Il rischio di un capo dello Stato «scelto» da chi vince le elezioni

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La politica in numeri
di Roberto D'Alimonte
Il rischio di un capo dello Stato
«scelto» da chi vince le elezioni
è qualcosa che potrebbe essere migliorato
nel meccanismo di
elezione del presidente della
repubblica previsto dalla riforma costituzionale in discussione. Fino ad oggi il capo dello
stato è stato eletto da una assemblea di grandi elettori che
comprende deputati, senatori
e rappresentanti regionali. In
occasione della elezione di
Mattarella erano poco più di
mille. Dopo il terzo scrutinio la
regola elettorale è quella della
maggioranza assoluta dei
grandi elettori. Questo dice la
costituzione ancora in vigore.
Con la riforma in discussione il
capo dello stato sarà eletto da
una assemblea composta da
63o deputati eloo senatori, più
un numero imprecisato di ex
presidenti della Repubblica.
Quanto al metodo di elezione,
fino al terzo scrutinio sarà necessaria la maggioranza dei
due terzi dei membri della assemblea. Dal quarto ci vorrà la
maggioranza dei tre quinti della assemblea. Dal settimo scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. È in questa ultima previsione che si nasconde un
piccolo problema.
Facciamo un esempio. Lasciamo da parte gli ex presidenti della repubblica, che comunque saranno pochi, e ragioniamo sulla base di 730
grandi elettori. I tre quinti di
730 fa438. Se tutti votano questa sarà la maggioranza necessaria per eleggere il capo
dello stato. In questo caso al
partito vincitore delle elezioni non basterà il premio di
maggioranza previsto dal
nuovo sistema elettorale l'Italicum - per aggiudicarsi
anche la presidenza della repubblica oltre alla presidenza
del consiglio. Infatti avrà a sua
disposizione i 340 seggi garantiti dal premio, più - ipotizziamo - 6 seggi provenienti
dalla circoscrizione estero,
più - sempre per ipotesi - 6o
senatori su 100. Il totale fa4o6.
Gli mancherebbero comunque più di 30 seggi per arrivare ai tre quinti dell'assemblea.
Va da sè che se i senatori afferenti alla maggioranza di governo fossero meno di 6o i 30
seggi non basterebbero più.
Ciò premesso, se tutti i
grandi elettori partecipano al
voto, chivincele elezionipolitiche potrebbe eleggere un
"suo" presidente della repubblica solo se controllasse tutto
il senato. In questo caso infatti
avrebbe a sua disposizione
446 voti (346 deputati + 100 senatori ). Ma questo caso è impossibile. Lo è per legge, perché la riforma stabilisce che i
futuri senatori siano scelti dai
consigli regionali con metodo
proporzionale.
E va bene così. È giusto che
chi vince le elezioni con l'Italicum non possa conquistare da
solo anche la presidenza della
repubblica. Questa è la ratio
della norma che alza la soglia
per l'elezione del capo dello
stato. Una norma del genere
avrebbe già dovuto essere introdotta ai tempi della legge
Mattarella e ancor più ai tempi
Il PROBLEMA
Se un numero consistente
di «grandi elettori» dovesse
astenersi il presidente
potrebbe essere espressione
di una parte politica
...........................................................................
IL,
..L_ RIMEDIO
Stabilire che la regola dei tre
quinti vale solo se il risultato
del voto non è inferiore alla
maggioranza assoluta dei
componenti dell'assemblea
della Calderoli. Ma la formula
contenuta in questa norma - i
tre quinti dei votanti dopo il sesto scrutinio- non assicura che
i futuri presidenti siano eletti
da una maggioranza allargata
che comprenda anche unaparte almeno della opposizione,
come sarebbe giusto nel caso di
una figura di garanzia come
quella del nostro presidente
della repubblica.
Immaginiamo infatti che
200 grandi elettori decidano di
non partecipare alvoto. In questo caso la regola dei tre quinti
siapplicanonpiùa73omaa53o.
I tre quinti di 530 fa 318. Ed ecco
allora che il vincitore delle elezioni politiche con i suoi 406
voti potrebbe eleggere il "suo"
presidente, senza mediazioni.
Ma c'è di più. Seguendo questa
linea di ragionamento si può
arrivare ad ipotizzare anche il
caso di un presidente eletto da
una minoranza dei grandi elettori, cioè meno di 366.
Maperché unnumero consistente di grandi elettori dovrebbe astenersi e consegnare
l'elezione del presidente ad
una maggioranza "fabbricata"
dal sistema elettorale? I motivi
possono essere diversi. Anche
quello di delegittimare il futuro capo dello stato facendolo
eleggere o da una minoranza
oppure da una maggioranza ristretta che corrisponde a quella di governo. Un comportamento "strategico" di questo
genere è nelle corde di partiti
anti-sistema, per esempio. Siamo i primi ad ammettere che la
probabilità di un simile esito è
bassa. Ma perché rischiare ?
Il rimedio c'è. Anzi cene sono due. Uno è quello di fissare
la formula elettorale a tre quinti dei membri della assemblea e
non dei votanti. Ma questa formula ha il difetto di irrigidire
troppo il meccanismo di elezione. L'altro rimedio è quello
di stabilire che la regola dei tre
quinti vale solo se il risultato
della votazione non è inferiore
alla maggioranza assoluta dei
componenti della assemblea.
In questo caso se votano tutti la
soglia per eleggere il presidente è 438, cioè i tre quinti. Se una
parte dei grandi elettori si
astiene il presidente può essere eletto con una maggioranza
inferiore. Ma in nessun caso
con una maggioranza inferiore
a 366, che è la soglia della maggioranza assoluta. Questa formula non esclude, come farebbe la precedente, che la maggioranza di governo - quella
dell'Italicum - possa eleggere
un `suo' presidente, ma esclude
che possa essere eletto un presidente di minoranza.
Visto che il testo approvato
a suo tempo dal Senato è già
stato modificato dalla Camera la modifica suggerita qui si
potrebbe fare ora senza forzare i regolamenti parlamentari. Non si tratta di una questione fondamentale. Ma certo è
curioso che una normapensata per rendere più consensuale l'elezione del futuro presidente della repubblica possa
portare alla scelta di un presidente di minoranza. Cosa che
non può accadere con la Costituzione attualmente in vigore. Per quanto sia un rischio
poco probabile non vale lapena di correrlo.
O RI PRO DO ZIONE RISERVATA
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