3 Marzo
3° Domenica di Quaresima
Es 3, 1-8.13-15;
1Cor 10, 1-6.10-12;
Lc 13, 1-9.
Carissimi fratelli e sorelle
il Signore Gesù, oggi, ci apostrofa con parole molto dure e taglienti: “Se non vi convertite
perirete tutti allo stesso modo”. Le ripete due volte e poi, per completare il quadro, racconta la
parabola dell’albero di fichi che, piantato nella vigna, non porta frutto.
“Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo
dunque – dice il padrone al vignaiolo – perché deve sfruttare il terreno?”.
“Padrone – risponde il vignaiolo – lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato
attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.
Cari fratelli e sorelle il Signore ci chiama con urgenza alla conversione. Questa mattina mi
stavo facendo delle domande riflettendo su alcune cose che ho vissuto e che ho ascoltato in questi
giorni. Questa mattina, ad esempio, ho ascoltato la vita del beato Pier Giorgio Frassati, un gigante
della fede, un uomo che non giocava ai facili compromessi, un giovane che quando metteva un
avviso in bacheca e glielo strappavano, lo rimetteva ricopiato due volte; e se gli strappavano anche
quei due fogli ne metteva quattro, ed arrivava fino a sessantaquattro foglietti copiati; e non c’erano
le fotocopiatrici all’inizio del secolo scorso. Un’altra volta si era messo con il bastone davanti alla
bacheca perché gli anticlericali volevano strappare i suoi avvisi sulla preghiera, è finita a botte e
distrutta la bacheca. Questo giovane era deciso e non scherzava facilmente.
Ho ascoltato anche la vita del cardinale Van Thuàn, vietnamita, che ne ha passate di tutti i
colori ed è stato nominato vescovo di Saigon, due mesi prima della presa della città da parte dei
comunisti, sapendo benissimo che l’assunzione di quel ministero era un votarsi al martirio.
Di fronte a questo esempio credo di essere stato molto più fortunato con la mia nomina qua
in mezzo a voi.
Ieri sono stato in carcere per la scuola di preghiera che sto vivendo con i carcerati; è stata di
nuovo una esperienza estremamente bella e mi chiedevo se quelle persone che erano là dentro,
fossero in quella condizione per una radicale cattiveria del cuore o per un ruzzolare della vita da
posizioni precarie o negative. E con terrore vedevo queste persone più scusabili di me che, con
tiepidezza, affronto la vita senza determinazione e radicalità.
Cari fratelli e care sorelle che cosa ci impedisce di essere santi?
Che cosa ci impedisce di far brillare la nostra santità in Alessandria?
Forse che l’omissione della nostra santità non è un fatto grave?
Forse che non è una tiepidezza?
Pensiamo di poter vivere la nostra vita stando dietro a Gesù per alcune pratiche cristiane e,
allo stesso tempo, vivendo secondo il mondo perché più comodo?
Alle volte ho l’impressione che, per noi cattolici, più che queste pagine di Gesù, che ci
dicono: “Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo”, si adattino meglio le parole di Vasco
Rossi: “Siamo solo noi che tra demonio e santità è lo stesso basta che ci sia posto”; una icona del
modo di vivere di oggi.
Ci diciamo spesso che diventare santi è un po’ troppo, è una cosa esagerata e non ne siamo
capaci. Non cercare di diventare santi è sbagliato, perché il Signore lo pretende da noi; il Signore
vuole che noi siamo santi, e ci ha creati perché siamo santo; ci ha creati perché il nostro amore
risplenda in questo mondo privo di amore, non perché restiamo seduti sulla poltrona a brontolare
perché c’è odio: starsene seduti in poltrona a brontolare, magari anche senza odiare, non è un
grande atto di virtù.
Ecco il motivo del richiamo forte del Signore, ma la nostra conversione non può essere
semplicemente un atto morale.
Cari fratelli e sorelle io non voglio caricare sulle vostre spalle dei fardelli che non sapete
portare e che, anch’io non ne sono capace. La conversione non è un atto morale: ci impegniamo e ci
convertiamo. In quaresima siamo chiamati, come abbiamo sentito nella colletta, a compiere degli
atti di digiuno, di preghiera e di carità fraterna. Ma questi atti servono solo per aiutarci a prendere
coscienza della nostra pochezza e per rifugiarci con maggiore convinzione in Dio. Solo lui, infatti,
ci salva, solo lui realizza la nostra salvezza e cambia le nostre vite. Allora se la nostra vita non va
tanto bene, se ci riconosciamo in questa pianta di fico che non dà frutti di santità, dobbiamo
implorare il Signore, entrare in relazione con lui e dire: “Signore, se tu vuoi che siamo santi,
insegnaci il cammino, rendici santi, perché, con le nostre sole forze, non riusciremo mai nel nostro
intento”. Questo dobbiamo chiedere come se fosse un qualcosa di prezioso, e invece chiediamo al
Signore tante cose senza pensare a fare la sua volontà mentre altre volte, purtroppo, Dio desta poco
interesse in noi.
La prima lettura ci ha suggerito come le grandi missioni cominciano dall’incontro vivo con
la presenza di Dio. Mosè si incontra con la presenza di Dio nel roveto ardente: ne scaturisce la
liberazione del popolo dall’Egitto. Se non incontriamo in modo vivo e forte la presenza di Dio, la
nostra vita cristiana è stagnante, resteremo sempre dei tiepidi destinati ad essere tagliati e gettati nel
fuoco, come dice l’Apocalisse.
Chiediamo al Signore la grazia di essere capaci di vivere la nostra vita di fede con un
incontro personale con il Signore: iniziamo da questa celebrazione eucaristica nella quale, come nel
roveto ardente, la presenza di Dio si presenta alla nostra vita; togliamoci anche noi, idealmente, i
calzari per adorare la presenza salvifica del Signore Gesù su questo altare, e lasciamo che quel Gesù
che ci ha parlato, entri nelle nostre vite con la sua presenza eucaristica, e ci renda santi.
La Vergine Maria, nostra Signora della Salve, nostra celeste patrona, ci guidi su questa
strada e ci conduca all’incontro con suo Figlio.
Sia lodato Gesù Cristo.