una serie di svantaggi.
Queste persone mi chiesero di fare qualcosa anche per loro. E su loro invito avevo iniziato un gruppo di
riflessione, di preghiera e di speranza per chi voleva andarsene. Questo è poi sfociato, il 18 febbraio del 1988, in
una serata dedicata a chi voleva andarsene, che io avevo intitolato "Vivere e restare nella DDR".
Questa serata ha un valore importante: gli incontri dedicati a chi voleva andarsene erano riservati a cinquanta
partecipanti, ma quel giorno se ne presentarono seicento. La nostra riflessione era infatti incentrata su questo
bivio: restare o andarsene. Era quindi un punto fondamentale.
La maggioranza di loro, come gli altri, non era cristiana. Leggendo una lettura biblica ed interpretandola, non
sarebbe restato nulla a questa gente. Quindi ho deciso di cercare un passo biblico che fosse immediatamente
comprensibile senza interpretazione. Mi è venuto in mente quel passo della Bibbia dove Gesù dice: "Che fate,
volete andarvene anche voi?" (Gv. 6, 67). E quindi ho semplicemente scritto "Gesù dice: Volete andarvene
anche voi?".
A quel punto calò il silenzio in quella chiesa. Si capiva che ognuno di loro stava pensando di aver vissuto e di
essere cresciuto lì, e che andando ad ovest probabilmente non avrebbe più rivisto i propri amici d’infanzia ed i
suoi parenti. Vedevo scorrere queste riflessioni sui volti delle persone davanti a me. Mi sono reso conto che con
quel clima di serietà non si poteva chiudere la preghiera. Allora ho trovato un Salmo adatto, il Salmo 65: "Dio, tu
fai felice chiunque, a Est e ad Ovest". Ed allora, pensando alla Germania Est e alla Germania Ovest, tutti hanno
cominciato a sorridere, e questa tristezza si è trasformata in ilarità. Molti di loro pensavano che io mi fossi
inventato quelle frasi. Ed io rispondevo che non era vero, che da secoli era scritto nella Bibbia, ma che loro non
l’avevano ancora trovato. Il clima e l’umore all’interno della chiesa si sono completamente ribaltati. La gente
vedeva ancora una luce di speranza in quella vita che sembrava senza via d’uscita, pensando che Dio avrebbe
riservato qualcosa di buono anche per loro.
Le persone erano così contente che cominciarono a parlare e a congratularsi a vicenda. Ho dovuto faticare per
dare la benedizione a tutti. Alla fine della funzione molti sono venuti da me scusandosi per non appartenere a
quella chiesa, dato che in Germania occorreva appartenere ufficialmente ad una chiesa, pagando delle tasse.
Quelle persone mi chiesero di poter venire anche alle prossime preghiere per la pace. Ovviamente ho risposto
in maniera positiva: la chiesa è aperta a tutti. Fuori dalla chiesa c’è il cartello: "Nikolaikirche aperta a tutti".
Dal lunedì successivo il numero di partecipanti alle preghiere per la pace è aumentato, grazie all’afflusso di tutti
questi canditati all’espatrio. Questo aumento delle persone partecipanti alle preghiere per la pace comportava
un aumento dell’attenzione delle forze dell’ordine e dei controlli del Ministero della Sicurezza su quello che noi
facevamo nella chiesa. Sono così arrivate pressioni da parte del nostro Vescovo affinché o si smettessero del
tutto le preghiere per la pace o si trasferissero in una chiesa di periferia per non dare nell’occhio, come avveniva
nella chiesa centrale di San Nicola.
A questo punto c’era già un buon numero di partecipanti alle preghiere per la pace. Adesso, nel 1988, si
innescano altri due fattori che ne aumentano i partecipanti.
Per esempio lunedì 8 maggio 1989 la polizia bloccò fisicamente l’ingresso alla piazza di San Nicola. Non con le
camionette, con i cani o con gli scudi, ma semplicemente mettendo una fila di poliziotti disarmati per
dissuadere i cittadini. La gente, non spaventata, passò attraverso le file di poliziotti per poter entrare in chiesa
per la preghiera. Gli stessi provvedimenti erano stati presi alla periferia di Lipsia, dove ad esempio era stata
bloccata l’uscita dell’autostrada e ai posti di blocco veniva chiesta la carta di identità per non far entrare chi non
risiedeva a Lipsia. La stessa cosa succedeva alla stazione dei treni. Eppure queste misure di dissuasione hanno
avuto l’effetto opposto: i frequentatori delle preghiere per la pace aumentavano col passare delle settimane.
L’altra data significativa è il 4 settembre del 1989: la data della prima preghiera del lunedì dopo la pausa estiva.
Tradizionalmente la pausa estiva durava per il periodo di luglio ed agosto. L’intero Consiglio parrocchiale era
stato convocato dai funzionari del partito e sottoposto ad una specie di lavaggio del cervello per due ore, per
convincere i membri a non tenere la preghiera per la pace quel lunedì. Infatti la prima settimana di settembre a
Lipsia c’era la fiera internazionale, con ospiti anche dal blocco occidentale, e quindi si faceva pressione sul
Consiglio parrocchiale per iniziare le preghiere almeno il lunedì successivo. I giornalisti occidentali infatti
dovevano farsi autorizzare tutte le riprese che venivano fatte a Lipsia e nella DDR, e non avevano mai ottenuto il
permesso per le riprese all’interno della chiesa. L’unica eccezione in tutto l’anno era, appunto, durante la fiera
internazionale di Lipsia, dove ogni giornalista occidentale riceveva un permesso forfait per registrare tutto
quello che voleva, per un periodo limitato, senza dover richiedere ogni singola autorizzazione.
E così è successo quello che lo Stato temeva. Quando siamo usciti dalla chiesa, quel lunedì pomeriggio del 4
settembre, eravamo 1500 persone e ci siamo trovati davanti un gruppo di giornalisti occidentali pronti a filmarci
con la loro telecamera. Come prima reazione mi sono arrabbiato, dato che pensavo che stessero rubando il
lavoro alla Stasi, ai servizi segreti, poiché continuano a filmarci e sorvegliarci. Poi mi sono subito reso conto di
quanto fosse importante la presenza di queste telecamere dell’Occidente, poiché due ragazzi che erano con noi
srotolarono uno striscione nascosto sotto le giacche con la scritta "Per un Paese aperto con gente libera".
Questo striscione è stato esposto per pochi secondi, perché alcuni agenti segreti della Stasi l’hanno subito
strappato, ma ormai la presenza delle telecamere aveva ripreso tutto e quello striscione è stato mandato in
onda durante i telegiornali dell’Occidente. La sera infatti è andato in onda sul telegiornale della Germania Ovest
come prima notizia.
Con "Le preghiere per la pace a Lipsia", questo era il titolo del servizio, si è visto questo striscione. E quindi la
gente della Germania Occidentale, la gente dell'Europa ha visto che cosa stava accadendo a Lipsia. Ma in realtà
la cosa più importante che era accaduta grazie a queste immagini è un’altra. Poiché quasi tutti nella DDR
guardavano i canali occidentali, benché fosse ufficiosamente proibito, i cittadini della DDR hanno visto che cosa
accadeva a Lipsia, nel loro Paese, cose che non sapevano. E quindi dal lunedì successivo i frequentatori delle
preghiere per la pace aumentarono ancora di più, poiché la gente da tutto il Paese veniva a Lipsia. L’11
settembre del 1989 però la polizia ha iniziato a reagire con i manganelli e con gli arresti arbitrari.
E quindi tornando a quel 9 ottobre, che è il lunedì di qualche settimana dopo, possiamo vedere come nella
chiesa di San Nicola si raccolga tutta la Germania dell’Est, perché molti sono venuti da fuori Lipsia, e soprattutto
molti non sono cristiani. Il 90% di loro non era cristiano. Se ci pensiamo bene per la chiesa è una bella
proporzione avere davanti una platea del genere!